Pineroloindialogo Gennaio2015

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Anno 6,Gennaio 2015

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INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Trappola mortale Manuela Gasca: la Bochard e il Polo Culturale; un metodo per ragionarci

Intervista a Franco Magnano, assessore all’Urbanistica

in alta Val Chisone G.Fioraso, geologo CNR: “I rischi geologici dell’ondata edificatoria delle Olimpiadi”


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

bisogna iniziare!

L’importanza dei buoni propositi Giungere alla fine dell’anno significa fare bilanci. Sentiamo un bisogno irrefrenabile di chiederci cosa è andato bene e cosa non è stato affatto positivo. Forse per rivedere ancora una volta l’anno appena trascorso, ma soprattutto per progettare i prossimi dodici mesi. Una lista è necessaria, quasi a convincerci che il nuovo anno sarà quello giusto e ci riserverà le sorprese che attendiamo da una vita. Si parte dai propositi più classici – la dieta, la palestra, smettere di fumare – a quelli che difficilmente potrebbero realizzarsi – cambiare totalmente vita, reinventarsi in un paese straniero, vivere di rendita. Lo dicono anche gli esperti: i propositi per l’anno nuovo ci preparano ad affrontare con ottimismo il nuovo anno, infondendoci il coraggio e l’entusiasmo di cui abbiamo bisogno. Vedere su carta gli obbiettivi che ci proponiamo è importante, li fa sembrare più realizzabili e ci dà l’impressione di progettare qualcosa di veramente nostro, all’altezza dei nostri desideri. Navigando sul web si incontrano liste di buoni propositi di ogni tipo, ma quella più toccante resta sempre quella formulata dalla Comunità Internazionale all’alba del nuovo millennio. Sono passati quindici anni e non tutto si è realizzato. Progetti ambiziosi,

certo, che hanno richiesto l’intervento di ogni potenza e non sempre risposte positive. Otto i punti principali: sradicare la povertà estrema e la fame; raggiungere l’istruzione primaria universale; promuovere la parità di genere e l’empowerment delle donne; ridurre la mortalità infantile; migliorare la salute delle madri; combattere l’Aids, la malaria e altre malattie come la Tbc; garantire la sostenibilità ambientale; sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo. Si sono fatti passi da gigante per quanto riguarda istruzione, diminuzione della mortalità infantile e della mortalità da parto, numerose le malattie mortali combattute, la povertà e la malnutrizione sono calate, la condizione sociale e politica delle donne è decisamente migliorata. Perdurano però lo scontro tra civiltà, conseguenza dell’11 settembre, e i disagi in campo ambientale, con emissioni di anidride carbonica superiori al dovuto. Certo, la deadline del 2015 non potrà essere rispettata. Troppi sono stati gli imprevisti e le difficoltà, ma la comunità internazionale continua sulla strada del miglioramento. Proprio come noi, passo dopo passo, fino al completamento della lista.

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolo e le due città Ogni anno che inizia è carico di aspettative. Così anche il 2015 che è appena incominciato. Eppure vediamo intorno a noi, in questa città in profonda crisi di idee e di identità, molto scetticismo. Non solo di adulti navigati, ma anche di giovani che non intravvedono possibilità di realizzazione di sé in questo nostro territorio e in molti sognano l’espatrio verso altri paesi vicini e lontani. In questa situazione generale di pessimismo voglio raccontare la storia di due città della California, Menlo Park e Visalia, distanti l’una dall’altra 300 km. Queste due città agli inizi degli anni Settanta avevano un mix socioeconomico abbastanza simile. Visalia era soprattutto un paese a vocazione agricola e di piccola industria manifatturiera, Menlo Park era formata in buona parte da residenti di classe media, ma contava anche un significativo numero di famiglie a basso reddito; le differenze di qualità della vita, tuttavia, erano relativamente limitate. Oggi però i due centri sono molto diversi. Menlo Park, al centro della Silicon Valley, è uno dei più importanti poli economici del mondo, il salario medio è al secondo posto in America, le scuole sono tra le migliori della California, oltre la metà dei cittadini ha una laurea e continua ad attrarre imprese dell’hi-tech, buon ultima Facebook. L’esperienza di Visalia è diametralmente opposta, oggi è penultima a livello nazionale per numero di lavoratori con formazione universitaria e il salario medio è tra i più bassi d’America. Il tasso di criminalità è elevato. Segue a pa.21 Antonio Denanni

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2 Buone News

l’importanza dei buoni propositi

4 In città

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un polo culturale a pinerolo?

Primo Piano

in alta val chisone una trappola mortale

Politica giovane young

l’assessore all’urbanistica f.magnano

10 Giovani & Storia

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camillo alliaudi e la biblioteca della città

Lettere al giornale

le profezie del nuovo anno

Teatro

due fratelli: la storia di boris e lev

Il Passalibro

nella tempesta della memoria

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apprezzare la difficoltà

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il giovane artista gabriele scarpelli

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Lettera a...

Uomini del Pinerolese

enrico agù, chef

Per Mostre e Musei Vita internazionale

francesca bassetti: aspettando l’erasmus

Musica emergente

i “flashback from future”

Cose dell’altro mondo

due stati per israeliani e palestinesi

Visibili e Invisibili

giovani amnesty e libera

21 Andare al cinema

PINEROLO INDIALOGO

Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Stella Rivolo, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Isidoro Concas, Sara Nosenzo, Valentina Scaringella Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Francesca De Marco, Giacomo Denanni Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

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Il nuovo cinema di natale

le nuove scoperte della scienza

Viaggiare

un viaggio a medjugorie

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.pineroloindialogo.it/eventi http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


in citt à

Dibattito in Città di Emanuela Gasca, Politecnico di Torino

Ripensando la caserma Bochard

Un Polo Culturale a Pinerolo?

“Conoscere, studiare, condividere per progettare” Pinerolo Città della Cavalleria, Pinerolo la città del Panettone, Pinerolo ai piedi delle Alpi, Pinerolo e la Maschera di Ferro… Sono tante le espressioni con le quali in questi anni è stata definita la nostra Pinerolo, città dal passato storico e dal panorama mozzafiato dell’anfiteatro alpino in cui il Monviso domina fiero quelle che, dal 2006, sono chiamate Valli Olimpiche. Pinerolo però è anche e soprattutto cittadini e persone che transitano dalla nostra città per motivi di lavoro, studio, momenti di incontro. Sono sufficienti queste componenti per ripensare a Pinerolo in termini di valorizzazione culturale? La sfida è sempre avvincente ed entusiasmante ma, per vincerla, bisogna raccogliere tutti i possibili contenuti e strumenti in quella che viene chiamata la “cassetta degli attrezzi”. Proverò così a sintetizzare in questo contributo attraverso le quattro parole chiave conoscere, studiare, condividere e progettare quelli che dovrebbero essere gli step essenziali per raggiungere una progettualità concreta, strategica e realizzabile nel mediolungo periodo. CONOSCERE la città e le realtà che in essa co – esistono in diverse forme. Conoscere la storia del territorio e dei suoi cittadini per saper raccoglierne le esigenze e le sfide verso il futuro. STUDIARE a fondo i problemi sia attraverso l’analisi di casi studio comparabili, sia analizzando esempi sviluppati in contesti diversi per ciò che concerne la metodologia e i risultati raggiunti. Studiare il proprio pubblico, utilizzando le fonti primarie ricavate direttamente da chi fruisce del progetto e le fonti secondarie ricavate attraverso dati quantitativi e statistici ufficiali, ma anche i soggetti che potrebbero essere interessati alle progettualità proposte. Studiare anche il “non pubblico” (Bollo, 2008), coloro cioè che non usufruiscono ora delle opportunità culturali, ma che potrebbero

diventarne interessati. CONDIVIDERE le idee con chi vive e chi opera sul territorio, dai residenti agli stessi policy maker in un processo bottom – up che parte dalla raccolta dei desideri dei cittadini, primi fruitori della Città. Concertare progettualità poi sia con quelli che vengono chiamati stakeholders, quei soggetti cioè che potrebbero essere portatori di interesse della proposta, sia con gli attori istituzionali o con i possibili enti finanziatori che è buona norma coinvolgere già dalle prime fasi del progetto in modo che possano essi stessi portare suggerimenti per una più efficace realizzazione dell’iniziativa. Condividere anche con ricercatori ed esperti di settore che direzionino le idee laddove i campanilismi limitano una visione generale delle potenzialità progettuali. Condividere quindi le informazioni e le progettualità in una scala territoriale che parte in primis dagli abitanti della città per poi raggiungere organismi istituzionali alti quali per esempio l’Unione Europea. Il tutto cogliendo le sfide che le nuove tecnologie ci stanno offrendo. Come ha ricordato il Prof. Pier Luigi Sacco in un recente convegno, infatti, le nuove modalità di fruizione dei contenuti attraverso il web portano a parlare di Cultura 3.0 come modello emergente di organizzazione della produzione e della disseminazione dei contenuti culturali, che si distingue per la crescente smaterializzazione della frontiera tra chi produce cultura e chi ne fruisce (Gasca, 2014) PROGETTARE non solo luoghi fisici ma anche processi di partecipazione, momenti di aggregazione, metodologie solide per lo sviluppo di idee concrete rivolte al mediolungo periodo. Fondamentale è l’orizzonte temporale che non deve essere rivolto solo alla realizzazione di una singola iniziativa, convegno o evento spot, ma deve guardare al medio-

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Prima di progettare occorre “condividre le idee con chi vive e opera sul territorio” lungo periodo in un’ottica strategica e di pianificazione, come per esempio sta facendo Torino che sta impostando le progettualità in un orizzonte temporale legato al 2025. Agire superando l’immagine metaforica del cavallo a dondolo secondo la quale ci si muove ma allo stesso tempo si rimane fermi su se stessi (Argano, 2013). Progettare quindi per affrontare in modo proattivo il futuro con le sue ambiguità e la sua incertezza, per restituire passione e impegno, per esplorare il cambiamento senza subirlo passivamente (Argano, 2013). Alcune realtà ce l’hanno fatta. Alcune città, Matera, per esempio, che l’autunno scorso ha vinto la sua sfida diventando Capitale Europea della Cultura per il 2019 ripensando alla cultura come «base comune di riflessioni sul perché e sul come viviamo, su gli obiettivi delle nostre esistenze, sul come si intrecciano competenze scientifiche e tecnologiche ad abilità manuali e creatività» (Comitato Matera 2019, 2014). Non solo città ma anche aziende che hanno deciso di rilanciare la loro tradizione produttiva attraverso l’apertura al pubblico tramite momenti di racconto e di condivisione della propria esperienza con il pubblico, come succede nel caso degli itinerari di turismo industriale proposti all’interno delle iniziative di Turismo Torino e Provincia. Alcuni musei stanno anche lavorando in questo senso. La Reggia di Venaria Reale per esempio, aperta nel 2007, sta lavorando per creare una visita culturale che non sia solo un’escursione museale, ma un’esperienza più completa da vivere con la propria famiglia. Cultura che si muove seguendo le vicende economico – sociali del nostro paese che non sembra offrire ai giovani prospettive lavorative a lungo termine e che quindi

chiede loro di riorganizzarsi in nuove forme di impresa culturale come le start – up (Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi, 2014). Ragioniamo quindi in questo senso verso una Pinerolo che possa ripartire dalla cultura grazie ai suoi cittadini e alle sue tradizioni. Bibliografia essenziale Argano L. (2013), Tornare a progettare. La capitale europea della cultura 2019 e le opportunità per l’Italia, in “Una strategia per la cultura, una strategia per il paese”, Grossi R. (a cura di), 24 ORE Cultura srl, Pero (Milano). Bollo A. (a cura di) (2008), I pubblici dei musei. Conoscenza e politiche. Franco Angeli, Milano. Centro di Ricerca e Documentazione Luigi Einaudi (2014), Semi di Fiducia. Quindicesimo Rapporto «Giorgio Rota» su Torino, Centro Einaudi, Torino Comitato Matera 2019 (2014), Matera città candidata capitale europea della cultura 2019, dossier di candidatura Gasca E. (2014), Cultura e patrimonio culturale: come valutare gli impatti sul territorio, in “Il Giornale dell’Arte/Fondazioni”, edito da Il Giornale dell’Arte, Società Editrice Umberto Allemandi & C. spa, Torino, 27 ottobre. ISSN 0394 – 0543. Disponibile on line: http://www.ilgiornaledellarte.com/ fondazioni/articoli/2014/10/121633.html Gasca E. (2014), Musei vs giovani nelle politiche di audience engagement. Buone pratiche per un coinvolgimento attivo di adolescenti e giovani, in “Il Giornale dell’Arte/Fondazioni”, edito da Il Giornale dell’Arte, Società Editrice Umberto Allemandi & C. spa, Torino, 25 luglio. ISSN 0394 – 0543. Disponibile on line: http:// www.ilgiornaledellarte.com/fondazioni/ articoli/2014/7/120647.html

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primo piano

Urbanistica e Territorio

L’allarme di Gianfranco Fioraso, geologo CNR

In alta Val Chisone una trappola mortale pronta a scattare alla prossima criticità meteorologica «A tutt’oggi se non è possibile impedire un’alluvione o una frana, è comunque possibile prevederne e quindi prevenirne gli effetti»

Gli eventi alluvionali che nello scorso autunno hanno colpito la Liguria e parte del Piemonte, della Lombardia e dell’Emilia hanno riproposto per l’ennesima volta l’annoso problema del dissesto idrogeologico che flagella il territorio italiano. Fatti, immagini e storie che si ripetono, nella loro cruda drammaticità, con sempre maggiore frequenza lasciandosi alle spalle interminabili scie di parole, luoghi comuni, polemiche e soprattutto inazioni. In un paese senza “cultura della memoria”, a pochi mesi da quei fatti tutto sembra essere nuovamente ripiombato nell’oblio, quanto meno fino al prossimo disastro. Un problema apparentemente senza concrete soluzioni. Tutto ciò impone alcune riflessioni sul delicato rapporto tra l’uomo e il territorio in cui vive. I fenomeni alluvionali non costituiscono un’anomalia ma rappresentano il normale processo evolutivo cui è perennemente soggetto il paesaggio naturale. In tutte le epoche la storia di un territorio è stata indissolubilmente contrassegnata

dallo stretto connubio tra vicende umane ed eventi naturali: l’affermazione di Will Durant secondo la quale “la civiltà esiste per consenso geologico, soggetto a cambiamenti senza preavviso” appare quanto mai calzante ed evidenzia - se mai ve ne fosse la necessità la fragilità del tessuto urbano al cospetto delle forze impulsive della natura. In tal senso il territorio pinerolese non costituisce un’eccezione, avendo in più occasioni sperimentato l’irruenza distruttiva di fiumi e torrenti. Focalizzando l’attenzione su quanto avvenuto nei secoli scorsi, le cronache e i documenti dell’epoca sono purtroppo ricche di tragici avvenimenti. Nell’autunno del 1542, a seguito di una violenta piena il torrente Pellice distrusse in buona parte l’antico borgo raccolto ai piedi della piccola rocca di Monte Bruno, obbligando la popolazione ad abbandonare per sempre quell’area. Nel novembre del 1706, il torrente Chisone, ingrossato dalle continue piogge, cancellò l’abitato di Moreaux, situato tra le

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“Eventi alluvionali e territorio: una convivenza possibile?” frazioni di Fraisse e Souchères Basses. Il torrente Chisone fu nuovamente tragico protagonista in occasione dell’alluvione del 20 maggio 1728 senza ombra di dubbio una delle più gravi che abbiano colpito l’arco delle Alpi Occidentali quando deviò in parte il proprio alveo lungo un tracciato di perduta memoria e lambì l’abitato di Osasco, lasciando dietro di sè un’ampia scia di devastazioni. Considerando unicamente l’area del Pinerolese montano e pedemontano, dal 1332 ad oggi si hanno notizie relative ad almeno 127 eventi alluvionali che hanno causato danni più o meno gravi al tessuto urbano e alle vie di comunicazione. Un dato che appare ancora più clamoroso se rapportato ai diversi periodi storici: infatti, se fino al secondo conflitto mondiale la ricorrenza media era di un evento calamitoso ogni 8,2 anni, dal secondo dopoguerra ad oggi la media è drammaticamente salita ad un evento ogni 1,3 anni. Un incremento esponenziale che è coinciso con l’aumento della pressione antropica sul territorio e che tuttora non accenna in alcun modo a diminuire. In termini economici l’importo dei danni alluvionali risente inoltre dell’accresciuta complessità tecnologica che rende sempre più vulnerabile il territorio. Le cause di un così elevato grado di rischio non sono da ricercarsi - come sempre più spesso e affrettatamente affermato da opinionisti, amministratori e talvolta tecnici - nei cambiamenti climatici in atto, quanto in una errata attività di pianificazione che ha consentito la realizzazione di insediamenti abitativi quanto meno azzardati, uno sviluppo urbanistico incontrollato e selvagge trasformazioni speculative: tutto ciò trascurando, talvolta deliberatamente, le esperienze negative del passato. Tornando alla realtà pinerolese, se è pur vero che in taluni comuni virtuosi le amministrazioni che si sono susseguite hanno brillantemente salvaguardato il territorio assecondandone la naturale propensione al dissesto, in altri le logiche e le azioni adottate sono state di ben altro tenore. In tal senso l’ondata edificatoria che in alcuni

comuni dell’alta Val Chisone ha accompagnato le Olimpiadi 2006 non solo ha letteralmente cambiato la fisionomia di estese porzioni di territorio, ma si è tramutata in una trappola mortale pronta a scattare alla prossima criticità meteorologica. Ciò non farà altro che aumentare il prezzo, già sproporzionatamente elevato, che l’intera comunità paga quotidianamente da molti anni e dovrà inevitabilmente pagare in futuro. Se in alcuni casi è possibile correggere almeno in parte gli errori del passato con un’oculata protezione delle aree maggiormente esposte al rischio, per altri la possibilità di ridurre concretamente gli effetti dirompenti di alluvioni e frane appare del tutto aleatoria. Inoltre, per quanto imponente possa essere lo sforzo di messa in sicurezza di un insediamento o di un’opera nei confronti di una minaccia naturale, non sarà comunque mai possibile raggiungere il livello di “rischio zero”. L’attuale grado di conoscenza del territorio in cui viviamo quotidianamente è assai elevato, grazie anche a strumenti di acquisizione ed elaborazione delle informazioni estremamente sofisticati e in continua evoluzione. Il rischio geologico è quindi molto spesso chiaramente determinabile e dovrebbe accompagnare e indirizzare in maniera quanto più oggettiva qualsiasi scelta progettuale o urbanistica, anche a costo di radicali ripensamenti o di un loro drastico azzeramento. Se non è possibile impedire un’alluvione o una frana, è comunque possibile prevederne e quindi prevenirne gli effetti. Le azioni di prevenzione troppo spesso dimenticate e trascurate a favore di tardive e spesso inefficaci azioni di “messa in sicurezza” - risultano di gran lunga meno costose di qualsiasi intervento di ripristino e ricostruzione. Inoltre una completa attività di prevenzione deve inevitabilmente passare anche attraverso una corretta e capillare informazione dei cittadini, quasi sempre ignari dei rischi naturali che possono minacciare la loro sicurezza. Gianfranco Fioraso, CNR, Istituto di Geoscienze e Georisorse, Torino

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Politica giovane young di Emanuele Sacchetto

Franco Magnano, assessore all’Urbanistica

«Cercherò di portare avanti le scelte condivise dall’amministrazione nel 2014»

Verrà aggiornato il Regolamento Comunale per armonizzarlo col Testo Unico Franco Magnano, assessore da un mese e mezzo, ha ottenuto la delega all’Urbanistica dal sindaco Buttiero, che l’aveva tenuta per sè per tre anni e mezzo. Lo abbiamo incontrato così come abbiamo fatto in precedenza con gli altri assessori. Come Assessore all’Urbanistica lei entra in gioco quasi a fine mandato: cosa si propone di fare in questo anno e mezzo che rimane? Cercherò e cercheremo di portare avanti le scelte condivise dall’amministrazione, come indicate nelle linee guida del marzo 2014. In particolare la “variante ponte” per la ristrutturazione della pianificazione urbanistica della città, che include naturalmente recuperi energetici, attenzione per le diverse aree della città, limitazione dell’espansione dell’edificabilità e anzi la sua riduzione. Al di fuori della “variante ponte”, ma comunque punti di attenzione dell’amministrazione saranno inoltre il centro storico e la collina. Urbanistica significa anche sostenibilità ambientale e promozione paesaggistica e culturale: cosa propone? Ci proponiamo di dare particolare attenzione agli edifici costruiti negli anni ‘40-70, prevedendo premialità per

la loro messa in sicurezza (dal punto di vista sismico ed energetico), al fine di ottenere un territorio più sicuro e pulito. Inoltre pensiamo di promuovere i prodotti di artigianato a km 0 (ad esempio agganciandoci alla Filiera del Legno della Val Chisone e Val Germanasca), dando impulso ad un settore con beneficio anche culturale per il nostro territorio. In merito all’ambiente, ancora, un anno fa avevamo già sollecitato il Sindaco Buttiero per l’adozione del Regolamento Comunale Gestione Rifiuti approvato dall’Assemblea ACEA nel 2008, che permetterebbe un miglior controllo del corretto smaltimento dei rifiuti nei vari eco-punti, con sanzioni per i trasgressori. Il Sindaco, ignaro della sua esistenza, si propose di provvedere, ma ad oggi ancora niente. Lei cosa ci dice? Ignaro anch’io dell’esistenza di questo Regolamento, non posso che rimandare la questione al Sindaco, in quanto egli stesso si occupa della gestione dei rapporti con ACEA e quanto discende da questi. Posso però garantire che l’amministrazione si sta muovendo nella direzione di sensibilizzazione dei cittadini per una corretta differenziazione dei rifiuti e per la videosorveglianza di alcuni eco-

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«Noi siamo assolutamente favorevoli alla delocalizzazione dell’ACEA. Il problema è la valorizzazione dell’area» punti, che permetterà in particolare di punire chi lascia rifiuti ingombranti fuori dai cassonetti, anziché nelle eco-isole. Parliamo di piste ciclabili: non tanto quelle per il cicloturismo, quanto piuttosto quelle per l’utilizzo quotidiano dei cittadini. C’è un progetto per la loro realizzazione? Nella variante ponte ci sono alcune possibili soluzioni, ad esempio per la pista ciclabile che collega il centro di Pinerolo con la zona di Abbadia, ma sarebbe necessario uno studio più complesso, connesso con la viabilità cittadina. Si pensava in merito di proporre un “bici plan”, ma i fondi scarsi e altri problemi hanno per il momento spostato l’attenzione altrove. In merito al tema dell’edilizia libera da vincoli burocratici inutili, avevamo tempo fa notato una certa incongruenza tra il nostro Regolamento Comunale e il Testo Unico in materia: si stanno appianando queste divergenze? Certamente, è in fase di aggiornamento in questo momento, e avanzerà insieme alla “variante ponte”. Parliamo della riqualificazione del già edificato, con attenzione particolare per il centro storico. E’ un tema su cui puntare o si continua a consumare terreni nuovi? Certamente è un tema su cui puntare, ma è un progetto che viaggia parallelamente alla “variante ponte”. Quest’ultima infatti non tocca né la collina né il centro storico, ma riduce l’edificabilità di circa 1900/2000 abitanti sui 54 000 teorici previsti dal Piano Regolatore. Tra i più grandi e importanti progetti di valorizzazione che l’amministrazione cerca di impegnarsi a realizzare c’è certamente la zona Türck: vorremmo in particolare una zona non solo edificata, ma un progetto più ampio che comprenda anche delle zone parco. ACEA: non sarebbe il momento di prevedere una delocalizzazione nella zona del Polo Ecologico, sgravando così il centro città dal traffico dei mezzi pesanti e liberando così una zona ampia per parcheggi e altro? Noi siamo assolutamente favorevoli alla delocalizzazione dell’ACEA. Il problema

principale è la valorizzazione della zona liberata, per la quale ci vuole una soluzione condivisa. Purtroppo su questo punto non siamo del tutto in linea con la società: il nostro obiettivo sarebbe infatti quello di evitare un’eccessiva edificazione dell’area, puntando invece su un’area parcheggio, parco e non solo abitativa. Parlando di parcheggi: è ancora necessario e c’è un progetto per qualche soluzione? A quanto mi risulta dovrebbe venire presentato uno studio di un privato per un parcheggio sotterraneo, ma al momento non ci sono progetti in piedi. Una breve riflessione... L’indicazione dell’assessore all’urbanistica è arrivata solo ora, ad un anno e mezzo dalla fine del mandato. Vien da chiedersi perché. Forse l’urbanistica è un tema poco importante e poco impegnativo? Non sembra plausibile. Avevamo già rivolto alcune critiche al neo-Sindaco Buttiero al momento della presentazione della sua squadra per essersi tenuto la delega per sé, tanto da affibbiargli l’epiteto di Super-Buttiero. Ma qui non c’è tanto da far dell’ironia. I temi che l’urbanistica affronta sono seri e con importanti conseguenze sul territorio e sui cittadini. E davvero ci si è accorti solo ora, a quasi fine mandato, che questi meritavano l’attenzione di un assessore a tempo pieno? Ben si rammenteranno i cittadini della enorme preoccupazione che faceva arrovellare tutti i candidati sindaco delle scorse elezioni: il piano regolatore e la modifica urbanistica della città. Tutti furono d’accordissimo sulla assoluta impellenza di modificarlo. Ma invece no. Si è preferito tacere per 3 anni e mezzo. E adesso, quando sarebbe il momento di avere le idee chiare su ciò che si vuole realizzare per portare i progetti quanto più possibile a compimento, ci sentiamo rispondere “si pensava”, “stiamo analizzando”, con il rischio ulteriore di soluzioni affrettate e poco efficaci (la variante ponte ad esempio riduce solo di 2 000 abitanti i 54 000 teorici previsti dal Piano Regolatore: non certo un gran risultato rispetto alle promesse elettorali!). Be’, facciamo quindi i complimenti per il tempismo all’amministrazione e auguriamo un buon lavoro al neo-assessore che dovrà cercare in poco tempo di sopperire al vuoto normativo della prima parte di mandato! Emanuele Sacchetto

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Giovani&Storia

Città

di Nadia Fenoglio

Appunti di storia locale

Camillo Alliaudi e la biblioteca della città Che la Biblioteca civica di Pinerolo stia stretta nell’attuale sede di Via Battisti è cosa nota, e che in futuro possa trasferirsi nell’ipotizzato Polo culturale da realizzare nell’ex Caserma Bochard è tutto da vedere. Nell’attesa, speriamo che la polvere non consumi più di quanto non abbia già fatto il patrimonio della nostra «custodia dei libri», secondo l’origine etimologica del nome «biblioteca». Chissà cosa direbbe oggi il professor Alliaudi, che della nostra Biblioteca fu l’ideatore: nel 1858 scrisse infatti una lettera al Comune di Pinerolo in cui si proponeva di donare alla città la sua preziosa libreria privata, insieme agli scaffali in cui erano collocati i libri, per destinarla a biblioteca pubblica. Camillo Alliaudi nacque a Pinerolo nel 1816; intrapresi studi umanistici per diventare professore, si laureò in Lettere a Torino ma la sua attività di maestro elementare e studioso si sviluppò nel territorio della città natale. Appassionato di storia locale, si dedicò alla raccolta e alla trascrizione di antichi documenti, riguardanti la storia del Pinerolese, conservati negli archivi civici e claustrali della zona. Esito delle sue ricerche fu il “Cartario dell’Abbazia di Santa Maria”, pubblicato nel 1855 a seguito di un lavoro di ricerca e comparazione delle fonti dell’antica abbazia pinerolese. Nel 1858, dicevamo, decise la donazione – che poté realizzarsi solo nel 1866. Alcune condizioni, fissate dall’Alliaudi, dovevano però essere rispettate: ad esempio, la nomina di un bibliotecario

che garantisse l’apertura al pubblico della biblioteca almeno quattro giorni la settimana e il divieto di prestito dei libri, in sola consultazione (eccezion fatta per l’Alliaudi stesso). La Biblioteca, che oggi porta il suo nome, fu concepita dal prof. Alliaudi in termini moderni: le biblioteche che, in passato, erano «la gloria di un convento o l’orgoglio di un Principe» nello Stato liberale sarebbero diventate «vanto e decoro di un Municipio», come scrisse in una lettera al sindaco di Pinerolo. In questa prospettiva Alliaudi donò dunque al Comune la sua libreria, consistente di 2884 libri a stampa e 132 manoscritti, prima pietra di «un luogo di convegno a persone colte, amanti di qualche studio non superficiale e del civil conversare». E, oltre ai libri, «eleganti scanzie munite d’imposte con lastre di vetro», un grande tavolo, dodici seggiole, uno sgabello in noce e una scrivania.Tra le opere donate dal professore alla comunità, la maggior parte tratta argomenti storici: la storia del Piemonte e dei reali di Savoia, la storia di Francia e della sua corona. Notevoli anche gli scritti dedicati alla storia religiosa, con particolare attenzione alla vicenda valdese,libri di letteratura, strumenti di consultazione come vocabolari e glossari. Tra impedimenti e lungaggini burocratiche, ecco che il 7 giugno 1868, nel nuovo Stato unitario, fu inaugurata la Biblioteca municipale Alliaudi, a memoria del professore – morto l’anno prima – che intese il sapere più come dono che come possesso.

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PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

Le profezie del nuovo anno

Con l’inizio di un nuovo anno l’antica severità della profezia degrada ad astrologia da rotocalco. Con sottile cortigianeria sentimentale veniamo informati che raccoglieremo successo nei territori che più ci stanno a cuore, la salute attraverso performances sorprendenti, l’amore sotto forma di un incontro che segnerà una svolta, il lavoro che ci regalerà promozioni e riconoscimenti. Il profeta - colui che parla davanti a tutti e immerge la sua voce nel futuro in nome di una parola che non viene da lui - si annacqua nella banalità di una pre-dizione di colore rosa, certa dell’impunità perché tra un anno nessuno andrà a controllare. E sì che qualche anticipazione seria sarebbe possibile, anzi doverosa. Ad esempio, sappiamo con certezza che nel 2015 rivivremo con mille tonalità diverse il centenario della nostra entrata nella guerra mondiale che ha inaugurato il secolo breve. Ripercorreremo la follia di un conflitto che si poteva evitare, l’ingresso spensierato nella tragedia a passo di valzer, la disinvolta convinzione dei governanti che dopo poche settimane tutto si sarebbe risolto, e l’inutile strage che avrebbe segnato la fine non solo dell’impero austro-ungarico ma dell’Europa stessa come centro del mondo. Forse rifletteremo che la pazzia della guerra punisce sempre chi l’ha scatenata, e che quel declino oggi si è dilatato all’intero occidente, della cui potenza stiamo conoscendo il tramonto. Forse incominceremo a cercare una sua possibile egemonia nell’unico campo che conta davvero, quello della cultura e dei diritti (che peraltro non godono di buona salute nemmeno loro). Poi siamo in grado di prevedere anche altro. Alla fine di questo mese le elezioni in Grecia, qualunque ne sia l’esito, scrolleranno bruscamente le colonne del tempio, quello

impassibile dei bilanci, delle banche, delle cancellerie dell’Europa. E constateremo ancora una volta che siamo condannati a realizzare sotto la dettatura del trauma ciò che sarebbe stato assai più indolore se attuato sotto suggerimento della ragione. Altre profezie sono possibili. La turbolenza sociale che serpeggia nel mondo e anche in casa nostra prenderà forme più aggressive e micidiali. E’ sempre accaduto che, quando le diseguaglianze sociali diventano troppo oppressive, esse esplodono come il ribollire dei vulcani, e non c’è motivo di illudersi che andrà diversamente. I disordini climatici aumenteranno, avremo l’ulivo a Fenestrelle e gli sciatori in cerca desolata di neve. Avremo altri migranti che ci chiederanno scusa di non essere annegati, e altri pensionati che entreranno nei negozi con aria dimessa, non devo comprare nulla ma a casa non ho il riscaldamento, mi scusi non darò disturbo. Anche noi potremmo tenere una rubrica settimanale, ma avremmo pochi lettori. Per questo sarebbe augurabile un’altra versione della profezia. Del tipo guai a voi, popolo sordo e ottuso. Guai a voi che pensate solamente alla seconda casa, alla terza pelliccia, al quarto cellulare. Guai a voi che siete corrotti e neppure sapete più di esserlo, avete scelto un pubblico servizio e l’avete trasformato in privato self service. Guai a voi che date un prezzo a tutto ed a nulla un valore. Ma quel profeta ha chiuso per ferie e se ne sono perse le tracce.

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arte& spettacolo

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Teatro

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di Sara Nosenzo

al sociale la tragedia in 53 giorni di paravidino

Due fratelli, la storia di Boris e Lev Regia magistrale per un dramma dalla tensione quasi insostenibile. Fausto Paravidino, il regista poco più che ventenne, opta per una messa in scena minimale. Una scenografia essenziale, tre pareti verde-grigio con macchie di ruggine e alcuni elettrodomestici che fanno intuire l’ambientazione: una cucina, centro focale dell’azione. Prima scena, parte la musica e la stanza è buia: una ragazza col seno scoperto con indosso la biancheria intima e poco altro prende possesso del palco; con estremo stupore della platea un uomo, secondo a entrare e completamente nudo si aggiunge alla donna. Il loro dialogo è lento, costruito e con pause molto lunghe da una risposta all’altra. Il botta e risposta interminabile si snoda sull’affermazione di lei «Non voglio più fare l’amore con te», l’incipit di tutto il dramma e la causa di tutti gli avvenimenti successivi. Erica è una ragazza forte, libera e sessualmente indipendente, non chiede mai scusa e non utilizza mezzi termini. La sua modernità si scontra con l’emotività glaciale di Lev, maschio per eccellenza e di convinzioni sessiste, che è il suo ex fidanzato e fratello minore di Boris. Quest’ultimo è schivo, timido e introverso, stringe le spalle quando deve parlare e cerca di trovare ordine nel mondo caotico e sconnesso che lo circonda; la relazione di Lev e Erica lo disturba, la ragazza non va bene per Lev e quindi nemmeno per lui. I toni del dramma si accendono ad ogni litigata dei due che non fanno altro che

agitare l’animo inquieto di Boris. Massimo momento di suspense il tentato omicidio di Erica da parte di Lev: è in quell’istante che la storia cambia e i ruoli di protagonista e co-protagonista si invertono. Lev parte militare, sparendo dalla scena e dalla vita dei due rimasti soli in casa, vittime della passione sincera, naturale e dolce. Un amore totalmente diverso da quello mostrato fino a quella scena. Boris è attratto da Erica, lei non è più scortese, disordinata o ostile. Si veste di un abito bianco virginale, come Boris descrive essere la sua fidanzata alla mamma. Un sogno che si realizza e prende vita davanti agli occhi degli spettatori, finchè… colpo di scena. Lev torna e l’accoglienza è ben diversa da quello che si aspettava. Un dramma in 53 giorni in cui il tempo è scandito dalle luci, dal buio e la luce del mattino, e l’unico elemento del mondo esterno è dato dalla voce della madre dei due fratelli che viene ascoltata su nastro, lettere incise su cassette. Lettere che sono sinonimo di bugia, di abbellimento della realtà, di una finzione per non far preoccupare i parenti lontani. Ingrata immagine di quello che potrebbe accadere, ma che in seguito non si manifesta mai. Una storia intensa, dialoghi ben studiati e interpreti precisi e convincenti in ruoli molto difficili. La naturalezza e la veridicità delle ambientazioni e del dramma donano allo spettatore un mancato effetto di straniamento e una completa immersione nella trama. Coinvolgente.


Società

Il Passalibro di Valentina Scaringella

Lilli Gruber - Tempesta

Nella tempesta della memoria “Be’, non abbiamo scelta… Non possiamo fare altrimenti… Insomma, non siamo liberi di fare quel che vogliamo!”. Già, ma dove inizia e dove finisce la nostra libertà? E, dunque, la nostra responsabilità? Lilli Gruber l’ha domandato al passato della sua famiglia e della sua terra, il Sudtirolo. Prima con Eredità, ora con Tempesta. La forma è quella avvincente del romanzo, ma personaggi, situazioni e dialoghi nati dalla sua fantasia non cambiano la Storia delle tante storie disseminate in lettere, diari, interviste, libri e documenti d’archivio. La scrittrice e la giornalista sono infatti un imparziale e rispettoso tutt’uno dinanzi alle voci di chi visse o avrebbe potuto vivere gli eventi che si verificarono tra il 1941 e il 1945, all’epoca dell’incessante eco dello strappo del Trattato di Saint-Germain-en-Laye (1919): l’Impero austroungarico viene smantellato e il Sudtirolo, con i suoi 250 mila abitanti di lingua tedesca, si ritrova d’un tratto sotto il dominio italiano. Hella, prozia dell’autrice – nata nel 1916 «in una famiglia che aveva un solo motto: Dio, l’imperatore e la patria» –, ama la sua Heimat: la sua terra natia con la sua lingua e le sue tradizioni. Ed è dall’ombra di questo amore che guarda a Hitler come a una sorta di liberatore. Come a colui che, abolendo i veti del fascismo, renderà nuovamente possibile parlare tedesco e praticare gli usi e i costumi del luogo. Come la maggior parte dei sudtirolesi,

nel 1939 opta per l’appartenenza al Terzo Reich, anziché all’Italia di Mussolini. Mettendo in secondo piano quelle terribili verità che si vanno sempre più palesando a tutti di giorno in giorno. Disabili fisici e mentali omosessuali rom ebrei comunisti socialisti oppositori dissidenti: perseguitati torturati eliminati. Sudtirolesi che della grande nazione tedesca finiscono col divenire soltanto la carne da macello, da dare in pasto alla vorace guerra. Le sconterà in prima persona Hella, col suo amore per un uomo delle Waffen-SS. E ne pagherà le conseguenze Karl, l’altro protagonista, strenuo oppositore del nazionalsocialismo e componente essenziale del suo ingranaggio al contempo, con i suoi affetti più cari. In un incrocio di destini accomunati dalla tensione a un ideale, dall’amarezza della disillusione, dalla perdita dell’innocenza e dall’insanabilità delle ferite, nonché dal tentativo di riscatto tramite un ultimo nobile gesto. Ma il riscatto è possibile? “Né col fascismo né col nazismo!”. Questa la scelta che si sarebbe dovuta e potuta fare! Eppure, Oskar Schindler, membro del partito nazista, con la sua lista ha salvato più di 1100 ebrei. E Sophie Scholl e gli altri appartenenti alla Rosa Bianca, sebbene inseriti nel sistema, con la loro ribellione e il loro sacrificio hanno scosso le coscienze e rotto il silenzio della paura e dell’indifferenza. Perché non si può mai sapere, prima della fine, quale ruolo possa ancora giocare ognuno di noi.

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dal tempo

Lettera a... di Cristiano Roasio

Lettera a... chi si alza prima della fine del film

Apprezzare la difficoltà Vi assicuro che essere polemici e vedere sempre il lato negativo delle cose non è per niente facile. Certo, per la scrittura, così come per l’esistenza, sembra una scelta opportunistica, più semplice: quante volte capita di sentire “ti lamenti sempre e non fai mai niente”; allo stesso modo, la frustrazione è un terreno decisamente più fertile per uno scrittore (o semplicemente per iniziare uno scritto), perché quasi fosse un vulcano che impiega molta energia a scoppiare e poi lascia scorrere grazie alla gravità fiumi di lava, anche un’idea ha bisogno di un’esplosione. Però, subentra in seguito la riflessione e se l’idea esplosa non supera il vaglio del lavorio interiore, ebbene quella sarà solo uno sfogo sdegnoso, finito lì. Perché questa introduzione? Mi è recentemente capitato di partecipare ad alcune proiezioni dello storico cineforum di Pinerolo e sempre ho assistito al triste spettacolo di alcuni spettatori che lasciano la sala prima, talvolta tanto prima, della conclusione del film. Se escludiamo il mio solito, forse troppo avido, sgomento per lo spreco in sé del denaro speso e se ci dimentichiamo di quanto le critiche da parte di tutti verso i nostri paesini siano riassumibili in “non c’è mai niente da fare”, poi le occasioni che invece effettivamente ci sono vengono poco considerate, deve essere colpa della difficoltà. Il più delle volte quando non gradisco qualcosa è perché non la capisco. Ciò non significa che tutto deve piacere a tutti (che poi è quanto accade nel mondo che ci circonda, volto ad una democratica accettazione della banalità, sì persino del male), ma che anche ciò che non piace significa, anzi sovente rimane più impresso e lascia

strascichi maggiori nella nostra interiorità. Una fruizione intellettuale, sia essa film, libro o addirittura una parte dell’esistenza, può non piacere solo dopo un’attenta considerazione delle motivazioni che mi spingono al non apprezzamento; oppure può non piacere perché è troppo complessa per me: allora dovrei essere stimolato all’approfondimento al fine di tornare, eventualmente, al primo punto. Invece, è troppo diffuso il pregiudizio che l’arte debba essere intrattenimento, ed è ovvio che intrattenere significa semplificare come dimostra l’evoluzione, per esempio, della politica da vent’anni a questa parte. L’occasione di vedere, per altro al cinema, a prezzi contenuti, una selezione di film che dalle nostre parti vedono giusto il download di qualche interessato o esperto del mestiere, è troppo preziosa per alzarsi poco dopo la fine dei titoli di testa per due motivi: familiarizzare con la noia d’altro canto è conoscersi meglio e imparare, come gli stoici o i buddisti, ad affrontare il quotidiano; l’incomprensione scherma se stessa in modo protettivo proprio con la noia o, peggio, il rifiuto, per poter salvaguardare l’io avvilito dalla sua ignoranza: l’unico modo è assecondarla, capirla, superarla, rifiutandola solo dopo un’attenta riflessione o inglobandola dopo nel compreso, nel territorio delle conoscenze personali. Detto questo, l’unico film che ho visto lo scorso anno (non fate domande, mi smentisco con le mie azioni, mi contraddico, esisto, vivo) è stato quello meno apprezzato dal pubblico. Allora forse tutto quanto detto sopra può essere vero solo per me. Se è troppo difficile da accettare, prego sentitevi liberi di non leggerlo.

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Uomini del Pinerolese

Società

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di Sara Nosenzo

Intervista a Enrico Agù

In cucina l’ingrediente base è la passione Il periodo delle feste è anche un periodo di buon cibo e di buona cucina. Il nostro personaggio del territorio non poteva quindi che essere uno chef, uno che molti lettori di questo giornale hanno conosciuto alla festa della loro maturità: Enrico Agù. Quale è stata la tua formazione? Serve molto la scuola per questo mestiere? Ho frequentato l’Istituto Alberghiero di Pinerolo e sicuramente la scuola mi è servita soprattutto per quello che riguarda la pratica: era possibile fare stage in ristoranti, solo così si possono capire le dinamiche e le tempistiche che occorrono per essere un buon cuoco. Da almeno sette anni mi occupo della Festa dei Maturandi del Liceo Porporato ed è sicuramente stato un trampolino di lancio, per avere contatti e conoscenze. C’è da dire che sono cresciuto nell’ambiente della ristorazione, mio padre era cameriere, e questo ha fatto di me un predestinato. Hai un tipo di cucina particolare? Il mio stile si può definire principalmente piemontese e cosa molto importante le mie porzioni sono giuste, i commensali non devono andarsene con la pancia vuota. Diciamo che cambia la parte estetica dell’allestimento e dei piatti. La qualità della mia cucina rimane la stessa sia che si parli di un ricevimento di matrimonio sia di una festa di compleanno, grazie agli ingredienti freschi. Piatti come i risotti e il fritto misto sono le nostre specialità. Quanta creatività c’è nel tuo lavoro? E quale potrebbe essere un ostacolo? Devo ammettere che c’è molto spazio per la creatività: ogni anno si devono inventare

e trovare piatti, allestimenti e idee nuove per ogni tipo di occasione. Mi tengo aggiornato con corsi e seguendo anche l’operato di altri cuochi; l’inventiva va di pari passo con l’aggiornamento. Inoltre spesso ci sono delle richieste specifiche: cene con delitto, menù a tema o piatti solamente per vegetariani, mi è capitato con alcuni matrimoni. Un ostacolo è il fatto che non ti trovi nella tua cucina al ricevimento, sei magari in uno spazio esterno e in quei momenti l’organizzazione e la capacità di rimanere concentrati fa la differenza tra un ricevimento mediocre e uno ben riuscito. Io sono fortunato perché il mio lavoro è davvero la mia passione e quindi mi risulta abbastanza semplice mantenere l’attenzione per raggiungere l’obiettivo. Dal punto di vista economico ci sono dei vantaggi? La cosa che deve essere chiara, e questo vale per il mio mestiere come negli altri, è che o si è molto grandi oppure è meglio essere una piccola azienda. I costi sono molto elevati se si fa il salto. Il guadagno è soddisfacente, ma spesso il rapporto tra fatica e guadagno è sbilanciato. La tua professione credi sia di moda in questo momento? Secondo me c’è un’idea spettacolarizzata del cuoco, non è come a Master Chef. Cucinare per duecento persone necessita di un certo tipo di menù per una buona riuscita e questo spesso in televisione non viene fatto trapelare. La vera figura del cuoco è differente. Chi volesse iniziare la mia professione deve solo assicurarsi di avere passione, è l’unica qualità che non si può imparare. Per info: www.agucatering.com


Per Mostre e Musei

società

di Chiara Gallo

Gabriele scarpelli

Una creatività che lega arte e musica Una forte passione per l’arte guidata dall’istinto per la modernità e la costante evoluzione, fanno di Gabriele un artista emergente con molte cose da dire. Una voce un po’ particolare che si ispira a grandi maestri del passato e del presente in maniera personale, forse un po’ cinica, ma attuale e convincente. Abbiamo cercato di conoscere meglio questo poliedrico artista, ponendogli alcune domande. Parlaci della tua carriera artistica. Quando si è sviluppata? Il mio interesse per l’arte è nato quando frequentavo le scuole medie. In quel periodo abitavo sullo stesso piano del palazzo dove ha sede il noto studio d’arte contemporanea di Tucci Russo, cosa che ha sicuramente contribuito allo sviluppo di quest’interesse. Successivamente mi sono iscritto al Liceo Artistico e da lì ho cominciato a sviluppare capacità creative non solo legate al mondo dell’arte di per sé, ma anche e soprattutto connesse alla musica. Oggi cerco il più possibile di usare in maniera sinergica tutte le conoscenze che ho accumulato, producendo così opere nuove e dinamiche, ispirate alla realtà che affronto quotidianamente. Quali sono gli artisti passati o presenti a cui ti ispiri o che ammiri in particolar modo? Ammiro diversi artisti, primo fra tutti Andy Wharol, seguito da Brice Marden, il leggendario Pablo Picasso, Tony Cragg, Francis Bacon, Ettore Spalletti e il mio caro amico Andrea Nisbet. Difficile dire quale più abbia influenzato il mio lavoro, anche perché cerco sempre di mantenere la mia

originalità. Quali sono le tecniche che prediligi? Come tecnica prediligo la stampa su carta e la stampa su tela; in quanto al genere, invece, direi scultura e pittura sia astratta che concettuale. Mi piace molto sperimentare differenti materiali, vedere come interagiscono fra loro e quale risultato possono darmi. La materia è per me tanto importante quanto il soggetto, ed è fondamentale come l’espressione artistica istrinseca. Recentemente hai esposto presso l’Associazione 3A di Pinerolo, quali sono le tue impressioni a riguardo? Oltre ad esserne rimasto decisamente soddisfatto, ho riscontrato numerosi apprezzamenti da parte del pubblico. Ho cercato di esporre una panoramica completa dei miei lavori: sculture, stampe di vario formato e nuove sperimentazioni. L’insieme è stato gradito e ha permesso ai visitatori di avere un’idea del mio stile e del messaggio che volevo trasmettere. Progetti a cui stai lavorando al momento? Sto lavorando alla produzione di alcune stampe su carta e tela. I soggetti sono ancora in fase di ideazione, voglio che il pubblico possa rimanere ancora una volta colpito e stuzzicato dalle mie opere. Un tuo parere personale sul mondo dell’arte odierno? Poche ma incisive parole direi: sicura di sè, concettualmente affascinante, arrogantemente provocatoria.

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così per il mondo

Vita internazionale di Alessia Moroni

Intervista a Francesca Bassetti

Aspettando l’Erasmus

Emozioni ed aspettative prima di partire per Rotterdam Francesca frequenta il secondo anno dell’istituto IED (Istituto europeo di Design) e studia fotografia. Il prossimo febbraio si trasferirà a Rotterdam per sei mesi ed affronterà quell’esperienza cui molti studenti europei ambiscono: l’Erasmus. Ma come ci si prepara a questa avventura? Quali sono le preoccupazioni e le aspettative dei giovani? Ne parliamo con la diretta interessata, che ci racconta come è arrivata ad essere ammessa al programma e come ci si sente prima di un passo così importante e fondamentale della vita di un universitario. Hai sempre avuto l’idea di fare un’esperienza all’estero durante gli studi? Quando mi sono iscritta all’università, avevo già idea di fare l’Erasmus, penso che sia un’ottima opportunità, che si può cogliere solo durante gli studi universitari. Ho fatto richiesta e sono stata ammessa: le mete possibili erano quattro: Helsinki, Kent, Amsterdam e Rotterdam. Hai dovuto passare una selezione per essere ammessa? Cosa hai dovuto presentare? Ho fatto una prima selezione interna alla scuola: sono stata selezionata in base ai voti, al Curriculum Vitae e alla lettera motivazionale in Inglese. Ho inoltre presentato un portfolio che è stato visionato dalla scuola olandese. Quali erano le tue motivazioni? Ho spiegato che per me è sicuramente un’opportunità di espandere gli orizzonti anche perché a livello artistico l’Olanda ha

avuto una storia diversa dalla nostra. Parliamo del tuo imminente futuro: sai già come saranno organizzati i corsi che seguirai ed hai già trovato una sistemazione a Rotterdam? Le lezioni saranno in Inglese: ovviamente bisogna saperlo abbastanza bene, anche perché dovrò sostenere degli esami. A livello logistico, sto cercando una casa da dividere con altri studenti: ho guardato degli annunci di studenti dell’accademia che cercano casa. Pensavo di trovare qualcosina in centro a Rotterdam, così da muovermi a piedi o in bici. A livello emotivo e culturale sarà un impatto importante. Quali sono le tue aspettative? Ho un po’ paura di non trovarmi bene, ma in realtà so che in queste situazioni si crea una bella sinergia tra tutti e ci si aiuta, quindi bisogna stare tranquilli. Mi aspetto molto dal confronto con gli altri, di imparare cose nuove sulla tecnica della fotografia, trovare persone con cui costruire idee, creare qualcosa. Sono sicura che me la caverò, confido nel mio spirito di adattamento. Questa esperienza sarà sicuramente unica: credi che ti aiuterà nel cogliere altre opportunità all’estero? Per l’indirizzo che ho scelto bisognerà sicuramente spostarsi: se ci sarà occasione di andare all’estero penso che la considererei. Credo che questa esperienza mi renderà convinta e sicura di me stessa: sicuramente mi darà più sicurezza nell’affrontare situazioni lavorative eventualmente all’estero.

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musica

Officine del suono di Isidoro Concas

M u s i c a emergente

I Flashback From Future Qualche giorno fa hanno presentato sul prestigioso palco del Cap10100 di Torino il loro nuovo concept EP “Leaving Bangkok” ed il videoclip del primo singolo da esso estratto, Another Day On The Sofa, infiammando il pubblico con la loro miscela di funk, post-rock ed alternative. Sono i Flashback From Future, in attività dal 2009, ed in occasione di questa nuova importante tappa artistica li abbiamo intervistati. Dunque, prima di tutto, la domanda è doverosa: presentate il vostro ultimo lavoro come un concept: qual è la storia che avete voluto raccontare? Il concept vede la cittá di Bangkok al centro di tutto. Abbiamo deciso di sviscerare le peculiarità che la caratterizzano, estrapolando la dualitá tra sacro e profano, l’opposizione tra quartieri chiassosi e luoghi in cui regnano il silenzio e la meditazione, tra vie illuminate da luci ai led e piccoli templi buddhisti. Queste contraddizioni le abbiamo ritrovate all’interno della mente, dei pensieri che rimbombano nella testa del protagonista dell’EP: brani come Rise Again o Big Bang rappresentano momenti di serietá, di malinconia, di difficoltá nell’approccio alla vita di tutti i giorni e allo stesso tempo di speranza nel trovare una via d’uscita dalle preoccupazioni. Questi si contrappongono e si intrecciano a brani più scanzonati come Another Day On The Sofa e On The City Catwalk, i quali presentano la parte più strafottente e spensierata dei pensieri del personaggio. Pa(e)Tong, il brano con cui termina il concept, é una sintesi di questo percorso: il protagonista prende coscienza di sè dopo aver raggiunto un momento di massimo caos, la fine del brano, trovando la pace in se stesso. Leaving Bangkok rappresenta un percorso mentale, passando dalle vie più buie a quelle più estroverse del proprio io. Il vostro bagaglio di sonorità è molto ampio, mescolate diversi generi usando strumenti come il sax o l’hang (usato nell’intro di uno dei pezzi dell’EP)

che si affiancano ai più tradizionali basso, chitarra e batteria. Quale percorso vi ha portato a creare questa fusione di suoni? L’utilizzo dell’hang é prettamente relativo al concept album. Il suo ruolo in esso é peculiare: rappresenta il processo di inizio e fine della meditazione del protagonista nell’EP. Il sax, invece, é presente nel nostro complesso fin dalle origini. Il nostro approccio alla composizione, infatti, é sempre stato ibrido, volto in particolare alla fusione fra sonoritá jazz/funk e alternative rock. Dallo scorso EP, Stasera Si Suona Silenzio, si nota che avete abbandonato la scelta di cantare sia in inglese che in italiano, scegliendo di scrivere solo in inglese. Quali sono le ragioni di questa scelta? Le motivazioni che ci hanno spinti a tale scelta sono le seguenti: In primo luogo desideriamo che il messaggio della nostra musica sia universale e l’inglese è la lingua che permette a chiunque di comprendere i nostri testi. In secondo luogo vi è una questione pragmatica che riguarda il carattere prettamente anglosassone delle nostre canzoni (dovuto al nostro bagaglio culturale/ musicale) al quale secondo noi la lingua italiana non si adatterebbe. Dopo il live con cui avete presentato il vostro nuovo EP, quali sono i vostri progetti? Ci sono altri concerti all’orizzonte, o state già lavorando ad altro materiale? Il progetto preponderante che ci siamo posti é quello di far conoscere la nostra musica attraverso una attenta capillaritá di diffusione dell’EP Leaving Bangkok, utilizzato come oggetto di attenzione per rendere nota la musica secondo i Flashback From Future. Questo ci sarà possibile grazie a concerti a livello locale e nazionale e mediante l’utilizzo dei social network. Allo stesso tempo stiamo continuando a lavorare su materiale nuovo, perché riteniamo importante creare sempre qualcosa di nuovo.

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Cosedell’altromondo di Massimiliano Malvicini

17 dicembre 2014 - Risoluzione del Parlamento europeo

Due Stati per israeliani e palestinesi Il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza una risoluzione per riconoscere alla Palestina lo status di “Nazione”. Nello specifico, a Bruxelles si è approvato un documento che sostiene “in linea di principio” una serie di significativi elementi politico-giuridici tra i quali figurano il riconoscimento dello Stato della Palestina sulla base dei confini del 1967 e l’appoggio della soluzione di due Stati (Israele e Palestina) con Gerusalemme capitale condivisa, oltre che ad esortare alla ripresa dei colloqui di pace, più che mai congelati dopo gli avvenimenti nella “Striscia di Gaza”. La risoluzione è stata approvata con 498 sì, 88 no e 111 astensioni ed ha rappresentato la prima occasione di responsabilizzazione da parte del Parlamento Ue dal suo rinnovamento nell’aprile scorso, anche se la strada per il riconoscimento “pieno” della sovranità palestinese è ancora lunga. La travagliata storia della Palestina è tristemente celebre: un territorio piccolo ma ricco di risorse simboliche che si trova in un luogo di dispute dalle radici in un’epoca lontana: ancora prima della nascita dello Stato di Israele (1948).

Dopo numerosi conflitti bellici e crisi umanitarie (che sconvolsero tutta l’area mediorientale durante gli anni Ottanta), l’indipendenza dello Stato palestinese fu proclamata prima nel 1988 dall’Organizzazione per la Liberazione della Palestina ed in seguito sancita formalmente, non senza divisioni, dall’Organizzazione delle Nazioni Unite con la Risoluzione 67/19 dell’Assemblea generale del 29 novembre 2012 (che le ha consentito l’ingresso in qualità di stato non membro con status di osservatore permanente nell’Assemblea generale ONU). L’eventuale riconoscimento dello status di “Stato Sovrano” e non più di “Autorità Nazionale Palestinese” avrebbe il vantaggio di consentire una parificazione di status della Palestina rispetto agli altri Paesi del mondo materializzando lo status riconosciuto nel 2012. La risoluzione votata dal Parlamento europeo si inserisce quindi in questa prospettiva anche se specifica che, anche per motivi istituzionali connessi alla stessa forma di governo europea, sarà compito degli Stati decidere se portare avanti questo riconoscimento o meno, con tutte le conseguenze diplomatiche del caso.

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diritti umani

Visibili & Invisibili

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gruppo giovani amnesty international

Il regalo di Natale delle Nazioni Unite: entra in vigore il Trattato sul commercio delle armi Il 24 dicembre, mentre la maggior parte di noi si godeva i preparativi per il giorno di Natale, è entrato in vigore il Trattato sul commercio delle armi. In futuro gli Stati firmatari dovranno considerare gli effetti che ogni fornitura di armamenti potrebbe avere sui diritti umani del paese che la riceve. Ogni anno, infatti, il commercio di armi segreto e non regolato produce circa 500.000 morti e molti milioni di feriti. Da ora in poi sarà possibile bloccare i rifornimenti a quelle nazioni in cui è noto che le armi sarebbero usate per genocidi, crimini contro l’umanità, crimini di guerra e serie violazioni dei diritti umani. Amnesty International ha iniziato la campagna per la regolamentazione del commercio d’armi insieme ad altre organizzazioni all’inizio degli anni ’90, e il trattato costituisce un risultato importante nella battaglia cominciata vent’anni

fa. Finora Francia, Germania, Italia,Regno Unito e Spagna – cinque dei dieci principali esportatori di armamenti – l’hanno ratificato insieme ad altri 60 paesi. Gli USA sono tra i 70 Stati che per ora l’hanno solo firmato. Al contrario altri grandi produttori come Cina, Russia e Canada l’hanno respinto. Questi limiti sottolineano la necessità di continuare la campagna e come l’entrata in vigore del trattato non possa rappresentare che la prima fase di un lungo processo. Bisognerà richiedere la firma e la ratifica a quegli Stati che non le hanno ancora portate a termine e intanto verificare che esso sia applicato correttamente dove già entrato in vigore. In ogni caso, questo evento dimostra ancora una volta come l’azione di singoli cittadini uniti da una causa comune possa iniziare a fare la differenza.

Le infiltrazioni della’Ndrangheta nel Torinese Il 15 dicembre si è assistito ad un’udienza importante nelle aule del tribunale di Torino: infatti in tale data si è riaperto il processo d’Appello “Minotauro”, per la presunta infiltrazione della ‘Ndrangheta nel Torinese. Tra i 70 imputati che hanno deciso di ricorrere in appello c’è anche l’ex sindaco di Leinì, Nevio Coral, a cui era stata inflitta una pena di dieci anni. Egli infatti era stato arrestato in Francia, l’8 giugno 2011, e poi estradato in Italia con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa. Sin dal momento dell’arresto si è proclamato estraneo ai fatti ed ha sempre negato di aver avuto qualsiasi tipo di rapporto con esponenti della malavita, motivo per cui non ha esitato a ricorrere in appello in seguito alla sentenza di condanna. La condanna più alta di 21 anni e mezzo era stata inflitta invece a Vincenzo Argirò, considerato uno dei capi del crimine e braccio violento dell’organizzazione.

Il procuratore generale Antonio Malagnino ha chiesto di sospendere i termini massimi della custodia cautelare per tutta la durata del dibattimento, «data la complessità del processo». Il giudice della Corte d’Appello Paola Perrone ha accolto le richieste della Procura generale di Torino e 12 dei 70 imputati detenuti nel capoluogo piemontese resteranno in carcere anche oltre il 20 febbraio 2015, data di scadenza della custodia cautelare. La questione rimane aperta, difatti a gennaio vi sarà la prossima sentenza. Non dobbiamo dimenticare che gli arresti erano scattati in seguito a cinque anni di indagini e che questo è il più grande processo che si sia mai tenuto in Piemonte, relativamente alla presenza di un’organizzazione mafiosa. di Chiara Perrone


società

Giovani,Tecnologia@Innovazioni

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a cura di Greta Gontero

Skoog Libera il musicista che è dentro di te! Così recita la campagna pubblicitaria di Skoog, strumento rivoluzionario e adatto a tutti. Ammettiamolo, a chi non piace saper suonare uno strumento? Chi non prova emozione nel produrre qualcosa di “musicalmente nuovo”? Ma, spesso, i costi di corsi e l’acquisto di uno strumento musicale si rivelano alquanto elevati… Per questo motivo è nato Skoog, uno strumento “non tradizionale” e accessibile a tutte le tasche. Con la sua superficie di controllo sensibile al tocco, Skoog si presenta come un cubo morbido e flessibile, di medie dimensioni e quindi facilmente trasportabile. Essendo uno strumento musicale “touch” può produrre musica mentre lo si ruota, scrolla o picchietta con le dita, insomma lo si manipola con le mani (ma volendo con qualunque parte del corpo, anche i piedi) e Skoog produce suoni differenti.

Ma come fa a suonare? Gli inventori parlano di sensibilità regolabile, ovvero Skoog percepisce il tocco e un software all’interno di esso interpreta ogni segnale esterno trasformandolo in suono: è quindi molto facile poter creare melodie sempre nuove e differenti, anche perché si può scegliere da quale strumento musicale prelevare i suoni (chitarra, voce, violino ecc…). Inoltre è possibile registrare ciò che si è creato e sovrapporre le proprie tracce… Chiunque può diventare un artista con Skoog, perché è indipendente dalle abilità e dai talenti musicali. La ricerca di Skoog è iniziata nel 2006 e i primi saranno messi in commercio nell’aprile 2015. Chiunque fosse interessato può comunque dare un’occhiata a diversi video presenti sul web che dimostrano l’efficacia e le straordinarie capacità di questo “cubo magico”.

Onda d’Urto / Appuntamenti Via Vigone 22 - Pinerolo

• Prosegue la mostra di pittura di Luca Pellizzari: apertura, lun-merc-ven, ore 15-18 • Venerdì 30 gennaio, ore 18, Serate di Laurea • Mercoledì 28 gennaio, ore 20,45, Corso di Fitoterapia con la dott. Valeria Armand, La menopausa, il benessere delle vie urinarie Le due città, segue da pag 3

Non solo le due città sono diventate molto diverse, ma ogni anno la differenza cresce. La storia delle due città dimostra che una città con una solida base di capitale umano (i molti laureati) attrae un numero sempre maggiore di imprese di successo e di posti di lavoro con salari elevati, che poi ricadono su tutta la comunità, anche sulle persone con una bassa formazione. La storia di queste due città l’ho ripresa dal libro di Enrico Moretti, La nuova geografia del lavoro, considerato da Forbes “il libro di economia più importante del 2014”. Chissà se la storia di queste due città riesce ad insegnare qualcosa a questa nostra città di Pinerolo, e al suo establishment. Soprattutto a dar forza e coraggio al progetto del Polo Culturale. Antonio Denanni


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Andare al cinema di Andrea Obiso

la frenesia cinematografica natalizia

Il nuovo cinema di Natale

“Un certo tipo di prodotto (il cinepanettone) non è più gradito” Come ogni anno, alla fine, il Natale arriva. Per molti è un periodo felice e tranquillo, per altri è il periodo più frenetico dell’anno. A questa categoria possiamo tranquillamente ascrivere coloro che operano in ambito cinematografico, dai produttori agli attori, dagli uffici marketing ai proprietari delle sale. Dal 1983 (Vacanze di Natale, di Carlo Vanzina con Christian De Sica, Jerry Calà e Claudio Amendola) Natale era sinonimo di cinepanettone, fenomeno mediatico intergenerazionale vituperato, criticato e offeso ma allo stesso tempo foraggiato e supportato da milioni di italiani. Dopo il naturale e per alcuni troppo lento declino del ciclone De Sica (Christian), per la prima volta ci troviamo di fronte ad un fenomeno del tutto nuovo: una battaglia senza prigionieri per la conquista di milioni di spettatori che sotto le feste decidono di passare una serata al cinema. Tralasciando le pellicole straniere uscite nel periodo immediatamente precedente al Natale, troviamo in calendario i seguenti titoli, Un Natale Stupefacente, Il Ricco, Il Povero E Il Maggiordono, Il Ragazzo Invisibile, Ma Tu Di Che Segno Sei?, Ogni Maledetto Natale. Provando a fare ordine e cercando di capire se il livello sia superiore o

inferiore al Natale trascorso si rileva un fatto interessante: ad eccezione di Salvatores, il quale ha palesemente sfruttato il periodo natalizio per dare vita ad un prodotto crossmediatico partendo dalla fantascienza (primo caso in assoluto nel nostro Paese), tutte le pellicole elencate sfruttano le stesse dinamiche che avevano fatto grande (e ricca) la celebre coppia Boldi-De Sica. La situazione appare dunque chiara: gli spettatori negli ultimi anni hanno chiaramente fatto capire che un certo tipo di prodotto (il cinepanettone) non è più gradito, e per tutta risposta il mercato cinematografico si è diversificato per offrire svariate sfumature del suddetto prodotto. Alla ricerca, forse, di una nuova formula magica. Dal momento che gli incassi e la salute del nostro cinema ad oggi dipendono inesorabilmente dalla commedia, è evidente come l’apparato cinematografico sia restio ad apportare modifiche ad un sistema così complesso pur essendo obbligato a farlo. Il cinema italiano sta dunque vivendo un momento di svolta, auspicare che sia positivo per tutto il movimento è il miglior augurio che ci viene in mente per il 2015.

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Appunti di viaggio di Angelica Pons

mossi da curiosità...

In pellegrinaggio a Medjugorje In questo tempo di Natale il pensiero è tornato al nostro pellegrinaggio a Medjugorje: chissà che festa ci sarà stata in questi giorni, noi ci siamo stati il 5 agosto, in cui ricorre il compleanno di Maria e, in un paesino con una chiesetta e tanti negozietti lungo le sue uniche tre strade, c’erano centinaia di giovani da tutto il mondo. Ci aveva mossi una sana curiosità ma poi, al nostro viaggiare, zaino in spalla, in punta di piedi, per incontrare culture e popoli, visitare luoghi e fare esperienze nuove, si è aggiunto negli ultimi anni il pellegrinaggio per ringraziare, liberare la mente e rinforzare il corpo. Con questo spirito eravamo partiti verso est, attraversando la Croazia e facendo tappa nella cittadina in Erzegovina, 25 km a sud-ovest di Mostar. Il nome originario di Medjugorje è slavo e significa “regione tra due monti”; questo, con i villaggi di Bijakovci, Vionica, Miletina e Surmanci forma una parrocchia cattolica romana in cui vivono circa cinquemila abitanti. Tutta la regione è abitata da croati che accolsero il cristianesimo 13 secoli fa. Nei documenti storici il villaggio viene citato la prima volta nel 1599. La parrocchia attuale è stata fondata nel 1892, dedicata a S. Giacomo apostolo, notoriamente santo protettore dei pellegrini. In queste zone si viveva coltivando tabacco, vite e ortaggi. Noi vi abbiamo acquistato dell’ottimo miele di salvia, i cui cespugli fioriti sono disseminati sulle alture brulle. In passato molti lasciarono la loro terra, qui nell’entroterra così come nelle isole, per cercare lavoro in città

della Bosnia, della Croazia stessa o dell’Europa occidentale. Siamo ad un paio d’ore dallo stretto braccio di mare che è rimasto territorio bosniaco; dalle isole slave molti andarono ad imbarcarsi per compagnie di bandiera straniere per sopravvivere. La guerra di recente memoria ha lasciato solchi profondi ma, nonostante le difficili condizioni di vita, l’accoglienza turistica e la ripresa delle attività agricole e di pesca indicano una buona ripresa. A Medjugorie tutto è cambiato in una data precisa: 24/6/1981. Quella sera, sei giovani del posto videro sulla collina Crnica una figura bianca con un bambino in braccio, che indicava loro di avvicinarsi. Si spaventarono e andarono via. Il giorno dopo quattro di loro vi si recarono nuovamente e videro di nuovo la signora. La chiamarono Madonna, “Gospa” in lingua locale. Da subito i giovani furono perseguitati, il loro parroco incarcerato per tre anni dal tribunale comunista. Ma da allora le apparizioni sono continuate e i gruppi di preghiera si sono moltiplicati in ogni dove, accogliendo l’invito a pregare per la pace. La Pace, il messaggio costante. Siamo di fede cattolica e ben conosciamo la prudenza della Chiesa nei confronti di ogni manifestazione. Non produciamo né giudizi né prove. Testimoniamo di esser stati in un luogo di gioia e pace e proponiamo a chi lo desidera di fare la stessa esperienza, che per noi è stata bellissima. Un’esperienza di pace. Il 13 gennaio, ore 17,30, presso la Libreria Mondadori, piazza Barbieri, Pinerolo, proiezione e racconto del cammino lungo la Via Francigena, a cura di Mauro Beccaria. Ingresso libero.

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Sono amici di Pinerolo InDialogo e di Onda d’Urto 24


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