Pineroloindialogo ottobre2015

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Anno 6, Ottobre 2015

I N D I A L O G O .it Indialogo . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 1 6 . 6 . 2 0 1 0 d e l Tr i b unale di Pinerolo - dir.Antonio Denanni

Pinerolo, avanti i 40enni! Doc.univ/23, Katia Martina: «A Pinerolo manca un’anima, un’identità»

Dibattito sul futuro di Pinerolo / 2

Dalle interviste ai docenti universitari: “Ricchezza e limiti del Pinerolese”


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

aumenta in italia il numero di librai itineranti

Librerie e biblioteche su ruote Sin da bambini ci hanno abituati a pensare la libreria come un luogo statico, una stanza circondata da scaffali pieni di libri, in cui andare per fare rifornimento delle ultime novità o dei grandi classici letterari. Il concetto di libreria è poi cambiato nel corso degli ultimi anni trasformandosi in salotto in cui leggere un libro sorseggiando una tazza di tè o in cui assistere a presentazioni e incontri con gli autori. Ma libreria è anche il luogo virtuale in cui acquistare e sfogliare ebook, confrontandosi in tempo reale con una community di appassionati ed esperti. A tutte queste definizioni se ne aggiunge una nuova, quella di libreria itinerante. Tanti sono gli ex librai e gli insegnanti in pensione che ad un certo punto hanno deciso di mettere le ruote alla propria passione e percorrere le province alla ricerca di nuovi lettori. Apevan, roulotte e furgoncini modificati per accogliere le mensole e scaffali, il serbatoio sempre pieno e il desiderio di coinvolgere lettori di ogni età. Antonio La Cava, ad esempio, una vita spesa come maestro elementare, da circa sedici anni gira per i paesini della Basilicata con il suo Bibliomotocarro con l’intento di avvicinare i bambini alla lettura. Distribuisce libri gratuitamente e organizza laboratori di animazione nelle scuole. Un progetto accolto e sostenuto anche dall’Anci Basilicata

(Associazione Nazionale Comuni Italiani) che ha contribuito a far conoscere l’iniziativa alle scuole delle varie province lucane. C’è poi la storia di Giovanni Lauritano, libraio siciliano che dopo aver lavorato anni in libreria ha deciso che era il momento di portare il suo lavoro all’esterno. Ha comprato una roulotte, l’ha attrezzata e l’ha trasformata in libreria ambulante. A quasi un anno dalla sua inaugurazione, la “Libertina libreria itinerante per ragazzi” ha percorso l’intera Sicilia e punta per il futuro a viaggiare anche nelle altre regioni italiane. L’intento di Giovanni non è solo quello di far scoprire il mondo della lettura a tutti ma in particolare di agevolare quei bambini affetti da disturbi visivi o dell’apprendimento proponendo libri di case editrici attente al problema. “LibriSottoCasa” è invece il progetto ambizioso di Luca Ambrogio Santini, definito il Don Chisciotte dei librai. Con il suo negozio itinerante sfida infatti i grandi del commercio online: ogni evento nei quartieri milanesi lo vede protagonista con la sua bancarella, proponendo libri diversi a seconda dell’iniziativa e mettendosi a disposizione con consigli e suggerimenti. Di storie come queste ce ne sono decine e leggerle fa tornare la speranza a chi crede che i libri siano i migliori amici che i bambini possano avere.

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33 Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Avanti i 40enni Il dibattito per il nuovo sindaco di Pinerolo è avviato, ma quello per rilanciare la città deve ancora partire. Sono 25 anni che la città è ferma, senza idea di cosa fare. Si è cercato sino a poco tempo fa di inseguire il sogno di “Pinerolo città della cavalleria”, un sogno che era più nostalgia dei tempi passati che reale spinta verso il futuro. Per fortuna il sogno si è finalmente spento, confinandolo tra le tante attività ludiche della città, riportando tutti alla cruda realtà. Ora si è in attesa di nuovi e più realistici progetti. Pinerolo ha bisogno di ripensare il suo futuro. È il momento delle sfide di lungo periodo andando alla ricerca di opportunità di sviluppo, con delle progettualità e delle prospettive lunghe come hanno fatto negli anni Sessanta/Settanta i giovani amministratori di allora, quando è stato pensato e poi realizzato in zona San Lazzaro il polo scolastico delle superiori, ancora oggi elemento attrattivo e qualificante della città. Quando Aurelio Bernardi nel 1965 è diventato sindaco aveva 38 anni e Maria Luisa Cosso, allora assessore ai servizi sociali, ne aveva 26. A ruota è poi seguito, dopo 10 anni da assessore, il quarantaduenne, Dario De Bernardi, che ha dato un piglio manageriale all’amministrazione. Certo l’età non è tutto, ma forse quegli anni ci dicono anche qualcosa! Urge per Pinerolo una progettualità (una-due idee!) verso la quale convogliare le energie e le persone giuste per portarla avanti: a nostro parere delle persone che hanno davanti a sè orizzonti lunghi, che la città che immaginano la vogliono vedere. Per il rilancio della città c’è bisogno di quarantenni carichi di energia e di progettualità, di persone oneste, capaci e generose, disposte a sacrificare un lustro della loro carriera lavorativa, consapevoli che investire per la comunità è pur sempre un investire su se stessi.

Antonio Denanni

PINEROLO / INDIALOGO.it .

Direttore Responsabile Antonio Denanni Collaborano: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Aurora Fusillo, Gabriella Bruzzone, Andrea Obiso, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Valentina Scaringella Con la partecipazione di Elvio Fassone photo: Giacomo Denanni, Andrea Costa, Lara Fantone Indialogo.it, Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 - Ed. Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - E-mail: redazione@pineroloindialogo.it STAMPA: Servizi Grafici, Bricherasio

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2 Buone News

librerie e biblioteche su ruote

4 Dibattito sul futuro di pinerolo/ 2

dalle interviste ai doc. univ. pinerolesi

9 Lettere al giornale

frugalità piccola virtù politica

10 Docenti universitari /23

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intervista a katia martina, chimica

Giovani & Storia

valdese, città nel nord carolina

Giovani & Lavoro

la passione per il lavoro manuale

Teatro

un vita per rappresentare il mondo

Storiae...

forse sto correndo troppo...

16 Uomini del Pinerolese andrea bruno alla mostra del cinema 18 Vita internazionale

accordi disaccordi

i without sun

19 Musica emergente 20

Visibili & Invisibili

azione urgente in arabia saudita i beni confiscati alla mafia

21 Tecnologia e innovazioni

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23

mindwalker

Cose dell’altro mondo

l’ingegnere che ripara le buche

Viaggiare

i lapponi ad abisko

Spazi Sonori

grande successo per i primi 2 concerti

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.pineroloindialogo.it/eventi http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


IN CITTÀ

Dibattito sul futuro di Pinerolo /2 A cura della Redazione

I 23 docenti universitari pinerolesi finora intervistati

Ricchezza e limiti del Pinerolese

Nel Pinerolese ci sono una cinquantina di docenti universitari, tra attivi e in pensione, una ricchezza culturale poco conosciuta (pure tra loro non si conoscono) e valorizzata. Noi ne abbiamo intervistati finora 23. Pubblichiamo alcuni estratti inerenti la città GIANNI LOSANO, Fisiologia Lei è stato per anni consigliere comunale. Qual è il rapporto del mondo politico pinerolese con il mondo universitario? Il rapporto è praticamente inesistente. Perché l’università a Pinerolo non è decollata? Perché è mancata la volontà di fare qualcosa di diverso. Quando è nata l’idea di un insediamento universitario non era quella di aggiungere un’altra sede distaccata, solo per ragioni campanilistiche, bensì di fare a Pinerolo un centro di ricerca avanzata nella Pubblica Amministrazione. Ai tempi ce ne erano poche ma purtroppo non si è portata avanti l’idea ed è stata soppiantata dalla pur più giovane scuola di Amministrazione Aziendale di Torino in via Ventimiglia... Per rilanciare il territorio servono idee e soldi. Lei vedrebbe bene un bando per un concorso di idee? A me sembra che oggi ci sia una carenza di idee… e per il bando dipende da chi lo valuta! E poi occorre che chi progetta sia competente... (Gianni Losano, Pinerolo Indialogo, Gennaio 2013) _______________________________________ ANDREA BALBO, Lingua e letteratura latina Che cosa le piace e che cosa la indigna di questa città? Io sono nato a Pinerolo e mi piace viverci: è una città a misura d’uomo, che permette alle famiglie di far crescere serenamente i figli e ai pensionati di trascorrere l’esistenza in modo tranquillo. Tuttavia, un po’ paradossalmente, queste caratteristiche tendono a trasformarsi in difetti e a generare immobilismo e poca dinamicità tanto nel mondo politico quanto in quello imprenditoriale. La città non deve correre il rischio di diventare un dormitorio di qualità di Torino. Pinerolo è una città ricca o povera di fermenti culturali? Incredibilmente ricca: molti spettacoli teatrali, concerti di buon livello, conferenze, presentazioni librarie, moltissime associazioni che lavorano con impegno e con abnegazione pur nelle difficoltà congiuntura-

li, un’ottima biblioteca comunale. Tuttavia, questa ricchezza passa troppo spesso inosservata: ci sono indubbiamente difetti di comunicazione e il Comune dovrebbe sforzarsi di provare a redigere un calendario che possa evitare la collocazione di due o più attività negli stessi giorni e nelle stesse ore. Invece, una proposta alla classe politica per questa città in declino? Pinerolo ha indubbiamente bisogno di una sterzata e chi è chiamato a responsabilità politiche non può trascurare la necessità di coinvolgere la cittadinanza in un impegno comune. L’amministrazione comunale deve dare prova di vitalità, deve produrre idee, deve deliberare, agire, mentre troppo spesso dà l’impressione di essere immobile. Bisogna ragionare su una città che sia al contempo faro del territorio e ponte tra Francia e Italia, in cui le risorse culturali vengano valorizzate da una politica di investimenti e da un ricorso a tappeto ai finanziamenti europei, che troppo sovente vengono completamente trascurati per insipienza o distrazione. Anche dal punto di vista turistico molto si potrebbe fare. (Andrea Balbo, Pinerolo Indialogo, Febbraio 2013) _____________________________________________ GIANLUCA AIMARETTI, Endocrinologia e malattie del metabolismo Il rapporto del mondo politico pinerolese con quello universitario, ci ha detto il prof. Losano, è nullo. Concorda? Questa indifferenza a cosa può essere dovuta? I rapporti per loro natura prevedono uno scambio reciproco. Il mondo politico pinerolese potrebbe rivolgere la stessa accusa a quello universitario. Inoltre, il mondo universitario pinerolese non si è mai organizzato, incontrato, conosciuto per condividere con la cittadinanza la propria esperienza. Per avere un arricchimento reciproco, per condividere qualcosa con l’amministrazione della città, con la città nel suo complesso, attendere una chiamata è inutile e, lasciatemelo dire, anche presuntuoso e snob. Il mondo universitario pinerolese dia la propria disponibilità, metta a frutto le proprie reti di rapporti e conoscenze e la città ne trarrà di certo beneficio.

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A. De Rossi: «La vera specificità e ricchezza del Pinerolese sta nella qualità diffusa del suo paesaggio»5 Ha qualche suggerimento in proposito e che contributo potrebbero dare i 30 e più docenti universitari che vi risiedono? Dal mio punto di vista, il primo contributo che il mondo accademico potrebbe dare sarebbe quello di mettere a disposizione del territorio e delle sue istituzioni, la propria rete di conoscenze, rapporti, amicizie. Lavorare nell’università può dare molteplici opportunità di collaborazioni che possono diventare utili e sfruttabili per il territorio. Da conoscenze e incontri nascono idee, progetti, occasioni, ricerche. Per il mio background lavorativo penserei di sviluppare a Pinerolo un percorso culturale e di ricerca del “vivere sano”: cibo, movimento fisico adeguato, educazione alimentare. La decadenza del pinerolese è solo dovuta alla generale crisi economica che stiamo vivendo o è mancata in questi anni una lungimiranza della classe politica pinerolese? Penso entrambe le cose. La crisi economica ci ha colti impreparati perché chi guidava il territorio ha fatto fatica a leggere la realtà in cambiamento. Se facessimo più “lobby” culturale e di analisi, lavorando in gruppo e non in entità separate potremmo porre un argine a questo Quanto è importante a suo parere un collegamento ferroviario veloce ed efficiente con Torino? Sarebbe importantissimo, ecologico ed economico e semplificherebbe di molto la vita di molti pendolari. Un grosso passo avanti nella rapidità delle comunicazioni vi è già stato con l’autostrada. Il momento economico rende però quest’opera di difficile realizzazione. (G.Aimaretti, Pinerolo Indialogo, Marzo 2013) _____________________________________________ ANTONIO DE ROSSI, Progettazione architettonica, Politecnico Quali criteri dovrebbe rispettare un buon piano regolatore? Oggi credo che il tema del “riciclo” sia prioritario e non rinviabile anche in urbanistica. Ma servono delle politiche nazionali. Il contenimento dell’uso dei suoli non è cosa che si possa fare da soli, altrimenti gli investitori andranno altrove. Inoltre, gli attori pubblici dovrebbero dotarsi di competenze per indirizzare in senso qualitativo i progetti di trasformazione. Inutile dire che si vuole puntare sul turismo, se poi la qualità del paesaggio è bassa. Più urbanità, meno urbanizzazioni. Dal punto di vista urbanistico come vede la città di Pinerolo? Che cosa le piace e cosa la indigna? Di Pinerolo amo la forma urbis, il rapporto storico tra la geomorfologia del sito e l’insediamento. Quello che dovrebbe migliorare è la capacità degli odierni progetti di trasformazione di diventare occasione di riqualificazione per l’intera città. Sovente restano

dei frammenti separati dall’intorno che non incidono sull’insieme, che non fanno città. Si veda ad esempio il tema degli insediamenti commerciali. Serve un disegno complessivo, una strategia, a cui ricondurre i singoli episodi. Il centro storico di Pinerolo è da anni al centro di un dibattito relativo alla sua valorizzazione. Ha qualche consiglio? Non conosco la vicenda dall’interno, e quindi rischio di dire cose superficiali. Ovviamente trovo il centro storico, con le sue stratificazioni medievali, barocche e ottocentesche, assolutamente straordinario. Certo che la vicenda del Palazzo dei Principi d’Acaja mi pare emblematica e riassuntiva di una difficoltà, che non è solo di Pinerolo ma di tutto il Pinerolese, di costruire un progetto d’insieme di valorizzazione dei beni culturali. Cosa che invece sta avvenendo in Valle di Susa. E mi colpisce come la riqualificazione e pedonalizzazione di corso Italia a Saluzzo si sia risolta in uno straordinario successo di pubblico e del commercio locale: nelle sere d’estate non si riesce neanche a camminare, dalla gente che c’è. Che contributo potrebbe dare una disciplina come la sua nel rilancio del territorio pinerolese? Aiutare a mettere a punto un’idea di sviluppo armonico del territorio, che significa non perdere di vista la qualità d’insieme del paesaggio (ossia un mix di insediamenti storici, spazi agricoli e naturali, nuove strutture di alta qualità architettonica) quando si fanno delle trasformazioni. Spesso infatti si dimentica come la vera specificità e ricchezza del Pinerolese, nonché la ragione del suo successo come luogo dell’abitare, stia nella qualità diffusa del suo paesaggio, anche in assenza di grandi monumenti artistici. (Antonio De Rossi, Pinerolo Indialogo, Aprile 2013) _______________________________________________ GRADO MERLO, Storia del Cristianesimo Lei è tra i docenti universitari pinerolesi che più ha frequentato il mondo culturale della città. Com’è la città da questo punto di vista? Purtroppo da qualche tempo non ho contatti organici con il mondo culturale pinerolese; ma credo che vi sia molto interesse per la cultura con iniziative interessanti quali i “pensieri in piazza”, la presentazione di libri, gli spettacoli teatrali e musicali, e così via [...] Dal punto di vista politico viene valorizzata questa ricchezza culturale? Che contributi vi potrebbero essere, in particolare da parte di quei docenti universitari che vi risiedono? Sinceramente non lo so, ma l’orizzonte politico, a Pinerolo come altrove, non è molto luminoso. I docenti universitari che risiedono a Pinerolo non hanno voluto o non hanno ancora trovato modo di offrire il proprio contributo alla città. Danno il loro contributo


IN CITTÀ

Dalle interviste di Pinerolo Indialogo ai docenti universitari 6

altrove, non diversamente dagli altri Pinerolesi che lavorano “fuori casa”. Pare, per esempio, che un Pinerolese sia tra gli alti dirigenti dell’Inter, ma il Pinerolo F.C. fa quello che può. Il paragone vale anche per altri settori. Dovendo attribuire a Pinerolo un titolo: tra “città della cavalleria” e “città degli Acaja”, quale sceglierebbe? Qual è a suo parere quello più carico di futuro? Io preferirei attribuire a Pinerolo il titolo deamicisiano di “città alle porte d’Italia”: dentro possiamo mettere quello che vogliamo, compresi i moti del 1821 e la Società operaia del 1848. La Pinerolo del passato, centro politico-culturale e dei servizi del territorio, la conosciamo. Quella del futuro le sembra che si stia delineando o siamo prigionieri di un provincialismo autosufficiente, per una realtà che non c’è più? Pinerolo è una cittadina adatta a chi sa guardare la bellezza delle montagne, che la circondano, e sa camminare o correre sulle colline o nelle campagne. L’orgoglio della “provincia” è di essere consapevoli dei propri limiti e di sapere quale contributo è stato dato e potrà essere dato alla vita di tutti. Ricordiamoci di Luigi Facta, ultimo capo di governo prima della dittatura, e di Ferruccio Parri, primo capo di governo del dopoguerra. Dalla prospettiva di storico del cristianesimo che cosa valorizzare in questa città? La dimensione europea e l’unicità della presenza valdese nel corso dei secoli. Su un altro piano, valorizzerei il patrimonio librario e lo spazio della Biblioteca Civica, trovando una nuova collocazione edilizia finalmente adeguata. (Grado Merlo, Pinerolo Indialogo, Maggio 2013) ______________________________________________ ROBERTO BURLANDO, Economia politica Come si muove il Pinerolese all’interno della crisi mondiale? Complessivamente mi appare troppo statico e come tale subisce le decisioni prese altrove. Come dicevo in precedenza, per tutte le realtà in qualche modo “periferiche” si tratta di ripensare il rapporto locale–globale. [Attenzione però che anche Torino sta diventando una sorta di grande periferia che sembra voler sopravvivere assorbendo le risorse del territorio intorno a sé...]. Da un lato le logiche della globalizzazione e della competitività mondiale impongono spesso scelte e cambiamenti che possono essere devastanti ed allo stesso tempo avere orizzonti molto limitati e che devono essere evitate, anche se paiono attraenti sul breve periodo, e opportunità meno “precarie” e più in linea con la vocazione del territorio, che vanno

invece non solo accolte ma attivamente cercate. Dall’altro i territori devono investire in progetti che proiettino nel futuro le capacità e le risorse che ciascuno di essi possiede. Ad esempio, il vostro giornale ha più volte messo in dubbio le proiezioni future del progetto “cavallo” voluto dall’attuale amministrazione pinerolese, sottolineandone le caratteristiche di sguardo più orientato ad un (ancorchè glorioso) passato che a possibili futuri di concrete occupazione e sviluppo. Certo questo territorio ha una importante vocazione agricola ed artigianale di qualità ed io credo che queste, anche nelle piccole dimensioni delle imprese che ne costituiscono l’ossatura, siano ricchezze da valorizzare. I docenti universitari che vivono a Pinerolo e nel circondario che contributo possono dare? Credo costituiscano un potenziale di idee e compentenze scarsamente utilizzato. Potrebbero essere un primo nucleo di un gruppo più ampio, almeno inizialmente informale (potreste proporne voi, grazie alla conoscenza che ne avete ed al ruolo positivo che svolgete, la convocazione) ma che potrebbe poi eventualmente assumere anche un ruolo un poco più ufficiale (ma mai troppo), attorno al quale si concentrano competenze diverse che convergono nel discutere, e auspicabilmente proporre, idee e progetti per il territorio nel quale tutti noi viviamo. Da economista come vede il centro storico di Pinerolo? Può essere un volano di tipo economico? Ritorno sulla domanda chiedendo cosa intendete con “centro storico”. I negozi e le attività presenti in quell’ambito, certamente elegante e godibile, o anche altro? A me pare che difficilmente i negozi per conto loro possano costituire un forte volano economico (negli ultimi decenni hanno cercato di esserlo i centri commerciali posti sempre più nelle periferie o addirittura le “città” dedicate a negozi specializzati in alcuni tipi di prodotti, ancor più delocalizzate per godere di altri vantaggi). Possono però costituire un elemento certo positivo e di “risveglio” di un clima cittadino e richiamare ad un centro di incontro, di relazioni e di scambi. Il centro però potrebbe anche essere un elemento propulsore di idee e progetti, se delle attività così orientate trovassero concretezza e decidessero di risiedervi.(Roberto Burlando, Pinerolo Indialogo, Giugno 2013) ______________________________________________ MARCO GRANGETTO, Informatica , Unito Come vive la città? Qual è secondo lei un suo punto di forza e all’opposto una sua debolezza? Sono nato e vivo a Pinerolo ed è lunga la lista delle caratteristiche della città che apprezzo: una solida identità culturale,


G.Losano: «Tra mondo politico pinerolese e il mondo universitario il rapporto è praticamente inesistente»7 una ricca offerta di occasioni formative per la crescita dei propri figli, un contesto ambientale sano e la vicinanza delle amate valli alpine. Da pendolare verso Torino la prima debolezza che appare evidente è la carenza del trasporto pubblico locale che non ha ottenuto significativi miglioramenti negli ultimi 20 anni. L’ultima conquista è stata l’introduzione del servizio ferroviario metropolitano che collega la città con Chivasso con treni più frequenti ma in fisiologico ritardo sul nostro binario unico. Spicca inoltre l’assenza di un servizio notturno almeno nel fine settimana. Appare anche evidente una mancata pianificazione con il trasporto su gomma, i cui orari sono stati sapientemente sincronizzati con quelli dei treni in modo da non costituire una vera alternativa. Un’altra debolezza manifesta è una certa tendenza al gusto del parziale e dell’imperfetto nella realizzazione di molti progetti potenzialmente molto importanti per la città: il recente parco olimpico piuttosto degradato dal punto di vista dell’arredo urbano, piste ciclabili a macchia di leopardo, la discussa sostenibilità delle strutture costruite presso la ex caserma Botta. Una proposta alla classe politica di questa città in declino? Il paese sta attraversando un periodo molto critico con una caduta senza precedenti della consapevolezza dell’importanza della rappresentanza politica. Mi sembra una proposta ambiziosa individuare come prima priorità di ogni azione politica locale il maggior coinvolgimento possibile dei cittadini: svegliare i cittadini prima di ritrovarsi in una città “dormitorio”. Occorre fare squadra per salvaguardare i pilastri essenziali (lavoro, servizi e offerta culturale), che si concretizzano nella difesa e valorizzazione dei nostri ospedali, delle nostre scuole, del teatro, del tribunale. Marco Grangetto, Pinerolo Indialogo, Luglio 2013) _______________________________________________ VALENTINA PAZÈ, Filosofia politica Veniamo alla sua città natale, Pinerolo. Che cosa le piace e che cosa la indigna? Guardando Pinerolo dalla grande città le sembra che siamo “ammalati” di provincialismo o di localismo come sostengono alcuni? Lavorando a Torino, e vivendo a Pinerolo, non ho la sensazione che quest’ultima sia particolarmente provinciale. Di Pinerolo apprezzo la ricca offerta ricreativo-culturale dedicata ai più piccoli (come il festival del teatro di figura e le altre iniziative promosse dal Teatro del Lavoro e da Nonsoloteatro). Mi indignano i tagli ai servizi sociali, come le mense scolastiche, dove il personale che va in malattia o in pensione non viene più sostituito e la mensa fresca lascia il posto ai pasti “veicolati”. Ma so naturalmente che si tratta di scelte che non dipendono solo

dall’amministrazione locale. Queste interviste sono nate per dar voce ai docenti universitari presenti nel territorio (una trentina). Ha qualche proposta per valorizzare questa ricchezza intellettuale? Non saprei… ma per fortuna c’è vivacità e “ricchezza intellettuale” anche al di fuori dell’accademia (e spesso di più)! Noi di Pinerolo Indialogo abbiamo individuato tre nodi strategici o punti critici della nostra città: il collegamento ferroviario veloce con Torino, la valorizzazione del centro storico e la banda larga. Di questi secondo lei qual è il prioritario? Mi sembrano tutti e tre rilevanti, ma, da pendolare, direi il collegamento ferroviario. Un treno che raggiunga Torino in tempi ragionevoli (e certi!) significa meno auto in circolazione, meno inquinamento, una migliore qualità della vita. Ce ne sarebbe davvero bisogno. (Valentina Pazè, Pinerolo Indialogo, Settembre 2013) _______________________________________________ ENRICO COMBA, Antropologia culturale Veniamo alla sua città natale, Pinerolo. Ora lei da un po’ di anni vive a Torino: guardando la nostra città con un po’ di distacco, come la vede? Provinciale, in decadenza... o come? Non saprei, certo la città offre una maggiore varietà di attività, di occasioni, di stimoli intellettuali. D’altra parte, il piccolo centro è anche il luogo dove le relazioni interpersonali, di amicizia, di vicinato, risultano più intense, più appaganti; relazioni che in grande misura ho perduto in questi anni di lontananza (relativa). La vita in città è più anonima e dispersa. Che cosa le piace e che cosa la indigna di questa nostra città? Credo che in estrema sintesi potrei dire che di Pinerolo mi piace la capacità di creare centri di attività intellettuali, gruppi di volontari che operano in maniera incredibile e ammirevole, grandi risorse in termini umani e culturali; l’aspetto deprimente è soprattutto legato alle istituzioni pubbliche, all’incapacità delle amministrazioni di saper rispondere a questa ricchezza e vivacità di stimoli se non con iniziative demagogiche o limitate a qualche interesse economico di bassa levatura. Sembra che la parata della Maschera di Ferro e una bella cena conclusiva sia tutto quello che la città può offrire ai suoi cittadini e ai visitatori... è un po’ poco! Qualche idea da proporre alla classe politica della nostra città? In linea con quanto detto sopra, direi: costruire una seria politica culturale per la città, osservare


IN CITTÀ G.Merlo «Più di “città della cavalleria” è meglio il titolo deamicisiano “città alle porte d’Italia”8 quali forze esistono e quali risorse sono già presenti e sforzarsi di creare un progetto culturale da lasciare come patrimonio alle generazioni che verranno. (Enrico Comba, Pinerolo Indialogo, Ottobre 2013) _______________________________________________ ANGELO TARTAGLIA, Fisica,Polito Il Pinerolese. Guardando questo territorio col distacco del torinese, come lo vede? È un’area poliedrica che conserva i segni di una storia ricca di apporti molto diversi. Un territorio di frontiera tra ducato di Savoia, marchesato di Saluzzo e monarchia francese; tradizioni religiose cattoliche e valdesi; apporti linguistici franco-provenzali e occitani; conformazione, e quindi cultura materiale, montana, ma anche di pianura. Una quantità di elementi che costituiscono una ricchezza di cui a volte gli stessi abitanti odierni non sono consapevoli. E la città di Pinerolo? Pinerolo è a pieno titolo capoluogo di un territorio come quello che ho sommariamente delineato nella risposta precedente. Per la sua posizione geografica e per la sua storia è il punto di convergenza naturale delle diversità e ricchezze del territorio. Vi vede qualche potenzialità o caratteristica non valorizzata? Penso sia al tessuto industriale, che si sta in larga misura deteriorando, che all’agricoltura sempre più marginalizzata. In futuro molte cose cambieranno e meglio sarebbe cambiare governando le trasformazioni: qui saranno fondamentali saperi che ancora ci sono ma che debbono essere orientati verso finalità diverse da quelle del passato. Queste interviste sono nate per dare visibilità ai docenti universitari del Pinerolese, ma anche per cogliere qualche idea o spunto per questo territorio in declino. Che contributo potrebbe dare questa forza culturale? Ha qualche proposta? Come ho già detto nel futuro occorrerà (e siamo già molto in ritardo) riorganizzarci per vivere con le risorse rinnovabili del pianeta e del territorio. Tutto questo richiederà molta più scienza e anche tecnologia di quanta se ne utilizzi oggi. L’impresa dovrà rivolgersi allo sviluppo di idee e soluzioni per la sostenibilità e per la qualità. Un alto livello di competenza, non ingabbiata nella vecchia e perdente logica della competizione, è fondamentale. In una competizione vince il più forte (uno) e perdono i più deboli (molti) e le loro risorse vengono abbandonate o distrutte; il declino generale non viene arrestato. Se invece i diversi talenti si associano e si integrano, si possono ottenere risultati positivi a vantaggio di tutti. Per una società giusta e sostenibile bisogna far lavorare insieme ingegneri, fisici, biologi, architetti, umanisti e, perché no, poeti. In una battuta emblematica di ciò che ci serve nel futuro: non si può

essere buoni ingegneri senza sapere il latino. In ogni caso l’investimento più importante e vitale di cui c’è bisogno è quello in cultura. (Angelo Tartaglia, Pinerolo Indialogo, Novembre 2013) _________________________________________________ SERGIO SANTIANO, Architettura Parliamo di Pinerolo: qual è la cosa che più la indigna e quella invece che apprezza di più? I miei “cahiers de doléances” sarebbero troppi e prenderebbero troppo spazio; esprimo solo due delle cose che mi causano rammarico: la soppressione della linea ferroviaria per Torre Pellice; anche qui si dimentica sia il “servizio pubblico”, sia il pazzesco incremento del trasporto su gomma. Un altro rammarico, più piccino, ma non meno importante consiste nel fatto che l’Amministrazione Comunale non risponde alle lettere dei cittadini; in risposta pare che si ricevano solo lettere dall’Ufficio Tributi. Altro rammarico lo provo quando vengo colto dall’impressione (solo una vaga impressione) che qualcuno, all’interno dell’Amministrazione, sia più affezionato a quella che i tedeschi chiamano Shadenfreude (il piacere di veder fallire progetti non proposti da loro), che non impegnarsi a fondo per consentire la realizzazione di progetti certificati come validi. La cosa che apprezzo di più? Il suono delle campane, le “Potenti e dolci voci del Cielo...” di Goethe. In città e in tutto il territorio si avverte il bisogno di grandi idee (soprattutto servono all’amministrazione) per dare un’identità, una specie di appiglio su cui progettare. Lei ne ha qualcuna da proporre? Le “grandi idee” sono necessarie, ma trovo più efficace affiancarle a tante “piccole idee” di qualità. Non solo ho una “grande-piccola” idea da proporre, ma ho lavorato, con l’Associazione “Koiné” - di cui si è molto parlato nella stampa locale e nazionale - per circa 15 mesi alla realizzazione della mostra “EQUUS, il cavallo nella storia dell’arte”... Parlare di pinerolese ha ancora senso? Non trova che sia una definizione che non rispecchia la realtà fattuale di un territorio in crisi che non gravita più come in passato su questa città e che invece bisognerebbe ragionare (pensare e progettare) perlomeno usando il binomio pinerolese-torinese? Penso proprio di sì. Per concludere un giudizio sul nostro centro storico e sulle sue potenzialità turistico-culturali. A percorrere il centro storico viene il magone nel vederlo svuotato da ogni tipo di attività. Ho ascoltato le dichiarazioni del sindaco sulla sua rivitalizzazione, e se fossero mantenute verrebbe senz’altro potenziato anche il turismo. (Sergio Santiano), Pinerolo Indialogo, Dicembre 2013) 1/ Continua


PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

Frugalità, piccola virtù politica Quadro n. 1. Qualche tempo fa uscì, ed ebbe poco risalto, un libro (Legrenzi, Frugalità, ed. Il Mulino) che assume oggi particolare importanza, alla luce degli sconvolgimenti in atto dovuti sia alle grandi migrazioni sia agli allarmi climatici, che oggi occupano i nostri pensieri. Spiegava l’Autore che frugalità non è povertà, perché questa è una costrizione, mentre quella è una libera scelta. Frugalità non è neppure avarizia, perché alla povertà siamo costretti dalle circostanze, all’avarizia dalle nostre ossessioni. E nemmeno è una decisione di risparmio, perché questa è finalizzata all’acquisto di beni in futuro, od a contrastare l’incertezza del domani, mentre la frugalità non ha altro scopo che se stessa. Un tempo - dice l’Autore, ricordando uno stile che sembra del tutto scomparso chi faceva scelte frugali neppure si accorgeva di farle, semplicemente perché gli sembrava ovvio vivere così. Era un abito mentale che considerava naturale evitare lo spreco, utilizzare bene l’esistente e non acquisire più di quanto è necessario. Chi vive al di sotto del consumo che la sua condizione gli permetterebbe, costruisce una difesa preventiva che gli consente di accogliere senza traumi una condizione meno florida di quella attuale. In altre parole la frugalità, come relazione spontanea con i beni prima che come fenomeno economico, è una difesa preventiva che ci rende meno vulnerabili ai rovesci della sorte, e ci fa più adattabili a scenari in rapido mutamento (fra i quali indubbiamente viviamo). Quadro n. 2. Le grandi migrazioni in atto stanno squassando l’Europa e non solo quella. Sono milioni di persone che entrano ed entreranno nelle nostre compagini sociali e le rivolgeranno; sono afflussi che dureranno per anni e che non potranno essere arrestati, solo (forse) attenuati se riusciremo ad inaridirne le cause. Anche se si riuscirà a bonificare almeno in parte la situazione in Siria, in Libia, in Eritrea, c’è un intero continente e oltre che non accetta più la sua condizione sub-umana e che ha scoperto la mobilità come indispensabile rimedio. Ad onta dei catastrofismi, questo fenomeno

ha già prodotto un piccolo prodigio: l’Europa detestata, l’Europa del rigore e dei bilanci in ordine, l’Europa prossima a spegnersi a causa delle sue rigidità ed atonie, è stata miracolata proprio da questa apocalisse, simboleggiata dall’immagine del piccolo Aylan dal golfino rosso annegato sulla battigia di Bodrum. L’Europa della quale avevamo perso il senso e l’attrazione ha avuto un soprassalto di dignità ed ha evitato l’asfissia politica proprio grazie a questa inondazione che appariva disastrosa. Perfino le rodomontate dei vari Salvini, Le Pen, Orbàn & c., che minacciavano di squassare il continente e tramutarlo in una fortezza odiosa, hanno dovuto prendere atto che le grandi maree dell’umanità non si fermano con le invettive e nemmeno con i muri. Grazie a quegli spettacoli drammatici siamo diventati un po’ più umani, noi e la nostra politica. Il Quadro n. 3 è la somma dei primi due. Avremo milioni di persone in più alle quali destinare accoglienza e servizi; avremo miliardi di euro in meno nei nostri bilanci, da dedicare sia alla “bonifica” delle terre di provenienza, per prosciugare almeno in parte le cause degli esodi, sia alla nostra organizzazione interna, che dovrà reggere il peso dell’aumento dei servizi e quello della creazione (attraverso la mano pubblica) di nuove opportunità di lavoro per tutti. O si va al collasso ed al caos, o si acconsente a scremare un po’ del grasso che destiniamo al nostro stile iper-consumistico, e lo si destina a sostenere questa nuova pagina della storia, che si appresta ad imporci quello che il senso di equità e di eguaglianza avrebbe dovuto suggerirci di per sé. Non si tratta di tornare a rivoltare tre volte il cappotto, come si faceva in tempo di guerra: basta giocare all’astronave, e chiederci quali sono le cento cose, e solo quelle, che potremmo portare sul veicolo. Scopriremmo che ne abbiamo altre mille delle quali possiamo fare a meno senza grave sacrificio. La frugalità, appunto, come virtù politica.

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Città & Università /23

10 10 a cura di Antonio Denanni

Intervista a Katia Martina, chimica

«A Pinerolo manca un’anima, un’identità» Questo differenzia il ricordo di ciò che ho vissuto in Val Pellice da quello che sto vivendo ora Ci parla di sè, del suo lavoro e delle sue competenze in ambito universitario? Sono nata nel 1973 a Luserna San Giovanni. Ho origini semplici e sono la se-condogenita di tre figli. Sono cresciuta imparando il valore del rispetto reciproco, della comunicazione e della curiosità. La mia famiglia ha fatto grandi sacrifici per permettermi di studiare e fare esperienze diverse e non posso che essere loro grata. Mi sono laureata in Chimica e Tecnologie Farmaceutiche nel 1998 ed il giorno della laurea l’idea che potessi rimanere nella mia Università non mi sfiorava neppure lontanamente. Ho svolto lo studio della tesi presso il centro ricerche Pharmacia & Upjohn di Nerviano (MI) che mi ha assunto un mese prima della laurea. Sono ritornata all’università 7 anni dopo, con il bagaglio di anni di esperienza in un ricco centro ricerche internazionale. Oggi sono ricercatrice in Chimica Organica nello stesso Dipartimento in cui mi sono laureata; sono sposata, ho 2 figli di 8 e 5 anni e vivo a Pinerolo. Di che cosa si occupa primariamente la sua disciplina? La chimica organica è un settore ampio che si occupa di sintesi di molecole e di studi di processi sintetici. Nel nostro laboratorio ci occupiamo di chimica sostenibile. Vengono studiati processi che riducano il più possibile il consumo di energia, la produzione di sottoprodotti, l’utilizzo di sostanze velenose e l’uso di solventi. Questi principi vengono

applicati in ambiti diversi e recentemente ci siamo occupati dell’ottimizzazione della sintesi della vitamina E, della valorizzazione dei prodotti di scarto derivanti dalla lavorazione della patata, dell’estrazione di antiossidanti dalla mirra o dai tralci di uva, della produzione di nanoparticelle per il trasporto ed il rilascio di farmaci. Quanto la chimica ha contribuito al progresso della società? Questa domanda mi ricorda il racconto di una mia collega che decise di percorrere la strada dell’insegnamento nella scuola superiore. Alla sua prima supplenza si preparò una lezione sui derivati del benzene, parlò per 1 ora, in adorazione con la sensazione che avrebbe potuto continuare senza sosta. La interrompe uno studente: ”Prof ma a cosa serve la chimica?” lei balbettò, cadde sulla domanda che le risultava essere la più semplice di tutte. Comprendere i concetti della chimica è come vedere le cose con un microscopio che le osserva a livello molecolare. La chimica è ovunque, poiché studia i componenti di ogni materiale. Potrei dire che la matematica, la fisica e la chimica sono discipline di base da cui dipendono le evoluzioni del mondo antico e moderno. C’è chimica nelle tecniche di imbalsamazione dei tempi antichi come oggi nella scelta degli elementi con cui si progettano computer sempre più piccoli ed efficienti. Ma anche quanti danni e preoccupazioni ha creato, a incominciare dall’ambiente... L’ambiente risente dell’ingordigia e dell’avidità umana. Il lavoro di laboratorio


«Come ogni disciplina, la chimica richiede conoscenza prima e buon senso poi» così come la produzione industriale possono essere affrontati con attenzione e consapevolezza o con scelleratezza e sufficienza. Come ogni disciplina, la chimica richiede conoscenza prima e buon senso poi. Oggi si deve fare tutti un passo indietro. I chimici dovranno rivalutare i processi di produzione industriale in un’ottica di sostenibilità e dovranno aiutare il sistema Terra a sopportare una richiesta sempre più ingente di cibo e carburante; sarà indispensabile inoltre porsi il problema dell’aumento di produzione di anidride carbonica. Parliamo di chimica e politica: quali sono le principali richieste del settore? Partiamo dalle scuole: in Italia la chimica viene insegnata poco. Il livello dei nostri studenti nelle scuole superiori è decisamente più basso di altri paesi europei, Stati Uniti, Cina e Giappone. Occorre insegnarla di più per ottenere una maggiore consapevolezza. Lei pur abitando a Pinerolo, è originaria della Val Pellice: ci racconta? Sono nata a Luserna San Giovanni: mamma valdese e papà cattolico. Sono cresciuta frequentando l’ambiente valdese. Sicuramente la Val Pellice mi ha condizionata, così come la mia educazione religiosa. Tolleranza verso gli altri, senso di responsabilità e valorizzazione dello studio mi sono state insegnate dalla comunità che avevo intorno. Di Pinerolo, che cosa le piace e che cosa non le piace o la disturba? A Pinerolo manca un’anima, un’identità. Questo differenzia il ricordo di ciò che ho vissuto in Val Pellice da quello che sto vivendo ora. Pinerolo ha la grande fortuna di trovarsi alla confluenza di due valli, vicino a Torino pur non essendo nella cintura della città. Forse ai pinerolesi manca il senso di

appartenenza, a partire dall’amministrazione comunale che non è avvertito come luogo di promozione né di proposta. Per via del suo lavoro lei fa la pendolare con Torino. Quanto è importante il collegamento ferroviario veloce per il rilancio di questa nostra città in crisi? Vado al lavoro in macchina. Essendo madre di due figli non posso permettermi di aspettare treni che non arrivano o farmi aspettare dai miei famigliari. Inquino molto e spendo molto. Per me, come per tutti i pendolari, essere a 40 Km scarsi dal posto di lavoro e pensare che con i mezzi non è sufficiente 1 ora di viaggio causa sconforto. Chiedere un servizio migliore sembra scontato ma forse realizzarlo non è semplice. Concludiamo con una sua nota personale. Sappiamo della sua appartenenza a un gruppo di coppie interconfessionali. Ce ne parla? Come i miei genitori, anch’io faccio parte di una coppia interconfessionale. Io valdese, Patrik cattolico. I nostri figli sono stati battezzati in chiesa valdese ma frequentano anche quella cattolica. Ognuno di noi insegna ai ragazzi ciò che conosce meglio e che può condividere. E’ evidente che oggi il numero di coppie interconfessionali è in crescita ed è un’esigenza creare nuovi modelli educativi. La scelta di far parte di un gruppo di genitori interconfessionali parte da questo principio: sebbene le due chiese cerchino una mediazione su vari fronti non si è ancora trovata una soluzione per un’educazione religiosa ecumenica. Noi per il momento ci limitiamo a dare ai nostri figli i mezzi per scegliere consapevolmente. Anche se Federico ogni tanto è confuso, gli lasciamo tutto il tempo per capire: sono i valori quelli che contano.

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Giovani&Storia Città

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di Nadia Fenoglio

Storie di emigrazione

Valdese, città del North Carolina Dalle Valli valdesi alla fondazione di una città negli Stati Uniti

Oggi l’emigrazione è un dramma che si consuma in lingue lontane e sconosciute. Attraversa l’Europa intera, sfida le tempeste del mare, l’arsura del deserto, vecchi muri ideologici e nuovi muri di cemento. Ma l’Europa - meta dei migranti in fuga da guerre, miseria, fame - e l’Italia in particolare conobbero in passato il fenomeno dell’emigrazione: soltanto nell’ultimo v e n t e n n i o dell’Ottocento più di due milioni di persone lasciarono definitivamente la penisola, contribuendo in modo significativo allo sviluppo socio-economico e all’attività scientifica e culturale dei Paesi di emigrazione. Quando un viaggio in America costava cento lire e i migranti erano i nostri bisnonni, dalle valli del Pinerolese partì un piccolo gruppo di valdesi che nel 1893 raggiunse la costa atlantica degli Stati Uniti. In una valle del North Carolina, governata da un clima pedemontano simile a quello conosciuto in Piemonte, fondarono una nuova città, baluardo della propria identità e fede religiosa: Valdese. Spinti ad abbandonare le valli pinerolesi per mancanza di terra coltivabile, centinaia di altri valdesi raggiunsero oltreoceano i fondatori di Valdese, dove trovarono maggiori spazi da destinare all’agricoltura e dove ebbero la possibilità di sviluppare un’importante attività manifatturiera per il territorio circostante. La comunità destinò i primi fondi alla costruzione del tempio, eretto tra il 1897 e il 1899, e intrecciò i

rapporti con le altre Chiese protestanti americane. La Chiesa Valdese Presbiteriana che si formò tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo negli Stati Uniti divenne quindi la maggiore colonia valdese nel mondo, al di fuori dell’Italia. Oggi Valdese, piccolo centro di circa 5000 abitanti, ricorda con orgoglio le proprie radici: basta un’occhiata al sito www.townofvaldese. com per rendersi conto di come la città abbia recuperato la propria eredità storica per proporsi come meta turistica su scala locale. Tra le attrazioni storiche di Valdese si annoverano infatti il locale Museo valdese, la Vineria (a ricordo della viticoltura praticata dai valdesi e sviluppata anche a Valdese), il Centro di artigianato, il Percorso di Fede (una ricostruzione dei principali episodi della storia valdese), il Tempio valdese presbiteriano. E il pezzo forte della compagnia teatrale locale, gli Old Colony Players, altro non è che uno spettacolo sulla storia dei valdesi, dalle persecuzioni perpetrate dalla Chiesa cattolica e dai Savoia, alla difficile integrazione in Piemonte dopo l’emancipazione del 1848, all’emigrazione e fondazione di Valdese. Inoltre, ad agosto la città si anima per la celebrazione del Festival valdese, a ricordo del Glorioso Rimpatrio che, nel 1689, vide il rientro in Piemonte dei valdesi rifugiati in Svizzera a seguito di un periodo di violente repressioni iniziate dalle tragiche Pasque piemontesi del 1655. Che sia per fede, per tradizione o soltanto per fare festa, anche a Valdese si accendono i falò il 17 febbraio…


Giovani & Lavoro

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territor

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Casa & Bottega

di Aurora Fusillo

di

Elena Berardinello

La passione per il lavoro manuale Oltre a rappresentare una grande risorsa e opportunità, oggi l’attività artigiana è anche una scelta di vita appagante. A Pinerolo, un anno e mezzo fa, è nato EB Casa e Bottega, un negozio in Via Trento 16 che dà vita alle cose, creando un ponte tra coloro che credono che riusare possa aiutare. Abbiamo intervistato Elena Bernardinello, colei che ha creato questo luogo d’incontro, che racconta e raccoglie storie. Elena, raccontaci come nasce Casa e Bottega. Ho sempre avuto questo sogno; dopo la laurea in lettere mi sono iscritta ad un corso del Fondo Sociale Europeo per donne imprenditrici nell’ambito della cultura e constestualmente ho iniziato a lavorare in una bottega di commercio equo e solidale a Milano. Mi sono poi trasferita a Torino e anche qui ho cominciato a lavorare in bottega, imparando a conoscere il valore delle cose fatte a mano, il rispetto del lavoro della persona e soprattutto di quello che vuol dire avere un oggetto il cui valore non dipende dal materiale con cui è fatto, ma dal tempo, dall’abilità e dalle mani di chi ci ha lavorato. Il mio motto è “I sogni nel cassetto fanno la muffa”. Perché si è scelto Pinerolo? Perché un paio di anni fa ho scoperto che a Pinerolo c’era una delegazione di una fondazione torinese che si occupava di dare ausilio burocratico, tecnico, di segreteria per accedere ai finanziamenti di Finpiemonte e del microcredito; li ho contattati e ho raccontato il progetto. Se ne sono innamorati, ritenendomi affidabile, e ho ottenuto i fondi per dare vita alla mia idea.

Pinerolo mi è sembrato un paese con un mercato potenziale perché, attraverso una piccola ricerca di mercato, ho analizzato che la popolazione tra i 30 e i 60 anni era la fascia prevalente. Mi è sembrata una città con un buon bacino; in realtà è una zona difficile perché c’è una discreta chiusura riguardo al “nuovo” e di chi non si conosce. Quale tipologia di clientela frequenta la tua bottega? La fascia d’età principale è quella che io prevedevo: persone dai 30 ai 50 anni d’età. Ci sono anche persone più anziane attratte soprattutto da come è allestito il negozio in quanto ricorda gli anni passati. Culturalmente, le persone che comprano sono persone di buon livello, che economicamente stanno bene, in quanto il prezzo del prodotto artigianale è più alto della media. Quali sono gli oggetti più acquistati? Uno dei prodotti che in assoluto vendo di più è il prodotto equo e solidale, l’orologio di Oxidos (laboratorio artigianale di Bogotà - Colombia) caratterizzato da un bellissimo design, è molto economico ed è uno dei più venduti insieme alle saponette naturali fatte dal laboratorio Lunaroma di Roma. Io punto sulla stoffa e sulla ceramica che sono entrambi prodotti molto naturali. Quali sono le principali difficoltà nell’essere artigiano? Impegno e responsabilità, come in ogni altro lavoro ma soprattutto per quello artigiano. Un consiglio per un giovane pinerolese in cerca di un’occupazione? Se hai una passione, non abbandonarla. I sogni nel cassetto fanno la muffa.

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arte& spettacolo

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Teatro di Sara Nosenzo

In visita al Van Gogh Museum

Una vita per rappresentare il mondo La struttura è imponente e si sviluppa in due edifici distinti. I tre piani del museo raccolgono la vita intera dell’artista come se girando gli angoli si potesse vederlo crescere, mentre compie le sue scelte artistiche e di vita. Nella struttura vengono esposti numerosi quadri, oggetti di lavoro, lettere che Van Gogh scambiava con i famigliari e con gli amici, schizzi di opere che l’hanno reso immortale. La prima frase che cattura l’attenzione sono le parole dello stesso artista dipinte sul muro: «La gente dice che è difficile conoscere davvero se stessi, ma nemmeno è facile dipingere davvero se stessi». Con queste parole si comprende la totale dedizione di Vincent nel raffigurare la realtà, ciò che c’è e che a volte non viene visto senza l’uso di uno sguardo più attento. I suoi quadri sono “vivi”: rappresentano le persone e i paesaggi senza pretese, mostrando le emozioni nascoste nelle espressioni dei soggetti. I visitatori del famoso museo olandese arrivano da tutto il mondo e numerose lingue diverse si sentono in sottofondo nelle radioline. Tra i vari gruppetti mi ha stupito un professore olandese coi suoi dieci studenti: il suo approccio alla mostra è innovativo. Spiegava l’opera ai suoi studenti e in seguito li faceva sedere in cerchio e li metteva alla prova con matita e foglio bianco. Un modo di approcciarsi a un artista del passato in chiave moderna, tramite le mani dei ragazzi di oggi. La stessa tipologia di approccio viene riproposta in ogni padiglione in cui si distinguono opere contemporanee di artisti che omaggiano il grande maestro con reinterpretazioni: chi utilizza un video con parole impresse, chi un quadro, chi una serie di scatole in cui guardare. In questo modo si

collega il passato con il presente, un approccio realista con uno più astratto. Avvicinare il pubblico a una mostra non è semplice, ma sicuramente i servizi offerti da questo museo sono di alto livello e alla portata di tutti. Unica pecca la lingua: per chi non conoscesse l’inglese o olandese sarebbe difficile capire le didascalie delle opere. Le stanze spaziose e aperte, piene di opere ma non affollate, permettono una visione in tranquillità senza code. Su alcune pareti sono incorniciate le lettere di Van Gogh che è possibile ascoltare ad un auricolare. Le sue parole raccontano della realtà che vive, delle persone che incontra, del suo bisogno di vedere e conoscere. Sono lettere spesso

indirizzate ai genitori e all’amato fratello Theo. Theo e Vincent erano molto legati, anche professionalmente essendo il primo un commerciante d’arte, e la loro numerosa corrispondenza lo dimostra. Persino nel momento della morte i due rimangono legati: muoiono a un anno di distanza, Theo è devastato dal suicidio del fratello artista. Tutte queste emozioni riecheggiano tra le pareti del museo. La visita è caldamente consigliata: è un ottimo esempio di un omaggio a un artista locale. Un tipo di orgoglio nazionale da imitare.

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dal tempo

Storiae.... di Cristiano Roasio

Al Circolo degli Amici della Loggia dei Destini Assicurati

Forse sto correndo troppo E’ stata una scommessa, nulla più. Sedevamo attorno a cinque boccali di sidro di mais con gli amici del Circolo degli Amici della Loggia dei Destini Assicurati (storia lunga), quand’ecco Soriano fare a Zermesio non ci credo che possa esistere qualcuno ad aver attraversato il Mare Verde e al che Zermesio, sempre un po’ sbronzo, incalzare Soriano con sputi e sicurezza, che si sfilaccia esattamente come la saliva man mano che si allontana dalla bocca, non credi mai a nulla esistono testi scritti e resoconti dettagliati. Prima di anticipare la risata di tutta la Loggia, anche se l’ho già detta ma d’altronde non ho più punti cardinali spaziali inutile ancorarsi a quelli temporali, bisogna dire che esiste nelle nostre biblioteche tutta una smisurata narrativa di viaggio che ormai più nessuno legge, anzi alla quale nessuno crede, dove al massimo potete incontrare qualche personaggio ambiguo con una scarpa per tipo, la camicia mal abbottonata e i capelli lucidi di tempo che passa su di loro. Quindi la preannunciata risata di prima era per dire che tutta la tavolata era insorta a puntare le dita contro Soriano, picchiandosi le mani sulle cosce e sgolandosi come fanno le tavolate le piazze insorte le masse inerti cioè urlando cose senza senso se urlate da uno solo. E allora mi sono arrabbiato, sono fatto così nato nel Tragico Dicembre, mi sono lanciato e ho detto ci andrò io così dimostrerò che Soriano ha ragione. Lui mi ha guardato, ha puntato la sua falange mozzata verso dove dovrebbe indicativamente finire il Mare di Mais e poi si è addormentato. Io veramente sono un po’ partito a caso, nel senso che sono andato in giro dicendo a destra e manca che presto sarei partito per qualche mese, ma in realtà ho avuto paura fino a quel giorno. Non ho mai avuto ritmo, anzi ho dei seri problemi con la sillabazione di una parola

così forte che dalla mia bocca diventa rimmo, ed è per questo che quando la banda di paese, che al solito suonava math-core, iniziava con il nostro pur non ufficiale inno Fractal Corns and Hyperself Cob e tutti gli ascoltatori si univano in un appunto ritmato scapocciare, mi ritrovavo non a pensare che quelle chiome fossero la riproposizione frattale del nostro orizzonte di Mais e perciò una sorta di confluenza mistica con il sè e il mondo che ci circonda (basta leggere le parole del nostro pur non ufficiale inno per ritrovare questo assunto di base che costituisce la nostra Comunità), ma al contrario a chiedermi se Soriano non avesse ragione: in qualche modo, tenendo sempre la stessa direzione si deve pur arrivare da qualche parte, ma ciò non cambia l’essenza dell’essere bloccati, dovunque si vada, nello stesso posto; eppure osservando i ciuffetti ondeggiare in assonanza con la struttura parimenti matematica della composizione che quattroquartava lo spazio e lo affettava in ritmiche sezioni di ¾ di materia limitata, finalmente per la prima volta dopo l’uscita non troppo seria alla Loggia mi dico, massì, io ci provo. Mai lo avessi fatto. Sono inchiodato a questo terreno caldo e l’aria densa attorno a me e ai fusti verdegialli riecheggia di fruscii che ben presto non sarò più in grado di sopportare, credo sia notte ma non ne sono sicuro, il buio è incerto, brumoso di asfittiche presenze vere o inventate, anche questo non lo so, scrivo illuminato da una pannocchia in fiamme sicuro che neanche un rogo totale mi potrebbe indicare la via, mi auguro che il prurito ben presto si trasformi in una presa di considerazione univoca della sua presenza e non, come appunto dimostrano le mie unghie sporche e insanguinate, un’affermazione paritaria di corpo e prurito. Ieri notte (o più probabile ieri pomeriggio) ho incontrato un abitante delle Praterie Interne. Forse sto correndo troppo. 2/Continua

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Uomini del Pinerolese

Società

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a cura di Sara Nosenzo

Andrea Bruno

In giuria alla Mostra del Cinema di Venezia «Pinerolo non è città del cinema, ma andrebbe riscoperta e coltivata la visione in sala» Come ti sei avvicinato al mondo del cinema e qual è stato il tuo percorso formativo? Il prodigio dell’immagine in movimento mi ha affascinato fin da quando ero piccolo. È stato durante gli anni del liceo classico che ho deciso, anche grazie alla spinta di alcuni insegnanti, di voler studiare il cinema per poi lavorarvi. Oggi frequento il DAMS di Torino e parallelamente studio doppiaggio. Cosa pensano gli amici e la famiglia della strada che hai intrapreso? Niente di originale, ma qualcosa di assolutamente naturale: approvano le mie scelte e sostengono il mio percorso. So che prendevi parte al Cineforum di Pinerolo. Ce ne parli? Il cineforum di Pinerolo – cui prendo parte tutt’ora – è una vera e propria istituzione: esiste da 52 anni. Non penso che i miei tre anni di partecipazione siano sufficienti per darne un’immagine all’altezza della sua reputazione e che non risulti parziale. Posso dire che in questi tre anni mi è sembrato che l’obiettivo del gruppo sia quello di permettere ad un certo tipo di cinema (quello “impegnato” o di nicchia, spesso proveniente dai festival) di approdare a Pinerolo e, allo stesso tempo, dare uguale visibilità anche agli esperimenti più curiosi e coraggiosi del cinema di genere, talvolta anche mainstream. Tutto questo cercando di evitare le fastidiose e ormai superate arie che spesso avvolgono il cinema d’essai e tenendo a mente che il cinema è anche intrattenimento. Come sei entrato a far parte della giuria “Venezia Classici”? Ci parli della tua esperienza al Festival? La possibilità di far parte di una giuria ufficiale della Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia viene offerta

dalla Biennale a 26 studenti provenienti dai DAMS di tutta Italia. Quello di Torino seleziona due studenti tramite bando di concorso, cui ho partecipato. Per la nostra sezione, appunto “Venezia Classici”, dovevamo assegnare due premi, uno al miglior film restaurato (scelto tra una ventina di pellicole restaurate nell’ultimo anno da cineteche e istituzioni culturali di tutto il mondo) e uno al miglior documentario sul cinema (8 film, questa volta di recente produzione e realizzazione). Francesco Patierno, il regista italiano che ci guidava in qualità di presidente di giuria, ci ha esortati a prepararci per ciascuna proiezione lasciando da parte qualsiasi tipo di schema o preconcetto, in modo da ricevere da ogni pellicola un riscontro emotivo il più puro possibile, per poter poi effettuare una scelta sincera. È un discorso questo che ho davvero apprezzato perché molto giusto ma assolutamente non scontato. Visti i nostri obiettivi, eravamo forniti di un dettagliato calendario con gli orari delle proiezioni cui eravamo obbligati ad essere presenti, ma avevamo anche moltissimo tempo libero per vedere altri film, partecipare alle conferenze stampa o vivere il festival come meglio credevamo. In generale, è stato fantastico respirare per dieci giorni atmosfere di puro cinema, confrontarsi con gli altri membri della giuria, con cui sono nate amicizie e legami importanti e, non da ultimo, vedere riconosciuto il nostro lavoro durante la cerimonia di premiazione, quando le nostre scelte sono state accolte entusiasticamente dal pubblico in sala. Se potessi, sarei ancora là! Un’esperienza come questa apre gli orizzonti, cosa hai potuto apprendere e come ci si può


Per Mostre e Musei fare strada nel mondo del cinema? Penso si debba essere voraci: occorre interessarsi il più possibile a tutto ciò che concerne l’ambiente e la materia, lanciarsi in qualsiasi tipo di esperienza e creare dei contatti, progettare e realizzare i propri lavori sperimentando a più non posso. Avendo frequentato il DAMS la tua aspirazione è concentrarti sulla critica o sulla realizzazione vera e propria? La mia ambizione è la regia, ma certamente aiuta molto conoscere la teoria e la storia del cinema, oltreché essere spinti ad approfondire per conto proprio e a conoscere nuovi autori e nuovi generi (anche quelli verso cui si prova minore affinità). Il DAMS mi sta insegnando tutto ciò in maniera egregia, ed è una finestra spalancata sul panorama cinematografico torinese, italiano in generale e non solo. Pinerolo non si può dire “città del cinema”, avresti un consiglio per cambiare questo

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aspetto? Certo, Pinerolo non si può dire “città del cinema” e questo per tutta una serie di ragioni, a cominciare dalla scarsa lungimiranza degli esercenti delle sale, passando per un’amministrazione comunale che già di per sé dedica poca attenzione ai giovani e ancor meno ad uno dei linguaggi artistici più giovane per eccellenza, e così via. Ma la mia idea è che, se davvero c’è interesse, prima di immaginare iniziative ed eventi cinematografici andrebbe riscoperta e coltivata la visione in sala, che nel cinema è qualcosa di imprescindibile. Da questo punto di vista, tra cineforum, rassegne di cinema all’aperto e la normale programmazione delle ultime uscite, non sempre esaltante, ma nemmeno tanto scarsa, mi sembra che la realtà pinerolese offra possibilità più che discrete.


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così per il mondo

Vita internazionale di Alessia Moroni

Intervista a Dario Berlucchi

Accordi Disaccordi / h.i.s. Sono passati due anni da quando abbiamo lasciato il complesso musicale “Accordi Disaccordi” nel bel mezzo dei suoi progetti. Due anni in cui Dario Berlucchi ed Alessandro Di Virgilio sono cresciuti professionalmente e soprattutto hanno viaggiato, conosciuto nuovi personaggi e suonato in molti angoli di mondo, alcuni conosciutissimi, altri tutti da scoprire. Dario ci racconta cos’hanno vissuto lui ed il suo collega mentre portavano avanti questo melodioso progetto. Ci eravamo salutati dopo circa un anno dall’inizio della vostra avventura. Qual è il cambiamento più grande dopo tutto questo tempo? Direi tutto, ma soprattutto il fatto che il progetto “Accordi Disaccordi” è diventato il nostro lavoro a tempo pieno. Abbiamo dovuto abbandonare tutte le altre occupazioni per dedicarci esclusivamente a questo: siamo arrivati dove non pensavamo ed è stata una crescita frutto del tanto lavoro che abbiamo dedicato. Gli obbiettivi prevedevano di far conoscere la vostra musica non solo all’Italia, ma anche al resto del mondo. Avete continuato in questo senso? Sì, decisamente. Siamo andati a suonare ovunque: Inghilterra, Francia, Belgio e tra poco partiremo per il nostro quarto viaggio in Russia, dove staremo per circa 45 giorni:

suoneremo quasi tutti i giorni. Il pubblico è sempre entusiasta e ci ha sempre dimostrato affetto, indipendentemente dalla nazionalità. «Swing Avenue» è il vostro nuovo album: che cosa ha significato per voi continuare a realizzare il vostro sogno? Il primo disco era un lavoro giovanile, il nuovo ha segnato il salto: è un lavoro più maturo, in cui hanno addirittura partecipato artisti come Giacomo Smith ed il sassofonista Emanuele Cisi . «Swing Avenue» è la storia del nostro viaggio: ogni brano racconta sé stesso, ma esprime anche tutto il nostro percorso. Nello spettacolo raccontiamo una storia, e la cosa straordinaria è che più la raccontiamo più piace. Siamo orgogliosissimi di questo lavoro, durato sei mesi, e non cambieremmo proprio nulla. La musica è globale, riguarda tutti noi: più è condivisa con il pubblico, più viene apprezzata. Quali sono dunque i vostri nuovi obbiettivi, nazionali ed internazionali? L’Italia è un paese fantastico ed il pubblico è meraviglioso. Ma è uno dei tantissimi paesi belli: perché non continuare a condividere la nostra musica sia in Italia sia all’estero? I nostri appuntamenti saranno sicuramente la Russia, come accennato, dove cambieremo continuamente città e al nostro ritorno in Italia suoneremo ad Umbria Jazz Winter.

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Officine del suono

musica

di Isidoro Concas

M u s i c a emergente

I Without Sun I Without Sun sono un giovane gruppo Hard Rock, da poco al lavoro sul loro primo demo. Siete un gruppo hard rock: che significato ha per voi, suonare rock nel 2015? Perché lo fate? E’ uno dei generi che piace ad ognuno di noi e che fa esprimere le nostre emozioni, per quanto nel 2015 la musica si stia spostando verso l’elettronico e sintetizzato, noi teniamo duro e speriamo di andare lontani. A differenza di molti gruppi del genere, per ora non state suonando in live, privilegiando il lavoro in studio, tra poco uscirà la prima demo di pezzi originali. Quali sono i vostri prossimi obbiettivi? Dopo la demo puntiamo alla distribuzione, a farci conoscere e finalmente in live! Abbiamo deciso di uscire solo a prodotto fatto e finito in modo da avere già una base. Obbiettivi futuri: continuare a tirar fuori tanta musica cattiva, crescere sia a livello di gruppo ma anche singolarmente. Di conseguenza, suonare il più possibile! Nel comporre, vi aiutate collaborando con un arrangiatore. In che modo lavorate sui pezzi? Come vengono sviluppati? Solitamente i pezzi si sviluppano partendo da un riff, o per lo meno un’idea centrale (che il più delle volte vengono fuori nelle situazioni/condizioni meno opportune). Per quanto ci riguarda abbiamo appurato che la notte è il momento più redditizio. Da lì, insieme all’arrangiatore andiamo ad analizzare ogni parte di ogni strumento, cercando di ottenere il risultato desiderato.

La definizione di genere “rock”, negli anni é diventata molto generale. Più nello specifico, a che gruppi vi ispirate? Ognuno di noi si ispira alle proprie preferenze, abbiamo tendenze differenti l’uno dall’altro, e quello che cerchiamo di fare è di unire varie scuole di pensiero, più influenze e più sfumature in un unico, cazzutissimo genere. È in lavorazione il vostro primo videoclip, e terminata la demo la vostra intenzione è quella di proporvi a qualche casa discografica, per ora, state già registrando i pezzi in siae. Quale pensate sia il futuro dell’industria musicale mainstream? Il futuro della musica non si prevede facilmente, pare che ultimamente il suono nudo e crudo sia gradito da pochi, la massa tende verso commercialate non indifferenti. Con impegno però, il nostro intento è quello di far breccia nei cuori di quei pochi temerari che ancora amano la birra, le distorsioni e tanti watt sparati nelle orecchie!

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diritti umani

Visibili & Invisibili

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gruppo giovani amnesty international

Azione urgente in Arabia Saudita Ali Mohammed Baqir al-Nimr ha 21 anni, è saudita e su di lui pende una condanna a morte per aver partecipato a manifestazioni antigovernative. La sentenza è stata confermata dalla Corte Penale Speciale e la Corte Suprema dell’Arabia Saudita lo scorso settembre, ed ormai l’unico passo che separa il giovane uomo dalla crocifissione è l’approvazione del sovrano. Nel 2012 Ali al-Nimr venne arrestato e accusato, oltre che di aver preso parte alle manifestazioni, di attacco alle forze di sicurezza, rapina a mano armata e possesso di un mitra. Indagini svolte da Amnesty International hanno evidenziato come il processo giudiziario sia stato profondamente viziato, dal momento che al diciassettenne non venne garantita adeguata assistenza legale e le accuse, che sussistono tuttora, si basarono su confessioni estorte con la tortura. Quando poste

davanti alla richiesta di indagare su questi abusi, le autorità saudite si sono rifiutate. Ali è un attivista sciita, nipote di un noto leader religioso, e la sua condanna si inserisce in un più ampio quadro di tensione tra il potere saudita e i gruppi sciiti che vi si oppongono. Dal 2011, a seguito di varie manifestazioni, il rapporto è andato deteriorandosi, e numerose sono state le violenze e incarcerazioni di sciiti, mentre almeno 20 persone collegabili alle proteste sono state uccise. Con un appello mondiale, Amnesty International chiede al sovrano e al Primo Ministro sauditi di sospendere la sentenza e permettere lo svolgimento di un processo equo, oltre che di aprire delle indagini sui vizi di quello svoltosi. Per firmare l’appello online e mostrare il proprio sostegno, è possibile accedere all’indirizzo http://appelli. amnesty.it/arabia-saudita-pena-di-morte/ .

Libera contro le mafie

di Chiara Perrone

Capiamo di più sui beni confiscati a Torino In occasione del convegno “Mafie a Nordovest: identikit di un fenomeno” è stato intervistato Alberto Perduca, Procuratore Aggiunto presso il tribunale di Torino, il quale da anni si occupa del contrasto delle mafie sul versante patrimoniale. Egli ha tratteggiato un quadro piuttosto chiaro riguardo lo stato delle cose sul versante dell’aggressione dei beni del crimine organizzato. Ha infatti sottolineato come vi sia una progressione delle confische nel territorio di Torino, basti pensare che nel 2010 furono due i decreti di confisca emessi dal tribunale, contro i 21 emessi nel 2014. Il magistrato ha evidenziato come tra il 2013 e il 2014 furono confiscate oltre 200 unità immobiliari (case, terreni, garage, negozi, beni aziendali, ecc..), ha inoltre ritenuto

opportuno sottolineare come il procedimento di confisca sia piuttosto breve, confrontato con il procedimento penale. Nonostante l’impegno in questo campo sia molto forte, un provvedimento emesso dalla Procura di Torino il gennaio scorso ha reso noto che la maggior parte dei beni confiscati risultano tutt’ora occupati dalle persone a cui sono stati sottratti. Questo problema ha visto l’interesse anche della Direzione Nazionale Antimafia e dell’Agenzia per la gestione dei beni confiscati, la quale sebbene possa ordinare lo sgombero dei beni molto spesso si vede impugnate queste ordinanze davanti al tribunale amministrativo e quindi con la possibilità di giungere fino al Consiglio di Stato, allungando notevolmente i tempi.


Cosedell’altromondo di Oscar Fornaro

Una soluzione per le buche nelle strade Una possibile soluzione per riparare le buche stradali di Pinerolo. È una bizzarra realtà quella che vi sto per raccontare, quella di un ex ingegnere delle ferrovie indiane: il “dottore delle strade”. Nella città indiana di Hyderadad, dal 2011, Gangadhara Tilak Katnam ormai pensionato, compra i materiali edili per ricoprire tutte le buche della sua città natale, pagandoli con la sua pensione. Dove lo Stato non interviene, l’umiltà dell’uomo arriva. Questa curiosa “vocazione” nasce in seguito ad un episodio a cui l’uomo ha assistito alcuni anni prima, precisamente nel 2010 è stato testimone di un incidente tra un autobus e un risciò (carretto usato sia in Asia e sia in Africa). L’autobus per colpa di

una buca presente nella strada, ha travolto l’altro mezzo. Turbato dall’accaduto ha deciso di destinare gran parte della sua pensione al ripristino del manto stradale, cosicché nessuno potesse più essere vittima di questi spiacevoli episodi. Il sessantaseienne ha provveduto a riparare oltre 1.000 buche, ad ogni suo “intervento”, nonostante lo sdegno di alcuni passanti, è riuscito a trovare svariati aiutanti che perseguono con lui questa nobile impresa. Se gli donassimo la cittadinanza onoraria di Pinerolo, magari avremmo modo di realizzare l’utopico ideale di ottenere un manto stradale in migliori condizioni.

Giovani,Tecnologia@Innovazioni

di Greta Gontero

Mindwalker “Un difetto nella mobilità spesso causa una limitata partecipazione nella vita sociale”. Così il sito ufficiale del progetto Mindwalker decide di iniziare la presentazione del loro prodotto. L’esoscheletro Mindwalker, infatti, è nato per permettere alle persone disabili, che hanno subito danni alla spina dorsale, di camminare e stare di nuovo in piedi. Il progetto, finanziato dall’Unione Europea, ha come obbiettivo quello di consentire alle persone paralizzate di camminare grazie alla propria mente: gli individui innanzitutto inviano dei segnali elettroencefalogrammi del cervello, il quale viene stimolato da degli occhiali che inviano frequenze tramite dei diodi, il segnale viene elaborato dalla

occipital cortex del cervello, dove si può capire su quale diodo si è concentrato il paziente. Il segnale diventa così un comando per l’esoscheletro che può in tal modo mantenere in piedi l’individuo e permettergli di muovere le gambe. Vi è però un altro metodo per far muovere l’esoscheletro: si sfruttano i movimenti del bacino del paziente, cosicché essi generino dei segnali chiari per la struttura. Qui in Italia, Mindwalker è stato testato nella Fondazione Santa Lucia di Roma da un paziente che aveva subito gravi danni al midollo spinale dopo un incidente; sicuramente questo esoscheletro può offrire una nuova vita a tutti coloro che hanno subito lesioni irreparabili.

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Appunti di viaggio

mondo

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A cura di Angelica Pons

TRA IL P O P OLO S AMI

I Lapponi ad Abisko Nel cuore del distretto lappone di Torne, su una zona soleggiata e fitta di alberi, sorge Abisko (389 m), al centro dell’omonimo parco nazionale, uno dei primi istituiti all’inizio del ‘900, sulle rive del Torne Trask (70 km di lunghezza, per 9, e 160 m di profondità), un lago immenso che riflette l’azzurro e il verde. Qui l’orizzonte spazia libero: lievi colline sorgono ampie e gentili su distese alberate intervallate da laghi e chiazze di neve. La strada procede ampia in piano. Una giovane locale si dice affascinata dalle nostre Alpi, con le stradine come serpenti. Abisko è un termine lappone che vuol dire “foresta oceanica” e si riferisce ai boschi d’occidente, in direzione dell’Oceano. Vi si può arrivare in treno o in bus da Kiruna o da Stoccolma; noi giungiamo in auto da ovest, tornando dalla Norvegia verso la Finlandia, nel nostro girovagare nelle terre lapponi. Nell’ostello dell’Abisko Turiststation ci sono camerate, cucina e sauna; si lasciano all’ingresso gli scarponi e si contribuisce alla pulizia (a disposizione aspirapolveri, stracci e spruzzini). Da qui si diparte una miriade di sentieri ben segnati, alcuni palchettati. Il più semplice ma spettacolare è quello sul vicinissimo canyon, lungo circa 2 km, scavato dal torrente ad una profondità di 20 metri tra pareti verticali. Di fronte, un bosco di betulle si può percorrere a circuito, e vi si incontrano lemuri timidi che nascondono il musetto sotto i muschi per non essere visti; a volte i cani li addentano per gioco, purtroppo. Passano turisti carichi a dismisura per i bivacchi o per il trekking di 500 km del “sentiero del re”, che collega i tre stati lapponi, Finlandia, Norvegia e Svezia, toccando rifugi, forniti di potagé e legna. Camminando verso est si vede la “Lapp-porten”, la porta della Lapponia, una sella a 1.012 metri,

posta fra due laghetti. Seguendo i sentieri ad ovest si raggiunge la seggiovia, su un pendio disseminato di botton d’oro e tarassaco, malvacee, luparie, penninervie, serpentine, veroniche alpine e minuscole genziane blu cobalto. D’inverno sarà bellissimo, tutto una coltre di neve. Ci proponiamo di ritornare a ciaspolare ed ammirare l’aurora boreale che a questa latitudine si tinge di porpora. Le leggende Sami narrano della sacra volpe artica che percorre i cieli scuotendo le stelle e i ghiacci con la sua coda, per disegnare le luci nel cielo, il “revontulet”, oppure di due divinità che giocano a calcio con… un teschio di tricheco. Raggiungiamo un pianoro in quota, luogo rituale degli antichi sciamani, immaginiamo tamburi e canzoni. Il popolo Sami non è Stato indipendente, ma dopo la II guerra mondiale, per rafforzare l’identità nazionale e preservare la cultura, ora ha un proprio parlamento Sami, a Inari, una capitale, Karasjok, una bandiera e, dal 1986, un inno; le lingue native vengono studiate e insegnate. Passeggiando si incontrano antiche abitazioni, strutture a teepee più robuste per il vento, foderate di pelle di renna, il cui allevamento è la risorsa dei Sami non solo per la carne. Chiedere ad un Sami quante renne possiede è come chiedergli del conto in banca. Oltrepassati due ruscelli vediamo una donna stesa sull’erba, nel silenzio assoluto, ammirando un’aquila reale! Ci vede arrivare e ci racconta: lei vive in città, ma sua nonna era Sami. Qui, a contatto con la terra, ritrova le sue radici. Martedì 27 ottobre h 17,30, libreria Mondadori piazza Barbieri a Pinerolo, proiezione de “Il Grande Nord”


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Un grande successo!

Prossimi appuntamenti


Sono amici di Pinerolo Indialogo.it e di Onda d’Urto24


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