Pineroloindialogo giugno2013

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Anno 4, Giugno 2013

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INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Docenti universitari del Pinerolese/VI Intervista a Roberto Burlando

“Il pinerolese non deve subire le decisioni prese altrove�

Intervista ad Agnese Boni e Luca Barbero


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

con l’idea perfetta

Come essere giovani e milionari Sono giovani, brillanti e creativi, hanno portato miglioramenti e novità in vari campi - dall’informatica alla comunicazione, dal settore alimentare a quello musicale - ma soprattutto non sono laureati, alcuni non hanno neanche raggiunto la maggiore età. Mark Zuckerberg è sicuramente il più famoso al momento, ma di giovani miliardari, come si dice, è pieno il mondo. A guardare loro, creare un business non sembra poi così difficile: bastano l’idea giusta, una buona capacità comunicativa e una considerevole dose di fortuna. Ecco qualche esempio. Joshua Dziabiak a soli 18 anni ha venduto la sua prima società di domini internet (Mediatech) per un milione di dollari. Da buon imprenditore, ha investito parte del ricavato in altre società tra cui Showclix, sito che si occupa della vendita online di biglietti per concerti ed eventi di vario genere. In soli cinque anni la percentuale sui biglietti ha fruttato 9 milioni di dollari. Da un’idea ingegnosa ed ecosostenibile, nasce Solben, azienda che realizza uno strumento in grado di estrarre olio dalle piante per generare biodiesel. Il creatore? Daniel Gómez Iñiguez. Vendette il primo esemplare per 150 mila dollari quando

ancora era al liceo. Ora che ha terminato l’università dà lavoro a 15 persone. Poi c’è Ian Purkayastha della Tartufi Unlimited: a 15 anni iniziò a importare e vendere tartufi a ristoranti e negozi. Con i primi incassi costruì una serra per la crescita dei tartufi e ora, dopo cinque anni, gli introiti sfiorano il milione di dollari. Era il 2002 quando Fraser Doherty, un ragazzino scozzese di 14 anni, avviò il suo business di marmellate e confetture. In due anni lasciò la scuola e si impegnò a tempo pieno in quello che fino ad allora era stato un semplice hobby. Attualmente, la SuperJam, l’azienda da lui fondata, raggiunge guadagni annui superiori al milione di dollari. C’è ancora la storia, più recente, di David Karp, 26 anni, Silicon Valley. È il fondatore di Tumblr, la piattaforma per i microblog, venduta in questi giorni a Yahoo! per ben 1 miliardo di dollari. David ha iniziato la sua carriera da programmatore a 11 anni e così, forse un po’ per caso come capita per tutte le idee migliori, ha dato vita a una delle piattaforme social più amate dai giovani. Quindi, che siano marmellate o tartufi, che si tratti di blog o domini internet, rimbocchiamoci le maniche e cominciamo a cercare: l’idea perfetta potrebbe essere dietro l’angolo!

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolesi in giro per il mondo| Da sempre le migliori menti hanno migrato verso le grandi città. Oggi con la tecnologia informatica sembra sia possibile essere creativi anche in una piccola città di provincia. Nonostante ciò molti titoli universitari acquisiti non sono spendibili sul territorio, richiedono spazi operativi più ampi, regionali, europei e pure mondiali. Così molti giovani vanno all’estero. Nel nostro piccolo, per fare un esempio, su 20 redattori stabili od occasionali, 3 studiano o si stanno specializzando all’estero (Svezia, Inghilterra, Germania) e dopo l’estate altri due partiranno per la Francia e la Grecia. Per le giovani generazioni il territorio d’origine non è più l’unico riferimento per i propri progetti. Ragionano su spazi più grandi. Quella che una volta si chiamava migrazione oggi ha un altro significato: non è una fuga da una realtà che non offre possibilità, ma è un progettare la propria vita su dimensioni più vaste, andando a cogliere il meglio là dove ci sono maggiori possibilità. Fino a qualche decennio fa la vita era legata al territorio d’origine. Oggi la mobilità senza confini è nel desiderio e nella progettualità di molti giovani. Alla luce di questa realtà, parlare di territorio e di difesa del territorio assume un altro significato. Non è solo difesa degli insediamenti e dei servizi socio-assistenziali esistenti. Bisogna pensare anche alle persone che si spostano per lavoro o per studio lontano dal territorio, ma mantengono un legame affettivo col pinerolese, ritornandovi periodicamente. Una delle scelte strategiche è il collegamento ferroviario con la grande città e da lì con il mondo: mezz’ora di treno per andare a Torino, rende Pinerolo quasi periferia della grande città; 3/4 d’ora la fanno già una realtà altra. Molti studenti universitari mi dicono che se si potesse raggiungere Torino in mezz’ora al mattino e alla sera, viaggerebbero. Di più non conviene. Politici pinerolesi, incominciate a chiedere due collegamenti veloci con Torino (senza fermate intermedie!), al mattino e alla sera, e farete un ottimo servizio per il territorio: sarebbe il primo passo concreto della città metropolitana. Antonio Denanni PINEROLO INDIALOGO Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Valentina Voglino, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Rebecca Donella, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Demis Pascal Con la partecipazione di Elvio Fassone

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Buone News

come essere giovani e milionari

4 Primo Piano

docenti univeritari pinerolesi/6 intervista a roberto burlando

6 Politica giovane young

intervista all’assessore agnese Boni

8 Lettere al giornale

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soprattutto creare lavoro!

Giovani @ Scuola

l’euroscetticismo dell’”onda nera”

10 Arte & Architettura

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dialogo con l’arch. luca barbero

Sociale & Volontariato

”estate bimbi” ed “estate ragazzi” la disabilità in città ha bisogno di solidarietà

14 Così nel mondo

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la costituzione americana

Visibili & Invisibili

Gruppo giovani amnesty e libera

Serate di Laurea

isabella iennaco e chiara merlo

Giovani & Lavoro

“voglio andare in australia”

18 Teatro

giulietta e romeo

19 Lettera a...

lettera ai pinerolesi

20 Cosedicasanostra 21 Per Mostre & Musei

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a cena con alighiero boetti

Giovani & Innovazioni

solar impulse

Musica emergente

toc

photo Giacomo Denanni, Nino Di Pomponio

24 Amici di Pinerolo Indialogo

Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo n. 2 del 16/06/2010 redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

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primo piano

Città & Università/60

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a cura di Marianna Bertolino

Intervista a Roberto Burlando

Ripensare la tematica del locale-globale «Il pinerolese mi appare troppo statico e come tale subisce le decisioni prese altrove» Innanzitutto ci parli di sè, delle sue competenze universitarie e del suo lavoro Sono professore associato di Politica economica presso il Dipartimento di Economia e Statistica dell’Università di Torino. Attualmente insegno Politica economica ed Economia ed Etica. Ho insegnato per molti anni Economia Politica e Finanza etica e microcredito, e pure Economia sperimentale, Economia Internazionale e Dinamica economica. Tra i miei interessi di ricerca ci sono: l’evoluzione del quadro macroeconomico globale, e quindi attualmente le crisi ed i possibili sviluppi futuri, le forme possibili di sviluppo locale nei paesi della periferia del mondo (in particolare l’India) e l’impiego di diversi metodi per misusurarne il ben-vivere, l’economia sperimentale e la psicologia economica, i rapporti tra etica ed economia. Per questo per diversi anni ho collaborato con psicologi economici (soprattutto inglesi) e sociali (soprattutto italiani), con sociologi e con alcuni biologi e, ora, cerco di farlo con dei fisici. Ci parli ora della situazione economica mondiale. Che cos’è questa crisi. Quali sono le cause? Siamo nel mezzo di molteplici crisi, alquanto interconnesse, che hanno origini diverse, ma certo oggi molte di esse (ambientale, energetica, economica, sociale e politica o democratica) convergono in quella che, per necessità di sintesi, può essere definita come una “crisi di modello di sviluppo”. Nel secondo dopoguerra c’è stato un periodo che ha qualche similitudine con l’attuale ed è il periodo di crisi e transizione degli anni ’70 del secolo scorso, iniziato con il crollo del sistema di cambi fissi e proseguito con le crisi petrolifere e la stagflazione, fino alla svolta ultra-liberista degli anni ’80 in USA e GB. Molti hanno definito questo periodo come di “economia drogata” e noi stiamo ora subendo le conseguenze dei molti danni e disastri prodotti in questo

periodo, che si sono sommati a problemi vecchi. Per di più ci sono poteri assai forti – concentrati soprattutto nella finanza – che operano per far perdurare ancora molte delle condizioni prevalenti in quel periodo (concentrazione di redditi e ricchezze). Quali sono le prospettive future? Per avviare almeno verso la soluzione alcuni dei problemi più gravi il nostro presente dovrebbe almeno essere liberato dal peso imposto dai peggiori comportamenti di ricerca di rendite di posizione (basta pensare al comportamento assunto dalla finanza e dalle banche, che bloccano le possibilità di sviluppo reale) e occorrerebbe puntare non alla crescita della produzione materiale, perché lì stiamo già iniziando a scontrarci con limiti economici ma anche fisici. Per muoverci in questa direzione, e per tornare poi a forme di democrazia più sostanziali, avremmo anche bisogno di un significativo processo di redistribuzione dei redditi e delle ricchezze. Dovremmo anche riprendere seriamente a ragionare di sviluppo locale e ri-progettarne le possibilità in un quadro ancora predominato dalle influenze esterne, economiche e politiche. Direi che in generale andrebbe seriamente ripensata tutta la tematica del rapporto locale-globale. Questa crisi ci costringerà a cambiare i nostri stili di vita? O indipendentemente da essa è opportuno che siamo noi a cambiare? Sarebbe bello e positivo che riuscissimo a cambiare indipendentemente dalle “spinte” delle crisi, ma francamente ora mi pare che l’importante sia che ci spicciamo a farlo ed a cambiare modello di sviluppo e comportamenti individuali, qualunque sia la motivazione. Veniamo ora al nostro territorio. Come si muove il Pinerolese all’interno di questa crisi? Complessivamente mi appare troppo statico e come tale subisce le decisioni prese altrove. Come dicevo in precedenza, per tutte le realtà in


5 5 qualche modo “periferiche” si tratta di ripensare il rapporto locale–globale. [Attenzione però che anche Torino sta diventando una sorta di grande periferia che sembra voler sopravvivere assorbendo le risorse del territorio intorno a sé; inoltre questa giunta regionale, a mio avviso, sta distruggendo le capacità e le infrastrutture dei suoi territori ]. Da un lato le logiche della globalizzazione e della competitività mondiale impongono spesso scelte e cambiamenti che possono essere devastanti ed allo stesso tempo avere orizzonti molto limitati e che devono essere evitate, anche se paiono attraenti sul breve periodo, e opportunità meno “precarie” e più in linea con la vocazione del territorio, che vanno invece non solo accolte ma attivamente cercate. Dall’altro i territori devono investire in progetti che proiettino nel futuro le capacità e le risorse che ciascuno di essi possiede. Ad esempio, il vostro giornale ha più volte messo in dubbio le proiezioni future del progetto “cavallo” voluto dall’attuale amministrazione pinerolese, sottolineandone le caratteristiche di sguardo più orientato ad un (ancorchè glorioso) passato che a possibili futuri di concrete occupazione e sviluppo. Certo questo territorio ha una importante vocazione agricola ed artigianale di qualità ed io credo che queste, anche nelle piccole dimensioni delle imprese che ne costituiscono l’ossatura, siano ricchezze da valorizzare. I 30 docenti universitari che vivono a Pinerolo e nel circondario che contributo possono dare? Credo costituiscano un potenziale di idee e compentenze scarsamente utilizzato. Potrebbero essere un primo nucleo di un gruppo più ampio, almeno inizialmente informale (potreste proporne voi, grazie alla conoscenza che ne avete ed al ruolo positivo che svolgete, la convocazione) ma che potrebbe poi eventualmente assumere anche un ruolo un poco più ufficiale (ma mai troppo), attorno al quale si concentrano competenze diverse che convergono nel discutere, e auspicabilmente proporre, idee e progetti per il territorio nel quale tutti noi viviamo. La città metropolitana può essere un’opportunità per un’inversione di rotta? Ho già detto prima dei miei timori e impressioni sulla scarsa dinamicità di Torino. Temo dunque che più che una opportunità la città metropolitana possa essere un rischio, anche se dovrebbe essere il contrario. Credo che tutte le autorità locali del pinerolese dovrebbero coalizzarsi e usare tutti i mezzi a propria disposizione per trasformare il rischio reale nella opportunità che la facile retorica attuale indica. Senza una adeguata pressione in tutte le sedi e chiarezza di intenti e progetti non vedo la possibilità di esiti

positivi, come in troppe circostanze in questi tempi. Da economista come vede il centro storico di Pinerolo? Può essere un volano di tipo economico? Ritorno sulla domanda chiedendo cosa intendete con “centro storico”. I negozi e le attività presenti in quell’ambito, certamente elegante e godibile, o anche altro? A me pare che difficilmente i negozi per conto loro possano costituire un forte volano economico (negli ultimi decenni hanno cercato di esserlo i centri commerciali posti sempre più nelle periferie o addirittura le “città” dedicate a negozi specializzati in alcuni tipi di prodotti, ancor più delocalizzate per godere di altri vantaggi). Possono però costituire un elemento certo positivo e di “risveglio” di un clima cittadino e richiamare ad un centro di incontro, di relazioni e di scambi. Il centro però potrebbe anche essere un elemento propulsore di idee e progetti, se delle attività così orientate trovassero concretezza e decidessero di risiedervi. Cosa ne pensa del collegamento ferroviario con Torino? Vi è in molti l’idea che la classe politica pinerolese abbia sottovalutato e sottovaluti ancora l’importanza di un collegamento ferroviario rapido con Torino. Concordo con chi ritiene cruciale il collegamento ferroviario rapido, ma temo che il problema non sia solo della classe politica pinerolese bensì anche di quelle regionali e nazionali, e si sa che per i più “piccoli” andare controcorrente è faticoso… anche se spesso necessario. Se si vuole evitare la marginalizzazione e il rischio che la città metropolitana sia non solo un ennesimo prodotto della retorica politica e aziendale, destinato ad un flop sul piano reale, ma addirittuara un danno, credo occorra modificare decisamente lo stato attuale delle cose. E per un ruolo più significativo della nostra città nei confronti dei territori limitrofi occorrerebbe invertire anche le logiche privatistiche seguite dalle FFSS con l’abbandono delle linee locali (non posso non pensare alla linea Torre Pellice – Pinerolo). Università significa soprattutto giovani. Il loro andare all’estero molti lo considerano una fuga, una migrazione, un impoverimento del territorio. Lei come legge questa mobilità e questo dinamismo giovanile: un’opportunità o un limite? Credo sia entrambe le cose, ma purtroppo, a livello di Paese, con una prevalenza del secondo aspetto. Le frequentazioni internazionali costituiscono una grande fonte di apertura e di capacità di sguardi più ampi, oltre che di esperienze diverse, e sono una ricchezza non solo per chi le vive direttamente, se costoro dopo averle realizzate ritornano nei territori d’origine. Se invece non rientrano perché non trovano lavoro o non sono apprezzati il discorso cambia.


Politica

Politica giovane young

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di Emanuele Sacchetto

Intervista all’assessore Agnese Boni

“Sinergia e coordinamento i nostri punti forti” L’Assessora alle Politiche Sociali in prima linea per fronteggiare la crisi Tra le sue diverse deleghe, una delle più importanti è certamente quella delle politiche sociali: in concreto di cosa si occupa? Il mio assessorato si occupa principalmente di dare ascolto alle problematiche sociali. La gente viene da me per espormi i propri problemi (principalmente economici, occupazionali e abitativi in questo periodo di crisi) in cerca di risposte concrete. La più evidente difficoltà da parte del Comune è dunque quella di fornire risposte vere pur in grande scarsezza di risorse. Tuttavia il mio ruolo è principalmente di coordinamento della rete di associazioni e organizzazioni che collaborano con l’Amministrazione per far fronte a queste emergenze. Quali sono i soggetti e le loro richieste di aiuto in questi tempi di crisi? Oggi, complice la forte crisi economica, a richiedere aiuto non è quello strato della popolazione, zoccolo duro delle politiche assistenzialiste degli anni passati, paradossalmente già abituato e più capace di gestire la propria situazione. A bussare alla nostra porta sono invece sempre più spesso persone che fino a un mese fa costituivano il ceto medio della città, dunque spaesate e indifese, incapaci di gestire la propria nuova condizione di disagio. E le loro richieste sono per lo più di supporto economico (pagamento di bollette, affitto,..). Un problema strettamente connesso a questo è l’emergenza abitativa, di cui si occupa però principalmente l’Assessore Clement, in stretta coordinazione con il mio ufficio. A fronte di queste crescenti richieste qual è l’azione messa in atto dal suo assessorato? Innanzitutto l’ascolto. Una volta compreso il disagio lo si deve quantificare e indirizzare verso una soluzione. Per far questo l’azione che sto portando avanti è quella di stretta sinergia con le numerosissime Associazioni di volontariato del Pinerolese (una fra tutte il Centro di Ascolto), ve-

rificando se possono farsi loro carico in parte di quel determinato problema. E’ necessario infatti, per uscire da questa perdurante emergenza dovuta alla crisi, adottare nuovi modelli di sinergia, cercare risposte più “creative”. Non si può più immaginare un ritorno al passato ideale. Bisogna vivere il presente con scelte coraggiose. La parola chiave è metter da parte un assistenzialismo fine a se stesso per adottare il così detto “workfare”, ridando dignità alle persone, attivandole. Per recuperare fondi poi, il Comune sta partecipando a tutti i bandi (europei e non) per promuovere alcune importanti iniziative. L’emergenza abitativa interessa l’Assessore Clement e lei in sinergia: quali le possibili soluzioni? Il problema casa è di tipo numerico. Le così dette case popolari sono piene, le “case parcheggio”, pensate per soggiorni temporanei, si sono trasformate in residenze definitive. Una soluzione momentanea è quella alberghiera. A breve partirà poi la ristrutturazione del Social Housing. Inoltre, realtà come Casa Luciano, Casa Famiglia e Casa Chantal sono sul tavolo di un progetto per far fronte a questa emergenza. Poi abbiamo chiesto ad ATC di recuperare il vecchio, senza costruire nuove unità abitative, in questo modo evitando anche una “ghettizzazione” di queste persone in determinate aree della città, favorendo e mantenendo un’eterogeneità della popolazione. Per far fronte a queste crisi, in altri Comuni sono stati attivati tavoli di concertazione tra amministrazioni, associazioni di volontariato e parti sociali: pensate possa essere un sistema da adottare anche a Pinerolo? Non c’è altra soluzione. Il tavolo di concertazione risponde infatti all’esigenza di sinergia e recupero della collaborazione di cui parlavo prima. Per parte mia, abbiamo creato un database che raccoglie i dati di tutte le numerosissime Asso-


Intervista amministratori/8 ciazioni di volontariato attive nel pinerolese. In questo modo tutte le associazioni con fini comuni o simili possono lavorare in sinergia. Sono messe in rete, in collegamento l’una all’altra. E il Comune si fa carico di questa coordinazione, sapendo dunque dove indirizzare i soggetti bisognosi di tutela. In vista di questo obiettivo è stato costituito anche un Tavolo delle Associazioni, che si riunisce ogni due mesi nell’intento di mantenere una stretta collaborazione. Il suo assessorato si occupa anche di pari opportunità: cosa fate in concreto? Esiste una Commissione di donne (non solo membri della giunta e del consiglio, ma anche esterna), che porta avanti attualmente un discorso riguardo la violenza sulle donne, in coordinazione con la Giunta. In particolare quest’ultima ha appena aderito alla campagna “365 giorni NO alla violenza sulle donne”. Si progettano poi interventi nelle scuole per sensibilizzare i ragazzi sui problemi di violenza sulle donne e omofobia. Politiche sociali vuol dire anche immigrati. Esiste un problema immigrati in città? A Pinerolo non è un problema così urgente come un tempo. Inoltre possiamo vantare un buon grado di integrazione, grazie anche a di-

versi progetti portati avanti ancora una volta da diverse associazioni e sindacati. Ad esempio i corsi di lingua italiana per donne nell’ambito del progetto “Se non sai non sei” (CGIL) si sono trasformati in centri di socialità e integrazione. L’Associazione ANLIB assiste poi donne vittime di tratta, fornendo loro assistenza abitativa ed economica. Un’emergenza che stiamo fronteggiando in questi giorni è poi quella dei profughi libici che sono stati fatti uscire dal centro di permanenza di Frossasco, senza alcuna progettualità di un loro inserimento in società e nel mondo del lavoro. Essendo entrata a far parte della Giunta quasi a metà percorso, qual è la sua visione del modo di operare di assessori e sindaco alla luce delle numerose critiche di autoreferenzialità, scarsa capacità di ascolto e poca progettualità? Ciò che io vedo è una Giunta operativa, e collaborativa, sebbene alcune scelte siano state autoreferenziali. Tuttavia le cose le stiamo facendo e forse quello che manca è un Ufficio Stampa che le riesca a comunicare all’esterno. Infatti, in questi tempi di crisi, le azioni sono piccole, a volte difficili da vedere, ma se ne sente il sollievo sulle spalle dei più disagiati.

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PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

L’irrefutabile idea guida del tempo presente

“Soprattutto creare lavoro!” La politica, alla fine, fa sempre la cosa giusta. Peccato che la faccia dopo aver perso un mare di tempo a tentare quella sbagliata. Siamo al sesto anno di crisi, e non è bastato constatare la miseria più nera in alcuni Paesi dell’Europa (Grecia e Portogallo) né registrare paurosi indici di disoccupazione giovanile in altri (Spagna e Italia), e sintomi di recessione in tutti: è stato necessario che la contrazione del benessere lambisse anche i templi della ricchezza (la Francia da tempo, e solo ora anche la Germania) perché i governanti più sordi si rendessero conto che la situazione è insostenibile, ed occorre fare ciò che il senso comune suggerisce da tempo: un’effettiva politica del lavoro, nel senso di crearlo là dove spontaneamente ha smesso di generarsi. Come è vero che solo il disagio dei benestanti è il vero barometro del dolore del mondo!

Creare lavoro deve essere la semplice, elementare, irrefutabile idea-guida del tempo presente e della politica. Crearlo stimolando il mercato del lavoro, e sta bene. Ma soprattutto crearlo anche là dove il mercato non lo produce da sé: cioè nel campo dei beni non scambiabili, di quei beni e servizi che hanno un’oggettiva utilità, ma non un fruitore specifico, e quindi non hanno mercato perché non hanno un “compratore” in senso stretto. Lo spazio è vastissimo: comprende le opere pubbliche, sia quelle imponenti che fanno da impianto infra-strutturale e da volano per le altre; sia quelle più numerose dei tanti cantieri ad avvio immediato (cento, mille interventi di manutenzione del territorio); include i servizi primari alla persona, i bisogni inappagati che troviamo agli estremi anagrafici della vita (le mamme con bambini piccoli, le famiglie con anzia-

ni) o là dove il risultato “non è venuto molto bene” secondo i cànoni della normalità (disagio, disabilità, devianza); spazia quasi senza confini nel campo dei beni culturali, dell’istruzione, della ricerca, di tutto ciò che ci permette di respirare bellezza e lievità. E’ facile l’obiezione: chi paga tutto ciò? Posta in questi termini, la domanda reca già in sé la risposta, ovviamente preclusiva: se non c’è un compratore, non ha senso economico produrre quei beni e quei servizi. Eppure non facciamo la stessa domanda se si tratta di sostenere le spese per la difesa, per la circolazione stradale, per qualche campionato mondiale o qualche evento assai meno indispensabile. Dunque, si tratta di scardinare un blocco mentale, di percepire che certe disfunzioni sociali sono ormai così gravi e diffuse da preludere a una sorta di genocidio spirituale. Che non si può più giocare a costi e ricavi, quando sulla colonna dei costi si legge la disperazione di massa. Che lo spreco di un’intera generazione è il primo capitolo di una spending review minimamente assennata. Che questo impegno, inteso a preservare in un unico abbraccio l’habitat e gli abitanti, è la vera idea-guida alla quale ancorare ogni progettualità. Gli strumenti per attuarla ci sono, e vengono illustrati da tempo. Sono la programmazione dell’insieme degli interventi, a livello europeo. Un’imposizione anch’essa europea, a forte carattere progressivo, risparmiando i ceti meno abbienti, per finanziare il piano di opere. Lo scorporo delle spese, relative alle opere approvate, dalle contabilità ufficiali, poiché sono spese di investimento. L’ampia compensazione del momentaneo passivo di bilancio con gli attivi derivanti dalla creazione di occupazione, quali l’aumento dell’Irpef sulle retribuzioni dei nuovi occupati, dei contributi, dell’Iva e di altre sorgenti tributarie, oltre che con la forte diminuzione delle spese assistenziali per soccorrere la disoccupazione. E persino, al limite, l’eventuale adozione di una moneta parallela, utilizzabile soltanto fra gli attori economici del piano, e quindi non incidente sul debito pubblico, ma idonea ad un forte sviluppo economico. L’ingegneria economica è ricca, se è sostenuta, sul piano sociale, dalla convinzione di imboccare una rotta positiva, a fronte di uno smottamento progressivo delle speranze e dei legami sociali. Cui nessun pareggio di bilancio saprebbe opporre rimedio.

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società

Giovani@Scuola A cura di Nadia Fenoglio

I dibattiti all’Accademia Elementare

L’euroscetticismo dell’”onda nera”

Rincontriamo l’Accademia Elementare, il gruppo di discussione formatosi grazie al contributo di alcuni studenti universitari di Torino, che già aveva attratto la nostra curiosità in un precedente numero di Pinerolo Indialogo. Tra gli argomenti affrontati negli ultimi incontri, di un certo interesse – nonché di una certa attualità – è il tema dell’Europa. O, meglio, dell’euroscetticismo che caratterizza quei movimenti antieuropeisti che, quasi ad effetto domino, stanno guadagnando terreno e consensi elettorali in numerosi stati del vecchio continente. Complice, evidentemente, la crisi che qui morde più ferocemente. Ma se il senso di sfiducia avvertito dai cittadini europei pone in discussione la legittimità della costruzione europea, significa che la stessa formazione identitaria dell’Europa non si è radicata realmente e va ripensata. Nell’incontro del 22 maggio scorso, l’Accademia Elementare ha, per l’appunto, cercato di definire i connotati dell’euroscetticismo: il termine compare per la prima volta in un articolo del Times del 1985 per indicare l’avversione britannica al progetto europeo di integrazione politica; entra a pieno titolo nel dibattito politico e accademico in seguito all’adozione di tale espressione da parte di Margaret Thatcher. L’euroscetticismo nasce dunque in Inghilterra, vale a dire nella nazione che maggiormente ha criticato e continua a criticare l’azione accentratrice di Bruxelles. Nel caso dell’Italia, uno dei sei Paesi fondatori nel 1951 della CECA col Trattato di Parigi, si è passati da un sostanziale apprezzamento dell’Unione Europea (secondo Eubarometro nel 1974 si registrava l’82% di apprezzamento) ad un eccezionale crollo di consensi (l’ultimo dato del 2011 ci vede fermi al 41%). Di conseguenza, se le speranze

europee vacillano, i sistemi nazionali si fortificano: siamo di fronte all’emergere di un nazionalismo che, salvo qualche rara eccezione, è politicamente ascrivibile all’estrema destra. Si parla infatti di “onda nera”: i più noti Alba Dorata in Grecia, Front National in Francia, Casa Pound in Italia, ma anche il movimento Vlaams Belang in Belgio, o la English Defence League in Gran Bretagna, o il Fremskrittspartiet in Norvegia (nelle cui fila militava Anders Breivik, il serial-killer di Oslo). Siamo di fronte a governi, partiti o tenden-

ze chiaramente euroscettici, come se l’Europa e le politiche economiche di Bruxelles invece di sollevare sentimenti di solidarietà e di comunanza avessero risvegliato in maniera più o meno inconsapevole i peggiori fantasmi del continente. Per maggiori informazioni e spunti di riflessione, è a disposizione il forum dell’Accademia Elementare: http://accademiaelementare.forumfree.it/

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Arte&Architettura

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di Riccardio Rudiero

Dialogo sulla città con l’arch. Luca Barbero

“Il PRG è sovradimensionato e deve essere necessariamente rivisto”

“Vi è un problema di conservazione della qualità del territorio non ancora modificato, ma vi è anche l’esigenza della manutenzione dell’esistente” L’urbanista De Rossi nella nostra intervista di aprile ha definito l’urbanizzazione di questi ultimi anni “diffusa”, “senza qualità”, che ha cancellato parte del paesaggio preesistente. È giunto il momento, con la revisione del Piano Regolatore in programma, di dare un ordine, una visione complessiva e di qualità a questa città? Certamente. L’attuale PRG, entrato in vigore nel 1998, è figlio di una cultura urbanistica diversa dall’attuale, ed è sovradimensionato nella capacità edificatoria. Questa sovrastima coinvolge conseguentemente la realizzazione delle opere di urbanizzazione, le quali hanno influito sulla dimensione dell’ampliamento della città, portandosi dietro alti costi di gestione. Vi è dunque un problema di conservazione della qualità del territorio non ancora modificato, ma anche uno legato alla manutenzione dell’esistente e ai suoi oneri. Per questo il PRG dev’essere necessariamente rivisto. Cosa non la convince di una possibile variante ponte? Avrei preferito, nella congiuntura attuale di stagnazione del mercato immobiliare, con minori dinamiche di conflitto con chi ha legittimi interessi economici, intervenire in maniera più incisiva. Vi è la forte volontà di preservare il territorio, tagliando la capacità edificatoria e incrementando le azioni all’interno del tessuto urbano esistente, dove ci sono vari spazi suscettibili di completamento, densificazione

e trasformazione. Sarebbe auspicabile modificare zone sottoutilizzate destinate a servizi, evitando così di occupare altre aree, che necessiterebbero peraltro di onerosi costi di urbanizzazione gravanti sull’intera collettività. Intorno al tema dell’urbanistica si è animato in questi ultimi mesi il dibattito politico in città, anche all’interno della stessa maggioranza. Vi sono poi le spinte delle forze ambientaliste e culturali. Si riuscirà a raggiungere una sintesi, che non sia al ribasso, che dia una visione complessiva e funzionale alla città? Non credo si possa parlare di contesa, bensì di sollecitazioni legittime da parte dei diversi interessi in gioco. Rilevo un’apertura positiva verso il confronto con le associazioni; la partecipazione è importante, ma non significa essere unanimemente d’accordo. Le questioni urbanistiche sono infatti molto complesse e necessitano di una spiccata visione d’insieme. Le differenti istanze portano a differenti azioni, che non possono convergere in interventi plebiscitari, ma che cercano di garantire una buona qualità di vita alla città. Lei oltre che capogruppo del PD è anche presidente della commissione per il centro storico. C’è una reale volontà di affrontare il tema del centro storico in termini complessivi o è ancora sempre e solo un problema di Ztl e di arredo urbano? Ho la delega a questi due aspetti, ma non

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sono che una piccola componente di una tematica macroscopica. Il centro storico vive una dinamica complessa, con esigenze differenti e a volte conflittuali. Anche in questo caso, non può venir meno una visione globale. Il centro storico possiede un patrimonio immobiliare in larga parte non utilizzato, e questa è una delle partite centrali se lo si vuole rivitalizzare. La revisione del PRG dovrà favorire la sua riqualificazione, cercando di creare condizioni per cui anche gli operatori immobiliari possano intervenire. Attualmente, infatti, agire in questa zona significa andare in perdita economicamente. In molti si ha l’impressione che sul tema si sia ragionato tenendo in considerazione soprattutto l’attività commerciale, senza pensare alla dimensione turistica e culturale. Si crede, come per altre realtà cittadine, che manchi una testa pensante, che abbia una visione globale sia della tematica pianificatoria, sia legata alla conservazione e al restauro? Sicuramente manca una commissione che ragioni puntualmente sul centro storico. Bisogna tuttavia evidenziare come anche la popolazione, quando chiamata a contribuire alla riflessione, tendenzialmente cerchi di far prevalere i propri interessi rispetto a una visione d’insieme. È necessario ripensare il luogo partendo da chi lo vive, ma per farlo bisogna che ciascuno si sforzi di ragionare in modo complessivo. Per ciò che concerne il commercio, uno dei motori di questa zona, è da segnalare che si preferisce lasciare sfitti alcuni negozi piuttosto che abbassarne il canone. Se ci si venisse incontro si potrebbe dar luogo ad assi commerciali qualificati, che fornirebbero un impulso positivo. Riguardo alle attività culturali, che in larga parte proprio qui si concentrano, credo si

debba puntare più sulla loro qualità che non sulla quantità. Ce ne sono infatti già molte ma spesso, purtroppo, poco compatibili con il contesto, che fanno apparire la città storica come un semplice contenitore, facilmente sostituibile. Periodicamente sorge l’idea a qualcuno di abbattere edifici storici. Non crede invece che i beni culturali debbano essere la base su cui innestare il cambiamento, il punto di partenza per un futuro di qualità radicato nella storia? Quali politiche serie potrebbero rivitalizzare Pinerolo dal punto di vista culturale e turistico? La questione degli abbattimenti ha creato non poche incomprensioni. Evidentemente, le architetture tutelate da leggi nazionali e comunali non possono essere distrutte. È però anche vero che, per rendere più vivibili e funzionali gli altri edifici storici non vincolati, ma ricadenti nel centro storico, sarebbe importante poter intervenire con miglioramenti più incisivi, nell’ottica di salvaguardare il centro e renderlo più utilizzabile. Invece riguardo al turismo devo dire che, effettivamente, non c’è una politica forte orientata al suo sviluppo. Ci sono esclusivamente realtà già attive nel settore, a volte anche scollegate tra loro. In tutto questo, sarebbe necessario proporre politiche con obiettivi lungimiranti. In calce all’intervista, abbiamo poi ragionato su alcuni temi di scala più ampia, dal paesaggio alla mobilità ferroviaria. A riguardo, abbiamo convenuto che l’unico modo per poter parlare di qualità territoriale è quello di trascendere i limiti amministrativi comunali, ragionando sull’area vasta, così da poter intervenire armonicamente su un territorio unitario qual è quello del pinerolese.


Società

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Sociale & Volontariato/1 di Alice Albero

L’estate del Comune di Pinerolo

“Estate bimbi” ed “Estate ragazzi” L’estate sta arrivando e per le famiglie pinerolesi iniziano le preoccupazioni. La chiusura delle scuole è sempre un evento lungamente atteso dagli studenti che, accantonati i libri e lo studio, possono piacevolmente godere del tempo libero; prospettiva molto differente da quella dei genitori che devono mobilitare le molte risorse economiche e familiari per la gestione dei figli. Se poi a questa situazione si aggiungono i cambiamenti radicali che hanno visto protagonista indiscussa la famiglia italiana negli ultimi anni, le difficoltà diventano poco gestibili. È proprio a fronte di un mutato ruolo femminile e di un impoverimento della preziosa rete familiare, che il Comune di Pinerolo continua ad offrire ai propri cittadini i servizi di “Estate Ragazzi” e di “Estate Bimbi”. Progettati con lo scopo di rispondere ai bisogni dei genitori impegnati con il lavoro, le iniziative estive offrono la copertura dei mesi di giugno e luglio. Per chi poi volesse allontanare i figli dalla calura della città, l’Ufficio comunale delle Politiche Sociali, in collaborazione con l’Eurotrend di Biella, mette a disposizione due soggiorni nel complesso alberghiero di Pracatinat (Comune di Fenestrelle). Attività ludiche, spor-

tive, culturali ed escursionistiche occupano il posto centrale nel calendario delle attività. Offrendo agli utenti un servizio non solo capace di configurarsi come un aiuto concreto alle famiglie, ma anche in grado di creare un contesto di svago, di crescita educativa, di incontro e mescolanze culturali e di socializzazione tra i piccoli cittadini che crescono, le attività estive si susseguono negli anni e nelle generazioni con riconosciuta professionalità per gli animatori. Sono stati i sorprendenti risultati di un’indagine qualitativa condotta nell’anno passato, a farmi sperare nel proseguimento delle iniziative estive, nonostante la drammatica carenza di fondi. Poiché di fronte a 215 genitori soddisfatti e grati per l’aiuto ricevuto, non si devono smantellare quei servizi che riescono a migliorare nel loro piccolo la qualità di vita dei cittadini.

Pracatinat, 30 anni di storia

Pracatinat quest’anno celebra 30 anni di storia, che vuol dire 30 anni di “servizi educativi e formativi, socio-culturali e ricettivi, con particolare riguardo alla sostenibilità e alla cittadinanza, allo sport, alla montagna e al turismo, per il benessere dei cittadini e dell’ambiente” (www.pracatinat.it)


società

Sociale&Volontariato/2 di Valentina Voglino

Lettera alla Redazione dell’Equipe del “Raggio”

“Pinerolesi, attenti: la disabilità in città ha bisogno della vostra solidarietà” Ogni qual volta si parla di diversamente abili, gli interlocutori si dividono in coloro che guardano al disabile con un misto di pietismo e commiserazione, alcuni invece ne sono spaventati mossi da un’arcana ignoranza ed altri che invece riconoscono la dignità intrinseca che deriva dal primo diritto che tutti abbiamo: “essere” una persona. Quest’ultima categoria di individui sta, fortunatamente, pian piano aumentando anche grazie al lavoro certosino di diffusione della cultura dell’integrazione e dell’inclusione sociale. Ma, purtroppo, non è ancora sufficiente. Accade infatti che un ragazzo ventisettenne, che viaggia in autonomia con i mezzi di traspor-

cianti. Tutto questo nel quartiere dove vive da anni, in zona viale Castelfidardo, tra i negozi che quotidianamente frequenta. Ed ecco dunque, il secondo punto dolente: come educatori, ma ancora prima come individui e cittadini responsabili, lavoriamo per legarci in modo stretto al tessuto sociale del territorio, del quartiere in cui viviamo, in quel clima di dare e avere che sa tanto di passato ma che è così costruttivo per il comun vivere. Con profonda delusione, però, ci siamo dovuti rendere conto che, nonostante l’investimento in quella direzione, non è stato possibile raccogliere tutta la solidarietà che ci aspettavamo. Da nessuno: vicini di

to pubblici, che lavora come aiuto cuoco in una mensa e che ha una vita ricca di impegni sociali, sia identificato come diverso, umiliato e sbeffeggiato da un gruppetto di ragazzini in età scolastica, solo perché è una persona affetta da sindrome di Down. Tutto questo sul bus che utilizza ogni mattina,nella tratta Torino-Pinerolo, circondato dalle persone che frequenta ogni giorno. Ed accade che un cinquantenne, che vive in un gruppo-appartamento in regime di semi autonomia, pienamente inserito sul territorio e nel tessuto sociale in cui la nostra Cooperativa (Il Raggio) è radicata da anni, venga circondato ed aggredito da tre ragazzi spavaldi e prepotenti che oltre all’umiliazione e ad una dose di spintoni, gli sottraggono macchina fotografica ed un trancio di pizza appena acquistata. Il tutto in mezzo all’indifferenza più totale dei passanti e dei commer-

casa, passanti, commercianti. Fatti gravissimi, a prescindere dalle condizioni e dalle caratteristiche dei soggetti. Ma, soprattutto, brucia dover accettare il fatto che ancora oggi sia necessario intervenire a favore dei così detti più deboli, ancor prima culturalmente che fisicamente. Non vi è infatti ancora totale consapevolezza e conoscenza del significato della disabilità e di ciò che essa comporti. Siamo lontani dall’avere completa solidarietà e collaborazione. Ed ecco che, allora, emerge l’urgenza di diffondere la cultura della diversità e della ricchezza che da essa deriva. E quindi, che cos’è la disabilità se non una delle tante condizioni della vita umana? Io sono alto, tu sei basso, lui è magro, lei è bruna, loro sono senegalesi, io sono disabile. Valentina Voglino, Gianluca Gallina, Francesca Bruno Franco, Marco Tealdo, Marcella Gambetta, Maria Grazia Berra

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così nel mondo

Riflessioni di Renato Storero

Riforme e sistemi elettorali

La Costituzione americana

In un tempo in cui si parla di riforme costituzionali può essere utile un confronto con la Costituzione degli Stati Uniti d’America. L’atto costitutivo della Confederazione nasce nella Convention del maggio 1787 a Filadelfia. Erano tredici gli stati che si erano riuniti inviando i loro delegati; un paio tergiversò, cosicchè furono undici quelli che aderirono formalmente. Il voto era calcolato per stati; erano cinquantacinque persone, ma solo trentanove siglarono il documento. Molti erano proprietari di schiavi, ma il problema della abolizione della schiavitù non fu neppure sfiorato, se non da pochissimi delegati. Questi stati erano arrivati alla dichiarazione di indipendenza dalla Gran Bretagna con una dichiarazione formale sottoscritta però da solo otto delegati sui cinquantacinque presenti. Ogni stato era geloso della propria identità, per cui era inevitabile un sistema CONFEDERALE, rimanendo da definire i poteri del governo centrale federale. Va detto che la nascita della Costituzione era sorta tra dibattiti tempestosi. Si erano manifestati i germi che sarebbero poi sorti nella Rivoluzione Francese. Washington, presidente della Confederazione, raccomandò che “il divorzio dalla Gran Bretagna non degenerasse in una rivoluzione sociale a sostegno della democrazia”. Il presidente aveva lottato contro dazi, tasse, imposte dettate con mezzi coercitivi dagli inglesi; però non si fece scrupolo dopo l’indipendenza di usarli a sua volta. Alcuni stati come la Pensylvania osservarono che mancava qualsiasi dichiarazione che preservasse la libertà di stampa, come una giuria nei processi civili; inoltre si opposero ad eserciti permanenti in tempo di pace; chiesero una tutela delle minoranze atta a bloccare ogni decisione contro le stesse. A Washington succedette John Adams, autoritario come il precedente. Poi Thomas Jefferson che prese a tutelare le libertà civili, ma solo per i bianchi. Infine furono introdotti gli emendamenti, creati per limitare e ritoccare i poteri della Costituzione, rivelatasi troppo

rigida. Fu proibita una chiesa di stato che impediva l’esercizio di altre religioni. Con John Adams il potere sfiorò la dittatura: multe e carcere con violenze e omicidi contro stampa e giornalisti che si esprimevano contro il governo. Passando all’esame della Costituzione, si deve sapere che la schiavitù fu mantenuta fino al riconoscimento del “United States Bill of Rights” del 1789 onde ottenere l’adesione degli stati del sud. I singoli stati pretesero una rappresentanza senatoriale uguale per tutti, a prescindere dalla loro popolazione: cioè due senatori per ogni stato, in carica per sei anni. Da ciò era inevitabile e impossibile andare oltre una confederazione. Il Senato era ed è un organo superiore rispetto alla Camera dei Rappresentanti, eletti ogni due anni. Entrambi gli organismi formano il Congresso. Ogni stato è dotato di una corte federale. La confederazione nacque con il partito repubblicano da cui si staccò e si formò il partito democratico assai più aperto alle istanze sociali. Ogni stato crea la proprie leggi, salvo quelle sullo stato di guerra (la pena di morte varia da uno stato all’altro). Esiste una corte suprema confederale, che di fatto funge pure da corte costituzionale, e può dichiarare le leggi approvate dal congresso non conformi alla Costituzione. I nove membri di tale corte, sono nominati a vita dal Presidente della Confederazione, con il consenso del senato. Il sistema elettorale è, a dir poco, complesso.... legato ai collegio elettorali costituiti in seno a ciascuno dei cinquanta stati: ciascuno di essi ha diritto ad un numero di elettori pari al numero dei suoi senatori più quello dei rappresentanti (deputati) eletti nel proprio stato. Naturalmente l’esito appare spesso paradossale, perchè il candidato con più voti popolari può soccombere alla maggiorana dei grandi elettori scelti dal “collegio elettorale”. Tale sistema pur risultando equivoco non sarà mai corretto, tanta è la passione identitaria dei singoli stati. Non ci troviamo certamente di fronte ad una iniziativa democratica ....

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diritti umani

Visibili & Invisibili

gruppo giovani amnesty international

La Dichiarazione dei Diritti Umani - III

Così disse la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani (Parte 3) Rieccoci, dopo due mesi di assenza, con altre domande per la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo: abbiamo già parlato di tortura e schiavitù in Italia, di diritto alla vita e di diseguaglianza. Iniziamo con un chiarimento: nell’articolo 9 è detto che nessun individuo potrà essere detenuto, arrestato o esiliato arbitrariamente. Questo significa invocare una maggiore clemenza nelle sentenze? Assolutamente no: non voglio chiedere agli Stati di condonare crimini che, secondo giusto processo, sono da punire con eque pene. Chiedo solo espressamente che non sia la politica, lo Stato, o il singolo a decidere delle sorti di un imputato. É l’organo giudiziario, la Corte, a decidere, dietro un regolare processo, della punizione da attribuire al colpevole. Da sempre l’uomo si sposta, si mischia a gruppi etnici diversi dal suo, pretende di ottenere una nuova cittadinanza. Proprio il diritto alla cittadinan-

za ci interessa: per quale motivo è importante? In termini giuridici la cittadinanza è la condizione della persona fisica (detta cittadino) alla quale l’ordinamento giuridico di uno Stato riconosce la pienezza dei diritti civili e politici. La cittadinanza, quindi, è uno status del cittadino, ma anche un rapporto giuridico tra cittadino e Stato. L’importanza di questa condizione è chiara se si dà un’occhiata a ciò che essa garantisce all’individuo: i diritti civili, che comprendono la libertà personale, di movimento, di associazione, di riunione, di religione, l’uguaglianza di fronte alla legge, i diritti limitativi delle potestà punitive dello Stato, il diritto a non essere privati arbitrariamente della proprietà e così via; i diritti politici, relativi alla partecipazione dei cittadini al governo dello Stato; i diritti sociali, che comprendono, tanto per citarne alcuni, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, il diritto all’istruzione. (3. Continua) - G.G.Amnesty Pinerolo

libera

La strage di Brindisi: “Io non ho paura!”

Il 19 maggio è stato il primo anniversario della strage di Brindisi e noi non vogliamo dimenticare né la morte di Melissa Bassi né gli altri feriti e tutti coloro che davanti ai loro occhi conservano nitide le immagini di quelle ore di paura. I ministri dell’Istruzione e dei Beni Culturali, Maria Chiara Carrozza e Massimo Bray, insieme al vicepresidente del Senato Valeria Fedeli, hanno partecipato alla cerimonia di commemorazione davanti all’istituto professionale per i servizi sociali Morvillo Falcone. A officiare il rito, che alle 7.42 - ora in cui il reo confesso Giovanni Vantaggiato fece esplodere l’ordigno - si è aperto con la deposizione di un fascio di fiori bianchi davanti alla stele, è stato l’arcivescovo di Brindisi. Sia i ragazzi della scuola che i ministri hanno indossato tshirt bianche con la scritta ‘Io non ho paura’, simbolo della

manifestazione che, subito dopo l’attentato, fu organizzata dall’unione degli studenti della provincia di Brindisi. Tutti hanno voluto sottolineare come non si può e non si deve aver paura di andare a scuola e che bisogna assolutamente riuscire a mantenere vivo il ricordo di quanto è accaduto, ma cancellare il dolore, poiché questo è l’unico modo per ricominciare a sperare e per far sì che la verità emerga e che chi ha compiuto un simile gesto comprenda la gravità del suo atto. I ministri e il vescovo hanno voluto ricordare ai ragazzi che devono avere fiducia nella giustizia e non lasciarsi trascinare neanche un istante dall’idea di vendetta. Ora anche noi deponiamo un fascio di fiori in segno di pace sui nostri cuori e continuiamo a sperare nella giustizia e ad aver fiducia nelle autorità. “La mafia è un fenomeno umano e come tuttti i fenomeni umani ha avuto un inzio e avrà una fine”. Chiara Perrone

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in città

Serate di Laurea A cura di Maria Anna Bertolino

Matematica e Musica con Isabella Iennaco e Chiara Merlo

Corner detection e Amadeus Mozart Alzani Editore ha ospitato il 31 maggio l’ultimo appuntamento di Serate di Laurea, evento che ha terminato il suo terzo anno con due tesi magistrali in matematica e in Conservatorio, delle neolaureate Isabella Iennaco e Chiara Merlo. La prima relatrice, con una tesi dal titolo “Metodi di corner detection e applicazioni”, ha compiuto uno studio riguardante l’analisi comparata di alcuni metodi di corner detection, ovvero della rilevazione di punti angolosi. Come ci ha spiegato Isabella: «l’approssimazione di un insieme ordinato di punti tramite curve bidimensionali di varie forme è un’operazione essenziale in ambito manifatturiero e del design industriale. A tale scopo si costruiscono curve parametriche di un determinato grado che approssimino i punti nel miglior modo possibile,controllando la deviazione della curva dai dati forniti in input. Una componente critica del problema risulta quindi quella di preservare i punti angolosi. Nella mia tesi ho quindi analizzato alcuni metodi di “corner detection” per insiemi di punti ordinati rilevati a partire dal profilo di un oggetto tramite un particolare dispositivo quale un tecnigrafo digitale o un laser. In particolare ho generalizzato al tipo di input considerato quattro metodi proposti in letteratura relativi all’elaborazione di immagini e alla visione artificiale. Tali metodi utilizzano una stima della curvatura come criterio per l’individuazione dei punti angolo-

si». Chiara Merlo, invece, ha presentato la tesi dal titolo “I trii per pianoforte di Wolfgang Amadeus Mozart” e, dopo aver coinvolto la platea con l’ascolto della sua esibizione al pianoforte delle composizioni analizzate ci ha detto che: «ciò che mi ha conquistato di W.A.Mozart sono Isabella Iennaco state l’immediatezza, la leggerezza e la bellezza della sua musica. Per questo nella mia tesi ho voluto concentrarmi principalmente sul periodo di vita che lo ha visto come musicista indipendente a Vienna. Mozart ha cercato di anticipare una figura, quella del libero artista, propria del secolo successivo e difficilmente proponibile per un artista del tardo Settecento, secolo che vede nascere una connotazione stilistica del pianoforte, strumento complesso nato da diversi decenni ma solo ora considerato protagonista della scena musicale.Ho inoltre prestato attenzione all’analisi di ogni suo singolo trio. I trii di Mozart possono essere considerati alla stessa stregua delle grandi composizioni cameristiche mozartiane perché dotati di quelle caratteristiche dove è presente ad esempio un dialogo sviluppato minuziosamente fra i vari strumenti e addirittura la comparsa di frasi lunghe che vedono quattro voci in dialogo continuo o in imitazione, con il pianoforte che ne interpreta due, grazie alle differenze di registro». Chiara Merlo al pianoforte

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società

Giovani & Lavoro

di Giulia Pussetto

Intervista ad Andrea C., che da 4 anni vive a Perth

“Voglio andare in Australia...”

Negli ultimi tempi sono sempre più numerosi i giovani pinerolesi che si spostano all’estero. Fino a qualche anno fa la meta più gettonata sembrava essere Londra, ma adesso pare esserci un’altra destinazione molto ambita: l’Australia. Continente nuovo, paesaggi spettacolari, mix di culture. Abbiamo cercato di capire i motivi che spingono tanti di noi a raggiungere un luogo così lontano intervistando un giovane trentenne che ha vissuto quattro anni in Australia, Andrea C., in questo periodo in vacanza in Italia. Dopo un periodo a Londra per praticare meglio l’inglese, Andrea nel 2009 ha deciso di raggiungere Perth. Specifichiamo: il “boom Australia” oggi si sta diffondendo molto attraverso i passaparola positivi fra i giovani che ci sono stati. Per Andrea non è stato così, aveva semplicemente deciso di partire per la voglia di staccare dall’Italia per un po’. Racconta anche di avere avuto un amico che era già in Australia. Un aggancio è sempre utile, soprattutto quando ci si sposta così lontano. Andrea, secondo te perché così tanti decidono di prendere l’aereo e trasferirsi in questo continente? Sicuramente l’idea di vedere dal vivo paesaggi magnifici, poterli visitare senza dover spendere troppo e al tempo stesso riuscire ad avere un lavoro che permette di arrivare a fine mese senza aver bisogno di una specializzazione, diploma o laurea che sia, è un ottimo compromesso. Ci accenni del tuo lungo periodo a Perth? Ho lavorato presso un ristorante italiano: ho optato da subito per l’ambito della ristorazione. In Australia ho conosciuto molte persone, tra cui la mia attuale fidanzata con la quale mi sposerò a breve. Che tipo di lavoro consiglieresti di cercare a un giovane che è intenzionato a trasferirsi in Australia?

Io sono dell’idea che ognuno debba cercare il lavoro per il quale è portato. Certo i campi più gettonati sono quelli della ristorazione e dell’agricoltura. Moltissimi lavorano come camerieri oppure raccolgono frutta nelle farm, soprattutto per poter ottenere il permesso per rimanere un anno in Australia. Tuttavia non credo che si debba fare o questo o quello, il consiglio che mi sento di dare è fare ciò in cui si è capaci. La lingua è una barriera secondo te? “Assolutamente no, e per chi pensa che l’australiano sia così difficile da capire io penso che non ci sia da preoccuparsi: qualsiasi paese presenta una lingua con accenti diversi. Basta qualche mese per riuscire a ingranare. Quali sono i permessi principali per stare in Australia? I permessi sono tanti. Sicuramente il working holiday per lavorarci per un anno è quello più semplice. Paesi come la Spagna o la Svizzera non li hanno. Il permanent visa invece dà più stabilità e permette di entrare e uscire dal continente quando se ne ha bisogno, mantenendo il lavoro legalmente. Hai incontrato tanti giovani come te che hanno puntato sul lavoro in Australia? Alcuni sì, ma molti vanno per divertirsi e fare un’esperienza in un paese che permette molti divertimenti; c’è chi va per prendersi un anno sabbatico, c’è chi gioca a fare l’Hippy e girare con il Van ma ci sono anche tanti che lavorano duro e cercano di mettere da parte i propri guadagni. C’è possibilità di fare carriera secondo te? Sì, ad esempio attraverso lo strumento della sponsorship. Ogni anno il governo emette una lista di professioni ”sponsorizzabili”: dal cuoco, all’infermiere, al chirurgo... In genere sono professioni in cui c’è carenza. Se io ho competenze in queste professioni e trovo una ditta che mi sponsorizza e mi assume ho buone possibilità di avere successo.

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arte& lo spettaco

Teatro A cura di Federico Gennaro

valerio binasco al carignano

Giulietta e Romeo

Non è mai facile affrontare un classico della drammaturgia, a maggior ragione quando si tratta del “classico dei classici”, Romeo e Giulietta. Il rischio di cadere nel giàvistoegiàfatto è davvero alto, e la prima vittima in questi casi è quasi sempre lo spettatore costretto a tre ore di incessanti dichiarazioni e controdichiarazioni da parte dei due giovani amanti veronesi. Tuttavia questa volta l’operazione è riuscita e non sorprende scoprire che Valerio Binasco, regista dell’allestimento di “Romeo e Giulietta” andato in scena presso il teatro Carignano dal 23 aprile al 5 maggio, abbia vinto il prestigioso premio Ubu 2011 per la miglior regia (in ex aequo con le “Operette Morali” di Mario Martone). In scena si disegnano i contorni di una Verona sonnacchiosa, un po’ noiosa e sicuramente molto annoiata, sospesa in un’epoca indeterminata, forse a cavallo tra il ‘600 e i giorni nostri, sicuramente con elementi di entrambi. Fortunatamente sul palco non compare mai un Mercuzio a cavallo di una motocicletta e Romeo non si abbandona a look troppo faciloni e ammiccanti, al massimo scappa una maglietta degli Iron Maiden a Padre Lorenzo, ma la bravura di Filippo Dini (premio Le Maschere del Teatro 2011) nell’interpretazione del religioso fa passare tutto in secondo piano. Il dramma riesce a svolgersi in modo leggero quando serve, senza intaccare i pezzi forti della tragedia, mantenuti vivi dalle interpretazioni della giovane attrice turca Deniz Ozdogan (Giulietta) e da Francesco Montanari (Romeo), conosciuto al grande pubblico grazie al ruolo del “Libanese” nel televisivo Romanzo

criminale. Solo in alcune occasioni si percepisce una mancanza di uniformità nella regia, soprattutto in alcuni cambi di scena dove la variazione di registro appare un po’ macchinosa e forzata. Nel complesso l’allestimento è comunque di ottimo livello, Valerio Binasco e i suoi attori si divertono giocando con lo spettatore e cercano di spingerlo in quella Verona - a tratti illuminata delle luci di Las Vegas - che non si libera mai, ad eccezione del finale, di quell’alone di gretto perbenismo borghese che il regista ha voluto sottolineare più volte ma che del resto si ritrova già nel testo originale di Shakespeare. « È un’opera così famosa– scrive Binasco – che è impossibile sfuggire al già visto. In più mi accorgo che del testo mi piacciono soprattutto cose marginali: i personaggi secondari, il tono da commedia, il provincialismo italiano (di cui Shakespeare non sapeva nulla, certo, ma come non pensarci quando vedo quei poveri giovinastri Capuleti e Montecchi che si aggirano per Verona, nella nebbia, nel niente da fare delle province del Nord, determinati in modo quasi scientifico a diventare imbecilli come i loro genitori, antesignani illustri dei poveri baldi padani odierni … ?).» E sicuramente l’imbecillità umana non manca mai di essere sottolineata, soprattutto nei personaggi secondari, ma la ricerca di un’ostinata leggerezza spesso mal si sposa con quelle che diventano caricature macchiettistiche dei principali vizi umani. Una madre avvinazzata ha il sapore un po’ fastidioso di déjà vu, ma una balia che gioca continuamente con doppi sensi e facili battute alla lunga azzoppa un po’ lo spettacolo.

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Lettera a...

dal tempo

di Cristiano Roasio

Lettera ai pinerolesi

Un paese più che una città, una cittadina più che un paese

Con un titolo che non sfigurerebbe tra le epistole del santo omonimo della banca, se soltanto, invece che sulla via di Damasco, l’accecamento fosse avvenuto in quel di Buriasco, pressapoco come succede a me dagli specchietti retrovisori ogniqualvolta mi allontano da Pinerolo, voglio indirizzarmi non tanto a coloro che abitano Pinerolo, ma soprattutto a quelli che la passano, la superano, la salutano e ogni mattina ci tornano. Studenti, pendolari, lavoratori, gente in libera uscita (i quali solitamente dicono “E’ meglio Saluzzo” o “A Torino c’è più vita” ma poi immancabili alle 21.30/22.00 parcheggiano in quella piazza che per tutti è Piazza Fontana, come se chiamassimo la stazione, Stazione Rotonda e Alberi) e altre anime che affollano il centro di Pinerolo, ma non si muovono con la stessa sicumera di chi vive (a) Pinerolo. Sono/Siamo in una condizione limbica di distacco temporale e spaziale da una realtà che non ci appartiene: è sempre qualcosa di troppo grande perché di solito arriviamo da paesini che reclamano sguardi interrogativi quando cerchiamo di spiegare dove sono situate le nostre amate/odiate case, eppure è anche qualcosa di troppo piccolo, provinciale e semplice, rispetto a Torino: Pinerolo è un paese più che una città, una cittadina più che un paese. Pinerolo lascia sempre qualcosa di non detto, come se ogni volta cercasse di raccontarci qualcosa sul mondo in cui viviamo e poi lasciasse il discorso a metà, sospeso tra i rumori e le urla e l’affollamento del sabato mattina e il silenzio, al quale l’iconografia western potrebbe imprestare palle di tumbleweed, dei martedì notte. Da quindici km o forse più svetta quello scempio di grattacielo, tempo permettendo, ma quando ci siamo sotto non lo distinguiamo dai condomini medi. Ecco una bella metafora, Pinerolo scompare quando ci avviciniamo e ingrandisce quando ci allontaniamo. A piedi dalla “pe-

riferia” ci vogliono circa dieci minuti a raggiungere il centro, mentre in auto rallentati da semafori, rotonde, traffico, parcheggi a pagamento, in media ce ne vogliono di più. È una città/paese in cui vorrei abitare? No, troppo caotica. No, troppo poco caotica. Si, tranquilla e pacifica. Sì, viva e movimentata. La domanda che vorrei porre è: sono l’unico a percepire questa scissione tra paese e città o è una condizione generalizzata che si insinua nella ripetitività di gesti obbligati e monotoni e forse inutili quali salire su un pullman, su un treno, incollarsi le cuffie alle orecchie, imprecare contro il traffico proveniente dalle valli, il bip-bip della chiusura centralizzata dell’auto, e quindi relativa all’essere pendolari? O il porre fine a questa esistenza transeunte, passeggera, e dare consistenza ad una realtà abbozzata dall’iterazione, per stabilire solide fondamenta accoglienti alla città sulle nuvole, al paese che c’è ma tante volte potrebbe anche non esserci perché è solo una strada verso la meta prefissataci, è una delle prerogative della giunta comunale? Se sì, auguri. Io personalmente continuerei coi soliti festival, tipo Maschera di Ferro, il quale guarda caso esalta un passaggio, pur eminente, ed un allontanamento definitivo, replicato anno dopo anno. Dare una risposta a questa domanda potrebbe essere un compito che nemmeno una conversione sulla strada di Buriasco potrebbe portare a compimento. Quando sbuca da muraglioni di mais la vostra città è pressoché già finita e le tentacolari aristocratiche propaggini collinose con la bella stagione vengono inghiottite dal fogliame e dal verde; un piedistallo collinare mi porge la vostra chiesa rinomata per convegni stupefacenti ed erotico-sociali, ma non la vedo più di tanto, sto già volgendogli le spalle per tornare l’indomani, e ancora, ancora...

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cosedicasanostra

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Megafeste per la fine dell’anno scolastico in tutto il Pinerolese. In foto la Festa dei Maturandi del Liceo Porporato


società

Per Mostre e Musei A cura di Chiara Gallo

serata gastronomica-culturale

“A cena con... Alighiero Boetti” “A cena con…Alighiero Boetti” il titolo dell’evento culturale organizzato dall’agenzia Remax Eventimmobiliari e da Banca Mediolanum, svoltasi presso il ristorante Perbacco di Pinerolo, che ha avuto il successo desiderato grazie alla combinazione vincente tra buona tavola e arte piemontese! Ebbene sì, è proprio nella città ai piedi delle due valli, che la sera del 23 aprile scorso è stata protagonista l’opera intitolata “Sentieri di pensieri” del noto artista autodidatta Alighiero Boetti, esponente dell’Arte Povera torinese, corrente nata negli anni ’60. A presentare l’arazzo in questione il dott. Paolo Turati, economista ed esperto curatore d’arte. Egli è intervenuto introducendo il personaggio ed il suo stile, ovvero dell’arte povera, secondo cui ciò che conta realmente nell’arte è la semplicità e il riutilizzo dei materiali che si hanno a disposizione, in una composizione che riesca a rendere partecipe dell’opera il pubblico stesso. Le opere dell’artista, mancato nel febbraio del ’94, hanno accresciuto il loro valore di mercato di anno in anno, nonostante la crisi attuale. È proprio su questo punto che ha voluto focalizzare l’attenzione Turati: la stretta e reciproca relazione tra economia e arte. In un momento di empasse finanziaria il mercato secondario, cioè quello di com-

pravendita attraverso case d’asta quali Sotheby’s e Christie’s, è l’unico in continua crescita, dotato di maggiore sicurezza e stabilità finanziaria rispetto a quello degli immobili e dei titoli borsistici. L’arazzo ideato dal Boetti ed eseguito materialmente da un gruppo di donne afghane, è stato acquistato da Turati qualche anno fa e forte del valore raggiunto è stato esposto all’interno di numerose mostre in Italia e all’estero, tra cui Praga, ultima tappa prima di essere presentato a Pinerolo. Il nostro paese possiede un patrimonio culturale inimmaginabile, tuttavia, non siamo in grado di trarne il giusto profitto! Certo, considerando che spendiamo giusto l’1,1% della nostra spesa pubblica in questo settore, come potremmo?! Con l’augurio di riuscire almeno in piccola parte a cambiare questa triste situazione il dott. Turati ha concluso passando la parola al broker dell’agenzia immobiliare Remax Eventimmobiliari, Mauro Gallo, il quale in collaborazione con Orazio Tomaselli di Banca Mediolanum, è riuscito ad organizzare la piacevole serata, proseguita con una cena a base di piatti tipici della tradizione piemontese, un altro omaggio alle origini del nostro celebre artista. Speriamo di vedere organizzate altre cene altrettanto interessanti nel panorama culturale del pinerolese!

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società

Giovani,Tecnologia@Innovazioni a cura di Greta Gontero

Il velivolo ultraleggero per circumnavigare il globo

Solar Impulse Fare il giro completo della terra in soli 2025 giorni? Sarà possibile grazie al progetto Solar Impulse: ovvero il primo velivolo ultra leggero che è alimentato da energia solare ma che, nonostante la necessità di luce, può volare sia di giorno che di notte! Questo accade perché le celle solari (situate su un’ampia apertura alare) durante il giorno, in parte utilizzano l’energia del sole come carburante, in parte la immagazzinano per permettere la riuscita del volo anche di notte. L’aereo è stato progettato, a partire dal 2003, da Bertrand Piccard e i suoi collaboratori, al Politecnico di Losanna (Svizzera) con l’obbiettivo di girare attorno al globo

terrestre senza sosta. Il primo tentativo su una breve tratta, dal Belgio alla Francia, si è concluso senza successo a causa delle cattive condizioni atmosferiche, ma è stato seguito da un’altra prova, da Zaventem (Belgio) a Parigi, per la durata di circa 16 ore con una media tra i 50 e i 60 Km orari ad un’altitudine superiore ai 3600 metri. Poi nel 2012 c’è stato un altro volo di prova da Payerne (Svizzera) a Madrid, aumentando così la distanza coperta dall’aereo. Infine pochi giorni fa, Solar Impulse ha volato per circa 20 ore per una distanza di 868 miglia (1398,8 km), battendo il record mondiale di distanza con un aereo solare.

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musica

Officine del suono

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A cura di Demis Pascal

m u s i c a emergente

Töc

Questo mese la musica suona in provincia di Cuneo, dove incontro Marco che senza preamboli inizia subito a parlarmi del suo nuovo progetto, Töc. Lascio quindi la parola all’eclettico musicista: ”t.o.c. è il mio progetto solista ed è iniziato casualmente nel dicembre scorso, non è nato con l’intento di avere per forza un gruppo alle spalle ma come un progetto adattabile a più situazioni, nel senso che in base a ciò che mi viene richiesto potrei suonare con tanti elementi alle mie spalle quanto presentarmi da solo, armato solamente della mia chitarra acustica... e poi perchè non voglio essere vincolato ad avere sempre le stesse persone nella band...” Infatti nelle prime due date della manifestazione “Saluzzo Underground” il progetto ha avuto formazioni differenti. ”Nell’esordio la band comprendeva oltre me alla voce - continua Marco - anche Andres Barbero alla chitarra elettrica (leader degli Elettrica), Marco Volpi alla chitarra acustica (chitarrista dei Ready to rock, l’altra mia band) e Vincenzo Moscatello al basso (leader degli Efram). Mentre nella seconda data si è aggiunto alle percussioni Federico Giovanniello che nel concerto d’esordio era relegato solamente al bizzarro ruolo di cameriere sul palco”. Ora che ne sappiamo di più mi preme sapere se il progetto, nelle intenzioni, fa parte di un genere musicale specifico. ”Il mio intento dall’inizio è stato quello di fare il cantautore mantenendo uno stile musicale più acustico possibile, in modo da poter suonare, come ti accennavo prima, in più situazioni. ...Credo che nei pezzi si sentano molto le mie influenze rock, però in questo progetto il tutto suona più raffinato...” Parliamo ora di esperienze live, per Töc la primavera 2013 è stata densa di attività e di soddisfazioni. Marco torna a prendere la parola: ”Saluzzo underground è stato il mio primo step da solista, più che altro per capire come avrebbe reagito la gente al mio spettacolo e posso definirmi orgoglioso di essere andato oltre le più rosee aspettative.

Chi mi aveva visto suonare fino a quel momento mi conosceva come chitarrista rumoroso in jeans e maglietta, mentre in quest’occasione mi sono presentato per la prima volta nella mia vita senza chitarra, vestito elegante con frac, bombetta e bastone da passeggio. Ho fatto il mio spettacolo ed ho vinto la serata, qualificandomi per la finale del mese successivo. Una volta giunto alla serata conclusiva ho migliorato alcuni elementi dello show precedente e nel verdetto finale sono stato premiato con un concerto al Nuvolari a Cuneo e con un’esibizione alla festa della musica a Saluzzo”. “Dal Saluzzo underground quindi ho avuto enormi soddisfazioni e l’occasione di presentare uno show un po’ diverso dal solito con alcuni elementi scenici che possono essere teatrali, ma che, ci tengo a sottolineare,non hanno assolutamente la pretesa di rendere il mio concerto uno spettacolo di teatro, del quale non ho nessuna competenza”. Recentemente anche in concorso Aclinfestival Rock 2013 ha segnato una tappa importante. Questo rivoluzionario progetto musicale ha partecipato al concorso con la stessa band della finale al ratatoj con un attitudine un po più rockettara data la dimensione del palco. Lo spettacolo è stato grosso modo lo stesso con qualche variante sulle scenette tra un brano e l’altro e Marco ha avuto l’onore di vincere il festival e di accaparrarsi anche il premio come miglior cantante. Il progetto prosegue ora col vento in poppa, a breve vedrà la luce un EP registrato presso i TR Recording Studios, nel quale Marco ha suonato tutti gli strumenti. Inoltre verranno messi in scena nuovi spettacoli per le date vinte al “Saluzzo Underground” e il tutto sarà coronato da uno stage professionale presso il CET di Mogol nel quale Marco intende migliorare ulteriormente le sue qualità oltre ad accrescere la sua esperienza in ambito musicale . Restiamo quindi in attesa dei nuovi spettacoli, buttando un occhio al profilo Facebook di Marco Töc Bongiovanni.


società

Andare al cinema di Andrea Obiso

successo di sorrentino

Italiani a Cannes

Anche quest’anno il Festival più influente, e senza dubbio più glamour, del cinema mondiale si è concluso. I punti forti di quest’anno sono stati l’apertura spumeggiante de il “Grande Gatsby” di Baz Luhrmann, ennesima rivisitazione del grande classico della letteratura americana, celebrando un Leonardo Di Caprio come sempre in grande spolvero incorniciato da luci sgargianti e atmosfere tipiche degli anni d’oro USA. La giuria quest’anno è stata guidata da Stephen Spielberg e, fra i giurati, il neo Premio Oscar Ang Lee. Il premio più ambito, la Palma d’Oro, quest’anno è andata a “La Vie D’Adele”, un’interessante quanto angosciante storia di una teenager la quale, a causa di un’intrigante ragazza dai capelli blu per cui prova strane e nuove sensazioni, riconsidererà la sua sessualità ed i suoi sentimenti verso l’universo maschile. L’opera del tunisino Abdellatif Kechiche, già autore del bellissimo “Cous Cous”, è stata probabilmente la più pregevole della manifestazione

e quindi, una volta tanto, in pochi hanno contestato la scelta della giuria. Nonostante la grande qualità offerta dalla manifestazione francese, la visibilità delle pellicole in concorso verrà ridimensionata nelle sale italiane, come sempre. Per quanto riguarda i lati positivi del nostro cinema ci teniamo a sottolineare che le due pellicole italiane presentate al Festival, di cui solo una in concorso, brillano per bellezza e diversità di genere sia fra loro che rispetto all’offerta cinematografica italiana contemporanea. Reduce dal discreto successo di “This Must Be The Place”, Paolo Sorrentino ha presentato “La Grande Bellezza”, film in concorso rimasto a bocca asciutta in fatto di premi a Cannes. Tuttavia nulla viene tolto alla grande considerazione che il pubblico e la critica gli hanno riservato confermando l’affezione francese verso il nostro Sorrentino. La storia di Jep Gambardella in una Roma splendente (ancora una volta il bravissimo Toni Servillo è protagonista agli ordini di Sorrentino) probabilmente incontrerà il favore del pubblico italiano dopo aver conquistato la critica, stesso trattamento in fatto di pubblico dubito verrà riservato a “Miele”, opera prima di Valeria Golino. Estremamente diverso da “La Grande Bellezza”, “Miele” è un film decisamente “scomodo” e difficilmente commercializzabile in un Paese in cui sono la leggerezza e la commedia a farla da padrone. Miele, interpretata dall’attivissima Jasmine Trinca, è una ragazza che realizza suicidi assistiti a persone cui è stata diagnosticata una malattia terminale. Un giorno però Miele deve fare i conti con un uomo che non è in fin di vita, ma che semplicemente non desidera più vivere. Questa scoperta porterà Miele a mettere in discussione la propria vita e la propria missione. Presentato nella categoria “Un Certain Regard”, “Miele” è forse la pagina migliore del Festival di Cannes di quest’anno per quanto riguarda i nostri colori. Sperando che qualcuno se ne renda conto anche in sala.

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società

Appunti di viaggio di Mauro Beccaria e Angelica Pons

Per la via francigena

Camino de Santiago de Compostela Dopo la tappa a Lourdes, luogo di pace dell’anima, in treno per Bayonne e poi per S. Jean-Pied du Port, partenza della Via Francigena, un borgo fortificato ai piedi dei Pirenei brulicante di zaini e cappelli, gente di ogni età e diverse nazioni. Si timbra la credenziale e si cerca alloggio. Il tempo è pazzerello, e noi sotto le mantelle per non farci sorprendere dagli acquazzoni, ma le sorprese più belle sono i nuovi amici: dopo uno scambio spontaneo ognuno imbocca la strada, per poi ritrovarsi con qualche km in più ed un’esperienza nuova da raccontare. Provviste per il viaggio: une baguette croutillante, un pain qui chante? Mais oui, bien sur! Si prosegue per la Route de Napoleon, prima asfalto, poi sentiero erboso, avvolti dalle nuvole, nel verde; di tanto in tanto ci sorvola un rapace. I primi 17 km sono francesi, ma al rifugio dello stop per la colazione siamo nei Paesi Baschi: il gestore ci tiene e noi siamo Occitani, comprendiamo la sua fierezza. Salendo, la boscaglia cede il passo al terreno battuto da vento e pioggia. Ecco i cavalli selvatici, uno dietro l’altro, noi in basso, loro sul crinale in alto, l’aspetto austero; la capobranco è gravida. Lungo la strada non si è soli: una vita qui sfida il freddo fuori, e la vita interiore si espande. Concretamente poi le persone in cammino paiono una processione, come una corona del rosario dai granelli distanti. Ci addentriamo nella nebbia. Uno spuntino nel rifugio semi-abbandonato con due coreani, per cui il trekking è sport nazionale! Infine, oltrepassiamo la neve sull’alto passo, scegliendo una via più facile per non finire nel panta-

no. “Let is snow”! sembra Natale. Acqua fresca alla fonte dedicata a Rolando, l’eroe della retroguardia di re Carlo, che cadde con suoi in un’imboscata a Roncisvalle: le sue gesta furono celebrate dai trovatori e nella “Chanson de Roland”. Scendendo si ritrovano i boschi, ma gli alberi contorti e sfocati sembrano quasi fantasmi, con le goccioline rapprese sulle sommità in boccio. La discesa è spedita, ci si addentra nel fogliame, ai nostri piedi viole e mirtilli. All’improvviso, come un sogno, oltre la bruma svetta un campanile ed infine la collegiata di Roncisvalle! Nelle immense stanze sembra di essere ad Hogward, ma non apprendisti maghi, bensì apprendisti pellegrini. L’edificio severo ma splendidamente riorganizzato ospita oltre 400 persone: noi siamo i n. 305 e 306, in mansarda. Ben ripuliti si va alla cena pellegrino in un locale con l’accogliente tepore del camino. Dopo tutti alla Messa e la benedizione. Siamo nel piccolo Comune di Navarra che trasuda fede e storia: l’antico auberge, con gli spessi contrafforti, risalente a prima dell’anno mille, e poi la Capilla de Santiago, la Capilla de Sancti Spiritus, o Silo de Carlomagno e la Iglesia de Maria, con statua della Vergine rilucente argento e diamanti. La mattina alle 6 un’ospitalera entra cantando: “Laudate Dominum omnes gentes: wake up!”. Caffè, pane e cioccolato e si riparte sotto un cielo trasudante goccioline, ma noi ristorati avanziamo allegri per altri 25 km attraverso le più antiche foreste dei Pirenei, con alberi di bosso ultracentenari, merli che fischiano e un cuculo che saluta.

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Sono a m i c i d i P i n e r o l o I n D i a l o g o

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