Pineroloindialogo ottobre2013

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Anno 4, Ottobre 2013

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INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Docenti universitari del Pinerolese/IX Intervista a Enrico Comba

Acea, polo economico di eccellenza del territorio

Interviste a Roberto Prinzio, presidente di Acea pinerolese


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

l’avanzata della mnc

La medicina si fa anticonformista Se da una parte la scienza procede spedita alla ricerca di nuovi metodi, cure e rimedi, dall’altra preferisce rimanere sul tradizionale, quasi anticonvenzionale, senza discostarsi troppo da pratiche trasmesse nel corso di millenni. È quanto sta accadendo negli ultimi tempi in campo medico dove sta prendendo sempre più piede la MNC, ovvero la Medicina Non Convenzionale, un «insieme di tecniche terapeutiche non ancora sufficientemente conosciute dal punto di vista del meccanismo d’azione e dell’efficacia terapeutica» (www.unconventional-medicine.it). Se anche voi, come me, non avete idea di cosa si tratta, ecco un paio di esempi: medicina Ayurvedica, sciamanismo, medicina tradizionale cinese, omeopatia, laserterapia. In Italia, ad esempio, uno studio condotto dall’Università Milano-Bicocca e apparso sulla rivista scientifica «Alternative & Integrative Medicine», dimostra l’interesse crescente delle università italiane per la medicina non convenzionale, tanto da convincere Università di Farmacia, Scuole di Medicina e Scuole Veterinarie a dedicarvi master e percorsi post lauream.

Nell’anno accademico 2011-2012 sono stati 9.500 gli studenti che hanno frequentato questi corsi e 40 le università

su tutta la penisola ad averli proposti. Ancora pochi per gli standard europei, ma sempre meglio di niente. In Europa infatti la MNC è diffusa da tempo a livello universitario. Qua in Italia l’obbiettivo principale è formare un nuovo modello di medico in grado di integrare al meglio gli interventi farmacologici tradizionali con le medicine complementari di origine biologica e gli interventi non farmacologici. I pareri medici a riguardo sono piuttosto discordanti: c’è chi non è affatto convinto, chi è titubante ma preferisce non sbilanciarsi troppo, chi invece integra la medicina tradizionale con quella non convenzionale già da diversi anni, notando ottimi risultati. Ma la sfida tra i due ambiti è sempre accesa. Forse l’unica soluzione è pensarla come gli antichi romani: “in medio stat virtus”...

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolo, in attesa dell’ideona... Per sollevare la città dal progressivo declino, tutti si aspettano dagli amministratori della città, in primis dal sindaco Buttiero, l’ideona, che non arriva e probabilmente non arriverà mai. Per la verità un dibattito maldestro il sindaco l’aveva tentato, ma i più avveduti hanno subito capito che non c’era succo, e noi l’avevamo subito pesantemente criticata. Noi di Pinerolo Indialogo abbiamo individuato da tempo tre idee semplici e facilmente raggiungibili da mettere in campo: il collegamento ferroviario veloce con Torino (30’), la banda larga, la valorizzazione del centro storico. Sono tre idee di tipo strutturale per rendere un po’ più “appetibile” e più funzionale la città. Siamo coscienti che ce ne vanno altre più sostanziose. Ci siamo chiesti: e se ragionassimo per Poli? Abbiamo già il Polo ecologico che è un’eccellenza del territorio. Abbiamo un Polo scolastico, uno industriale, un altro commerciale. Si è tentato in modo fallimentare quello del cavallo, ora si vuole creare quello culturale. Domanda: sono tutti validi questi Poli o sono da rimpolpare? Su quale puntare di più? Perchè non favorirne di nuovi? Ad esempio un Polo alimentare, un altro turistico, un polo di ricerca collegato a qualche facoltà universitaria... o più realisticamente all’Acea (su ecosostenibilità, riciclo, rifiuti, green-e., ecc.), il cui azionista di maggioranza è il Comune di Pinerolo, con delle borse di ricerca per dei giovani ricercatori locali? Forse con un metodo appropriato è più facile avvicinarsi a delle idee concrete vincenti (in attesa dell’ideona!!!), come ci insegnano i ricercatori. Antonio Denanni PINEROLO INDIALOGO Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Valentina Voglino, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Rebecca Donella, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Demis Pascal Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Giacomo Denanni, Nino Di Pomponio

Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

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Buone News

la medicina si fa anticonformista

Primo Piano

docenti univeritari pinerolesi/9 intervista a enrico comba

6 Politica giovane young

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intervista al presidente dell’acea r. prinzio

Politiche del territorio

serata urbanistica in piazza / portici blu

10 Lettere al giornale

l’angela custode e il pianto greco

11 Arte & Architettura

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la storia di uno stupro

Per il mondo

grecia: università chiuse e lucchettate

Giovani & Lavoro

segway: un’opportunità di lavoro?

Sociale & Volontariato

cibi e lingue di diverse tradizioni

Giovani @ Scuola

all’avvio i corsi accademici dell’uni3

17 Visibili & Invisibili

libera: i funerali a 4 anni dal delitto

18 Vita internazionale

sei mesi all’universitè de fribourg

19 Volontariato europeo

un anno a karlsruhe

20 Lettera a...

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pronto ad abbracciare il mondo

Per Mostre & Musei

marco da rold: tra fotografia e pittura

22 Musica emergente

al ard

23 Appunti di viaggio

in viaggio verso casa

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


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primo piano

Città & Università/9 a cura di Marianna Bertolino

Intervista ad Enrico Comba

“Di Pinerolo mi piace la capacità di creare centri di attività intellettuali”

«L’aspetto deprimente è legato all’incapacità delle amministrazioni di valorizzarli» Per cominciare ci parli di sè, del suo lavoro e delle sue competenze in ambito universitario. Sono professore associato di Antropologia culturale, disciplina che ho insegnato per diversi anni presso la Facoltà di Scienze della Formazione. Ora, con i cambiamenti nell’Università che hanno portato alla scomparsa delle Facoltà e anche allo spezzettamento dei corsi, mi trovo a insegnare tre corsi: uno di Antropologia della Complessità (per le lauree magistrali) e due corsi di Antropologia delle Religioni (uno per il triennio e uno per il biennio). Quali sono le peculiarità della disciplina che insegna? Che cosa studia? Sembra la cosa più semplice, ma in realtà è la più difficile. Occorrerebbe molto spazio per descrivere accuratamente quello di cui si occupa l’antropologia, ma diventerebbe un manuale della disciplina. In forma sintetica, l’Antropologia Culturale studia perché noi esseri umani siamo così diversi, nel modo di comportarsi, di vivere, di avere relazioni gli uni con gli altri. Non differenze individuali, bensì differenze fra un gruppo e un altro, una popolazione e un’altra. In particolare io mi occupo del perché esistono religioni diverse, quanto sono diverse le une dalle altre e quali elementi in comune possono avere. Una delle caratteristiche del mondo contemporaneo è la facile mobilità e la forte migrazione delle persone. Come legge l’antropologo questa realtà? Questa è la realtà che molti antropologi miei colleghi hanno scelto di studiare. La realtà in cui viviamo è percorsa dalle differenze prodotte dagli spostamenti, dai flussi migratori, dall’enorme numero di persone che si sposta da un continente all’altro, per vari motivi e con diverse finalità, spesso portandosi dietro qualcosa del mondo che si è lasciato alle spalle, ma anche con la precisa intenzione di costruire qualcosa di nuovo per sé o per i propri figli. Non c’è un unico modo per leggere questa realtà, ma l’antropologo dispone di una

chiave importante: cercare di comprendere come questi fenomeni sono vissuti dalle persone avvicinandosi per quanto possibile alla loro visione delle cose, cercando di mettersi per così dire “nei loro panni”, vivendo per un certo tempo e dialogando con loro. I nostri giovani anche del pinerolese si spostano per studio e per lavoro ormai a livello mondiale. Ho letto nel suo curriculum che lei ha soggiornato all’estero. Che ruolo hanno avuto queste esperienze nella sua formazione professionale? Ho fatto alcuni periodi di ricerca, negli Stati nUniti, in Canada e in Siberia, ma credo che i miei soggiorni siano stati più brevi e limitati di molti colleghi antropologi. Comunque, l’esperienza della diversità, del viaggio, del distanziamento dalle proprie abitudini è qualcosa di essenziale per l’antropologo. Bisogna però avere una disposizione mentale, quello che conta è soprattutto una capacità di distanziamento e di estraniazione mentale. Conosco diverse persone che viaggiano moltissimo, ma non si sono mai staccate dal proprio modo angusto di vedere le cose: i loro viaggi non hanno insegnato loro assolutamemente nulla! Veniamo alla sua città natale, Pinerolo. Ora lei da un po’ di anni vive a Torino: guardando la nostra città con un po’ di distacco, come la vede? Provinciale, in decadenza... o come? Non saprei, certo la città offre una maggiore varietà di attività, di occasioni, di stimoli intellettuali. D’altra parte, il piccolo centro è anche il luogo dove le relazioni interpersonali, di amicizia, di vicinato, risultano più intense, più appaganti; relazioni che in grande misura ho perduto in questi anni di lontananza (relativa). La vita in città è più anonima e dispersa. Che cosa le piace e che cosa la indigna di questa nostra città? Credo che in estrema sintesi potrei dire che di

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5 5 Pinerolo mi piace la capacità di creare centri di attività intellettuali, gruppi di volontari che operano in maniera incredibile e ammirevole, grandi risorse in termini umani e culturali; l’aspetto deprimente è soprattutto legato alle istituzioni pubbliche, all’incapacità delle amministrazioni di saper rispondere a questa ricchezza e vivacità di stimoli se non con iniziative demagogiche o limitate a qualche interesse economico di bassa levatura. Sembra che la parata della Maschera di Ferro e una bella cena conclusiva sia tutto quello che la città può offrire ai suoi cittadini e ai visitatori... è un po’ poco! Lei è anche Vicepresidente del CESMAP (Centro Studi e Museo d’Arte Preistorica). Ci racconta della vita di questa associazione e delle sue iniziative? Il Cesmap è proprio una di quelle straordinarie creazioni culturali del Pinerolese che si basa su un gruppo di persone generose e volonterose, che operano in modo eccellente per proporre iniziative e attività di grande valore culturale, nel completo disinteresse delle istituzioni pubbliche. Certo ci sarà sempre un rappresentante dell’amministrazione pronto a dare una pacca sulla spalla al Cesmap dicendo “Come siete bravi!”, ma da questo non consegue nulla di concreto. Finanziamenti, sostegno, ricerca di soluzioni per offrire se non personale, almeno posti a tempo determinato per giovani che potrebbero formarsi e dare il loro contributo. Tutto rimane lettera morta e ricade sulle spalle dei soliti volontari che danno l’anima senza ricevere mai nemmeno un “grazie”. Nel Pinerolese sono state fatte ricerche antropologiche interessanti? Ce ne sarebbe qualcuna da fare? Poco o niente da parte di professionisti o accademici. Qualcosa era stato fatto da parte di studiosi locali che si sono interessati alle tradizioni popolari, spesso anche di talento, come Teofilo Pons e altri (soprattutto in area valdese). Purtroppo molte occasioni sono state sprecate, villaggi di montagna spopolati ma ancora intatti sono stati saccheggiati senza che fossero mai studiati (es. Bourcet), tradizioni sono lentamente morte senza che venissero mai registrate o descritte (es. i rituali dei guaritori popolari). Certo, qualcosa rimane sempre ancora da fare. Un potenziamento delle forze del Cesmap potrebbe ad esempio portare

alla costituzione di un data base sul Pinerolese che comprendesse non soltanto i materiali sull’arte rupestre e la preistoria, ma anche dati etnografici, tradizioni, leggende e altro. Dal punto di vista museale Pinerolo è bene attrezzata? E il territorio? Negli ultimi tempi sono sorti molti musei in ogni angolo, alcuni sono esperimenti interessanti, che emergono da un progetto culturale interessante, altri sono iniziative estemporanee o effimere. Anche in questo caso occorrerebbe una politica culturale seria, che sapesse discernere ciò che costituisce un vero patrimonio culturale da quello che è solo il risultato della velleità di individui o gruppi particolari. Invece si preferisce dare (pochissimo) a tutti, per la paura (tutta politica) di scontentare qualcuno. Queste interviste sono nate per dar voce ai docenti universitari presenti nel territorio (una trentina) e anche per cogliere qualche idea per questa nostra città in declino. Lei ne ha qualcuna da proporre alla classe politica della nostra città? In linea con quanto detto sopra, direi: costruire una seria politica culturale per la città, osservare quali forze esistono e quali risorse sono già presenti e sforzarsi di creare un progetto culturale da lasciare come patrimonio alle generazioni che verranno. Un giovane laureato nel campo di sua competenza ha buone possibilità di spendere il suo titolo nel territorio o deve ragionare su confini più vasti o addirittura mettere in conto anche il lavoro all’estero? L’antropologia non è una di quelle discipline che possano offrire rosee carriere e lauti guadagni. Sempre più giovani laureati vanno all’estero perché in Italia non trovano paragonabili opportunità di lavoro, di ricerca, di formazione. Una politica miope (e questa volta si parla dell’intera nazione) ha scelto di spendere risorse per la formazione di giovani (spesso di grande talento) che poi non trovando le opportunità per spendere o per perfezionare questa formazione devono spostarsi in altri paesi, contribuendo così alla crescita scientifica e culturale di quei paesi e non del nostro. Direi che la situazione è assolutamente deprimente.


Politica

Politica giovane young di Emanuele Sacchetto

Intervista al Presidente dell’Acea Prinzio

“l’Acea è un’eccellenza del territorio per la qualità del suo management, ma anche per la mancata ingerenza della politica” 370 dipendenti: più del 45% ha un’età inferiore ai 45 anni, il 25% è laureato. «Siamo disposti a delocalizzare la sede di via Vigone se il Comune ci valorizza l’area» Nel Pinerolese per fortuna non tutto va male, ci sono anche dei poli di eccellenza e di forza che si fanno apprezzare anche oltre il territorio. Certamente uno di questi è l’Acea. Ne parliamo con il suo presidente Roberto Prinzio. Prima di tutto vorremmo sapere cosa realmente è ciò che noi comunemente chiamiamo ACEA. Bisogna subito dire che ACEA non è una sola azienda. E’ un sistema. Si compone infatti di due società, i cui soci sono i 47 Comuni dell’area del Pinerolese. Queste due aziende sono: Acea Pinerolese Industriale, la quale si occupa del servizio idrico integrato, della raccolta, trattamento e smaltimento dei rifiuti; e Acea Pinerolese Energia, la quale si occupa invece della vendita del gas, anche di quello prodotto dai nostri stabilimenti di smaltimento. L’Acea è forse l’unica azienda del Pinerolese (nelle sue dimensioni) attualmente riconosciuta come un’eccellenza del territorio. A cosa è dovuta que-

sta sua fama? Sicuramente l’eccellenza deriva prima di tutto dal fatto di essere sistema, che ci porta a lavorare in sinergia. Inoltre, il radicamento sul territorio è da sempre un elemento fondamentale, per garantire il servizio vicino il più possibile alle esigenze del cittadino. Questo radicamento sul territorio si traduce nelle quote dei 47 comuni del Pinerolese. L’Acea deve quindi la sua fortuna all’essere un’azienda pubblica del territorio, consapevole e sensibile alle sue esigenze. Infine l’eccellenza è dovuta anche ad un Management di qualità e un consiglio di amministrazione coeso. L’assenza di ingerenze politiche ha poi favorito lo svilupparsi di idee di eccellenza, senza dover sottostare come purtroppo abbiamo letto in altre realtà ad un voto di scambio con la politica. Si lavora insomma con l’efficienza di una società industriale. E gli effetti

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Intervista al Presidente dell’Acea positivi di questo sistema portano ogni anno 4.000.000 di euro di utili distribuiti ai comuni azionisti, che si traducono in politiche sociali per il cittadino. Quali sono le ricadute occupazionali sul territorio, in particolare nella fascia giovanile? Acea in questo momento ha circa 370 dipendenti, quasi tutti a tempo indeterminato. Dunque la ricaduta in tema di posti di lavoro è piuttosto forte. Inoltre più del 50% dei dipendenti ha un’età inferiore ai 45 anni e il 25% dei dipendenti totali è laureato. Quindi l’Acea può dare molte possibilità ai giovani, specialmente se Ingegneri. Infine bisogna rendere noto che solo il 10% dei nostri lavoratori arriva da zone esterne all’area Pinerolese, dimostrando ancora una volta un forte legame con il territorio. Quest’anno sono trascorsi 10 anni dall’inaugurazione del Polo Ecologico. Cosa ha significato questo per l’azienda e per il territorio? Certamente all’epoca il Sistema di raccolta altamente innovativo del “sacchetto verde” fu un flop perché guardava troppo avanti rispetto a quanto la realtà locale riuscisse a fare. Tuttavia l’impianto è e rimane altamente innovativo. Rappresenta un’eccellenza. Esso tratta l’umido senza un impatto eccessivo, autogenerando l’energia che consuma. Inoltre produce un compost di alta qualità, che, venduto alla Floraviva, produce un ricavato di circa 1.000.000 di euro. Infine, questo impianto produce Bio-metano, che viene utilizzato in parte per il funzionamento dello stabilimento, e in parte venduto attraverso il teleriscaldamento (l’Ipercoop per esempio è riscaldato con il nostro Bio-metano e a breve lo saranno anche le scuole del centro studi). Per realizzare questa eccellenza è stato creato a suo tempo un Team di ricerca, che coinvolgeva anche dei giovani ingegneri: questo gruppo di lavoro è ancora attivo o la spinta innovativa si è un po’ spenta? Il Team di ricerca esiste ancora ed è più che mai attivo. Oggi per esempio ci viene richiesto di occuparci dell’efficienza delle scuole e dell’illuminazione pubblica. Questi sono i due campi su cui stiamo ora lavorando e che potrebbero anche diventare un nostro buisness. Inoltre oggi noi esportiamo la nostra tecnologia in Europa e nel mondo, in quanto particolarmente specializzati nel settore dell’umido.

Quei giovani di allora sono i dirigenti di oggi che vanno in giro per il mondo a parlare delle nostre competenze. (Questa è la dimostrazione che dare spazio ai giovani alla lunga paga! ndr)

Veniamo ora ad una domanda di urbanistica. La sede operativa principale dell’Acea è ancora nel cuore della città. Non avete mai pensato di spostarla all’esterno come hanno fatto altre aziende (Corcos), liberando così la zona per l’uso cittadino? Certo l’idea e la volontà da parte nostra ci sarebbe. D’altronde è per tutti una scomodità avere tutti i giorni camion che transitano nel centro cittadino. Quell’area è meno vivibile. Però la nostra disponibilità ci sarebbe a patto di ottenere da parte del Comune una valorizzazione dell’area che lasceremmo. Purtroppo

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Politica giovane young però per ora Pinerolo non risponde quando si parla di urbanistica. La raccolta differenziata. Siamo bloccati a poco più del 50%. Come mai non si progredisce? Non si è pensato ad altri sistemi, come la raccolta porta a porta? Effettivamente siamo fermi al 54-55% della raccolta differenziata. Per quanto riguarda i metodi di raccolta bisogna precisare che la scelta del sistema da adottare spetta agli azionisti, cioè ai Sindaci dei 47 comuni. Dunque Acea è un mero esecutore di queste decisioni. I sindaci hanno così scelto il sistema di raccolta di prossimità, sicuramente più economico di quello porta a porta (quest’ultimo costa il 40% in più del primo). Tuttavia è chiaro che il sistema di prossimità garantisce risultati inferiori, sebbene il nostro attuale sistema si possa e si debba valorizzare ulteriormente. Tuttavia il sistema di raccolta porta a porta viene oggi adottato dalla nostra azienda per alcuni segmenti (es la raccolta della carta per determinati commercianti). E adesso una proposta per voi: vista la prosperità economica in cui l’Acea versa, perchè non destinare una parte degli utili a borse di ricerca per giovani laureati? La risposta che mi sento di dare a una proposta del genere, peraltro molto interessante, è: perché no? Certo bisogna però considerare che noi non abbiamo finora mai gestito personalmente questo settore in proprio. Tuttavia la proposta mi sembra interessante, per cui la prenderemo senz’altro in considerazione. Acea e progetti nelle scuole. Da ex studente elementare e poi liceale, ricordo bene gli interventi da voi svolti per sensibilizzare la raccolta differenziata tra i più piccoli. E posso garantire come questi siano serviti molto nell’educazione ambientale nella mia come in altre realtà. A me sembra che in questi ultimi anni ci sia stata una diminuzione di sensibilizzazione verso le giovani generazioni. Perché questo atteggiamento? Bisogna ricordare che la proprietà dell’azienda è pubblica e dunque la decisione su come utilizzare gli utili spetta ai vari Comuni partecipanti. Certamente il nostro riscontro in queste iniziative è sempre stato positivo (anche se a volte sono gli insegnanti a reagire meno bene, dando non sempre il buon esempio). Tuttavia è evidente come, in un periodo di crisi come questo, i Comuni preferiscano usare i loro utili in proprio

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per non gravare ulteriormente sui cittadini, garantendo così i servizi sociali necessari. E tutto questo passa in secondo piano. Un’ultima domanda. Come avrà letto, il Sindaco Buttiero vuole realizzare un Polo Culturale della città, che si andrebbe ad aggiungere al primo Polo che Pinerolo ha conosciuto, il Polo Ecologico. Quale potrebbe essere secondo lei un terzo Polo? Io credo che non si debba abbandonare la nostra storica vocazione, quella manifatturiera. In fondo l’Italia è la seconda nazione in Europa dopo la Germania in questo campo. Dunque l’industria è ancora un campo su cui scommettere, magari ridimensionato, ma puntando all’eccellenza. Piccole realtà-grandi eccellenze. Bisogna agire con creatività e progetti a lungo termine, che alla fine, come per il Polo Ecologico, premiano sempre. E in tutto questo credo che Pinerolo debba svolgere il ruolo di città capofila, senza però prevalicare le istanze territoriali e soprattutto vincendo il proprio provincialismo e unendosi finalmente a Torino.

Via Vigone da valorizzare Mentre si discute in città della variante ponte e delle aree da urbanizzare (vedasi i “portici blu”), salta ancora agli occhi la pochezza di idee e di progettualità di chi amministra questa città. Tanto presi dal nuovo, dal mattone da incementare, si dimenticano l’esistente da valorizzare, da risistemare, da recuperare. Fa tristezza passando in via Vigone vedere tutti i locali commerciali che danno sulla via, vuoti, in vendita. Sarà per la crisi, ma anche sicuramente perchè situati in una zona ad intenso traffico, non solo di automobili, ma anche di pullman e di camion dell’Acea. Sembra che gli occhi dell’amministrazione siano distanti da questa zona della città (dove il punto dolente è il Turck), mentre via Vigone potrebbe diventare, per i negozi ed il commercio, il proseguimento di via Buniva. Ma per far questo occorre una visione completa della città. Forse vi è un timore riverenziale verso l’Acea, e così non parte la proposta di delocalizzazione verso il Polo ecologico. Eppure il Comune di Pinerolo è l’azionista di riferimento e la stessa Acea, cosi ci ha confermato il Presidente Prinzio nella nostra intervista, sarebbe disposta a spostarsi verso il Polo ecologico, se in cambio il Comune fosse disponibile a valorizzare l’area che lascia così come ha fatto con altre realtà industriali come la Corcos. Il riassetto urbanistico della città e i vantaggi sarebbero enormi, con nuovi parcheggi a 200 metri da piazza Fontana, senza bisogno di fantasiosi parcheggi sotterranei. Ma questo richiede idee e soprattutto la valorizzazione in città di architetti del recupero e non solo di quelli del mattone nuovo, altrimenti le idee per fare o rifare il piano regolatore ruoteranno sempre intorno alle aree da urbanizzare. Antonio Denanni


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primo piano

Serata urbanistica in piazza di Michele F. Barale

27 settembre: finalmente si dialoga!

Si scalda il dibattito sui portici blu Primo confronto sull’urbanistica tra sindaco e cittadini

Che il dibattito sui portici blu sarebbe diventato caldo (così anche il tema di tutta l’urbanistica) era scontato. E così è stato venerdì 27 settembre nella “piazzetta dei Portici blu” dove sono intervenuti alcuni cittadini, diversi esponenti del Consiglio comunale e della Giunta, con il Sindaco in testa, che è stato il bersaglio delle osservazioni e delle critiche degli organizzatori della serata, riuniti intorno all’Osservatorio 0121. Nelle pratiche di progettazione bottom-up è il team di progettazione che organizza incontri con i beneficiari del progetto in un confronto attivo, per costruire in conformità alle esigenze di chi già vive nella zona del futuro cantiere. Dove però queste pratiche non sono previste o volute - questo è il caso dell’area dei portici blu - spesso sono le associazioni attente allo sviluppo del territorio ad intervenire con incontri pubblici come quello del 27. Ad aprire la serata, Enzo Garnero che traccia un quadro storico sulle ragioni del vuoto urbano costituito dalla piazzetta di via Chiappero: dopo la realizzazione del grattacielo nel 1954, la Sovrintendenza blocca il secondo lotto imponendo vincoli più restrittivi. Il progetto del 1962 viene così abbandonato, lasciando un cantiere mal recintato fino al 1985, quando il Comune avvia le procedure per acquistare il lotto che vedrà la realizzazione dei famosi portici ad opera dell’arch. Fois. Garnero presenta poi il progetto di fattibilità dello studio Geuna. Segue l’intervento di Giorgio Gardiol, il quale allarga il discorso focalizzando l’attenzione sulle esigenze sociali della città: imparare ad approcciarsi alla città con uno sguardo d’insieme e al tempo stesso puntuale. Più tecnico l’intervento di un altro esponente dell’Osservatorio 0121, Bertolotti, che fa notare come l’intervento su quest’area sia da sottoporre a variante

strutturale del PRG; ribadisce poi l’importanza della trasparenza delle azioni municipali verso i cittadini. A rispondere a questa prima tranche di interventi il sindaco Buttiero, il quale sposta l’attenzione sugli altri interventi urbani previsti dalla sua amministrazione: la riconversione della Caserma Bochard, l’attenzione al Palazzo Acaja, gli interrogativi sul polo di equitazione. Prendono poi la parola forse gli unici cittadini non istituzionalizzati, residenti per lo più o afferenti a correnti ambientaliste contrari alla cementificazione della piazzetta, ma anche esponenti del settore edile che rivendicano con non poco colore una possibilità di lavoro nella situazione di stasi attuale. Nuovamente il sindaco, che torna a relativizzare l’intervento di via Chiappero come propedeutico ad altri interventi di carattere sociale e culturale da attuare in città: una scuola per infermieri, ma anche una previsione avveniristica di un sistema ospedaliero diffuso in tutte le abitazioni per dare diretto supporto alla componente anziana della popolazione. L’intervento è chiaramente condotto verso l’obiettivo di dimostrare come si renda necessaria la vendita di questo lotto se si vuole dotare la città di nuovi servizi. A chiudere questa serata di dibattito, Isa De Maria di Legambiente che propone molti spunti di riflessione su come affrontare in modo coeso ed efficace l’amministrazione di una città in cambiamento: l’attenzione ad un edificato ormai storico che può essere migliorato, reso più efficiente e meno costoso da mantenere. E, argomento che è via via trasparso in molti interventi, la sempre più cogente necessità di un confronto comunitario e trasparente nelle decisioni pubbliche.

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Lettere al giornale

PINEROLO

di Elvio Fassone

Europa, estensione dell’Italia

L’Angela custode e il pianto greco In una rivista di giovani parlare delle recenti elezioni in Germania può sembrare fuori luogo. Al contrario, esse suscitano riflessioni di qualche utilità anche in questa sede. Per un gran numero di giovani, ormai, l’Europa è semplicemente un’estensione dell’Italia, e per giunta un’estensione in melius: si spostano nell’uno o nell’altro dei suoi Stati, vi si trasferiscono per tempi anche lunghi, vi svolgono studi e lavoro, talora vi trovano il/la partner, in ogni caso dilatano i loro pensieri e le loro abitudini, acquisiscono la mentalità di cittadini europei. Per la maggior parte degli adulti, invece, l’Europa oscilla tra l’avversione e l’indifferenza. Per gli uni è la sede degli odiosi diktat economici, il cappio che ci strangola, annodato dai burocrati di Bruxelles e dagli egoismi della Bundesbank. Per gli altri l’Europa rimane un oggetto inutile e lontano, al più avvolto dall’alone romantico di Cattaneo e dei profeti del “non più guerre” tra popoli che per secoli se le sono suonate di santa ragione. Le elezioni in Germania hanno ribadito che non possiamo più permetterci né l’uno né l’altro atteggiamento degli adulti. L’Europa è più che mai necessaria, non solo perché è lo spazio di una comune temperie culturale e spirituale, ma più ancora perché è impensabile una politica gestita dai singoli Stati in un mondo diventato multipolare, nel quale i conflitti si giocano tra protagonisti di dimensione sub-continentale. Quindi non giova l’ostilità cieca, ed è una fortuna che il partito degli euro-scettici non sia riuscito ad entrare nel Bundestag. Ma non giova nemmeno l’indifferenza, perché, se i conflitti in armi appartengono al passato, quelli di natura economico-sociale permangono e si fanno sempre più acuti. L’Europa è ormai la sede di un nuovo duro scontro tra Paesi abbastanza ricchi da essere erogatori di credito e paesi tanto poveri o squinternati da dover assumere il ruolo di debitori. Gli uni infastiditi dal dover dare, gli altri umiliati dal dover chiedere. Questo scontro ha in palio una posta rilevantissima: la cultura del welfare, la sopravvivenza dello stato sociale, la possibilità stessa di condurre una vita dignitosa. La disperazione della Grecia ammoni-

sce che altre potranno seguire. Molti affermano che economia e finanza stanno sperimentando, attraverso le politiche di rigore che hanno prodotto il trionfo elettorale della signora Merkel, sino a che punto può essere spinta la liberalizzazione e la contrazione della spesa pubblica senza innescare vere e proprie rivolte. Come uscirne? La strada, per quanto incerta, sembra quella additata senza volerlo dal comportamento dei giovani. Nella loro spontanea omologazione senza calcoli sta il modello del cittadino europeo, che stempera gli egoismi nazionalistici in una visuale naturalmente unitaria e umanitaria. Non solo l’etica, ma l’economia stessa insegna che è necessario destinare risorse alle regioni più svantaggiate, se non altro perché esse rappresentano una fetta di mercato, essenziale per la prosperità delle regioni più avanzate. E se prenderà piede una generazione di cittadini europei, questa potrà renderci consapevoli, inclusa la signora Merkel custode del rigore, che “ci si salva insieme”, superando gli atteggiamenti difensivi di corto respiro. Tuttavia - si può obiettare - l’assetto federativo dell’Europa non consente quell’alternanza che è la risorsa principale delle democrazie, cioè la possibilità di abbattere una maggioranza sostituendola con una diversa. In un’unione di Stati, quelli sono i protagonisti e i decisori, e non si possono cambiare. Detto altrimenti, non si può mandare la Merkel all’opposizione. E’ vero. Però si possono cambiare i singoli attori dall’interno, facendo crescere negli Stati, a partire dal nostro, espressioni politiche più mature e più attente ai diritti dei cittadini. Poiché il Parlamento europeo, per il quale saremo chiamati a votare il prossimo maggio, è la proiezione degli assetti politici interni; e poiché gli altri organismi - il Consiglio d’Europa, il Consiglio dei Ministri e la Commissione - sono anch’essi la somma degli organi istituzionali dei vari Paesi membri, ne discende che un orientamento europeo diverso promana in larga parta dalla nostra sensibilità e dal nostro impegno anche politico in ambito statuale. Cerchiamo di non sciupare l’occasione.

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Arte&Architettura

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di Michele F. Barale

vauben, un mito da sfatare

La storia di uno stupro

La demolizione del tessuto storico per costruire dei vuoti A 320 anni di distanza dall’assedio che decretò l’ultimo grande cambiamento della Città di Pinerolo, il poderoso impianto della Cittadella e delle fortificazioni francesi continua ad essere oggetto di vanto e argomento di discussione anche nella sale consiliari. Recentemente, il direttore del CeSMAP Dario Seglie richiamava alla memoria i resti ipogei, non del tutto demoliti, della Cittadella come potenziale attrattiva turistica da valorizzare ma anche come baluardo contro l’oblio della potenza militare che la Città ebbe in passato. Colori romantici, a tratti decadentisti, di un glorioso tempo scolpito nell’immaginario collettivo con torri, bastioni, un castello nella parte alta della città tanto maestoso da mettere in ombra addirittura San Maurizio. Senz’altro, il volto che l’incisore e i suoi committenti volevano che fosse raccontato in tutto il Paese: non la drammatica crisi economica, urbana, sociale, umana che la Città stava tentando di arginare nel XVII secolo. Per comprendere al meglio la criticità di quei momenti, è bene sapere quali fossero le dimensioni anche umane del contesto: nei momenti di massima tensione, con le fortificazioni completate (pertanto, tra il 1680 e il 1693) la Città di Pinerolo arrivò ad ospitare 21.000 persone, con un rapporto di 4 militari ogni 3 civili. La città era già stata messa a dura prova durante la Prima Dominazione Francese, nel XVI secolo, quando tutti i mulini fuori dalla cinta delle mura erano stati demoliti per poter realizzare gli spalti: le manifatture della Lana, ma anche le cartiere, forse le principali fonti di reddito di Pinerolo.

Nel febbraio del 1669 giunge a Pinerolo uno dei personaggi di cui la Città attuale va più fiera, per aver avuto l’onore della sua effige sulla struttura urbana: Sebastien Le Prestre, noto come il Vauban. Immaginate di salire a San Maurizio, verso la metà del 1600: vi sareste trovati di fronte un borgo signorile, abitato dalle più ricche famiglie borghesi della Città, un’ampia piazza di fronte a San Maurizio, con una fontana al centro di tipica fattura medievale, e poi un dipanarsi di vie, portici, palazzi sontuosi, chiese. Per chi se lo stesse chiedendo, non si tratta del “centro storico”, ma dell’antico borgo che sorgeva sulla collina, oltre San Maurizio. Per ordine di Vauban, l’intero borgo venne raso al suolo, salvando solo la chiesa, troppo distante dal castello. La medesima sorte toccò al borgo del Chinchetto, dove ora si trova la Piazza d’armi, l’ultimo polo manifatturiero di Pinerolo. Nel giro di tre anni, la Città si trovò ad essere dimezzata in superficie, senza entrate economiche, e per giunta si vide obbligata a pagare i lavori di fortificazione, ripartiti ugualmente secondo il contratto con lo Stato francese, il quale tuttavia ne saldò solo un quarto. Al loro posto, grandiose strutture difensive progettate per difendere il baluardo francese in terra piemontese. A guardare inerme la Città di Pinerolo, in ginocchio a vedersi impoverire per essere armata, con le mani legate dopo la restituzione ai Savoia in attesa di essere completamente spogliata anche di quelle sontuose vestigia. Lasciando ad imperitura memoria alcuni vuoti che tutt’ora sono ben lungi dall’esser stati risolti.

La cittadella demolita, ricostruita al computer


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reportage

Vita per il mondo

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da Atene, Emanuele Sacchetto

La drammatica situazione della grecia

Università chiuse e lucchettate

Piazze sempre affollate per gridare la propria sofferenza 19 Settembre 2013. In arrivo ad Atene per iniziare un percorso di studi nella patria del sapere. I giornali già parlavano di scioperi del settore pubblico, a causa dei tagli. Ma è appena arrivati qui che apprendiamo la notizia che più del 40% degli impiegati statali saranno licenziati a causa delle misure di austerity imposte dall’Unione Europea. Una freccia infuocata che infiamma la già calda piazza ateniese. Università chiuse. Lucchettate, senza possibilità di informarsi in nessun ufficio. Lenzuoli bianchi appesi alle finestre, in segno non tanto di resa, quanto dell’inizio di un perdurante e insistente sciopero. Appena arrivati crediamo che sia una cosa transitoria, non poi così grave. Siamo abituati, pensiamo, alle manifestazioni italiane. Poi però, girando la città ci si accorge ben presto che ogni giorno persone diverse affollano le piazze per urlare la propria sofferenza, indignazione e rabbia. Oggi tocca agli studenti, domani agli insegnanti. Tutti hanno qualcosa da gridare, da dimostrare. La cosa che colpisce rispetto all’indole della piazza italiana è una tenacia e instancabilità assoluta. Questa è dettata certamente dalla situazione drammatica che stanno vivendo in questi giorni migliaia di persone. Assoluta Incertezza. Questa è la sensazione che si prova vivendo questa città. Così come i greci lottano in queste ore per il loro lavoro, incerti, vivendo giorno dopo giorno nell’assoluta impossibilità di sapere che ne sarà di loro, così noi viviamo qui nell’incertezza del se e quando l’università aprirà. Se e quando dovremo tor-

nare a casa. Si attende inermi. Una situazione intollerabile per l’animo umano, sempre impegnato in mille circostanze e convinto delle proprie potenzialità . Non ci sono fonti ufficiali, perché gli uffici sono chiusi. Si parla con la gente. Si leggono i giornali. Si aspetta e si spera. E nell’attesa si visita la città, dove ogni angolo riserva qualcosa di meraviglioso. Atene è infatti prima di tutto una città turistica. Ed è con questa facciata che si coprono le miserie delle persone. Passeggiare per le vie di Monastiraki e della Plaka, fitte di bancarelle e ristorantini per turisti, non rendono l’idea della sofferenza di questa gente. Basta però andare in un supermercato non poi così tanto in periferia per trovare in un angolino prodotti scaduti da qualche giorno, venduti a meno della metà del prezzo, e molte persone che vi indugiano attorno. Per non parlare della gente, tantissima, che vive per strada, nascondendo i propri pochi averi tra i cespugli dei parchi cittadini. E per finire il dato più allarmante. Cresce il numero di tossicodipendenti. Non da droghe comuni come l’eroina o la cocaina, certamente troppo care per un popolo in crisi. Bensì, nascono e si diffondono nuove sostanze, come la Sisa, droga ricavata dal liquido delle batterie, altamente tossica, ma acquistabile per un solo euro alla dose. Questa la città di Atene agli occhi di chi per poco tempo vi si affaccia. Affascinante e miseramente avvolgente al tempo stesso. Non si può restare indifferenti. Si è coinvolti per forza nella loro quotidiana incertezza.


società

Giovani &Lavoro di Giulia Pussetto ed Elisa Campra

Piccole storie di lavoro

Segway: un’opportunità di lavoro? Un’idea innovativa per avviare una start-up può nascere anche da idee semplici, che se coltivate nel modo giusto possono diventare un’opportunità di guadagno o di lavoro. Un esempio può essere questo della pubblicità attraverso i segway che vi vado a raccontare. Ne parliamo con Paolo Folco, pinerolese, che ha portato avanti questo progetto per un po’ di anni. Com’è nata l’idea di acquistare dei segway? Dopo aver letto un articolo su Focus mi sono interessato all’oggetto, approfondito poi guardando diversi filmati su youtube. Se una persona volesse oggi acquistare una di queste macchine, quanto costerebbe? Per un articolo nuovo il prezzo si aggira attorno ai 6.900 euro, mentre se si è disposti a comprare una DEMO (un segway usato per le dimostrazioni, dunque con pochi chilometri) si scende attorno ai 4.800 euro. Tu hai un’attività lavorativa principale, quella legata all’affitto dei segway è un secondo lavoro. Si può guadagnare a sufficienza con il segway fino a farlo diventare una vera e propria attività lavorativa? In realtà l’attività è di mia moglie, che si occupa della parte burocratica, mentre io l’aiuto sul lato pratico. Il lavoro con queste macchine è sempre andato crescendo senza l’aiuto di collaboratori esterni. Secondo me le potenzialità di incremento ci sono, soprattutto se alla promozione pubblicitaria si riuscisse ad abbinare quella turistica, con dei circuiti culturali, piuttosto che finaliz-

zarsi alla sola prova del segway. Anche se oggi penso che pochi si siano basati unicamente sul noleggio di questi macchinari come fonte di guadagno. Reputo che ci sia la possibilità di farla diventare una prima attività, consolidando i rapporti con le agenzie del campo e trovando il giusto modo di promuovere il servizio. Quali sono i campi che maggiormente richiedono questo servizio? Il campo è soprattutto quello pubblicitario, che va dal piccolo negozio di telefonia locale per arrivare ai grandi marchi quali ad esempio Ferrero, Rio Mare, Wind o B-Win. Per lavorare con questi ultimi è necessario però passare tramite le agenzie intermediarie. Per far sì che diventi una professione, cosa è necessario oltre all’acquisto? La buona volontà e tanta voglia di impegnarsi sono certamente alla base di un progetto del genere. È un lavoro che procede per piccoli passi e in cui è necessario avere costanza e non demoralizzarsi, soprattutto all’inizio. Insomma: la costanza paga. Il segway può diventare anche uno strumento di spostamento urbano come la bicicletta oppure rimarrà secondo te sempre e solo uno strumento d’immagine? Potrebbe certamente affiancare la bicicletta negli spostamenti in città: è meno faticoso e più stabile per quanto riguarda l’equilibrio. Tuttavia il costo elevato ne rende difficile la diffusione a questi livelli. È uno strumento pericoloso? Assolutamente no. Non più di una bicicletta. Elisa Campra

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Società

Sociale & Volontariato a cura di Alice Albero

La Pinerolo delle differenze etniche

Cibo e lingue di diverse tradizioni Può diventare città dalle stupefacenti diversità? Pinerolo, come il resto del mondo, società globalizzata. Basta una passeggiata nel cuore della città per rendersene conto: pochi minuti scanditi da incontri multietnici, fisionomie che raccontano di terre lontane, linguaggi che superano confini e barriere, culture differenti che si fondono e confondono. Il cibo scivola fuori dalla sua stretta definizione accademica per diventare qualcos’altro, un di più. Thailandese, Cinese, Giapponese, Arabo... il cibo parla molteplici lingue e con i suoi sapori ed elementi ci consente di viaggiare restando fermi. Ma quando si parla di globalizzazione culturale, anche a livello locale le difficoltà non mancano. La paura dell’ignoto, di tutto ciò che non si conosce, spesso ci rende persone limitate, incapaci di aperture così importanti per un mondo che cambia in continuazione. L’ostilità verso l’integrazione ci rende sordi e muti, paralizzandoci nei nostri usi e

costumi. E così facendo si smarrisce quella ricchezza che solo le diversità mescolate tra loro possono apportare. Pinerolo è una città che parla diverse lingue, capace di mettere in comunicazione tra loro le differenze senza timore. È una società che vuole raccontare la sua storia anche attraverso le generazioni. Molto spesso però anche le città più fortemente desiderose di ottenere concreti risultati sul fronte culturale, incappano nell’errore di elencare i successi ottenuti, anziché puntare l’attenzione su quello che ancora andrebbe fatto. Delineare un piano di azione integrativa potrebbe essere la sfida del nuovo anno: un maggiore coinvolgimento di tutte quelle ricchezze etniche presenti nel nostro territorio con l’obiettivo di ottenere non solo un maggiore amalgama culturale, ma anche di rendere Pinerolo città delle stupefacenti diversità.

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società

Giovani@Scuola di Nadia Fenoglio.

Intervista alla Presidente, Liliana Rasetti

Al via il nuovo anno accademico Uni3 Una chiacchierata con Liliana Rasetti, neopresidente dell’Unitre di Pinerolo. Associazione, quella pinerolese, nata legalmente nel 1983 insieme all’Unitre di Torre Pellice, seconda in Italia dopo l’omologa di Torino. Unitre. Che genere di corsi? La nostra organizzazione cerca di offrire un panorama didattico il più variegato possibile, che attualmente si articola in un centinaio di corsi circa. Dal corso di lingua a quello di informatica, da quello di disegno a quello di ginnastica, di taglio e cucito, di psicologia e di erboristeria. Per l’anno che si sta aprendo abbiamo in programma anche un ciclo di conferenze sulla crisi economica e uno sulla prevenzione delle truffe che colpiscono soprattutto gli anziani – ma non solo. Ciascun corso prevede 1215 lezioni che si svolgono dal lunedì al venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14,45 alle 18. Il nuovo anno accademico sta per iniziare. Sì, c’è ancora tempo fino all’11 ottobre per formalizzare le iscrizioni presso il seminario vescovile di Via Trieste, 44 con il versamento del contributo associativo di 40 € mantenuto invariato dallo scorso anno. Speriamo di suscitare l’interesse delle persone raggiungendo un buon numero, come un anno fa con 750 iscritti! Chi si iscrive all’Unitre? Senza dubbio il bacino degli iscritti raccoglie soprattutto pensionati che scelgono di trascorrere il tempo libero non a stabilire quale tra le panchine di Piazza Fontana sia la più comoda ma, per usare un’espressione comune, «tenendo acceso il cervello». Curiosità, interesse, socializzazione, ma anche scambio generazionale. Oggi infatti l’Unitre è più che mai Università delle Tre età: un numero crescente di quarantenni e cinquantenni in cerca

di lavoro si rivolgono ai nostri corsi, così come sempre più giovani stranieri. Ad esempio, lo scorso anno un ragazzo sudamericano ha seguito con particolare profitto il corso di taglio e cucito e ora sta cercando di ricavarne un’attività professionale. Sono previste anche attività ricreative? Le visite di istruzione fanno parte dell’offerta formativa, come prolungamento delle lezioni frontali. Per questo organizziamo visite a musei e centri culturali. E per il prossimo anno stiamo organizzando la visita alla mostra di Renoir alla GAM di Torino, così come alla Reggia di Venaria. Poi, nel mese di giugno si svolge ogni anno la gita estiva: lo scorso anno siamo stati in Puglia e negli anni passati anche in capitali europee come Praga. Per l’anno accademico ormai alle porte avete individuato una nuova sede logistica che sostituisca gli uffici di Palazzo Vittone? La carenza di locali è una delle difficoltà con cui dobbiamo fare i conti. Nel seminario abbiamo a disposizione due soli locali, e spesso ci vediamo costretti ad affittare aule come nel caso del corso di informatica che teniamo nel laboratorio dell’Istituto Immacolata. La nuova sede sarà molto probabilmente la Saletta del Borg a San Lazzaro, benché non sia certo una zona centrale. A questo proposito avete avanzato richiesta al Comune per l’utilizzo dall’aula magna dell’exSumi, senza però ottenere la concessione. Quali gli ostacoli? Pare proprio che l’aula magna che fu della Sumi debba restare inutilizzata in attesa del corso di laurea in Scienze infermieristiche, peraltro ancora in fase di discussione...Ci saremmo almeno aspettati dal Comune un’alternativa, invece di un lapidario rifiuto.

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cosedicasanostra

LE IDEE D’IMPRESA CHE SI CERCANO

da http://changemakers.makeacube.com/?utm_source=google&utm_medium=cpc&utm_campaign=adwords

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Visibili & Invisibili A cura di Chiara Perrone

La testimone di giustizia, lea garofalo

A distanza di 4 anni dal delitto i funerali Il 19 ottobre 2013 saranno celebrati a Milano i funerali della testimone di giustizia Lea Garofalo, uccisa il 24 novembre del 2009, dopo esser stata interrogata e torturata dall’ex compagno Carlo Cosco e da altri uomini legati al codice d’onore della ‘Ndrangheta. Libera in questi anni è stata vicina alla figlia Denise, una ragazza di vent’anni che ha dovuto digerire l’assassinio di una donna che non ha preso parte a quel meccanismo di omertà e ha avuto il coraggio di denunciare! Il suo omicidio era stato organizzato da tempo, ma gli appartenenti alla cosca volevano capire fino a che punto la donna avesse rivelato particolari importanti agli inquirenti. É la storia di sempre che si ripete,di invisibilità della organizzazione mafiosa che non viene riconosciuta come tale per molto tempo e per questo può agire indisturbata e mietere le sue vittime...La discussio-

ne pubblica e le aperte prese di posizione in tutto il Paese,in particolare quelle dei ragazzi e dei giovani volontari e coetanei di Denise, hanno fatto crescere nella coscienza collettiva la consapevolezza della natura mafiosa di questo delitto e del pericolo che comporta il processo di colonizzazione in atto della Lombardia. Finalmente, dopo il ritrovamento del suo cadavere potranno esser celebrati i funerali, per render omaggio a una donna coraggiosa e irrudicibile, fragile e forte alla stesso tempo. a una donna che ha pagato con la vita la sua volontà di ribellarsi alle regole della “famiglia”. Libera chiede a tutti di ricordare e come primo gesto di partecipazione di esporre in luoghi pubblici, dalle case e dai palazzi, da ogni luogo, ove sia possibile una bandiera/lenzuolo con la scritta “io vedo, io sento, io parlo,Lea Garofalo, testimone di giustizia”.

Giovani,Tecnologia@Innovazioni

a cura di Greta Gontero

Ricordati di me “Ricordati di me”, questo è il nome dato all’ultimo e utilissimo progetto di un seggiolino salvabimbi. Infatti, dopo le terribili vicende di cronaca che hanno avuto come vittime bambini piccoli dimenticati in auto dai genitori, gli studenti del Isis “Fermi” di Bibbiena hanno ideato e progettato questo seggiolino per evitare che si ripetano episodi del genere in futuro. Presentatolo poi ad un concorso, sono riusciti a portare a casa il primo premio. Il “seggiolino salva bimbi” può funzionare autonomamente oppure collegato all’auto stessa; nel caso in cui rileva la presenza del bambino sul seggiolino, il motore spento, la portiera del guidatore aperta e l’uscita del condu-

cente (ovvero si intende che il bambino è momentaneamente incustodito), un dispositivo elettronico si attiva per salvare la vita al piccolo. Dapprima inserisce le quattro frecce e apre i finestrini per permettere una circolazione di aria nell’abitacolo, poi accende una sirena per attirare l’attenzione dei passanti e infine invia una serie di messaggi a dei numeri preimpostati dal conducente.


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così per il mondo

Vita internazionale di Alessia Moroni

Natalie Romeo: Erasmus in Switzerland

Sei mesi all’Universitè de Fribourg Natalie Romeo, neolaureata in Giurisprudenza, ha frequentato per circa sei mesi l’Università di Friburgo, in Svizzera, dove ha studiato Diritto presso la Facultè de Droit. A distanza di ormai tre anni, ci racconta il suo indimenticabile Erasmus. Quando è cominciata la tua esperienza? Sono partita nell’Agosto 2010 e ho fatto tre settimane di corso di francese, grazie al quale ho imparato abbastanza bene la lingua. Volevo fare una cosa da sola, per darmi proprio,come si suol dire, “una svegliata”. All’inizio non deve essere stato per niente facile. C’è stato qualcuno che ti ha aiutata ad ambientarti? No, ho fatto tutto da sola. Ero in una casa con cucina e bagno in comune e ognuno aveva la sua cameretta. Eravamo circa venti per piano, quindi ho conosciuto molte persone. Ho fatto amicizia con un ragazzo svizzero, ma è più facile inserirsi in un ambiente di studenti internazionali: ti ritrovi a condividere l’esperienza, l’essere all’inizio molto spaesati. Come sei riuscita a gestire al meglio il tuo percorso di studi, nonostante le differenze con l’Italia? Quando sono partita ero al quarto anno e dal punto di vista scolastico le materie come Diritto Civile e Penale ovviamente sono diverse dalle equivalenti italiane. Bisogna perciò scegliere materie neutre, ma non meno interessanti, come Diritto dell’Unione Europea o Internazionale. Una particolarità della città che ti ha ospitata?

Friburgo è divisa da un fiume, al di là del quale c’è la parte più antica, dove per lo più si parla in tedesco. La città è quindi bilingue e così anche l’università, anche se si può scegliere la lingua in cui seguire i corsi. Come ti sei trovata a dover preparare gli esami in francese? Con il francese mi arrangiavo, l’ho imparato bene, ma sicuramente ho avuto le mie difficoltà. Ho dato meno esami rispetto a quelli che di solito davo in Italia, ma ne è valsa la pena. Quali differenze hai notato tra i due paesi? In Svizzera tutti i negozi chiudono prestissimo, il sabato, che per noi è un giorno pieno di vita, sono aperti solo di mattina e addirittura si va a ballare il lunedì. La cultura è molto diversa, l’organizzazione è fantastica, l’ho notato fin dall’accoglienza studenti. Qual è secondo te, per un percorso di studi così intenso come Giurisprudenza, il periodo più indicato per vivere serenamente un’esperienza così ricca e coinvolgente? Dal secondo al quarto anno. Anzi, se si riuscisse a farlo prima del quarto anno sarebbe ancora meglio, perché ci si può lasciare tutti gli esami sull’Unione Europea da dare direttamente lì. Insomma, mi pare di capire che non ci sia niente di negativo da dire sulla tua esperienza. La rifaresti domani? Sì, la rifarei “altre cento volte”. Sarei rimasta tutto l’anno, non fosse stato per gli esami da dare in Italia.

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società

Servizio Volontario Europeo

di Marta Sappè Griot

Un anno all’estero prima dell’Università

“Un anno di volontariato europeo per sperimentare la mia maturità” Negli ultimi anni di liceo si diventa grandi: si compiono diciott’anni, si prende la patente e si acquisisce capacità di agire, per dirla in termini giuridici. Ma di fatto molto spesso continua la solita vita: si abita a casa dei genitori, si va a scuola, si frequentano le stesse persone di sempre e poi finalmente si affronta l’esame di maturità. Una volta finite le superiori, sentivo il bisogno di sperimentare sul serio la mia maturità, di toccare con mano la vita adulta. Di andare in un posto nuovo e lontano, di farmi conoscere e soprattutto di imparare a conoscermi, di essere indipendente ed effettivamente la sola responsabile della mia nuova vita. Sono quindi partita per il sud della Germania, per la città di Karlsruhe, dove ho lavorato con profughi e richiedenti asilo. Ho messo a frutto la conoscenze delle lingue imparate al liceo, ho approfondito la questione dell’asilo e dei relativi regolamenti nazionali ed europei. Per la prima volta sono entrata a contatto con il mondo del lavoro, ho capito quale sia il valore della competenza e ho imparato a lavorare insieme a colleghi di diversa età ed esperienza. Un anno di servizio volontario europeo ha significato per me lavorare molto, essere economicamente indipendente, perfezionare la conoscenza della lingua tedesca, crescere, vedere persone e luoghi diversi. Una meravigliosa e preziosa esperienza che consiglio ad ogni giovane! L’ufficio volontariato della Diaconia Valdese offre a ragazze e ragazzi di età compresa tra i 18 e i 30 anni la possibilità di svolgere un periodo di volontariato all’estero della durata di 6-12 mesi. I volontari attualmente in servizio si trovano in Germania, Francia,Ungheria,Ucraina, Slovacchia, Rep. Ceca, Danimarca, Belgio, Romania

e, per i progetti extra-europei, in Israele e Argentina. Volontarie e volontari vengono seguiti prima, durante e dopo la loro esperienza di volontariato, con seminari e incontri organizzati sia dall’organizzazione italiana di invio sia da quella di accoglienza. Nel Paese di arrivo viene garantito vitto, alloggio, una quota di argent de poche mensile e un corso di lingua, per il resto le modalità possono variare a seconda del posto di lavoro. Alle persone interessate consiglio di visitare il sito web www.diaconiavaldese.org e di mettersi in contatto con i responsabili per il volontariato in tempo utile per poter prendere parte alla selezione per l’anno 2014-2015.

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dal tempo

Lettera a... di Cristiano Roasio

Lettera: “pronto ad abbracciare il mondo”

“un abbraccio a tutti i passanti, con una meta o senza...” Oggi sono felice. Non so perché ma sono pieno di vitalità e di empatico desiderio, pronto ad abbracciare il mondo che mi circonda. E abbracciare il mio mondo attuale, in barba al cosmopolitismo, significa abbracciare un 40 km quadrati, qualcosa più qualcosa meno: son comunque un bel po’ di abbracci; e allora iniziamo. Un abbraccio al granoturco che mi copre la visuale e un conseguente abbraccio alle auto che, esattamente come me, sfrecciano su strade dissestate incuranti del fatto che il precedente granoturco abbracciato ci copre le rispettive visuali, e che per una qualsiasi legge della probabilità prima o poi ci abbracceremo

col metallo. Un abbraccio a tutti i passanti, con una meta o senza, uno ai clienti contenti e uno agli indigenti, agli studenti, ai dirigenti, ai perdenti e ai vincenti: in fondo siamo tutti uguali e non mi interessa se le motivazioni fanno di voi una delle categorie appena citate. Un abbraccio a quel vecchietto che, incurante, aprendo la portiera e inchinandosi pericolosamente verso l’asfalto, il tutto entrando lentamente ma inesorabilmente nella rotonda appena fuori Pinerolo, lasciava andare uno scaracchio sulla strada. E ancora un abbraccio a te che leggi, pinerolese qualunque, ci saremo già incontrati da

qualche parte. Un abbraccio a quella signora magra che parlando da sola sfreccia sotto i portici e ogni tanto approccia qualcuno per una non meglio specificata offerta commerciale e/o sociale. C’è qualcosa di essenziale e unico in quello che fai: è così impellente la tua attività che in un colpo solo riesci ad abbassare tutte le nostre dal podio della produttività. Un abbraccio a chi ha già esportato nelle nostre valli il gesto disinteressato e tipicamente partenopeo (vedi Pinerolo Indialogo di Settembre) del “caffè sospeso”: e poco importa se non mi piace il caffè e se in quel momento mi sembrava di parlare con un extraterrestre venuto da chissà dove a testare le velocità di reazione del piemontese medio sospettoso e sorpreso per un gesto gratuito e moderatamente (e disinteressatamente) altruista. Grazie per avermi fatto sentire così meschino – io non offrirei mai un caffè ad uno sconosciuto, piuttosto una brioche ad uno conosciuto... o manco quello – e insicuro nei confronti di tutte le accezioni sovrastanti il sintagma “società civile”. Un abbraccio a tutti quelli che scrivono e che hanno imparato a farlo senza circonlocuzioni estenuanti e avverbi moderatamente fastidiosi. Un abbraccio a tutti gli “zarri” che sgasano in Piazza, se mancaste voi è un po’ come se crollasse San Maurizio. Un abbraccio agli spazzini dopo i due mercati, quello che fate è importante. Più di molto altro. E un abbraccio a chi lancia spazzatura di plastica bianca nell’etere per giustificare posizioni localiste e arroccate nel giusto beneficio alla categoria; ma chi sono io per giudicare, non sono neanche informato sulla vostra battaglia. Potevate comunque inquinare di meno. E un abbraccio al mondo a cui nulla interessa, se essere abbracciato o meno, ma che imperterrito gira su se stesso, involuto come un pensiero poco importante.

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Per Mostre e Musei

società

A cura di Chiara Gallo

Piccole città... “promettenti artisti”

Fotografia e pittura, quando la curiosità è tutto Intervista a Marco Da Rold

La vena artistica ce l’ha sempre avuta, quando già all’età di sette anni si cimentava con i primi disegni a matita e le semplici fotografie scattate alla sorellina. Marco da Rold, originario della Val Chisone, è un artista che ha saputo con il tempo coniugare le due passioni, producendo lavori singolari ed espressivi. Potresti illustrarci meglio il tuo percorso? Che dire, disegno da quando ho memoria ed in seguito ho sviluppato la passione per la fotografia. Ricordo che quando feci la prima comunione a differenza dei miei compagni quella che ricevetti non era la prima macchina fotografica, ne possedevo già una e con quella immortalavo ciò che mi circondava. Sono sempre stato molto curioso sia delle persone che dell’ambiente in genere! Crescendo mi sono comprato una reflex, ho frequentato un corso di fotografia, il tutto senza mai mettere da parte la matita. L’istruzione in campo artistico me la sono data da me, la curiosità mi ha sempre spinto sia verso il mondo diciamo patinato delle riviste da cui prendevo spunto per le mie creazioni, sia verso mostre ed esposizioni di artisti passati e odierni. Arte classica o moderna. Quali artisti ammiri maggiormente? Non credo di avere una preferenza, diciamo che ritengo siano entrambi molto importanti. I contemporanei mi piacciono molto. L’arte del passato tuttavia ci aiuta a comprendere quella del presente, senza la quale non avremmo stimoli per l’innovazione. È sempre bene accrescere il proprio bagaglio

culturale di cent’anni fa come di ieri. Parlando di artisti, c’è qualcuno in particolare da cui trai ispirazione o ti senti più vicino? Ispirazione non credo da nessuno, ci sono pittori che mi attraggono di più di altri, per fare alcuni nomi direi Galliano, Casorati, Rama. Un artista che ho avuto occasione di conoscere e di cui apprezzo i lavori ad esempio è Colombotto Rosso. Mi piacciono le loro opere, ne ammiro le tematiche o lo stile, ma non è detto che siano poi le stesse che riproduco nei miei quadri. Le tematiche che prediligi quindi? Sicuramente il ritratto delle persone nei loro vari stati d’animo, dalla felicità al profondo disagio interiore. Di solito rielaboro vecchie fotografie e attraverso l’uso dei colori caldi o freddi estraggo ciò che provano i soggetti ritratti. Un elemento imprescindibile dell’artista secondo te? La sperimentazione. Sia in modo pratico che teorico. Chiunque si voglia affacciare su questo mondo deve sempre essere curioso di elaborare e conoscere nuove tecniche. Sicuramente deve anche crearsi una visione completa del panorama artistico e culturale attuale. I mezzi per approfondire sono tantissimi: si possono leggere riviste e libri, andare alle mostre, visitare musei, e così via. In generale occorre essere continuamente assetati di sapere ed investire molto tempo. Il tempo investito in questo caso sembra proprio dare i suoi frutti!

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musica

Officine del suono A cura di Demis Pascal

m u si c a emergente

Al Ard

La nostra recensione di questo mese si addentra nei meandri più oscuri della musica. Musica che si ascolta di notte, musica che fa paura. Nati nell’Ottobre del 2011, tutti siciliani ma residenti a Torino e Pavia, gli Al Ard suonano industrial black metal con inserti di dubstep and drum’n’bass. Questa mistura nasce dal background black metal del gruppo e una forte propensione alla musica elettronica. La dnb, con i suoi tempi veloci, produce un accoppiamento brutale con le composizioni black metal, mentre la dubstep rincara la dose nei rallentamenti. Il risultato, al di là dei generi, è violento e d’impatto. I membri del gruppo hanno in passato suonato con varie band siciliane di black metal e industrial. Al momento gli Al Ard stanno finendo le registrazioni dei pezzi del loro primo album, che probabilmente vedrà la luce nel 2014 e che è preceduto dal promo del quale parleremo a breve. Il disco si apre con la tagliente For a Hint of Divinity dove gli AlArd mettono a frutto il meglio della musica che li ha influenzati. Le ritmiche e le sonorità sono quelle dei capisaldi del black metal scandinavo con chitarre molto veloci ma cadenzate e distorsioni importanti. A fare da tappeto al tutto la drum machine in modalità doppio pedale che rende la song, se possibile, ancora più arrabbiata.

A smorzare un po’ la tensione ci pensano degli intensi intrecci melodici che strizzano gli occhi ai leggendari Dimmu Borgir con intense orchestrazioni. La seconda traccia si intitola P.P.P. e si apre con un lungo intro fatto di suoni striduli e glaciali. La suite continua poi sui canoni del black metal ma intelligentemente ed abilmente intervallata da intensi break intrisi di sintetici suoni dubstep che creano l’attesa per la successiva scarica di adrenalina ma senza mai abbassare la tensione musicale del pezzo. A completare l’opera magistrali bridge sinfonici che riportano, ma solo per poco, la calma nell’ascoltatore. Il promo si conclude con Strange old practice. Un brano molto strutturato che si apre con una lunga intro che strizza l’occhio alle band storiche della Cold Meat Industry per poi aggrovigliarsi in una cascata di suoni elettronici che riprendono le fila del disco con ritmo e cadenza. In conclusione da grande amante del metal quale sono, e da grande amante del black non posso fare altro che un plauso all’esperimento di questi tre geniali musicisti. Sperando di vederli presto live vi rimando al loro spazio on-line nel quale è possibile ascoltare il promo: https://soundcloud.com/al-ard.

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società

Appunti di viaggio di Angelica Pons

Castelmauro (CB)

Viaggio verso casa Dopo le lunghe distanze, “ci scappano i piedini” verso Castelmauro (CB), paese natale di mia madre. Sono passati 20 anni, ho nostalgia ed ho voglia di esprimere un grazie speciale alla Madonna della Salute, a cui è dedicato il Santuario, per la guarigione di mio marito Mauro. Così da Pinerolo, accesa dal sole nascente, in treno come studentelli vediamo scorrere case, colline, vigneti, campi di girasoli e pannelli fotovoltaici. Dopo S. Ilario, in cui Faber ambientò Bocca di Rosa, puoi toccare il blu: la gente fa il bagno in pausa caffé. Oltre Pescara, fattorie da facebook con giardino, orto, torrente, siepe. Al largo, le chiatte. “L’area delle Isole Tremiti è a rischio per la fauna ittica” dice La Stampa. Sotto la rocca di Termoli il mare occhieggia dalle case e ci invita. Ancora un bus, sulle colline a scacchi, verdi rispetto alle estati in cui venivo dai nonni. Su e giù per i paesini, ed ecco Monte Mauro e sulle sue pendici, Castelmauro. Giù a sinistra gli oliveti, i cipressi, il Cimitero, il Santuario. L’accoglienza è unica qui, quanto gli zii! Si va alla casa dei nonni, riassettata ma vuota, in via Neviera vecchia - il nome dell’antico deposito di neve - poi riscendiamo, lungo i vicoli dal quartiere la Foltarella (la fontana al centro), oltre la cinta dal gran portale, gli scalini lastricati di pietra, fino alla festa in centro e risaliamo nel buio e nella quiete delle antiche mura. Nella notte stellata, dal terrazzo di nonna Nannina ci giungono le note dell’orchestrina ma ormai ci ha “gabbat lu suonn”. Al mattino, dal fornaio D’Angelo dolcetti di ricotta, mandorle e miele, e camminata a Monte Mauro, un tempo tra prati e campi, ora col bosco di faggi, ombroso, ai cui piedi sorride un tappeto di ciclamini. La croce di pietra è in una breve radura di cardi, farfalle ed uccelletti, attorniata da querce e pini. Più oltre un osservatorio astronomico. Al ritorno scorpacciata di more mature, e poi reportage di edifici storici in stile romanico-pugliese: palazzo ducale, chiesa del ‘200 di S. Leonardo restaurata in barocco nel XVI sec. e ben preservata, vico S. Nicola, traversa di S. Margherita e fontana La piscia-

rella. Ora un gatto schivo, ora un anziano che mi interroga: ma tu chi sei? La figlia di Irma di Carlitell (il trisavolo). Ah sì! Festa di famiglia, nuova per Mauro, con l’arrivo di cugini e bimbi e via skype coi lontani, e festa culinaria in cui zia Lucia è prim’attrice, con pasta con cinghiale, scamorze, rosticini di ventricina, capocollo fatto in casa, agnello al forno, e l’ottimo vino di zio Daniele, fatto secondo la tradizione di nonno Alfonso. Dinanzi ai nostri complimenti piemontesi, la risposta è disarmante: è festa, si fa così. La Festa della Madonna è più che folclore e Fiera. La devozione è sentita e manifesta: liturgie e processioni, con banda musicale e fuochi d’artificio, per cui il paese si autotassa: il santuario è noto, e vi giunge pure, coi cavalieri dell’Ordine equestre del S. Sepolcro, la reliquia di Papa Giovanni Paolo II. Ritornano gli emigranti, è tangibile l’affetto per la famiglia ritrovata al luogo natìo. La sera è un’esperienza mistica, tutti in processione con i flambeaux lungo le vie vestite a festa, al passaggio di questa figura dal viso fresco, l’abito come mosso dal vento, una semplice statua di cartone issata quale Regina, il popolo raccolto intorno: pure i bimbi, zitti, pervasi da un’aurea di sacro. Il giorno dopo le campane a festa ci salutano insieme ai nostri cari: qui sarà sempre “casa”.

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Sono a m i c i d i P i n e r o l o I n D i a l o g o

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