Pineroloindialogo marzo2015

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Anno 6, Marzo 2015

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INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Quattro abbazie per valorizzare il territorio Dibattito sul Polo Culturale /2. Intervento di Mauro Ughetto

Intervista a Mons. Piergiorgio Debernardi, che a fine marzo con i 75 anni conclude il suo mandato canonico di vescovo di Pinerolo


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

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lavorare con la natura

Food forest, un nuovo modo di coltivare Negli anni Sessanta, Robert Hart, sulla scia del motto ippocratico “Fa’ che il Cibo sia la tua Medicina e che la Medicina sia il tuo Cibo”, sperimentò un metodo alternativo per la coltivazione di frutta e verdura. Dopo attenta osservazione degli ecosistemi naturali paragonati alle coltivazioni imposte dall’uomo, si rese conto che la raccolta diretta avrebbe portato numerosi vantaggi. Diede quindi vita alla cosiddetta food forest - in italiano foresta commestibile o orto bosco - ovvero la riproduzione di una foresta in cui crescere sia piante da frutta sia ortaggi e dalla quale servirsi a proprio piacimento, senza stressare la natura ma lavorando a suo favore. La sperimentazione di Hart si basò inizialmente sulle piante tropicali ma il principio può essere applicato a qualsiasi tipo di clima, compresi quelli temperati. Per imitare al meglio la natura, studiò sette livelli: alberi ad alto fusto, alberi di

media altezza, arbusti, erbacee, rizomatose, tappezzanti, rampicanti. Molto apprezzato da vegani e vegetariani, attualmente il modello di Hart viene seguito sia in campagna, dove più facilmente si dispone di appezzamenti di terreno, sia nelle grandi città. Gli orti sui balconi infatti sono una variazione della food forest: sono necessari una terrazza, luce solare diretta, grandi vasche o vasi capienti per contenere ortaggi come pomodori, insalate, peperoni, alberi da frutta, piante aromatiche ed officinali. Qualunque sia l’ubicazione scelta, l’obbiettivo rimane lo stesso: lavorare con la natura e non contro di essa, ottenere più di un raccolto, imitare l’ecosistema della foresta, aumentare la biodiversità. In questo modo, si dà vita a un ecosistema del tutto naturale, autonomo e in perfetta armonia con i nostri bisogni.

Il Polo culturale secondo il documento di LA.PI.S Un altro tassello si è aggiunto al dibattito sulla Bochard con la presentazione sabato 28 febbraio del progetto abbastanza dettagliato di Lapis (Laboratorio Pinerolese per la città e il territorio Smart) da parte del suo presidente Luigi Pinchiaroglio. Un tema che ha ormai coinvolto il mondo politico-culturale della città, non solo per le prospettive culturali che potrebbe aprire, ma anche per le speranze di rilancio della città che alcuni, in primis il sindaco Buttiero, vi pongono. L’impressione - al di là del merito del documento di Lapis - è che si stia incosapevolmente alimentando un sogno, per colpa anche nostra che abbiamo alimentato il dibattito, che non produrrà alcun posto di lavoro in più rispetto a quelli esistenti. Una caserma ristrutturata non crea di sicuro lavoro e non rilancia economicamente il territorio. Solo se è chiaro e si è coscienti di questo limite si può valutare in modo ponderato il progetto, soprattutto dal punto di vista dell’impegno economico, valutato da Lapis in 22 milioni di euro. Solo se il polo culturale con dentro la Bochard abbraccia tutta la città e si inserisce in un progetto più ampio di rilancio del territorio (la famosa “ideona” che ancora non è venuta fuori e non può che essere un sostegno all’innovazione e la valorizzazione del capitale umano) una spesa così alta può essere giustificata. Antonio Denanni Il documento proposto da Lapis su: www.laboratoriosmart.it/wp-content/uploads/2015/03/Contributo-Lapis-Polo-culturale.pdf


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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolo e basta! L’editoriale “Pinerolo, basta con la ‘città della cavalleria!’” ha suscitato parecchie discussioni che sono giunte anche a me attraverso mail e telefonate. I commenti sono stati quasi tutti di approvazione, qualcuno ha tirato anche un sospiro di sollievo: “era ora che qualcuno avesse il coraggio di sollevare la questione!”. Questo interesse mi induce a ritornare sull’argomento. Col dire basta all’identificazione di Pinerolo come “città della cavalleria” non si vuole disconoscere il valore storico ed economico-architettonico che la cavalleria ha portato in città tra fine ‘800 e prima metà del ‘900, si vuole semplicemente dire che la Pinerolo di oggi non è quella di allora e non lo sarà mai più, fa parte dei ricordi e della memoria come la città degli Acaja o la cittadella fortificata di Vauban. L’identificazione con uno slogan deve rimandare ad una realtà presente, che attira ancora oggi. Altrimenti è un legare l’identità di una città al passato, ai ricordi, al vecchio, creando il cortocircuito di una città vecchia, come è stato riportato in una scritta sui muri di Via Nizza a Torino a 200 metri dalla stazione: “Pinerolo puzza di m. secca”. E non si può certo tirare fuori come giustificazione la battuta che ha fatto nel 1981 l’ex presidente americano R. Reagan, noto appassionato di cavalli, che in un dialogo con Spadolini, allora in visita negli USA, avrebbe parlato di “Pinerolo città della cavalleria”, perchè qui nel 1902 aveva avuto origine la nuova monta ad opera di Caprilli. È una identificazione che è riduttiva, perchè esclude la valorizzazione di altre potenzialità e ricchezze della città e del territorio, come quella dolciaria, alimentare, il centro storico, l’ambiente salubre, l’innovazione, un fiorente mercato, ecc. È un’identità che blocca, che ha bloccato questa città per 20 anni! (Una persona mi ha scritto: “Pinerolo è talmente ferma che non si accorge di esserlo!”) Chiamamola Pinerolo e basta, come fanno le grandi e piccole città che hanno una forte identità. Antonio Denanni

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Buone News

food forest

4 Urbanistica & Territorio

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le quattro abbazie di santa maria

In città

dibattito sul polo culturale /2

Giovani e territorio

intervista a mons. piergiorgio debernardi

Giovani & Storia

lidia poËt e la difesa dei diritti delle donne

11 Lettere al giornale

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se la montagna muore

Giovani & Lavoro

L’innovazione nel pinerolese/1 l a provel

Serate di Laurea

annalisa listino e ambra dalmasso

14 Teatro lombardi-tiezzi in non si sa come 15 Il Passalibro

umberto eco e la cattiva informazione

16 Lettera a... cinquanta sfumature di ovvio 17 Uomini del Pinerolese

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rinaldo canalis, una vita nel sermig

Per Mostre e Musei

luca arancio, disegnatore

Vita internazionale

laura serassio, “in diretta da bruxelles”

20 Officine del suono

memorial “Andrea aglione”

21 Cose dell’altro mondo

PINEROLO INDIALOGO

Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Stella Rivolo, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Valentina Scaringella Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Francesca De Marco, Giacomo Denanni Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

22 Visibili e invisibili

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torino capitale europea dello sport giovani amnesty e libera

Giovani & Tecnologia

l’ombrello high tech

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.pineroloindialogo.it/eventi http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


o territ o ri

Urbanistica & Architettura di Riccardo Rudiero

Il 20 febbraio presentato a Cavour il progetto

Le quattro abbazie di Santa Maria

Una proposta giovane per un patrimonio millenario Il ruolo dell’Associazione Culturale Anno Mille

La voglia di riqualificare il territorio, di dare nuova vita a siti considerati spenti, privi di potenzialità o troppo pachidermici per essere valorizzati, non è certamente sopita nelle nuove generazioni. Ne è una chiara dimostrazione il progetto “Le quattro abbazie di Santa Maria”, presentato al grande pubblico la mattina del 20 febbraio in un gremito salone Giovanni Giolitti presso l’abbazia (manco a dirlo) di Santa Maria di Cavour. La proposta, che ormai coinvolge varie associazioni, c o m i t a t i , fondazioni e centri studio, può essere considerata un’iniziativa giovanile perché nata dalla pressante esigenza dell’Associazione Culturale Anno Mille – formata per la maggior parte da trentenni, come il suo presidente Elisa Sasso e il portavoce dell’associazione per il progetto, Daniele Salvai – di riportare in auge l’abbazia cavourese, ma con un occhio attento alle altre realtà del territorio. Il progetto, che inizialmente aveva la finalità di partecipare a un bando per attingere a fondi legati alla valorizzazione territoriale (usando, come canale privilegiato, il web), ha cambiato forma, si è evoluto in qualcosa di più strutturato e ambizioso: mettere a sistema quattro tra le più importanti abbazie dell’area che unisce Pinerolo a Saluzzo (Santa Maria presso San Verano ad Abbadia Alpina, la già citata Santa Maria di Cavour, Santa Maria di Staffarda a Revello e il Convento della Trappa a Monte Bracco, nel comune di Barge), accomunate

non solo dalla dedicazione mariana, ma anche dalla pressoché coeva fondazione altomedievale. Una connessione che dovrebbe avvenire attraverso un itinerario percorribile a piedi, in bicicletta o a cavallo, in nome di un turismo lento che possa far apprezzare le peculiarità di questo angolo di pianura all’ombra del Monviso. Alla presentazione è intervenuto un folto gruppo di rappresentanti delle pubbliche istituzioni, a partire dai sindaci di Cavour Piergiorgio Bertone e di Pinerolo Eugenio Buttiero, e tutti gli enti coinvolti nel progetto, che ha potuto vedere la luce solo ed esclusivamente per la ferma volontà di intessere relazioni fruttuose con le realtà culturali già presenti sul territorio, dalle più consolidate e scientificamente probanti quali il CeSMAP di Pinerolo, a quelle che hanno per scopo la salvaguardia di un singolo bene (Comitato San Verano da Salvare e COSMA, ossia il Comitato di Salvaguardia dei Monumenti Artistici - Monte Bracco, in collaborazione con la parrocchia di San Giovanni Battista di Barge), passando per gli enti proprietari (la Fondazione Ordine Mauriziano, che detiene l’abbazia di Staffarda). Interessante è stato constatare come ciascuna delle associazioni coinvolte, portatrice di specificità che da sole potrebbero ambire a progetti unitari, non abbia mai smesso di porre l’accento sull’indispensabilità di fare rete in un senso ampio: non basterebbe, infatti, riuscire a collegare le quattro abbazie e renderle autosufficienti sia

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Prima di progettare occorre “condividre le idee con chi vive e opera sul territorio” sul piano economico che su quello delle iniziative culturali; ciò che più conta è che si possa lavorare in sinergia (parola usatissima nella mattinata ma, ahimè, ancora spesso non ben compresa nel significato) con le istituzioni pubbliche e con tutti coloro che lavorano sul territorio, dai produttori enogastronomici ai gestori delle attività ricettive. Per ottenere ciò, sostiene il giornalista RAI Maurizio Menicucci, moderatore degli interventi, bisogna puntare sulla contaminazione tra interventi pubblici e privati. Idea ribadita dalla senatrice Magda Zanoni, che chiede a tutti lo sforzo di non interpretare i (pur esigui) fondi destinati alla cultura come uno spreco di denaro pubblico, ma come un vero e proprio investimento perché, come ha recentemente detto il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, anzitutto i nostri tesori artistici e ambientali sono da amare e far amare. Questa affermazione investe direttamente la dimensione dell’educazione e della didattica. E il progetto prevede, infatti, laboratori di formazione anche per ragazzi

e bambini, affinché fin dall’età scolare si possa cogliere l’importanza dei nostri beni territoriali e paesaggistici. Una domanda, ovviamente, ha aleggiato per tutta la mattinata: ma sarà davvero possibile dare un seguito a questa bella proposta, in una situazione di penuria economica come la nostra? A tal proposito, il consigliere regionale Elvio Rostagno ha sottolineato come il progetto risponda a due caratteristiche ineludibili per poter attingere ai Fondi Strutturali Europei – il coinvolgimento di un intero territorio e l’intersettorialità – e che, quindi, parte con un buono sprint iniziale. Così come, ha ricordato l’altro consigliere regionale presente, Federico Valetti, il fatto di far parte del progetto europeo di piste ciclabili VenTo – che collegherà Venezia con Torino – non può che essere una buona base di partenza. Non si è che all’inizio di un arduo percorso. Ma iniziative di questo genere fanno ben sperare in una rinascita culturale e turistica del nostro territorio, con quel guizzo che soprattutto le giovani generazioni sanno dare.

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IN CITTÀ

Dibattito sul Polo culturale - Bochard /2 di Mauro Ughetto

Le funzioni di un polo culturale

«Prevedere degli strumenti per indagare le esigenze e i bisogni del territorio» Un polo culturale è definito da una collocazione “fisica” strategica rispetto ad un territorio e da una attrattività che evidenzia un punto su cui si innerva un sistema di coordinate, un luogo che funge da elemento di aggregazione. Sono due i movimenti che alimentano costantemente la pulsazione del polo, l’andamento del suo respiro: un movimento di riferimento (logica centripeta) e un movimento di irraggiamento (logica centrifuga) che sono strettamente interconnessi perché esprimono una capacità vitale, manifestano ciò che vive e fa vivere. Il polo è la terminazione nervosa di un centro gravitazionale a cui ci si ispira e a cui ci si riferisce e da cui si dipartono movimenti di pensiero e si diramano strade di relazioni culturali. Un polo così concepito assolve a molteplici funzioni, in particolare : 1. scavalca cancelli chiusi e apre le porte a tutte le manifestazioni dell’arte e della cultura : letteratura e poesia, musica, teatro, arti visive, danza, nuovi linguaggi e forme espressive, scienze, teologia, filosofia, antropologia ecc. ; 2. fa emergere i segni e le forme di vita che hanno attraversato e caratterizzato il territorio in stretto rapporto con ciò che già esiste ed è continuativo nel tempo ; 3. coinvolge i cittadini/e nell’affermazione del sapere come insostituibile bene comune diventando un luogo di riflessione-confrontodivulgazione e di produzione culturale ad ampio spettro : concerti, convegni, proiezioni, letture recitate, eventi, conferenze, mostre, seminari, tavole rotonde, incontri e presentazioni ecc. ; 4. aiuta a padroneggiare e mette a disposizione di tutti/e adeguati strumenti informatici e linguistici, supporti e tecnologie audio-visuali, collegamenti in rete (web), spazi polifunzionali, risorse ideative e competenze di varia natura, fruibilità di accessi per rapporti interattivi e progettuali, archivi e materiali librari, alfabetizzazioni e saperi in divenire, postazioni informative e strumentazioni ludiche, tecnologie di comunicazione e.. ; 5. realizza attività di consultazione-conservazionearchiviazione, fornisce attività di formazione per l’ideazione-la progettazione- l’allestimento, scopre le energie e le capacità nascoste,

soprattutto quelle giovanili, per l’investimento in creatività e futuro; 6. attua la centralità sociale ed economica della cultura e della conoscenza facendola interagire con la vita,le relazioni, lo sviluppo, il turismo, i bisogni-la memoria- il tessuto sociale del territorio, l’immigrazione multiculturale e il conseguente meticciato, la globalizzazione, le religioni, le frontiere ecc.; 7. pratica la consapevolezza di non essere esclusivo portatore di contenuti e di elaborazioni perché si arricchisce nella relazione e nei rapporti non occasionali con le istituzioni e l’associazionismo culturali della città e del territorio, senza tentativi egemonici, rispettando storie e autonomie con una configurazione sinergica, in cui lo scambio e l’integrazione reciproca sono le nervature irrinunciabili ; 8. offre spazi ed occasioni per indagare sul rapporto tra cultura e democrazia, incentivando forme di coesione sociale, di partecipazione attiva, di coinvolgimento nelle scelte e nelle priorità politiche -culturali-sociali individuate dalla comunità cittadina, nell’attuazione condivisa delle decisioni, nel rispetto dell’ambiente e dei suoi vincoli, nella pratica di una convivenza che si modifica e si arricchisce per l’apporto di tradizioni diverse; 9. tiene aperto in una prospettiva intersettoriale e in una fase di profonde trasformazioni il lavoro di manutenzione del welfare perché la cultura “fa bene” e fa ben-essere, attrezza le persone a reagire positivamente ai continui cambiamenti in corso e aiuta le persone ad auto-organizzare la propria vita, ridefinisce e ricuce rapporti con chi affronta (sanità, sindacati, volontariato, chiese,case di riposo o ricovero ecc.) le nuove povertà e i problemi della terza e quarta età, esplora terapie culturali per la cura e l’assistenza; 10. contribuisce a stimolare interlocutori e contributi per continuare la ricerca sui possibili (e più “spendibili” in varie direzioni) caratteri identitari della città e del territorio. Tra le proposte emerse in questi ultimi anni, la discussione può concentrarsi sulle seguenti ipotesi, che contengono al loro interno plurimi percorsi e sono suscettibili di opportunità diverse e di incroci:

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«Un elenco sommario di associazioni e luoghi culturali sparsi in ambito cittadino» a) Pinerolo come terra di frontiere politiche, religiose, culturali e sociali (terre transfrontaliere, valli valdesi, varietà linguistiche, dominazioni francesi, Maschera di ferro, configurazione architettonica del centro storico, emigrazione-immigrazione, sistema delle acque, chiese e monasteri, Società operaia e Mutuo Soccorso, fabbriche, archeologia industriale, vie di comunicazione ferroviarie e automobilistiche, talco e panettone ecc.). b) Pinerolo città della Cavalleria (Museo nazionale, Cavallerizza, Scuole di equitazione, nuovo maneggio coperto, galoppatoi di Baudenasca e di Baldissero, Scuola di Mascalcia, ippovie della pianura, ville patrizie e castelli, Teatro Sociale e Belle époque, concorsi ippici ecc.) La Bochard con la “nuova biblioteca” può diventare per la città ed il territorio pinerolese , dalla campagna alla montagna, un polo in grado di rivitalizzare e mettere in rete il sistema culturale presente, di dare vita, slancio, impulso a strutture e contenitori esistenti, di ripensare la trama delle associazioni, di intrecciare relazioni su versanti, di fungere da perno di un sistema autonomo ma coordinato, di essere sede di progettualità e di sperimentazione. Per immaginare i possibili intrecci, le configurazioni rivisitate e per disegnare le dinamiche da attivare e le sinergie auspicabili dal punto di vista logistico, culturale, organizzativo ed economico proviamo ad elencare, in termini di spazi, ciò che c’è nelle immediate adiacenze della Bochard e, a cerchi concentrici, in luoghi sparsi dell’ambito cittadino: Cavallerizza, Sumi e Porporato, Palazzo Vittone, Musei Civici, Accademia di Musica, ATL, Auditorium Baralis, Museo della Cavalleria, Salone Cavalieri, Teatro e Circolo Sociale, Villa Prever con parco, Museo del Mutuo Soccorso, Museo Diocesano con sala conferenze, Biblioteca del Seminario, Edificio della ex Comunità Montana, Teatro del Lavoro, Teatro del Moscerino, Gallerie Losano, Storello, Zuccarello, Teatro Incontro, Corelli e San Giuseppe, Saletta della Pro Pinerolo, Palazzo del Senato, Chiesa di Sant’Agostino, Palared, En Plein Air, Fondazione Cosso Castello di Miradolo, Tempio Valdese , Chiesa del Colletto, Cappella di Santa Lucia, Oratorio di San Domenico, Sala dei Testimoni di Geova e ancora scuole, chiese, giardini, piazze, cortili, centri sociali, ville, castelli …. In termini di Enti e Associazioni Culturali l’elenco

è puramente indicativo e non ha pretese di completezza. Si segnalano in particolare: Cineforum, Arci, Nexus, Svolta Donna, Unitre, Pro Loco, Biblioteca interculturale,Società Storica Pinerolese, Associazioni ex allievi ,Cesmap, Amarte, Maschera di Ferro, Associazione di Scienze naturali, Centro Etnografico, Società operaia, Non solo Teatro, La terra Galleggiante, Musicarea, Associazioni e Scuole di Danza, Centro culturale valdese, Pensieri in Piazza, Pinerolo in Dialogo, Lega Ambiente, Cai e Giovane Montagna, Le Ciaspole, Stranamore, Associazioni di Volontariato, di cura e di assistenza, Dopolavori, Associazioni “ regionali “, Fidapa, Cori cittadini, Il

Flauto magico, Italia Nostra, Lion’s e Rotary, Pablo Neruda, Anpi, Scuole di Musica, Zonta , Circolo sociale, Adamev@, Viottoli, Senza confini ecc. ecc. Il quadro sommariamente riportato fotografa una situazione articolata ma con soluzioni di grande interesse e innovazione per quanto concerne il collegamento e la ridislocazione di una parte del sistema culturale cittadino e la sua rifunzionalizzazione complessiva. E’ evidente che nello studio di fattibilità occorre prevedere degli strumenti in grado di indagare le esigenze della domanda sociale e i bisogni del territorio. Occorre anche esplicitare le finalità e le intenzioni politiche dell’Amministrazione e suscitare il coinvolgimento dei cittadini fin dalle fasi iniziali del percorso di progettazione che deve connotarsi in modo plastico, flessibile per accogliere strada facendo correzioni e integrazioni.

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Giovani e territorio a cura di Emanuele Sacchetto

Mons. Piergiorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo, il prossimo 31 marzo compirà 75 anni e come è prassi rimetterà nelle mani del Papa le dimissioni, anche se non scadrà subito il suo mandato. In un dialogo con lui tentiamo un primo bilancio

«Il bilancio lo lascio fare al Signore... Se qualche bene è stato fatto è dono suo» «C’è bisogno di persone che pensino ad alta voce e riescano a mettersi insieme» Il prossimo 31 marzo mons. Piergiorgio Debernardi, vescovo di Pinerolo, compirà 75 anni e come è prassi nella Chiesa cattolica darà le dimissioni, ponendole nelle mani di Papa Francesco. Lo abbiamo incontrato per uno scambio di opinioni sulla vita della diocesi e del territorio. A marzo lei compirà 75 anni e come da regola canonica metterà nelle mani del Papa la lettera di dimissioni. Ci fa un bilancio di questi quasi 18 anni di vita in diocesi (ha fatto il suo ingresso l’8 nov.1998)? Il bilancio lo lascio fare al Signore. Mi pare che la cosa più saggia sia quella di ripetere ciò che nella preghiera del “Ti adoro” diciamo ogni giorno: «se qualche bene ho compiuto accettalo…». Sono convinto delle parole che Gesù ha detto ai suoi discepoli: «siamo servi inutili» (Lc 17,10). Se qualche bene è stato fatto è dono suo; se vi sono state negligenze e debolezze c’è la sicurezza che Dio è misericordioso. E questo lascia il cuore nella pace. La cosa che più l’ha soddisfatta in questi anni e quella che più l’ha rammaricata? È difficile fare un elenco di cose o avvenimenti lieti e tristi. Paragono la diocesi (ma ogni prete potrebbe dirlo della propria parrocchia) ad una bellissima rosa. La bellezza del fiore si erge su uno stelo

robusto dove vi sono anche spine. Ma sarebbe da stolto fermare lo sguardo alle spine e non alla bellezza del fiore. Qual è il progetto incompiuto che lascia al suo successore? Quando un vescovo viene chiamato a guidare una diocesi, si inserisce in un cammino che parte da lontano. Non so se ho fatto qualcosa di bene. Certamente ho cercato di approfondire il dialogo ecumenico lavorando su un terreno già ben coltivato dal mio predecessore mons. Pietro Giachetti. In questo favorito da esemplari figure di preti e di pastori che ho incontrato, fortemente animati dallo stesso ideale. Allarghiamo il discorso alla vita del territorio che lo ha visto parecchio presente nei momenti istituzionali. Da esterno come giudica i pinerolesi: qual è il pregio e qual è il difetto? È un territorio bellissimo e altrettanto si deve dire delle persone che vi abitano. Ringrazio il Signore di aver trovato tanta cordialità, collaborazione e, soprattutto, corresponsabilità. Qualcuno sostiene che molti dei problemi del Pinerolese siano dovuti ad un eccesso di provincialismo, all’essere troppo ripiegato su se stesso, sul territorio (la presenza di cinque giornali locali è già indice di ciò)? È d’accordo? Mi pare infondata questa opinione. Lo

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«Dal mio osservatorio posso dire che Pinerolo ha ricchezze di energie giovanili» si potrebbe dire anche di altre città del Piemonte. C’è da domandarsi che cosa vuol dire “ripiegata su se stessa”. In negativo significa che dimentica l’orizzonte globale. Questo sarebbe determinato da un deficit culturale. Ma non è certamente il caso della nostra città. In positivo, invece, esprime la volontà di guardare con più profondità i problemi e le emergenze del territorio e cercare di trovare risposte. In qualche caso la presenza di più voci è segno di democrazia e di libertà. Oggi c’è bisogno di persone che pensino ad alta voce e riescano a mettere insieme, condividendo, le proprie idee e progetti. C’è bisogno di pensare “insieme” e non “contro”. Dal mio osservatorio posso dire che Pinerolo ha ricchezze di energie giovanili. Devono poter trovare il modo di emergere. È importante creare spazi dove i giovani possano diventare protagonisti e mettere a frutto i loro talenti. Dopo aver perso il tribunale e altre istituzioni, non è che perdiamo anche la Diocesi? Ci può dire qualcosa in merito? Dalle notizie in mio possesso ritengo

che la diocesi ha tutte le caratteristiche per continuare il suo cammino (numero sufficiente di abitanti; specificità di vocazione pastorale). In questi ultimi tempi si sono fatte numerose ipotesi. Ma è tutto frutto di spigliata fantasia. È al corrente che in città si vuole realizzare un polo culturale intorno alla ristrutturazione della caserma Bochard? Qualcuno ha parlato anche della possibile presenza di un polilogo. Che cosa ne pensa? Non è mia competenza entrare in merito a questo progetto. Certo, è da promuovere tutto ciò che aiuta e favorisce il dialogo e lo scambio tra culture diverse. Oggi abbiamo una grande opportunità di vivere, anche nel nostro territorio, una dimensione mondiale. Perché non approfittarne per una crescita nella costruzione della civiltà dell’amore? Non è utopia, ma realtà che si può realizzare se si creano basi solide e luoghi dove il dialogo è possibile. Così si argina, anzi si elimina, lo scontro tra civiltà.

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Giovani&Storia Città

di Nadia Fenoglio

Appunti di storia locale

Lidia Poët e la difesa dei diritti delle donne La festa dell’8 marzo è una buona occasione per ricordarla, Lidia Poët. La prima donna avvocato del Regno d’Italia, a cui fu però impedito l’esercizio della professione proprio perché donna: discriminazioni ottocentesche, si direbbe. Oggi le donne si muovono con libertà nel mondo del lavoro, vanno dove vogliono, perfino nello spazio. Certo, maggiori diritti sono stati acquisiti ma solo in forma precaria, talvolta vengono ancora violati e non valgono che per una parte delle donne di tutto il mondo. Storia paradigmatica quella di Lidia Poët, nata nel 1855 in una borgata di Perrero da una ricca famiglia di proprietari rurali. Una volta conseguito il diploma di maestra, la Poët decise di proseguire gli studi nonostante le obiezioni della famiglia. Ottenne allora la licenza liceale da privatista a Pinerolo per iscriversi poi alla facoltà di Legge di Torino, suscitando la curiosità per quello che pareva all’epoca un silenzioso scandalo. Nel 1881 riuscì a laurearsi con una tesi sul femminismo e il voto alle donne, tema caldo negli ultimi decenni dell’Ottocento anche grazie alle manifestazioni delle suffragette inglesi. Lidia Poët divenne così la seconda donna italiana a ottenere la laurea dopo Ernesta Paper, laureatasi in Medicina a Firenze nel 1877. Dopo la laurea la Poët seguì i due anni di praticantato a Pinerolo nello studio del senatore Bertea, sostenne il relativo esame e chiese quindi l’iscrizione all’Albo degli Avvocati e dei Procuratori di Torino. Era la prima volta di una donna e

le polemiche non mancarono. Magistrati e giuristi osteggiarono la sua richiesta, si tenne addirittura un dibattito parlamentare a riguardo ma alla fine il Consiglio dell’Ordine forense torinese, pur diviso al suo interno, finì per approvare l’iscrizione. Era il 1883. Il procuratore generale del re presso la Corte d’appello di Torino si oppose però all’iscrizione, sostenendo che le inclinazioni femminili indirizzavano le donne alla cura della casa e della famiglia piuttosto che a professioni come quella forense. La Poët fece quindi ricorso ma la Corte d’appello accolse le richieste del pubblico ministero che, secondo le leggi vigenti,sosteneva che alle donne fosse proibito l’esercizio dell’avvocatura. La battaglia continuò quindi presso la Corte di cassazione: nel 1884 essa confermò quanto stabilito dalla Corte d’appello. Le donne, si diceva, erano inadatte all’avvocatura e l’uguaglianza di tutti i sudditi davanti alla legge - stabilita dall’articolo 24 dello Statuto albertino - non poteva cancellare le ineguaglianze che la natura stessa stabiliva tra uomini e donne. Nel 1920 la Poët ottenne finalmente l’iscrizione all’Albo degli Avvocati, ma i tempi erano cambiati. Si era dedicata nel frattempo alla beneficenza, partì come crocerossina nella Prima guerra mondiale, lavorò all’ombra del fratello Enrico, anche lui avvocato, ed entrò infine nella segreteria del Congresso penitenziale internazionale in rappresentanza dell’Italia. Morì infine nel 1949 a Diano Marina.

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PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

Se la montagna muore

La proposta della “Scuola dei mestieri della montagna” L’autunno e la primavera sono stagioni difficili per la montagna. Non ci sono più i turisti dell’estate né quelli della neve. Qualche famiglia, preoccupata per la fatica che costa al ragazzino scendere ogni giorno a scuola in valle, decide che l’anno prossimo si trasferirà più in basso, e qualche altra famiglia medita di imitarla. Il bar, il negozietto, il piccolo emporio che vedono ridursi la clientela già scarsa, si rassegnano a chiudere. Il servizio sanitario, la posta, i trasporti si rarefanno per la contrazione dell’utenza. Per quelli che restano la vita si fa più dura, l’età media si alza, la capacità di manutenzione si abbassa. La montagna entra in una lenta agonia. Naturalmente non dappertutto è così, in qualche Comune la popolazione è addirittura in aumento: ma Cortina o Bardonecchia sono eccezioni. Su 3.545 Comuni montani solo il 20,5% è “turistico”, secondo il Censis, e appena il 7,6% è considerato “ad alto sviluppo turistico”. Gli altri non se la passano bene, e un buon numero è a rischio di spopolamento. Il fenomeno è noto e non può lasciare indifferente Pinerolo e il Pinerolese. Perché se la montagna vive ed attrae, anche il capoluogo ne ricava beneficio; ma se gli abitanti della montagna scivolano a valle, sono altri nuclei familiari che vengono ad aumentare la domanda di lavoro in un contesto che ne offre poco, e accrescono il fabbisogno di servizi in una realtà che non produce abbastanza ricchezza per sostenerli. Che si può fare? I convegni si sprecano, ma raramente si va al di là dell’invocazione di “una seria politica per la montagna”. Le proposte sono polarizzate sul come attrarre ulteriori turisti, dimenticando che la montagna non vive solamente nei week end, e che il principale impegno deve essere quello di trattenere e di far vivere dignitosamente coloro che ci campano e sono lì anche quando degli altri non c’è più nessuno. Ora, proprio in queste settimane accade di leggere che la Commissione europea ha dato il via libera al Fondo europeo di sviluppo regionale per il periodo 2014 - 2020. Può essere ossigeno per le nostre valli in asfissia: a patto di non infilarsi nel solito tunnel della “mappatura delle risorse” o della “valorizzazione dei sentieri” o simili ghirigori. A costo di commettere l’intollerabile (per i burocrati)

peccato della concretezza, si può allora affacciare un’idea già prospettata con scarso successo, cioè quella di una “Scuola dei mestieri della montagna”, erede più modesta ma pur sempre preziosa di quella “Università di scienza delle Alpi” che qui fu progettata pochi anni or sono, con analogo destino. Questa scuola potrebbe costituire non uno svolazzo decorativo, buono per la stagione dei turisti, ma una solida occasione di lavoro per i montanari docenti e per i produttori, nonché una forte attrazione, in quanto espressione di un’autentica cultura complessiva della montagna. Una Scuola del genere aiuterebbe a recuperare molte sapienze che rischiano di disperdersi a breve: ad esempio, come si gestiscono gli alpeggi, come si lavora e si utilizza il legno, come si potenziano le coltivazioni ed i prodotti di quelle terre, come si propone la relativa cucina nelle forme di accoglienza; e ancora come si

difende la scienza architettonica delle altitudini, come si fa il miele, come si allevano gli armenti, si disciplinano le acque, si proteggono le specie animali, si preservano i boschi. L’idea aveva avuto un principio di consenso presso gli Assessorati competenti della scomparsa Provincia. Ora che si profila l’opportunità europea, e che la nuova Città metropolitana si affaccia a subentrare alla Provincia, è tempo di ricordare che l’Italia ha ratificato, tra l’altro, la Convenzione per la protezione delle Alpi (legge 14 ottobre 1999, n. 403), e che alla CM compete la cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano: di tutto e non solo di quello del capoluogo o della pianura.

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o

territori

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Giovani & Lavoro

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di Aurora Fusillo

l’innovazione nel pinerolese/ 1

Provel - 3D System, leader mondiale Pinerolo non è solo un territorio in crisi economico-occupazionale, ma vi sono anche aziende di pregio che fanno innovazione. Una di queste è l’azienda Provel, che ha il suo stabilimento alla Porporata. Abbiamo incontrato Alessandro Buson, giovane ingegnere figlio di Giorgio Buson, presidente e fondatore dell’azienda italiana leader nella costruzione di prototipi e stampi rapidi. Ci racconta com’è nata la Provel? Partecipando ad una fiera, mio padre ha visto in azione una stampante 3D ed ha capito subito la potenzialità della tecnologia 3D. Così ha acquistato la prima stampante ed ha iniziato a fornire il servizio di prototipazione alle piccole e grandi aziende, soprattutto a quelle del settore automotive, che hanno la necessità di sviluppare prototipi in maniera rapida. Provel opera in questo settore dal 1994. Chi sono i clienti della Vostra azienda? Noi lavoriamo con tutte le più grosse e piccole realtà del mondo industriale; ovviamente, vista la vicinanza con Torino, il mercato di riferimento è l’automotive, ma lavoriamo anche nel settore dell’elettrodomestico, dell’elettronica, del design. Si lavora anche nell’aerospace e nel medicale. Ci spiega brevemente come avviene questo processo delle stampanti 3D? Si tratta di una fabbricazione additiva; si aggiunge del materiale per strati, quindi solo dove serve. Il vantaggio della stampa 3D, oltre a permettere di ottenere parti

e prototipi in tempi brevi, senza dover ricorrere ad attrezzature costose con tempi lunghissimi, è dato dal fatto che si possono anche ottenere geometrie che altrimenti non sarebbero realizzabili, ad esempio una sfera all’interno di un’altra sfera. Questa tecnologia cambierà il modo di produrre, ma non sostituirà la produzione di massa. L’azienda americana 3D System vi ha acquisito. Come è successo? Ci hanno cercato loro. Dopo aver acquisito alcune aziende negli Usa, la 3D System (che ha inventato la stampa 3D depositandone il brevetto a metà degli anni ‘80, oggi leader mondiale) si è rivolta al mercato industriale europeo e indagando su quali erano i migliori service a livello europeo, ci ha “beccato”. Nel modo di lavorare siamo autonomi e da quando ci hanno acquisito, come organico siamo quasi raddoppiati. Un consiglio per un giovane laureato del pinerolese. Ci può essere posto nel territorio? L’Università è una grandissima risorsa e deve insegnare ad analizzare i problemi e ad individuare le soluzioni. Deve aprire la mente insegnando a pensare; bisogna poi fare tesoro di quello che l’Università insegna e continuare il processo di apprendimento in maniera autonoma. Oggi la laurea non è più fondamentale e bisogna ragionare in termini globali, perché lo spunto per una buona idea difficilmente arriva stando sempre tra le quattro mura di Pinerolo. Bisogna attingere a livello globale e poi applicare anche a livello locale. In Italia si parla tanto di innovazione, bisogna iniziare a farla, partendo anche dalla scuola. Nel territorio ci può essere posto, ma bisogna avere le idee giuste e uscire dagli schemi.


Serate di Laurea

società

a cura di Gabriella Bruzzone

Serate di Laurea con Annalisa Listino ed Ambra Dalmasso

“Così sale Dante i cieli...” e “Prevenzioni cardiovascoli attraverso l’alimentazione” Venerdì 6 marzo 2015 presso la sede dell’Associazione Culturale Onda d’Urto Annalisa Listino ed Ambra Dalmasso hanno esposto la propria tesi di laurea Annalisa, laureata in Letteratura, filologia e linguistica italiana con una tesi dal titolo “Così sale Dante i cieli rapito da Beatrice”. Fogazzaro lettore

Annalisa Listino

di Dante” ha esposto la sua ricerca sul Sommo poeta. Ambra Dalmasso, laureata in Scienze Infermieristiche con la tesi “Prevenzione cardiovascolare attraverso l’alimentazione. Produzione di un video didattico” ha parlato invece del fattore alimentare nella prevenzione dei disturbi vascolari.

Ambra Dalmasso

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arte& olo spettac

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Teatro di Sara Nosenzo

Drammaturgia di Pirandello al Sociale

Lombardi-Tiezzi in Non si sa come Non si sa come è un ottimo esempio di dramma pirandelliano. Non si sa come le cose accadono, senza che qualcuno le premediti o vi si opponga. Ci sono colpe nella vita che non si possono evitare di commettere, e come viene detto per tutta la durata dello spettacolo, esse non devono essere espiate. Delitti innocenti, innocenti sì, perché è il corpo a muoversi, il corpo a decidere, il corpo a commettere. Quali sono le colpe della mente in una situazione del genere? Quanto tu rimani tu in queste “non scelte”? Vi è una colpa? Una trama con un’articolazione complicata e un effetto di straniamento dato dalla prima scena: il sipario si apre rivelando sulla scena quattro figure umane che suonano violini e violoncello, ma con le teste, invece che umane, di lucertola. Fine della canzone, si chiude il sipario. In quel momento lo spettatore non può che essere incuriosito ed essendo un’opera del grande Luigi Pirandello, si inizia a pensare involontariamente al fatto che poco probabilmente ogni dubbio verrà tolto. Seconda scena, gli attori sono tornati “umani” e viene presentato il fulcro del problema: il signor Romeo è diventato pazzo. Gli amici cercheranno quindi di scoprire il motivo di questo smarrimento di sé ripercorrendo le vicende e le parole del “pazzo - non pazzo”. Ogni persona tende a razionalizzare ogni avvenimento, perché così facendo vi è una causa e un effetto previsti, ma non si sa come alcuni episodi non seguono questo procedimento. O meglio, questo è ciò che

dice il signor Romeo. Perché le colpe non si possono chiamare colpe se non vi è stato l’intento di commetterle. Perché l’animo, di per sé, è innocente. La maestria dei cinque interpreti è davvero degna di nota. Nemmeno un errore che si sia fatto notare e un tono di voce così chiaro e alto da sentirsi in tutto il teatro anche quando gli attori davano le spalle al pubblico. Le scenografie, molto curate per rappresentare gli interni della villa, erano accompagnate da intense luci al neon che scandivano il tempo del racconto con il nascere e il calar del sole. Inoltre venivano usati tempi standardizzati per sottolineare i momenti di tensione, suspense e rivelazione, come avveniva nei film del cinema classico (ognuno di noi ricorderà il “da da dan” del pianoforte). L’uso del passato remoto nella narrazione, come fedelmente vuole l’opera prima di Pirandello, dona atmosfera e un sapore nostrano all’intera messa in scena e permette allo spettatore di immergersi nel dramma. Impossibile non pensare a una propria visione di insieme, magari diversa da quella esposta in scena. La spiegazione di Romeo e Ginevra non potrà essere accettata da tutti, ma la bravura della Compagnia Lombardi Tiezzi è indiscutibile. Le ambientazioni sono curate, come la dizione e le emozioni estreme, spesso accentuate da risate incontrollabili e sonore. Uno spettacolo particolare, ma di ottima fattura che segue bene l’eredità di Pirandello.

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Il Passalibro

Società

di Valentina Scaringella

Umberto Eco, Numero Zero

La cattiva informazione Non è sempre facile distinguere tra causa ed effetto. Soprattutto nel mondo dell’informazione, dove, a voler ben vedere, sovente non sono le notizie a fare i media, ma i media a fare le notizie. Come? Ce lo mostra Umberto Eco in Numero zero. Numero zero che in ambito editoriale designa il numero di prova di un nuovo quotidiano o periodico: quello che non uscirà mai. Commissionato nel romanzo da un potente editore a capo di alberghi, case di riposo, televisioni e riviste allo scopo di ricattare gli ambienti che contano, per essere chiamato a farne parte, nonché al fine di zittire gli avversari. Non è infatti necessario che il numero esca: basta far capire che cosa sarebbe in grado di scrivere una redazione disposta a tutto. A mettere cioè in moto la macchina del fango: rendendo strani comportamenti di per sé normali, gettando ombre di sospetto, facendo insinuazioni, ridicolizzando, delegittimando. E a dare al lettore ciò che vuole o, meglio, ciò che a forza di ricevere egli crede di aver sempre desiderato: pettegolezzi, oroscopi, annunci funebri, godimento da sfortuna altrui, frasi inesatte ma fatte, parvenza di cultura. Gustosissime le riunioni di redazione e le uscite di alcuni redattori. Uno dei quali, Braggadocio, si mette in testa di fare una grande inchiesta: a morire non sarebbe stato Mussolini, ma un suo sosia. E Gladio e la P2 ed eventi quali l’attentato di piazza Fontana e la strage in piazza della Loggia, la bomba sul treno Italicus e

quella sul rapido Napoli-Milano, la bomba alla questura di Milano e l’esplosione di Peteano, l’assassinio di Moro e la morte di papa Luciani e l’attentato a Giovanni Paolo II sarebbero legati all’ombra del Duce. Inchiesta che finisce col farsi pericolosa. Anche per Maia e Colonna, due brillanti fallimenti che insieme fanno successo. Sino a quando un programma televisivo svela, pur con qualche debita (o indebita?) sottrazione, ben più di quanto scoperto dal loro collega, liberandoli. Del resto, gli eventi sono noti, ma si perdono nel fumo delle altre notizie e nella nebbia d’un’indifferente memoria. Al punto da far desiderare d’andar lontano. Là dove, per lo meno, non si cela lo sporco sotto un bel tappeto, ma lo si lascia allo scoperto come se niente fosse. Là che però sarà presto qua, dove conviene pertanto restare: perché di questo passo – e lo si dice nel 1992, anno di nascita di Tangentopoli – anche nel nostro Paese si perderà del tutto il senso della vergogna. E a chi pensa a un’esagerazione risponde l’arguta Maia: è la realtà a superare la finzione. Dov’è infatti che esistono memorie colpevolmente distorte? Evasione, corruzione, mafia? Espedienti pari a quelli qui concentrati nel modus operandi di una sola redazione? Soprattutto in quel mondo così troppo spesso asocialmente social? Già. E allora? Non si aspetti che il là diventi per intero qua. E che non si riesca nemmeno più a trovare una Storia vera di un Luciano veritiero soltanto nel suo professarsi menzognero.

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dal tempo

Lettera a... di Cristiano Roasio

Lettera a... chi non dubita

Cinquanta sfumature di ovvio “Nelle società tecnologiche avanzate dell’Occidente c’è invero un’effettiva e ampia desublimazione, che ha luogo nei costumi e nel comportamento sessuali, nelle relazioni sociali, nella cultura resa ormai accessibile. [...] La morale sessuale è stata liberalizzata in alta misura; inoltre la sessualità viene propagandata come stimolo commerciale, voce attiva negli affari e simbolo di status.”

Nel 1955 Herbert Marcuse nel suo rappresentativo Eros e Civiltà individuava il carattere repressivo della società industriale, in particolare nel “surplus di repressione” della vita erotica e sessuale; da questo assunto di base derivano le parole della citazione e la liberalizzazione dei costumi negli anni ‘60, le minigonne, il rock e tante altre belle cose che fanno parte anche del nostro tempo. E’ interessante notare che esattamente sessantanni fa “la desublimazione dei comportamenti sessuali” aveva, proprio come oggi, un preciso scopo commerciale ed economico. Ora, non immaginatemi come un santone del libero amore, con l’eskimo, la barba che non cresce e i capelli lunghi, circondato da bellezze uscite dalla candeggina... però guardatevi attorno: in questi giorni, perchè è uscita una versione cinematografica altrimenti il virus serpeggiava già da qualche anno, il softcore a tinte sadomasochiste spopola nelle librerie, alla tv e un po’ dovunque. Questa lettera, che riguarda il pinerolese più di quanto si possa pensare, sarà una triste e semplice constatazione: perchè si è arrivati dal considerare gli harmony per zitelle sfigate e antisesso a fenomeno pop, che vende, e accidenti se vende? Io credo che le motivazioni siano varie, grossomodo due, la prima riassumibile con una parola, il male del XX e XXI secolo: il marketing. Non voglio soffermarmi più di

tanto, sappiamo tutti come funziona questo ouroboro a forma di euro che spende per pubblicizzare e pubblicizza per far spendere e tutto il resto rimane nell’anonimato del rumore, nel quale peraltro si acclimata e si sente a proprio agio, lontano dal clamore mediatico; più inquietante è la seconda motivazione: la repressione, la lettera rubata che è nascosta in bella vista; più si parla di temi pruriginosi, più si vende, meno si conosce. Inutile che “leggiate” della cenerentola in latex e manette se poi vi tocca sposarvi per avere (forse) uguali diritti all’interno della coppia. Inutile far battutine e provare empatia per personaggi bidimensionali studiati ad arte per spillarvi i soldi (soldi per altro guadagnati sottraendo tempo prezioso alle vostre eventuali crescite amorose, sessuali ed esistenziali) se poi non potete neanche decidere, e lo deve fare una legislatura antiquata, di cosa fare del vostro corpo. Inutile atteggiarsi a stalloni miliardari se poi vi imbarazzate di fronte alla diversità e al dubbio e vi tocca buttarvi a capofitto su salaci commenti per non dubitare, mai. Inutile parlare di corpi, di intrecci di corpi, quando avete bisogno di un prodotto commerciale condiviso per sentirvi parte della comunità e non esclusi; l’inclusione commerciale è subdola, perchè ammanta il profitto con l’empatia (finta). Inutile, infine, atteggiarsi a paladini della riscoperta dell’eros, quando l’eros non è da riscoprire, ma soltanto da vivere, perchè è in noi come i polmoni, la morte, le unghie e le budella. Fatevi un favore: i libri, i film, ma non solo, anche le idee e i valori, sono sempre più interessanti se non sono troppo schiamazzati e condivisi: la condivisione presuppone una semplificazione che il più delle volte è un modo diverso di dire “banale” e “ovvio”.

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Società

Uomini del Pinerolese

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di Sara Nosenzo

Rinaldo Canalis, una vita con il Sermig

In Re.Te. a servizio dei poveri

Rinaldo Canalis, di Cumiana, in pensione, è stato fin dagli inizi uno dei collaboratori del fondatore del Sermig Ernesto Olivero. Da sempre si interessa del settore dell’assistenza e del volontariato del Sermig. Ci dice qualcosa del Sermig? Il Sermig è il Servizio Missionario Giovani, un’associazione nata 50 anni fa per permettere a dei laici di aiutare inizialmente popolazioni povere del Terzo Mondo. È una Casa della Pace che costruisce pace in luoghi in cui vi è stata la guerra. Da lì si è poi decisi ad aiutare anche i poveri più vicini a noi, nello specifico le persone senza fissa dimora, lavoro e viveri. Ora il gruppo è cambiato, da esperienza giovanile è diventata una comunità vera e propria. Un grande riconoscimento ottenuto qualche settimana fa è stata l’ordinazione diaconale, riconosciuta dalla diocesi di Torino, di tre membri del Sermig. È importante sapere che nel Sermig ogni persona è a pari titolo, con le proprie capacità e ruoli. Lei è il coordinatore della Re.Te. Che cos’è? La Re.Te. è un ambito nato nel 1980, dopo un discorso sulla tecnologia, che significa Restituzione Tecnologica, per permettere a delle idee di essere usate per i poveri. L’obiettivo primo del gruppo è di suscitare la voglia di spendersi per gli altri, insegnare o costruire qualcosa per gli altri. Fare bene il bene. Anche gli orti urbani, pure presenti anche a Pinerolo, sono un’iniziativa della Re.Te., ce ne parli… È un discorso anche questo di restituzione, una forma di nuova economia

necessaria. Tali orti permettono alle persone di prodursi da sé il cibo. È inoltre una forma di re-equilibrio della persona, un modo per rialzarsi. La funzione vuole essere pedagogica, un confronto e un dialogo l’uno con l’altro. Lei vive a metà strada tra Pinerolo e Torino, con una presenza molto attiva nel capoluogo. Come vede la città metropolitana? Il nostro territorio è profondamente vittima di questa crisi spirituale. A Torino c’è sicuramente più movimento. Noi diciamo “Il mondo si può cambiare”, e questa deve essere la frase di slancio. Invece vedo persone profondamente chiuse e non disponibili ad aiutare le persone e il territorio. Ha un’idea da proporre per il rilancio del territorio? Bisognerebbe avere una vera e propria curiosità. Incuriosirsi delle cose. La prima cosa un certo narcisismo intellettuale, un movimento verso l’altro. Abbiamo una cultura completamente narcotizzata che dev’essere cambiata. Ci sono molte opere belle in giro, ma a sé. L’innovazione pare sia la chiave di svolta del futuro. Lei ha parlato di un’innovazione spirituale, è l’unica possibile? L’innovazione è molto importante. La crisi fa soffrire tantissime persone, ma questo deve essere un motivo di rilancio e riscatto per ogni persona. L’innovazione dev’essere anche ad altri livelli: attualmente stiamo pensando ad allevamenti in vasca in modo da poter avere il pesce ad un prezzo più basso. Attenzione, di cibo ce n’è in abbondanza, ma esso viene distribuito con una rete insoddisfacente.


società

Per Mostre e Musei di Chiara Gallo

Luca Arancio, disegnatore

“I miei soggetti preferiti sono i ritratti” Luca Arancio è giovane, molto giovane, a soli 19 anni è riuscito a farsi notare per il suo stile davvero notevole. Fin da piccolo allena la sua mano al disegno, tanto da iscriversi al Liceo Artistico di Pinerolo. Carta e grafite sono diventate la sua passione e non si pente assolutamente delle scelte fatte. Finito il Liceo si iscrive alla Scuola Internazionale di Comics a Torino. La sua carriera è appena cominciata eppure il suo talento dimostra che andrà lontano. Quali sono i soggetti che preferisci? Negli anni ho imparato ad usare diverse tecniche, alcune meglio, altre peggio, ma la matita grafite è sempre stata la mia preferita. Piano piano ho aggiunto altri strumenti e altri materiali, ho cominciato a sperimentare il carboncino per i neri più intensi, trovando una buona via di mezzo con la grafite e, al momento, questa è la mia tecnica preferita. Per quanto riguarda i soggetti diciamo che variano, ma il ritratto è sicuramente il mio preferito: l’espressione del volto mi interessa in modo particolare, le emozioni che, anche solo due occhi possono dare, sono incredibili, quasi basterebbero loro per riempire un foglio. Finalmente sono riuscito a fare degli scatti fotografici dai quali partirò per alcuni nuovi disegni, riuscendo così a realizzare dei lavori che per me sono emotivamente significativi. Sarà una bella sfida, ma occorrerà mettersi in gioco. È difficile riuscire a farsi strada come artista a Pinerolo? Io non mi reputo un artista, sarebbe un insulto a chi realmente lo è o lo è stato. Sono un ragazzo con la passione per il disegno e tenendo conto di questo non ci sono poi grossi ostacoli perché qualunque cosa tu faccia, l’avrai sempre fatta con piacere, non sarà mai stato tempo perso. Oggi grazie ai Social Network tutto è più

semplice, per fortuna per far arrivare i tuoi lavori lontano basta pubblicarli in rete ed essere un po’ abili nella comunicazione, quindi no, non credo che abitare in una piccola città sia un male, anzi. Hai già realizzato collaborazioni con altri artisti? Per ora no. Ho diversi contatti con altri ragazzi della mia età o con qualche anno di differenza con i quali si stanno progettando alcune cose, ma nulla ancora di concreto. Il fatto che comunque ci siano molte persone con la mia stessa passione mi rassicura, perché ciò vuol dire che prima o poi le collaborazioni ci saranno. Qual è il progetto o l’opera che ti ha dato più soddisfazione finora? Dipende se si parla della riuscita del disegno o dell’impatto che questo ha suscitato nei confronti del pubblico. Per il primo caso credo che il ritratto di Leiner, un concorrente di X-Factor, sia quello che è venuto meglio, tecnicamente parlando. Sono riuscito ad avvicinarmi a quelli che sono i miei disegnatori preferiti e, inoltre, mi è stato richiesto dal diretto interessato; questo vuol dire che per la prima volta un volto noto ha deciso di commissionarmi un ritratto, è una bella soddisfazione. Per il secondo caso sicuramente il disegno di Morandi è quello che ha fatto scattare più meccanismi, è quello che mi ha permesso di diffondere il mio nome, non solo a Pinerolo, ma soprattutto fuori, dove non sapevano chi fosse Luca Arancio. Nonostante ciò, sono consapevole degli errori che contiene e il risultato non mi soddisfa pienamente. Progetti per il prossimo futuro? Ho in testa alcuni disegni di grandi dimensioni che già ho iniziato e mi piacerebbe pensare a organizzare qualche esposizione. Infine forse riuscirò a realizzare una collaborazione con una casa di produzione digitale di Torino che spero vada a buon fine!

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ondo così per il m

Vita internazionale di Alessia Moroni

Intervista a Laura Serassio

“In diretta da Bruxelles” Forse, specialmente in questi giorni, sintonizzati sul canale TGCOM 24, avrete sentito: «Ce ne parla Laura Serassio da Bruxelles». Proprio lei, giornalista free lance, via Skype ci racconta la sua esperienza lavorativa e la sua vita, ormai da anni in Belgio. Ha studiato Scienze Internazionali Diplomatiche a Torino ed oggi lavora nel giornalismo televisivo per diverse testate, tra cui appunto Mediaset ed Euronews, occupandosi di affari europei a 360°.

Hai sempre voluto vivere in una città estera o è capitato per caso? Nel profondo era un desiderio che avevo già da bambina, mi è sempre piaciuto studiare le lingue e mi sono sempre immaginata all’estero. Lo studio di Scienze Internazionali è andato in quel senso perché è un tipo di facoltà al termine della quale partire è un po’ un “must”. Poi le scelte private e personali si sono affiancate a quelle professionali: ho conosciuto mio marito qui a Bruxelles ed ovviamente è stata una ragione in più per rimanere. Ami il tuo lavoro? Quale consiglio daresti ad un giovane che vuole intraprendere una carriera

simile alla tua? Sì, mi piace. Mi è capitato quasi per caso, cominciando con una piccola agenzia di comunicazione ho trovato tanti lavori come free lance. Sicuramente un grosso pregio del lavoro da giornalista, come free lance, è la grande libertà di fare tante cose diverse, ogni giornata non è come quella precedente ed è molto difficile annoiarsi. È un lavoro di molta creatività: bisogna tirar fuori delle idee e tutto questo è molto bello. Sicuramente ad un giovane direi di mantenersi comunque delle strade aperte: non è un ambito facile. Quanto è importante sapere più lingue per un giovane? Per il mio tipo di formazione e per come la penso, è indispensabile: se non le si impara ci si preclude delle possibilità. Almeno l’Inglese, come minimo. Credo che al giorno d’oggi non sia nemmeno più plausibile che una persona che abbia studiato non sappia in maniera fluente l’Inglese e, subito dopo, direi il Francese. Se potessi scegliere un posto, a livello ideale, per cui ti sarebbe piaciuto o ti piacerebbe fare la corrispondente, quale sceglieresti? A livello di interesse penso che essere corrispondente a Gerusalemme sia molto interessante,per seguire il conflitto medioorientale e per la geopolitica di quell’area. Non dico tanto mi piacerebbe quanto mi sarebbe piaciuto, perché in questo momento della mia vita non sarebbe proprio possibile, ma se parliamo a livello ideale sarebbe stata un’esperienza molto istruttiva. Un pregio e un difetto di vivere in una città fuori dall’Italia. Il pregio è sicuramente che essendo da solo devi costruire tutto: è difficile, ma ciò ti mette di fronte ad esprimere al meglio tutte le tue potenzialità ed energie. Il difetto è ovviamente stare lontani dalla famiglia, nonostante i mezzi di comunicazione siano tanti, non è la stessa cosa.

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musica

Officine del suono

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di Isidoro Concas

storia della musica pinerolese

Vostok 9 – la musica di Andrea Allione Il 1° marzo, al Teatro Sociale di Pinerolo, si è tenuta “Vostok 9 – la musica di Andrea Allione”, una serata musicale dedicata alla memoria del chitarrista jazz di Pinerolo morto nell’ottobre del 2013. Per l’occasione, ventisei jazzisti che hanno avuto l’occasione di lavorare con Andrea nel corso della sua lunga carriera hanno riproposto, reinterpretandoli, diversi brani di sua composizione, con l’intento di ricordarlo per ciò che più lo caratterizzava, ovvero la sua musica. Il nome dell’evento è infatti il titolo della title-track di un suo album solista che ha in copertina un quadro di Lorenzo Pavesi esposto nel corso della stessa serata. Il titolo è un chiaro riferimento al programma Vostok dell’aeronautica sovietica di esplorazione dello spazio: questo nome è stato scelto per suggerire l’idea del concerto come una navicella musicale in esplorazione dell’universo musicale di Allione. L’idea è di Cristina Allione, sorella del chitarrista ed organizzatrice principale dell’evento in collaborazione con l’Assessorato alla Cultura del Comune di Pinerolo e con l’ARCI pinerolese. L’intenzione, spiega Cristina, è

di far partire con il ricavato della serata un Progetto Andrea Allione volto a mantenere viva la memoria del musicista e di contribuire alla crescita della scena musicale del Pinerolese, terra in cui Andrea è nato ed ha vissuto per molti anni. Tra i primi progetti dichiarati c’è l’intenzione di creare un archivio online nel quale permettere l’accesso degli interessati a tutto il materiale audio/video riguardante la musica di Andrea, registrazioni live, spartiti e foto, e l’organizzazione e promozione di concorsi e workshop per giovani musicisti della zona, in sinergia con le realtà locali. Come obiettivo a lungo termine, dichiara sempre Cristina, potrebbe esserci la fondazione, nel pinerolese, di un Festival della musica Jazz intitolato ad Andrea. Parallelamente si sta pensando di produrre altro materiale musicale basato sui lavori di Andrea, che potrebbe essere la produzione di un CD live tratto dallo stesso evento al Teatro Sociale o altri progetti simili, fino ad una riproposta a cadenza annuale di un concerto-evento strutturato come questo. L’ottica dell’intero progetto è dichiaratamente “in costante work-in-progress”, proprio per sottolineare l’apertura ad ogni genere di proposta pertinente con gli obiettivi dello stesso. Il Progetto Andrea Allione è nato per ricordare la figura di un musicista che ha provato a dare tutto il possibile per fare crescere musicalmente la città di Pinerolo, talvolta trovandosi ostacolato burocraticamente dalla stessa. L’obiettivo è di mantenere viva la sua musica, e di creare occasioni per farne nascere altra, e per mantenerla sempre più in vita. Questo concerto è da considerarsi, nell’ottica del progetto, solo come l’inizio.


Cosedell’altromondo di Massimiliano Malvicini

Riconoscimento dello Stato palestinese: un colpo al cerchio ed uno alla botte Il processo di riconoscimento dello Stato Palestinese, che aveva subito un’improvvisa accelerazione lo scorso 17 dicembre con l’approvazione da parte del Parlamento Europeo di una mozione in tal senso, ha coinvolto negli scorsi giorni anche i lavori del Parlamento italiano. Nello specifico, le Camere hanno approvato due mozioni che, rispettivamente, impegnano il governo a sostenere la costituzione dello Stato palestinese e la ripresa del dialogo tra israeliani e palestinesi in funzione del futuro riconoscimento

dell’ente nazionale. In realtà le mozioni, a ben osservare i lavori d’aula, fanno un passo a sinistra ed uno a destra nella misura in cui una è un sostanzioso passo verso il riconoscimento all’ANP di status giuridico internazionale compiutamente parificato a quello di Israele, mentre l’altra mozione si muove verso un rafforzarsi del dialogo internazionale per giungere ad una pace propedeutica per sviluppare ulteriori riflessioni sulle potestà sovrane in Medio Oriente. Insomma un valzer diplomatico.

Torino capitale europea dello sport! A nove anni dalle memorabili XX Olimpiadi invernali, Torino vedrà riaccendersi nel 2015 la passione olimpica dello sport. La città sabauda è stata infatti selezionata per essere durante il corso di tutto l’anno la capitale europea dello sport e questo vuol dire che durante tutto l’anno il capoluogo avrà la possibilità di essere il fulcro di molti dei maggiori eventi sportivi italiani ed internazionali. A titolo d’esempio la città vedrà l’inizio della tappa finale del Giro d’Italia che quest’anno terminerà a Sestriere, ad agosto l’amichevole di Rugby Italia vs. Scozia, a marzo l’amichevole calcistica tra

la Nazionale e l’Inghilterra. Le grandi kermesse di questi incontri in realtà sono le ciliegine sulla torta rispetto alle attività che terranno costantemente impegnate la città durante l’anno e sviluppate in modo tale da poter coinvolgere in tutta la provincia giovani, adulti ed appassionati in una serie di opportunità sportive alle quali sarà difficile potersi sottrarre. Anima delle attività ovviamente l’alto numero di giovani universitari della città, pronti a dimostrare all’Europa (ed anche agli stessi residenti) che la passione vive ancora a Torino. Passionlives Here!

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diritti umani

Visibili & Invisibili

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gruppo giovani amnesty international

Prima le persone, poi le frontiere E’ la sera del 7 febbraio, e circa quattrocento persone lasciano le coste libiche a bordo di quattro gommoni. Vengono da vari stati africani, molti dalla Costa d’Avorio, hanno pagato 650 euro a testa per arrivare in Europa. Tuttavia meno di un centinaio raggiungerà la terra italiana, e certamente non a bordo di quei gommoni. I sopravvissuti descrivono due giorni da incubo, in cui le condizioni metereologiche avverse mettevano a dura prova le imbarcazioni e i loro passeggeri, mentre ad ogni onda molti venivano sbalzati in mare. Quando è stato lanciato l’SOS, la nave più importante di Triton, l’operazione incaricata di controllare le frontiere europee, era ormeggiata a Malta per manutenzione. Mare Nostrum, le cui imbarcazioni hanno salvato migliaia di vite nel 2014, è stata fermata a novembre. La Guardia

Costiera Italiana ha dovuto quindi affrontare l’emergenza da sola e con pochi mezzi, e di conseguenza circa trecento migranti hanno perso la vita tra i flutti. Questa è l’ennesima tragedia che si consuma in quella che è diventata la tratta marittima più mortale del mondo. L’opinione pubblica si sta abituando, le stragi al largo di Lampe�dusa non indignano quasi più. Non sono più un evento eccezionale, ormai sono la regola. Siamo abituati all’orrore. Amnesty International chiede un intervento maggiore dell’Unione Europea, con un’operazione che preveda il salvataggio di vite piuttosto che il controllo delle frontiere. Finché questo non accadrà, si chiede al governo italiano di riattivare Mare Nostrum, al fine di scongiurare ulteriori ecatombi.

In cammino verso il 21 marzo “La verità illumina la giustizia”, questo lo slogan scelto per la XX Giornata delle memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime innocenti delle mafie. Libera per la XX edizione ha scelto l’Emilia Romagna, ha scelto Bologna. La Giornata della Memoria e dell’Impegno ricorda tutte le vittime innocenti delle mafie. Circa 900 nomi di vittime innocenti delle mafie, semplici cittadini, magistrati, giornalisti, appartenenti alle forze dell’ ordine, sacerdoti, imprenditori, sindacalisti, esponenti politici e amministratori locali morti per mano delle mafie solo perchè, con rigore e coerenza, hanno compiuto il loro dovere. Oltre che le vittime innocenti delle mafie, quest’anno verranno ricordate, in accordo con le associazioni dei famigliari , le vittime della strage del 2 agosto della Stazione di Bologna e le vittime della strage di Ustica, per le quali ricorre il 35esimo anniversario. Ma nei giorni che precederanno la manifestazione del 21 marzo sempre a Bologna si ricorderanno le vittime del genocidio di Sebrenica, delle quali

si celebrerà il 20 anniversario. Vittime innocenti delle mafie e vittime delle stragi, oltre che dal ricordo e dall’impegno di tutti, sono legate dalla domanda di verità e giustizia che si alza forte ogni anno da parte dei loro famigliari. Ancora oggi, infatti, per il 70% delle vittime innocenti di mafie non è stata fatta verità e, quindi, giustizia. E lo stesso diritto alla verità è ancora oggi negato ai familiari di chi ha perso la vita nelle stragi. In preparazione della Giornata saranno promosse in tutta Italia iniziative che rientreranno in un cartellone comune denominato “100 passi verso il 21 marzo”. Anche a Pinerolo verrà fatta, come ogni anno, la lettura dei nomi delle vittime di mafia. Chiunque fosse interessato a partecipare alla giornata a Bologna mi può contattare per ulteriori

informazioni al numero: 3664053445. Chiara Perrone


Giovani,Tecnologia@Innovazioni società

a cura di Greta Gontero

L’ombrello high tech Quante volte in una vita si perde l’ombrello? Innumerevoli. Possiamo averlo dimenticato, possono avercelo rubato ma, in ogni caso, l’ombrello non c’è più ed è praticamente impossibile ritrovarlo. Da oggi non più, grazie al team di Blunt che ha creato il primo ombrellointelligente della storia, infatti è impossibile perderlo. Il perché sta nel fatto che all’interno dell’oggetto stesso è inserito un piccolo dispositivo (o tracker) chiamato Tile che si connette allo smartphone e indica, grazie al rilevatore GPS, dove si trova l’oggetto. Vi sono due tipologie di ombrelli Blunt con questo dispositivo: BluntXS_Metro (modello compatto) e Blunt Classic (modello classico).

In pratica il funzionamento è molto semplice: bisogna scaricare l’app di Tile e registrare il proprio ombrello. Ci possono poi essere due differenti modi per rintracciare l’ombrello: se, nel primo caso, l’ombrello si trova entro 30 metri dall’utente, si deve aprire l’app e selezionare l’opzione “Find”, grazie alla quale si attiverà un segnale audio che permetterà il ritrovamento. Se, invece, l’ombrello è molto distante dal proprietario, quest’ultimo deve aprire l’app e questa gli mostrerà una mappa multimediale con la posizione dell’ombrello. Il costo di questi ombrelli può oscillare dai 69 ai 99 dollari e, per ora, è disponibile solamente per dispositivi quali iPhone e iPad.

Onda d’Urto / Appuntamenti Via Vigone 22 - Pinerolo

• Prosegue fino al 15 marzo la mostra collettiva di Serena Bianciotto, Eleonora Rinaldi, Stefania Canavosio, Valentina Serra - Aperta il lunedì-mercoledì-venerdì, ore 15-18. • Giovedì 12 marzo alle 18,30, Apericena delle idee • Mercoledì 25 marzo, ore 20,45, Corso di Fitoterapia con la dott. Valeria Armand, Ansia, stress e insonnia • Giovedì 30 aprile, ore 18, Serate di Laurea • Ogni mercoledì, dalle 15 alle 18, informazione sui bandi

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società

Andare al cinema di Andrea Obiso

Birdman (o l’imprevedibile virtù dell’ignoranza)

Regia di Alejandro Ganzàlez Iñarritu. Attori principali: Michael Keaton, Zach Galifianakis, Edward Norton, Naomi Watts, Emma Stone Riggan Thompson, celebrità hollywoodiana decaduta, sta affrontando i giorni immediatamente precedenti al debutto del suo primo spettacolo teatrale a Broadway, la trasposizione teatrale di What We Talk About When We Talk About Love di Raymond Carter. A complicare i suoi piani ci sono nell’ordine: una figlia ex-tossicodipendente (che lo accusa di essere stato un padre assente), la sua nuova compagna (che da lui pretende più attenzioni), un nuovo attore (alla ricerca di un lancio per la propria carriera nonché alle prese con qualche problema psicologico), serie difficoltà economiche e, soprattutto, sé stesso. Riggan è infatti schiavo di una voce interiore, la quale continua ad ammonirlo riguardo alla pochezza del suo spettacolo, delle sue capacità recitative e ricordandogli quanto il contesto in cui pretende di inserirsi sia inadatto a lui. Lui dovrebbe tornare ad interpretare il supereroe che lo ha reso ricco, famoso e amato.

Lui, dovrebbe tornare ad essere Birdman. Birdman è uno dei rari casi durante l’anno in cui si va al cinema con grandi aspettative e si torna a casa molto più che soddisfatti. Iñarritu regala allo spettatore un film davvero notevole, nel quale la consueta qualità nel montaggio viene esaltata da interpretazioni al limite della perfezione (impressionante Michael Keaton, mai così incisivo) e da una capacità di far scorrere una vicenda costantemente al limite fra il sogno e la realtà. Al di là della possibile (probabile) consacrazione alla cerimonia degli Oscar 2015, il fenomeno più interessante è quello che vede Birdman come nuovo fenomeno di culto. Difficilmente collocabile sotto un unico genere e restìo alla categorizzazione in genere, ci sentiamo di consigliare il film di Iñarritu. In quanto, probabilmente, miglior pellicola uscita nel 2015.

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Appunti di viaggio A cura di Angelica Pons

in coda per salire in cima

Sul Kilimangiaro, la vetta dell’Africa Campo base del Kibu, Bara Fu Camp 4.600 m. Vi siamo giunti nella prima mattinata dopo 5 giorni di cammino, questa volta non in solitaria: non è permesso attraversare il Kilimangiaro Park da soli. Mi sono appoggiato ad un’agenzia locale, Africa Scenic. Con me, la giovane Kristina da Chicago e Venceslao nato a Praga ma da 20 in Italia per lavoro. Siamo accompagnati da sedici persone del posto, la guida Antipas, l’aiuto guida Paul, il cuoco, i portatori e tra essi anche una donna. Sono altissimi, presumo di etnia masai. Il Kilimangiaro è la loro montagna sacra. La più alta, con a fianco il Monte Meru. Svetta sulla pianura. Oltrepassiamo a piedi 6 diversi habitat e climi, dai banani, alla foresta pluviale, ai pini alpini, ai licheni, alle rocce ed al ghiaccio. Ultimo giorno, 21 febbraio 2015. Il tempo è bello, con un bel sole che riscalda le tende e le nostre ossa. Temevo di non vedere la vetta scoperta, ma le correnti ascensionali spostano il mare di nuvole durante la sera fino alla tarda mattinata. Ci sistemiamo e dopo pranzo, come sempre preparato con solerzia dai nostri accompagnatori tanzaniani, la nostra guida ci illustra il programma per l’indomani, o meglio per la notte. Stanotte partirà per primo Vence, che fa un po’ di fatica con il fiato. A mezzanotte anche

noi, ben bardati per difenderci dal freddo glaciale. Sveglia alle 23: in tenda ci sono -3°C. Un po’ di colazione e si parte. Nel buio si vedono le file di escursionisti con la luce frontale. Sembra una processione, che, passo dopo passo, si snoda sul fianco della montagna. Il primo pezzo è impegnativo, ci si deve arrampicare e si forma una lunga coda. In seguito ognuno con il proprio passo ci si disperde lungo il sentiero. Mi sento in forza, si raggiungono e superano agevolmente altri gruppi di viaggiatori. La temperatura sta scendendo. Dopo 5 ore di salita raggiungiamo Stella Point 5.576 m: il bordo del cratere. E’ ancora buio pesto. Solo più 140 m al punto più alto, ma qui il freddo è fortissimo, anche il vento aumenta il gelo. Teniamo duro e dopo un’ora arriviamo a Uhuru Point. Ci sono riuscito, 5.895 m, il tetto dell’Africa! Sono le 6 del mattino. L’orizzonte comincia a colorarsi di arancione. La neve che ci circonda da blu diventa celeste con sfumature rosate: che meraviglia, mai vista cosa più bella. Il freddo (-30°) è pazzesco, ma si sente di meno di fronte a tanta bellezza. Lentamente sorge il sole e con lui un po’ di tepore. Si riprende la via del ritorno. Un sogno ad occhi aperti che si è realizzato. Dal campo, inondato dal caldo africano, rivediamo la vetta bianca. Mauro Beccaria

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Sono amici di Pinerolo InDialogo e di Onda d’Urto 26


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