Evangèlio 2023

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evangèlio

GIORGIA ABBATI CLAUDIO BARTOLI JURI BASSI ANDREA BIAGI

GIOVANNI BIGAZZI NOEMI CAMMARERI SILVIA CARDINI

COSTANTINO GRADILONE ANTONIO GIACHETTI

MASSIMO INNOCENTI FRANCESCA LAZZAROTTI LEVAN LOMJDZE

PAOLA MARGHERI BENEDETTA MORACCHIOLI CARLOMARIA NOBILE

VALENTIN OSADCII ZELJKO PAVLOVIC MARCO PIOPPI

TIZIANA SALVATICI ROMANO SESTITO PAOLA VENTURI ERIKA VITA

ovvero la geometria della parola..

Evangèlio

Presidente

Paola Margheri

Vicepresidente

Tiziana Salvatici

Organizzazione e Promozione

Antonio Giachetti

Costantino Gradilone

Tiziana Salvatici

Segreteria

Paola Venturi per Associazione Gruppo Dinamo

con la collaborazione di Comune di Scarperia e San Piero

Pro Loco di Scarperia

Museo dei Ferri Taglienti. Scarperia

Parrocchia dei SS. Jacopo e Filippo. Scarperia

con il Patrocinio del Comune di Scarperia e San Piero con il Patrocinio dell’Unione Montana dei Comuni del Mugello

Testi

Massimo Innocenti

Silvia Ammavuta

Foto

Maurizio Fiorenzani

Progetto grafico e impaginazione

Antonio Giachetti

evangèlio

“ovvero la geometria della parola...”

Scarperia

Piazza dei Vicari

Palazzo dei Vicari

Vecchia Propositura

Chiostro della Nuova Propositura

Cappella della Madonna di Piazza

18 Marzo - 17 Aprile 2023

A CURA DI MASSIMO INNOCENTI

SILVIA AMMAVUTA

Opere di

GIORGIA ABBATI

CLAUDIO BARTOLI

JURI BASSI

ANDREA BIAGI

GIOVANNI BIGAZZI

NOEMI CAMMARERI

SILVIA CARDINI

COSTANTINO GRADILONE

ANTONIO GIACHETTI

MASSIMO INNOCENTI

FRANCESCA LAZZAROTTI

LEVAN LOMJDZE

PAOLA MARGHERI

BENEDETTA MORACCHIOLI

CARLO MARIA NOBILE

VALENTIN OSADCII

ZELJKO PAVLOVIC

MARCO PIOPPI

TIZIANA SALVATICI

ROMANO SESTITO

PAOLA VENTURI

ERIKA VITA

07 Presentazione Inaugurazione Le opere pag. 07 pag. 16 pag. 22

PRESENTAZIONE

Sul filo della parola …

Evangelio; la lieta novella, lieta come un avvenimento inaspettato, felice, tranquillo e soddisfacente per raccontare, sul filo della storia, parole persuasive, coinvolgenti, al punto di diventare parabole e di conseguenza immagini narrative con infinite similitudini, in percorsi suggestivi.

Attraenti, come possono essere le prime impressioni, se si ricordano le immediate convergenze nell’annunciare che un luogo può diventare altro luogo se a questo si assegnano delle molteplicità figurative (nel senso che se da un segno si può ricavare un significato, lo stesso segno comincia a raccontare e creare una conversazione emotiva). Qualità intrinseca, dove ingredienti di un determinato menù possono realizzare la costruzione di un’opera: scegliere pezzi o frammenti che giungono dal tempo che diventano appendici su cui trascrivere una rivel-azione contemporanea.

L’azione di rendere fattibili, attraverso un’attenta conoscenza, possibilità interpretative. L’arte può prendere parte a questo “viaggio”e far diventare argomenti e fatti della storia soggetti partecipanti alla contemporaneità e, di conseguenza, ciò che potrebbe sembrare una vaga citazione, diventa, con molteplici gradazioni emotive, un fatto attuale, esistente, al punto che da ogni specificità espressiva può intraprendere quel viaggio “metafisico” che aleggia tra le parole e le immagini.

Il viaggio non consiste nel poter scendere o fermarsi in un determinato posto, e neppure la distanza tra un determinato luogo all’altro può creare una difficoltà, l’eliminazione del divario tra una distanza e l’altra, cioè tra la partenza e l’arrivo, può creare un atteggiamento che scava nel profondo. In modo da percepire il disagio e di conseguenza il massimo dell’intensità emotiva, dando vita all’immaginazione che può portare un luogo, una storia o le parole fino al centro del concetto desiderato. Tale questo da produrre un balzo temporale che può creare una distanza, immediatamente riaffermare un’equivalenza che va a corrispondere in molteplici unicità. Grazie a quest’azione, forse misteriosa ma coinvolgente, al punto di creare opere che entrano in dialogo con il tempo e il suo scorrere e, così, allo stesso modo, il tempo mostrerà le Cose e da queste nasceranno delle analogie poetiche. Bisogna abbandonare ogni soluzione, perché questo viaggio non prevede il rientro nelle nostre case e neppure prelude a un’accettazione del tempo che distanzia l’arrivo, ma fa perdere ogni possibile decisione di entrare nell’attesa. Come lo sono le stazioni, attraverso le quali si accede al mistero, senza comprendere quanto inaccettabile può diventare l’attesa e, ciò che rimane è alzare gli occhi e scoprire che il cielo, racchiuso in uno spazio, può accumulare inclinazioni e da queste far figurare cieli diversi, com’erano veri presagi quelli del Veronese, del Mantegna o del Tintoretto, dove potevano assegnare al cielo solo il compito di un evento peccaminoso o turbativo, a tal punto che una partenza può essere terribile come la sistemazione della Croce.

L’umanità del suo tempo (il Palazzo del Vicario)

Il tempo di un limite, quello di segnare un confine, oltre il varco della memoria, quello della storia da cui s’intravede un segno, fattibile per annunciare e comporre l’intrigo minuzioso di rami dove su ogni sporgenza si accumulano, paradossalmente, nuovi tempi. Probabili, com’era possibile nella prima metà del 1300 posizionare sull’apice di una scarpata lo sguardo preciso di un confine e da quel punto dettare regole e prescrizioni. Il palazzo, o meglio la fortezza del Vicario, si erge come dominio. La posizione giusta per segnalare una variante fertile del millenarismo e della

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potenza, come unica instauratrice di una società che doveva controllare la sua stessa compenetrazione morale e economica. A guardia, con leggi e benefici, il luogo scelto diventava un segno riconoscibile e chiaro come le immagini che via via si raggruppavano in veri modelli iconografici. Il palazzo non più restava sede di un controllo ma assumeva il prestigio di una riverenza: il trono di grazia ricevuto e assiso, diventava un vero oracolo, quello del Signore. E allora entriamo in questo “vessillo”, dove i segni della storia parlano tra loro con parole che diventano immagini. Le parole sono visive, nella stessa misura in cui le immagini diventano letteratura e, allora, il varco possibile diventa schema, una propulsione composita dove, come liriche brevi, i fregi dipinti su pareti si collocano in assemblea permanente, come a suddividere l’epoca temporale degli avvenimenti. E, come emblemi di una logica sociale da cui lo scalino più alto, lentamente, si appropria di una centralità virtuale, l’unico emblema che rimane è quello che ti lascia entrare nel laboratorio privilegiato del potere e dell’arte.

Un’allegoria di simboli e metafore disegna il passaggio, forse spirituale, ma sicuramente stabilito da una precisa compattezza di regole da rispettare. E tutte, le regole, si dispongono come un affresco che orienta l’inaspettato viandante, ma non può entrare se prima non riscuote un preciso lasciapassare, ed eccolo che giunge come un custode del tempo, un insieme di guardiani accompagnanti, accucciati e fedeli come cani, direzionano il verso e compongono , con colori e presenze, la dritta via.

Diventa interessante penetrare le ombre … come un campo che diventa un ampio cortile e si misura l’attesa. Ristretto è lo spazio, circondato da alte mura dove non si vede l’orizzonte, ma si capisce, e quello che rimane è il cielo che fa da soffitto. Potrebbe sembrare solo una parte di cielo ma se si osserva come non lo abbiamo mai visto ecco che diventa altro: l’appendice di un simbolo, di una sola testimonianza; quella di oltrepassare l’ignota circonferenza del limite e salire dal suolo indiscreto verso altra speranza.

Invisibile o immaginaria è la metafora di una scala senza precise misure ma con possibili ostacoli concettuali, forse, secondo un fonico concetto, si odono le parole sospese tra l’infinito stridio di carni e di luminose apparizioni: “… ivi spirante vendetta e rabbia, in maledetto punto affretta quel maligno i passi e ‘l volo.”(1)

C’è un rumore che si aggira tra quelle mura, è il silenzio del viandante, l’unica presenza riconoscibile dentro il calpestio del prossimo varco, quello che assomiglia a un’entrata ma senza comprenderla fino in fondo, perché non c’è alcun fondo se non l’astuta dimensione, grande e a primeggiare lo spazio su parete confusa da altre mescolanze iconografiche, si vede bene colui che cammina nel deserto, o forse è solamente un pellegrino alla ricerca di reliquie. E ciò che appare, come una salita senza alcuna testimonianza, è la sua copia che diventa essa stessa una possibile reliquia, dove fantasie di colori e punteggiature vaganti, rendono possibile altra entrata. Salire a salti compatti verso altra alzata, verso l’unica sicurezza o il dominio del regolatore, assiso come unico fabbricatore di differenze,ci pone la sua immagine. Gli scalini stretti salgono impennati verso un nuovo atrio, ma prima si avverte altro spazio, altra dimensione: una fessura illumina la salita e lascia intravedere da feritoia appena resa evidente, un segno in apparenza senza senso o, forse, l’accettazione del potere visuale che diventa metafora attraverso una qualità pittorica. Forse è una chiave? Quella che serve per aprire l’ignoto vagante di oscillazioni magiche? Vediamo se oltre le scale, l’intenzione epigrammatica diventa immagine. La soglia lascia penetrare l’affanno. Una prima sala, pittoresca e imbevuta di luce, dove primeggia su la parete l’affresco dipinto con precisa prospettiva, probabilmente della bottega del Ghirlandaio, rinascimentale nella sua messinscena dove accoglie i giusti riferimenti compositivi. È il pavimento della stanza che cattura il componimento verbale e artistico, perché, anche se il contenuto trasmette una concettualità contemporanea, ciò che s’intravede può rimanere estraneo alla narrazione della storia del palazzo, ma è esauriente, invece, se quei possibili fogli distesi sul pavimento li leggiamo come veri frontespizi di un decalogo, quello del gioco che subentra da un luogo a un altro, attraverso storie e magie, racconti e mistero. Una superficie dove oscuri Arcani si compongono e dialogano tra i molti significati. Come ordinanze provenienti dal

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tempo lontano, dove l’Indovino prestava il suo rigore a sembianze emotive e il calice della sapienza si riempiva di magiche immagini, le carte, i tarocchi, non erano solo la permanenza di un retaggio primitivo ma potevano essere e diventare un presagio. La sala non ha solo un richiamo d’incantevoli tinte primitive o rinascimentali, ma dalla soglia inattesa, quella attuale che non ha nulla di definito, si riordina il peccato, che, come una proiezione, si ribalta dalla parete santa su inferi terreni: una parafrasi o possibile metafora evangelica. Accumulati in decisa forma, come un segno riconoscibile che sta tra la collina del Golgota a quella del Cranio, frammenti di forme e monumentali pezzi di un’esistenza naturale, girano come a formulare l’altezza prediletta per creare la dimensione giusta e collocare il vero richiamo. Unendosi alla santità dell’affresco dove Maria è assisa, e dove il figlio rigettato in altro luogo è, invece, scelto e indagato per un giudizio e da quel processo verbale risulta colpevole, alla fine, crocifisso. Una reale testimonianza di un’eterna eucarestia: un corpo e il sangue che diventano di-vini.

(1) John Milton da il Paradiso Perduto

Nel riquadro della stanza diventano due le altre entrate per proseguire il percorso - è la grandezza del palazzo a determinare il suo invadente spazio esterno, mentre al suo interno sono piccoli gli spazi deputati, ma si sente l’impronta della sua potenza, è un castello, la fortezza ideale che può dominare oltre ogni limite, fino all’orizzonte e da quell’altura controllare ogni possibile invadenza. Allora non ha molta importanza da quale entrata proseguire il percorso, anche perché entrambe le due aperture ci portano al centro del potere e, in principio, o meglio, nel determinato luogo, appaiono tutte le possibili raffigurazioni delle decisioni intraprese nello scorrere della storia. Ogni parete è un racconto; immagini affrescate con riferimenti inaspettati, sia nella loro aderenza storica sia in quella privata e determinano un passaggio. Anche le decorazioni si convertono al tempo e i mobili seguono la costante memoria, come la luce perfetta e inalterata della prospettiva del paesaggio rende chiaro il luogo: siamo nella stanza del Vicario, del controllo e dove tutto passa e va secondo il beneplacito giudizio. Basterebbe stare in questa stanza e osservare ogni cosa e immediatamente nascerebbe un concetto, ma diventerebbe un fondo, dove solo i fantasmi si renderebbero evidenti, poiché l’arredo si presta a pensare a qualcosa di sinistro, essendo tutto immobile come una scena senza attori o di spettri che non hanno più parole da custodire. Allora, ciò che rimane è un lieve sentire, quasi un’ironia possibile che si distende come un velo e lascia vedere ciò che non è mai stato ma che potrebbe essere, se si lascia alzare il sipario rosso di questo”santuario”e, come una cornice, ciò che appare assomiglia a momenti ironici. Non più il tavolo centrale è a disposizione del potere, ma è invaso da una propria metafora e, invece, chi doveva occupare quella scrivania, rimane coccolato come un bimbo capriccioso in attesa, sul suo seggiolone, di chi sa quale colazione. Le immagini per non deteriorarsi o svanire, hanno bisogno di essere alimentate. Sono i racconti con le parole che garantiscono il sogno perpetuo della Storia e, così, le immagini diventano un susseguirsi di vita e d’impulsi. Lo può essere un luogo dove le principali dimostrazioni di retorica o di controbattenti dialoghi, diventano assemblee da cui scaturire il segno del potere. La Stanza del Consiglio del palazzo del Vicario, non è sbagliato chiamarlo anche Pretorio vista la sua locazione territoriale e anche il continuo passaggio di tributi e di signorie a cui era sottoposto. Il Consiglio riuniva le sue assemblee in una sala adiacente all’ufficio del Priore. Una sala dove le decorazioni a parete diventano il presupposto per una corretta esplicazione di come dovevano svolgersi le assemblee. Pareti affrescate a tal punto che ogni spazio era occupato e ogni pittura aveva ed ha un preciso significato allegorico per dimostrare l’importanza di ogni parola detta e di quanto, invece, quelle non dette, potevano essere la manifestazione di uno spiraglio diverso. Nulla nelle pitture è dichiaratamente esplicito, ma l’attestazione dell’uso di determinati decori, creano un posto diverso dal luogo esistente, allora, non solo trovavi e ti trovi in una situazione da cui non puoi uscire fino a quando tutto non è deciso, ma sentivi e senti, anche, la necessità di svolgere altro desiderio: trovare un mezzo conduttore che può reagire tra una realtà

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chiusa verso un’altra non del tutto segregata. E, attraverso la metafora della propria naturalità, far diventare l’immaginazione realtà e avere la libertà di intravedere l’invasione magica di un emblema vegetale, che non solo diventa simbolo, ma ne partorisce un altro, creando una nuova dimensione all’interno di uno spazio preciso e, all’improvviso, nel quadro ceco della stanza, può germogliare un fiore.

“ salgo, nello spazio, fuori del tempo” (2), proprio come un accordo temporale.

Il tempo, imbalsamato nella sua veste, appare e, prima di svelare l’ingranaggio in bronzea fattura, si perde nella vertigine dell’esatta ora, poi, Il tempo rientra sospeso tra il turbamento di un’architettura e uno spazio polivalente. Il tempo si snoda, si tiene in un invaso protetto, un sarcofago trasparente che non tiene memoria, ma lascia vedere ciò che non deve essere visto. La misura che rimane, tra l’esatta percezione e l’illustre disegno, è immersa nell’intera stanza, quella dell’architetto Brunelleschi, senza alcun dubbio il silenzio che gioca con l’assenza è ciò che rimane ai nostri occhi forti di luce, come ciò che si intravede nello spazio che rimane tra un velo della storia e la sua didascalia. Ecco che le parole si racchiudono in una sola scatola, ad aspettare che si chiuda, per un incanto o per il rintocco fedele di un colore evanescente, che ritorna e torna, “ e del tempo fu sospeso il corso. ”(3)

(2) (3) Dino Campana – Canti Orfici

L’immobilità precede, anche se in altra stanza, forse l’ultima a richiamare, sul filo delle parole, la nitidezza della storia come melodia terrestre. Nel finale e chiuse in aule trasparenti, stanno come cariatidi altre parole manoscritte. Ed è stanza compatta, racchiusa, conclusa nella sua precisa dimostrazione e le aule affondano in muti canti. Libri conservati, aperti nelle pagine, stanno lì, come un esausto risveglio e attendono altra veglia seguendo nuovi canti. Altri libri si accomodano a sorreggere l’incanto d’inviolate parole, ma non sono scritti, sono immagini, oggetti d’arte che s’interrogano con un dinamismo affettivo, e quello che evocano, per la poesia, sono altra cosa, forse sono la teologia di una fede inesistente. Sono libri d’artista, appoggiati a guardia di un culto e dell’anima oscura del mondo.

Con vs azione (la Piazza)

La geometria è perfetta, precisa come spesso erano i luoghi dove il centro di un contado diventava l’apice di ogni conversazione sociale ed emotiva. La piazza del borgo, come nell’agorà greca, ha mantenuto lo schema concettuale: il centro della storia urbana come culmine di ogni suprema esaltazione della mente umana, accodandosi ai cambiamenti e lentamente a ogni corrente esistenziale, mettendo a dimora le proprie esigenze.

La sacralità di un posto diventa rappresentativa, nella misura in cui tutto ciò che circonda lo spazio deputato di un luogo aperto, diventa cornice di avvenimenti, tali questi da dimostrare quanto le parole e i segni possono elevarsi a principi educativi, per non dire indottrinamenti speculativi. Allora, arriviamo in questa piazza, entriamoci come si entra in uno spazio definito e, anche se il cielo e l’aria ci accompagnano, ciò che rimane in evidenza è la geometria delle parole che non si ode, ma si può immaginare come segno primordiale, o legittima configurazione di uno schema stabilito. La sacra conversazione diventa metafora di un’altra Sacra Conversazione, quella di Piero della Francesca che, assisa a preambolo di una legittima convinzione, in uno schema didascalico, crea la giusta scenografia per una pura visione umanistica. In quel rinascimento che non cedeva nulla al mistero, ma dava sfogo alla propria predilezione di precise gerarchie speculative: un fatto religioso diventava uno schema classico, al mete classico che diventava anti classico e nello stesso momento enigmatico.

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Labrys ( la Vecchia Propositura)

L’Enigma annuncia e da notizia, al punto di entrare nello spazio prediletto con specifici privilegi, regolando e conservando il mistero, tanto da preservare credenze, purificando l’obbedienza tra l’aldilà e la terrena attesa: traducendo l’attesa in terrificante immagine, nel disorientamento, nello sguardo perso, nell’abbandono e all’indugio della conversione. L’inganno sorvola l’edificio regolatore e il luogo, che non è più controllore di annuncio, si copre di un’ombra e, da luogo deputato, diventa palazzo della notte, dove il sonno, i sogni e la morte si scambiano i segni e nel labirinto delle parole, i segni, si presentano come rivelazioni, e il tempo divora la carne rigenerando il pasto in divinità sotterranee.

“ OH giudizio, oh prova della bilancia, oh spettacolo terrificante, quando Dio assiso in trono giudica tutto il nostro operato! Non inorridirai a tale vista? Non scoppierai in un pianto veemente? Non cercherai di dare una regolata alla tua vita, uomo? Perché è qui che verrai. “ (4)

Il castigo, parola che si rende icastica, diventa arte di rappresentare la fisicità del tormento e prelude alle oscure presenze tra inferno e Ade, rigenerando l’inganno di Dedalo in un astratto e indeterminato corpo, in salvezza e in un percorso, dove sotterranei oracoli guidano il segno di Teseo. Giungono da Minosse segni come dall’inferno dantesco, in fiumi di linee volanti, e Caronte, riflesso in acque stagnanti, appare in Minotauro, scegliendo anime e corpi per far vagare, su acque geometriche, il passaggio. Il varco possibile diventa enigma. Nella vecchia propositura un dedalo accenna la presenza, un labirinto approssimato marca la possibilità di escogitare una risposta, plausibile per decifrare parole che filano una trama esistenziale e, tra angoli e aperture di pareti, s’incontrano le probabili risposte. Come un romanzo senza trama, ogni pensiero diventa un periodo, così adattato alla circostanza, che il filo che congiunge le parole, come un’eco della vita, si aliena alla sua stessa sonorità. Rimane solo voce per una possibile salvezza in lacerante interrogativo filosofico, tra natura e corpo, immersa nel dono del sogno di Arianna. Penetrare l’ombra in attesa di un richiamo, è ciò che s’incontra nel passare tra le due possibilità, perché due sono le uscite, come due le entrate e solo a conclusione di un‘andare e di un ritorno, si può comprendere se il mostro della ragione ha generato altra oscurità, o se le acque della speranza hanno permesso a Teseo di virare verso la luce. Le parole guidano il percorso con anagrammi e possibili rebus, al punto di infilare le lettere, una dietro l’altra, come collana in un rosario di racconti allegorici che declamano la carne come rivelazione. Parole assegnate al tempo per contagiare il percorso in armoniose note, dando visione alle sotterranee presenze di una tragedia classica, dove “… soffrire è un solo lunghissimo momento.” (6)

Appaiono le riproduzioni all’improvviso, quasi nascoste e, … da immagini si tramutano in “notizia” visiva

Un volo sospeso si accartoccia e si forma a nuvola, come ali d’uccello spaesato ma conforme a guida in … “ Arcane danze d’immortal piede i ruinosi giochi scossero e l’ardue selve …” (5).

Trova pace l’architetto in logora stoffa, ormai tolta, strappata in affresco e rimane solo il suo dono, il volto arrossato a sindone rarefatta, piegata come coperta di un antico sapore. Dietro o davanti, ma qui la geometria non permette patria, si accoda alle stigmate del geometra, loculo prediletto, in modello imperfetto e scombinato, dove giace colui il cui verso divenne altro suolo. Variando la geometria in proiezione ortogonale, camminano in modo statico sembianze incerte di possibili creature, piccole e distese come a cornice di un tracciato, sospese tra l’oscura notte e l’attesa della morte, in cammino e, come viandanti pellegrini, pregano per la salvezza o per un supplizio veloce. Raccontano in forma plasmata le mosse dell’apparizione di demoni e santi e, senza cura, sciolgono le sembianze. L’omologia dello spazio lascia al dettato della superficie solo un possibile squarcio di sole o luce artificiale. Fotografata, l’aria, a reticolo sospeso, come un passaggio a ostacoli, un campo

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di messe dorate si scompone in linee alternate, tagliate dall’inganno fotografico e dalla stessa geometria. Quei campi dorati come nel sonno, diventano ampie Pietà, simili al rinascente tempo, ma non perfette come quelle, nella natura, al contrario sono improbabili.

Si allarga il labirinto, un atrio appare inusuale, come un’anticamera, qualcosa che è lì prima di altra rivelazione e, tra un lato e un angolo, un groviglio concettuale si dispone a presenza; un bersaglio o un racconto da decifrare, sospeso tra l’enigma del tempo e la possibile sensazione di un’apparizione di demoni e angeli a un probabile capezzale. Dall’Aldilà dell’atrio si riordina l’ignoto spessore delle pareti e, tra un vicolo cieco e altro ben visibile, il baratro si presenta. Un pozzo quadrato - quasi un eufemismo - rivela l’ignoto. Circondato da sottile balaustra, nel quadro del fondo, appaiono prodigi di cielo, tempeste variegate da imprecise nuvole: fuoco e colore si addentrano in forma celestiale … si disperdono le sembianze in cartoline surreali.

Si srotola come un antico papiro imbevuto dal tempo e scorre sotterraneo il fiume dell’Ade, nessuna presenza lo attende a riva, solo il silente scorrere di acque oscure, fanno intravedere , a sequenza, l’inviolabile irrequietezza della purezza. Acqua e cielo si riflettono come un racconto senza preamboli introduttivi, tutto è lì, chiaro come il vento notturno che attende … “ Enceladi novelli, anco del cielo assalgono le torri ; a Giove il trono tentano di rovesciar, …” (7) e, prova, il sibilo del vento, che riordina l’attesa, tra un rigolo perfetto e un rotolo di pittura a regolare tanta geometria. Il filo delle parole continua a tessere il segno. Nell’antro di Giove o nella sua sperduta creatura dalle sembianze animalesche, dove tutto nutre Cerbero o altra sembianza, il pasto prediletto ribolle, rumoreggia come un magma senza luce, putrido e selvaggio lascia intravedere pezzi e muscoli di corpi, ormai anime morte e l’unico desiderio è soddisfare Caronte e passare attraverso cinque fiumi tenebrosi per sciogliere o legare il cielo e la terra. Emerso, come un segno, una conversazione inattesa, l’oracolo diventa tabernacolo, come sublimità dell’anima , ma di un anima famigliare, materna e sublime, quanto e tendente la natura a svelare la notte e il chiarore di una genesi. A olocausto, posto lì ad altare, sta il nido vuoto, in attesa di parole, piangendo e ridendo come un fanciullo inesistente, ma presente in assenza per sentire che la vita potrà essere mutevole. Si trasformano le parole, quasi a scomparire e, in apparenza, sembrano che sorvolino anime liete. Non troppo, forse solo una pausa della natura, che si presenta in matrici magre e appena violate da tenui colori. Una parete inclinata si espone a richiamo, forse l’estasi prima del peccato o il grido silente di fiori e rami a congiungersi in corona di spine. Il bosco trasmuta il concetto in visione e immagine e la luce di Arianna conduce all’unto consacrato, rendendo corpo l’anima. Fuori dall’Erebo, dalla geometria della parola, l’annunciatore inizia la lieta novella. Davanti all’altare, a preambolo della consacrazione, sta l’animo di quel Cristo bianco, sembra pervenirci dal freddo della notte, morente come un giglio reciso, e non sapeva che un inviato di Dio lo attendeva. Lo aspetta prima del sepolcro, nell’intensità e non nella vastità, perché la raffigurazione è ormai assisa a emblema e racconta la libera espressione di un’arte scossa, irrequieta e fortemente oscura, al punto di aprirsi a cattedra o a libro, quel tanto per illustrare l’avvenimento: l’eucarestia del sangue e della carne, del dolore e di una tale passione che solo una docile e schematica nuvola riordina le idee.

La Cappella della Madonna di Piazza (Oh Maria ! - annuncio )

Il punto di vista esce e si condiziona dalla percezione dell’insicurezza, vaga nello spazio stabilito fino a raggiungere l’estremità crescente di un altro spazio deputato a congedo di ogni preghiera. Tra astri di azzurre rotazioni, ora qua ora là, in divino senso d’immacolata concezione - sensus divinitas , si manifesta la donna Vergine nel ruolo nuovo di annunciare, dall’alto dei cieli, il volo dello spirito. È giovane e portatrice dell’avvento, al punto di sorreggere il tema della Madre di Dio … “ allontana dai tuoi occhi la nube profumata/che lo splendor ci nasconde del tuo volto,/ e volgi, Maria, il tuo materno sguardo,/ ove la pace, la vita e il paradiso stanno.”

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Il Chiostro della Nuova Propositura (Evangelio - azzurrità)

Chiuso, a convenire adunanza, il chiostro del monastero si rende disponibile alla promessa Divina. L’Antica Storia lascia il passo al sangue del nuovo agnello, il figlio di Dio, che dalla croce s’innalzò pietoso e bello, a nobilitare il mondo per l’incanto della natura, nel seme che germogliò il fiore e che nel frutto sacrificò la vita. Dopo l’ascensione del Figlio, il Cristo che di parola fece il segno, la nuova novella incominciò a proclamare la nuova storia, che lentamente divenne tradizione. Le voci tramandarono le parole e si disposero a racconto nel tentativo di raccoglierle tutte e tutte nella stessa declinazione, al punto di decidere se sorvolare annunci o rendere esplicite le rivelazioni. E’ la conquista delle parole, tante e sommerse nell’apocrifizzazione delle stesse enunciazioni. Ormai presenti nella loro utilità,le parole, incarnate di racconti e leggende, il tempo della storia riordina le idee. Quattro i Vangeli scritti e disposti in una sola sequenza temporale, quella del racconto tramandato da una soglia all’altra della terra, dove il principio fu il verbo e dove la nascita era l’epifania di una regola, dove il battesimo del fiore anticipava il calvario della resurrezione. A croce,i Vangeli, nel cortile delle preghiere, stanno in appoggio; vacillano come ali al vento. Dovunque si vedono insieme, lasciati lì da paurosi problemi, costeggiano lo spazio dando impulso a vertigine profonda. E’ al centro, la celestiale parola, come un pozzo senza fine, in geometria perfetta, armata di ruggine dorata, definisce l’azzurrità infinita. Nel corso del viaggio le immagini hanno preso posto. Una contemporanea iconografia ha varcato soglie, cortili e stanze, spazi sacri e momenti di riflessione, incontrando la storia e la teologia del senso della vita. Se da una parte il tentativo è stato quello di ri-immaginare momenti civili e sociali, dall’altra parte, la coscienza del mito e della spiritualità hanno reso visibile la devozione, attraverso pratiche surreali e reali, al punto di trascendere nel cuore della meta fisicità. Evangelo, la parola lieta, il Dio concreto degli uomini e delle donne, diventa Il Dio Padre. Così, la storia, ricama ogni permesso possibile, al punto di decidere nuovi epigrammi visivi, aggiungendo: – la trinità, il padre, il figlio e lo spirito santo, la madre assunta e vergine immacolata e su queste prediche legali, il cammino delle immagini diventa manifesto esistenziale, al punto di immaginare Dio, di illustrare il figlio, di innamorarsi della vergine e di rendere chiaro dove il demone del male ha consacrato il suo centro di deviazione. Occorre riconoscerlo, esiste per l’arte, la poesia e la storia, per l’intero sapere, che tutto è immaginato con un assoluto rispetto e ogni punto di vista, in un vitale controsenso che frequentemente conosce meglio la vita. Un’eccessiva curiosità, può provocare riflessioni, raggiungendo il piacere dei giorni passati. “… La mente non può assimilare subito un foglio di carta, ricoperto di caratteri. Ma non appena ebbi terminata la lettera, riuscii a pensarla, divenne un oggetto di fantasia, divenne, anch’essa, cosa mentale, e l’amavo già tanto che ogni cinque minuti dovevo rileggerla e baciarla. Allora conobbi la mia felicità . “(9)

Massimo Innocenti

(4) Massimo Planude monaco filologo 1255-1305

(5) Giacomo Leopardi , Alla primavera. – Canti

(6) Oscar Wilde , De Profundis.

(7) Vincenzo Monti, Poesie scelte

(8) Jose Zorrilla – Poesie, 1847

(9) Marcel Proust – Alla ricerca del tempo perduto

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Inaugurazione

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Sabato 18 Marzo

Inaugurazione

Cortile Palazzo dei Vicari: Performance teatrale curata da Marcella Ermini e Costantino Gradilone

Letture di Goffredo Rontini e Adriano Baccaglini

brani tratti dal libro “ Evangèlio “ di Massimo Innocenti

“Compagnia di Bindaccio”. Scarperia

con

Nadia Ordano

Fiammetta Capirossi

Alessandra Ponzalli

Girolamo Rombaldi

Francesca Baldi

Giuseppe Bacci

Beatrice Lazzerini

Cristina Santi

Arianna Tagliaferri

Sandra Barchi

Elisabetta Nicchi

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“ Evangèlio “

Sàtàn- ( con un tono di voce elevato ) E’ la polvere delle antiche storie della creazione, che questo vento solleva fino a segnare ogni limite. Ha il colore rosso del sangue. Quello stesso sangue che amalgamò la polvere dell’argilla prima di disegnare la ragione per cui sono qui.

Non credere al divino, che con la parola fu fatta la sua stessa ragione, pensa ai granelli d’argilla e scoprirai il sistema da cui la polvere genera fragilità. Ma la licenza di perdersi fece si di dimenticare quanto precario fosse quello stesso impasto, e la maledizione si accanì su quella melma vivente: ... sei polvere e polvere ritornerai.

Forse tu pensi di essere diverso da colui che io stesso presi sotto le mie ali? o non conosci la mia sciagura terrestre.

Fui angelo, ma calpestato dall’onore di non comprendere quale fosse la forza in cui mi intromettevo, caddi disperatamente sempre più in basso, fino a penetrare dentro le viscere e da esse sollevarmi immerso fino al collo di quella melma che tu stesso sei fatto.

Ma tu non mi ascolti,... perchè? Forse le mie parole non parlano la tua lingua? Sappi che posso parlare miglioni di lingue diverse e con modi diversi. Vuoi il silenzio? ma anche quello è mio, è mio in virtù del caos , perchè esiste il silenzio nella misura in cui esiste il frastuono del mondo. Dal momento che il mondo è terra, ed io vivo dentro la terra , sotto la terra, nel profondo, dove la luce si genera e da forza all’oscurità, io sono la terra. So chi sei e perchè vai per le strade di questa città a parlare e a guarire. Dici di essere il figlio del Dio , o peggio, il Dio vivente... Ma che assurdità! Non vuoi parlare con me, vero? Ho forse deluso la tua coscienza? o peggio, la tua purezza? Vedi, figlio di Dio,(con tono sarcastico ) , nulla puoi se io non lo voglio, e continuare a dire che sei il figlio di Dio, o il Dio in terra, questo non ti da nessuna speranza. Perciò soccombi al mio tributo di passione, e raccoglierai i frutti del mio albero e con essi comanderai il mondo fino alla fine, o se lo vuoi, fino all’inizio.

Jahven- ... la stanchezza della mia testa avvolge il mio corpo, ma non sento dolore e le parole non mi hanno sedotto. Ti ho ascoltato voce, ho sempre sentito quello che mi dicevi, ma la parola del tuo vento non si è fermata nel mio cuore, per questo non odo il tuo richiamo. La tua stessa esistenza è un’ imbroglio della fantasia.

L’uomo, che tu elevi a tue sembianze e che consideri tuo discepolo, non è a tua immagine, ma è solo il riflesso di ciò che sei. Nulla è figlia della tua immagine, perchè fu un’illusione che destò il peccato e lo rese vita e alimentò con il prodigio della scienza il denaro per nascondere la verità.

Tu, voce che urli nel deserto, prima della tua caduta in questa polvere, sapevi glorificare il padre mio divenendo artefice di ogni preghiera. Conoscevi le parole e invocavi il padre come nostro salvatore, ma scellerato fu il sogno che ti destò dall’oblio del desiderio e rese in te la gloria del tradimento. Inutile accecare il mio sguardo con ricchi bagliori di opulenti meraviglie, io non vedo quello che tu vuoi farmi credere di vedere, perchè quello che è non è ciò che è, ma è ciò che tu vuoi che sia,

Sàtàn - Quello che vorrei che vedessi non sono solo le ricchezze e le meraviglie, ma anche ciò che questo può degenerare. Quello che genera questa ricchezza è la povertà, l’infamia, il pregiudizio e tutto diventa il contrario di tutto. La bellezza si rende forte in virtù della sconcezza, la forza nella debolezza, la grandezza si genera nel sottile desiderio del potere. Vedi figlio del dio dell’uomo come può sembrare incoerente ciò che tu pensi che sia giusto?

Cosa può essere di più vero a quello che io stesso ti ho presentato?

Jahven - ... L’illusione è la tua verità. La mia è l’amore.

Le tue promesse, voce che urli nel deserto, non lambiscano il mio sentimento, perchè colui che prima di me parlò con le acque dei fiumi, non raccolse la tua testimonianza e non si rese sembianza di te, ma nascose nel suo cuore il lembo della mia veste e scacciò i demoni del deserto nel profondo dello stagno, dove acque pudrite e salmastre resero vano ogni tuo tentativo. Fu l’amore che salvò il suo canto e resero il suo occhio limpido come le acque.

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Vide il sentimento e la dolcezza sfogliare le pagine di un lontano ricordo. E fu amore! Ti amo demone della mia coscienza , perchè amarti mi rende resistente e se il mio nemico è più forte io lo amerò di più. Ama tuo fratello come ami te stesso, deponi nelle mani del tuo nemico la tua salvezza e se crederai in lui, lui ti salverà e non illuderti, ma credi nella tua gioia e abbi fede nella speranza.

Sàtàn - Guarda il tuo volto nelle mie pupille e vedrai me stesso riflesso in te, io sono come te e tu sei quello che non vuoi che sia. L’uomo non porta con se l’albero del suo sacrificio e non vuole penzolare sul tronco come una vecchia bandiera, ma desidera la ricchezza del mondo e con essa illudersi. Ed io sono quell’ illusione. E’ forse un peccato regalare la gioia a chi la chiede?

Jahven - No è l’amore per le cose che risvegliano il silenzio delle coscienze, ma la semplicità delle parole e delle cose semplici che destano il sole sulla linea sottile delle montagne. Se riesci a vedere il silenzio del tempo, sentirai il nuovo tempo che si sveglia all’ombra di quell’ albero che tu vuoi che sia tagliato. Come un fiore che risplende ai primi raggi del sole, espanderà il suo colore e con esso dipingerà ogni luogo e tutto sarà nuovo. La sua luce sarà conoscenza e infiammerà l’amore.

Sarà pienezza di beatitudine. Verrà il tempo quando non lo si aspetta, perchè è sparso sopra la terra e gli uomini non lo vedono.

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Massimo Innocenti
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Le Opere

Presentazione delle opere e degli artisti a cura di Silvia Ammavuta

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“ EVANGELIO: Ovvero la geometria della parola... “
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