LIBRIS.Libro d'artista - catalogo

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ORGANIZZAZIONE:

ASSOCIAZIONE GRUPPO DINAMO

IN COLLABORAZIONE CON

ASSOCIAZIONE CU.BO

EDIZIONI LA SCRIVERIA

PORTO SEGURO EDIZIONI

LORENZO DE’ MEDICI PRESS

SCRIBO EDIZIONI

IL LABORATORIO DEL PAESAGGIO

ASSOCIAZIONE CULTURALE I COLORI DELLE STELLE

CON IL CONTRIBUTO DEL COMUNE DI BORGO SAN LORENZO

PROGETTO GRAFICO E IMPAGINAZIONE:

ANTONIO GIACHETTI

FOTO:

FOTO STUDIO BUCCOLIERO

immagini come parole

VILLA PECORI GIRALDI BORGO SAN LORENZO

FIRENZE

5 Febbraio - 13 Febbraio 2022

ARTISTI

GIORGIA ABBATI

STEFANIA BALOCCO

CLAUDIO BARTOLI

GIOVANNA BARTOLUCCI

GIOVANNI BIGAZZI

IGOR BOROZAN

LORENZO DORANDINI

GIOVANNI FARCI

ANTONIO GIACHETTI

COSTANTINO GRADILONE

MASSIMO INNOCENTI

PAOLO LAURI

PIERO MAZZONI

SARAH PIERGIOVANNI

MARCO PIOPPI

ROBERTO PUPI

TIZIANA SALVATICI

ALESSANDRO SECCI

ROMANO SESTITO

PAOLA VENTURI

ERIKA VITA

Direzione Artistica MASSIMO INNOCENTI

Questo evento è stato realizzato grazie al contributo del Comune di Borgo San Lorenzo e nello specifico dell’ Assessorato alla Cultura e all’impegno di artisti e soci dell’Associazione Gruppo Dinamo. Un ringraziamento all’attrice Marcella Ermini che con la sua voce e la sua grazia ha saputo trasformare parole in immagini.

PREMNESSA 07
PRESENTAZIONE DELLA MOSTRA. ........................... ......pag.11 LA MOSTRA....................................................................... pag.17 LE OPERE........................................................................... pag.27 LIBRIS. Letture....................................................................pag.73 INDICE 09

Libris, immagini come parole capovolge il senso letterario che normalmente è usato al contrario: parole come immagini.

Il libro d’artista è una necessità che nasce da un diverso modo di come si pone l’artista davanti alla “letteratura” della propria ricerca. Un’utile manifestazione dove i segni rimangono inviolabili proprio perché diventa un’unicità letteraria, dove non sono solo le parole a divulgare il tempo di una memoria o il racconto di una storia, le immagini, i segni, il vuoto come il pieno trasformano l’essenza stessa della percezione in una pura esibizione espressiva. Al punto di dar vita ad un manufatto esistenziale che riesce a raccogliere messaggi e intime confluenze emotive.

Il libro d’artista, nella sua specificità espressiva, e mi riferisco a quanto nel campo della storia dell’arte è già stato espresso e dimostrato, appare come un ossimoro. L’artista e il libro sono un insieme, e un racconto o un romanzo stampato in un libro, creano pur sempre qualcosa di artistico. É proprio in questa doppia discordanza e contraddizione che il libro d’artista muove la sua differenza diventando un contenitore fine a se stesso. In un certo senso un luogo dove far erigere degli spazi su cui far applicare altre realtà visive senza alcun rigore tipografico - grammaticale o discorsivo. Il libro d’artista è un’opera finita, un’unica realtà irriproducibile. Per questo diventa oggetto da vedere, da interagire con spazio e tempo, con la sola necessità di essere visto in un determinato modo: come l’artista vuole che sia osservato.

Questa mostra lascia ai manufatti degli artisti una loro collocazione, perché sono gli stessi libri a dare l’indicazione di come possono essere osservati. Per questo non c’è una decisione e neppure un percorso da seguire, ma solo la giusta visione in cui installare le diverse opere. Ogni libro d’artista è differente nella percezione visiva e nelle dimensioni, ogni lavoro è compiacente del proprio spazio concettuale e tutto si manifesta nei limiti del personale racconto espressivo.

Gli artisti in mostra si sono espressi secondo le loro inclinazioni artistiche e per alcuni è diventata una prima esperienza, ma avvertendo una possibilità … qualcosa che rimaneva nascosto e imprigionato in un linguaggio che, pur essendo legittimo, dimenticava piccole necessità.

“ Il lungo rito di un attimo” è il titolo che l’artista Giorgia Abbati ha dato al suo libro d’artista. Giorgia ripiega in un angolo pagine grandi di un frammento virtuale. Comprimendo lo spazio in una dimensione elevata, quasi a dimostrare l’essenza di un oracolo inesistente. Raccogliendo, in un’altra visione, quel rito che potrebbe rendere manifesto il messaggio: due libri, il primo su un leggio a dimostrare l’esattezza del luogo e l’altro, grande, incastonato in quell’attimo deciso e disposto come unica lettura.

Il libro di Tiziana Salvatici raccoglie un viaggio, trascinandolo in un simbolo riconoscibile e in un pensiero poetico. Forse non si accorge del destino, o se vogliamo dell’arrivo, perché è un viaggio senza partenza, come un sogno di un bambino che attacca in un quaderno i suoi coriandoli. Colorati come l’essenza stessa del pensiero immaginativo, che sta tra la sua perdita e il suo richiamo; quello del cielo che scorre veloce come le parole, ma sa fermarsi di fronte all’immaginazione.

Antonio Giachetti agisce confermando la storia. Srotola una pergamena, o meglio il feticcio di questa. Un rotolo di carta disteso lungo la superficie del pavimento che diventa l’ipotetico scaffale, costringendo la carta a nascondere la sua vera esigenza. L’artista lascia a chi la osserva la possibilità di svelare la destinazione del messaggio: nell’angolo della finta pergamena appare un emblema, un sigillo che tiene chiuso il mistero; solo se ti avvicini e codifichi il segnale, la storia e l’immagine si digitalizzano in una sequenza emotiva.

I libri di Sarah Piergiovanni sono convergenti, assimilabili in una sola sequenza espressiva. Entrambi appaiono gemelli, in dialogo con un solo linguaggio. Divergenti nella loro monotonia espressiva, ma l’artista deconcentra la ragione verso l’esattezza di un’ immediata sensazione, traducendo, come in un diario, un brevissimo racconto. Il soggetto è nell’essenza della materia: i due libretti sono cuciti in una tela d’asporto, un frammento di un sacco, dove il contenuto non si svela e rimangono solo le impronte di un bisogno.

Come ha bisogno Marco Pioppi di tenere raccolte le sue possibili visioni. Il suo libro–contenitore è un recipiente, l’oggetto che serve per contenere le poche cose che servono per un probabile o obbligato viaggio: una piccola valigia. L’artista riempie il suo mezzo da viaggio con taccuini e quaderni, dove

PRESENTAZIONE 11

segni e disegni, in compagnia di assenze e pagine bianche, tracciano un possibile percorso. Un viaggio educativo che sta tra la memoria e il riflesso di un bisogno evocativo; quello di annotare l’anima partita.

Giovanna Bartolucci e Giovanni Farci hanno tra le mani il loro sguardo e lo proiettano in uno specchio inesistente. Le pagine del loro libro diventano la storia della storia invisibile, quella di camminare accanto, di torcere il tempo verso una sospensione letteraria che non ha voce, forse ha parole ma non sono mai state scritte. I due artisti si presentano nello spazio concettuale del libro di profilo, nella stessa dimensione e diventano miniature di se stessi per aggirare ogni ambigua conoscenza, e il libro diventa autoritratto di una natura morta.

Romano Sestito è uno scultore, lavora il legno come se lo sentisse parlare e ha imparato a leggerlo come un libro. Lo spazio legnoso, dove le parole del legno diventano anche quelle dell’artista, ha un diverso sapore, una possibilità che va oltre alla narrativa, ed entra nella sua naturale tragedia: l’antica nobiltà della natura che diventa manufatto per svelare qualche abisso. In quelle pagine pesanti e inviolabili come una scenografia barocca, dorme l’ancella dimenticata.

Lorenzo Dorandini propone la sua icona in un edicola sfogliabile, dove la sua primarietà concettuale diventa lui stesso. Un tabernacolo asettico, preciso come un ex libris da cui si può dedurre il significato di una sensazione primaria: l’ornato coefficiente di un disordine equilibrato. Tanto da non sapere se è un oracolo o la stessa anima dell’artista che si elegge in un soliloquio esistenziale. Un vortice condizionato dalla sua inclinazione purista e nello stesso istante diversiva come tanti palloncini dispersi nel cielo.

Nella profondità dell’angolo, Costantino Gradilone lascia esporre le sue pagine come se si aprissero nell’immediato centro di un crepuscolo infinito. É l’abisso a sorgere dove inquieti spiriti dialogano con la dolce tenebra. Dalle profonde sorgenti d’inconsueti riflessi, gli esseri diventano florescenze. Ansie e respiri, come invertebrate emozioni e, senza alcun rumore, parlano al fiume che giunge dal mare e, al rovescio, la luce del crepuscolo si attenua.

“Tera Mater” è la pietra angolare dell’involucro di Giovanni Bigazzi. Un fotografo che si aggira tra le terre e i sassi di Matera, al punto di scattare parole non scritte e di rimandare l’attesa del colore in altre pagine. Perché il libro dell’artista è veramente un contenitore di memorie e sensazioni, al punto di elencare ogni immagine come un diario che viene scritto giorno per giorno in pagine precise. Come una dolce reliquia confezionata da un abile decantatore di essenze.

Paola Venturi ritorna ai libris, alla corteccia degli alberi come luoghi su cui tracciare un messaggio. Lo ri-tra-scrive con parole citate, unite da un leggero filo compiacente, al punto che riordina una cornice nell’essenza della forma. Il libro d’alberi di Paola si apre a ventaglio, si dissolve al punto di esternare la sua voce, la loro voce, le parole elicoidali che si ricompongono in una disciplina essenziale. Una pagina, la corteccia, le parole tornano a segnare le fiere dell’efferata Babele.

I due libri di Igor Borozan, identici nella forma e nella matrice, si allontanano appena li assapori. C’è il gusto del prelibato piacere di un riverbero e i libri si avvicinano come una mossa di flamenco, una danza definitiva nella giornata più lunga, tra una guerra e una vibrante espressività. Il dolore, ballando sull’anima, bussa di porta in porta fino al cuore d’amore, in pagine di memorie esistenziali.

Stefania Balocco raccoglie il suo Libro-paesaggio ruotando al centro di un probabile lago. Gira su se stessa appoggiandosi alla superficie dell’acqua con solo il tallone delle gambe. Osserva e ridisegna il limite boschivo catturando il suo silente rumore. Su cartoni allungati, disgiunti ma ordinati come un album di ricordi, l’artista scalfisce, con nera graffite, le parole non dette di scure fronde e riverberi di cantilene del tenue vento. Un’ aura tra le pagine e il cielo, fin dove si scorge il limite del passaggio.

Piero Mazzoni, distribuisce le sue immagini in un libro a paravento, come se dividesse un altrove: davanti le rimembranze dell’artista, grafiche e illustrative e di chi sa quale memoria nascosta. Nel retro l’ombra del sogno che non disperde alcuna suggestione. L’elasticità del paravento concettuale delle pagine piegano l’ombra e la sua assenza, ridando vita al racconto, fino a riformulare l’esatta prospettiva di come porsi di fronte all’altra faccia di uno sguardo e del suo ricordo.

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La scatola fotografica di Roberto Pupi diventa libro con pagine che si stanziano come cubi. Un bricolage di emozioni che giocano con l’esatta percezione di un rebus. Una costrizione concettuale che, tra puri pensieri e ombre in chiari e scuri, ridisegnano un probabile racconto. Il libro di Roberto si sfoglia giocando con dadi prestabiliti dalla loro assenza, e solo se giurando all’azzurra fede puoi far risalire il colore scarlatto di un meriggio pellegrino.

“Sistema Sectron” è un alfabeto lineare che Alessandro Secci scandisce con immagini grafiche in una dimensione digitale. Il libro dell’artista non si sfoglia ma si tocca o si gira, a distanza o molto ravvicinati perché serve entrare in un mondo allegorico, fatto di grafie futuribili in conversazione con l’universo. Digitando l’esistente di Alessandro, penetriamo in una sceneggiatura primigenia, ma rivolta all’esasperata consapevolezza di un futuro inadeguato. Un libro d’artista senza oggetti ma che diventa oggetto misticheggiante.

Paolo Lauri lascia uscire da una “scatola” una realtà poliedrica e polifonica, una realtà che traduce in immagini la voce dei “Fiori del male”. Visioni ripiegate come ventagli, accordate a paravento, tra frammenti fotografici di soggetti e oggetti. Trasparenze e riflessi risuonanti di poesia, in una messa in scena da cui tradurre parole deposte come per caso su pagine limpide. L’artista procede in tempi diversi, in uno stato lirico per penetrare in ermetiche cosmogonie.

I libri di Claudio Bartoli sono pagina su pagina; l’emblema scuro tra il chiarore negativo e il nero riflessivo. Poi si avvolge verso un varco con didascalie erranti in vagabondaggi poetici, al punto di penetrare l’emozione fino al gorgoglio di plasma verginale. Il libro raccoglie il ritratto, lo scandisce con un calcolo, un numero inviolabile: la santa misurazione di uno spazio mnemonico. L’artista penetra con rigore e sogno in un pensiero, in tanti e unici giudizi, dove furiosa è l’esistenza se la lasci nell’ombra infame.

Arcanamente s’illustrano le azzurrine ombre di alberi e nuvole. Pagine riflettenti in uno strano libro di una biblioteca dimenticata. La postmoderna Alessandria, tacita e infinita, si riavvicina al suo, nostro tempo e rinasce dal cuore dei libri accesi dai due sguardi. Udire le voci di poeti nel blu brillante di uno spumoso tessuto, evocano l’enigmatico palazzo. Erika Vita e Massimo Innocenti sorgono a torreggiare su due ondulanti tavolini e, con parole indecifrabili annunciano l’arabesco.

Nasce un confronto in questa mostra, tra letteratura e immagine e le parole volano tra il realismo editoriale e la riflessione critico-poetica dei Libri d’Artista, tanto da mantenere il pensiero in un preambolo educativo che è fatto di parole scritte e letture. Al punto di incontrare un momento prescelto, anche solo per un breve tempo, per unire due identità che si incontrano nella loro diversità.

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Massimo Innocenti
MOSTRA 17
LA
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INAUGURAZIONE
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LE OPERE
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