Pineroloindialogo giugno2017

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Anno 8, Giugno 2017

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Pinerolo trasparente

Opposizione/1, Luca Barbero PD: “Credo non sia ancora tempo per esprimere un giudizio inappellabile sulla nuova amministrazione della città” Fabio Petani, urbanartist alla galleria Losano: “La morbidezza, l’eleganza e la non invasività è quello che sto cercando”

Docenti universitari del Pinerolese /35, Rodolfo Sacco: “Amo il Pinerolese. Esso significa rispetto per gli altri, equilibrio, signorilità di modi.”


Buone News A cura di Francesca Olocco

L’Osservatorio Culturale del Piemonte

In calo le presenze al cinema e ai musei Qualche mese fa, precisamente nel gennaio 2017, scrissi un articolo riguardante il rapporto tra il Piemonte e la cultura nel 2016, riportando i dati ricavati dall’Osservatorio Culturale del Piemonte (OCP) che, annualmente, si occupa di redigere un’analisi basandosi sui dati raccolti presso cinema e musei, sugli investimenti nel settore, il livello di partecipazione agli eventi e numerose altre variabili. Da qualche giorno sono stati finalmente pubblicati i report relativi ai primi mesi del 2017. Sfogliando queste prime pagine credo sia possibile trarne alcune utili deduzioni. I dati più significativi sono sicuramente quelli del mese di gennaio, essendo anche i più completi. Un’osservazione va subito fatta: sia per quanto riguarda il report relativo al cinema, sia quello relativo ai musei, vi è stato un calo significativo di spettatori e visitatori. Nei cinema italiani, infatti, si sono recate 1.090.844 persone, contro le 1.527.926 dell’anno precedente, tanto da sfiorare, quasi, i risultati di due anni fa. Si potrebbe pensare che l’assenza di una commedia italiana adatta a tener testa all’incasso di Quo vado? del 2016 abbia fortemente influito sui numeri (i film più visti del 2017 sono entrambi americani: Collateral beauty e Sing). Oppure si potrebbe tener conto dell’insensato costo dei biglietti, confrontato ai bassi prezzi della distribuzione via internet e on demand. Per quanto riguarda i musei, la situazione è molto simile. È curioso notare che quasi tutti gli enti appartenenti al polo torinese sono in leggero calo rispetto allo stesso mese del 2016. Ad esempio colpiscono, tra tutti, i dati che arrivano dal Castello di Rivoli, che ha dimezzato le presenze da 8.456 a 4.409 e della GAM, che quasi paradossalmente passa da 102.891 a 9.227. Sicuramente

è da tenere in conto la presenza o meno di esposizioni temporanee: nel gennaio 2016 la GAM ospitava la mostra Claude Monet. Dalle collezioni del Musée d’Orsay, mentre quest’anno la grande differenza si è fatta con L’emozione dei COLORI nell’arte, inaugurata il 14 marzo. In ogni caso, il totale dei dati parla chiaro, pur tenendo conto di pochi casi “non pervenuti”: 275.485 visitatori nell’area torinese contro i 456.356 dello scorso anno. Un esempio positivo arriva, invece, dal Museo Egizio che, dopo i lavori terminati nel 2015, continua a far parlare di sé. Nel generale andamento di decrescita, l’Egizio passa dai 39.454 del 2015, ai 66.634 del 2016 e ai 71.577 del 2017 (ancora relativi al mese di gennaio). Si tratta forse delle continue conferenze, visite guidate e laboratori offerti dal museo, oppure dell’esempio del Direttore Christian Greco. Egli, oltre a guidare di persona alcuni percorsi lungo le esposizioni, è stato impegnato in prima persona in una campagna di scavi a Saqqara, seguito settimanalmente da un Diario di scavo pubblicato sul sito del museo. Inoltre, si è dimostrato partecipante attivo nel difendere il prestito di alcuni reperti torinesi in un’esposizione temporanea a Catania, volta a radicare ancora di più il museo nel territorio nazionale. Pare quindi chiaro che, oltre all’innegabile fascino di questo luogo senza tempo, l’impegno, l’umiltà e la scommessa sulla ricerca siano stati il trio vincente per il museo. Una piccola parentesi va ancora dedicata a Pinerolo, che compare tra i dati del report OCP: in leggera crescita il Museo Storico del Mutuo Soccorso e il Museo di Scienze Naturali di Palazzo Vittone, mentre rimane il Museo dell’Arma di Cavalleria il più visitato. Per leggere i report OCP di gennaio 2017: http://www.ocp.piemonte.it/.

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33 Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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Pinerolo trasparente Penso sia capitato a molti di entrare nel sito del Comune di Pinerolo per cercare un’informazione, per volontà di seguire la vita dell’amministrazione o semplicemente per curiosità. È successo di recente anche a me di andare nel settore trasparenza degli atti amministrativi alla ricerca di una delibera e mi sono subito reso conto che per il cittadino che vuole informarsi su una delibera di Giunta o su un atto di un dirigente è praticamente impossibile, tale e tanta è l’opacità e l’indeterminatezza di quello che vi si trova. Eppure in bella vista si parla di trasparenza, richiamandosi al Dpr 33 del 2013, ma forse il concetto non è molto chiaro. Afferma Wikipedia: “Trasparenza è una estensione metaforica del significato della parola “trasparente” (“poter vedere attraverso le cose”) applicato nel settore delle attività di natura sociale e pubblica: esso implica apertura, comunicazione e responsabilità”...“applicata al settore delle Società ha come obbiettivo quello di rendere accessibili le informazioni di tipo societario, politico e personale, nonché di istituire leggi, regole sociali e processi che facilitino e proteggano le persone singole o riunite affinché esse liberamente aderiscano, sviluppino e migliorino il processo.” Capito? Trasparenza vuol dire far vedere non solo le delibere di Giunta o dei dirigenti, ma “far vedere attraverso le cose” in modo che i cittadini siano indotti ad essere informati, a partecipare, ad interagire col processo amministrativo della città. Per una amministrazione a 5Stelle, in base a uno dei suoi principi guida, questa della trasparenza dovrebbe essere una delle priorità assolute, se vuole davvero una partecipazione attiva. Antonio Denanni

PINEROLO / INDIALOGO.it .

Direttore Responsabile Antonio Denanni Collaborano: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Aurora Fusillo, Francesca Beltramo, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Federica Crea, Luca Barbagli, Greta Gontero, Alessandro Castiglia, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Anna Filippucci, Francesca Olocco, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Angelica Pons, Nicola Bianciotto Con la partecipazione di Elvio Fassone e Beppe Gamba

Indialogo.it, Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 - Ed. Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - E-mail: redazione@pineroloindialogo.it STAMPA: In proprio

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Buone News

in calo le presenze al cinema e ai musei

Politica giovane young

opposizione/1: intervista a luca barbero

Vivere Pinerolo /4

piazza fontana, un grande parcheggio

rodolfo sacco, diritto comparato

le aree pubbliche sono nostre?

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Eventi in città

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Docenti universitari /35

L’ambiente siamo noi

fabio petani: i semi dell’universo

Vita internazionale

intervista a michela possetto

intervista a pietro milanesi, los angeles

con martina arancio e martina basolo con elena rudiero, luca gendre,giorgio nicola

la guerra ai narcos che piace a trump

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Serate di Laurea Dal mondo

Giovani & Lavoro

il coworking

Visibili & Invisibili

trump, clima e dirit ti umani

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Il Passalibro

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finnegans wake

Officine del suono

Gli incomprensibile fc

Sociale & Volontariato

binario 110

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Sport

un calcio al malcontento

Viaggiare

sulle orme di gesù

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Politica

Politica giovane young a cura di Antonio Denanni

L’opposizione/1: il capogruppo del PD Luca Barbero

“Credo non sia ancora tempo di esprimere un giudizio inappellabile”

«Fare opposizione con un’amministrazione completamente diversa da quella a cui eravamo abituati è molto difficile. Con il movimento 5stelle la regola è: con me o contro di me - L’inziativa della Notte delle Muse è stata certamente una buona cosa, ben riuscita, che ha avuto anche un buon riscontro di pubblico» Nei mesi scorsi abbiamo intervistato il sindaco e gli assessori dell’amministrazione Salvai che hanno illustrato le cose che stanno facendo per la città (Bachstadt, l’ultimo assessore arrivato lo sentiremo dopo le vacanze estive). Ora è il momento di sentire l’opposizione in Consiglio Comunale. Dopo un anno di governo della città che bilancio si può fare? Credo non sia ancora tempo per esprimere un giudizio inappellabile. Chi si è proposto come alternativa a chi ha amministrato Pinerolo negli ultimi 20 anni, vincendo una competizione elettorale difficile, è partito da un’esperienza amministrativa molto bassa, tolto il sindaco che aveva un’esperienza in Consiglio comunale di 3 anni e mezzo, gli altri sono alla prima esperienza, e questo è un dato che comunque incide. Credo quindi che non sia né giusto né corretto dare oggi un giudizio definitivo. Sui modi non vedo elementi di novità, anzi molte continuità; sui contenuti invece vedo più criticità, ad esempio nel non sufficiente impegno di cercare di far assumere a Pinerolo un ruolo di guida del territorio. Comunque come dicevo non vedo degli strafalcioni tali da dare un giudizio negativo. Qualcuno vede nel PD un po’ di autoreferenzialità. Vi si rimprovera un

atteggiamento quasi da maestrine che vogliono insegnare agli scolaretti (i 5stelle) come comportarsi... Fare opposizione con un’amministrazione completamente diversa da quella a cui eravamo abituati è molto difficile. Con un movimento che vuole chiudere nei confronti di chi amministrava prima e non ha la volontà e la disponibilità ad acquisire proposte e trasformarle in azione eventualmente correggendole c’è poco spazio per fare azione politica. La necessità di affermare il principio di discontinuità rende difficile fare opposizione sui contenuti, per cui rimane il bacchettare gli errori, le ingenuità... Oggi rispetto al passato le dinamiche politiche sono molto diverse; con il movimento 5stelle la regola è: con me o contro di me. Qual è il punto di frizione più grosso tra maggioranza e opposizione? Più in generale direi l’idea di democrazia. C’è un modello diretto che non mi appartiene e non condivido. Sul nuovo Regolamento Comunale di partecipazione dei cittadini lei ha espresso più di una perplessità o contrarietà. Ce le riassume? È vero, sul Regolamento ho forti perplessità. Mi trovo in sintonia con la docente universitaria Ciaffi che su invito di Lapsus è venuta a parlare a Pinerolo in palazzo comunale all’amministrazione e ai cittadini sul tema della partecipazione: un

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“Quando perdi le elezioni ci metti sempre un po’ a stabilizzarti” conto è la democrazia diretta e un altro conto la democrazia partecipativa. La democrazia diretta nell’ordinamento italiano non esiste come forma giuridica. Ho affermato più di una volta che l’istituto referendario esiste solo per abrogare le leggi e trovo una forzatura inserire in un regolamento il referendum propositivo, che non ha fondamento giuridico. Inoltre la partecipazione non può essere legata solo all’approvazione di un regolamento, va costruita giornalmente nella partecipazione e nella critica dell’istituzione. Io vedo in questa amministrazione solo la volontà di produrre un regolamento. Un altro elemento centrale del regolamento che critico sono le consulte, che come strumento di partecipazione considero obsolete e come vengono proposte a Pinerolo non sono uno strumento per costruire rapporti con la città, ma un organismo funzionale alla giunta e al sindaco, che chiedono a queste consulenze e atti che con la partecipazione non c’entrano assolutamente nulla. Sulla qualità urbana ha qualcosa da rimproverare all’amministrazione? Direi che la situazione è stazionaria. La situazione delle buche o dell’erba alta di oggi non è molto diversa da quella degli anni precedenti. Anche perchè le cifre messe a bilancio sono sostanzialmente le stesse. C’è almeno una cosa buona che ha fatto questa amministrazione? L’inziativa della Notte delle Muse è stata certamente una buona cosa, ben riuscita, che ha avuto anche un buon riscontro di pubblico. Credo che iniziative come questa servano ad agganciare nell’immaginario oltre che nella realtà Pinerolo a un contesto più ampio. Pinerolo è una città con delle potenzialità molto forti e credo che esperienze di questo tipo possano valorizzarla molto, soprattutto se sono strutturate e sostenute economicamente. Ci sono dei punti condivisi sui quali maggioranza e minoranza possono lavorare insieme? Io credo che ce ne siano tanti, però bisogna avere la volontà e la capacità di capire entrambi che le esperienze e le conoscenze di alcuni messe insieme alla volontà degli altri possono trovare convergenze. Fa qualche esempio?

Tutto il tema della mobilità sostenibile: negli ultimi anni del mandato di Buttiero era stato fatto un grosso lavoro che aveva portato al bando Alcotra poi vinto; anche rispetto alla valorizzazione del patrimonio pubblico credo che ci siano spazi per provare a lavorare insieme. Quale al momento a suo parere la cosa più urgente che l’amministrazione Salvai dovrebbe affrontare? Penso alla Caprilli, la cui acquisizione peraltro è nata su una nostra sollecitazione e spinta; è una struttura che ha un valore patrimoniale, storico e simbolico. L’accontentarsi però che rimanga un luogo dove un’elite possa andare a cavallo per me è un errore. È un pezzo della nostra storia che va valorizzato in forme più partecipate da tutti i cittadini. Veniamo al PD. Qual è la sfida programmatica del PD proiettata sul futuro della città? Quando perdi le elezioni ci metti sempre un po’ a stabilizzarti. Inoltre tra partiti e società civile c’è uno stacco e uno scollamento molto forte. Per quel che mi riguarda è una sfida che oggi non è praticabile. È iniziato un mandato amministrativo complicato, io stesso sto lavorando con l’entusiasmo di un candidato che ha perso. Siamo in una fase di difficoltà che non è legata solo alla realtà locale, lo scollamento tra partiti e società è fortissimo. Nel campo dell’innovazione manifatturiera e dell’evoluzione economica storica del territorio che cosa deve fare questa amministrazione? Il discorso è difficile, anche per via della situazione economica generale. Pinerolo storicamente è sempre stato territorio di confine, con la tendenza quindi un po’ a guardarsi il proprio ombelico. L’aprirsi a un territorio più vasto come il torinese è certamente utile, anche se le premesse di questo tipo insite nella nascita della città metropolitana sono di fatto in una situazione disastrosa. Il costruire reti e rapporti credo sia un dato determinante.

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in ci t t À

Vivere Pinerolo/ 4

6 6 di Remo Gilli

Una rivisitazione giovane della città

“Piazza Fontana, la maggiore di Pinerolo, oggi è innanzitutto un grande parcheggio” «Vuoi o non vuoi, se non sei di Pinerolo da piazza Fontana ci devi passare.» Da una parte il liceo Porporato e palazzo Vittone, dall’altra il teatro Sociale, un paio di locali e via Savoia che porta a piazza Facta. Sul fondo, opposto rispetto a corso Torino e ai portici, il Comune con la sua torre in stile fascista, il palazzo Orfengo e la cartoleria Elia, il baretto e la macelleria all’angolo. Al centro macchine, macchine e ancora macchine. Questa è piazza Fontana. Non uno spiazzo qualunque: fu realizzata nel Settecento spianando i fossati antistanti le mura seicentesche, e adibita a piazza d’armi della cittadina di Pinerolo, all’epoca una delle più estese d’Italia. Di fatto si tratta di un luogo di interesse storico e architettonico per la città. A prescindere dalla sua storia, però, oggi la piazza maggiore di Pinerolo è innanzitutto un parcheggio. Punto. È questa l’impressione che si ha arrivando da fuori. Una mia amica dice che una piazza la si può definire tale se a popolarla sono persone, non macchine e traffico. In questo senso, quindi, viene quasi da dire che “piazza Fontana” non sia una vera e propria piazza. Dico quasi, perché nei giorni di mercoledì e di sabato questa torna a essere, per qualche ora, un vero punto di incontro in occasione del mercato cittadino. Oggi, che è martedì, non lo è. Sono arrivato in macchina, ma non ho parcheggiato nella piazza perché, nella parte a disco orario, i posti liberi erano finiti. L’altra, quella a pagamento, è semideserta come al solito. Mi ha sempre divertito questo aspetto. Secondo me, il fatto che le persone non siano disposte a pagare per parcheggiare le proprie auto in piazza Fontana è indice di qualcosa, non saprei dire cosa. Forse del fatto che quel parcheggio non è così necessario, o magari che i pinerolesi non sono disposti a pagare per parcheggiare la propria vettura. Non lo so, fatto sta che ogni volta si crea quella strana situazione

per cui mezza piazza è affollata di macchine e di autisti in cerca di un buco, l’altra è sgombra, con le sue linee blu che fanno da monito a chiunque, inconsapevole del pedaggio, pensi di essere più scaltro degli altri a parcheggiare lì. Questo posto, per noi che “veniamo da fuori”, è sempre stato uno snodo fondamentale. La sera, quando tutti i posteggi sono gratuiti, ci si ritrova tra le macchine e si decide il da farsi. Torino, magari Sestriere se si vuole esagerare, e via. Si fanno le macchinate e si parte. Anche di giorno, come oggi, spesso incontro i miei amici qui prima di andare a prendere un caffè sotto ai portici o nel centro storico. Insomma, vuoi o non vuoi, se non sei di Pinerolo da piazza Fontana ci devi passare. In qualche modo, in questo parcheggio ci finisci sempre. Sono venuto per raccontare cosa succede qui di giorno, ma credo di aver sbagliato momento. Sono le quattro del pomeriggio di un martedì qualunque di fine maggio, fa caldo e in tutta la piazza saremo sì e no una ventina. La maggioranza è composta da anziani, tutti rigorosamente seduti sulle panchine, mentre un gruppetto di ragazzi chiacchiera poco distante dal comune, all’ombra degli alberi. Decido di fare un paio di giri attorno al parcheggio – alcuni chiamano questi giri “vasche”, il che mi fa sempre molto ridere – per capire se si riesce a trarre qualcosa da questo caldo pomeriggio. Parto dal Bistrot verso corso Torino, sotto al vialetto alberato che incornicia la piazza, e inizio i miei giri in senso antiorario. Gli anziani sembrano prediligere questo posto, di giorno. In effetti, al di là dei pochi presenti in questa giornata afosa, i miei ricordi di questi vialetti sono costellati di vecchietti sulle panchine intenti a chiacchierare, leggere il giornale o semplicemente a osservare i passanti – come me in questo


«Pinerolo non è una città così giovane, né così abitata. Piazza Fontana e un ottimpo posto per passeggiare»

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caso. Ci sta, gli anziani hanno dei modi tutti loro di ammazzare il tempo, e questo credo sia uno dei migliori. Scopro che molti anziani si nascondono qui, nel pieno centro, e non chissà in quale angolo remoto e tranquillo della città, perché è un luogo tutto sommato tranquillo. Per via della posizione poco favorevole, non sono tanti i locali che vi si affacciano; anche per questo motivo non è un punto nevralgico della vita dei pinerolesi – o, almeno, non di quelli giovani. Non si sentono schiamazzi, non c’è troppa gente e c’è sempre una panchina su cui sedersi. Effettivamente Pinerolo non è una città così giovane, né così abitata. Trovo calzante l’allegoria che si forma nella piazza maggiore della città, che è un parcheggio semivuoto popolato dai vecchietti nei giorni in cui non c’è il mercato (ma anche quando c’è, diciamolo). Paradossalmente la piazza è tranquilla nonostante il traffico. Certo, corso Torino oggi non è particolarmente movimentato – ho ricordi ben peggiori di code e clacson – ma immagino questo sia uno scenario che capita spesso. L’unico arredamento sono le panchine e gli alberi, assieme alle macchine parcheggiate, alla fontana e alla statua del gen. Brignone che sorge dall’altra parte, di cui nessuno sembra curarsi. Al di là di chi siano i suoi abitanti, ciò che mi ha sempre davvero affascinato di questa piazza è il nome. Già, perché ho scoperto relativamente poco tempo fa che il vero nome della piazza non è “Fontana”, ma bensì Vittorio Veneto. Pensavo che i pinerolesi, negli anni, avessero cambiato il nome per via della fontana di Malanaggio posta al centro. Ho scoperto poi, invece, che il nome è dovuto a tale Amedeo Ignazio Fontana, colui che all’epoca aveva progettato la piazza stessa. Comunque sia, il nome “Fontana” è radicato al punto che, se si chiede in giro dove si trova piazza Vittorio a Pinerolo, molti non sanno rispondere. Insomma, l’essenza di questo luogo è data non tanto dalla sua funzione o dal suo nome, ma dalla percezione che gli abitanti ne hanno. Per i pinerolesi, secondo me, la piazza è costituita dalla cornice, il resto è un parcheggio. Basta guardare la fontana che dà il nome alla piazza, ma della quale nessuno si cura (un po’ perché esposta al sole, un po’ perché in mezzo alle macchine), o la statua sua corrispondente dall’altra parte. Ci sono, ma nessuno le avvicina se non per tornare a prendere la propria vettura. Così, quando si dice “ci vediamo in piazza fontana”, si intende il viale che la costeggia, mica lo spazio centrale. Trovo tutto questo strano,

un po’ assurdo, ma è così e in un certo senso ha un suo fascino. In tutto questo, ho già fatto almeno tre giri del vialetto. La gente, man mano che il sole si abbassa, sta tornando per le strade. Il traffico inizia ad aumentare con l’avvicinarsi dell’ora del rientro. Fanno capolino le prime coppie coi loro gelati, le famigliole giovani e le mamme col passeggino e le amiche. Sembra scattata “l’ora x”: sono le cinque del pomeriggio e gli anziani iniziano a levare le tende in favore delle generazioni più giovani. È strano, penso, che nonostante questa piazza non sia altro che un parcheggio e un mercato – in verità uno dei più grandi del Piemonte, che richiama migliaia di persone da tutto il pinerolese due giorni a settimana - i pinerolesi ci siano affezionati. Come noi che veniamo da fuori città, anche loro in un modo o nell’altro finiscono sempre per passarci, anche solo per andare altrove. È un passaggio obbligato, o forse no. Forse, è semplicemente un ottimo posto per passeggiare e passare il tempo in attesa di fare altro. Un enorme sala d’aspetto rettangolare, dove tanto le persone quanto le macchine attendono di spostarsi. Attendono, e magari da lì non si vorrebbero spostare mai. Eppure è solo un parcheggio, per metà semideserto.

Ho capito che non c’è troppo da raccontare sulla vita di questo posto, quanto piuttosto su ciò che rappresenta. Sono stufo di camminare, così decido di prendermi un gelato e sedermi anch’io su una panchina. Incontro un’amica, ci sediamo insieme e iniziamo a parlare. Anche noi, adesso, facciamo parte della cornice. Mangio il gelato, guardo verso la fontana. Macchine, macchine e ancora macchine: la piazza maggiore di Pinerolo.


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Città & Università /35

88 a cura di Antonio Denanni

Rodolfo Sacco, Diritto comparato

«Amo il Pinerolese. Esso significa rispetto per gli altri, equilibrio, signorilità di modi» ”Il diritto islamico è semplicemente una tappa nella macrostoria dell’uomo e del diritto” Intervista a Rodolfo Sacco, classe 1923, professore emerito di diritto comparato all’Università di Torino; dottore honoris causa all’Università di Parigi II, Ginevra. McGill e Tolone; membro dell’Accademia dei Lincei, dell’Institut de France e dell’Accademia europea. Ci parla di sé, del suo lavoro in università e poi nella vita? Io sono molto anziano, e perciò posso ormai tracciare un bilancio della mia vita. Fin dall’inizio della mia attività di studioso, trovai incongruo che ciò che mi era stato insegnato, e che ora io insegnavo, si chiamasse “diritto civile”, “diritto penale”, e così via, e poi, di fatto, si riducesse al “diritto civile in vigore in Italia”, “diritto penale in vigore in Italia”, e così via. E svolsi un’opera di propaganda perché l’insegnamento del diritto nelle Università inglobasse informazioni e approfondimenti estesi ai sistemi giuridici stranieri. Nel 1996 le regole in vigore furono cambiate e le mie proposte furono accolte. Nel frattempo avevo preparato ad insegnare i nuovi rami del sapere a giovani studiosi preparatissimi, in modo che la riforma fu attuata con pieno successo. Oggi il diritto è insegnato e imparato in un altro modo. Lei oltre che un ex docente di diritto civile è uno studioso di diritto comparato. Ce ne parla? Come ho già anticipato, sono fautore

di una educazione giuridica interessata a tutto il diritto. Perciò, non appena ottenuta una cattedra di diritto civile inteso come diritto civile italiano, insegnai come seconda materia il diritto privato comparato, che introduceva lo studente ai vari sistemi presenti nel mondo. Quando mi fu possibile, ottenni una cattedra di diritto privato comparato, insegnando come seconda materia, in anni alterni, il diritto dei Paesi socialisti e il diritto africano. Da una certa data, passai ad insegnare l’antropologia giuridica, che spazia sul diritto di tutte le specie umane che si sono succedute (da homo abilis a homo sapiens). Oggi il mondo nel quale viviamo richiede più ricette per risolvere i problemi o più diritto? La contrapposizione non regge. Il mondo ha da guadagnare dalle ricette e ha da guadagnare dal diritto. Diritti umani e diritto degli Stati non sempre sono in sintonia. Chi deve stare sopra e chi sotto? Trecento anni fa, l’uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge non era né proclamata né desiderata. Duemila anni fa, il diritto romano era imperniato sulla schiavitù e sul maschilismo. E certo ci attendono nuovi cambiamenti, per ora imprevedibili, e saranno certo cambiamenti in meglio, forse ammirevoli. Lei come ex comandante partigiano è cittadino onorario di Cantalupa. Ci parla di quel periodo?


«Per il momento, non esiste ancora un’autorità superiore agli Stati, dotata del potere giuridico e delle forza»9 Premetto che il mondo del passato fu carico di orrori. Nel 1940 coesistevano, nel mondo, un potere comunista e un potere nazionalsocialista (responsabili, l’uno e l’altro, dell’uccisione di milioni di vittime innocenti), nonché di un iniquo potere colonialista. “Quel periodo” fu il momento in cui ci fu dato di poterci battere per difendere la nostra Terra da quegli orrori. L’evento epocale del momento è quello delle migrazioni. Il diritto può dire qualcosa in proposito? In particolare ci può dire qualcosa sul rapporto tra diritto di matrice occidentale e quello musulmano? Il diritto islamico è semplicemente una tappa nella macrostoria dell’uomo e del diritto, cui ho fatto allusione nelle risposte alle domande che precedono. Veniamo al Pinerolese. Lei guardando questo territorio col distacco del torinese come lo vede? Amo il Pinerolese. Esso significa rispetto per gli altri, equilibrio, signorilità di modi. Ho fatto la Resistenza nelle valli del Chisone e del Noce. Ho vissuto sessantadue anni di felice coniugio con una valchisoniana, e la sua casa di famiglia, a Roure, è stata ed è la mia casa delle vacanze. A suo tempo, avevo anche imparato il patois provenzale della vallata, oggi in via di sparizione. Il nostro giornale è fatto principalmente da giovani universitari o laureati. Che differenze nota tra i giovani di oggi e quelli di quando lo era lei? Quando ero studente, i miei compagni ed io eravamo studenti torinesi. Ci ha seguiti una generazione di studenti italiani.

La generazione seguente è stata una generazione di studenti europei. Forse la generazione attuale è formata da studenti terrestri. Quando ero studente, ognuno di noi pensava a sé. Oggi è fiorito e fiorisce il volontariato. Un’ultima domanda sulla sua disciplina. Qual è lo stato attuale dei diritti nel mondo? Quali le criticità e quali le speranze? Lo stato attuale dei diritti? I sistemi giuridici sono figli delle diverse culture. E le culture si sono susseguite secondo ritmi che hanno avvicendato servitù e libertà, caste e uguaglianza, ignoranza e informazione, e così via. Criticità e speranze? Per il momento, non esiste ancora un’autorità superiore agli Stati, dotata del potere giuridico e delle forza materiale occorrenti per prevenire e reprimere l’uso delle armi nei conflitti fra Nazioni. Cento anni fa non esisteva ancora nessuna autorità sovranazionale. Con la Società delle Nazioni e con l’Organizzazione delle Nazioni Unite si sono fatti due passi nella direzione giusta, ma il passo essenziale deve ancora venire. E, per ora, non può avvenire. L’autorità di cui parlo dovrebbe essere legittima agli occhi di tutte le Nazioni. Ma secondo una concezione questa legittimazione dovrebbe venire da Dio, secondo un’altra visione le decisioni collettive sono vincolanti solo se prese all’unanimità. Finché manca un’unità di vedute sulla fonte della legittimità del potere, manca la possibilità di mettere in funzione una Istituzione che parli a nome di tutta l’umanità.


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L’ambiente siamo noi di Beppe Gamba

Le aree pubbliche sono “nostre”? Di chi sono le aree e i parcheggi pubblici di Pinerolo? Posta così sembra una domanda sciocca ma lo diventa molto meno se, come fanno il Cai, la Legambiente e i giovani richiedenti asilo ospitati dalla Coop. Crescere Insieme, vi occupate di pulire periodicamente quelle aree. In genere i viali e i giardini della città non sono mai molto sporchi (Roma è lontana!) ma richiedono pur sempre generosi interventi per rimuovere cartacce e bottiglie che i maleducati lasciano a terra, magari di fianco a cestini e cassonetti. Invece i parcheggi e le aiuole vicine ai supermercati e alle scuole (non c’è bisogno di far nomi, basta dare un’occhiata a quelli di quartiere) presentano spessi strati di cartacce, lattine, bottiglie, depliant, sacchetti e chi più ne ha più ne metta. Abbastanza n o r m a l e pensando che si tratta di luoghi intensamente frequentati da un pubblico non sempre “civile”. Meno normali le risposte che otterrete chiedendo come mai non vengono pulite: tocca al Comune o all’Acea vi diranno nel supermercato, tocca ai gestori dei negozi vi diranno all’Acea. Di fronte al Carrefour di Via Saluzzo la situazione si fa kafkiana: gli abitanti dei palazzi vicini sono infuriati perché le aiuole alberate al centro del parcheggio sono delle vere discariche (dicono per colpa soprattutto degli studenti del vicino Murialdo che le utilizzano come area di picnic) ma né il supermercato né il comune ne riconoscono la proprietà. Pare si tratti di pertinenze dei condomìni anche se son dotate di panchine (cadenti), trespoli per la

sosta delle biciclette e resti vandalizzati di cestini. Ovvero sono (state) attrezzate in vista di un uso pubblico. In tutto il mondo milioni di cittadini si attivano ogni anno in Settembre per la Giornata “Puliamo il mondo”, portata in Italia da Legambiente, ripulendo giardini, spiagge e piazze imbruttite dalla maleducazione e trascurate dai servizi pubblici. Da un po’ di tempo centinaia di cittadini a Roma come a Milano, a Palermo come a Pinerolo, si organizzano per prendersi cura oltre quella data canonica di un’area pubblica, di un giardino o di un parco che richiedono più cura e attenzione. Molte associazioni e comitati organizzano questo volontariato generoso, utile a educare cittadini e amministratori. Si sfiora il ridicolo quando questa azione viene promossa da partiti politici che, a Roma come a Pinerolo, hanno avuto o hanno responsabilità di governo e dovrebbero garantire tutti i giorni efficienti servizi con le tasse pagate dai cittadini. In ogni caso sono operazioni utili, che coniugano il senso civico e la pubblica utilità. Resta la necessità che le amministrazioni pubbliche, le imprese commerciali e gli amministratori di condominio, ognuno per la sua parte, imparino a gestire meglio questi semplici problemi di igiene urbana, senza aspettare che giovani immigrati, temporaneamente ospiti della città, si convincano che dobbiamo essere “aiutati a casa nostra”!

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società

Eventi in città

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I “semi dell’universo” di Fabio Petani

“Ildialogodeicoloriconleimperfezioni” Street artist o urban artist. Qualcuno li chiama ancora graffitari. Qualunque sia il nome con il quale si identifichi un artista che ha scelto le vie cittadine come proprio atelier, quel che è certo è che il pinerolese Fabio Petani certamente ne è un esponente autorevole. Lo testimoniano le numerose pareti che ha dipinto in giro per l’Italia, soprattutto nel torinese, suo campo d’azione preferito; lo confermano le sempre più numerose esposizioni nelle gallerie, in diverse città lungo tutta la Penisola. Da ultima gli ha dedicato una personale per tutto il mese di maggio la pinerolese Galleria Losano, la quale si è vista metaforicamente connessa ai muri degradati di ex edifici industriali, di scuole o stazioni ferroviarie. Si, perché l’originalità dell’esposizione sta nel fatto che le opere in mostra fanno parte di una serie più ampia: il lavoro si basa infatti sulla rappresentazione dei 118 elementi della tavola periodica – resi visibili attraverso la purezza di forme geometriche semplici – sui quali si sovrappone armoniosamente il disegno di elementi botanici, ispirati alle linee semplici degli erbari medievali. Un insieme di opere uniche, quindi, ma interconnesse, che possono trovarsi indifferentemente nascoste tra le fronde di qualche cortile abbandonato o appese alla parete di un soggiorno. La ricerca di Petani è assai interessante, perché riesce a calibrare il suo lavoro a seconda della superficie sulla quale agisce: che sia un muro screpolato e circondato di

edera, o una lastra di legno con spaccature e nodi, è capace di far dialogare forme e colori con le imperfezioni, ottenendo un risultato estremamente raffinato. Sèmina Rerum, “semi dell’universo”, è stato il titolo della mostra, e riassume perfettamente il modo di procedere del giovane artista. Per lui, infatti, nulla si presenta già fatto ma necessita di un seme da cui svilupparsi. Ed è proprio ciò che fa, lasciandosi suggestionare e ispirare da quanto gli offre il contesto nel quale dipinge. Parallelamente all’esposizione è stato realizzato un video, nel quale il videomaker Francesco Calabrò è riuscito a sintetizzare l’intero percorso che conduce all’esperienza artistica di Petani, dal concepimento alla realizzazione. La clip si può apprezzare su Youtube (https://www.youtube.com/ watch?v=4w_1_0LNKUM), ed è stata presentata con buon successo anche alla passata Notte delle Muse che – lo si può dire con una certa soddisfazione – è stata in grado di smuovere i pinerolesi alla ricerca di quanto di bello c’è nella nostra città. E di bello, a Pinerolo, ci sono certamente anche le opere di Fabio. Un muro pasticciato con le bombolette resterà sempre un muro pasticciato con le bombolette. Un muro poetico, come quelli che realizza Petani, ha la capacità di incantare chi lo guarda. E, ne siamo certi, di rendere belli interi scorci cittadini altrimenti anonimi.


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così per il mondo

Vita internazionale

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di Alessia Moroni

Intervista a Michela Possetto

Ai Campionati Mondiali di Cheerdance Michela ed altre sei atlete pinerolesi (Carlotta Gherra, Nives Griffone, Carlotta Degregori, Nicol Macagno, Sofia Mensa, Benedetta Mosele) sono da poco tornate da Orlando (U.S.A.), dove hanno avuto luogo i Campionati Mondiali di Cheerdance. L’Italia si è classificata 13° e le emozioni sono state davvero tante. Michela ci racconta la sua esperienza come atleta del team italiano. Come hai iniziato ad appassionarti di Cheerdance? La mia formazione comprende la ginnastica artistica, ma soprattuto la danza moderna. Seguo la mia insegnante di danza, Roberta Bozzalla, da ormai quindici anni ed ho iniziato a guardare al mondo delle cheerleader durante le Olimpiadi di Torino del 2006, ma ero ancora piccola. Nel 2016, come Centro Danza Pinerolo, abbiamo iniziato a gareggiare nella categoria Cheerdance freestyle dance team. Ad ottobre 2016 abbiamo partecipato ad una selezione a Verona per entrare in Nazionale e sono stata presa. Da lì è cominciata questa avventura. Le atlete del team italiano arrivano da ogni parte d’Italia. Come si sono svolti gli allenamenti durante la preparazione ai mondiali? Da novembre abbiamo avuto un allenamento al mese a Roma per due giorni interi. La nostra allenatrice, Danijela, e le sue assistant coach, Roberta (la mia insegnante) e Cinzia, ci hanno seguite durante tutto il percorso. Ci sono poi stati anche degli allenamenti intermedi, divisi tra le ragazze provenienti dal nord e dal sud. Noi del nord ci siamo allenate

a Pinerolo. Inoltre, ogni settimana, dovevamo mandare all’allenatrice un video individuale con gli elementi tecnici, in modo da seguire i miglioramenti e ricevere correzioni. Abbiamo fatto l’ultimo allenamento completo due settimane prima della gara e ci siamo poi trovate direttamente alla partenza. Com’è stato vivere una gara così importante? Quali sono state le tue emozioni? Ci siamo allenate ed abbiamo gareggiato all’ESPN Wide World of Sports Complex, all’interno del parco della Disney di Orlando. Ci allenavamo all’aperto, vicino alle altre nazioni, nel Resort del Parco. Putroppo, durante l’ultima prova, una mia compagna è caduta e si è fatta male, dovendo così rinunciare a gareggiare solo cinque minuti prima della competizione. Noi eravamo molto dispiaciute e abbiamo cercato di dare il massimo, anche se per un soffio non siamo riuscite ad accedere alla finale. Le tue emozioni? La parte più emozionante non è stata tanto la gara in sè, ma tutto il resto: la Cerimonia di Apertura con lo scambio delle spille o delle magliette con le altre atlete internazionali, la sana competizione. Non c’erano critiche tra le squadre avversarie, ma tutti applaudivano tutti ed erano tutti amici. Questo mi ha proprio stupita. Quali sono i tuoi prossimi obbiettivi? Pensavo di fermarmi qua e invece no. Una volta che si arriva a questo livello, si vuole partecipare di nuovo. So di avere ancora da migliorare, ma sono determinata a continuare. Dedicherò i prossimi mesi alla Laurea e poi vorrei riprendere gli allenamenti.


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così per il mondo

Vita internazionale di Michele Barbero

Intervista a Pietro Milanesi

Dalla Val Pellice alla California Il torrese Pietro Milanesi, compositore e tecnico del suono, si è stabilito da qualche tempo a Los Angeles. Abbiamo fatto una chiacchierata sul suo lavoro nell’industria cinematografica americana, e sulle differenze tra il mercato italiano e quello statunitense. Di cosa ti occupi di preciso a Los Angeles? Svolgo attività diverse: lavoro sia nell’ambito della musica per pubblicità (per esempio ho prodotto un album per la Red Bull), sia in quello cinematografico. Ho firmato le colonne sonore di alcune piccole produzioni e sono assistente di Adam Peters, che fra le altre cose è autore delle musiche di diversi film di Oliver Stone. Quali sono i film più significativi a cui hai messo mano? Con Peters ho lavorato per esempio a Icarus, un documentario sullo scandalo del doping di Stato in Russia apparso all’ultimo Sundance Film Festival, e al film di guerra Sand Castle entrambi distribuiti da Netflix. In questi grossi progetti io ho un ruolo prevalentemente tecnico, ma mi capita anche di scrivere alcuni passaggi delle colonne sonore. Certo, il compositore che mette la firma deve sempre approvarli e sovente li ritocca leggermente, per farli sentire più “suoi.” Come sei finito a Los Angeles? Ho mosso i primi passi in Italia, in particolare nello studio romano a cui si appoggiano Ennio Morricone e Nicola Piovani. Lì ho fatto tutta la gavetta, passando da porta-caffé a fonico a

tutti gli effetti. Nel 2014 ho avuto l’occasione di andare a studiare al Berklee College of Music di Boston; dopodiché mi sono trasferito a Los Angeles, che grazie a Hollywood offre parecchie possibilità nel campo della musica da film. Morricone che tipo è? È veramente un genio. Le sessioni in studio di registrazione sono giornate lunghe; una volta, al momento del missaggio, Morricone si è seduto e ha chiuso gli occhi. Sembrava che si fosse appisolato, poi però di colpo ci ha fatto notare che “il secondo trombone a destra era leggermente calante.” Che abbia gli occhi chiusi o meno, ha un orecchio eccezionale. Ci fai un confronto tra Italia e Stati Uniti, per quanto riguarda il tuo campo? La differenza sostanziale è che qua ci sono più risorse economiche. C’è molto più lavoro, a Los Angeles in particolare. Operatori nel campo dei media e delle nuove tecnologie come Amazon e Youtube hanno spesso uffici qui. E ovviamente l’industria cinematografica è più solida, si producono film di tutti i tipi e con budget molto superiori. Questo si traduce anche in una maggiore regolamentazione del lavoro. Qua le grosse aziende ti fanno un contratto anche per farsi fare un caffè, mentre in Italia da questo punto di vista era abbastanza il Far West. Com’è la vita a Los Angeles? È una città un po’ strana. Le distanze sono enormi e l’auto è indispensabile anche per andare a comprare il giornale. Molti miei amici vivono a un’ora di macchina da casa mia. Però c’è il sole, c’è la spiaggia: si vive bene. Ti piacerebbe tornare in Italia? Nel mio ambito lavorativo, qua è molto meglio. L’Italia potrebbe essere una buona scelta per quando andrò in pensione, a settant’anni. Ma in questo momento non credo che tornare in via definitiva sia un’opzione...

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società

Serate di Laurea /1 Serate a cura di Francesca Olocco

Serata con Martina Arancio e Martina Basolo

“Malattie rare in età evolutiva” e “La questione della colpa”

La prima a presentare il proprio lavoro è stata Martina Arancio, parlandoci della sua tesi dal titolo Malattie rare in età evolutiva: focus sul caregiver familiare. Queste sono state le sue parole: «L’obiettivo di questo progetto è quello di focalizzare l’attenzione sulle Malattie Rare, presentandone le principali caratteristiche e

del caregiver familiare è cruciale e deve essere considerata come parte integrante del piano di cura». È stato poi il turno di Martina Basolo, che ha realizzato una tesi dal titolo “Am Beispiel meines Bruders”, la questione della colpa analizzata attraverso una storia famigliare. Le seguenti parole riassumono la sua dissertazione: «Il lavoro svolto prende in esame l’opera Am Beispiel meines Bruders dello scrittore tedesco Uwe Timm. Attraverso la storia della propria famiglia durante il Terzo Reich e nel dopoguerra, nel tentativo di conoscere e capire il fratello maggiore morto al fronte,

sottolineando il ruolo che ricopre il logopedista nel trattamento. Inizialmente ho analizzato la letteratura esistente e le linee guida. Sebbene non esista una cura, molti sintomi sono trattabili e molto può essere fatto per incrementare la qualità di vita, in particolar modo grazie alle cure palliative e il contributo del logopedista. In questo contesto, la figura

Timm offre un’analisi della società tedesca dell’epoca. Il presente studio comprende quindi una breve biografia dell’autore ed una panoramica dei suoi lavori principali, oltre che un’approfondita analisi letteraria dell’opera. Si concentra infine sulla cosiddetta questione della colpa e sulle trasformazioni subìte dalla lingua tedesca durante il nazismo».

Il 19 maggio l’Associazione Onda d’Urto ha nuovamente ospitato l’evento Serate di Laurea. Le relatrici di quella serata sono state Martina Arancio, laureata in Logopedia, e Martina Basolo, laureata in Scienze della mediazione linguistica.

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società

Serate di Laurea /2 Serate a cura di Francesca Olocco

Serata con Elena Rudiero, Luca Gendre e Giorgio Nicola

“Il progetto Habitar Favela” e “L’influenza delle ruote nelle performance aerodinamiche” Il 9 giugno, presso Onda d’Urto, l’ultima serata di laurea dell’a.a. 2016/2017. I primi a condividere con noi la loro ricerca, dal titolo Habitar Favela. Un progetto di riqualificazione urbana ad Osasco (São Paulo): il caso di Jardim Açucará sono Elena Rudiero e Luca Gendre. I due ragazzi, entrambi laureati in Architettura per il progetto sostenibile, ci hanno spiegato: «Il lavoro di tesi si concretizza grazie alla collaborazione che da anni è viva tra il Politecnico di Torino e la Secretaria de Habitação e Desenvolvimento Urbano del comune di Osasco del Brasile. L’obiettivo del lavoro è stato quello di elaborare un progetto abitativo architettonico di social Housing per l’area di Jardim Açucarà, una favela situata nella zona Nord-Ovest della città.

edilizia popolare in Brasile». L’ultimo relatore è stato invece Giorgio Nicola, laureato in Ingegneria Aerospaziale, che ci ha descritto un progetto molto interessante e dal titolo Studio CFD sull’influenza aerodinamica delle ruote in una bicicletta carenata, che ha così descritto: «Il lavoro di tesi da me presentato è stato uno studio, in ambiente CFD (Computational Fluid Dynamics), dell’influenza delle ruote nelle performance aerodinamiche di una HPV (Human Powered Vehicle) carenato. Tramite simulazioni a computer (effettuate appunto con un software CFD), si è cercato di capire che tipo di ruota fosse maggiormente performante al fine di ridurre la resistenza aerodinamica del veicolo. Il lavoro è stato svolto nell’ambito del team

Gli obiettivi sono stati quelli di migliorare la qualità della vita nella favela, dare risposte concrete all’instabilità e alla sicurezza e inserire nuove infrastrutture e servizi urbani. Abbiamo quindi svolto un’analisi del fenomeno dell’urbanizzazione nei Paesi in via di sviluppo e successivamente del Brasile. Rilevante è stato lo studio dei principali piani attuati dal Governo e le politiche abitative di

studentesco Policumbent del politecnico di Torino, che ha come obbiettivo lo sviluppo di HPV ad alta velocità, di modo da poter competere al WHPSC di Battle Mountain (Nevada, USA), competizione che si tiene ogni settembre. Lo scorso anno il Team Policumbent ha raggiunto i 126.7 km/h con la bicicletta “PulsaR”, classificandosi secondo tra le università partecipanti alla competizione».

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culture

Dal mondo di Alessandro Castiglia

Ci sarà una nuova Primavera?

Bombe d’acqua sulle spose bambine Ancora oggi in Bandgladesh il 66% delle ragazze minorenni viene data in moglie ad uno sconosciuto, il 30% di queste non supera la soglia dei 15 anni. Il matrimonio combinato nei Paesi poveri, ma non solo (qualche mese fa a Torino una ragazza di 15 anni è stata prelevata dai Servizi sociali perché vittima di questo fenomeno), è sempre stato un problema messo a tacere, come se fossero “affari di famiglia”. Qualche giorno fa mi sono imbattuto in una notizia curiosa: in Bangladesh il cambiamento climatico sta influendo incredibilmente sui matrimoni combinati. Mi spiego meglio. I fiumi di questo Paese sono una risorsa per la popolazione bangladese, che per la maggior parte lavora la terra e alleva animali. Le condizioni geografiche e climatiche non favorevoli hanno sempre portato ad alluvioni cicliche ogni 20 anni. Il riscaldamento globale ha accelerato questi cicli portando le catastrofi naturali a presentarsi ogni 5 anni, allagando i villaggi degli abitanti e, nei peggiori casi, portandone via le abitazioni. Per reagire al fenomeno la popolazione ha dato inizio ad un flusso migratorio verso le grandi città: Dhaka, la capitale che conta 20 milioni di abitanti, vede crescere del 5% la sua popolazione ogni anno. L’abbandono dei villaggi ed il continuo sovraffollamento delle città sta impoverendo sempre di più le famiglie. I padri, patriarca della famiglia, per

affrontare la crisi economica, spesso preferiscono pagare una dote e far sposare la propria figlia ad uno sconosciuto piuttosto che mantenerla. La condizione delle ragazze però non migliora, se possibile peggiora. Solitamente la famiglia per pagare la dote si indebita, non riuscendo nella maggior parte dei casi a pagare tutto l’importo promesso. A quel punto il destino della moglie è diviso tra due possibilità: essere cacciata via di casa perdendo l’onore oppure essere torturata dal marito e dalla sua famiglia. Scorrendo con lo sguardo le testimonianze di queste ragazze e delle loro famiglie, ascoltando le loro storie devastanti, mi è però parso di intravedere tra le loro parole uno spiraglio di speranza. Davanti alla telecamera, nonostante la presenza del padre, le donne della famiglia manifestavano, seppur timidamente, la loro volontà che questa pratica finisse. Seppur soltanto verbalmente, si opponevano a questa barbarie che nel 2017 non dovrebbe più esistere. Sicuramente ciò non è sufficiente a realizzare il sogno di Razi, Brishti e migliaia di teenager accomunate dalla stessa triste prospettiva di vita. Forse però la consapevolezza dell’ingiustizia, un po’ di fortuna nell’incontrare le persone giuste e la forza del web come strumento di connessione tra pari possono essere le fondamenta di una base solida per regalare a queste ragazze una nuova Primavera.

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Giovani & Lavoro

Società

di Nicola Bianciotto

Coworking

L’ambiente che crea lavoro La parola coworking, intesa come lavorando con, lavorare insieme, individua uno spazio di lavoro fondato sulla collaborazione, sulla condivisione di spazi, servizi e valori comuni. E’ un ambiente dinamico nel quale persone che operano in settori anche differenti condividono le risorse di un normale ufficio, stringendo rapporti che creano valore aggiunto per tutti grazie all’incontro di competenze ed esperienze diverse. Il coworking è quindi un modo diverso di lavorare dove si sviluppano progetti per affinità senza competizione e rivalità. Condivisione, cooperazione e comunicazione sono i fattori necessari per promuovere la socializzazione e dare concretezza alle idee: nascono così collaborazioni per nuovi business e scambi di consulenze tra tutti i coworker. Questo ufficio condiviso nasce, inoltre, come risposta all’esigenza di tutti quei lavoratori che a causa del radicale cambiamento di molti paradigmi del mondo del lavoro si sono trovati a non lavorare più in ufficio e di conseguenza hanno sentito il bisogno di relazionarsi ed essere professionalmente riconosciuti in un ambiente consono. Senza dubbio il focus si sta spostando sempre più dal singolo lavoratore alla rete in cui è inserito. Il capitale umano acquista sempre più valore grazie alla rivalutazione del capitale sociale, cioè quella rete di relazioni che consente la circolazione delle informazioni e delle conoscenze creando competitività e innovazione: l’azione individuale e quella collettiva lasciano il posto all’azione connettiva. In sintesi i vantaggi di questo approccio lavorativo sono cinque. Essenziale è lo scambio di professionalità. Gli ambienti di lavoro condiviso sono frequentati da persone dotate di talenti di

diverso tipo per cui è più facile la ricerca di collaboratori o consulenti. L’ispirazione è un vantaggio che si può acquisire con il coworking, perché frequentare uno spazio di lavoro condiviso ed imparare dalle competenze e dalle esperienze degli altri pone l’individuo in una situazione psicologica di apertura mentale, di rinnovato interesse e conseguente stimolo per nuove idee. Importante è anche considerare la community di Coworking, elemento base per un ufficio condiviso. I momenti di

networking e le pause caffè rappresentano le consuetudini che rafforzano la community e scandiscono le giornate lavorative. Il lavoro condiviso, inoltre, elimina le preoccupazioni per l’amministrazione, il funzionamento di Internet, del riscaldamento e di tanto altro. Infine il vantaggio economico. Nonostante le utenze siano solitamente incluse in contratti d’affitto, il Coworking resta la soluzione più vantaggiosa nella scelta di un ufficio. In questo panorama il nostro territorio e Pinerolo come città capofila deve avere il coraggio e la capacità di riflettere seriamente sui vantaggi che il coworking può portare alla città e ai cittadini sfruttando i tanti spazi inutilizzati che il nostro comune ha a disposizione.

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diritti umani

Visibili & Invisibili

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GRUPPO GIOVANI AMNESTY INTERNATIONAL

Trump, clima e diritti umani Il cambiamento climatico è una delle più gravi minacce che il mondo abbia mai conosciuto. I ghiacciai si ritirano, i laghi e i letti dei fiumi si prosciugano, le foreste bruciano, i raccolti seccano e le temperature aumentano. Il cambiamento climatico può acutizzare la disuguaglianza sociale, la fame e la crisi dei rifugiati. Centinaia di milioni di persone verrebbero private del diritto alla vita, alla salute, al cibo, all’acqua e all’alloggio. In ogni continente sarebbero le persone più vulnerabili, come i bambini, a essere maggiormente colpite. L’abbandono dell’accordo sul clima, annunciato dal presidente degli Usa Donald Trump, rischia di provocare una catastrofe dei diritti umani di dimensioni epocali. Inoltre gli Stati Uniti sono il paese che contribuisce di più alle emissioni di anidride carbonica e quindi al riscaldamento globale, e senza

un loro impegno preciso potrebbe essere molto difficile rispettare la tabella di marcia stabilita nel 2015. “Rifiutando di condividere con le altre nazioni l’adozione delle misure necessarie per ridurre le emissioni dei gas responsabili dell’effetto serra e mitigare il cambiamento climatico – ha commentato in una nota ufficiale Margaret Huang, direttrice generale di Amnesty International Usa –, è come se il presidente Trump stesse affermando: “Lasciamoli annegare, morire di caldo e di fame”. “Chiediamo al presidente Trump di non indirizzare il mondo su una mortale rotta di collisione col disastro, la guerra e l’insicurezza. Tutti gli stati devono rinunciare ai combustibili fossili, altrimenti si rischierà una catastrofe dei diritti umani di dimensione epocale e irreversibile”, ha concluso Huang.

Giovani&Nuove tecnologie

di Greta Gontero

Uno scanner per il Braille Chen Wang, Chandani Doshi, Grace Li, Jessica Shi, Charlene Xia e Tania Yu… Forse questi nomi non vi dicono ancora nulla ma presto, si spera, ne sentirete parlare molto spesso. Sono i nomi delle sei giovani e brillanti studentesse del MIT, noto istituto tecnologico statunitense, le quali hanno partecipato e vinto il concorso scolastico per il Lemelson-MIT Student Prize grazie alla loro invenzione. Il Team Tactile (questo è infatti il nome del gruppo) ha ideato un dispositivo in grado di convertire qualunque testo in Braille all’istante, dando la possibilità ai non vedenti di poter avere esperienza di questi testi a

loro volta: un’invenzione che cambierà loro radicalmente le condizioni di vita! Questa invenzione ha una struttura particolare, simile ad una scatola: nella parte inferiore vi è uno scanner funzionale ad “assorbire” il testo da trascrivere in Braille, mentre un sensore OCR riconosce i caratteri e permette ad un altro software di tradurre questi caratteri in Braille grazie ad una serie di piccoli cilindri che vengono abbassati o alzati. Lo scanner per Braille per ora rimane solamente un prototipo ma le orgogliose creatrici sperano un giorno di riuscire ad immetterlo nel mercato senza costi esagerati.


Il Passalibro

dal tempo

di Cristiano Roasio

JOYCE

F i nnegans Wake Sotisfiction. So this is fiction e/o soddisfazione. Basta pescare a caso in quello sterminato guazzabuglio geniale che è il Finnegans Wake, opera ultima (o prima) di Joyce, per capire come funziona il romanzo meno leggibile e paradossalmente più democratico mai scritto: una serie sterminata di parole polisemantiche, stiracchiate, mischiate, amalgamate dall’autore, e non dimentichiamo il lettore, come un alchimista, anche se mi sembra più corretto dire come un barista che vi corregge, la correzione è sempre un’aggiunta, la vostra Guinness, HCE è infatti il protagonistaoste (non è questa la sede per analisi critiche eccessive, basti sapere che anche i ruoli dei protagonisti, presunti, e la fabula, il racconto, rimandano sempre ad altro in un gioco di rimandi infinito che spazia dalla storia, alla religione, alla tradizione irlandese e potrei andare avanti per tutto il nostro mensile). In questi giorni tornano reperibili in libreria le prime quattro parti tradotte, trasformate, in italiano, anticipate già dalla quinta (libro terzo, capitoli I e II) uscita ad inizio 2017, in attesa dell’ultima sesta parte prevista nel maggio del 2019, ottantesimo anniversario dell’opera. In virtù di quanto stabilito dal libro stesso non sono e sono la persona più adatta a parlarvi di un libro che è sì difficilissimo ma presenta talmente tante chiavi di lettura da essere divertentissimo e scorrevole. Si tratta di un libro sogno, un sogno nel sogno, una sorta di veglia funebre laica in eterno divenire, dotato di oltre quaranta lingue diverse eppure capace di sublimare nella stessa parola doppi sensi genitali e aulici riferimenti cabalistici; un fiume

inarrestabile di colpa e rigenerazione, di caduta e rinascita, come testimonia l’incipit in minuscolo, simbolo grafico di una circolarità infinita; un romanzo che ha anticipato le sigle dell’Unione Europea, e magari, chissà, una United States of Earth; un canto al vuoto, al nulla riempito di frattali di Tutto; in poche parole, un’impresa folle, sia lo scriverlo, sia il leggerlo, sia ovviamente il non-leggerlo. E la cosa divertente è che se non lo leggete, lo state comunque leggendo. E viceversa. L’unico vero testo sacro di cui abbiamo bisogno, nel quale Adam and Eve

diventano Atoms and ifs (atomi e se), è già stato scritto, scorre come il fiume che vuole rappresentare e nell’inconscio di ogni uomo, il Primo Uomo, ognuno, ogni è uno, è sempre il primo tra i primati, sempre il primo a ridere, the first man’s laughter, perché poi basta attaccare (in clima joyciano ogni parola esplode, anche accendere sarebbe un vocabolo pieno di triple letture) la tv, la risata si trasforma in slaughter (massacro). Eppure sembra così facile tornare al joyceful laughter (risata joyceosa), basta un libro che si pensava illeggibile: come quel Finn della ballata irlandese, dato per morto e risorto con qualche goccia di whisky.

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Officine del suono

musica

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di Isidoro Concas

M usi c a emergente

Incomprensibile FC Incomprensibile FC è un progetto che fonde rock, bass music, indie, hip-hop e musica psichedelica in una miscela che loro stessi definiscono “Rockstep”. Il gruppo è formato da Matteo Imbrianti, Silvio Viganò e Andrea Denanni. Dopo due EP ed un album, Superfast Nonstop, sono tornati sulle scene per un contest che li ha portati a suonare al Concertone del Primo Maggio a Roma, anticipando la prossima uscita di nuovo materiale. Il rock, la dubstep, l’hip-hop e molti altri generi che fate confluire nel vostro linguaggio, oltre ad una musicalità propria, b a s a n o molto del loro sound sull’attitudine. Per voi, che rapporto c’è tra musicalità ed attitudine, in quel che fate? Per noi è fondamentale l’attitudine con cui ci poniamo alla musica, senza imporci limiti di genere e di stile. I principali generi da cui traiamo ispirazione sono basati su un impatto diretto, senza troppi fronzoli, dove sono l’attitudine e la personalità a fare la differenza, ma per poter comporre musica con una certa libertà è anche molto importante la musicalità e la conoscenza dell’armonia, per questo prendiamo molto anche da generi più tradizionali come il jazz ed il blues. I vostri live, per la natura di quel che suonate, oscillano tra concerto e dj-set. In quale di

queste vesti vi identificate di più, e perché? Attualmente il nostro live può considerarsi un ibrido tra concerto e dj set. Sicuramente ci identifichiamo maggiormente nella situazione da concerto, ambito in cui siamo cresciuti tutti e tre, ma vogliamo anche portare dal vivo l’atmosfera del dancefloor. Abbiamo in mente di aggiungere sul palco basso e batteria, aumentando anche i campionamenti live, per avere ancora più impatto e dare più importanza alla dimensione del suonato, c o n t i nuando però a mantenere a l c u n e caratteris t i c h e tipiche del dj set. La bass music ha s u b i t o m o l t e evoluzioni: voi avete cominciato in un periodo dove, col suo lato più electrobrostep, ha raggiunto il mainstream con produttori come Skrillex e canali come UKF, contaminando altri linguaggi come il metal (con i Korn), l’hip-hop (con la Machete Crew in Italia, o coi Dope DOD) e persino la musica commerciale. Le vostre influenze dubstep si rifanno a quell’ambito: come considerate le altre parti di questo linguaggio, dalle origini alle più recenti evoluzioni, come la trap? La trap è un genere che ci piace molto e che stiamo provando ad inserire nel nostro linguaggio musicale, in particolare per quanto riguarda la struttura e il sound dei beat. Così come la scena bass music anche il nostro stile si sta evolvendo, prendendo


“Per noi è fondamentale l’attitudine con cui ci poniamo alla musica, senza imporci limiti di genere e di stile” 21

spunto dalle nuove influenze che arrivano dalla scena elettronica e non solo. I vostri lavori sono molto liberi: oltre alle sperimentazioni di linguaggio, vi prendete spazio per lunghe strumentali, un ampio utilizzo dei campionamenti più vari, e delle strutture non-standard che si evolvono in un flusso. Come costruite un vostro pezzo? I nostri pezzi nascono in modi molto diversi, a volte da un’improvvisazione o un riff di chitarra, altre da un’idea nata in testa e sviluppata producendo al computer su daw come Logic, per poi portare tutto in studio, sperimentando sui suoni e sulle strutture. Per l’improvvisazione ci affidiamo spesso ai loop dei beat che creiamo, su cui suoniamo e registriamo chitarre, basso, synth, ecc., per poi scegliere in un secondo momento le take più interessanti e sperimentare con campionamenti, manipolazioni ed effetti. Nonostante il genere immediato che proponete, le tematiche che affrontate sono dense: l’indagine delle parti più profonde di sé, il reagire, il rapporto con la società. I linguaggi su cui vi fondate hanno sempre avuto questo pregio: l’immediatezza applicata ad argomenti importanti. È questa, la “rockstep revolution” che proponete?

Quello che cerchiamo di comunicare è l’importanza di essere in contatto con la parte più viscerale e spontanea della propria personalità, la parte vitale, ed il liberarsi da quello che non sei, dagli schemi che spesso il mondo esterno o talvolta inconsciamente noi stessi ci imponiamo. Anche il nostro sound va in quella direzione. È diretto, energico, liberatorio. Tramite 1MNext siete finiti a suonare sul palco dello scorso Concertone del Primo Maggio a Roma. Tramite questo concorso ed altre scelte di direzione artistica il Concertone sta pian piano aprendosi a musica nuova e che si discosta dal suo immaginario tipico. Come vedete questa sua evoluzione? Siamo contenti che un grande evento come il Concertone del Primo Maggio stia dando spazio a musica nuova e artisti indipendenti, che si discostano dai canoni classici della musica pop-tradizionale a cui siamo più abituati. Questo ci fa ben sperare per le prossime edizioni e anche per l’evoluzione della scena live italiana in generale. Sarebbe fantastico tornare presto sul palco di Roma, magari con qualche minuto in più a disposizione.

Giovani & Ambiente di Francesca Beltramo

Le meduse del Sole Pochi sanno che in Micronesia, precisamente sull’isola di Eil Malk nella Repubblica di Palau, v’è un lago di acqua salata che ospita una nutrita comunità di meduse. Meduse speciali per un lago speciale. Esso risale infatti al termine dell’ultima glaciazione, quando il livello del mare s’alzò tanto da riempirne il bacino, portando con sè le meduse, le quali, in mancanza di predatori si sono riprodotte in misura esponenziale e hanno attenuato i loro strumenti di difesa: le cellule urticanti sono di potenza assai ridotta rispetto alle meduse cosiddette “normali” e si può nuotare

nel lago senza correre (quasi) nessun rischio. Quasi un sogno. Eppure più stupefacente della loro inoffensività v’è solo la loro dieta: esattamente come le piante le meduse di Eil Malk sopravvivono grazie alla luce del Sole: essa permette la fotosintesi a microscopiche alghe che vivono in simbiosi con le meduse, ragion per cui queste ultime transitano ogni giorno da est ad ovest sul pelo del lago: seguono il cammino del Sole e per tutte quelle che s’allontanino troppo a lungo dalla superficie si prelude una morte impietosa. Lontane dalla luce sul fondo del lago.


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Sociale & Volontariato

primo piano

di Federica Crea

Il Punto Onlus

“Binario 110”, un progetto di coabitazione per persone con disabilità Lunedì 29 maggio, in Via Martiri del XXI n° 110, la cooperativa Il Punto Onlus di Torino ha inaugurato “Binario 110”, un progetto di coabitazione guidata mirato alla sperimentazione di vita fuori dal contesto famigliare e alla costruzione di un percorso di autonomia per persone affette da disabilità fisica. “Binario 110”, promosso dal Consorzio Intercomunale dei Servizi Sociali (CISS) e gestito da Il Punto Onlus, rappresenta un’esperienza avanguardista e innovativa, realizzata grazie al bando ministeriale proposto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in collaborazione con la Direzione Coesione Sociale della Regione Piemonte. Il progetto ha avuto inizio dal desiderio di Irene, Elisa e Luca di una vita indipendente dalle proprie famiglie, al fine di acquisire una maggiore autonomia dal punto di vista

pratico e da quello psicologico. Malgrado la loro disabilità fisica, i protagonisti di “Binario 110” sono ragazzi con una socialità molto attiva, che studiano, lavorano e sono ben integrati nella società grazie alle varie attività di volontariato alle quali partecipano. Per questo la cooperativa Il Punto Onlus ha deciso di investire risorse ed energie in un inedito progetto di cohousing che assume oggi i connotati della sfida pionieristica: infatti, mentre Irene, Elisa e Luca avranno modo di sperimentare la propria indipendenza in un appartamento di Via Martiri del XXI n° 110, la comunità pinerolese sarà chiamata a confrontarsi con una realtà nuova, molto spesso marginalizzata o vittima di pregiudizi e luoghi comuni. Per info e contatti: Silvia Trisoglio 349 66 13 767 binario110@ilpuntoscs.org

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sport

Sport di Luca Barbagli

il torneo del duomo

Un calcio al malcontento La piazza del Duomo è un luogo di notevole interesse storico e culturale, nonché un ottimo rifugio dalla calura estiva, ammesso che si sia tra quei pochi fortunati in grado di accaparrarsi le panchine all’ombra! Ma il tempo per refrigerarsi sta volgendo al termine, perché dal 29 giugno al 2 luglio muscoli e animi dovranno essere ben caldi, in vista dell’evento sportivo forse più atteso del Pinerolese: il torneo di calcio a 5 del Duomo, appunto! Giunto alla sua settima edizione, porta puntuale in ogni estate una ventata di felicità, di disinteressata allegria e di sana competizione. Se pensate che si tratti solo di una sgambata tra amici, beh, non avete mai assistito o preso parte a questo torneo! Ogni anno, molte squadre, alcune già rodate, altre nuove di pacca, si sfidano senza esclusione di colpi per aggiudicarsi la vittoria, a prescindere dai premi in palio (che, in ogni caso, sono sempre allettanti e graditissimi). I partecipanti, infatti, in questi quattro giorni ritornano bambini, nel senso più positivo del termine, ammesso e non concesso che ve ne siano di negativi; il gioco del pallone sembra riuscire a far dimenticare eventuali preoccupazioni e paure, avvicinando generazioni in questi tempi troppo distanti tra loro. La gioia del gol, dell’assist e di qualsiasi cosa vogliate sono pure, incontrollate e per questo autentiche. Troppe volte l’abitudine al rimprovero, al giudizio e alla critica danneggiano le nostre giornate e le nostre esistenze; per almeno quattro serate, lasciamoci trasportare dal rumore del pallone, dalle

esultanze e dal genuino rammarico di chi non è riuscito ad avanzare nella competizione. E se non riusciste a partecipare direttamente, potrete sempre aggregarvi alla moltitudine di persone che assistono, incuranti del caldo, con passione e partecipazione ad ogni partita. Se infatti le iscrizioni al torneo sono sempre abbondanti, ancora di più lo sono gli spettatori, calorosi e eterogenei, che spingono i propri beniamini a dare, gara per gara, sempre il massimo. Il torneo del Duomo è e deve essere un vanto per Pinerolo, perché riesce, in qualche metro di erba sintetica, a risvegliare il cuore di una piazza, e di una cittadina in genere, troppo spesso desolata e dimenticata, allontanando quelle minacciose nuvole di malumore per lasciare il posto a divise colorate, notti festose e, finalmente, sportive. Lo sport fa infatti parte a tutti gli effetti della vita culturale, ed è portatore di valori e princìpi tra i più alti, maestri di insegnamento per tutti, grandi e piccini, e in particolare per chi nasconde i propri timori in un “sono solo due calci a un pallone”. Viva lo sport quindi, viva il calcetto e viva il torneo del Duomo, che non vediamo l’ora cominci! Ricordate, dal 29 giugno al 2 luglio, non prendete impegni! Per info e iscrizioni: To MAke Eventi 345 11 89 816 www.tomake.info www.facebook.com/pinerolo.eventi

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Appunti di viaggio

mondo

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di Angelica Pons e Mauro Beccaria

in terra santa

Camminare sulle orme di Gesù Mauro che ha voluto fare un cammino alla riscoperta della nostra fede termina in questi giorni il cammino di Gerusalemme, sull’antico sentiero dei Templari e di tanti che nei secoli, come frate Francesco, non avevano altri mezzi per raggiungere il Santo Sepolcro. Bé’a, per lui da Torino a Tel Aviv in aereo, e da Tel Aviv ad Akko in bus. Ma poi a piedi: è una scelta, di salute e di turismo alternativo, nella natura e in mezzo alla gente. Tanti gli incontri, commoventi. Ecco i più significativi. Suor Laura, delle Francescane di Tabgha che con grande generosità lo ha ospitato senza preavviso, rifocillato abbondantemente. Grazie soprattutto per la limonata fresca: 40° all’ombra, ci credo che sia stata apprezzata! Lì ha incontrato il sig. Felice, il top gun degli elicotteri, pilota della nostra aeronautica militare, siciliano di origine, ora in pensione, vive a Belluno, con la famiglia; si è preso cura di mio marito come di un figlio, gli ha raccontato aneddoti legati alla storia del luogo accompagnandolo al battesimo del Giordano - officiato da un mastodontico prete tedesco - ed offrendo la sua generosità in molti modi. Gli ha fatto conoscere la cucina libanese e lo ha accompagnato al “tri-confine” tra Siria, Giordania e Israele. Sul monte Tabor - il luogo della Trasfigurazione di Gesù - Mauro ha incontrato poi una straordinaria comunità italiana, Mondo X, che accoglie pellegrini

ed ha diverse sedi in altri Paesi. Sono Francescani missionari a servizio della Terra Santa. Qui curano orti e giardini e vivono nel quotidiano l’esperienza della Trasfigurazione. E’ la stessa comunità che a Milano attivò il “telefono amico” nel 1964 (sul modello di “Save a life” New York 1906) con la voce di Padre Eligio. Mauro racconta di essere stato da loro ospitato e rifocillato come un Principe senza volere un soldo, il che non è cosa da poco, essendo in Israele, dove la vita è cara. Questo dicono i giovani della comunità: “E’ importante la bellezza… noi crediamo che se una persona è capace di esprimere questa bellezza è perché nasce nel suo interno. E viceversa… se io vedo una cosa che è bella fuori, questo mi porta a continuare a fare le cose bene”. «Non ci sono parole, Dio vi Benedica» è il saluto da qui a questi cari amici che spero anche a mia volta di conoscere un giorno. Ringrazio, come tutte le volte che non posso viaggiare con lui, “i compagni di strada”. Anche il tipo singolare che gli ha fatto mangiare dei datteri in uno spazio “senza tetto” ma coperto di graffiti e che lui spera diventi un giorno un ostello; anche l’agricoltore che gli ha regalato un cetriolo ed i pellegrini che hanno condiviso l’acqua. “Camminare da solo è possibile però il buon viaggiatore sa che il gran viaggio, quello della vita, richiede compagni”. (D.H. Càmara)


Sono amici di Pinerolo Indialogo.it e di Onda d’Urto25


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