Pineroloindialogo gennaio2014

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Anno 5, Gennaio 2014

INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Pinerolo, Docenti universitari del Pinerolese/12 Intervista a Bruno De Benedetti

basta piangere! Intervista a Giorgio Canal di Sel


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

una notizia al mese

Le buone news del 2013 Come di consueto, siamo giunti al nostro bilancio annuale. Quest’anno ho scelto di proporvi una notizia per ogni mese, per ricordare – e ricordarci – che le buone news sono continue e costanti e non manca giorno che un fatto positivo degno di nota accada. A gennaio il Turkmenistan annuncia di essere pronto per aderire all’Organizzazione mondiale del commercio. Nel mese di febbraio invece Jack Thomas Andraka, sedicenne del Maryland, inventa un test innovativo in grado di diagnosticare tempestivamente il cancro al pancreas, alle ovaie e al polmone. Sempre in Maryland, il governo ha deciso di abolire la pena di morte. ha abolito la pena di morte. È il diciottesimo stato sui cinquanta dell’Unione a cancellare la pena capitale. Accadeva a marzo. Aprile è portatore di buone notizie in campo ambientale: il premio Nobel Mario Molina assicura sui risultati positivi del “Protocollo di Montreal” che prevede la drastica riduzione dei gas responsabili del buco nell’ozono. A maggio il parlamento della Papua Nuova Guinea ha abolito la legge sulla stregoneria risalente al 1971. Nel 2013 erano ancora state processate e giustiziate numerose donne. Giugno porta invece novità tecniche: al

Politecnico di Losanna viene perfezionato Solar Impulse, il primo velivolo ultraleggero alimentato ad energia solare. Tra il 23 e il 28 luglio si è svolta a Rio de Janeiro la XXVIII Giornata Mondiale della Gioventù alla quale ha partecipato il neo nominato Papa Francesco. Ancora una volta è protagonista la tecnologia: ad agosto Tokio annuncia trionfante che Kirobo, il primo robot umanoide parlante, è stato lanciato nello spazio dalla base spaziale di Tanegashima in Giappone. La scienza fa passi da gigante e a settembre, all’Università di Washington, si assiste al primo collegamento tramite computer e internet di due cervelli umani. Due giovani australiani nel mese di ottobre presentano la loro innovativa idea: droni consegna pacchi. Per ora il servizio è attivo solo in Australia. Si guarda ovviamente anche alla salute. A novembre infatti viene testato, all’Ircss San Raffaele Pisana di Roma, il primo guanto robotico per la riabilitazione da ictus. A dicembre invece, periodo di grandi abbuffate, la Food and Drug Administration americana si avvia a bandire completamente l’uso dei grassi idrogenati negli alimenti in tutto il Paese, riconoscendo la loro pericolosità e i rischi per la salute del cuore.

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolo: basta piangere! “Basta piangere!” è il titolo del libro di successo di Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, tratto da una frase che molti bambini degli anni Cinquanta-Sessanta, oggi sessantenni, si sono sentiti dire più volte dai propri genitori. Frasi e detti popolari che racchiudevano in modo efficace un’esperienza e una saggezza che oggi difettano. Si preferiscono le battute! Il grande successo del libro di Cazzullo, forse, nasconde anche un po’ di nostalgia per l’efficacia di questi incitamenti che mobilitano energie e aprono a prospettive di futuro. Di qualcosa di simile abbiamo bisogno anche per Pinerolo: basta piangere per il Tribunale perduto, per l’ASL accorpata, per il Nizza cavalleria trasferito, per la Camera di commercio chiusa, per gli ospedali ridimensionati, ecc... Diamoci da fare anche con piccole iniziative, mettendo in gioco quel poco che ognuno di noi può dare. Nel nostro piccolo abbiamo aperto la sede dell’Associazione Culturale Onda d’Urto in via Vigone 22, come punto d’incontro per giovani, dove si ha a disposizione una scrivania per poter progettare, avviare confronti di idee con altri giovani o adulti, avviare start-up e collaborazioni, studiare, fare coworking e piccole conferenze, incontrare persone o ascoltare esperti. Insomma un locale per i giovani del territorio che vuol essere un “incubatore di idee”. È nato per la volontà di un insegnante, che ha deciso di “investire” il suo TFR per questo scopo. È una piccola iniziativa, ma se ne nascono altre dieci simili le prospettive di futuro per il Pinerolese aumentano. Antonio Denanni P.S. Il sottotitolo del centro è: “luogo dove si coltivano prospettive di futuro” PINEROLO INDIALOGO Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Valentina Voglino, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Rebecca Donella, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Demis Pascal Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Giacomo Denanni, Francesca De Marco

Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

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Buone News

Le buone news del 2013

Primo Piano

docenti univeritari pinerolesi/12 intervista a bruno de benedetti

Giovani & Lavoro

intervista ad andrea fenoglio, regista

Politica giovane young

intervista a giorgio canal, di sel

10 Lettere al giornale

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anno nuovo, augurio particolarei

Giovani @ Scuola

il pinerolese in epoca feudale

12 Arte & Architettura

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1. lo sventramento di v.principi acaja 2. sinergia territoriale e web

Sociale & Volontariato

associazione ecumenica di ascolto

Tecnologie & Innovazioni

il traduttore istantaneo

Visibili & Invisibili

i giovani di libera e di amnesty pinerolo

Vita internazionale

sara alù, arte e danza a 360°

18 Teatro

“noi ci credevamo”

19 Lettera a...

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capodanno per il proprio credo

Per Mostre & Musei

stefania canavosio

21 Musica emergente

aut in vertigo

22 Appunti di viaggio

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la montagna che cura

Cineforum Pinerolo

anno 2013/14

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


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primo piano

Città & Università/12 a cura di Marianna Bertolino

Intervista a Bruno De Benedetti

“Il Pinerolese non è diverso da molte altre realtà: ormai la competizione è globale e solo chi si ritaglia un ruolo con competenze di eccellenza riesce a prosperare” Per cominciare ci parli di sè, del suo lavoro e delle sue competenze in ambito universitario. Nella mia lunga vita al Politecnico ho intrapreso tante strade per seguire un unico filo conduttore: fare qualsiasi esperienza che mi arricchisse professionalmente. Così dopo la laurea in ingegneria chimica ho iniziato il mio percorso come metallurgista in campo scientifico, ma nel contempo non mi sono risparmiato per fare attività nel campo produttivo come consulente, Fra l’altro ho avuto l’occasione di eseguire molte perizie in campo giudiziario. Negli anni ‘90 un altro cambiamento importante che mi ha dato molto: entrare nel circuito dei progetti di ricerca europei che mi hanno aperto alla conoscenza delle più varie realtà nel mondo. Per spirito di servizio ho assunto la carica di Direttore del Dipartimento di Scienza dei Materiali e poco dopo sono entrato a far parte del Consiglio di Amministrazione del Politecnico per la gestione del Bilancio. Otto anni intensi di lavoro gestionale non privi di grandi sfide. Così sono arrivato alla parte finale del mio percorso lavorativo, ritornando alla ricerca per coltivare il capitale più importante: contribuire a valorizzare dei giovani talenti. Il suo corso tratta delle principali tecnologie di riciclo dei materiali. C’è in questo campo un progresso nella sensibilità delle persone e delle imprese? In effetti utilizzo da molti anni una tecnica di valutazione dei materiali che viene definita Analisi di Ciclo di Vita. In questo modo è possibile tramite degli indicatori trovare le tecniche che minimizzano l’impatto sull’ambiente. Viene così smitizzato il concetto di riciclaggio ad ogni costo sostituendolo con quello di riciclaggio consapevole. Un piccolo esempio: se per

produrre un materiale partendo da materiali a fine vita devo spendere molta più energia di quella richiesta da materie prime vergini, è meglio la seconda strada. Intorno ai rifiuti vi sono scandali, mafia, affari, inquinamento, lotte politiche... Oltre alla prevenzione di queste degenerazioni, qual è il modo migliore di trattarli? Ho iniziato questa attività perché molte leghe metalliche si producono con grandi vantaggi partendo da “rottami”. In assoluto in cima alla classifica della convenienza vi sono le leghe di alluminio, ma gli acciai non sono certo da meno. Tutto questo è evidenziato in modo chiarissimo dall’analisi di ciclo di vita. La tecnologia in questi casi sa dare risposte corrette, le deviazioni sono responsabilità di chi opera per il proprio profitto senza etica. Il riciclo può essere anche fonte di business e di nuove imprenditorialità? E’ un settore in grande sviluppo, purtroppo con tanti ostacoli burocratici per chi vuole lavorare seriamente. Così si aprono ampie possibilità a chi vuole speculare contando sulla scarsa capacità di chi dovrebbe operare i controlli. Un esempio per tutti il caso della Terra dei Fuochi, diventato un caso televisivo, in opposizione a un caso poco noto a livello nazionale come gli eccellenti impianti di trattamento dei rifiuti nel Pinerolese. Nei suoi incarichi didattici si legge che lei spazia come docente in molti corsi di Laurea. In effetti per moltissimi anni mi sono limitato ad insegnare la Metallurgia per gli Ingegneri dei Materiali. Solo recentemente ho intrapreso la sfida di fare un corso per tutti gli studenti di ingegneria in cui la platea che segue le

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“Sostituire la parola declino con la parola ‘necessità di cambiamento’” lezioni di Tecnica ed impatto del riciclaggio dei Materiali può approfondire gli argomenti di cui alle risposte precedenti. Riuscire a coinvolgere ragazzi di formazione molto diversa è stata veramente una grande soddisfazione. La laurea in ingegneria ha ancora buone possibilità di sbocchi lavorativi anche in questo periodo di crisi? Qual è la specializzazione più richiesta? Chi segue i corsi dei Politecnici normalmente trova uno sbocco lavorativo nel primo anno dopo la laurea in circa l’80% dei casi. Non credo che la specializzazione sia determinante. Oltre alla carriera scolastica sempre più contano altri aspetti: la capacità di relazione, la determinazione sul lavoro, la curiosità tecnica e non ultimo l’adattabilità a lavorare in un contesto globalizzato Veniamo al Pinerolese, questo nostro territorio di cui si parla sovente in termini negativi. Lei come lo vede? Quali sono a suo parere le potenzialità non valorizzate e sulle quali puntare? Il Pinerolese non è diverso da molte altre realtà: ormai la competizione è globale e solo chi si ritaglia un ruolo con competenze di eccellenza riesce a prosperare. E’ inutile sfidare i paesi emergenti, tipo Est Europeo, Corea, Brasile, Vietnam sul terreno di prodotti tecnologicamente poveri (ad esempio il settore tessile per prodotti di massa). Come vedete non cito la Cina che in pochi anni è entrata a far parte dei grandi Paesi industrializzati. Il segreto della Cina è forse poco noto: sono riusciti a richiamare dall’estero moltissimi ricercatori investendo enormi quantità di fondi nell’Università e non solo. Ad esempio al Politecnico la più grande comunità di studenti stranieri viene dalla Cina, in pratica stiamo allevando i nostri concorrenti del futuro... proprio quelli che avranno più capacità ad operare nel contesto globale. E la città di Pinerolo? Una cosa che le piace e una che la indigna? Prima di tutto la qualità della vita che offre il Pinerolese grazie ad una antica tradizione di civiltà. Non sono abituato ad indignarmi,

ma vorrei che sapessimo comunicare meglio, evitando di sprecare le grandi occasioni. Gli investimenti nelle valli olimpiche sono il caso negativo che mi viene da citare. Queste interviste sono nate per dare visibilità ai docenti universitari del Pinerolese (più di quaranta), ma anche per cogliere qualche idea o spunto per questo territorio in declino. Che contributo potrebbe dare questa forza culturale? Ha qualche proposta? Credo che determinante sia mettere a punto strategie efficaci di comunicazione e sostituire la parola declino con la parola necessità di cambiamento. I giovani ingegneri pinerolesi che si laureano anche con il contributo dei suoi corsi hanno possibilità di sbocco lavorativo nel pinerolese o devono necessariamente spaziare su un territorio più ampio o addirittura a livello mondiale? Anche se il prezzo umano è molto alto (difficoltà di creare una famiglia “tradizionale”) credo che sia finito il tempo delle occasioni nel breve raggio di un piccolo territorio. Quindi se si desidera rimanere nel Pinerolese è molto meglio seguire altri percorsi (ad esempio nel produrre cibi di filiera alta), mentre l’ingegnere deve solo più fare i conti con il mondo. Certamente un discorso a parte lo merita il telelavoro che peraltro non mi pare stia decollando come meriterebbe. Una domanda anche sul volontariato, di cui lei si è occupato per un po’ di tempo. Almeno da questo punto di vista possiamo dire che il Pinerolese non è in decadenza, o no? Toccate un punto a cui sono molto sensibile. Nessuno può essere felice se gli altri non lo sono. Quindi dare un contributo nel volontariato, per quanto ci è possibile, è assolutamente necessario. Ovviamente è un campo di attività in cui dovrebbero dare un contributo coloro che sono arrivati a soddisfare le necessità primarie e quindi hanno tempo e risorse da dedicare al prossimo. In questo senso credo che il Pinerolese sia veramente un’eccellenza. Anche per questo si adatta così bene alle mie esigenze!

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società

Giovani &Lavoro di Francesca Costarelli

Intervista ad Andrea Fenoglio, regista

Il suo video:”La Terra che connette” «Il mio lavoro può essere considerato una start-up culturale»

La Terra che connette è il nuovo progetto di Andrea Fenoglio che racconta il fenomeno migrazione-agricoltura nel Saluzzese come terra fuggita, terra ritrovata, terra che dà lavoro. Un territorio circoscritto diviene il paradigma per interpretare gli elementi di interconnessione tra le esperienze dei migranti di oggi e degli autoctoni che li ospitano nelle “loro” terre. Molto materiale e notizie sono già online all’indirizzo http://laterracheconnette. wordpress.com oppure su fb alla pagina la terra che connette Il progetto che stai realizzando si intitola “La Terra che connette”, come nasce e cosa racconti in questo lavoro? L’anno scorso mi ha contattato il Comitato Antirazzista di Saluzzo chiedendomi di realizzare, attraverso delle interviste, un cortometraggio sul fenomeno migranti nel saluzzese. In questo modo ho conosciuto più da vicino la realtà agricola di quel territorio che è il terzo comparto frutticolo italiano che ha attirato negli ultimi anni molti migranti di origine subsahariana soprattutto del Mali, della Costa d’Avorio e del Burkina Faso. Mi è sembrata una situazione molto significativa del fenomeno migratorio di persone che già vivevano in Italia, di persone appena uscite dai centri di accoglienza dell’emergenza Nord Africa, dell’emergenza Libia, di persone che già svolgevano il lavoro agricolo ma in altre parti d’Italia. Molte di queste persone si sono riversate ai margini di Saluzzo dove si è costituita una vera e propria bidonville che nei momenti di massima accoglienza ha contato fino a 600 persone. Ho pensato che questa potesse essere una situazione forte per raccontare il fatto che da decenni i migranti sono la forza lavoro del nostro comparto agricolo. Inoltre lo scorso anno mi è sembrato di percepire uno scatto, un cambio di paradigma con la visita del Papa a Lampedusa e con la scelta della ministra Kienge.

Visto che il mio lavoro parte sempre dal territorio per arrivare a raccontare qualcosa di più grande, ho pensato di mettere su un progetto che coinvolgesse da una parte gli agricoltori e dall’altra i migranti. Da qui il titolo “La Terra che connette” che rimanda appunto a questa connessione di storie differenti che si intrecciano nel racconto di un piccolo territorio in questo momento di crisi economica e sociale. E che in questo modo diventa qualcosa di più. Perchè proprio ora questo progetto sul fenomeno migrazione-agricoltura? Quello di cui dobbiamo renderci conto è che tutto quello che arriva sulla nostra tavola arriva grazie all’apporto lavorativo dei migranti. Il fatto di far uscire allo scoperto questa verità è una cosa su cui mi sentivo di dover e voler lavorare. Il mio vuol essere un lavoro propositivo, non è un lavoro militante o di denuncia, ma una scoperta, un racconto delle dinamiche umane. Quello che mi interessa è il fatto di rivalutare un senso di comunità che viene anche dal fatto di andare a scoprire più punti di vista. Questo tipo di approccio coinvolge e non dà delle risposte precostituite, ma le cerca qualunque siano, presentando così molteplici punti di vista. A sostenere il lavoro, infatti, ci sono tutte le parti sociali, la Coldiretti, i sindacati, Acli, Arci, Slow food, Caritas, i comuni., le associazioni di categoria, le istituzioni, gli organismi di accoglienza e la società civile. Come sei diventato un filmmaker? Ho finito l’Istituto d’Arte alla fine degli anni ’90. Ho poi lavorato per due anni, al termine dei quali ho voluto continuare a studiare e ho unito letteratura e cinema facendo Lettere a indirizzo cinematografico. Ho passato un anno come studente Erasmus a Lisbona, che è stato l’anno più importante a livello pratico perché è stato in Portogallo che ho iniziato a girare video. Dal punto di vista del cinema digitale, come primi autori di valore, il Portogallo è molto importante a livello

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7 europeo. Io infatti mi sono laureato con una tesi su Pedro Costa, uno dei primi autori che ha girato film in digitale abbattendo completamente i costi di una troupe e iniziando a fare film da solo. Io ho iniziato col digitale. Ho fatto molte fotografie in pellicola, quindi l’uso dello strumento l’ho imparato in pellicola, ma non ho mai filmato in pellicola tranne alcune cose per l’università in Super 8. Il digitale ha permesso una trasformazione radicale del cinema, permettendo a un autore di fare un film di qualità girandolo quasi da solo con al massimo l’aiuto di un fonico ogni tanto. I film di Pedro Costa sono la prima esperienza a dimostrazione di ciò. Un’esperienza che riporta il cinema quasi alle origini, al cinema degli anni ‘10-‘20 fatto da poche persone a livello documentaristico. Il fatto che il digitale ti conceda di fare molto da solo, però, non deve fare incorrere nel pensare che si possa fare tutto da soli. Può farti risparmiare e ti permette di girare un materiale differente, riesci anche senza avere tutta l’infrastruttura che la pellicola imponeva, però poi mestieri come il montatore, lo sceneggiatore sono cose assolutamente da mantenere separate, chi fa l’autore non può anche arrogarsi tutto il resto. Come lavori? Dipende dai lavori che faccio. Un po’ lavoro dietro commissione di Associazioni e Fondazioni, un po’ lavoro su progetti che partono da me. Ultimamente ho fatto dei lavori con Diego Mometti che ha una preparazione artistica multimediale e che si occupa della parte legata a internet e a un concetto artistico che vada al di là del documentario. Insieme abbiamo realizzato “Il popolo che manca”, un lavoro enorme su Nuto Revelli con la collaborazione della Fondazione Revelli. Siamo partiti dall’audio che Revelli aveva registrato con il magnetofono tra i contadini negli anni ‘70 nella Provincia di Cuneo. Revelli ha utilizzato quell’audio per i suoi libri, noi lo abbiamo usato per realizzare un documentario che presentasse i protagonisti di ieri e i discendenti nel contemporaneo utilizzando come ambientazione il paesaggio della Provincia di Cuneo come si vede adesso. Per “Il popolo che manca” abbiamo lavorato 4 anni. Il progetto infatti ha avuto come risultato una serie documentaria di oltre 300 minuti, un sito, una mostra multimediale e un film documentario di 76 minuti. Abbiamo fatto 350 ore di girato più tutte le ore audio realizzate da Revelli. A livello di post produzione abbiamo lavorato 3-4 mesi con 2 montatori, 1 sound designer e un colorist per la color correction del lavoro e durante le riprese ci siamo avvalsi di un fonico professionista. I temi dei tuoi progetti sono tutti di impegno civile. Quali sono le ragioni di questa scelta? Per me il documentario è il risultato di un percorso

di conoscenza del territorio. Il lavoro che si fa per arrivare a realizzare un video può essere uno strumento per altro. Un format che si può replicare anche in altri contesti. Il progetto è un laboratorio per rivalutare il senso di comunità che vuole avere un’utilità al di là del documentario. È anche per questo che voglio che i materiali siano visibili da subito sul blog, perché il percorso che ci porterà al documentario è forse ancora più importante. Tendo a mescolarmi con la società e a fare un progetto insieme al territorio, diciamo un lavoro politico di base, nel caso de “Il popolo che manca” ho definito questo approccio una start up culturale, da cui possono nascere altre cose. L’occhio cinematografico e l’impegno civile sono due cose che vanno a braccetto. Non farei mai il politico perché non sono in grado, ma il mio impegno è quello di raccontare attraverso l’occhio cinematografico. Per finanziare la produzione de “La Terra che connette” ti sei rivolto al crowdfunding. Come mai? Ha funzionato? Per il crowdfunding, ovvero per il finanziamento dal basso, siamo partiti dalla piattaforma statunitense Indiegogo che tecnicamente ti fa da vetrina per il lavoro che proponi per due mesi. Noi ci siamo dati un obiettivo di 7.500 euro. Il budget totale del progetto è di 110.000 euro, noi partiamo da 20.000 euro, metà raccolti e metà di investimento iniziale. I soldi raccolti attraverso Indiegogo dovevano servire per completare una prima fase e riuscire a passare allo step successivo che sarà l’enorme mole del lavoro produttivo che inizieremo terminato il periodo invernale. Purtroppo, siamo arrivati a 4.500 euro grazie alla partecipazione diffusa di 25-30 finanziatori e all’interessamento del consigliere regionale Fabrizio Biolè che ha destinato 3.000 euro al progetto. Cosa consigli a chi vuole intraprendere la tua stessa strada? È difficile vivere facendo il documentarista, diciamo che si può sopravvivere. Quello che consiglio è di cercare altri posti al di fuori dell’Italia, anche solo per delle esperienze. Penso che sia una delle cose fondamentali, per me lo è stata. E poi consiglio di cercare una promiscuità: non fare solo il documentarista che è una cosa un po’ novecentesca. Occore più tecnica, tenacia o talento? È fondamentale la tenacia per ottenere anche la tecnica e coltivare il talento, senza tenacia si rischia di avere solo presunzione. Quali progetti per il futuro? Ora sto seguendo un progetto su Alberto Giacometti, artista svizzero che ha lavorato molto a Parigi. È di nuovo un lavoro su un territorio specifico, la vallata svizzera dove Giacometti è nato che ha influito molto sul suo lavoro di scultore e pittore. Nuovamente ci interroghiamo e raccontiamo il rapporto col territorio.


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società

Politica giovane young a cura di Emanuele Sacchetto

Intervista a Giorgio Canal, di Sel

“C’è bisogno di una forte coesione del territorio. Manca un’idea di città!”

«Il Pinerolese è uno dei territori più pesantemente penalizzati dalla crisi economica» Giorgio Canal, una presenza storica in Consiglio comunale a Pinerolo. Lo abbiamo sentito come esponente di opposizione, nel partito di Sinistra Ecologia e Libertà (Sel). Incominciamo con una nota personale. Da quanti anni è in Consiglio comunale e in quali partiti ha militato? Sono entrato per la prima volta in Consiglio comunale nel 1990 con una lista chiamata Gruppo per l’Alternativa, che comprendeva i partiti della sinistra e rappresentanti della società civile. Al tempo ero Presidente dell’ARCI Pinerolo. Sono stato consigliere comunale in rappresentanza di liste civiche. Ho militato nel PD e da circa 2 anni e mezzo in Sinistra Ecologia Libertà. Che cos’è per lei la politica e com’è cambiata in questi anni in città? Politica è passione, è voglia di cambiamento, è attenzione ai problemi della gente e delle città per riuscire a trovare soluzioni, è stare a fianco dei cittadini in difficoltà… Lo spettacolo che hanno dato molti, troppi politici a livello nazionale è indecente: la corruzione, l’autoreferenzialità, il ladrocinio… A Pinerolo c’è sempre stata e continua tuttora ad esserci una gran voglia di partecipazione e questa è politica, perché rappresenta l’impegno di entrare “dentro” alle questioni, per il bene della città. Certo, se a fronte di critiche all’operato di un’amministrazione, la reazione è quella di liquidare il tutto con la definizione di “radical chic”, come ha fatto il Sindaco rispetto alle critiche alla costruzione di un secondo grattacielo nella zona dei Portici Blu, beh…. allora siamo molto lontani dalla vera Politica, dall’aprire il Palazzo Comunale alle istanze dei cittadini. Passiamo ora all’impegno di Sel per la città. Voi avete fatto un questionario sul centro storico con la raccolta di molti dati esposti nel vostro sito. Ha prodotto qualche risultato operativo? Intanto, abbiamo provato nuove forme di

partecipazione (utilizzo del web) da affiancare ai metodi classici (questionario cartaceo, interviste); abbiamo chiesto il parere ai vari attori coinvolti nel centro storico (residenti, commercianti, associazioni...). La partecipazione costituisce già di per sé un modello di riferimento per le azioni progettuali nella città. Troppe volte ci si è trovati di fronte a decisioni imposte dall’alto, subite dai cittadini, dove parlare di partecipazione diventa quasi un elemento di fastidio, di ostacolo per chi è stato chiamato a “decidere”... Partecipazione presuppone un’amministrazione trasparente, accessibile e dialogante, capace di comunicare e di ascoltare. Sul Centro Storico è emersa la necessità di lavorare su tre grandi obiettivi: 1. il miglioramento della qualità della vita degli abitanti del centro storico e i servizi che questo può dare alla città; 2. la promozione dell’identità storica e culturale e la verifica delle potenzialità turistico-attrattive; 3. la qualificazione reale del centro storico come centro commerciale naturale, a partire dalla creazione di un centro urbano accogliente e vivace potenziando in maniera sinergica la promozione delle diverse attività e iniziative che vi si svolgono, creando una solida partnership tra pubblico e privato. Su questi temi, stiamo preparando alcune proposte concrete in vista del dibattito sul Bilancio di Previsione 2014, che sottoporremo, prima del dibattito in Consiglio Comunale, all’attenzione della città in assemblea pubblica. In questa città vi è una cultura urbanistica del recupero? A noi, al di là delle varie beghe del piano regolatore, sembra che sia questo il male di fondo, per cui il centro storico non decolla o vengono fatte altre scelte discutibili. Che ne pensa? Il problema non sono le beghe sul Piano Regolatore, il guaio è che abbiamo un PRGC approvato nel 1998 profondamente sbagliato, sovradimensionato rispetto ai bisogni reali della Città. Nel Programma di mandato del Sindaco Buttiero si parlava

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Intervista ai consiglieri di opposizione / 2 esplicitamente di un nuovo PRGC; a distanza di due anni e mezzo dal suo insediamento si parla di variante ponte, oggettivamente un’altra cosa! Che non esista una cultura del recupero lo dimostra come si è applicata a Pinerolo la L. 106 che permette alcuni interventi in deroga al PRG e che è diventato una specie di “grimaldello” per qualsiasi progetto. Proprio in tema di Piano regolatore qual è per voi il punto/i attualmente più caldo/i? Sono molti! Ne cito, a titolo di esempio, due: il primo è legato alla necessità di dare sostanza alla tanto sbandierata riqualificazione dell’esistente e delle tecniche volte al risparmio energetico e alla sostenibilità dei materiali; a Pinerolo esiste tanto edificato, sottoutilizzato o inutilizzato; è pensabile intervenire su questo? Il secondo è la necessità di dotare la città di un Piano per l’edilizia economica popolare; il problema casa, soprattutto per i ceti più deboli, è passato da un aspetto emergenziale ad un aspetto strutturale della vita della città. Allora, bisogna intervenire sull’oggi ma avendo una visione per il futuro; individuare aree per l’edilizia popolare è fondamentale. Oggi, inoltre, c’è una forte richiesta di attivare forme di Urbanistica partecipata, ci piacerebbe che su questo l’Amministrazione battesse un colpo. Passando dal campo dell’ecologia dell’abitare a quello dei Diritti dei cittadini, com’è dal vostro punto di vista la situazione in città? E’ di forte preoccupazione. La crisi non ha solo aumentato diseguaglianze, povertà, immiserimento per la gran parte della popolazione, mettendo ben al riparo le tante ricchezze di pochi. La crisi ha frantumato il senso alla parola “futuro” e ha riempito di paura e solitudine il presente di molti. E oggi ci troviamo a fronteggiare una situazione dove parlare di diritto ad avere diritti sembra voler parlare di privilegi. Credo che il grado di civiltà di un Paese, di una città, sia dato anche dalla capcità di indignarsi ancora di fronte a queste ingiustizie. Veniamo alla Giunta Buttiero, che amministra la città. Siamo a metà mandato, qual è la vostra valutazione? Il giudizio è negativo. A metà mandato basta che ognuno di noi si interroghi se l’azione amministrativa sia servita a migliorare e affrontare i problemi reali della città: lì sta la risposta. L’impressione è che si sia governato alla giornata, senza avere costruito un’idea di città per l’oggi e per gli anni che seguiranno. Per voi di Sel qual è l’idea per il rilancio del territorio e della città? C’è bisogno di sviluppare una forte coesione del territorio, cosa che, al di là delle dichiarazioni, non esiste ancora. Il Pinerolese è uno dei territori che esce più pesantemente penalizzato dalla crisi economica. Buttiero aveva all’inizio del suo mandato puntato tutto sulla Conferenza per lo sviluppo del Pinerolese, creando aspettative positive da parte delle imprese, dei Comuni, delle associazioni di categoria. A distanza

di due anni e mezzo, niente, nessuna idea! Oggi leggiamo sui giornali che Buttiero rilancia su turismo e cultura, ma a nostro avviso non si governa così. Da “radical chic”, come Buttiero giudica chi si oppone alle sue proposte, possiamo dire che due sono i temi centrali su cui basare l’idea di città: l’ambiente e l’occupazione, attraverso attività di governance, di stimolo e sostegno. A questo bisogna aggiungere il potenziamento delle politiche sociali. Sapendo bene che le competenze di un Comune non sono omnicomprensive, ma sapendo altrettanto bene che il Pinerolese, con la perdita di molti dei suoi servizi, sta diventando marginale nel territorio provinciale. Segnaliamo anche a lei, come abbiamo già fatto col sindaco Buttiero, la mancata acquisizione da parte della città del Regolamento Comunale di Gestione dei Rifiuti, proposto dall’Acea nel 2008 e che molti comuni del territorio hanno fatto proprio. Una svista non da poco anche per il vostro partito che ha l’ecologia nel titolo. Che cosa ci dice? L’ecologia è un tema che va ben oltre le sole dinamiche ambientali: ma non voglio sottrarmi alla domanda. Il ruolo dell’ACEA è fondamentale per il nostro territorio, una vera eccellenza che la politica, secondo me, valorizza troppo poco. Negli anni dell’Amministrazione Covato, l’impegno alla valorizzazione dell’Acea, all’incremento della raccolta differenziata, al contenimento dei rifiuti prodotti è stata una costante dell’operato politico. E di fatto molte delle norme previste nel Regolamento sono diventate pratica positiva nella Città. L’approvazione del Regolamento è ferma: gli Uffici mi hanno confermato che verrà in discussione in Consiglio, previa verifica degli adeguamenti normativi previsti nella TARES. Ci impegniamo a fare in modo che al più presto venga adottato. Lei è stato anche assessore alle politiche giovanili nella precedente amministrazione. Dall’epoca della Festa dei giovani degli anni novanta, non ci sono più state in città iniziative di politica giovanile. Sembra quasi che la città non creda nei suoi giovani. Non è anche questo un motivo della sua decadenza? La Festa dei Giovani degli anni novanta è stata per tanti/e una palestra positiva di idee, di azioni, di condivisione dei valori. Oggi, il protagonismo giovanile ha trovato altre strade, spesso meno coinvolgenti, spesso più sotterranee. È compito nostro riportare alla giusta visibilità la presenza dei giovani. Luca Barbero, segretario del PD, nella precedente intervista ci ha detto che vorrebbe riallacciare i rapporti con gli alleati storici di SEL e IDV. Che cosa risponde Sel? Quando si è insediata l’Amministrazione Buttiero, avevamo dato da subito la disponibilità al confronto; disponibilità caduta nel vuoto. Allora, il riallacciare i rapporti non nasce dalle formule politiche ma dal confronto sulle cose da fare e su questo noi ci siamo, come ci siamo sempre stati.

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PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

Maggiore consapevolezza dei vantaggi avuti

Anno nuovo: un augurio particolare Nella massa di auguri che ci si è scambiati alle soglie dell’anno nuovo mi è parso ne mancasse uno: quello che l’anno appena iniziato ci porti consapevolezza. Non un maggior benessere, non la semplice uscita dalla crisi, non il generico cambiamento, tutte cose apprezzabili ma alla fin fine epidermiche. Bensì la percezione nitida, viscerale, traumatica che è finita (almeno per noi, parte dell’occidente benestante) una stagione, è finito il diritto a pretendere di riaverla, ed è tramontata l’illusione di risolvere i giganteschi problemi che ci assediano con la solita tattica degli aggiustamenti. Non il buffetto, insomma, ma il bisturi. Prendo a caso: ad esempio la decennale tragedia dei rifiuti di Napoli, cui si stanno aggiungendo i maialini grufolanti di Roma. Tutti i proclami, i piani, le sceneggiate (come quella di un capo del governo che scende teatralmente in piazza con la ramazza) sono miseramente falliti. Può (forse) riuscire solamente una gigantesca tassa di scopo progressiva, con la quale assoldare personale idoneo, pagare i Comuni italiani o stranieri che si sono attrezzati per ricevere e riciclare o distruggere i rifiuti, mobilitare le forze dell’ordine e l’esercito per assistere e proteggere dalla malavita le operazioni di raccolta e trasporto, promuovere una potente campagna di educazione collettiva, che potrà avere successo solo se la città sarà tornata pulita e il cultore solitario della differenziata non sarà frustrato dal vedere materassi o avanzi di cibo gettati per terra. Costi iperbolici? certamente: ma proviamo a sentire un bambino che dice “papà, andiamo via di qui, questa puzza non la sopporto più”, e chiediamoci se non sia il caso di rinunciare a qualche cena o a qualche ninnolo elettronico per provare a non diventare noi stessi lordura. Consapevolezza è sapere per bocca del bambino. Oppure prendiamo l’inoccupazione giovanile. Dovrebbe essere chiaro, ormai, che il nostro apparato produttivo globale soffre strutturalmente di sovra-produzione. Se la scienza e la tecnologia permettono di produrre la stessa quantità di beni e servizi impiegando un sempre minor numero di persone, è fatale che o

si aumenta indefinitamente la produzione, o si espelle la forza-lavoro. Per decenni si è scelta la prima strada; quando poi si è cominciato a percepire (appena un poco) che le risorse del pianeta sono limitate, e (molto più chiaramente) che se getti via le persone, getti via anche il loro portafogli, perché se è vuoto esse non acquistano più: allora si sono levati alti lamenti e si sono innalzate le preghiere al dio ignoto della crescita. Risultati? li vediamo tutti. Anche qui pare indispensabile far maturare una consapevolezza che per ora è di pochi: non bastano le sforbiciatine al cuneo fiscale, non basta il contratto a tutele progressive, e men che meno la cancellazione dell’articolo 18; occorre interiorizzare che la vera penuria del secolo non sarà la scarsezza di cibo o di acqua (pur drammatiche, ma curabili), bensì la penuria di lavoro, di quello, almeno, che il mercato offre spontaneamente. Di qui la necessità di programmi di lavori pubblici della natura più disparata, infrastrutture, ricerca, assistenza ai beni ed alle persone. Anche l’Europa lo sta riconoscendo, nonostante i samurai del rigore teutonici e nordici, perché intuiscono che presto saremo noi a d invaderli, con i nostri cervelli migranti. Lavori pubblici, dunque: il vecchio Keynes e il vecchio New deal (dove deal vuol anche dire “affare”). Già, ma chi li paga questi lavori fuori mercato? Ecco la consapevolezza di cui c’è bisogno: li devono pagare coloro che più hanno tratto vantaggio dalla stagione irripetibile nella quale era considerato ovvio avere l’alloggio al mare, cambiare la macchina ogni due anni, il cellulare ogni sei mesi, il vestiario ogni stagione. Lavori pubblici certificati come tali da organismi indipendenti; collocazione fuori bilancio della spesa per effettuare questi investimenti; imposta patrimoniale non risibile e pluriennale per implementare un fondo destinato ad estinguere progressivamente quella fetta di debito pubblico. Poi si potranno addurre mille argomenti per contrastare il progetto, e certamente lo faranno. Così vivranno infelici e scontenti, con i forconi sotto casa.

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società

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Giovani@Scuola di Nadia Fenoglio

Cenni di storia del Pinerolese poco noti

Il Pinerolese al tempo delle signorie feudali

Proseguendo nella scoperta della secolo XIII. storia meno conosciuta del Pinerolese, ci Cumiana, Reano, Trana sono in mano ritroviamo all’epoca della caduta dell’impero ai signori di Rivalta, che poi danno origine franco, avvenuta nell’888, quando l’intero ai Falconieri di Cumiana e ai Miglioretti di territorio piemontese era governato dalle Trana. casate dei marchesi Anscario I e Ardoino il Discendono dai Piossasco i signori di Glabro e, in minor misura, dal vescovo di Cavour, divisi in due famiglie: i Cavour del Torino e dalle abbazie benedettine. Tuttavia, Monte, dimoranti sulla rocca, e i Cavour del nel XII secolo gli Anscarici e gli Ardoinici Piano, vassalli dei primi, che si costruiscono erano ormai suddivisi un maniero in una molteplicità di dominante il borgo casate, disseminando nella pianura. il Piemonte di vassalli: Sulle valli questi ottennero dai del Pellice e discendenti delle dell’Angrogna due casate terre e sulla terra di dette beneficii, con Bibiana dominano cui aumentarono i Luserna, che la propria rendita estendono poi economica in cambio il loro dominio di servigi loro offerti. su Baudenasca, Col disgregarsi delle M a c e l l o , autorità centrali, R a c c o n i g i , Il castello di Macello questi vassalli Sommariva del trasformano in feudi i beneficii ottenuti, Bosco, Moretta. Si dividono presto in tre arrogandosi ormai anche i poteri di rami: i Manfredi di Angrogna, i Rorengo e giurisdizione sui territori. i Bigliori. Tra i maggiori feudatari del Pinerolese In Pinerolo governano i Bersatore, la più assursero presto i Romagnano, che potente famiglia pinerolese nel medioevo, assunsero il controllo di Vigone, Cercenasco, che ottennero dominio su Frossasco e Macello, Pancalieri e Miradolo e nel 1163 signoreggiarono in Macello, Pinasca e otterranno anche parte di Frossasco. I Castellar (Riva). Romagnano ebbero come loro vassalli i Ad essi si aggiunsero, inoltre, le famiglie signori di Castagnole, che verso la metà del venute dall’Astigiano: i Bricherasio, i Fenile secolo XI ottennero dal vescovo il diritto e i Bibiana. I Bricherasio ebbero in subfeudo a riscuotere il fodro, imposta destinata Osasco e allo stesso titolo i Bibiana, insieme al mantenimento dell’esercito imperiale a ai Luserna ottengono Campiglione. Cavour, Airasca e Scalenghe. I Castagnole, Ma premono sui confini del Pinerolese i acquistata la signoria completa su tali paesi, signori di Barge, i signori di Revello, e due divisero il potere coi signori di Piossasco, che famiglie vassalle dei Luserna: i signori di governavano su Beinasco, None, Volvera. Bagnolo, che in nome dei Luserna hanno Erediteranno, poi, i feudi dei Castagnole, autorità in Bibiana, Campiglione e Racconigi quando essi si estingueranno al principio del e i signori di Vigone.

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Arte&Architettura/1 di Aldo Martellotto

La scomparsa di via Sant’Agostino

Lo sventramento di v. Principi d’Acaja Passeggiando in una delle vie più antiche della città di Pinerolo, via Principi d’Acaja, in pieno centro storico, non si può fare a meno di notare la sua particolare sezione stradale: scendendo da San Maurizio verso via Trento, appena oltrepassato il Palazzo del Senato, la via si allarga improvvisamente raddoppiando, se non triplicando, la sua ampiezza. Questo fatto trova spiegazione in un intervento estremo nella geometria degli spazi della via. La via Principi d’Acaja infatti, fino a metà degli anni Trenta, si presentava di sezione omogenea nella sua lunghezza: era presente una cortina di edifici la quale si attestava dall’attuale via Trento sino al Palazzo del Senato, addirittura adiacente ad esso; questi edifici creavano una via parallela, via Sant’Agostino, di cui oggi non resta che un piccolo tratto perpendicolare alla vecchia via, a lato dell’omonima chiesa. L’intervento estremo di cui si accenna sopra avvenne in seguito ad una perizia effettuata dal Comune (24 aprile 1935), che aveva previsto che un’arteria raggiungesse Piazza Cavour, determinando lo sventramento totale di Via Principi d’Acaja e quello parziale di Via Mazzini. Il progetto definitivo di risanamento si concretizzò tuttavia nel 1938, con una nuova proposta dell’Ufficio Tecnico che adottava la seguente giustificazione: “Nella compilazione del piano regolatore […] della Città di Pinerolo del 1921 […] non fu considerata la parte vecchia della Città. Oggi però non è più

possibile trascurare un così importante e vitale problema, giacché la bonifica umana, base fondamentale del miglioramento della razza, richiede anzitutto il risanamento dell’abitato e particolarmente la distruzione dei tuguri, che costituiscono dei focolai di micidiali malattie infettive”. L’intervento di demolizione degli edifici insalubri interessò tuttavia il primo tratto della via, ossia da via Trento sino all’altezza della chiesa di Sant’Agostino, lasciando integri i restanti edifici, che furono demoliti nei primissimi anni Sessanta, come indicato dalla Relazione in merito al progetto di Risanamento del centro storico: “Negli anni precedenti si è già provveduto alla demolizione di una piccola parte delle vecchie case e dei tuguri situati sul lato sinistro di Via Principi d’Acaja, presso l’incrocio con Via Trento. La demolizione fu sospesa per la difficoltà di dare alloggio alle famiglie che abitano le case da demolire. La zona lasciata libera dalle demolizioni sarà sistemata con aiuole ed alberature”. È inoltre molto interessante notare come questo progetto di estese demolizioni fosse posto nella direzione di salvaguardia e valorizzazione della preesistenza: «La esecuzione delle opere su accennate consentirà anche di valorizzare il cospicuo quanto finora trascurato patrimonio storico-artistico della città», nonostante già all’epoca parte della stampa si fosse schierata contro l’intervento, così come anche noi oggi non possiamo farne a meno, consci dell’aver perso per sempre un pezzo di storia della nostra città.

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Arte&Architettura/2 di Riccardo Rudiero

Beni culturali in rete

Sinergia territoriale e web per la tutela dei beni culturali Ho seguito con viva attenzione le vicende scaturite dall’interessamento del prof. Vittorio Sgarbi rispetto allo stato di degrado in cui versano gli affreschi della cappella di Sant’Anna di Cercenasco, e di come le istituzioni culturali del territorio si siano mosse in favore della conoscenza, conservazione e pubblicizzazione del patrimonio storico del Pinerolese. In particolare, ho trovato pregna di conseguenze, poiché sviluppabile in un progetto organico e potenzialmente ampliabile, la proposta del dott. Dario Seglie, direttore del CeSMAP, su sollecitazione del Centro Studi Silvio Pellico, di «individuare, per ogni Comune del Pinerolese, tre beni culturali da porre sotto i riflettori, per iniziare a creare la rete territoriale dei tesori da studiare, salvaguardare, valorizzare con un progetto unitario di area». Secondo il disegno di Seglie, essendo una cinquantina i comuni del pinerolese, si potrebbe stilare una prima lista di 150 eccellenze o beni “faro”, da organizzare in modo articolato e sinergico, in funzione di una tutela attiva e allargata. In buona sostanza, penso che l’iniziativa possa considerarsi importante perché, finalmente, esce dalle logiche centripete di ogni comune, per allargarsi a un territorio – il Pinerolese – che può ravvisare proprio nella sinergia l’unico mezzo garante della conservazione e di promozione culturale, con importanti ricadute anche nel settore turistico. Questa prima individuazione di beni culturali, stabilita da esperti del settore con la partecipazione diretta della popolazione, può essere l’innesco per politiche di conoscenza territoriali che coinvolgano soprattutto i ragazzi di età scolare: renderli consapevoli

del patrimonio di cui sono depositari, farne loro capire l’importanza, li renderà cittadini rispettosi e futuri amministratori sensibili alla loro storia. A questa lista già di per sé lunga e complessa, dovrebbero poi andarsi a sommare altri beni – anche meno aulici, ma non per questo non meritevoli di tutela – poiché, come ribadisce la Convenzione Europea del Paesaggio del 2000, il paesaggio è «in ogni luogo un elemento importante della qualità della vita delle popolazioni: nelle aree urbane e nelle campagne, nei territori degradati, come in quelli di grande qualità, nelle zone considerate eccezionali, come in quelle della

vita quotidiana». Direttamente connessa alla redazione della lista, è l’iniziativa di creare un portale online che sia l’altoparlante per la cultura e la natura del territorio pinerolese (Terre d’Acaia, http://terredacaia.it/), implementabile con il crescere delle ricerche: il progetto non fa che avvicinare al mondo giovanile la tematica culturale, poiché impiega il mezzo più comune di acquisizione di informazioni da parte dei nativi digitali. Credo quindi che queste siano proposte meritorie, di cui si spera di vedere presto un risultato, frutto dell’attiva partecipazione dei cittadini di ogni comune coinvolto.

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Società

Sociale & Volontariato

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di Elisa Campra

Associazione Centro d’Ascolto

Le “risposte” a chi è in difficoltà L’associazione Centro Ecumenico d’Ascolto si occupa di venire incontro alle persone che hanno bisogno di un aiuto economico; in cantiere c’è un nuovo progetto: un emporio “solidale”. Ne parliamo con Mario Bert, presidente dell’associazione. Quando nasce il centro d’ascolto? Il servizio offerto dal centro va avanti da vent’anni. Solo dal 14 maggio 2013, però, si è trasformata questa realtà in associazione, in modo da avere una personalità giuridica e poter ad esempio ricevere donazioni ed avere delle convenzioni. Quante persone collaborano con l’associazione? Sono tutti volontari? Coloro che partecipano sono esclusivamente volontari. Tra i soci dell’associazione ed i volontari che facevano parte del centro d’ascolto in precedenza le persone che partecipano sono circa una quarantina. Qual è il vostro scopo? Come lo realizzate? Il centro ecumenico d’ascolto si occupa di accogliere le persone che necessitano di un aiuto economico. Dopo un colloquio con i volontari e con l’aiuto delle assistenti sociali queste persone vengono inserite tra coloro che una volta al mese ricevono borse in cui ci sono beni alimentari fondamentali, quali pasta, riso, olio, eccetera. In più, se è una famiglia con figli a richiedere l’aiuto, per ogni figlio si fornisce un buono spendibile in un supermercato. Il problema è che nel dicembre 2013 è finita la fornitura europea di viveri GEA che lo Stato italiano metteva a disposizione del banco alimentare, tra i principali fornitori di cibo per questo tipo di associazioni. Inoltre, dando buste identiche ad ogni persona non si tiene conto delle esigenze singole, di chi ha diverse necessità. Quali soluzioni avete pensato? Si vuole realizzare un nuovo progetto. Visitando due attività a Parma e a Modena che hanno creato dei veri e propri supermercati per persone con queste necessità - si è pensato

di avvicinare la nostra attività alla loro. Non c’è ancora la possibilità di creare una struttura così grande, ma grazie all’aiuto di un privato, che ha messo a disposizione gratuitamente i locali in via del Pino proprio accanto al centro d’ascolto, è possibile realizzare un emporio in cui le persone possano venire a servirsi di ciò di cui davvero hanno necessità, utilizzando dei punti che verranno loro dati e scalati dal contributo mensile ogni volta che faranno la spesa. Negli ultimi tempi sono aumentate le persone che necessitano del vostro aiuto? Sicuramente. Nel giro di sei mesi abbiamo registrato una media di cinque, sei casi che mensilmente si aggiungono a coloro che già vengono assistiti. Chi vi aiuta ad aiutare queste persone in difficoltà? A parte appunto il banco alimentare ci sono diversi aiuti che arrivano: l’AVASS ultimamente ci manda la verdura che riceve a sua volta dai supermercati, ci sono poi circoli ed associazioni che fanno raccolte di beneficenza dandoci il ricavato, ma molto importante è anche l’aiuto dei privati. Ci sono persone che, una volta vista la validità di un progetto come quello dell’emporio, hanno deciso di donare una somma ogni mese. Altri ancora contribuiscono magari aggiungendo alla spesa che fanno per le loro famiglie prodotti che poi ci portano e che noi diamo agli assistiti. Inoltre, con un progetto nato dal coordinamento NOI CON IL MONDO, “Vicini si può”, si cerca di risolvere utenze ed affitti di coloro che non possono più pagarli: in questo periodo di crisi, in cui i comuni non ricevono più denaro a sufficienza per occuparsi di chi ha necessità, è il volontariato a cercare di tappare quanti più buchi possibile. La nostra speranza è che la solidarietà si diffonda sempre di più, poiché ogni contributo è davvero fondamentale per portare avanti un progetto come quello dell’emporio.


Cosedell’altromondo Giovani,Tecnologia@Innovazioni

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di Greta Gontero

Il traduttore istantaneo Nel futuro più prossimo sarà forse possibile conversare con giapponesi, indiani, spagnoli o chiunque parli una lingua straniera, senza aver mai imparato tale lingua? Sì, grazie all’ultimo e strabiliante progetto dell’azienda americana “Google”, che sta lavorando ad una tecnologia nuova: questa permetterà infatti di conversare tranquillamente con persone di qualsiasi paese del mondo! Attualmente i test per il progetto si basano sul passaggio da inglese a portoghese e viceversa, ma presto si estenderà a tutte le altre lingue. L’azienda si appoggia al sistema operativo Android e conta di elaborare un progetto degno del suo predecessore: i Google projectglass. Questo non è però il primo prototipo, infatti già nel 2009, in Giappone, era stato ideato Telescouter, firmato NEC, che consiste in un sistema di traduzione istantanea basato su connettività veloce in rete,

un microfono con webcam e un proiettore che mostra i sottotitoli direttamente in retina. Quindi sarà possibile indossare una specie di occhiale che, da una parte, ascolta e vede ciò che dice il nostro interlocutore e, dall’altra parte, manda la traduzione in tempo reale all’interno dell’occhio. NEC Telescouter è diviso in ter parti: occhiale, computer e server remoto; tutto ciò permetterà di avere una traduzione (sotto forma di sottotitoli) proiettata sulla retina in tempo reale.

Ho sperimentato l’assenza della “banda larga” Venerdì 20 dicembre ho sperimentato che cosa vuol dire avere la connessione ad internet veloce, la cosidetta “banda larga”, che a Pinerolo è ferma dal 2006 al tombino della Porporata. Ebbene, venerdì 20 dicembre, alle ore 15,45 circa mi sono recato agli sportelli dell’Acea di via Vigone per fare il contratto di fornitura del gas alla sede di Onda d’urto in via Vigone 22. Ho incontrato una signora molto gentile e disponibile a rispondere alla mia richiesta, ma dopo un po’ si blocca perchè non vi è la connessione ad internet. Costernata mi dice che non può andare avanti nella procedura perchè non può operare. Così attendiamo un po’, la linea ritorna e vengono inseriti altri dati, ma di nuovo la linea di operatività è assente. E così per circa un’ora, fino quasi alle 17, quando

tutta l’operazione va in porto. Tirando le somme dell’esperienza vissuta viene fuori che sia io che l’operatrice abbiamo perso almeno tre quarti d’ora del nostro tempo per un’operazione che poteva essere svolta in 15 minuti. E questo succede anche in banca ed in altri sportelli pubblici. È un esempio che aiuta a capire come viene fuori l’aumento del Pil di 2 punti ad avere la “banda larga”, secondo la Banca Mondiale. Per ora a Pinerolo si è ancora fermi al tombino della Porporata. L’impegno dell’assessore Agliodo è per uno sblocco nei primi mesi del 2014: “ci giochiamo la faccia” aveva detto. Speriamo bene, altrimenti altri 10 o 100 episodi simili a quello del 20 dicembre continueranno ad essere routine. Antonio Denanni


diritti umani

Visibili & Invisibili

gruppo giovani amnesty international

Mondiali di calcio in Qatar: sfruttamento dei lavoratori stranieri Amnesty ha denunciato in un rapporto le condizioni in cui sono costretti a vivere gli operai stranieri, soprattutto nepalesi, che stanno costruendo le strutture per i mondiali di calcio 2022 in Qatar, dal mancato pagamento dei salari agli alloggi fatiscenti. “I nostri risultati indicano un preoccupante livello di sfruttamento della manodopera utilizzata nel settore delle costruzioni in Qatar”, ha detto il segretario generale di Amnesty Salil Shetty. “La FIFA ha il dovere di inviare un messaggio forte avvertendo che non tollera alcuna violazione dei diritti umani sui progetti di costruzione relativi alla Coppa del Mondo”, ha aggiunto. “E’ semplicemente ingiustificabile che in uno dei Paesi più ricchi del mondo ci siano così tanti lavoratori migranti spietatamente sfruttati, privati della loro retribuzione e che lottano per sopravvivere”. “I datori di lavoro in Qatar hanno mostrato un disprezzo sconvolgente per i diritti umani fondamentali verso i lavoratori emigranti. Molti stanno approfittando di una legi-

slazione permissiva e lassista delle tutele del lavoro per sfruttare i lavoratori”. Il rapporto afferma che gli abusi includono “il mancato pagamento dei salari, le dure condizioni di lavoro e gli standard scioccanti delle condizioni di alloggio, con i lavoratori che vivono in squallidi stanzoni sovraffollati, senza aria condizionata e con le fosse biologiche scoperte”. Secondo la Confederazione internazionale dei sindacati (Ituc), la frenesia legata alla realizzazione delle strutture per i Mondiali del 2022 in Qatar provocherà “la morte di 4.000 lavoratori immigrati” prima che il primo pallone venga calciato. Alle denunce e alle sollecitazioni arrivate da più parti, il presidente della Fifa Sepp Blatter ha risposto il 9 novembre scorso, al termine di una visita in Qatar, dicendo che le autorità dell’emirato si sono impegnate a modificare le normative sul lavoro e a migliorare le condizioni di vita degli operai immigrati.

Un “servitore” della Giustizia Il 2014 si è aperto con un personaggio importante in meno nella magistratura di Torino, Giancarlo Caselli. Infatti dal 28 dicembre 2013 Caselli è andato in pensione, è stato lui stesso ad annunciarlo con una lettera a tutti gli aggiunti e ai sostituti procuratori. In più di 40 anni di servizio reso allo Stato, ben 39 ne ha trascorsi sotto scorta. Il suo è stato un lavoro impegnativo a favore della giustizia, negli ultimi anni volto soprattutto a far emergere l’attività della ‘ndrangheta in Piemonte e a coordinare grandi inchieste come l’inchiesta “Minotauro”. I due pilastri della sua carriera sono stati: la lotta alle Brigate Rosse e l’impegno in Sicilia negli anni della strage di Capaci e di via d’Amelio. In un’intervista ha affermato che, forse con un po’ di presunzione, riteneva di

aver fatto qualcosa di importante in questi anni per dare una svolta alla lotta contro la mafia nel nostro Paese. Nella sua lettera di congedo ha inoltre affermato: “Mi spiace lasciare il lavoro di Procura ma ancor più, credetemi non è frase fatta, lasciare tanti amici, cioè tutti voi che (ciascuno nel suo ruolo) avete fortemente contribuito, in maniera decisiva, a fare dell’ufficio un sistema funzionante a livelli di eccellenza. Ve ne sono e ve ne sarò sempre immensamente grato”. E’ stato un uomo che ha sempre attribuito grande importanza al lavoro di squadra e ne è sempre stato il primo promotore. Ora non ci resta che sperare che il suo ruolo venga ricoperto da un altro personaggio di grande carisma, quale Giancarlo Caselli è stato. Chiara Perrone

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così per il mondo

Vita internazionale di Alessia Moroni

L’estate in un YMCA Camp dell’Ohio

Sara Alù: arte e danza a 360° Sara, ballerina pinerolese, ha trascorso l’estate in Ohio lavorando in un “YMCA Camp”, cioè una catena di campi estivi per ragazzi e famiglie, attivi anche tutto l’anno. Il suo ruolo era quello di “consuler”, un’“animatrice” all’interno dello staff. La sua principale occupazione riguardava la danza, ma anche molte altre attività, tra cui l’organizzazione di serate e giochi che seguivano il tema della settimana. Tra una prova e l’altra, Sara ha trovato un’oretta per raccontarci la sua esperienza in America. Appena arrivata ti sei inserita in un ambiente del tutto nuovo, per di più lavorativo: deve essere stato un grande cambiamento... Sì, abbiamo fatto la prima settimana di “staff training”, dove ci hanno spiegato le norme di sicurezza per i bambini e dopo abbiamo iniziato a lavorare per otto settimane. All’inizio il linguaggio era tecnico, poi è stato più facile, anche se è molto particolare da cogliere, perchè usano molto lo “slang”. Con i colleghi? Vita privata? Ho trovato persone molto ospitali e ho instaurato delle bellissime amicizie. Ogni settimana avevamo 24 ore di tempo libero e, per quel breve periodo, alloggiavo da delle mie colleghe americane: ho così visitato le grandi città dell’Ohio e vissuto la loro cultura. Per quanto riguarda la danza e l’arte in generale, hai notato differenze rispetto all’Italia? All’interno della struttura le persone

dello staff erano molto attente a far uscire il talento dei bambini e le loro qualità. Al di fuori ho potuto comunque notare che l’arte è molto valorizzata, ben vista e apprezzata dal pubblico. Dopo questa esperienza ho una visione più completa e più aperta della danza. Loro sono artisti completi, vivono l’arte a 360 gradi e la ballerina può lavorare in teatro, tv, videoclip, senza essere vincolata ad un singolo settore. Sei stata a contatto con ragazzi e bambini di ogni età: c’è un particolare della quotidianità che ti ha colpita? Una cosa che mi ha colpita è stato il modo di stare insieme dei giovani, senza dover pensare a mille tecnologie. Non potendo tenere né telefono né ipod, usavano forme di divertimento molto semplici e “rudimentali”. Nella pausa pranzo loro si divertivano facendo il ritmo con il bicchiere, con filastrocche semplici e divertenti. Hai avuto possibilità di girare per l’America? Sì, finito il Camp sono stata a Chicago, poi sono tornata in Ohio e ho passato quattro giorni alla Miami University. Lì ho potuto vedere l’ambiente universitario americano, totalmente diverso dal nostro. Sono poi andata cinque giorni a New York, con due colleghe. New York è emozionante: sembra quasi una favola. Ho visitato i punti più importanti tra cui il MoMA (The Museum of Modern Art) e il Musical di Broadway. A paragone mi è piaciuta molto di più Chicago e la vera America l’ho vissuta in Ohio.

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arte& spettacolo

Teatro di Maurizio Allasia

Noi ci credevamo

Confessione di un teatrante, quasi ex... Non si approfitta di un articolo pubblico per fatti privati, perché servono più puntate e almeno qualche foto per interessare chi legge. Ma quando si manca da un posto per tanto tempo c’è sempre quella tendenza a giustificare il proprio ritorno. Io non so se sono tornato, però voglio giustificarmi nel caso questa rubrica-finestra sugli spettacoli dovesse cambiare passo. Ho fatto teatro per alcuni anni, credendoci sempre molto, e a un certo punto volevo anche diventare un regista per davvero, credendoci troppo poco. Ho anche scritto alcuni testi, a cui non crederebbe più nessuno. Poi a un certo punto abbiamo creduto sempre un po’ meno in quello che facevamo. È stato quasi impercettibile e senza traumi, disciolto nei cambiamenti dei vent’anni che corrono a testa bassa. Senza traumi perché siamo ancora vivi e senza intenzione di concludere in maniera plateale la nostra avventura. In questi anni il direttore di questo giornale, dopo ogni nostro lavoro, ci ha sempre detto che avremmo dovuto fare qualcosa di meno impegnato. Siete bravi per carità, ma troppo seri, ci diceva, mentre noi abbiamo sempre pensato fosse una qualità, perché era ciò che ci distingueva e ci faceva sentire migliori. Sentivamo di contribuire culturalmente alla città che consideravamo un centro, di qualunque genere. Senza prenderci troppe responsabilità ma essendo presenti, e la città ci ha dato molte soddisfazioni e inevitabili indifferenze. E noi facevamo teatro per divertirci o perché ci credevamo? Oppure abbiamo fatto teatro finché le due cose convivevano?

E se la gente non ci veniva a vedere o era sempre la stessa ci convincevamo sempre che era perché preferiva andare a teatro per passare una serata in allegria, senza impegno, senza assistere a nulla di troppo complicato, la cultura perde sempre, come la sinistra. Senza mai accettare davvero che in fondo facevamo teatro per noi più che per gli altri, ed era bello e giusto anche così. Ripartiremo forse, con l’umiltà degli errori fatti e non essendo comunque mai d’accordo nemmeno per un istante con Homer Simpson che “tentare è il primo passo verso il fallimento”. Troveremo un altro linguaggio se riusciremo, meno didascalico, meno “critico”, meno militante. O forse non faremo mai più teatro, e non sarà una tragedia, men che meno greca, men che meno shakespeariana. Al massimo beckettiana. Questa rubrica potrebbe rimanere una pagina per capire cosa capita nello spettacolo che ci circonda. O meglio cosa ci capita quando circondiamo uno spettacolo, quando vorremmo che fosse senza fine, che coincidesse con la vita il più possibile o al contrario quando vorremmo tenerlo il più lontano possibile. Pensando a tutte quelle volte che abbiamo avuto l’illusione ficcante di poter uscire dal grande teatro diversi da come eravamo entrati. “Ehi! Buongiorno! Ah, e casomai non vi rivedessi, buon pomeriggio, buonasera e buonanotte!” (The Truman Show, giorno 9112)

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Lettera a...

dal tempo

di Cristiano Roasio

Lettera per un premio futuro

Capodanno per annunciare il proprio credo Se papa Silvestro I avesse saputo che la data di commemorazione della sua futura santificazione sarebbe coincisa con botti, fuochi d’artificio, cani terrorizzati a rosicchiare le porte per poter entrare in casa, pozze di vomito, musica dal dubbio valore estetico, ridicoli conti alla rovescia tra trenini e cappellini in cartone e, come dimenticarli, show televisivi dalla durata eonica, probabilmente avrebbe certamente tentennato un po’ prima di accedere al trentatreesimo soglio pontificio. Erano gli anni in cui, consapevolmente o meno, si decidevano le sorti metafisiche della nostra era, impostazioni filosofiche che anche il più ateo di noi ha codificate nei geni, per esempio quando sottoscrive un libretto di risparmio in vista di un bene futuro, una sorta di aldilà aldiquà, quando potrà spendere una vita di sacrifici con gli interessi..., e la dottrina cristiana iniziava a uscire da catacombe piene di graffiti cifrati e la nuova religione proveniente dalla Galilea (solo ad un anno prima risale l’editto di Milano che lasciava libertà di culto ai cristiani) si stava diffondendo in tutto l’Impero. Anni di collaborazionismo tra Stato e Chiesa, anni di “presunta tolleranza” (le considerazioni del consiglio di Nicea sugli Ebrei riecheggiano in modo inquietante il ventesimo secolo); allora venne formulato il Credo e per anni ho ripetuto quella dichiarazione di guerra alle altre religioni senza minimamente pormi il problema. Ma ora San Silvestro è alle porte e devo sbrigarmi a decidere quale party (tutti uguali) è più adatto a me: si colmano le piazze, già si leggono manifesti che preannunciano spettacolari giochi di luce e altre amene ovvietà anche a Pinerolo, bisogna lasciare indietro il 2013 con tutte le sue brutture e i suoi sacrifici, senza però dimenticare una bella playlist della topten dei momenti migliori da condividere, in vista di un 2014 pieno di novità e speranze e prospettive migliori... “Credo in un solo fuoco d’artificio

padre onnipotente distruttore del cielo e della terra di tutte le cose visibili ed invisibili per noi uomini e per la nostra stanchezza discese dal cielo e per opera della Santa Amministrazione si è incarnato nel seno delle nostre Vergini Città e si è fatto cenere” Mi pare che il capodanno, come le altre

feste, sia nient’altro che un pretesto per annunciare al mondo il nostro credo: sano lavoro, meritato riposo, giusta spesa, controllata perdita di controllo del sé. Il credo della nostra società recita “mangio e bevo e guardo polvere da sparo in fiamme perché ho faticato e mi aspetta la giusta ricompensa, in vista di un Premio migliore, nel futuro”: quale? Futuro o Premio? Fate voi.

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società

Per Mostre e Musei di Chiara Gallo

Piccole città... “promettenti artisti”

Intervista a Stefania Canavosio Emozioni e sogni in una spirale di colore!

Pittrice, decoratrice, originaria di None, Stefania si è diplomata nel 2010 presso il liceo artistico M. Buniva di Pinerolo. Ad oggi frequenta l’Accademia Albertina di belle arti di Torino. Protagonista di mostre personali e collettive in buona parte del territorio piemontese, recentemente è stata premiata dal critico Vittorio Sgarbi per il Premio Nazionale di Arti Figurative, Digitali e Scenografiche, promosso dal Ministero dell’Istruzione. Ci potresti parlare del premio di cui sei stata vincitrice e soprattutto quali sono le tue osservazioni a riguardo? Il Premio nazionale delle arti figurative, digitali e scenografiche, è una manifestazione che riveste, per il sistema artistico italiano, caratteristiche uniche che lo differenziano da ogni altra cerimonia simile, sia in Italia che all’estero. Quest’anno si è svolta presso l’Accademia di Belle Arti di Bari dall’1 al 10 ottobre 2013 e ha visto coinvolti 270 studenti. Ad essere coinvolti sono tutti i settori disciplinari, artistici, a ciascuno dei quali spetta un vincitore. Per noi studenti si tratta di un’ottima occasione per farci conoscere anche a livello nazionale, essendo sempre più difficile farsi notare dati i vasti numeri che affollano il settore dell’arte moderna. Il premio non consisteva in vincite remunerative, ma in un semplice libro. Un arricchimento morale e una grande soddisfazione in grado di farci da finestra sul mondo lavorativo.

Parlando della tua arte, qual è la tecnica che prediligi? Diplomata in pittura, presto ho avviato una ricerca personale indirizzata verso l’informale, amalgamando insieme forme e toni caldi. Ho sempre prediletto la tecnica mista coadiuvata all’istintività. Una volta iscritta all’Accademia ho avuto modo di approcciarmi per la prima volta all’antica tecnica del mosaico e da qui ho iniziato a sperimentare in questo ambito utilizzando la mia fantasia per creare motivi nuovi e bizzarri. La particolarità delle mie opere sta anche nella novità delle tecniche di cui mi servo. Insomma, una fusione tra tradizione e innovazione, tra passato e presente. Chi sono gli artisti che più ammiri nel panorama artistico attuale? Sicuramente due grandi artisti che ammiro per tecnica, innovazione e pensiero sono Kaufmann e Yayoj Kusama. Da loro traggo molta ispirazione. Hai già dei progetti per il futuro? Parlare di futuro per gli studenti d’arte non è mai cosa facile. Il primo obbiettivo da raggiungere è la laurea triennale, e la specializzazione. In seguito mi piacerebbe riuscire ad entrare nel corpo docenti , magari in Accademia. Poter trasmettere ad altri la passione con cui sono cresciuta io per poterli avviare in questo mondo fantastico e difficile che è l’arte.

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musica

Officine del suono di Demis Pascal

m u s i c a emergente

Aut in Vertigo

Gli Aut In Vertigo nascono nel 2004 e come spesso accade le amicizie maturate sui banchi di scuola sono la scintilla che dà il via a tutto. La passione per il rock di matrice seventies è il comune denominatore per la formazione di una band che sceglie però di non farsi limitare dai propri gusti ma di fare della sperimentazione uno stile di vita. Attivi su molti palchi dell’Italia nordoccidentale nel 2013 danno alla luce In bilico, fatica discografica di grande intraprendenza. Il full lenght si apre con l’energica Passi dove interessanti fraseggi di chitarra, sia ritmica che solista, si mischiano ai testi in italiano creando una cavalcata ricca di spunti armonici e lirici. Ancora testi in italiano e grandi prestazioni vocali per Volto fragile, seconda traccia dell’album che fa filotto con la prima per stile ed impostazioni; ritmiche incalzanti ed elaborati assoli si compattano in un brano sincero e impattante. Il disco prosegue con la title track che si apre con una vena più melodica per districarsi tra intrecci ritmici ed il cantato sempre preciso ed eloquente, per avviarsi alla conclusione con un delicato assolo di chitarra. Dal sapore vagamente funky è invece Pelle e peccato, quarto brano del disco, che si apre con un riff di chitarra che porta indietro nel tempo. Un basso molto evidente sostiene tutto il brano richiamando alle ritmiche tipiche della black music accompagnato da una batteria sempre presente ed incalzante. Sensazioni più introspettive invece permeano Fuori gli dei dove tutti gli strumenti si ritrovano a sostenere una voce leggermente più aggressiva che canta la rabbia delle disillusioni. Il giro di boa del disco ce lo da Rivoluzione,

brano robusto dal ritmo in levare che si apre provocatoriamente con una voce da megafono che inneggia alla commercializzazione dei rivoluzionari dei giorni nostri. La settima traccia è Chiara, struggente ballad d’amore resa ancor più malinconica dalle note piangenti della chitarra che a tratti sostiene la voce all’unisono per poi lasciare spazio a momenti più essenziali dove il cantato è quasi da solo con la batteria sempre precisa a sostenerlo. Un richiamo a ritmiche quasi maideniane ce lo fornisce la traccia seguente, Fratello Gert. Corde stoppate e robusti accordi riportano alto il ritmo dell’album con un bel suono di basso, anche qui molto presente. Ben si amalgama al brano precedente anche la nona traccia OleI-OleI incalzando l’ascoltatore per tutta la sua durata con ritmiche robuste ma non scevre di melodia. Titolo inglese ma cantato in italiano per la decima traccia Deep sigh. Una bel lento che fa trasparire la vena più poetica della band adagiando il pubblico su morbidi velluti di melodia. Chiude il disco col piede sull’acceleratore Radio Aut che propone una bella raccolta degli aspetti più interessanti del rock di matrice italica per conludere l’album lasciando nell’ascoltatore viva la curiosità per il seguito della carriera di questa giovane band. Potete ascoltare il disco on line sulle più comuni piattaforme web come Spotify, Amazon, Google Play ed ovviamente iTunes. Ed ovviamente sempre aggiornati sulle date live e sulle future uscite discografiche su www. autinvertigo.it Stay with music!

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società

Appunti di viaggio di Mauro Beccaria

l’Himalaya

La montagna che cura

Ad un anno dall’ultima pesantissima chemioterapia, risoltasi con successo, grazie a Dio ed agli ottimi medici dell’Istituto di Candiolo, mio marito Mauro ha deciso di affrontare qualcosa di davvero grande, per sentirsi vivo e per sigillare la sua vittoria interiore: l’Himalaya e le sue cime, da solo, lungo i sentieri che solcano i giganti della terra. Ecco un primo estratto dei suoi appunti di viaggio. (A.Pons)

24 novembre 2013. Tappa da Dzonglha a Tagnag. Due belle tazze di cioccolata calda e si parte, zaino in spalla, al mattino presto, per affrontare il primo passo importante, oltre i 5.000 m, dopo già 17 giorni di cammino in solitaria, partendo da Shivalaya, lungo la via antica, la old way, delle prime spedizioni verso la vetta dell’Everest. La prima parte di tracciato non è difficile: gradatamente si sale fino ad attraversare un torrente più grande e si incontrano giganteschi massi erratici, posati lì da non so quale forza della natura. Da ora la salita diventa durissima, senza tregua. Nell’ultimo tratto, percorro le vie scavate nella neve, aiutandomi con le mani ed i bastoni da trekking. La fatica è spaventosa, ma non ho

paura. La via è molto ripida, anche se, per fortuna, non troppo esposta. Giunto in cima lo spettacolo cambia. Si apre davanti a me un enorme ghiacciaio: il ChoLa, che scricchiola e rumoreggia cupamente sotto di me. Indosso i ramponi e via. Sono emozionatissimo, non credo di aver mai provato qualcosa di simile. Sono al settimo cielo e dopo un’ora di ramponata arrivo al passo. L’emozione prende forma e qualche lacrima scende. Da solo sono riuscito a vincere le mie paure ed a raggiungere un grande obiettivo, 5.420 m, il Cho-La Pass. Devo ammettere di aver pregato tanto, soprattutto per sconfiggere il timore. La presenza di mia moglie, nel cuore, mi ha sempre accompagnato. La discesa dal passo è lunga quanto la salita. Tanta neve, indispensabili i ramponi. Così, dopo tre ore arrivo a Tagnag. Mi fermo alla guest house e metto tutto ad asciugare, compreso me stesso, come una lucertola, al sole splendente, fino alle 16, quando infine i raggi si nascondono dietro le cime.

Proiezione del viaggio “La montagna che cura” presso la Libreria Mondadori, martedì 4 febbraio 2014, h 17,30. Ingresso libero.

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Sono a m i c i d i P i n e r o l o I n D i a l o g o

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