Pineroloindialogo novembre2017

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Anno 8, Novembre 2017

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Pinerolo è una città felice? Paola Eynard, vicepresidente della Fondazione Cosso: “Con le professionalità nei giusti ruoli Pinerolo è una città che ha enormi potenzialità”

Vivere Pinerolo /6, Una rivisitazione giovane della città. Di Remo Gilli “Il centro studi di Pinerolo”.

Docenti universitari del Pinerolese /37, Giovanni Balcet: “Non è vero che con la cultura non si mangia. I progetti e le risorse culturali ben gestite sono fonte di reddito e di sviluppo”


Buone News A cura di Francesca Olocco

GreenTo

Il GREEN OFFICE DI UNITO Come si legge dalla sua pagina Facebook «GreenTo è un’associazione studentesca nata nel maggio 2016 presso l’Università degli Studi di Torino. Si occupa di rendere l’ateneo più sostenibile grazie all’azione comune di studenti, ex-studenti e ricercatori in collaborazione con UniToGO». È quindi un vero e proprio green office che con grande impegno sta tentando di entrare in quel network inventato nei paesi nordici (in particolare in Olanda) volto a sviluppare idee sostenibili all’interno delle università. Una conferma di queste ottime intenzioni ce l’ha dateaFederico Dattila, un ragazzo pinerolese che in questo momento si trova in Svezia per terminare i suoi studi in Fisica, ma lo scorso anno ha fatto conoscere questa bella realtà ai partecipanti di Serate di Laurea e ai lettori di Pinerolo Indialogo. In questi mesi GreenTo ha portato avanti due progetti molto importanti. Per primo, sono state organizzate due “guerrilla bike” tra aprile e maggio per rivendicare il diritto ad una mobilità sostenibile tra le sedi dell’Università degli Studi di Torino. In particolare, è stata richiesta dai ragazzi una pista ciclabile bidirezionale che collegasse il Campus Luigi Einaudi ai dipartimenti scientifici della zona di via Pietro Giuria e San Salvario. La Giunta Comunale torinese ha effettivamente approvato il progetto ed è stata così realizzata una via universitaria a mobilità promiscua, dove le auto possono effettivamente circolare ma senza superare i 30 km/h. Per festeggiare questa importante conquista, il 21 settembre è stata organizzata, insieme al green office di ateneo UniToGO, una “UniBike”, ovvero una pedalata in compagnia e del tutto ecologica. Durante la stessa giornata, che rientrava nella settimana europea della mobilità sostenibile, sono state organizzate altre attività presso il Campus Einaudi, tra cui un seminario dal titolo «Come si muove la comunità di UniTo?», durante il quale sono stati presentati i risultati dell’indagine MobilitaUniTo.

Il questionario ha ricevuto le risposte da 17.500 persone circa, tra studenti, docenti e personale tecnico e si è posto come obiettivo quello di studiare gli spostamenti casa-università, focalizzandosi sui metodi di spostamento e i tempi di viaggio. Se, come prevedibile, i mezzi scelti possono cambiare di giorno in giorno ma, soprattutto, in base alla stagione, ciò che è importante sottolineare è che la migliore percezione di soddisfazione sul proprio tragitto viene da chi utilizza la bici o le proprie gambe per recarsi in aula (8/10 punti). Questo è dovuto in parte anche al traffico in città che blocca le auto (6.5/10 punti) e dal sovraffollamento dei mezzi pubblici (totale insoddisfazione), che mettono a dura prova la sopportazione di tutti gli utenti. La creazione di percorsi sicuri per chi sceglie gli spostamenti sostenibili è quindi fondamentale, perché il numero di queste persone potrebbe aumentare, migliorando nettamente la sostenibilità ambientale dell’Ateneo torinese. Al momento, la bicicletta è il mezzo prevalente solo nel 4,2% dei casi, ma nella stagione più calda la quota raddoppia arrivando quasi all’8%, affiancata dal bike sharing che aggiunge un 0,6% d’inverno e quasi un 2% d’estate. A ciò si aggiunga la quota di chi sceglie di andare a piedi verso l’Università, ovvero il 12%. È importante notare che a scegliere le modalità ad elevato grado di sostenibilità (tutte le combinazioni tra Trasporto Pubblico Locale e la cosiddetta active mobility, a piedi ed in bici) sono maggiormente gli studenti, con oltre l’80% di spostamenti pienamente sostenibili, mentre i docenti si fermano al 55% e il personale tecnico al 60%. A questo punto non resta che porsi nuovi obiettivi a partire dai dati acquisiti e riflettere (tutti) su cosa potrebbe significare una mobilità cittadina più sostenibile. Non si tratta di un percorso breve o a basso costo, ma la consapevolezza dell’importanza di questo tema è fondamentale acquisizione per fare importanti passi avanti. Link ai risultati dell’indagine: http://www.unitonews.it/ index.php/it/news_detail/tutti-i-numeri-della-mobilita-unito.

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33 Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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Pinerolo è una città felice? Pinerolo è una città felice? Meglio: a Pinerolo si vive in modo felice? Da alcuni decenni gli economisti per misurare il benessere di una nazione non parlano solo più di Pil (Prodotto Interno Lordo), ma di Fil (Felicità Interna Lorda). Per misurare la ricchezza di un popolo non si basano solo sui beni materiali posseduti, ma sul benessere di cui gode. Per fare ciò usano parametri come la qualità dell’ambiente e dell’aria, il verde pubblico, le piste ciclabili, gli asili nido, le attrezzature sportive, i servizi agli anziani, i parcheggi, le scuole, il bene paesaggistico, i servizi commerciali, ecc. che i governanti riescono ad assicurare ai loro cittadini. Un piccolo Stato come il Buthan adotta ormai da anni a livello ufficiale la Fil con dei riscontri eccellenti sul benessere del proprio popolo seppure abbia un Pil basso, al contrario di Singapore che seppur con un Pil molto alto ha una Fil bassa. Verrebbe da dire poveri ma felici, cosa che non vale al contrario. Tornando a Pinerolo, usando i parametri della Fil possiamo dire qualcosa sul suo stato di benessere. Il clima e l’ambiente della città sembrano buoni, le scuole pinerolesi sono di buona qualità (lo abbiamo sentito da diversi docenti universitari), il verde pubblico è più che dignitoso (Villa Prever, giardini De Amicis, Piazza d’Armi, la collina, ecc.), - nonostante le numerose critiche (anche nostre) per il degrado - i servizi sociali e sanitari sono pure buoni. Verrebbe quindi da affermare con sufficiente certezza che Pinerolo è una città felice (seppur con mille difetti). Che sia questa la strada da seguire per il rilancio della città, invece che sognare avveniristiche ipotesi imprenditoriali che non hanno alcun fondamento? In fondo una città dove si vive felici è attrattiva (la presenza di 30 docenti universitari in città è una conferma), attira nuovi insediamenti soprattutto di persone con un forte potere di spesa e di utilizzo dei servizi. Forse puntare a potenziare la Fil è la scoperta dell’acqua calda. Antonio Denanni PINEROLO / INDIALOGO.it .

Direttore Responsabile Antonio Denanni Collaborano: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Aurora Fusillo, Francesca Beltramo, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Federica Crea, Luca Barbagli, Greta Gontero, Alessandro Castiglia, Michele F.Barale, Anna Filippucci, Francesca Olocco, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Angelica Pons, Alessia Bianchi Con la partecipazione di Elvio Fassone

Indialogo.it, Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 - Ed. Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - E-mail: redazione@pineroloindialogo.it STAMPA: In proprio

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Buone News

il green office di unito

Incontri

intervista a paola eynard,fondazione cosso

Vivere Pinerolo /6

Il centro studi

Docenti universitari pinerolesi/37

giovanni balcet, economia internazionale

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L’ambiente siamo noi

l’impronta ecologica

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In Italia

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italia un paese multiculturale

Vita internazionale

intervista a sara fornerone

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Giovani&Scuola

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laurearsi conviene

Dal mondo

Macron vince perché è gay

Giovani & Lavoro

fabbisogno professionale in piemonte

Visibili & Invisibili

amnesty: le condizioni dei rohingya

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Il Passalibro

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Sociale & Volontariato

l’innominabile attuale

i giovani della cri

20 Officine del suono

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zonamc

Viaggiare

ultime tappe della francigena del nord

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Amici di Pinerolo Indialogo

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incontri

Città & Territorio

44 di Antonio Denanni

Intervista a Paola Eynard, della Fondazione Cosso

«ConleprofessionalitàneigiustiruoliPinerolo è una città che ha enormi potenzialità» “Le parole chiave della Fondazione Cosso sono sempre state ricerca e innovazione” Paola Eynard, laurea in Scienze Politiche, insieme alla mamma Maria Luisa Cosso, dirige da nove anni la Fondazione Cosso di Miradolo. L’abbiamo sentita come operatrice culturale di primo piano non solo del Pinerolese. La Fondazione Cosso è ormai una realtà culturale affermata nel territorio. Ce la riassume con dei dati numerici? In 9 anni di attività abbiamo avuto più di 200 mila visitatori, abbiamo fatto 18 grandi mostre, 19 concerti più le numerose repliche in collaborazione con i giovani professionisti del progetto Avantdernière. Quest’anno abbiamo avviato anche il progetto di valorizzazione del parco che è culminato il 21 giugno con la celebrazione del solstizio d’estate e poi il 25 con la nascita dell’alba, che ha registrato il tutto esaurito. C’è poi stato il progetto Ulisse con le scuole superiori di Pinerolo con la partecipazione di 300 ragazzi. Qual è la filosofia di fondo che la guida? Le nostre parole chiave sono sempre state ricerca e innovazione. Quindi da un lato cercare di portare l’attenzione su degli aspetti culturali poco battuti, dimenticati o sconosciuti e dall’altro cercare sempre di aggiungere degli elementi di novità alle cose che facciamo. Il trait d’union di tutto è poi la qualità delle nostre attività, che è sempre stata il fondamento di tutta la vita di mia mamma e mia. La speranza è che questo luogo possa diventare sempre più un punto di riferimento culturale e turistico per il territorio. Delle mostre che sono state realizzate finora, qual è quella che vi ha dato più soddisfazione? Tutte sono state di grande soddisfazione. Quelle che più ci hanno riempito di gioia sono state la riscoperta di Orsola Maddalena Caccia, monaca, grandissima pittrice del ‘600, che era praticamente sconosciuta prima della nostra mostra. Il nostro

catalogo è stato il primo e fino ad ora l’unico che esiste su di lei e la nostra mostra ha dato il via a tutta una serie di iniziative. Un altro personaggio a cui ci siamo molto affezionati è Spazzapan, artista vissuto anche a Pinerolo e completamente dimenticato dalla critica artistica degli ultimi decenni. Un’altra mostra che ci ha segnato molto è quella su Porcinai, il più grande paesaggista italiano del ‘900. La Fondazione Cosso è una vera e propria impresa culturale: quante sono le persone impegnate e quali sono le problematiche per gestire questa impresa? Sì, è un’impresa in tutti i sensi. Noi siamo dieci persone fisse assunte dalla Fondazione Cosso, più un consistente numero di collaboratori esterni. Le difficoltà sono legate innazitutto al seguire contemporaneamente tutte le anime della fondazione, che spaziano dalla natura, alla musica, all’arte con i bambini, agli anziani, ai progetti coi disabili... che meritano tutti uguale attenzione. Un’altra difficoltà è quella di dosare con equilibrio la gestione del personale molto giovane, formandolo, ma allo stesso tempo appoggiandolo nella crescita personale senza prevaricare, per costruire uno staff di persone che abbiano a cuore la fondazione, ma che allo stesso tempo si sentano partecipi di una crescita. È un’impresa che sta in piedi con le proprie forze o c’è bisogno del mecenatismo per sostenersi? Considerati i grandi investimenti richiesti dalla ricerca e dall’innovazione continue che caratterizzano la nostra Fondazione il mecenatismo è fondamentale. Agli investimenti per le attività presentate al pubblico ogni anno, si somma l’impegno per il restauro del castello e del suo parco storico. La sfida per i prossimi anni sarà sicuramente la sostenibilità economica della Fondazione. Ad oggi il riconoscimento e il sostegno da parte di alcune importanti istituzioni come Regione


“Considerati i grandi investimenti richiesti dalla ricerca e dall’innovazione continue il mecenatismo è fondamentale” 5 Piemonte, Compagnia di San Paolo, Fondazione Crt, relativi ad alcuni progetti, ci confortano molto. Miradolo è un po’ periferica rispetto alla città capofila del territorio, Pinerolo. Quali sono i rapporti con la città? I rapporti sono buoni. Diciamo che potrebbero migliorare sia con le istituzioni che con le associazioni culturali. Con molte associazioni lavoriamo molto bene, con l’amministrazione cittadina quando siamo stati interpellati abbiamo sempre dato la nostra disponibilità. Forse da parte della nuova amministrazione non vi è ancora una visione completa di tutte le realtà del territorio e quindi di tutte le sue potenzialità: studiare queste realtà e provare a metterle assieme potrebbe essere una cosa molto positiva. Noi siamo sempre aperti a delle collaborazioni. Periodicamente in città si accende il dibattito sulle politiche culturali. Che cosa è necessario secondo lei per una seria politica culturale? Credo che per una seria politica culturale si debba innanzitutto conoscere bene il territorio, con i suoi limiti e risorse e puntare su quelle che sono le potenzialità. Per fare questo ci vogliono delle competenze specifiche e delle professionalità di settore. Ho la sensazione che in Italia (pure a Pinerolo) la persona che si occupa di cultura sia sempre stata l’ultima ruota del carro. Se ci fossero delle professionalità nei giusti ruoli secondo me si potrebbe lavorare molto bene sulle enormi (ripeto enormi!) potenzialità che ha Pinerolo. Naturalmente per fare ciò bisogna avere una visione d’insieme, che possa anche essere raccontata e condivisa in modo che i cittadini la sentano una cosa propria. La sua famiglia è proprietaria in corso Torino, a Pinerolo, di un grande immobile di archeologia industriale. Avete un qualche progetto su questo stabile? Questo immobile ci è caro per tre motivi: perchè è una memoria storica di quello che è stato per la vita di mio nonno e di mia mamma, perchè è un pezzo importante della memoria industriale di Pinerolo e anche perchè è un sito bellissimo dal punto di vista architettonico, dove si potrebbero fare mille cose. Noi

siamo in attesa da tanti anni che l’amministrazione capisca l’importanza di questo luogo e faccia una variante al piano regolatore per utilizzare al meglio questo spazio. Da quando abbiamo iniziato a dialogare con il Comune si sono susseguite tre amministrazioni diverse, ma le lungaggini delle pratiche comunali non si sono sbloccate: il progetto forse non è stato pienamente capito. È un progetto che invece di destinare quello spazio a mille speculazioni edilizie e commerciali vorrebbe metterlo in sinergia con il castello di Miradolo per farne un secondo polo culturale a disposizione della città. Il desiderio grande è di legare le due realtà. L’attuale amministrazione di Pinerolo ha deciso di puntare sul centro storico per rilanciare la città. Come operatrice culturale qual è a suo parere la condizione di fondo perchè questo avvenga? La scelta di puntare sul centro storico è assolutamente giusta, perchè è il cuore della città, è un centro storico molto bello, che ha una serie di problematiche ma tutte risolvibili. La bellezza è il punto di partenza: io credo che a un cittadino o a un turista piaccia stare in un luogo bello, con vasi, piante, panchine, ecc. con la cura per un luogo che è di tutti. Poi bisogna puntare sul coinvolgimento dei commercianti e ristoratori perchè diventi un luogo vivo e pulsante. Un’altra cosa molto importante è di inserire all’interno del centro storico la programmazione di una serie di eventi di qualità per attirare anche le persone da fuori. Insomma si tratta di lavorare su due livelli: uno sui pinerolesi per far scoprire la bellezza di questo luogo e in secondo luogo farlo scoprire ed amare da chi viene da fuori. Le cose belle e i bei progetti richiedono sempre anche la capacità di raccontarli per farli apprezzare. Ritorniamo alla Fondazione. Ci può anticipare qualcosa sulle prossime mostre o iniziative in programma? L’11 novembre inauguriamo la mostra su Fausto Melotti che è un po’ una novità per noi perchè non abbiamo mai fatto una mostra di scultura. Poi proseguiamo con il racconto del parco e il progetto Ulisse con le scuole e l’impegno nel sociale.


in citt À

Vivere Pinerolo/ 6

6 6 di Remo Gilli

Una rivisitazione giovane della città

Il centro studi di Pinerolo

«Tra le otto e le otto e mezza un via vai di automobili, una mezz’ora di fuoco in cui il caos regna sovrano nella zona tra macchine strombazzanti, bus gremiti e i giovani pinerolesi che raggiungono la propria scuola a piedi» Liceo Scientifico Marie Curie, IIS Alberti – Porro, Liceo Artistico, Istituto Tecnico Michele Buniva e Alberghiero IPSAR Prever. Il centro studi di Pinerolo è questo, più le scuole primarie seminascoste verso la ferrovia che separa questa zona della città dal quartiere residenziale a ridosso della collina. Un centro che raduna più di 5000 studenti da tutto il pinerolese ogni giorno, nonché la parte di Pinerolo alla quale molti giovani si approcciano per la prima volta con l’inizio del liceo, me compreso. Il grande parcheggio antistante lo scientifico è gremito, come ogni mattino. Il via vai di auto inizia, in questo periodo, alle otto per concludersi alle otto e mezza, una mezz’ora di fuoco in cui il caos regna sovrano nella zona tra macchine strombazzanti, bus gremiti e i giovani pinerolesi che raggiungono la propria scuola a piedi. Una marea infinita di studenti assonnati e leggermente infreddoliti per via dell’aria del mattino destinata a concludersi ciclicamente con il suono delle campanelle che si possono sentire persino dalla strada. Questo è il centro studi a ottobre, l’esatto opposto di cosa è dato vedere in estate, almeno fino alla prima metà di settembre.

Con la fine delle lezioni, infatti, il quartiere si svuota. O meglio, torna alla normalità, quella dei residenti che portano il cane a passeggio la sera, dei lavoratori che rincasano a fine giornata, delle strade di periferia che raramente vedono il fenomeno del traffico. Insomma, un non-luogo estivo che prende forma e cambia e vive col ritorno, ciclico, degli studenti. Immagino che chi abita qui ci sia abituato. Forse, ma non ne sono così sicuro, deve essere bello vedere tutto questo movimento la mattina. Un movimento convulso e confuso, frotte di giovani che intasano i marciapiedi e le strade davanti alle scuole. A me piacerebbe, ecco. Quando il tran-tran si placa con l’inizio delle lezioni, la strada torna a essere vuota come d’estate, ma nell’aria si sente una differenza netta: è un silenzio rumoroso, come se si sentissero gli studenti e i professori dalle classi, i libri sfogliati, le penne che scrivono. Si sente la vita negli edifici, tutta quella vita giovane e affascinante perché ci siamo passati tutti. È strano: quando ero lì dentro, guardavo fuori dalla finestra e mi chiedevo come doveva essere passeggiare un mercoledì mattina qualsiasi di ottobre o novembre o


«Un centro che raduna più di 5000 studenti da tutto il pinerolese ogni giorno»

marzo o aprile, senza l’idea di non essere dove si dovrebbe essere, senza il timore di venire sgamati, come dicevamo allora. Oggi guardo la stessa finestra e chissà cosa darei per ascoltare una lezione di filosofia ancora una volta. Credo sia l’ironia del tempo che passa: un giorno rimpiangerò i tempi in cui andavo in giro per Pinerolo scrivendo articoletti su luoghi che, per me, a tratti sono indecifrabili, a volte tristi, altre bellissimi. Nel parcheggio non c’è più un buco, tutto attorno al monumento dedicato alle vittime della strada le macchine riposano i motori, mentre gli ultimi ritardatari cercano uno spazio per parcheggiare. Anche i bar degli studenti sono vuoti, ormai, riempiti soltanto dai soliti ragazzi che bigiano. Se si continua la strada delle scuole, ovvero via dei Rochis, e si passa sotto il cavalcavia che sovrasta la ferrovia (c’è un murales bellissimo, lì sotto, fatto dal liceo artistico), si arriva ai centri sportivi. A sinistra si trova la stazione di Pinerolo Olimpica, una stazione finta e un po’ insulsa (scusatemi, pinerolesi, ma questo va detto), mentre proprio davanti al cavalcavia si trova il Palazzo del Ghiaccio in cui si sono svolte alcune discipline delle Olimpiadi Invernali di Torino 2006. A fianco, separato soltanto da un viale alberato in cui le scuole spesso portano gli allievi durante le lezioni di educazione fisica, si trova il complesso polisportivo F.lli Martin, con il campo da calcio circondato dalla pista di atletica e, poco più in là, l’Alberghiero Prever. Qui ci venivo anch’io da ragazzo, quando frequentavo lo scientifico, per allenarmi. Oggi vedo i soliti studenti correre stanchi i lunghi giri di riscaldamento, alcuni sono goffi come solo gli studenti alle prese con lo sport possono essere. Li guardo per un po’, cercando di capire quanti anni abbiano, da quali scuole arrivino. Penso siano proprio dell’alberghiero, ma non ne sono sicuro, del secondo o del terzo anno. Percorro il viale alberato che da lì mi porta al Parco Olimpico, un posto di Pinerolo che è difficile da spiegare a chi non l’ha mai visto. È brutto o è bello? Ha senso di essere? La cittadinanza lo apprezza? Non so rispondere, di certo è tenuto male, però. Semi-spoglio e quasi abbandonato, questo posto ricorda i fasti del 2006 e anche la decadenza successiva (Torino è piena di esempi del genere, basti

pensare all’ex MOI del quartiere Lingotto). Mi siedo in una delle “palle” di acciaio sparse qua e là nel parco, quella vicino alla costruzione cubica in cui da ragazzo andavo a fumarmi le canne con gli amici. Pensavo di trovarci degli studenti, e invece niente. Forse è troppo presto, o forse adesso le canne se le fanno da qualche altra parte. Di certo se le fanno. Mi guardo attorno. L’edificio è un monumento all’abbandono, imbrattato in tutti i modi. Non che sia un male, il fatto che sia imbrattato. Diversamente sarebbe un cubo grigio nel verde del parco. Chiaro, però, che non è un bel vedere. Vedo la struttura che ospita la piscina comunale, con il monte Uliveto sullo sfondo, San Maurizio in lontananza e, ancora più in là, le montagne e il Monviso che veglia sulla valle. Il parco non è granché, ma in fondo è godibile: come molti posti di Pinerolo, anche qui la vista è impressionante, bellissima. Mentre ammiro tutto questo, vedo arrivare da lontano gli studenti di prima, assieme al docente. Sento la parola campestre e subito ho un brivido: ai tempi del liceo la campestre era il mio più grande incubo, peggio di una verifica di matematica. Obbligatoria, non ci si poteva astenere. Si correva attorno al parco per minuti che sembravano ore, e si finiva stremati. Li guardo e, a giudicare dalle loro facce, pare che la cosa non sia cambiata. La campestre continua a non piacere, al contrario delle canne che piacciono sempre. In effetti, credo che una escluda l’altra, almeno per quanto riguarda il fiato. Mi allungo sulla panchina e li osservo correre attorno a me, mentre riposo le gambe per nulla stanche. Quando ero al posto loro, invidiavo tantissimo quelli che stavano al parco a guardarmi. La ruota gira, ora tocca a me. È strano, però, vedere come nulla – o quasi – sia cambiato. Il parco sembra uguale a come l’avevo lasciato, e vale lo stesso per tutto il resto che ho visto. Tutto è rimasto come nei miei ricordi, anche se a ben guardare molti dettagli sono cambiati. Forse, però, certe cose non saranno mai come le vediamo, ma soltanto come le ricordiamo. Campestre compresa, che mi fa fatica persino guardarla. Mi alzo e, stanco all’idea di correre, torno alla macchina. Per oggi, ho fatto indigestione di ricordi.

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incontri

Città & Università /36

88 a cura di Antonio Denanni

Giovanni Balcet, Economia Internazionale

«Non è vero che con la cultura non si mangia. I progetti e le risorse culturali ben gestite sono fonte di reddito e di sviluppo» Ci parla di sé e del suo lavoro universitario? Lavoro al Dipartimento di Economia e Statistica “Cognetti de Martiis” dell’Università di Torino; fino a quando è esistita, ho afferito alla Facoltà di Scienze Politiche. Come ricorderete, le Facoltà in Italia sono state abolite dalla legge Gelmini del dicembre 2010 e tutte le competenze sono passate ai Dipartimenti. E’ stato un impoverimento perché è andato perso l’approccio inter-disciplinare che caratterizzava anche Scienze Politiche: lavoravamo con i colleghi di altre discipline, quali sociologi, giuristi e storici. Sono stato allievo di Franco Momigliano, un personaggio di spicco dell’ambiente intellettuale olivettiano (nonché protagonista della Resistenza). Sono professore ordinario dal 2001, in precedenza sono stato incaricato a Perugia e associato a Brescia, prima di trasferirmi a Torino. Insegno Economia Internazionale in alcuni corsi di laurea triennale, e animo un Laboratorio che approfondisce temi e problemi del commercio e degli investimenti internazionali. Ho in classe un’ottantina di studenti. Insegno anche in un corso in inglese sulle imprese multinazionali e l’economia globale: in questo caso la classe è internazionale, con studenti Erasmus da diversi paesi europei e parecchi cinesi. Faccio ricerca su questi temi, e mi occupo tra l’altro di imprese multinazionali emergenti, basate in Cina e India. Ho viaggiato molto, e lavoro con colleghi francesi, inglesi e cinesi. Sono stato direttore di ricerca associato alla Maison des Sciences de l’Homme, a Parigi, e sono attualmente vice direttore di un centro di ricerca torinese (OEET) che si occupa di economie emergenti.

Purtroppo l’università italiana si è enormemente burocratizzata negli ultimi anni, la gestione dei corsi di laurea si è appesantita, e passiamo moltissimo tempo a compilare moduli e registri online, in gran parte ripetitivi e inutili. La sua disciplina studia l’economia internazionale. Qual è la situazione attuale dell’economia mondiale? La globalizzazione è in crisi. Dopo decenni di forte integrazione dell’economia mondiale, trainata dalle nuove tecnologie e dalle politiche di liberalizzazione, il pendolo oscilla di nuovo verso i nazionalismi. La globalizzazione ha permesso la crescita straordinaria dei paesi emergenti, in primis la Cina, ma ha favorito le diseguaglianze interne e i redditi da capitale rispetto ai redditi da lavoro. La reazione contro questi squilibri prende la forma di vecchi nazionalismi e nuovi populismi di destra. Gli accordi e le istituzioni multilaterali che governano il commercio mondiale, come il WTO, sono in crisi da molto tempo, sostituite da grandi accordi regionali, come il NAFTA in Nord America. Oggi l’amministrazione Trump rimette in discussione questi accordi e punta al bilateralismo, in cui può far valere i rapporti di forza a favore degli Stati Uniti: ha nel mirino i paesi con cui si registrano i maggiori deficit commerciali: la Cina ma anche la Germania e il Messico. Se la globalizzazione neo liberale si trasforma in neo mercantilismo, come pare, questa non è una buona notizia. Può portare a conflitti e guerre, non solo commerciali. Com’è messa l’economia italiana nel mare dell’economia mondiale? L’economia italiana non si porta bene, come


«Mi sento molto legato a Pragelato, la terra d’origine della mia famiglia» tutti sappiamo. La crisi congiunturale iniziata nel 2008 e la crisi dell’eurozona si sono sovrapposte a un declino di lungo termine, produttivo, industriale e tecnologico, aggravato dal peso del debito pubblico. La disoccupazione è troppo alta e la crescita troppo bassa. La flessibilità del lavoro non risolve questi problemi. Prolungare l’età lavorativa fin verso i settant’anni e lasciare molti trentenni disoccupati è evidentemente insensato. Tuttavia alcuni settori presentano buone performance, come diversi distretti industriali in cui si creano sinergie sistemiche tra le piccole e medie imprese concentrate in un territorio limitato. E’ a mio avviso inquietante la prospettiva di un’uscita dell’Italia dall’euro, proposta da alcune forze politiche. Sarebbe una scorciatoia pericolosa, con effetti devastanti sui redditi fissi (salari e pensioni), il cui potere d’acquisto sarebbe falciato dall’inflazione importata. L’introduzione dei robot nei processi di produzione quanto inciderà sul mercato del lavoro? L’automazione non è una novità, come pure la terziarizzazione dell’economia. Non è l’innovazione a causare la disoccupazione, ma la crescita troppo bassa. In alcune regioni tedesche (come la Baviera) il mercato del lavoro è quasi in piena occupazione, nonostante robot e automazione. Un sistema scolastico e di formazione professionale più adeguato aiuterebbe. La globalizzazione delle merci sembra che porti anche alla globalizzazione dello spostamento delle persone con l’attuale fenomeno delle migrazioni. Questo a suo parere è un processo temporaneo o irreversibile? Teniamo presente che in termini relativi, durante la “prima globalizzazione” (18701914) i movimenti migratori erano più intensi di quelli attuali, in particolare verso le Americhe. Alcuni dei flussi attuali sono causati da guerre e catastrofi, altri sono strutturali: fra questi ultimi, mi sembra che si sottovaluti la demografia dell’Africa sub-sahariana. In tutto il mondo è in atto una transizione demografica, con riduzione delle curve di natalità: dall’India all’America Latina al Nord Africa. La grande eccezione è l’Africa a sud del Sahara, in paesi come la Nigeria la crescita demografica è fuori controllo. La scolarizzazione delle bambine e politiche di controllo delle nascite aiuterebbero. Naturalmente, sono decisive le politiche di sviluppo e di cooperazione internazionale nei paesi più poveri.

Veniamo a Pinerolo, sua città natale. Che cosa ricorda della nostra città? Ci viene con una certa frequenza? Vivo a Pino Torinese e lavoro a Torino. A Pinerolo vivono due delle mie sorelle e molti parenti e amici. Qui ho frequentato la scuola dell’obbligo e il Liceo Classico “Porporato”: fra i molti, ricordo con affetto Marcella Gay, la mia insegnante di italiano, e Giacomo Marino, di filosofia, che a suo tempo era anche stato l’insegnante di Umberto Eco, che ne custodiva il ricordo. Mi sento molto legato a Pragelato, la terra d’origine della mia famiglia. Mio nonno è nato a Villardamond: quando il mansía (capo villaggio) ci convoca per una corvée, faccio il possibile per esserci. A Pinerolo ogni tanto si parla di progetto culturale per rilanciare la città (una caserma da ristrutturare o un edificio storico da valorizzare). Può reggere un’economia incentrata sulla cultura? Non è vero che “con la cultura non si mangia”, come ebbe a dire qualche anno fa un ministro delle finanze italiano. Fu una battuta infelice. I progetti e le risorse culturali ben gestite sono fonte di reddito e di sviluppo. Si veda il caso della Francia. Ma anche l’esperienza di Torino, dalle Olimpiadi in poi: fino a quando nel 2016 non si è rinunciato alla grande mostra su Edouard Manet. Una follia. Quella su Claude Monet aveva avuto 313.000 spettatori, un successo straordinario. Pinerolo, come altre realtà, è una città in crisi. Una proposta da economista per il suo rilancio? Cultura e formazione, appunto, insieme a politiche locali per l’innovazione e le imprese giovani, le energie rinnovabili, le infrastrutture, l’agricoltura bio e il turismo. In Pinerolo e nel Pinerolese, tra nativi e residenti, ci sono più di 40 docenti universitari. Che contributi potrebbero dare per questa città? Idee e conoscenze. Concludiamo coi giovani. Siamo nella cosiddetta “era dell’accelerazione”. Quanto è importante per un giovane la formazione permanente? E’ molto importante. La conoscenza è una dimensione fondamentale per inserirsi in un mondo del lavoro divenuto più difficile e esigente. Ricordiamo che lo studio è indispensabile anche per la crescita personale, per alimentare la propria creatività, in qualsiasi momento della vita. Consiglierei inoltre di non trascurare le lingue, con impegno: oltre all’inglese in particolare il francese, il tedesco, e – perché no? - il cinese.

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terra

L’ambiente siamo noi di Sofia Bianchi

L’impronta ecologica L’impronta ecologica è un indicatore complesso utilizzato per valutare il consumo umano di risorse naturali rispetto alla capacità della Terra di rigenerarle: questa è la sua definizione. Con l’avanzamento della società e della tecnologia, oggi consumiamo come se avessimo a disposizione una Terra e mezza, i pronostici per il futuro non sono dei migliori e gli studiosi stimano che nel 2050 utilizzeremo il doppio delle risorse disponibili: il pianeta terrestre ed una sua identica copia. Insomma, stiamo vivendo al di sopra delle nostre possibilità, e questo porta a tutti i cambiamenti ambientali che tocchiamo già con mano. Come possiamo agire individualmente? Seguendo i consigli, ormai diffusi da moltissime associazioni e progetti a tutela dell’ambiente, per il risparmio energetico e l’utilizzo di energie rinnovabili. Solitamente tendiamo a pensare a livello

globalizzato questo tema, ma ognuno di noi può calcolare il proprio impatto ambientale o quello della propria famiglia. Nel 2012 il Piemonte è stata la prima regione a calcolare questo parametro a livello territoriale; i risultati non sono stati confortanti. È emerso che pur avendo impronta minore rispetto ad altre regioni e nazioni avanzate è ben peggiore della media mondiale. Ogni abitante piemontese aveva a propria disposizione una certa quantità definita di ettari di terra da poter consumare, ma ne consumava il quadruplo. È possibile visitare il sito dell’Ires (Istituto Ricerche Economico-Sociali del Piemonte) per visualizzare tutti i dati e la situazione aggiornata della nostra regione. Essendo questo un parametro a misura d’uomo, questo ci conferisce il potere di prenderci cura del nostro pianeta e rallentare il consumo delle sue risorse, specialmente di quelle non rinnovabili.

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culture

Mondo / Migrantes

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XXVI Rapporto Immigrazione

Italia, un Paese multiculturale Cittadini non comunitari. I permessi di soggiorno Al 1° gennaio 2016, con un aumento di sole 1.217 unità (+0,03%) rispetto alla stessa data del 2015, sono stati concessi 3.931.133 permessi di soggiorno, di cui il 48,7% riguarda le donne. Rispetto alla durata, il totale dei permessi si ripartisce tra 1.681.169 “con scadenza” (40,5%) e 2.338.435 “di lungo periodo” (59,5%). Distinguendo i permessi nella loro totalità per paesi di cittadinanza, si nota che si distinguono maggiormente il Marocco (13,0%), peraltro una delle comunità di più antica immigrazione in Italia e tra le più numerose, seguito dall’Albania (12,3%), dalla Cina (8,5%) e dall’Ucraina (6,1%). Queste nazionalità nell’insieme arrivano a quasi il 40% del totale dei permessi di soggiorno rilasciati. Per quanto riguarda i permessi di soggiorno a termine è possibile distinguerli per motivo della richiesta. In questo caso, si conferma la prevalenza dei motivi di lavoro (42,0%) e di famiglia (41,5%). Va sottolineato che il terzo motivo per importanza è quello legato alla richiesta di asilo (9,7%) che, rispetto agli anni precedenti, ha sopravanzato il motivo dello studio. La presenza straniera. Il quadro sociodemografico dei residenti I dati diffusi dall’ISTAT sulla popolazione residente mostrano che al 1° gennaio 2016 ri-

siedevano in Italia 60.665.551 persone, di cui 5.026.153 di cittadinanza straniera (8,3%). Le donne straniere sono 2.644.666 (52,6%). La popolazione complessiva è diminuita rispetto all’anno precedente di 130.061 unità (-0,2%). A inizio 2016, il 58,6% degli stranieri vive nel Nord, mentre questa percentuale scende al 25,4% nel Centro, con un ulteriore calo nel Mezzogiorno (15,9%). Entrando nel dettaglio regionale, in tre regioni del Nord ed una del Centro è concentrata più della metà dell’intera popolazione straniera presente in Italia (56,2%). In particolare, si tratta della Lombardia (22,9%), del Lazio (12,8%), dell’Emilia Romagna (10,6%) e del Veneto (9,9%). Al 1° gennaio 2016, in Italia sono presenti 198 nazionalità, su un totale mondiale di 232 (fonte ONU), e dei cittadini stranieri presenti in Italia, oltre il 50% (oltre 2,6 milioni di individui) sono cittadini di un paese europeo. In particolare, poco più del 30% degli stranieri residenti (1,5 milioni) sono cittadini di un paese dell’Unione. La restante parte proviene dagli Stati dell’Europa Centro-Orientale non appartenenti all’UE (1,1 milioni). I gruppi, le cui quote sono più consistenti, sono i romeni (22,9%), gli albanesi (9,3%) e i marocchini (8,7%): nel complesso, queste tre nazionalità rappresentano il 40,9% del totale degli stranieri residenti.


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così per il mondo

Vita internazionale

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di Alessia Moroni

Intervista a Sara Fornerone

Al Summer Intensive di Monaco Sara, sedici anni ed una grande passione: la danza. È allieva della scuola di danza pinerolese “Week Dance Studio”, nata quattro anni fa sulle orme del concorso internazionale “Weekend in Palcoscenico”, giunto ormai alla 23° edizione. Il concorso si svolge a Pinerolo fin dagli anni ’90, e nasce da un’idea di Enrico Bia, responsabile organizzativo della scuola. Sotto la direzione artistica della maestra Lara Terzuolo, Weekend in Palcoscenico accoglie ogni anno il mondo della danza, nel vero senso della parola: insegnanti, direttori di accademie, amatori e ballerini provengono da ogni parte del Globo per partecipare come giurati, concorrenti o semplici spettatori. Oltre al concorso, è possibilie prender parte agli stages tenuti da maestri e professionisti. Grazie a questo evento, Sara ha avuto l’opportunità di volare a Monaco di Baviera per due settimane e partecipare ad un “Summer Intensive”: un corso intesivo di due settimane tenuto durante l’estate. Sara, da quanto studi danza e quanto è importante nella tua vita? La mia formazione parte dalla ginnastica artistica, che ho cominciato all’età di quattro anni. Sono poi entrata nella squadra di aerobica, ma ho dovuto smettere per problemi di salute. A nove anni ho cominciato danza e non ho mai smesso. Dall’anno scorso frequento la scuola “Week Dance Studio” e le lezioni di tecnica Classica, Contemporanea ed Hip Hop: la danza occupa il primo posto e spero di poterla rendere il mio lavoro. Qual è stato il percorso che ti ha portato a vivere l’esperienza del Summer Intensive a Monaco di Baviera? Frequento il Liceo Linguistico e volevo combinare l mie passioni per la danza e per le lingue. Ho partecipato agli stages di Weekend in Palcoscenico dell’anno scorso ed ho conosciuto Jan Broeckx, il direttore dell’accademia “Art in Motion” di Monaco. Lui mi ha spiegato che avrei dovuto preparare un’audizione per partecipare al Summer Intesive. Ho quindi fatto domanda a febbraio, pensando di non essere presa.

Invece, qualche mese più tardi, mi è arrivata la comunicazione: ero stata accettata. Come e quando si sono svolte le due settimane di Summer Intensive? Era un ambiente internazionale? Sono stata in Accademia dal 14 al 26 Agosto. Durante le due settimane ho seguito giornalmente lezioni di Danza Classica, Punte, Repertorio e Danza Moderna. Eravamo divisi in tre corsi, in base all’età: io ero nella classe con allievi sopra i 15 anni. C’erano ballerini da tutto il mondo: italiani, australiani, giapponesi e da molti altri paesi! È stato molto bello perchè le lezioni erano in Inglese ed è stato un modo per conoscere nuova gente e parlare la lingua. C’è stato qualcosa che ti ha particolarmente colpita? In ogni sala c’era il pianista, che adattava la musica alla lezione ed agli esercizi. Inoltre, non avevo mai studiato Repertorio ed abbiamo lavorato su due variazioni, una delle quali presa da “Le Corsaire”, un famoso balletto classico. In generale è stato molto stimolante, ma difficile. Avevo tante cose da memorizzare, il livello era altissimo, ma il clima amichevole: ci si aiutava, si ripassava tutti insieme. Questa prima esperienza all’estero quanto ti ha fatta crescere per il tuo percorso di studio della danza? Tantissimo, non solo per la tecnica. Ho imparato molto anche a livello umano ed è stato molto importante per ciò che voglio fare nel mio futuro: è ovvio che in due settimane non si possono fare grandi cose, ma è stato un approccio positivo al mondo della danza fuori dall’Italia. Quali sono i tuoi progetti futuri? Prima di tutto voglio finire il Liceo e prendere il Diploma. Il mio sogno più grande è quello di fare della danza il mio lavoro: vorrei viaggiare o entrare in un’accademia. Sono molto fortunata perchè i miei genitori mi appoggiano e supportano le mie scelte. Per ora, continuo a studiare.


società

Giovani&Scuola/Orientiamoci

Da una ricerca della Fondazione Res

In Italia pochi laureati. Eppure laurearsi conviene

Un problema ormai centrale per il futuro del nostro Paese è senza dubbio quello dell’università e della ricerca scientifica. Il numero di laureati Il primo aspetto notevole è che il sistema universitario italiano si è ridotto di circa un quinto rispetto alla massima dimensione che si è registrata fra il 2004 e il 2008. Per dare dei numeri: • tra il 2014 e il 2015 gli immatricolati si riducono di oltre 66 mila, passando da circa 326 mila a meno di 260 mila (-20%) • i docenti da poco meno di 63 mila a meno di 52 mila (-17%) • il personale tecnico amministrativo da 72 mila a 59 mila (-18%) • i corsi di studio scendono da 5634 a 4628 (-18%) • il fondo di finanziamento ordinario delle università si riduce del 22,5%. Non è certo solo effetto della crisi: in Italia la riduzione della spesa e del personale è stata maggiore nell’università che negli altri settori dell’intervento pubblico: tra il 2008 e il 2013 i docenti universitari si riducono del 15%, il totale del pubblico impiego di meno del 4%. La decrescita avviene per di più a partire da dimensioni notevolmente inferiori rispetto al sistema universitario europeo. Dei tanti indicatori disponibili, basta ricordarne uno, di estrema importanza, sia intuitivamente perché riguarda il futuro del nostro Paese sia perché è uno degli indicatori di Europa 2020: la percentuale di giovani dai 20 ai 34 anni in possesso di laurea rispetto al totale è la più bassa del vecchio continente. L’Europa si è data l’obiettivo nel 2020 di avere il 40 per cento di giovani laureati. L’Italia nel 2014 è al 23,9%: questo la colloca all’ultimo posto tra i 28 Paesi della Unione europea: alla luce delle dinamiche in corso potrebbe essere superata anche dalla Turchia di Erdogan, e nel 2020 si è posta l’obiettivo realistico di arrivare

al 26-27% che la manterrebbe all’ultimo posto. La regione italiana con il numero maggiore di laureati è il Lazio, che ha il 31% di laureati e si colloca su un livello pari al Portogallo. Quattro regioni italiane, tutte del Mezzogiorno, si collocano agli ultimi dieci posti per numero di immatricolati, nella graduatoria delle 272 università europee. La Sardegna (17,4%) è penultima nella classifica continentale: la sua percentuale è superiore soltanto alla regione ceca del Severo Zapad. Ed è poco più di un terzo rispetto alla Svezia. Una prova ulteriore dello scarso interesse che le nostre classi dirigenti hanno per le nuove generazioni. Lauree e stipendi Eppure studiare “paga”, ha spiegato Alessia Tripodi sul Sole24Ore. Mettendo in rapporto i primi stipendi annui dei neolaureati con la spesa totale sostenuta dalle famiglie, si può misurare il “ritorno” economico dell’investimento in istruzione, che sembra notevole. I numeri dicono che, a fronte di un costo totale di 31.750 euro per una laurea quinquennale e di uno stipendio medio annuo di 16.800 euro, il tasso di rendimento che ne risulta è pari al 53 %. Un tasso che può salire ancora secondo Federconsumatori, che nella sua indagine 2014 sui costi degli atenei italiani, stima in 19.000 euro il costo totale di una laurea triennale e in 13.200 euro lo stipendio medio annuo di un giovane fresco di laurea: due valori che, messi a rapporto, danno una percentuale di rendimento del 69 %. Diversa la situazione negli Stati Uniti, dove - secondo i dati Ocse - i costi ben più elevati dell’istruzione fanno precipitare la percentuale di “ritorno” al 30%. Per approfondire, visitate l’articolo integrale del Fatto Quotidiano e del Sole24Ore.

https://www.wecanjob.it/archivio21_pochi-laureatiin-italia-wecanjobit_0_15.html

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culture

Dal mondo di Alessandro Castiglia

La fake news in campagna elettorale

“Macron vince perchè è gay” Non è una novità, Macron è sposato con una donna più anziana di lui per nascondere la propria omosessualità. Perché era destinato a vincere? Fa parte dell’élite, la lobby degli omosessuali lo ha sempre appoggiato. Non è una novità, è una fake news messa in circolo prima della candidatura di Emmanuel Macron per la carica di presidente della Repubblica e riutilizzata dall’estrema destra durante la campagna elettorale per screditarlo. Gossip falso i n s e r i t o nell’agenda dei dibattiti pubblici proprio da fazioni politiche che, come il Front National dell’europarlamentare Florian Philippot, da anni si battono in Europa per la causa dei diritti dell’omosessualità. Sempre di più le fake news vengono utilizzate come armi affilate tutt’altro che secondarie nelle campagne elettorali, il livello di onestà intellettuale tocca sempre di più l’orlo del baratro. Se in Inghilterra gli strateghi della campagna di sensibilizzazione della Brexit avevano fatto largo uso di fake news per convincere i cittadini a uscire dall’Unione Europea, inventandosi le cifre di un debito che avrebbe portato i cittadini all’impoverimento in caso di permanenza nell’UE, il vero professionista delle fake news 2.0 in ambito politico è proprio il presidente neoeletto Donald Trump. Trump ha unito la percezione degli elettori a personalizzare la politica all’attacco personale con notizie false. Gli accordi tra Hillary Clinton e l’ISIS, i contenuti falsi delle mail segrete, ma anche

il falso endorsement di Papa Francesco a Trump sono stati bombardamenti mediatici che secondo alcuni studiosi hanno contribuito alla sua vittoria. Il Pew Research Center (centro di ricerca Pew statunitense) ha dimostrato quanto l’importanza di queste false notizie non sia quello di essere credibili, bensì quello di creare confusione: il 64% del campione statunitense intervistato ha infatti ammesso di essere molto confuso nella distinzione tra fake e news reali. Sempre il centro di ricerca Pew ha sostenuto come Facebook durante i periodi di campagna elettorale spesso favorisca il coverage di fake news tenendole in circolo nel social network maggiormente rispetto alle notizie mainstream. Fortunatamente come spesso accade il contesto americano è ben diverso da quello europeo. Bill Dutton, docente alla Michigan State University, all’interno della sua ricerca “Search and Politics: The Uses and Impacts of Search in Britain, France, Germany, Italy, Poland, Spain, and the United States” ci dimostra come in Europa i cittadini siano molto meno influenzabili da questo tipo di notizie e molto più critici e pronti ad indagare sulla fondatezza dell’articolo. Il modello guerrigliero dei fake bombing di Trump, emulato da Marine Le Pen, non è per ora riuscito a minare la validità delle informazioni, cardine fondamentale delle democrazie europee.

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Tutto Bandi

documenti

A cura di Federica Crea

Mese di NOVembre 2017 BANDO

OGGETTO

Plafond per il sostegno alle spese di progettazione europea

Bando per il sostegno delle spese di progettazione. Rivolto ad enti e organizzazioni che hanno sede sul territorio della provincia di Cuneo

ENTE PROMOTORE http://www.fondazionecrc.it/index.php/ sviluppo-locale/risorseuropa/bandoplafond-per-spese-di-progettazione

Bando nuove generazioni

Promuovere il benessere e la crescita armonica dei minori nella fascia di età 5-14 anni, in particolare di quelli a rischio o in situazione di vulnerabilità

http://www.compagniadisanpaolo. it/ita/News/Fondo-per-il-contrastodella-poverta-educativa-minorile2

Peretti Foundation Grants 2017

SCADENZA

Cassa di Risparmio di Cuneo

31/12/2017

Compagnia di San Paolo

09/02/2018

Progetti che tutelano e promuovono i diritti umani e civili, in particolare dei bambini all’educazione ed alla protezione.

https://www.perettifoundations.org/ en/page.php?project=0&page=1&cat =6&con=8

17/11/2017

Crowdfunding Eppela/ Regione Piemonte per la cultura

Selezione di attività culturali, investimenti in beni e attrezzature e interventi strutturali di recupero o conservazione di edifici già esistenti, da presentare sulla piattaforma di crowdfunding Eppela/Regione Piemonte.

http://www.regione.piemonte.it/ bandipiemonte/cms/avvisi/call-laselezione-dei-progetti-da-presentaresulla-piattaforma-di-crowdfundingeppela-regione

Regione Piemonte

31/12/2017

Contributi liberali

Erogazione di liberalità territoriali o liberalità centrali.

Otto per Mille delle Chiese Valdesi e Metodiste

Finanziamento di progetti sociali, culturali, di sviluppo al fine di promuovere pace, sviluppo, istruzione, informazione e solidarietà

Horizon 2020

Incentivi per progetti di ricerca e sviluppo in vari settori

Sostegno alle Start up innovative

Servizi di sostegno alle Start up innovative

Erasmus + Plus

Educazione formale e informale dei giovani

Stazioni ferroviarie in comodato gratuito

Riutilizzo delle stazioni per attività sociali

Fondazione Lonati, richieste libere

Sostegno a soggetti che operano in ambiti: Istruzione (formazione, istituzionale, minori) giovani, anziani, sanitario, ricerca, cultura, sociale

Alla ricerca di nuove idee!

Famiglia, Anziani, Disabilità, Nuove Povertà ed Inserimento Lavorativo

Sostegno all’Attività Istituzionale (SAI)

Sostegno al complesso delle attività di un ente e non già ad uno specifico progetto o iniziativa

Intesa San Paolo

Senza scadenza

8xmille valdese

30/11/2017

Unione Europea

31/12/2017

Regione Piemonte

31/12/2020

www.group.intesasanpaolo.com/scriptIsir0/si09/banca_e_societa/ita_fondo_beneficenza_contributo.jsp#/banca_e_societa/ita_fondo_beneficenza_contributo.jsp http://www.ottopermillevaldese.org/ come_presentare_un_progetto.php

http://www.horizon2020news.it/work-program-2016-2017

www.regione.piemonte.it/notizie/piemonteinforma/diario/finanziamentiper-le-start-up-innovative.html

Agenzia Nazionale Giovani

http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/ index_en.htm

2020

Ferrovie dello stato

Senza scadenza

Fondazione Lonati

Senza scadenza

Fondazione Cattolica Assicurazioni

senza scadenza

Compagnia di San Paolo

Senza scadenza

www.rfi.it/cms/v/index.jsp?vgnextoid=3aa298 af418ea110VgnVCM1000003f16f90aRCRD http://www.fondazionelonati.it/presentaprogetto.asp http://www.fondazionecattolica.it/allaricerca-di-nuove-idee/

http://www.compagniadisanpaolo.it/ita/Contributi/SAI-Sostegno-all-Attivita-Istituzionale


Giovani & Lavoro

Società

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di Redazione

Indagine Excelsior

Sett-Ott-novembre 2017

Fabbisogno professionale in Piemonte Il Sistema informativo Excelsior, realizzato da Unioncamere in accordo con l’ANPAL, monitora i fabbisogni professionali e formativi delle imprese, ed è uno strumento utile all’orientamento, alla definizione dei piani dell’offerta formativa e dell’alternanza scuola lavoro. Secondo l’ultima indagine sulle previsioni occupazionali delle imprese, sono 41.220 le assunzioni che le imprese torinesi prevedono di effettuare nel periodo settembre-novembre 2017. Per quanto riguarda l’industria manifatturiera, ad essere maggiormente interessate sono le imprese meccaniche ed elettroniche, con 2.610 assunzioni previste, mentre nei servizi prevalgono le attività di supporto alle imprese e alle persone (7.730). Delle 41.220 assunzioni previste fra settembre e novembre, il 41% riguarderanno giovani (sino ai 29 anni) e il 16% saranno riservate a donne. Le figure professionali maggiormente richieste sono i cuochi, camerieri e altre professioni nei servizi turistici (il 9% del totale), e in questo ambito si registra anche la maggiore richiesta di giovani (il 66% del totale delle entrate previste); seguono i commessi e personale qualificato in

negozi e esercizi all’ingrosso, il personale di amministrazione, segreteria e servizi generali (entrambi il 7,7%) e i tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione (il 7,2%). Le figure professionali di più difficile reperimento appaiono gli specialisti in scienze informatiche, fisiche e chimiche, tecnici in campo informatico, ingegneristico e della produzione e gli operatori della cura estetica. Il 38% del personale da assumere deve essere in possesso del diploma di scuola superiore e per il 17% è richiesta la laurea. Il 25% delle entrate programmate nel trimestre in esame dovrà avere il diploma professionale e per il 20% non è previsto nessun titolo di studio. I diplomi secondari di più difficile reperimento sono i licei linguistici, quelli in elettronica ed elettrotecnica e a indirizzo turistico, enogastronomico e ospitalità. Per quanto concerne la laurea, le maggiori difficoltà sono incontrate per la selezione di laureati in matematica e fisica e in ingegneria industriale. Fonte Camera di Commercio di Torino Comunicato stampa del 2/10/2017

Errata corrige - Per un refuso tipografico nel numero 9-10 sett-ottobre 2017 la rubrica Giovani&Lavoro è stata attribuita a Nicola Bianciotto, mentre era a cura della redazione del giornale. Ci scusiamo con l’interessato per l’errore.


diritti umani

Visibili & Invisibili

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GRUPPO GIOVANI AMNESTY INTERNATIONAL

Le condizioni dei Rohingya nel nord del Rakhine In Myanmar, nel nord dello stato di Rakhine (Stato della Birmania), è in corso una campagna di violenza contro la minoranza etnica rohingya. Dallo scoppio della violenza, decine di migliaia di persone sono state costrette ad allontanarsi dalle loro abitazioni. Secondo le ultime stime delle Nazioni Unite, 146.000 rohingya hanno attraversato la frontiera del Bangladesh, mentre il governo di Myanmar ha evacuato oltre 11.000 persone appartenenti ad altre minoranze etniche presenti nel nord dello stato di Rakhine. Migliaia di persone, per lo più rohingya, sarebbero bloccate sulle montagne dello stato di Rakhine con le Nazioni Unite e le Organizzazioni non governative impossibilitate a verificare le loro necessità o a fornire riparo, cibo e protezione. La loro condizione si era già deteriorata in modo significativo in seguito alle ondate di violenza in particolare tra buddisti e musulmani

Rohingya, registrate nel Rakhine nel 2012 e che hanno causato decine di morti, sfollamenti e distruzione di proprietà. Quasi cinque anni dopo, decine di migliaia di persone, soprattutto Rohingya, restano sfollate in squallidi campi, dove sono vivono letteralmente segregate. Oltre un milione di Rohingya vive senza diritto alla libertà di movimento, all’istruzione e all’assistenza sanitaria. Queste persone non possono praticare la propria religione né hanno accesso a forme di sostentamento. L’attuazione di tali restrizioni ha portato ad arresti arbitrari, tortura e altri maltrattamenti, atti di estorsione e tangenti da parte delle forze di sicurezza dello Stato, spesso commessi in totale impunità. Ad aggravare la situazione c’è la sospensione degli aiuti diretti verso il nord dello stato di Rakhine, mentre in altre zone le autorità stanno negando l’accesso alle comunità bisognose, soprattutto alla minoranza rohingya.

Giovani&Nuove tecnologie

di Greta Gontero

Google Pixel Buds Se la torre di Babele è ancora oggi ricordata per la sua ambizione, l’ultimo innovativo strumento uscito della casa Google passerà alla storia per essere un progetto che mira altrettanto in alto: gli auricolari Google Pixel Buds sono stati creati per tradurre all’istante oltre 40 lingue diverse, tramite l’app Google Translate. Vediamo ora nel dettaglio di cosa si tratta e come funziona. Un’altra frontiera è stata abbattuta grazie ai dispositivi creati da Google e in uscita a novembre in Italia: i Google Pixel Buds sono cuffie wireless ricaricabili (con un’autonomia di circa 5 ore) che, oltre a riprodurre brani musicali, funzionano insieme a Google Translator e permettono all’utente di tradurre qualunque

lingua (tra quelle disponibili) in tempo reale. Immaginate che vi troviate all’estero e che, questa volta, la tipica gestualità all’italiana non riesca a salvarvi nella vostra conversazione… Come fare? Basta indossare i Google Pixel Buds e il gioco è fatto! Le cuffie sono in grado di analizzare le frasi del vostro interlocutore, tradurle all’istante e permettervi di dare una risposta adeguata grazie all’app di Google Translator. Al momento le cuffie hanno un costo di circa 160 dollari e funzionano solamente insieme agli smartphone Pixel 2 e Pixel 2 XL, ma non è detto che presto possano essere collegabili ad altri tipi di dispositivo.


Il Passalibro

dal tempo

di Cristiano Roasio

Roberto Calasso

L’innominabile attuale Nulla è reale, tutto è lecito: prima di essere la tag-line di una famoso videogioco, era effettivamente il motto della prima setta, islamica, di assassini. Se niente è reale posso fare tutto e quello che faccio non ha senso se non viene condiviso, non importa se bello, brutto, tremendo o inutile come un piatto di affettati o una spiaggia affollata, ed una volta condiviso muore nel rumore bianco delle informazioni. Terroristi, turisti, hacker, Big Data... Cosa dire di questo libro? Fa paura. Paura, perché dice di non ignorare la paura. Paura, perché dimostra una cultura tremenda: un brivido di esaltazione pervade il lettore che riesce a districarsi prima di piombare nell’abisso dell’ignoto. Paura, perché tratteggia una società secolarizzata che, dopo l’esperienza tragica (riassunta in una cinquantina di pagine finali con citazioni sulla sormontante violenza tra il 1933 e il 1945 che spuntano come capelli dal suolo di Treblinka, così come raccontato da Grossman) della Religione dello Stato, e dopo aver capito che nel miglior governo possibile si annida la possibilità di andare a votare per il Mostro, il mostro della democrazia diretta, senza intermediari, senza esperienza e senza finalità condivise (condivisione tra persone non condivisione di se stessi e basta...), non riesce più a sacralizzare nulla ed è fagocitata dai dati, un mondo dove il male assoluto è di una banalità sconcertante perché social, turismo, terrorismo sono simili: un’esperienza inutile intessuta nei Big Data, dove

il controllo sta in mano a chi seleziona gli eventi. Oggi avere potere significa sapere che cosa ignorare (pag. 82) Dal signor Adelphi è lecito aspettarsi libri del genere, ma continua a spaventare tanta aderenza al mondo che ci circonda, una realtà non più Dadaista, dove l’abrasione del significato era una sconnessione universale, ma Dataista dove la connessione universale è artefice dell’abrasione del significato e dove chiunque “diventa un fiero ed irrilevante soldatino di silicio in un esercito di cui tutti ignorano dove si trovi – e se vi sia – lo Stato Maggiore” (pag. 80). E se già Baudelaire scriveva abito per sempre un edificio che sta per crollare (l’unica modifica è da fare al numero delle torri, due e gemelle), o se l’uomo secolare, laico e libero nella sua schiavitù di assenza di schiavitù, si trova assediato da stranieri dalla pelle più scura che lo guardano con occhio infido di chi si sente altrove, se persone che respirano il sacro morente di una religione che si aggrappa alla violenza mentre scelgono quale perversione visionare sul loro smartphone, video che li schifano ed allo stesso tempo li eccitano, come quelle spianate di carne ad arrostire in fortini di massa costruiti dal turismo... bé non so che dire. Neanche la cultura ed il distacco isolazionista sembrano essere un’ancora di salvezza. Se non altro c’è sempre qualcuno che avverte, abbiate paura dell’innominabile attuale.

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primo piano

Sociale & Volontariato di Gruppo Giovani Croce Rossa Italiana Pinerolo

Raccontarsi

Il Gruppo Giovani della CRI Pinerolo Dislocata dal Comitato di appartenenza (Torre Pellice) a Pinerolo, nel 2009, nasce la SEDE CRI (acronimo della Croce Rossa Italiana). Da subito il gruppo inizia a svolgere attività sul territorio di vario genere, dalla prevenzione alla salute e nel sociale portando avanti gli obiettivi in linea con la Federazione Internazionale dell’associazione. Dall’inizio fino ad oggi il gruppo ha mostrato una crescita che l’ha portato ad essere un po’ per volta più conosciuto nel pinerolese. Ma di cosa ci occupiamo come Giovani CRI? Le attività svolte sono le più svariate: prevenzione sulla salute e gli stili di vita (dall’educazione stradale a quella sessuale, ma non soltanto) , servizi nel sociale come per esempio lo storico servizio in Casa Famiglia o il supporto all’associazione Scuola Senza Frontiere con bambini stranieri, attività in emergenza sia di prevenzione che sul campo operativo, diffusione del diritto

internazionale umanitario, dei principi e dei valori, prevenzione sulle dipendenze, attività sul bullismo, di sviluppo dell’associazione e diffusione sul territorio. I nostri strumenti per fare tutto questo sono scendere nelle piazze, ci siamo creati una rete di collaborazione con diverse scuole, collaboriamo con altre associazioni e cerchiamo di essere il più capillari possibili rivolgendoci a tutti i target: dalle elementari fino all’età adulta, concentrandoci però sulla fascia giovane seguendo la tecnica dell’educazione alla pari per avere maggiore efficacia sui temi di cui parliamo. Vi starete chiedendo cosa si intenda con la parola “attività”; si tratta di un intervento basato sullo scambio e l’interattività dell’incontro per dare maggiori stimoli e rendere più coinvolgente la tematica. Se sei incuriosito puoi venirci a trovare sulla nostra pagina facebook: Croce Rossa

Italiana-Pinerolo !

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Officine del suono

musica

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di Isidoro Concas

M usica emergente

ZonaMC Zona MC, rapper, produttore e performer, fondatore del recente progetto Burlona, mescola nei suoi lavori hip-hop, musica elettronica e filosofia, in una commistione dal sapore particolare. Molti dei tuoi pezzi presuppongono, per essere scritti, una preparazione abbastanza specifica, che di disco in disco e di pezzo in pezzo si sposta in vari ambiti: è la volontà di scrivere qualcosa riguardo ad un argomento che ti spinge ad approfondirlo, o è il tuo appassionarti a un qualcosa che ti spinge a voler scrivere un pezzo al riguardo? Solitamente succedono entrambe le cose, ma in due fasi diverse: la composizione inizia sempre da un approfondimento che ho svolto precedentemente e indipendentemente dalla musica (in particolare gli studi storici, filosofici ed economici a cui ho dedicato praticamente tutta la mia vita adulta) e che a un certo punto fa scattare una scintilla, un’ispirazione da cui nasce una prima bozza di un testo o di un concept album; ma è solo grazie all’approfondimento successivo che ogni mia bozza fiorisce e si riempie di tutti quei dettagli, quelle citazioni e quelle polisemie che me la fanno considerare completa. Ma ogni caso è diverso: ad esempio il mio album Ananke è nato quasi come un gioco, dall’idea di portare il rap totalmente fuori dal suo contesto, componendo un intero disco come una sorta di bignami della storia della filosofia in rima (e tutta la composizione è seguita ad uno studio svolto specificamente per quel motivo), mentre Porconomia è l’opposto, è una semplice parodia in rima dei dibattiti più ignoranti che purtroppo ho incontrato online e offline dal 2011 in relazione alla situazione economica europea e che spesso avrei volentieri ignorato. Ananke mi ha spinto a studiare (per l’ennesima volta) la storia della filosofia da un diverso punto di vista, mentre Porconomia è stato un modo di tradurre musicalmente la nausea che ho raccolto studiando qualcosa che non avrei voluto studiare! Negli anni hai sperimentato più modi non convenzionali di “live”: live composti da un solo freestyle continuo, i concerti in casa, quelli in cui

sei accompagnato da un solo metronomo sono gli esempi che mi vengono in mente. Come consideri l’idea di concerto – o di dj set, essendo tu anche produttore? Seguendo un modo di pensare assai diffuso, potremmo considerare un concerto e un dj set come due poli opposti delle esibizioni dal vivo: nel primo infatti i musicisti suonano personalmente i loro brani, mentre nel secondo li lasciano riprodurre a una macchina (che “suona” automaticamente vinili o cd). Ma in realtà, quando un musicista ripete gli stessi brani in ogni suo concerto, lo riesce a fare proprio perché egli stesso è diventato simile a una macchina, a un automa che ripete sempre gli stessi gesti; viceversa, la storia del rap ha dimostrato che il dj set può essere simile a un concerto, in quanto tale genere è nato proprio dall’utilizzo creativo dei giradischi, intesi non come macchine da lasciar girare, ma come strumenti utili a produrre ritmi e suoni differenti, ottenendo lo scratch. Quindi per me ha più senso distinguere tra improvvisazione ed esecuzione automatica: e ciò non solo per un fatto egoistico (ossia per la noia che deriva dal ripetere sempre gli stessi brani nei concerti), ma anche per una questione che potremmo definire “relazionale”, ossia per distinguere il live verticale, gerarchico e ripetitivo da quello orizzontale, cooperativo e differenziante. In parole semplici, il “pubblico” non esiste, e ciò vale soprattutto per il rap: solo il rapper-automa crede all’esistenza del pubblico inteso come massa indistinta che, stando in basso, deve assorbire (in un modo a sua volta automatico) le sue musiche che “scendono” dal palco. In realtà ogni contesto è diverso, ogni pubblico è diverso e ogni persona che fa parte di un pubblico è diversa: viene quindi da chiedersi se ha sempre senso dare le stesse cose a persone diverse. In questo senso l’improvvisazione è un modo di sprofondare nei contesti, aprendosi agli interventi più vari e creando un qualcosa di più simile a un dialogo che a un monologo attoriale. Per questo nei miei live cerco sempre di dedicare più tempo all’improvvisazione, limitando l’esecuzione


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21 automatica dei brani, che invece cerco di sfogare soprattutto quando vengo chiamato come dj: e anche in questo caso non riproduco molti miei brani, ma soprattutto brani altrui. Anche perché le mie canzoni hanno più senso negli album, che uso infatti per parlare a masse indistinte: nei live mi piace entrare nel vivo, mettendo in rima e in discussione le idee che ho sentito il pomeriggio nel posto in cui mi trovo, a rischio di rovinare la serata, cosa che talvolta accade! Sempre riguardo l’elettronica, in quel che fai essa assume un ruolo molto forte, e dal gusto peculiare. Come intendi, nei tuoi lavori, il rapporto tra strumentali e parti rappate? In un certo senso sia i miei testi che le mie musiche sono facce differenti dello stesso eclettismo: nei primi unisco tanti riferimenti concettuali, nelle seconde tanti suoni, ritmi e melodie differenti. Per questo il genere a cui mi sento più vicino è la breakcore, ossia quel tipo di musica elettronica sperimentale che tende a portare all’infinito la variazione ritmica e melodica, utilizzando molteplici loop e modificandoli in tanti modi. Questo è ciò che rende la mia musica così varia, ma anche così difficile da fruire: per questo sopra affermavo che essa è più adatta ai dischi che ai concerti. Oltre la musica, sei un attentissimo/attivissimo divulgatore tramite post su facebook e video dal canale “decostruendo”, trattando temi di politica, filosofia, ambiente, economia ed arte. Tornando alla tua musica, questo tuo desiderio divulgativo appare chiaro, rinforzato da scelte come quella di offrire la tua musica gratis. Qual è il tuo pensiero riguardo alla comunicazione ed alla diffusione di saperi? E di opinioni? Da tempo studio per diventare un professore di storia e filosofia, e credo di poter innovare in modo costruttivo la didattica tradizionale, ad esempio con un utilizzo mirato e ragionato della musica; io stesso ho imparato la lingua inglese anche attraverso la musica, e ciò è per me fantastico. Come nel discorso precedente sui concerti, anche in ambito didattico si distingue da tempo tra un metodo di insegnamento più verticale e le sperimentazioni recenti, più cooperative: ma è evidente che il modello giusto non è quello del web 2.0., in cui l’unica cosa realmente orizzontale è la visibilità (potenzialmente, chiunque può parlare a tante persone) e per di più, ormai, solo in potenza, ossia plutocraticamente (“plutocrazia” è il composto dei termini greci ricchezza e potere: è infatti chi paga per promuovere i suoi post che spesso raggiunge più persone).

Il fatto che tutti possono (di più, hanno bisogno e sentono di dover) dire sempre e comunque la propria opinione sta inoltre limitando la possibilità di convergere: tutti dicono la propria opinione, ossia tentano sempre di divergere, e questo nuoce all’unità sociale (sia essa di classe o meno). La struttura del web attuale lo testimonia: trionfano le piattaforme in cui ognuno può dire ciò che vuole, mentre regna un’assoluta ignoranza nei confronti (ad esempio) degli strumenti di scrittura collettiva, ossia di convergenza di più persone nella costruzione di qualcosa (in ambito politico, ad esempio, esistono già ottimi software per elaborare proposte giuridiche collettivamente, e credo che sarebbero più utili dell’attuale opinionanismo di Twitter e Facebook). Quindi, quando/se uso i software che critico, cerco di farlo in modo mirato e minimale: pochi post, molto ragionati e curati, su temi che ritengo fondamentali (spesso meta-post che indirizzano a social network differenti, di scrittura collettiva). Ma quindi il mio “mediattivismo”, come la musica, è solo una piccola parte del mio percorso divulgativo (che intendo svolgere meglio come prof): ed è una parte che, diversamente dalla musica, per tutti questi motivi non mi convince del tutto. Infine: l’hip-hop è ora vissuto da molte spinte evolutive differenti, di cui anche tu fai parte. Come dipingeresti lo stato attuale di questo genere, qui in Italia? Quali immagini possano essere le evoluzioni future? Purtroppo non ho un’idea precisa a riguardo, poiché negli ultimi anni ho smesso di seguire il genere (seguo solo pochissimi musicisti come Miike Takeshi, Murubutu o Uochi Toki); ma credo che l’idea stessa di “evolvere un genere”, intendendo con ciò uno sviluppo all’interno di alcuni limiti che definiscono un genere, sia assai limitante, e spero invece che il rap muoia per rinascere in altre forme, magari tornando a essere parte di un movimento di protesta più ampio, come è successo quando il rap stesso è nato, uscendo dai limiti che definivano il funk e tutta la black music precedente. Ma temo che succederà l’opposto: immagino che (distopicamente) tutti i politici inizieranno a rappare (come recentemente hanno iniziato a “twittare”: entrambe attività che sviliscono notevolmente la retorica politica), e i dibattiti su “chi è il migliore rapper d’Italia” sostituiranno quelli sul migliore partito da votare, concludendo così la parabola della società dello spettacolo descritta magistralmente da autori come Guy Debord e Jean Baudrillard.


Appunti di viaggio

mondo

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di Angelica Pons e Mauro Beccaria

Da ivrea a palestro

Ultime tappe della Francigena nord E’ tornato domenica 22/10, dopo esser partito da Canterbury 45 giorni prima, da subito sognavo di raggiungerlo. Sono stata anche questa volta la sua memoria storica, geografica ed emozionale: come dal campo base c’è il contatto via radio, qui c’era il contatto wi-fi o telefonico. Inghilterra, Francia, Svizzera, Italia: 4 Stati. Variegati panorami: dai campi di rape ammucchiate ai lati come teschi della Normandia, ai girasoli da raccogliere, ed ai vitigni dello Champagne e poi dell’Erbaluce Caluso, fino alle nostre risaie. Differenti accoglienze: cattoliche, luterane, laiche, B&B; dai lettini a castello al carro del Far West, e tante brave persone. Tempo piovoso al passo di Calais, poi sole, fino alle nebbie vercellesi. Aver percorso alcuni degli oltre 1300 km mi ha fatto sentire come il camminare fa bene, libera la mente, fa volare lo spirito e radica il corpo. La verità è nel corpo. Fa respirare. Ma non tutti hanno i giorni e la forza per compiere imprese - che poi Mauro non ritiene siano alcunché - così raccomando tutti di esercitarsi nel respiro profondo che risana. Avendo sperimentato come raggiungere in treno le tappe vicine, questo percorso si può proporre ad amici come cammino breve. Il giovane seminarista don Sami ci aspetta ad Aosta, così come i cappuccini a Chatillon, per condividere un pezzetto insieme, magari con il nostro nuovo vescovo mons. Derio. Ad Ivrea si cammina attraverso i boschi radi e multicolori, incontrando gli ultimi specchi d’acqua dopo quelli alpini. Si raggiunge così il placido lago di Viverone, con un microclima tiepido. Gli ultimi vigneti sono affiancati da pilastrini di pietra morenica che assorbono il calore e poi lo rilasciano alle

coltivazioni. La vendemmia è stata flagellata dalla grandinata dei primi di settembre, ma il paesaggio è incantevole. Si arriva a Roppolo, a Villa Emilia, in un caldo pomeriggio autunnale, gioiosamente accolti da Loretta e dal cagnolino Faruk, in una sistemazione multietnica e magica, con ricordi di una vita in giro per il mondo specialmente in oriente. Ritemprati e rifocillati al mattino si riparte in direzione Santhià, e si incontrano le risaie, ed anche la nebbia. La temperatura si fa fresca ed umida. Si raggiunge Vercelli come in un’imbottitura di cotone, seguendo la statale e facendo bene attenzione alle auto, perché nei campi non si vede a un palmo dal naso. Il corpo è dolorante ma è intero, sta prendendo coscienza di ogni sua piccola parte. La meraviglia è che dopo una serata come in famiglia, al rinnovato ostello di S. Eusebio, in buona compagnia dell’ospitaliero Giulio dal gran cuore, del fratello Giovanni e di Enrico gran camminatore, si cena insieme, ci si riposa e poi si può ripartire come nuovi. La mattinata si fa visita ad amici cari, al Duomo di S. Eusebio ed alla Basilica di S. Andrea, con sosta dalle volontarie della Croce Rossa. Si riprende così un bel sentiero che sovrasta la nebbia e le risaie, i campi gialli già raccolti, con le balle di paglia, oppure da raccogliere perché seminativo, o a maggese, tutto in pianura, verso Palestro, la nostra ultima tappa che si intravvede attraverso il “velo” di pioppi in lontananza, oltre il torrente, sorvolato da anatre, corvi, falchi ed aironi, presso l’antica Torre Merlata, un luogo storico gestito armoniosamente da Ambra Castellani, la nostra cara amica, che insieme al marito Paolo ed il loro meraviglioso pupetto Efrem ci riservano un’accoglienza strepitosa.


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