Pineroloindialogo dicembre2017

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Anno 8, Dicembre 2017

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Pinerolo, una città dove la vita è comoda Docenti universitari del Pinerolese /38, Gustavo Zagrebelsky: “In generale considero Pinerolo una città dove la vita è comoda e le iniziative culturali non mancano”

70 anni fa nasceva la Costituzione Elvio Fassone: «La Costituzione lavora all’interno delle coscienze e dice loro come deve essere una comunità di cittadini»

Luca Salvai: “Ci sono alcune situazioni che possono essere migliorate, ma Pinerolo non è degradata”


Buone News A cura di Francesca Olocco

Mobilità sostenibile

Per vivere in un Paese più vitale Nello scorso articolo della rubrica «Buone news» si è parlato di mobilità sostenibile a Torino e di come questa stia ora tentando di cogliere una buona occasione per una potenziale crescita. Vi sono però alcuni paesi dove questa crescita è già avvenuta, ed essi potrebbero aiutarci a individuare nuove linee guida da seguire per raggiungere lo step seguente: un reale mutamento del nostro punto di vista. L’esempio più comune è rappresentato sicuramente dalla situazione olandese, che dimostra apertamente come il cambiamento possa arrivare sia dal basso che dall’alto, ovvero anche dall’impegno dei singoli cittadini, che spesso invece tendono a delegare la colpa dei problemi dovuti all’inquinamento alle istituzioni a loro superiori.

In Olanda, invece, è stata recentemente pubblicata la Bicycle Agenda 2017-2020: http://tourdeforce2020.nl/wp-content/ uploads/2017/02/Bicycle_Agenda_2017-2020.pdf. Di che cosa si tratta? In breve, di un documento in cui il paese, dopo aver riassunto i notevoli risultati già raggiunti, si impegna a creare uno strumento di lavoro per gli anni a venire. Il primo punto da sottolineare è sicuramente il grande interesse che circonda l’iniziativa, sia da parte di enti sia pubblici, sia da privati. Le

collaborazioni attivate vanno da quelle con le autorità, a quelle con i partiti politici, gli istituti e le organizzazioni che si occupano di ciclismo. L’importanza della mobilità sostenibile è quindi una consapevolezza diffusa in ogni strato della società, e può addirittura trasformarsi in un mezzo di coesione sociale. In secondo luogo, colpisce la motivazione scelta per giustificare questo atto: il desiderio di vivere in un paese più vitale, ove i cittadini siano più vitali, sia nelle aree urbane che in quelle rurali. Continuando la lettura, è notevole l’ambizione dimostrata nella scelta degli obiettivi da perseguire: i Paesi Bassi, infatti, intendono divenire il principale paese ciclistico al mondo, da un lato aumentando il numero di ciclovie sia nelle città che fuori da esse, in modo da collegare diverse regioni, dall’altro lato assicurando maggiore sicurezza stradale ai ciclisti. Si tratta in tutto di otto obiettivi molto chiari, per i quali si batterà il leadership team, che avrà il compito di assicurarsi il costante impegno di tutte le parti coinvolte, nonché di trovare i giusti mezzi per continuare a generare motivazione in tutti i beneficiari dell’accordo. Entro il termine del progetto, i Paesi Bassi sperano di raggiungere un aumento del 20% dei chilometri percorsi rispetto al periodo anteriore al 2017. La riflessione che vorrei proporre è molto semplice. Se i cittadini decidessero di compiere un atto di responsabilità, capirebbero (e, quindi, capiremmo), tra i tanti lati positivi, quali vantaggi possediamo rispetto a molti altri paesi (come il clima mite che permette di utilizzare la bicicletta per buona parte dell’anno) e a quali mezzi possiamo ricorrere (come tutti i sistemi di bike sharing nelle medio-grandi città) per permettere all’Italia di assomigliare un po’ di più all’Olanda, per lo meno dal punto di vista dell’amore verso l’ambiente e verso la salute di tutti.

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33 Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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Pinerolo uscirà dal degrado? Riuscirà Pinerolo ad uscire dal degrado? È una domanda che si pongono in molti (anche sui social). Il significato comune della parola “degrado” è “deterioramanto”, ma anche abbandono, incuria, che può essere riferita ad un territorio, un ambiente, una città. Significa perdere gradi, perdere valore. È una parola che fotografa bene la condizione della nostra città. Uno stato in cui è caduta da un po’ di anni a questa parte - non certo da quando sono arrivati i 5 stelle! - e dal quale al momento non si intravvede una via d’uscita. Uno stato di cui non vi è coscienza dell’enorme danno che procura alla città, in termini d’immagine innanzitutto, ma anche in termini di appeal, di attrazione, di fascino che una città deve avere per essere attrattiva verso il turismo e verso l’investimento in imprese. Soprattutto quest’ultimo aspetto è molto sottovalutato, mentre è fondamentale come mi ha confermato in un’intervista di qualche anno fa Giuseppe Pichetto, già presidente della Camera di Commercio e dell’Unione Industriale Piemontese: “nessun investitore andrà ad investire in una città sporca”. Certamente il problema è sottovalutato e ormai ha raggiunto una condizione non più sostenibile. Non basta la tolleranza zero verso chi sporca che vuol mettere in atto il nuovo assessore all’ambiente Spinelli. Su questo versante del degrado (se non piace la parola chiamiamolo pure sporcizia) Comune e Acea devono guardarsi negli occhi e capire come venirne fuori, altrimenti questa città non si riprenderà di sicuro. Innanzitutto chiarendo il modo in cui viene erogato il servizio: ad es. è giusto puntare tutto sulla pulizia tramite macchine pulitrici o non è invece opportuno avere degli operatori ecologici che spazzano con la scopa e tengono sotto controllo una porzione di territorio? Inoltre bisogna uscire dallo schema più pulizia più costi, cercando di razionalizzare i servizi erogati. Senza trascurare che molti cittadini sarebbero disposti a pagare di più il servizio se questo producesse risultati. Altrimenti la prospettiva è l’ulteriore decadenza. Antonio Denanni PINEROLO / INDIALOGO.it .

Direttore Responsabile Antonio Denanni Collaborano: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Francesca Beltramo, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Federica Crea, Luca Barbagli, Greta Gontero, Alessandro Castiglia, Michele F.Barale, Anna Filippucci, Francesca Olocco, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Angelica Pons, Sofia Bianchi Con la partecipazione di Elvio Fassone

Indialogo.it, Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 - Ed. Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - E-mail: redazione@pineroloindialogo.it STAMPA: In proprio

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Buone News

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per vivere in un paese vitale

Eventi

elvio fassone: 70 anni fa la costituzione

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Politica giovane young

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Intervista al sindaco luca salvai

Docenti universitari pinerolesi/38

gustavozagrebelsky,dirittocostituzionale

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Vivere Pinerolo /7

la porporata

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L’ambiente siamo noi

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fuochi e fiamme nelle valli

Vita internazionale

intervista a valeria pavese

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Teatro

Dal mondo

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fine pena: ora

il mistero dei pescherecci fantasma

Serate di Laurea

serata con giulia pagani e lilian bonomo

Giovani&Nuove tecnologie

ciao mi chiamo erica

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Il Passalibro

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Sociale & Volontariato

pan

giorgia, giovane volontaria di cri

21 Officine del suono

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pjohnny Fishborne

Viaggiare

aconcagua un anno dopo

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Fausto Melotti a Miradolo

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Primo Piano

eventi

44 di Antonio Denanni

Intervista ad Elvio Fassone

70 anni fa (22/12/1947) l’Assemblea Costituente approvava la Costituzione Elvio Fassone: “La Costituzione lavora all’interno delle coscienze e dice loro come deve essere una comunità di cittadini” Il 22 dicembre 2017 ricorrono i 70 anni dall’approvazione della Costituzione da parte dell’Assemblea Costituente. Che cosa le richiama questo evento? Settant’anni sono la cifra simbolica che dà la misura della vita umana: l’ha consacrata Dante, e prima di lui il Salmo 90, che assegna ai viventi questo termine. Dunque tra pochi giorni saremo sollecitati a riflettere su che cosa ha significato la nostra Costituzione in un arco di tempo ideale per esprimere le sue potenzialità e per stilare un bilancio: e cercheremo di farlo, almeno mi auguro, evitando da un lato la retorica della lode a prescindere e le esaltazioni di qualche norma ripetuta sino alla sazietà, e dall’altro lato rifiutando quel particolare scetticismo che è la forma amara dell’intelligenza di oggi, il disincanto che conduce a vedere nella Costituzione solo un libro dei sogni impotente di fronte alla realtà. Il padre costituente La Pira ha detto che la Costituzione è stata costruita per essere una “stella polare” nel mondo. Un’altra definizione più vicina a noi, di Roberto Benigni, afferma che che la nostra Costituzione è “la più bella del mondo”. Cosa ne pensa? La nostra Costituzione, nonostante qualsiasi critica, merita le iperboli citate, perché quello è il linguaggio dell’amore, della riconoscenza e vorrei dire della religione: una religione civile, indispensabile in un tempo che ha in larga misura abbandonato le religioni tradizionali. Nell’età della disperanza - che non è la disperazione, ma la perdita della fiducia in un futuro migliore -

nella Costituzione si può ancora avere fede: se ha mancato i suoi obiettivi, la colpa non è sua, ma nostra. Lei invece l’ha definita “la Costituzione amica”, con cui ha dato il titolo al suo libro. Ci spiega il perchè? Una Costituzione, di per sé, non ci salva dalle prepotenze di un despota, e men che meno ci dà da mangiare. Ma lavora all’interno delle coscienze e dice loro come deve essere una comunità di cittadini, nella quale non vige la legge della forza, ma la forza della legge, voluta e scritta da tutti; e di fronte alle prove ed alle sofferenze della vita suggerisce l’unico rimedio possibile, che è la solidarietà degli altri umani. Ho definito“amica” la nostra Carta perché essa non si limita, come la maggior parte delle altre, a consacrare i diritti civili classici che tutelano la persona nella sua inviolabilità; e non si ferma a ribadire i diritti politici che garantiscono un ruolo attivo di partecipazione alla polis; ma destina più attenzione di ogni altra ai diritti sociali, cioè all’aspettativa dell’individuo di essere soccorso quando viene a trovarsi in una condizione di debolezza esistenziale (malattia, vecchiaia, disabilità, povertà, disoccupazione). Lo ha fatto come può farlo un documento che è legale ma anche performante, trasferendo la fraternité, che è un sentimento, nella solidarietà, che è un imperativo etico sanzionabile politicamente. E lo ha fatto tramite una miscela straordinaria di culture e di tradizioni, l’isonomia greca che ci vuole eguali in dignità, e la charitas cristiana


«I “diritti inviolabili” della persona sono inseparabili dai “doveri inderogabili” di solidarietà» che ci vuole fratelli. La Costituzione è l’insieme dei diritti e dei doveri di ciascun cittadino. Quale peso vi hanno gli uni e quale gli altri? I Costituenti avevano ben presente il rischio che, elencando tutta una serie di diritti, si creassero aspettative che la realtà non avrebbe potuto soddisfare, e si preoccuparono di indicare sin dalle prime battute (art. 2) che i “diritti inviolabili” della persona sono inseparabili dai “doveri inderogabili” di solidarietà. Tutelare i diritti civili è relativamente agevole, perché hanno costi limitati (la salvaguardia della libertà personale si garantisce imponendo dei limiti al potere; la partecipazione si rende possibile aprendo spazi crescenti di agibilità politica); al contrario, garantire i diritti sociali è molto più difficile, perché il loro catalogo si arricchisce con il crescere della sensibilità e delle aspettative, e quindi hanno costi crescenti, mentre l’individualismo sfrenato rende sempre meno tollerata la richiesta dei sacrifici (essenzialmente tributari) necessari per soddisfare quei diritti. Per questo oggi, di fronte allo smantellamento del welfare State, si auspica una “Dichiarazione universale dei doveri dell’uomo”, e sarà bene mettervi mano senza attendere troppo. Si sostiene che la Costituzione è più programmatica che normativa. Condivide? Questa tesi ha avuto molta fortuna, e taluno afferma addirittura che questo fu il compromesso tacito che permise un testo così avanzato socialmente. Nel 1947 il noto diktat degli USA (aiuti sostanziosi attraverso il piano Marshall, a patto che l’Italia estromettesse le sinistre dal governo) dovette misurarsi con il forte peso sociale delle medesime e con il ruolo fondamentale da esse avuto nella Resistenza. La medicina amara fu ingoiata per necessità, e si evitò una probabile guerra civile facendo ampie concessioni a quella parte della Costituzione dedicata, appunto, ai diritti sociali. Queste concessioni suscitarono forti resistenze nelle altre forze politiche, a loro volta superate proprio con il retro-pensiero che le enunciazioni progressiste si sarebbero fatalmente insabbiate di fronte alla realtà ed alla limitatezza delle risorse. Fu allora che nacque la distinzione tra norme precettive e norme programmatiche, avallata all’inizio anche dalla Cassazione. Oggi, lodevolmente, non è più così, perché la Corte costituzionale ha ripetutamente affermato che il potere politico gode bensì di una innegabile

discrezionalità nel destinare le risorse esistenti secondo le sue scelte, ma questo potere non può spingersi sino a far mancare ai diritti fondamentali le risorse necessarie alla loro soddisfazione. Dunque, è pur vero che la Costituzione non si mangia, ma essa sanziona le politiche che non si curano abbastanza di chi ha fame. Uno dei temi più dibattuto in questo periodo è quello delle migrazioni e dello “ius soli”. Che cosa dice la Costituzione sulla condizione giuridica dello straniero? Nel tempo in cui la Costituzione venne pensata e scritta, stranieri da noi non ce n’erano. Se mai, gli stranieri eravamo noi, spesso costretti a trasferirci in altri Paesi, ed infatti la Carta se ne occupa affermando che la Repubblica “tutela il lavoro italiano all’estero” (art. 35). Ora che la presenza di stranieri è diventata massiccia a causa delle migrazioni, si avverte la difficoltà dovuta al fatto che, mentre alcuni diritti sono assicurati a “tutti”, altri sono riconosciuti solamente ai “cittadini”, e quindi gli stranieri, a rigore, ne sarebbero privi. Ma la fecondità e la saggezza della Costituzione si è manifestata proprio a questo riguardo, perché la Corte costituzionale ha affermato che, a prescindere dal lessico giuridico usato, i diritti inviolabili dell’uomo, siccome inerenti alla persona umana e non alla sua nazionalità, devono essere assicurati a tutti. Di fatto lo sono solamente in modo parziale e spesso insoddisfacente, ma la Costituzione è come la segnaletica stradale: indica la direzione, tocca a noi camminare. Pure quello della povertà e dello stato sociale è un tema sempre in primo piano. Come ci illumina la Costituzione? Non è facile assicurare la soddisfazione dei diritti che per loro natura esigono una prestazione attiva. Un lavoratore cui sia erogata una retribuzione del tutto insufficiente può sempre trovare (ed è avvenuto di recente nella vicenda dei call center) un giudice che annulli il licenziamento pronunciato a causa del rifiuto di quella paga indecente; ma la Costituzione non può far edificare le case necessarie per soddisfare le esigenze di un individuo che sia privo di abitazione. A queste deve provvedere la mano pubblica, e se non lo fa la sanzione non può essere che politica, cioè la riprovazione dei cittadini elettori. Il guaio è che oggi la maggioranza dei cittadini ha rinunciato ad applicare questa sanzione....

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Politica

Politica giovane young a cura di Antonio Denanni

Intervista al sindaco di Pinerolo, Luca Salvai

“Ci sono alcune situazioni che possono essere migliorate, ma Pinerolo non è degradata” «È stato messo un assessore all’ambiente che si occupa in modo specifico del tema» A un anno e mezzo dall’insediamento della sua Giunta facciamo un bilancio: incominciamo dalle cose realizzate che a suo parere hanno migliorato la città. Sicuramente l’operazione più significativa è quella che abbiamo fatto sulla Nino Costa. Abbiamo poi messo in pista diversi lavori che partiranno a breve: l’antisismica sulla scuola Brignone (speriamo che il cantiere possa partire a marzo), i lavori sulla piscina, i lavori che abbiamo fatto quest’estate nelle scuole con delle manutenzioni che si protraevano da diverso tempo, il piano delle asfaltature, il progetto della bicipolitana che è in linea di conclusione; abbiamo approvato il regolamento sulla partecipazione e poi c’è tutto il discorso della cultura. Quali sono invece le cose che non siete riusciti a realizzare o il nodo più importante al momento da sciogliere? Sicuramente il cambio di sistema di raccolta dei rifiuti. È senza ombra di dubbio la questione su cui nel 2017 siamo stati fermi, oggettivamente per mie responsabilità perché la delega era mia. Per ovviare a questa mancanza è stata fatta la scelta di mettere un assessore all’ambiente che si occupi in modo specifico di questo tema. A parere di molti il problema cruciale di questa città è il suo degrado, che risale a molto prima dell’insediamento della sua amministrazione. Avete fatto un’analisi seria di questa situazione e quali iniziative intendete mettere in atto? Secondo me ci sono delle aree e tutta una serie di situazioni che possono essere migliorate (ad esempio la stazione su cui stiamo lavorando), però sostenere che

Pinerolo sia degradata non corrisponde al vero. Certo si può avere una maggiore attenzione ai dettagli, come le pulizie, i cassonetti, le cacche dei piccioni sotto i portici... tutte cose che si possono affrontare, ma parlare di degrado è eccessivo. Il tipo di contratto con l’Acea in tutto questo non c’entra niente? Pensa che la convenzione con l’Acea non sia da rivedere? Molti vedono una sudditanza dell’amministrazione nei confronti dell’azienda. Quello del rapporto con l’Acea è un problema che c’è sempre stato. È mancata a mio avviso negli anni la forza da parte dell’organismo di controllo politico della società, che è il consorzio, la forza di farlo; per cui si è sempre lasciato fare alla società un po’ quello che voleva. Ora è complicato andare a controllare quello che fanno, ad esempio i camion o altre realtà dell’azienda, per cui avere una persona che nell’amministrazione si occupa di questo settore potrà aiutare ad avere migliori risultati. Nel dibattito politico sovente si è parlato di vocazione della città, quasi ci fossero chissà quali tesori da scoprire. Non è più realistico e serio parlare di progetti per la città? Quali sono i progetti prioritari che vorreste avviare o portare a termine? (Il primo suppongo sia il centro storico) Sul centro storico abbiamo iniziato tutto un lavoro di confronto con i cittadini, con le associazioni di categoria, con i residenti, i famosi tavoli che abbiamo attivato e che sono ancora in corso per affrontare in maniera organica tutte le problematiche: la viabilità, il commercio, le manifestazioni, l’arredo urbano… Sono venute fuori delle belle idee, adesso dobbiamo chiudere e dare gambe a

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“Non solo alcuni, tutta la Giunta crede in Pinerolo città della cavalleria” queste proposte. Alcune di queste sono a costo zero, per altre bisogna trovare i soldi per finanziarle. Altri progetti sono la Nino Costa, la riqualificazione di piazza Roma e un terzo progetto riguarda la risistemazione di piazza Cavour. Avevamo anche idea di intervenire sull’edificio dell’ex Sumi, però il bando è andato deserto, per cui torna in auge l’idea di trasferirci il CISS. C’è poi tutto il discorso della valorizzazione della Caprilli e della Bochard e la rifunzionalizzazione dei locali del tribunale. Sempre a proposito di vocazione sembra che nella sua Giunta ci sia ancora qualcuno innamorato di Pinerolo città della cavalleria che ha procurato tanti sprechi. Cioè una città, come l’ha definita un autorevole pittore locale, più rivolta all’800 che al futuro. Come stanno le cose? Non direi solo alcuni elementi della Giunta, ma tutta la Giunta crede in Pinerolo città della cavalleria. Il problema è che Pinerolo si trova da quest’anno in una situazione in cui non si è trovata prima, ovvero abbiamo in mano tutti i principali asset legati alla storia del cavallo in Pinerolo: la cavallerizza Caprilli che abbiamo acquisito circa un anno fa, la caserma Bochard, il campo Tancredi che andremo ad acquisire, l’impianto di Abbadia e stiamo per aprire un discorso con il ministero sul Museo della cavalleria, che senza ombra di dubbio è il Museo più bello ed interessante che abbiamo a Pinerolo. E’ un tentativo che facciamo. Noi ci siamo posti l’obiettivo nel 2018, in occasione della ricorrenza dei 150 anni della nascita di Caprilli, di provare a progettare e costruire un qualcosa che permetta un utilizzo funzionale ed interessante di questi immobili importanti della città in cui il cavallo è il fil rouge che lega la riqualificazione. Io non direi che è tornato in auge il discorso di Pinerolo città della cavalleria, è che probabilmente nessuno fino adesso ha mai provato a buttare giù un progetto organico che legasse tutti i luoghi di Pinerolo a questo aspetto. Veniamo alla partecipazione e alla protesta degli otto consiglieri di opposizione. C’è stata violazione del regolamento o no? Anch’io trovo un po’ assurdo che un gruppo di autoconvocati si eriga a comitato di quartiere senza che gli abitanti del quartiere ne sappiano niente.

L’ho detto anche pubblicamente in occasione di un’assemblea alle Macine: senza ombra di dubbio questa vicenda è stata gestita con un po’ di superficialità, nel senso che dopo l’approvazione del regolamento – che come tutti i regolamenti può avere qualche falla – abbiamo approvato questo comitato di quartiere che era già preesistente senza indagare prima su come si era costituito. Questo è stato un errore al quale si rimedierà con nuove elezioni a gennaio. Il dire che questa partita è stata gestita con superficialità ci sta, però dire che questa sia stata una brutta pagina per la democrazia mi sembra eccessivo. Lei è un sindaco molto social (almeno lo era fino a qualche tempo fa), eppure viene addebitata alla sua amministrazione l’incapacità di comunicare, meglio di raccontare i progetti che si vogliono realizzare per trascinare il consenso (es. la bicipolitana). Condivide? Sulla comunicazione penso che rispetto al passato siano stati fatti molti passi avanti. Sulla capacità di raccontare per guidare una progettualità e un processo politico riconosco i nostri limiti, ma credo che solo dei sindaci eccezionali siano in grado di fare questo. Sulla comunicazione, però, oltre ad aver rimodernato il sito abbiamo introdotto nuove realtà come la pagina facebook. Nei giorni scorsi avete presentato le linee guida per la modifica del piano regolatore. Quali sono le linee portanti del vs PRG e la filosofia che vi sta dietro? Le 3 Erre: riduzione del consumo di suolo, rigenerazione urbana, resilienza urbana. Molti progetti per decollare hanno bisogno del sostegno delle realtà sovra territoriali. Qual è il rapporto con la Città metropolitana e la Regione? Ci confrontiamo abbastanza sovente. La Città metropolitana versa oggettivamente in una situazione complicata dal punto di vista organizzativo e finanziario, per cui anche loro fanno faticano. Con la Regione pure dialoghiamo: in questo periodo stiamo collaborando per migliorare la situazione della stazione.

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incont r i

Città & Università /37

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di Emanuele Sacchetto

Gustavo Zagrebelsky, Diritto Costituzionale

«Il sistema ha bisogno di rigenerarsi, aprendosi alla partecipazione politica» Zagrebelsky è nato a San Germano Chisone: « In generale considero Pinerolo una città dove la vita è comoda e le iniziative culturali non mancano» Cominciamo dalle origini del suo cognome non italiano, che in molti destano curiosità. Ce ne parla? L’origine ortodossa del mio cognome è paterna. Mio nonno era un colonnello russo, e la sua famiglia si trasferì a Nizza, dove era presente una forte comunità russa e dove vi rimase a lungo, anche a causa della chiusura delle frontiere a seguito dello scoppio del I conflitto mondiale. Soltanto in un secondo momento la famiglia di mio padre si trasferì a Sanremo, dove mio padre conobbe mia madre, originaria di San Germano Chisone (dove peraltro io sono nato), la cui famiglia era solita andare in vacanza nella stessa località di mare. Ci parla delle origini del suo lavoro in università e di ricerca in generale? Non nego che iniziai l’università di giurisprudenza senza una particolare vocazione ma, come tanti, poiché non pareva troppo difficile e poiché apriva molte strade. Fu soltanto in un secondo momento che mi appassionai al diritto e, in particolare, al diritto costituzionale. A seguito del conseguimento della laurea, pur avendo la possibilità di diventare dipendente dell’allora Stipel, mi fu proposta e vinsi una

borsa di studio per intraprendere l’attività di ricerca in università. Così iniziai la mia carriera accademica che prosegue tuttora, nonostante il mio “collocamento a riposo per raggiunti limiti di età”. Infatti, tengo attualmente un corso di Teoria generale del diritto alla Facoltà di filosofia dell’Ospedale San Raffaele di Milano. Lei è una personalità dai molteplici interessi. Ci parla di alcuni di questi? Sicuramente la ricerca e lo studio sono stati e rimangono il mio interesse primario. Mi ritengo parte di quella esigua percentuale di popolazione per la quale il proprio lavoro non rappresenta un peso, bensì un piacere. Anche la mia esperienza in Corte Costituzionale è stata per me solo una parentesi nella mia attività principale di insegnamento. Oltre a ciò, coltivo una passione musicale, suonando il pianoforte. Con il violoncellista Mario Brunello andiamo in giro per l’Italia a tenere “lezioni musicali” parlando dei problemi di interpretazione, in musica e nel diritto. Le ragioni del No al referendum sulla modifica costituzionale dello scorso anno sono ancora valide nel mutato panorama attuale? Le medesime ragioni sono senza dubbio


«L’origine ortodossa del mio cognome è paterna. Mio nonno era un colonnello russo» 9 ancora valide oggi. La riforma era frutto di molteplici compromessi e basata sul presupposto che la vita politica in Italia è corrotta e autoreferenziale. Se fosse stata approvata, avrebbe rappresentato la “blindatura” del sistema, laddove, invece, questo ha bisogno di rigenerarsi, aprendosi alla partecipazione politica. L’occasione della celebrazione dei 70 anni della nostra Carta costituzionale quali sentimenti e quali riflessioni evoca in lei? Questo anniversario suscita in me sentimenti differenti. Da un lato la lontananza e il cambiamento dei tempi. Al momento dell’entrata in vigore della Costituzione c’era una grande esigenza di partecipazione politica, dettata dalla voglia di ricostruire insieme. Oggi, invece, la dimensione sociale si sta perdendo sempre più. La solidarietà dell’art. 2 è stata sostituita dalla competitività individuale, distruttiva di socialità. Per altro verso, tale ricorrenza ci fa riflettere sulla trasformazione della classe dirigente. La progressiva perdita di serietà dei politici di oggi si evince confrontando le c.d. “navicelle parlamentari”, con le quali, a inizio di legislatura, gli eletti si presentano. I ritratti che emergono sono ben lontani dalla rappresentanza dell’idea di politica quale grave responsabilità che avevano i padri costituenti. L’ilarità che caratterizza gli attuali politici non riflette certamente la

serietà dell’incarico da questi ricoperto. Venendo al Pinerolese, quali sono i ricordi che ha di questo territorio e come lo percepisce oggi? In realtà non conservo molti ricordi di vita stanziale nel pinerolese. Ricordo solo la sensazione di violazione di un equilibrio quando venne edificato il grattacielo a Pinerolo. In generale, considero Pinerolo una città dove la vita è comoda e le iniziative culturali non mancano. A vantaggio della sua vivacità culturale c’è stata senz’altro la sua posizione sul confine tra mondo cattolico e mondo protestante. Tornando all’università, come vede i giovani oggi? A volte mi è capitato di notare un appiattimento culturale tra i giovani, i quali non conoscono più il significato di alcune parole. Questo è particolarmente grave, dal momento che lo strumento del pensare sono proprio le parole e, dunque, a una riduzione progressiva del significato delle parole in uso corrisponde una riduzione della capacità di pensare. Negli ultimi anni, tuttavia, ho notato, da parte dei giovani, un progressivo aumento del senso di responsabilità e interesse per gli studi. Inoltre, sono convinto che il distacco dei giovani dagli studi è dovuto, almeno in parte, al disimpegno di certi insegnanti, che non sono stati in grado di accendere candele, ma solo di riempire secchi.


in citt À

Vivere Pinerolo/ 6

10 10 di Remo Gilli

Una rivisitazione giovane della città

La Porporata: «per essere una zona industriale, non è poi la fine del mondo» «Come molti centri industriali risulta essere un po’ anonima» Se c’è una zona di Pinerolo che mi è totalmente estranea, quella è la zona industriale della Porporata. Si colloca – almeno per me che a Pinerolo arrivo dalla provinciale di Roletto – prima ancora dell’inizio della città, in una posizione defilata tale per cui chi arriva da fuori ci passa sempre vicino senza entrarci mai. L’unica volta in cui mi sono avventurato oltre la rotatoria che collega la provinciale alla tangenziale è stato quando, in prima liceo, io e i miei compagni eravamo andati nella redazione de L’Eco del Chisone per una visita. Da allora, non mi è mai capitato nemmeno di pensare di andarci. Non ne ho mai avuto motivo. Eppure la Porporata la conosco bene, anche se non ci sono mai stato veramente. Non per altro, ma ogni volta che mi capita di passare da Pinerolo (e quindi di prendere la tangenziale per arrivare in corso Torino) non posso fare a meno di guardare le montagne pinerolesi all’andata e la Porporata al ritorno. Penso valga per tutti questo discorso. Così ne conosco le geometrie, le maggiori insegne, la conformazione. La ditta Mollo, per citarne una, vale più di un cartello di “Arrivederci”

quando si lascia Pinerolo, tutta gialla e blu, enorme, dirimpetto alla strada. Per il resto, le testimonianze indirette che mi sono giunte dai miei amici e coetanei al riguardo della zona industriale si limitano a qualche scappatella notturna lontano da occhi indiscreti e poco altro. Posso dire quindi che la Porporata è a tutti gli effetti “materia oscura”, di cui conosco solo la forma ma non la storia né ciò che vi accade. Le informazioni reperibili sulla Porporata di Pinerolo sono poche, in realtà. Come molti centri industriali risulta essere un po’ anonima dal punto di vista delle notizie: facendo ricerca si trovano informazioni su lotti in vendita o venduti in passato, su cambi di proprietà e via dicendo, ma nulla sulla sua costruzione originaria. A giudicare dalle costruzioni prefabbricate, però, azzarderei l’ipotesi che sia stata costruita (almeno per come si presenta oggi) tra gli anni Novanta e i primi Duemila. Come ho accennato all’inizio, qui ha sede L’Eco del Chisone, in quella che è senz’altro la costruzione più bella della zona (è vero che non ci vuole granché per distinguersi, ma si tratta comunque di un edificio pregevole e moderno). Oltre alla


«Immaginavo di vedere molto più movimento di persone. Invece mi trovo in un ambiente spoglio, quasi desertico» 11

redazione del giornale, nella zona si trovano decine di piccole e medie imprese, con alcuni magazzini e officine di lavoro. Entro con la macchina passando da viale Primo Maggio per poi immettermi nella scacchiera di strade e capannoni che è la Porporata partendo da via Carlo Borra, dopo aver costeggiato il giornale. Non so per quale motivo, ma immaginavo di vedere molto più movimento di persone all’opera, via vai di tir e cose così. Invece mi trovo in un ambiente spoglio, quasi desertico, senza anima viva che faccia capolino da uno dei prefabbricati né macchine in movimento. Accosto, spengo il motore e abbasso il finestrino. È più forte il rumore delle macchine sulla tangenziale rispetto al lavorio dei macchinari delle aziende. Vedo qualcuno uscire da un capannone poco più avanti, così rimetto in moto per raggiungerlo. Quando arrivo è già a bordo di una macchina, in procinto di uscire dal parcheggio. Dietro di lui, l’azienda sembra vuota, nonostante siano soltanto le tre di pomeriggio di un giovedì di novembre. Giro l’angolo e seguo il viale. Mi imbatto in qualche furgone in manovra, due operai durante la loro pausa sigaretta, qualche macchina di passaggio. La situazione è tranquilla quasi al punto da essere surreale. Mi sembrano poche persino le macchine parcheggiate in confronto allo spazio in cui mi trovo. Tutto sommato, devo dire che pensavo peggio. Il silenzio diventa piacevole una volta che ci si abitua e, nonostante si tratti di una zona industriale, la Porporata è circondata dalle campagne e dal verde. Insomma, è

molto meno estraniante di altri posti che hanno la stessa funzione (penso alla zona industriale di Rivalta, per esempio). Quando termino il giro, mi imbatto nell’unica realtà che fa eccezione in tutto questo spazio statico e monocromatico. Si tratta del bar Nuova Porporata, in via del Gibuti 1. È una nota di colore che si discosta dal resto, e sembra essere anche discretamente popolato (almeno all’ora in cui ci sono arrivato io, saranno state le 4 del pomeriggio). Parcheggio e entro a prendere un caffè. Come immaginavo, la clientela è varia e il personale è moderatamente sbrigativo, nel senso che si vede l’abitudine a un servizio più improntato alla velocità che alla forma. Il caffè non è il massimo, ma è anche vero che non sono uscito da un turno di otto ore, altrimenti immagino che lo apprezzerei di più. Do un rapido sguardo intorno: arredamento minimale, persone allegre per essere uscite dal lavoro, chi vestito in tuta da lavoro e chi in giacca e camicia. Esco fuori e faccio per tornare a casa, quando mi accorgo che su un cartello, sotto la voce “secondi” del menù del giorno, è scritto: omlet con formaggio. Me ne vado pensando a questo dettaglio: la sostanza conta più della forma, questa è la regola di questi posti e dei centri industriali in generale. In definitiva mi sento di dire che, per essere una zona industriale, la Porporata non è poi la fine del mondo. Tutto quel verde, quel silenzio e il suo essere fuori dalla città, quasi un’isola nella campagna, le danno un fascino tutto suo, in qualche modo la nobilitano. Con o senza omlet.


terra

L’ambiente siamo noi di Sofia Bianchi

Fuochi e fiamme nelle valli Nei giorni scorsi le nostre amate valli si sono ritrovate ad affrontare un mostro più grande di loro: il fuoco. Ne abbiamo sentito parlare molto al telegiornale o sui social network, a partire dalla Valsusa fino ad arrivare nel Pinerolese, gli incendi divampavano illuminando le notti e offuscando i giorni col loro fumo. In diversi sono stati costretti ad evacuare per l’alto rischio di pericolo, ma anche se non si avevano le fiamme a pochi metri da casa, ci si sentiva soffocare da polveri, cenere e fumo. L’Asl ha emanato un vademecum per limitare i danni sulla salute, ma ci sono stati diversi casi di insufficienza respiratoria. A prescindere dalle origini, questo domino di lingue di fuoco sparse su tutto il Piemonte, oltre che creare scompiglio, rabbia, tristezza e preoccupazione nei giorni dei fatti, ha creato un danno ambientale su lungo termine.

Sul suolo: la cenere che si produce e si deposita rende il terreno meno permeabile all’acqua e, in caso di forti precipitazioni, il deflusso aumenta considerevolmente causando, specialmente nelle valli, problemi alluvionali. Aumenta l’inquinamento dell’aria. La flora e la fauna vengono drasticamente ridotte, influenzando così il normale ciclo di vita e biodiversità del bosco, mutandone il patrimonio a causa del diverso habitat. Le vie di comunicazione sono più esposte ad erosione e cadute massi. Aumento delle frane poichè le radici secche non fissano più il terreno. L’elenco potrebbe continuare all’infinito sulle conseguenze degli incendi boschivi, ma concludo ringraziando chi durante l’emergenza ha lavorato ed ha aiutato per contenere e limitare il più possibile i danni.

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così per il mondo

Vita internazionale di Alessia Moroni

Intervista a Valeria Pavese

Ingegnere pinerolese a Sudbury Valeria è un ingegnere pinerolese con un animo internazionale fin dai tempi della scuola dell’obbligo. Vive ormai da più di due anni a Sudbury, in Canada, dove sta svolgendo il dottorato di ricerca in “Natural Resources Engineering e Ingegneria Energetica” lavorando con l’HAC Team di Mirarco Mining Innovation. Il suo è un dottorato speciale perchè si svolge in co-tutela tra il Politecnico di Torino e la Laurentian University. Valeria, parlaci un po’ del tuo lavoro: di cosa ti occupi? Lavoro alla “Mirarco Mining Innovation”: questa azienda è una corporazione, senza scopo di lucro, associata alla Laurentian University e io mi occupo di innovazione in campo minerario ed energetico e di riduzione delle emissioni di gas serra. Il mio progetto si occupa di modernizzare il sistema dell’HAC (Hydraulic Air Compressor), un compressore idraulico del 1900 che sfruttava l’energia idraulica del fiume, e adattarlo per sostituire i meno efficienti compressori elettrici che lo avevano rimpiazzato. Le applicazioni che ne risulterebbero non sono solamente in ambito minerario, ma in tutti quei settori in cui c’è bisogno di aria compressa a bassa pressione. Esattamente qual è lo scopo del tuo progetto di dottorato? Il mio progetto e’ focalizzato sul provare che questo sistema, oltre ad essere utilizzato per produrre aria compressa, può essere sfruttato come sistema di cattura della CO2 (anidride carbonica). Il mio obiettivo è catturare la CO2 presente nei fumi di scarico di vari processi. Dalla cattura ci sono poi due fasi successive che includono l’immagazzinamento e il trasporto dell’anidride carbonica e in ultimo la sua

utilizzazione. Il prototipo su cui lavoriamo e’ stato chiamato BabyHAC e la diversità rispetto al sistema originale è che questo è a ricircolo di acqua: lo si può costruire dove si vuole e non serve più la presenza di un fiume. L’HAC Team ha progettato e seguito la costruzione del BabyHAC “in grande scala”, alto circa 30 metri, che ha sia funzione di ricerca che dimostrativa. l’HAC Demonstrator e’ stato aperto il 21 Giugno 2017. Come mai hai deciso di volare in Canada per il tuo dottorato? Avevo già passato a Sudbury un periodo di sei mesi, nella stessa azienda dove lavoro, per il mio progetto di Tesi di Laurea Magistrale, che ho ottenuto al Politecnico di Torino. Dopo essermi laureata mi sono presa una pausa di qualche mese, per capire cosa volessi realmente fare. Ho fatto alcuni colloqui, ma fin dal termine del mio tirocinio avevo aperta la proposta di dottorato in Canada. Ad Agosto 2015 ho deciso di comprare un biglietto di sola andata ed è così cominciata la mia seconda avventura a Sudbury. Come ti sei trovata e come ti trovi tutt’ora a vivere in un paese così lontano? È un posto splendido, estremamente multiculturale. Qui in Ontario la prima lingua è l’Inglese, la seconda il Francese, che conoscevo, inizialmente persin meglio, perchè ho fatto il Liceo Scientifico Linguistico. Ho sempre avuto la passione per l’estero: a diciassette anni ho svolto un trimestre scolastico in Nuova Zelanda ed ho fatto altre esperienze fuori dall’Italia ancor prima dei sei mesi di tirocinio in Canada.

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arte& spettacolo

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Teatro di Redazione

al piccolo teatro di milano

FINE PENA: ORA Lo scorso 21 novembre, al “Piccolo Teatro” di Milano è andata in scena la riduzione teatrale di “Fine pena: ora”, il libro del pinerolese Elvio Fassone, edito da Sellerio. L’opera racconta la straordinaria corrispondenza, che dura ormai da trent’anni, tra un ergastolano ed il magistrato (Fassone, appunto) che gli inflisse quella condanna, a conclusione del maxiprocesso alla mafia catanese, celebrato a Torino. Sala gremita e pubblico visibilmente emozionato alla fine dello spettacolo, che ha visto la regia di Mauro Avogadro, la drammaturgia di Paolo Giordano, la scenografia di Marco Rossi, e soprattutto l’interpretazione intensa e scavata di due attori di rango quali Paolo Pierobon e Sergio Leone. La storia, che ormai da due anni interroga e scuote il pubblico di decine di incontri, ha il fascino di mettere a contatto due mondi che non potrebbero essere più lontani - l’uomo delle istituzioni chiamato ad applicare una legge severa, e l’uomo della criminalità autore di numerosi gravi delitti - diversi per estrazione, per cultura, per età, per carattere; uomini che il processo colloca in posizioni antagoniste, ma che l’umanità avvicina e rende inseparabili per oltre un quarto di secolo. La scenografia è essenziale ma avvincente. Una gabbia e una vecchia poltrona

Lo

di pelle, nelle quali si muovono un uomo giovane progressivamente scavato dalla detenzione, ed un uomo anziano, visibilmente coinvolto dalle domande antiche sul significato della pena e sulla legittimazione ad infliggerla. E la drammaturgia affronta con coraggio il difficile problema di far colloquiare a contatto diretto due uomini che a contatto non sono stati mai, e di tradurre in gesti quelle che nel libro sono atmosfere e riflessioni intimiste. La difficoltà è risolta, con l’aiuto di musica e luci, attraverso una sorta di dialogo metafisico, che scavalca lo spazio e si immedesima nel tempo carcerario, il tempo che ha come unico fine quello di essere consumato, e nel quale il detenuto può dire “vedo la mia vita scorrere senza di me”. “Mi piacerebbe - ha detto il regista Avogadro - che lo spettatore uscisse alimentando in sé un interrogativo in più su cosa voglia dire decretare la morte civile di una persona”. E Fassone, nell’opuscolo apprestato dal Piccolo Teatro, aggiunge un ricordo speciale: “Se io nascevo dove è nato suo figlio, forse a quest’ora ero un bravo avvocato, mi disse Salvatore verso la fine del processo. Di qui è nato il mio impulso di scrivergli dopo la inevitabile condanna. Perché esiste purtroppo una lotteria della vita, nella quale molti estraggono un biglietto sbagliato senza loro colpa. E perché nessun uomo è mai tutto nel gesto che compie”.

spettacolo al piccolo teatro prosegue fino al

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dicembre


Dal mondo

culture

di Alessandro Castiglia

Geopolitica

Il mistero dei pescherecci fantasma Da più di due mesi decine di navi pescherecce arrivano sulle coste del Giappone e della Corea del Sud. Spesso contengono cadaveri, ma quando gli uomini sopravvivono chiedono asilo politico per non tornare più al porto dal quale sono partiti. Domenica 26 novembre nella prefettura di Akita, la guardia costiera nipponica ha assistito all’arrivo dell’ultima imbarcazione fantasma con a bordo 8 scheletri, un pacchetto di sigarette, qualche bottiglia vuota ed attrezzi per la pesca arrugginiti. Non è una scena del film hollywoodiano “Pirati dei Caraibi”, non c’è nessuna maledizione magica dietro a questo mistero: l’attrezzatura antiquata e le divise dei cadaveri decomposti fanno immaginare che il relitto provenga dalla Corea del Nord. Probabilmente i ritrovamenti sono ricollegabili alle scelte estreme del dittatore Kim, che per rimediare alle difficoltà geopolitiche del Paese ordina ai pescatori di spingersi sempre più al largo alla ricerca di pesci. L’equipaggiamento a disposizione però non è all’avanguardia come quello della Corea del Sud, per questo i pescatori spesso non riescono a sopravvivere all’impresa e spesso la missione finisce con un naufragio. Questa situazione insostenibile per i coreani è figlia degli scontri diplomatici con gli Stati Uniti e con gli altri Stati del mondo. Come precisa il generale H. R. McMaster, consigliere alla Sicurezza nazionale della

Casa Bianca, la crisi che dura da settimane non è un “problema fra gli Stati Uniti e la Corea del Nord”, ma piuttosto “fra il mondo intero e la Corea del Nord”. A impartire ulteriori sanzioni al regime di Kim ci ha pensato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, che, qualche giorno fa, ha limitato ulteriormente gli scambi commerciali e la possibilità di investimenti per il Paese. Le sanzioni colpiscono le esportazioni nei settori del ferro, del carbone e della pesca e dovrebbero privare la Nord Corea di risorse annuali stimabili in un miliardo di dollari. Proprio queste disposizioni spiegherebbero lo strano fenomeno delle navi fantasma. E se già la Corea del Nord sta venendo economicamente strangolata - gli USA hanno tagliato il 90% degli scambi commerciali -, l’ambasciatrice statunitense alle Nazioni Unite, Nikki Haley, minaccia Pyongyang che queste sanzioni non saranno l’unica conseguenza delle sue azioni. Come sempre, a farne le spese sono principalmente i cittadini che, esasperati dalle scelte drastiche del dittatore, cercano in tutti i modi di scappare dall’oppressione: solo qualche giorno fa ha fatto scandalo il caso del disertore nordcoreano che nonostante quattro pallottole nel corpo e vermi di 27 centimetri nella pancia, era riuscito ad attraversare il 13 novembre scorso la cosiddetta “linea demilitarizzata”, il confine che divide le due Coree.

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società

Serate di Laurea

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Serate a cura di Greta Gontero

Serata con Giulia Pagani e Lilian Bonomo

“[In]formale Lisbona” e “Nuova vita agli scarti della città” Il 17 novembre Onda d’Urto ha ripreso le serate di laurea 2017/18 ospitando due relatrici: Giulia Pagani e Lilian Bonomo, entrambe laureate in Architettura Costruzione e Città. La prima a presentare il proprio lavoro è stata Lilian Bonomo, parlando della sua tesi dal titolo Waste architecture nuova vita agli scarti. Queste sono state le sue parole: «Waste architecture sottolinea la volontà di

analizzare un luogo dello scarto, prodotto della città. La città con i suoi affascinanti e contorti intrecci di flussi e contatti invisibili, compenetrazione e divisione di luoghi, vuoti, spazi, “cose”, insieme di individui tanto vicini quanto lontani, tanto diversi quanto simili. La sua forma si disperde e la produzione c r e a abbandono. Tutto appare destinato ad una funzione, la città sembra comporsi di isole galleggianti sulle quali spostarsi. La superficie svela una direzione chiara, in cui le cose “belle” sono da una parte e quelle “brutte” dall’altra. Ma individuare legami, intrecci, separazioni e strappi delle diverse componenti che la compongono, necessita di una lente che ci porta fino alla strada, dove sono i piedi a decidere il cammino e sono i sensi a distinguere il positivo dal negativo». È stato poi il turno di Giulia Pagani con una tesi dal titolo: «[In]formale Lisbona».

Ha riassunto la sua tesi con queste parole: «Lisbona, capitale del Portogallo, famosa da sempre per le sue residenze sociali e per i suoi programmi urbanistici è l’oggetto di studio e se si ritorna a considerare la pratica del camminare come primario strumento conoscitivo della città, ci si può imbattere in realtà nascoste, marginali che si nutrono di residui, realtà che erano state dimenticate o forse semplicemente ignorate: le baraccopoli. Questi piccoli focolai si stagliano sul panorama urbano europeo con una connotazione quasi virale, formando una costellazione di “piccole città” parallele che crescono e nascono su terreni inaspettati. Al posto però di guardare all’inaspettato, al rifiuto, al brutto, come ad un ostacolo all’utopia e u r o p e a , potremmo fermarci ad osservare queste piccole città guardando ad esse come possibilità di cambiamento ed evoluzione. La città ha bisogno dunque di una nuova definizione, di un nuovo significato. Forse ha bisogno di essere ridisegnata con una nuova rete di collegamenti e di ripensare quegli spazi apparentemente vuoti. Creare dei punti di sutura, questo potrebbe essere l’intento della ricerca, cercando di dar inizio a un dialogo, una connessione tra le diverse parti della città».


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Tutto Bandi

documenti

A cura di Federica Crea

Mese di dicembre 2017 BANDO

OGGETTO

Plafond per il sostegno alle spese di progettazione europea

Bando per il sostegno delle spese di progettazione. Rivolto ad enti e organizzazioni che hanno sede sul territorio della provincia di Cuneo

ENTE PROMOTORE http://www.fondazionecrc.it/index.php/ sviluppo-locale/risorseuropa/bandoplafond-per-spese-di-progettazione

Crowdfunding Eppela/ Regione Piemonte per la cultura

Selezione di attività culturali, investimenti in beni e attrezzature e interventi strutturali di recupero o conservazione di edifici già esistenti, da presentare sulla piattaforma di crowdfunding Eppela/Regione Piemonte.

http://www.regione.piemonte.it/ bandipiemonte/cms/avvisi/call-laselezione-dei-progetti-da-presentaresulla-piattaforma-di-crowdfundingeppela-regione

Horizon 2020

Incentivi per progetti di ricerca e sviluppo in vari settori

UniCredit Carta E 2017

Il bando premia progetti con particolare impatto sull’occupazione dei giovani nella fascia di età 15-29 anni. Ad ogni progetto vincitore andranno 42.500 €.

Interventi sulla violenza di genere

Sostegno economico a favore di soggetti che si candidano alla realizzazione di interventi finalizzati alla presa in carico e al trattamento di autori di violenza di genere

Bando nuove generazioni

Promuovere il benessere e la crescita armonica dei minori nella fascia di età 5-14 anni, in particolare di quelli a rischio o in situazione di vulnerabilità

Contributi liberali

Erogazione di liberalità territoriali o liberalità centrali.

Sostegno alle Start up innovative

Servizi di sostegno alle Start up innovative

Erasmus + Plus

Educazione formale e informale dei giovani

Stazioni ferroviarie in comodato gratuito

Riutilizzo delle stazioni per attività sociali

Fondazione Lonati, richieste libere

Sostegno a soggetti che operano in ambiti: Istruzione (formazione, istituzionale, minori) giovani, anziani, sanitario, ricerca, cultura, sociale

Alla ricerca di nuove idee!

Famiglia, Anziani, Disabilità, Nuove Povertà ed Inserimento Lavorativo

Sostegno all’Attività Istituzionale (SAI)

Sostegno al complesso delle attività di un ente e non già ad uno specifico progetto o iniziativa

SCADENZA

Cassa di Risparmio di Cuneo

31/12/2017

Regione Piemonte

31/12/2017

Unione Europea

31/12/2017

Unicredit Foundation

20/12/2017

Regione Piemonte

11/12/2017

Compagnia di San Paolo

09/02/2018

http://www.horizon2020news.it/work-program-2016-2017

https://bandocartae.ideatre60.it/

www.regione.piemonte.it/bandipiemonte/cms/finanziamenti/sostegnoagli-interventi-la-presa-carico-e-iltrattamento-rivolto-agli-autori-di http://www.compagniadisanpaolo. it/ita/News/Fondo-per-il-contrastodella-poverta-educativa-minorile2

Intesa San Paolo

www.group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/banca_e_societa/ita_fondo_beneficenza_contributo.jsp#/banca_e_societa/ita_fondo_beneficenza_contributo.jsp

Regione Piemonte

www.regione.piemonte.it/notizie/piemonteinforma/diario/finanziamentiper-le-start-up-innovative.html

Agenzia Nazionale Giovani

http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/ index_en.htm

Senza scadenza

31/12/2020

2020

Ferrovie dello stato

Senza scadenza

Fondazione Lonati

Senza scadenza

Fondazione Cattolica Assicurazioni

senza scadenza

Compagnia di San Paolo

Senza scadenza

www.rfi.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=3aa298 af418ea110VgnVCM1000003f16f90aRCRD http://www.fondazionelonati.it/presentaprogetto.asp http://www.fondazionecattolica.it/allaricerca-di-nuove-idee/

http://www.compagniadisanpaolo.it/ita/Contributi/SAI-Sostegno-all-Attivita-Istituzionale


SOCIETÀ

Giovani&Nuove tecnologie

Robot

Ciao, mi chiamo Erica! É stata definita “il robot più umano di sempre”: Erica, nata dalla collaborazione tra le università di Osaka, di Kyoto e l’Advanced Telecommunications Research Institute International di Kyoto, è attualmente il robot più simile all’uomo progettato fino ad ora. I suoi creatori, Hiroshi Ishiguro e Dylan Gras, hanno partecipato ad un progetto sul quale il Giappone sta investendo cifre enormi e, come possiamo notare con Erica, i risultati stanno pienamente rispettando le aspettative dei finanziatori. Ma, al di là della sua natura robotica, chi è Erica? Si presenta come una giovane giapponese ventitreenne, ricca di humor ed esteticamente simile a molte sue coetanee. Erica è infatti in grado di raccontare aneddoti e barzellette, è autoironica e loquace, molto aperta e disponibile alla conversazione, gentile ed istruita…Sarebbe la ragazza perfetta se non fosse che è un robot! Dal punto di vista estetico, ha tratti delicati e piacevoli ma ancora imperfetti, essendo il viso ancora privo di naturalità; ha un timbro di voce simile a quello umano (anche se dalla risata traspare la sua natura meccanica) ma non è ancora in grado di muovere gambe e braccia, cosa che lei spera possa realizzarsi in futuro. Il fine della creazione di Erica è, in realtà, molto profondo: comprendere l’essere umano, capire quello che lo distingue da animali e macchine così evolute…Tutte domande alle quali i progettatori sperano di trovare risposta in futuro.

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Il Passalibro

dal tempo

di Cristiano Roasio

Knut Hamsun

Pan

Il mito di Pan incontra la melanconia nordica e si tramuta, da dio del sesso non procreativo e della masturbazione, in un essere masochista incapace di stabilire rapporti duraturi col prossimo; Pan non impersona più la totalità gioiosa del mondo naturale, ma la fuga nel buio e nel freddo della natura norvegese. Pan di Knut Hamsun, premio Nobel nel 1920, riproposto per i tascabili Adelphi proprio in questi giorni, è un romanzo del 1894, un classico, se proprio vogliamo usare questo termine ambiguo, della letteratura nordica (un altro norvegese lo annovera tra le proprie fonti d’ispirazione, sto parlando di Karl Ove Knausgard, autore conosciuto in Italia per la sua biografia in sei volumi La mia battaglia, Feltrinelli) e potrebbe anche esserlo della letteratura occidentale. In capitoli brevi, ritrovati dopo la morte del tenente Glahn e scritti da lui, viene narrata l’infatuazione per Edvarda, una volubile creatura femminile, ma soprattutto vengono raccontati i vagabondaggi del cacciatore-pescatore Glahn ed i suoi cammini tortuosi nei boschi e nella psiche di protagonista-narratore. Pan è un romanzo decisamente moderno, dove gli atteggiamenti di Glahn nascondono un’esaltazione violenta e quasi assurda: si spara in un piede, provoca una frana che uccide un’altra amante, uccide il proprio cane Esopo, unico amico, piuttosto

che lasciarlo con la donna che lo ha rifiutato e così via, fino a culminare negli ultimi capitoli, ambientati in India, narrati da un commilitone-assassino, nell’estrema tendenza masochista: rubare la donna ad un altro soldato e piazzarsi di schiena di fronte al suo fucile, schernendolo. La scrittura di Glahn-Hamsun è semplice e scorrevole eppure l’immersione, panica appunto, nella natura rigogliosa ma distante, quei rapidi momenti di sole prima che l’inverno ed il buio arrivino a nascondere per lunghi mesi la luce, sembra trovare una corrispondenza nella psiche dell’uomo. Si infittisce così il legame tra natura e scrittura, tra l’attività armoniosa che dovrebbe essere la vita ed il brulicare torbido del pensiero. Nelle parole dell’autore tratte da Fame (Adelphi): E intorno a me covava sempre la stessa oscurità, quella stessa eternità nera e imperscrutabile, contro la quale si inalberavano i miei pensieri incapaci di afferrarla. Con che cosa potevo paragonarla? Feci sforzi disperati per trovare una parola abbastanza grande per definire quel buio, una parola così crudelmente nera da annerire la mia bocca quando l’avessi pronunciata.

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primo piano

Sociale & Volontariato di Gruppo Giovani Croce Rossa Italiana Pinerolo

Raccontarsi

Giorgia, giovane volontaria in CRI Intervista a Giorgia, quasi 19 anni, volontaria della Croce Rossa, del comitato di Torre Pellice, ma che lavora di più nella sede di Pinerolo. Quando sei entrata in Croce Rossa? Perché? Sono entrata in Croce Rossa il 25 novembre 2014. Il perché non lo saprei dire. Ai tempi in cui entrai frequentavo ancora il conservatorio di musica di Torino e pensavo che la mia vita fosse già incasinata così, tra liceo e musica quindi non avevo mai pensato di fare qualcos’altro nella mia vita. Poi un giorno dei volontari sono venuti a scuola a portare la loro esperienza e subito dopo il video di presentazione io ero già convinta di voler entrare a far parte di questa associazione. So che molti dei miei “colleghi” hanno motivazioni che oserei definire filosofiche ma in realtà io sono entrata in Croce Rossa semplicemente perché ero curiosa e perché mi piaceva, in qualche modo mi sembra la risposta più pura ed onesta che si possa dare. Di cosa ti occupi? In croce rossa non ci sono limiti. Formalmente parlando sono la responsabile della sede di Pinerolo e mi occupo della gestione dei giovani (dai 14 ai 31 anni). Le formazioni che ho seguito all’interno della Croce Rossa mi portano ad occuparmi di attività nel sociale o comunque ad individui vulnerabili ma in realtà ogni settimana mi occupo di qualche cosa di diverso. Il grande pregio di essere in Croce Rossa è che qualsiasi cosa ti interessi in qualche modo lo ritrovi. Ti piace dipingere? Bene creiamo dei laboratori per bambini in difficoltà. Sei bravo con la macchina fotografica? Bene, puoi occuparti di tutta la gestione dell’immagine dell’associazione. Ogni cosa, ogni interesse trova il suo posto in Croce Rossa,tu stesso trovi il tuo posto. Nel tempo cosa ti ha spinto a continuare a far parte dell’associazione? È una domanda che mi sento fare spesso, specialmente quando magari la vigilia di Natale o Natale stesso mi ritrovo con la mia divisa addosso da una parte o dall’altra della città a fare chissà che cosa. Non saprei come spiegare il perché

ma quando sei in Croce Rossa è come se tu fossi in una bolla estranea a tutto il resto. Per cui non importa chi sei, cosa hai fatto o qualsiasi cosa ti sia successo, sei semplicemente lì a dare il tuo contributo, piccolo o grande che sia. Non è un peso, non è una costrizione, nè tanto meno una perdita di tempo. Molte persone quando parlo del mio essere volontaria (circa il 70% delle volte che apro bocca) mi dice che sto dando troppo all’associazione, che loro non capiscono e non lo farebbero; il problema è che loro, giustamente, non si rendono conto invece di quanto l’associazione abbia dato a me. Ho conosciuto tantissime persone e molto spesso anche completamente diverse da me, che mi hanno raccontato storie che non avrei mai sentito, ho provato sulla mia pelle cosa vuol dire cercare di essere un agente di cambiamento ed essere in prima linea per quello che è giusto e non semplicemente stare lì a guardare. Mi ha fatto crescere come persona e mi ha investito di responsabilità che io stessa volevo prendermi ma che normalmente non mi vengono date “ perché sono troppo piccola e non potrei capire”. Okay, sono troppo piccola, non ho di certo avuto tutte le esperienze che una persona adulta ha avuto ma ho la voglia di mettermi in gioco, di imparare cose nuove e ho una prospettiva ed un approccio alle problematiche diverso che qualche volta, non sempre, può essere utile. Croce Rossa ha riconosciuto la mia potenzialità, così come quella di molti altri giovani e l’ha usata come punto di forza. Per concludere, sono in Croce Rossa perché ogni volta ho la possibilità di provare e vedere cose nuove, perché mi spinge ad andare oltre a quelli che considero dei limiti e mi fa rischiare e perché ho conosciuto e continuo a conoscere tantissime persone che hanno cambiato il mio modo di vedere il mondo e io voglio continuare a cambiare. Per cui per tutti quelli che mi chiedono “ ma ne vale veramente la pena? “ io rispondo “ assolutamente sì“.

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Officine del suono

musica

di Isidoro Concas

M usica emergente

Johnny Fishborne Gionatan Scali, in arte Johnny Fishborne, è un cantautore torinese con base a Londra. Lo abbiamo incontrato in occasione del suo breve ritorno nella sua città natale, per presentare alcuni suoi nuovi lavori. Johnny, dopo un anno e mezzo di assenza sei tornato a Torino e hai presentato all’Astoria il tuo nuovo repertorio di inediti. Com’è stata l’esperienza del ritorno? Non riesco a spiegarlo in due parole, è ancora troppo vicina. È stata una parentesi surreale, non mi sembrava di essere li veramente. Vedere i miei amici e i miei cari dopo molto tempo e correre su delle rotaie per gustare l’avvicinamento è stata un’esperienza emotiva molto forte. Ho fatto dei disegni mentre il treno correva. Ho visto la ragazza del mulino a vento a Parigi, che mi ha traghettato da Gare du Nord a Gare De Lyon. Un caffè a Parigi. Le ho spiegato in due parole della mia vita londinese. Lei è un’interprete e corregge e traduce libri in francese e inglese. Ho preso il treno che andava a Torino. A SaintJean-De-Maurienne ho avuto una visione dal finestrino del treno, vicino alla Savoia, all’inizio delle Alpi. Il treno correva e costeggiava una strada sterrata, e ho visto questa ragazza andare a cavallo. Il risultato del mio disegno è stato una ragazza che corre su un toro, le 4 tettarelle che rappresentano la mia famiglia. Dall’autostrada ho scorto che mancavano 248 chilometri a Torino. E poi il live, l’accoglienza, il pubblico, le amicizie. Tutto intatto. Tutto è filato liscio come l’olio. Più forti di quello che siamo, più grandi le sfide, più consci per questo. Il live è stato più bello di quello che fu l’8 marzo del 2014 per l’uscita di WIndmill Girl. Ma non è finita qui. Windmill Girl, il tuo ultimo album, è nato dalle esperienze che hai vissuto in terra olandese. I tuoi prossimi lavori sono ispirati a Londra, dove ti sei trasferito ed ora vivi. In che modo i luoghi influenzano la tua scrittura?

Molto semplice: la parte emotiva incontra la realtà, le metto assieme. I momenti di ispirazione ad East London li ho coniati sotto il nome della psicogeografia, quel momento in cui la realtà incontra l’immaginazione. Ne ho tanti di questi momenti. All’inizio erano pochi, ora posso averne quasi uno al giorno se sono abbastanza connesso. Le forme con cui le indirizzo sono per ora tre: scrivo, disegno, oppure suono. Raccolgo quello che vedo e vivo in forme d’arte diverse, senza darmi alcuni paletti. Lo faccio, anche se sbaglio. L’arte è un errore. Ero bravo in geografia da piccolo. Ho un grande senso dell’orientamento. So dove andare, sempre, non ho bisogno di app per spostarmi. È come se lo avessi sempre saputo. Cerco me stesso in quello che faccio. È una ricerca continua. Spesso, se sono giù di morale, creo. Quello è il momento migliore, e Londra mi sta dando tanti di questi momenti. È dichiarata la tua ispirazione alla figura artistica di Frank Zappa. In che modo ti influenza nel rapporto che hai con la musica, o nella vita in generale? Frank? Frank è tutto per me, nella mia vita. Quello che amo di lui è l’amore per la provocazione, il fatto che si fosse preso gioco degli americani, il fatto che fosse grottesco e dissacrante, il fatto che per quanto fosse matto lui avesse dichiarato di non aver mai toccato una canna e di essere un buon padre di famiglia con mutuo e una casa da pagare. Il gap tra la vita della rockstar e la vita privata era abissale: questo mi affascinava di lui, in quest’epoca di falso perbenismo e violenta ostentazione. Nell’epoca di Trump e dell’immagine servirebbe un nuovo Zappa a far calmare noi esseri umani tutti e farci riflettere su quanto siamo cretini e poveri di contenuto. Io, da buon matto nato il pesce di aprile, non posso che trovarmi simile e rivedermi in quella che è stata la sua vita.

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mondo

Appunti di viaggio di Angelica Pons e Mauro Beccaria

sul filo dei ricordi e del confronto

Aconcagua un anno dopo

Un anno fa Mauro partiva per la spedizione per il tetto dell’America Latina, Aconcagua, 6.962 m. Una meta sognata e temuta, una prova non da poco per chi non è alpinista, doppiamente impegnativa per chi non è più giovanissimo ed ha combattuto un tumore, anzi, ha fatto di questo camminare una terapia. Perché raccontare questo? Perché per due serate al Cai di Pinerolo alpinisti esperti, veterani delle cime, hanno raccontato, proiettato e condiviso i propri scritti proprio su questo argomento. C’era chi ci è salito che aveva 40 anni invece di 56, chi ci è salito 30 anni fa e chi l’anno scorso. Entrambi i gruppi hanno trovato la neve. Mauro per uscire dalla tenda ha preso a calci la porticina e poi ne ha spalato via un metro e mezzo per fare il sentiero. Sono cambiate tante cose, i costi innanzitutto, per l’ingresso al parco, per l’attrezzatura, per la tecnologia; non c’era mica internet allora! E’ cambiata l’affluenza a questa vetta. Mauro nel vedere le foto dei nostri amici dice: al campo base Plaza de Mulas 4.450 m con loro c’erano una manciata di tende, lo scorso anno ce n’erano molte molte di più! Chi ci è salito con l’abbigliamento di lana e chi con abiti tecnici. Chi è partito dall’Italia e chi si è organizzato on line partendo realmente da Mendoza. Chi ha soggiornato e condiviso l’esperienza con i più cari amici con cui voleva condividere un’esperienza forte, sapendo di poter contare gli uni sugli altri. Chi ha trovato un gruppo in loco, sconosciuti che, dopo questo, sono

come di famiglia. Mauro all’ostello Savigliano ha persino incontrato Alessandro, il gestore, un ragazzo di Carignano, con cui ha fatto amicizia e che gli ha detto spassionatamente: «lassù ci sono 30° sotto zero e il vento soffia da 90 a 120 km/h quando è arrabbiato: tu sei matto a salirci». Chi per tante ragioni ha dovuto fare in fretta fretta e non ha potuto raggiungere la cima. Chi sapeva gli scherzi che fa l’altitudine, ha fatto le soste necessarie di acclimatamento, Chi grazie alle nuove tecnologie aveva le previsioni meteo in tempo reale, chi si poteva solo fidare dell’istinto e guardare fuori dalla tenda. Chi ha risolto le difficoltà nei modi più imprevedibili e a volte buffi. Mauro per fare “plin plin” di notte si era portato una borraccina, per non uscire fuori nel gelo più totale. Le difficoltà sono tante prima e dopo. Anche per chi resta a casa e non ha notizie. A “plaza de mulas” sono arrivati tutti, sia gli amici di allora, sia il pellegrino di oggi coi 3 compagni di viaggio. Tutti, chi a piedi, chi a dorso di mulo. Tutti si sono portati gli zaini e le provviste. Entrambi gli appartenenti alle 2 spedizioni hanno preso i bagagli necessari, come il coraggio a due mani e l’entusiasmo, e anche la consapevolezza che per il meteo o per la salute si deve avere la forza di rinunciare, come è stato per alcuni di allora e di oggi. Gli obiettivi? diversi, forse, ma una vetta alpinistica ti trasforma. Ti pone di fronte ad un traguardo con se stessi, con la propria salute, con Dio. E quando si torna ci si racconta e ci si confronta. Bravi tutti.

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Gli Eventi

eventi

Al Castello di Miradolo

“Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura”

Fino all’11 febbraio 2018, nelle sale del Castello di Miradolo, sarà visitabile la mostra “Fausto Melotti. Quando la musica diventa scultura” dedicata a Fausto Melotti (Rovereto 1901 – Milano 1986): artista poliedrico, insieme scultore, pittore, ceramista, scrittore, grande appassionato ed esperto di musica, è stato tra i protagonisti dell’arte del Novecento. La mostra, curata da Francesco Poli e Paolo Repetto, vuole sottolineare i due principali aspetti della ricerca di Melotti: da una parte i temi connessi alla sua profonda ispirazione musicale, dall’altra quelli con valenze più narrative, mitiche, favolistiche. Attraverso l’esposizione di oltre 80 opere - dalle ben note sculture in ottone e acciaio, alle raffinatissime ceramiche e alle opere dipinte, prevalentemente tecniche miste su carta (e anche su pannelli in gesso) - in quattordici storiche sale del Castello, viene presentato il suo iter creativo. Con questa mostra la Fondazione Cosso, sempre alla ricerca di idee innovative, approfondisce il legame tra arte e musica, indagando i temi connessi all’ispirazione musicale della ricerca di Fausto Melotti. Lo speciale allestimento “Da un metro in giù” rende la visita adatta ai più piccoli e alle loro famiglie. È anche disponibile un servizio di audio guida.

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Sono amici di Pinerolo Indialogo.it e di Onda d’Urto24


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