Pineroloindialogo dicembre2014

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Anno 5,Dicembre 2014

INDIALOGO

Supple m e n t o d i I n d i a l o g o . i t , a u t o r i z z . N . 2 d e l 16.6.2010 del Tribunale di Pinerolo

Pinerolo cittĂ della cultura? Docenti universitari del Pinerolese /20. Intervista a Giuseppe Quaglia

I giovani a Pinerolo: incontro con i rappresentanti d’istituto degli studenti


Buone News A cura di Gabriella Bruzzone

Che cosa significa essere sostenibili

La sostenibilità di ogni giorno Si parla spesso di sostenibilità e la si applica a ogni ambito: salute, ambiente, alimentazione, scuola, industria... Ma cos’è esattamente la sostenibilità? Cercando nell’Enciclopedia Treccani, si legge: «nelle scienze ambientali ed economiche, condizione di uno sviluppo in grado di assicurare il soddisfacimento dei bisogni della generazione presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di realizzare i propri». In poche parole, tutto ciò che facciamo oggi, ora, in questo istante, deve essere pensato in modo tale da non danneggiare i nostri figli, nipoti, pronipoti. Certamente una definizione significativa, che mette quasi i brividi a pensarla come monito. Se andiamo a leggerne la storia, questo termine non nasce per caso, ma con un obbiettivo ben preciso stabilito dall’ONU nel 1972. All’epoca si parlava solo di ambiente ed ecologia anche se, per avere un progetto completo, si dovette aspettare fino al 1989, anno del cosiddetto rapporto Brundtland. Erano stati valutati tutti quegli aspetti che

in qualche modo avrebbero influito sulla stabilità dell’ecosistema. Per questo si parla di resilienza, autoregolazione, resistenza, tutte rapportate ai comportamenti adeguati da tenere nei confronti dell’ambiente per garantirne l’equilibrio ed evitare ripercussioni future. Col tempo poi il concetto si è ampliato, includendo anche economia e società, in rapporto sinergico con l’ambiente. I tre campi quindi portano avanti lo stesso ideale, che deve essere di benessere, di crescente miglioramento, e che può facilmente essere applicato ad ogni sfera della vita. Per fare un esempio concreto, gli spazi verdi nelle grandi città sono sostenibili, spostarsi a piedi o in bicicletta in centro è sostenibile, coltivare un orticello sul balcone senza fare uso di pesticidi è sostenibile. Le fonti rinnovabili, la raccolta differenziata, la riduzione degli sprechi. Sono tutte cose che ritroviamo nel nostro quotidiano e che, senza troppi sforzi, possiamo attuare nel nostro piccolo, per ricordarci che ogni piccola azione positiva di oggi crescerà e migliorerà la vita delle generazioni future.

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wwwwAw Informazione e cultura locale per un dialogo tra generazioni

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|Pinerolo città della cultura? Si fa in fretta a dire Polo culturale. Realizzarlo è tutta un’altra cosa. Il dibattito sulla proposta della giunta Buttiero dai giornali e dalla discussione nelle associazioni si è spostato nella politica con la discussione in consiglio comunale in occasione dell’acquisizione della caserma Bochard. Pinerolo è una città molto ricca di iniziative culturali e di associazioni che le promuovono, ce ne sono decine, ognuna col proprio giro e con i propri eventi. Tanti piccoli cespugli, per lo più impermeabili l’uno all’altro, che organizzano iniziative a cui partecipano 20-30 persone scollegate le une dalle altre. Nel nostro sito www.pineroloindialogo.it/eventi abbiamo contato in alcune occasioni 4/5 eventi/conferenze in contemporanea che meritavano tutte di essere seguite per lo spessore culturale. Il guaio è che in città manca un coordinamento e una politica culturale: ogni associazione va per conto suo, con delle iniziative per il proprio giro di simpatizzanti più o meno precettati. Se creare alla Bochard un polo culturale vuol dire spostare la biblioteca e tutte le associazioni culturali esistenti ed affidarne il coordinamento ad un assessore, un consigliere o un funzionario comunale, sarà un sonoro fallimento. Bisogna entrare nell’idea che essere “uomo di cultura” non significa “essere capaci di fare cultura”, cioè essere capaci di organizzare eventi di cultura. Per fare questo ci vogliono dei manager, degli esperti di eventi culturali, di bilancio, di marketing, capaci di far spostare le persone da lontano. Cioè degli organizzatori che si avvalgono di volta in volta degli uomini di cultura di settore. È quello che ha fatto con maestria Antonella Parigi a Torino con il Circolo dei lettori e con Torino Spiritualità e Maria Luisa Cosso a Miradolo con la sua Fondazione mettendo a frutto la sua esperienza di manager aziendale. Fossi Buttiero io chiederei proprio alla Cosso di mettere a servizio della città questa managerialità! Antonio Denanni

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2 Buone News

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la sostenibilità di ogni giorno

Politica giovane young

i rappresentanti degli studenti pinerolesi

Primo Piano

docenti del pinerolese/20: giuseppe quaglia

Urbanistica & Architettura

la variante: un ponte per il futuro?

10 Giovani & Storia

la pietra di luserna in un racconto dell’800

11 Lettere al giornale

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che fatica farsi ascoltare

Teatro

le risate con beatles submarine

Serate di Laurea

manuel marras e matteo pesando

14 Donne del Pinerolese Graziella bonansea 15 Lettera a...

le donne di camilleri

16 Il Passalibro l’imperialismo sanitario 17 Per mostre e musei

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20

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Viaggiare

il viaggio e i legami che ti cambiano

Vita internazionale

un gemellaggio pinerolo-melbourne

Musica emergente

fabio smeraldo

Cose dell’altro mondo

PINEROLO INDIALOGO

Direttore Responsabile Antonio Denanni Hanno collaborato: Emanuele Sacchetto, Valentina Voglino, Alessia Moroni, Elisa Campra, Gabriella Bruzzone, Maurizio Allasia, Andrea Obiso, Stella Rivolo, Andrea Bruno, Chiara Gallo, Cristiano Roasio, Nadia Fenoglio, Giulia Pussetto, Francesca Costarelli, Michele F.Barale, Chiara Perrone, Marianna Bertolino, Federico Gennaro, Isidoro Concas, Sara Nosenzo Con la partecipazione di Elvio Fassone photo Francesca De Marco, Giacomo Denanni Pinerolo Indialogo, supplemento di Indialogo.it Autorizzazione del Tribunale di Pinerolo, n. 2 del 16/06/2010 Associazione Culturale Onda d’Urto Onlus redazione Tel. 0121397226 - Fax 1782285085 E-mail: redazione@pineroloindialogo.it

22 Giovani & Tecnologia

Alex Spunton: una passione per l’arte

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giornatainternazionaledirittidell’infanzia il superhub

Via Vigone da valorizzare

gli ecomostri dell’acea

24 Amici di Pinerolo Indialogo http://www.pineroloindialogo.it http://www.pineroloindialogo.it/eventi http://www.facebook.com/indialogo.apinerolo http://www.issuu.com/pineroloindialogo


Politica giovane young di Emanuele Sacchetto

Cosa fanno i giovani a Pinerolo

Incontro con i rappresentanti degli studenti delle scuole medie superiori «Sono del tutto assenti le politiche giovanili promosse dalle istituzioni» Parlare di giovani a Pinerolo significa parlare soprattuto dei giovani che frequentano le scuole medie superiori (6000 c.a). È questa la realtà più visibile e istituzionalizzata. Incontriamo perciò i rappresentanti degli studenti in Consiglio d’Istituto del Porporato (Debora, Susanna e Caterina), del Curie (Edoardo) e del Buniva (Elisa e Cristina) per parlare di politiche scolastiche e giovanili in genere. Prima di tutto siamo curiosi di sapere il motivo della scelta di candidarsi. Buniva: La nostra scelta è stata dettata dall’incapacità operativa dei nostri predecessori. Infatti, seppur le idee non siano mai mancate, la realizzazione di progetti concreti non è mai riuscita. Noi vogliamo finalmente riuscire a fare e non solo più a parlare. Porporato: Ex rappresentanti di classe per lo più, e già membri dell’organo esecutivo che affiancava il Consiglio d’Istituto, a convincerci a candidarsi è stata la volontà di prendersi cura, attivamente, e di assumersi una responsabilità. Scientifico: La nostra scelta invece è stata supportata dal buon esempio dei rappresentanti dell’anno scorso, nell’intento naturalmente di fare meglio sempre. Avete creato un collettivo cittadino o ogni Istituto va per conto suo? Abbiamo subito creato un gruppo tra di noi per organizzare e realizzare progetti condivisi

e confrontarci sui problemi di ogni singolo Istituto. Infatti, le esigenze sono diverse, ma il confronto ci permette di trovare soluzioni migliori a problemi interni ed esterni. Abbiamo anche tentato una collaborazione con altri Istituti di Pinerolo, ma per ora con scarsi risultati. Questo è un peccato, ma speriamo di poter fare meglio in futuro. Quali sono i problemi più avvertiti all’interno dei vostri Istituti? Buniva: Il problema principale è sempre stata la mancanza quasi totale di iniziative e la scarsa disponibilità dei professori, il più delle volte dubbiosi sulla buona riuscita di queste. Inoltre, un deficit per gli studenti è anche la mancanza di uno psicologo interno con cui poter parlare liberamente. Porporato: La cosa più difficile con cui aver a che fare è la grande diversità degli indirizzi interni al Liceo, che rende ardua una vera collaborazione su un piano di parità. Sembra spesso (purtroppo ed erroneamente), che a proporre iniziative sia sempre solo il liceo classico. Inoltre, provenendo gli studenti da paesi anche molto lontani è difficile riuscire a creare gruppi stabili all’interno. Scientifico: La cosa più difficile cui far fronte è la mancanza di interesse degli studenti. Ogni cosa che si propone loro di fare è vista come una fatica. Tuttavia, da quest’anno sembra che ci sia maggior interesse.

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«Abbiamo subito creato un gruppo tra di noi per confrontarci, organizzare e realizzare progetti condivisi»5 Storicamente, ormai, in ogni Istituto si organizzano le “giornate autogestite”: cosa proponete per quest’anno? Buniva: Purtroppo nel nostro Istituto non sono mai state organizzate giornate di questo tipo, per la mancanza di consenso del Dirigente Scolastico. Ma per quest’anno stiamo cercando di realizzare la giornata della memoria e una giornata dell’arte, vista anche la presenza del Liceo Artistico nel nostro Istituto. Porporato: Come ormai da anni, proporremo la giornata dell’arte, con laboratori di ogni genere e la giornata autogestita, con dibattiti su temi di attualità. Scientifico: Quest’anno, oltre alle ormai famose giornate della memoria e delle arti, stiamo pensando a una giornata per l’interculturalità, con laboratori su diversi paesi del mondo, per farli conoscere agli studenti. Si dice che la politica vada male anche perché i migliori non scendono in campo. E’ così anche per i rappresentanti d’Istituto? C’è interesse per la vita amministrativa e gestionale della propria scuola? Purtroppo anche a livello studentesco è molto facile parlare ma poi ad impegnarsi effettivamente e partecipatamente di gente ne rimane ben poca. E’ molto facile criticare il lavoro degli altri, ma nessuno è poi disposto a metterci la faccia e a collaborare attivamente. Immediatamente dopo le elezioni c’è entusiasmo e voglia di fare, ma purtroppo questo scema in fretta e a lavorare rimangono in pochi. Avete creato un rapporto con le istituzioni del territorio (Sindaco, Assessorati, Associazioni,..)? Lo ritenete utile? Non l’abbiamo ancora fatto ma dovremo. Ad esempio, volendo organizzare la festa di fine anno fuori dalle scuole, ci piacerebbe riuscire ad ottenere il sostegno del Comune, attraverso il suo patrocinio. Naturalmente abbiamo avviato anche un dialogo per iniziative condivise con associazioni giovanili come l’Officina Pinerolese. Buttiamoci in politica: cosa ne pensano dei giovani di 17/18 anni del fenomeno Renzi? Sembra molto bravo a pensare all’aspetto, all’apparenza, ma in quanto a sostanza non sembra convincente. Non basta esser giovani anagraficamente per portare innovazione, se poi si pensa come i vecchi della politica. Ci dispiace in realtà non poter mai affrontare argomenti di attualità politica a scuola, spesso anche per il timore degli insegnanti

e per l’offensività della discussione con i nostri compagni. E’ un argomento difficile da affrontare, senza scendere nella propaganda politica. Diteci una cosa indispensabile che manca secondo voi per i giovani nel territorio pinerolese. Di iniziative non ne mancano. Ciò che è assente o funziona male è l’informazione. Non si scelgono i canali giusti per raggiungere i giovani e coinvolgerli. Questo non significa che il mezzo giusto sia Facebook e i Social Networks. Tutt’altro. Spesso funziona meglio il vecchio sistema del contatto individuale, persona per persona, con una lettera e mail. Questo obbliga i giovani a sapere quali sono le iniziative che a loro si rivolgono e scegliere se parteciparvi. E’ vero che ciò premia la pigrizia dei destinatari, ma questo sistema dovrebbe servire, almeno inizialmente, a ricreare un rapporto tra giovani e politiche giovanili promosse anche dalle istituzioni (ora del tutto assenti). Una cosa positiva nelle vostre scuole e nel territorio. Senz’altro, a partire da quest’anno, la collaborazione tra di noi attraverso il collettivo, che significa creare iniziative condivise tra licei e studenti. Non sarebbe male anche pensare ad un giornale condiviso, capace di unire e far circolare pensieri e dibattiti.

Una breve riflessione...

Ascoltare i pensieri e le idee di giovani studenti è sempre interessante e formativo. In particolar modo devo riconoscere a questi giovani ragazzi una grande intraprendenza, voglia di fare e collaborare. Una bella lezione da insegnare anche alla nostra Amministrazione Comunale: far squadra e confrontare idee diverse porta solo cose positive! Se ancora qualcuno, prima di leggere i tanti pensieri e progetti di questi ragazzi (difficilmente riassumibili in poche aride righe), avesse potuto pensare che i giovani fossero pigri, disinteressati, mi auguro si sia destato dal proprio sonno ignorante e abbia preso coscienza di una presenza autoconsapevole che ha voglia di dire e di fare! Se le idee per le politiche giovanili nella nostra città mancano, forse sarebbe ora di tener conto delle potenzialità innovative di questi ragazzi! Sindaco Buttiero, se ci sei batti un colpo! Emanuele Sacchetto


incontri

Città & Università /20

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Intervista a Giuseppe Quaglia, ingegnere

“La sostenibilità” dovrebbe essere la premessa di ogni attività progettuale «Non sono un professore universitario dedito solo ad attività complesse di ricerca e didattica» Per cominciare ci parli di sé e delle sue competenze in ambito universitario. Innanzi tutto voglio dire che provengo da una famiglia semplice, i miei genitori sono stati contadini e operai. Da loro ho imparato molto, ma soprattutto ad apprezzare il lavoro in tutte le sue forme. Saper lavorare anche manualmente produce una diversa e più completa esperienza di vita e fornisce elementi di comprensione e conoscenza importanti. A me piace curare orto e giardino, tagliare la legna da ardere, fare semplici mobili per la mia casa e mille altre attività. Racconto tutto ciò per far comprendere come lo stereotipo di professore universitario, dedito solo ad attività complesse di ricerca e didattica, non sia idoneo per tutti i casi. La mia storia evidenzia che il nostro sistema d’istruzione pubblica, almeno fino ad ora, ha saputo combattere la cosiddetta “tirannide della culla”, ossia il fatto che il destino di ogni uomo sia predeterminato semplicemente dalla famiglia di nascita. Venendo alla mia storia professionale, mi sono laureato in ingegneria meccanica nel 1989, ho conseguito il dottorato di ricerca, ed in seguito ho avviato l’attività universitaria prima come ricercatore e poi come professore associato presso il Dipartimento di Ingegneria Meccanica e Aereospaziale del Politecnico di Torino. Insegno Meccanica delle Macchine, nel corso di Laurea Triennale in Ingegneria Energetica (circa 180 studenti), e Meccanica delle Macchine Automatiche nel corso di Laurea Magistrale in

Ingegneria Meccanica (circa 70 studenti). Abbiamo letto delle sue ricerche nel settore della robotica. Ce ne parla? La mia attività di ricerca è partita nel campo della robotica, dell’automazione e della meccatronica. Ho realizzato robot mobili per compiti di servizio, vigilanza, manutenzione, attuatori pneumatici a basso consumo energetico, polsi per robot, meccanismi speciali. Mi sono dedicato anche molto alla ricerca applicata per le aziende, tra cui sospensioni per vetture e per treni ad alta velocità, dispositivi steer by wire, banchi prova, sistemi di automazione industriale. Negli ultimi anni è cresciuta la mia attività in un nuovo ambito, quello delle “tecnologie appropriate”. Dietro questa definizione rientra il concetto che scienza e tecnologia possono fornire soluzioni appropriate ad un contesto, per risolvere problemi importanti quali l’alimentazione, l’abitazione, l’accesso all’acqua, la salute, le condizioni di lavoro, l’istruzione. Al Politecnico recentemente abbiamo organizzato un workshop, “Polito for the other 90%”, occupandoci del problema che, appunto, circa il 90% della popolazione mondiale ha un accesso limitato od assente a prodotti e servizi che molti di noi ritengono garantiti. In altre parole la ricerca può essere dedicata allo sviluppo di tecnologie e innovazione dedicate allo sviluppo umano sostenibile. Quest’ultimo


“Il Pinerolese tende in parte a ripiegarsi su se stesso e non sempre si sente parte di un mondo globale” termine, “sostenibilità”, dovrebbe essere infatti la premessa di ogni attività progettuale, ed è quindi centrale nei campi dell’ingegneria e dell’architettura. Le professioni di ingegnere ed architetto possono trasformare il nostro pianeta e la qualità della vita su di esso, e ciò deve condurre ad un profondo senso di responsabilità in chi assume queste professionalità, verso la società attuale e verso quelle future. Politecnico vuol dire anche ricerca nel settore automobilistico per la Fiat, che è stata alla base dello sviluppo industriale del territorio. Qual è oggi la collaborazione tra Fiat e Politecnico? Il rapporto è intenso. Recentemente è stata definita una proroga dell’Accordo Quadro tra Fiat e Politecnico al cui interno è definita anche una collaborazione specifica nel settore della formazione, della ricerca e dell’internazionalizzazione associati allo svolgimento del Corso di Studio in Ingegneria dell’Autoveicolo erogato dal Politecnico. L’internazionalizzazione della Fiat porterà ancora qualche beneficio per il territorio o sarà sempre maggiore il distacco? Credo che per un grande gruppo l’orizzonte globale sia oggi indispensabile. La sua presenza in Italia è un effetto e non una causa: se sapremo mantenere competenze tecniche di alto livello, qualità del lavoro e condizioni sociali ed economiche adeguate, certamente la presenza del gruppo permarrà. Veniamo al Pinerolese. Che cosa le piace e che cosa la indigna? Il nostro territorio ha moltissimi elementi positivi: l’ambiente naturale; la cultura contadina, con tutte le attività ad essa connesse; la presenza di attività industriali, spesso PMI, ma anche aziende di respiro internazionale; un tessuto sociale ancora a dimensione umana. Per quanto riguarda gli elementi negativi, non trovo aspetti che mi indignino. Forse chi opera in questo territorio tende in parte a ripiegarsi su se stesso e non sempre si sente parte di un mondo globale, che insieme a molti problemi porta tanta ricchezza sia di opportunità che di cultura. I recenti anni di crisi sono stati anche un periodo di disfacimento dei valori etici, che però sono gli unici a garantire una serena e proficua interazione non solo tra gli uomini, ma anche tra le imprese e le istituzioni. La conflittualità è in crescita e temo anche la tendenza ad atteggiamenti “predatori”.

Una cosa a suo parere essenziale per il suo rilancio? Penso che sempre di più sia necessario non solo immaginare il futuro popolato di professioni ed iniziative tradizionali, ma saper inventare nuove attività, partendo dalle opportunità. Abbiamo un territorio ampio e bellissimo, con aree che si sono spopolate nel dopoguerra a fronte del richiamo della città. Abbiamo un bagaglio di conoscenze, competenze e cultura che non dobbiamo disperdere, ma che possiamo mettere al servizio del nostro territorio. In questo ambito la tecnologia può fare molto: offrire nuovi strumenti (ad esempio al servizio dell’agricoltura e dell’industria), connettività (e con esse informazioni, azioni), qualità delle abitazioni, dispositivi per la salute e tanto altro. A Pinerolo si parla tanto di smart city. Ci può dire qualcosa dal punto di vista della sua disciplina? Il tema della città intelligente è fortemente indirizzato alla qualità della vita. Gli ambiti della mobilità, dell’efficienza energetica, della domotica, dei dispositivi per la salute, per la sicurezza e per far fronte all’invecchiamento della popolazione possono coinvolgere le mie discipline. Università significa cultura e ricerca, ma anche giovani. Quale consiglio per i giovani del Pinerolese? Questo tempo caratterizzato dalla precarietà mi pare abbia anche provocato talora rassegnazione e alcune volte inedia (bello a questo proposito il libro “Gli sdraiati” di M. Serra). Auguro a tutti i giovani di mantenere invece l’energia, la voglia di gustare e costruirsi una vita ricca e originale. Attraverso la cultura, sia in ambito tecnico che umanistico, si creano i presupposti per comprendere il presente e costruire il futuro. Unico consiglio che mi permetto di dare è di ricercare dentro di sé i talenti, le qualità. Puntando su questi e coltivandoli attraverso una coerente formazione universitaria, con determinazione e impegno, si può costruire un’esistenza ricca di soddisfazioni. Ogni tanto si sente parlare di “cervelli in fuga”. Oggi un giovane ingegnere o laureato deve ancora puntare tutto sul posto di lavoro nel territorio o deve ragionare in termini globali? L’orizzonte è globale, anche nel caso di un ingegnere che operi nel nostro territorio. Si possono coniugare esperienze all’estero, soprattutto in gioventù, e lo sviluppo successivo di attività lavorative nella nostra regione.

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Urbanistica&Architettura di Riccardo Rudiero

Il 13 novembre un’assemblea partecipativa

Variante: un “ponte” verso il futuro? Un tentativo di dare risposte a situazioni insolute, in primis l’Acea ultima azienda in centro città In una gremita sala di rappresentanza del Comune di Pinerolo, giovedì 13 novembre si è tenuta la riunione promossa dall’Amministrazione sulla cosiddetta “variante ponte” del Piano Regolatore vigente, una variante che rivede quella “di qualità” tentando di renderne più attuabili i contenuti in un periodo di congiuntura economica decisamente non favorevole. Obiettivo principale: ridurre il consumo di suolo, abbassando il numero teorico di abitanti e governando con attenzione l’edificabilità favorendo, anche attraverso sistemi d’incentivazione e premialità, la ristrutturazione o la costruzione di edifici attraverso criteri di risparmio energetico e con caratteristiche antisismiche. La variante, hanno sottolineato più volte il sindaco Buttiero e l’assessore Magnano è, allo stato di fatto, un documento programmatico ancora in divenire, che tratteggia caratteri generali, e che si sta arricchendo anche grazie a un processo partecipativo di cui l’Amministrazione si dichiara soddisfatta, nonostante le difficoltà della concertazione. Se si vuol parlare di concertazione, in effetti,

lo si può fare: come hanno puntualmente sottolineato le Associazioni Ambientaliste, in primis Italia Nostra attraverso la voce del suo presidente Trombotto, la variante può esser considerata come «una collazione di richieste e figlia di una serie di confronti e colloqui specifici, attraverso i quali si cerca di dare risposte a situazioni insolute». In pratica, il Piano tenta di arginare problematiche puntuali, lasciando da parte il ridisegno strategico della Pinerolo di domani. Per sua definizione, la variante non prende in considerazione tutte le aree identificate dall’attuale PRG (come, ad esempio, il centro storico e la collina, per la quale entra in gioco anche lo strumento provinciale); per fare ciò sarebbe necessario spendersi nella redazione di un nuovo piano. Quindi, come a più riprese ha dichiarato l’Amministrazione, la variante vuole attuare l’obiettivo cardine di ridimensionamento del sovrastimato PRG del 1998. A riguardo, però, ci sono diversi punti sui quali riflettere. Anzitutto, è vero che gli abitanti teorici scendono, ma di sole 1.900 unità, passando da una popolazione prevista di 54 mila abitanti a una di circa 52 mila. Teniamo però presente che, negli ultimi decenni Pinerolo ha raggiunto al massimo le 36 mila persone, attestandosi poi su numeri inferiori. Perché, allora, continuare a ipotizzare un così massiccio incremento di popolazione, con conseguente necessità (tutta

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1.900 abitanti in meno. Ancora lontani dall’obiettivo di ridimensionamento del sovrastimato PRG del 1998 9

teorica) di edificazione? In secondo luogo, con il nuovo Piano il consumo di suolo diminuisce effettivamente, ma soprattutto a spese degli importanti assi viari di bordo, in particolare quello sud, che non può realizzarsi per motivi di carenza di fondi nelle casse comunali. Comprensibili le ragioni (e apprezzabile l’espressa volontà di mantenere l’inedificabilità delle aree interessate dal progetto originario in attesa di momenti finanziariamente più favorevoli), l’importante è che non vada persa la visione strategica che quei nuovi assi andavano a delineare, e che non si giochi al ribasso attuando una viabilità patchwork, attraverso una confusionaria interconnessione di strade minori e inadeguate. Si è parlato poi di semplificazione normativa, per snellire la procedura edilizia. In tal senso, l’architetto Arione ha sottolineato come «la crisi è determinata almeno per il 50% dalla burocrazia comunale. Il Governo centrale può fare molti sforzi, ma una grossa carica di responsabilità ce l’hanno gli Enti Pubblici locali». Quindi, se davvero si verificasse quanto auspicato, il Piano darebbe una svolta alla situazione stagnante dell’edilizia, svolta che va però presa tutte le riserve precauzionali del caso. In ultimo, la tutela degli edifici storici, ivi compresi quelli otto-novecenteschi. Si spera che, sotto tale aspetto, si prenda seriamente in considerazione anche il patrimonio industriale, compreso il sempre maltrattato merlettificio Türck (anche se, come ha nuovamente evidenziato Trombotto, «l’unico aspetto che la proprietà prende in considerazione è l’abbattimento totale dell’edificio»). E pensare che, come auspicava lo stesso assessore Magnano, la valorizzazione cittadina attraverso una pista ciclabile lungo il Moirano e il Lemina potrebbe finalmente dare lustro a tutti i preziosi esempi di architettura proto-industriale della città, ritornando a dare dignità a una vocazione – quella industriale – che Pinerolo ha dalla sua fondazione.

Su PRCG e urbanistica in città

Antonio De Rossi, ordinario di Progettazione Architettonica al Politecnico di Torino “...vorrei provare a fare un discorso più generale sul Pinerolese. Prima della crisi, si è costruito tantissimo, a causa di un intreccio di ragioni tipicamente italiche: innanzitutto ICI e oneri di urbanizzazione hanno permesso ai comuni di far quadrare i conti a spese del territorio; inoltre non c’è mai stata tipologia di investimento più fruttuosa di quella immobiliare: compro un appartamento o una villetta e dopo pochi anni il capitale iniziale si è moltiplicato per “enne” volte. Per cui è vero che oggi siamo tutti, almeno a parole, contro le grandi infrastrutture o i capannoni, ma poi “sotto traccia” la realtà è un’altra: solo nel mio piccolo comune, mi raccontava il sindaco, nel corso di pochi anni sono state un centinaio le famiglie che hanno chiesto di trasformare in edificabili i loro terreni. La trasformazione del paesaggio italiano è in primo luogo l’esito di questa trasformazione puntiforme reiterata all’infinito. Villette e capannoni che tra l’altro congelano i capitali che dovrebbero andare nella creazione di nuove imprese e posti di lavoro. Il risultato, nel Pinerolese, è stato la nascita di una “città diffusa” sovente di bassa qualità che in alcuni punti ha cancellato il paesaggio preesistente. Per noi pinerolesi paesi come Piossasco, Cumiana, Frossasco, ecc. continuano a esistere nella loro individualità; in realtà se uno viene da fuori vede solamente una città lineare di villette e capannoni che dalla periferia torinese si estende senza soluzione di continuità fino a Pinerolo, Torre Pellice, Villar Perosa. Ma forse, complici i tanti capannoni vuoti, questo modo di pensare lo “sviluppo” del territorio è finalmente terminato, anche se sono molti i nostalgici dell’edificazione senza fine. Certo che questa edificazione di bassa qualità ricadrà sulle spalle delle prossime generazioni, che dovranno investire ingenti risorse per riqualificare il costruito e il paesaggio. Quali criteri dovrebbe rispettare un buon piano regolatore? Oggi credo che il tema del “riciclo” sia prioritario e non rinviabile anche in urbanistica. Ma servono delle politiche nazionali. Il contenimento dell’uso dei suoli non è cosa che si possa fare da soli, altrimenti gli investitori andranno altrove. Inoltre, gli attori pubblici dovrebbero dotarsi di competenze per indirizzare in senso qualitativo i progetti di trasformazione. Inutile dire che si vuole puntare sul turismo, se poi la qualità del paesaggio è bassa. Più urbanità, meno urbanizzazioni. Dal punto di vista urbanistico come vede la città di Pinerolo? Di Pinerolo amo la forma urbis, il rapporto storico tra la geomorfologia del sito e l’insediamento. Quello che dovrebbe migliorare è la capacità degli odierni progetti di trasformazione di diventare occasione di riqualificazione per l’intera città. Sovente restano dei frammenti separati dall’intorno che non incidono sull’insieme, che non fanno città. Si veda ad esempio il tema degli insediamenti commerciali. Serve un disegno complessivo, una strategia, a cui ricondurre i singoli episodi.” Antonio De Rossi, “Per Pinerolo più urbanità e meno urbanizzazione”, in Pinerolo Indialogo, aprile 2013


Giovani&Storia

Città

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di Nadia Fenoglio

Appunti di storia locale

La Pietra di Luserna in un racconto dell’800 La Mole, certo, tutti ce l’abbiamo ben presente. Ma pochi forse hanno riconosciuto nella copertura a lose progettata per il monumento dall’architetto Antonelli la Pietra di Luserna, “gioiello della terra” che ha fatto la fortuna delle Valli Pellice e Po, dove sono situate le cave dalle quali la pietra è estratta. Roccia metamorfica di antico impiego, la sua lavorazione è documentata dalla metà del XVII secolo e viene oggi estratta nelle cave presenti

a Luserna San Giovanni (da cui prende il nome), Rorà, Bagnolo Piemonte e Barge. Della Pietra di Luserna, oggi diffusa a livello nazionale ed internazionale, e della sua estrazione in Val Pellice si parla nel libro “Nelle Alpi Cozie. Gite e ricordi di un bisnonno” di Amedeo Bert. Occorre, però, tornare con l’immaginazione agli anni ´80 dell’Ottocento, quando Bert, pastore valdese di Torre Pellice che grande parte ebbe nella fondazione del Tempio di Torino e in varie altre opere valdesi, scrisse queste memorie. Già all’epoca l’attività di estrazione era di capitale importanza: a Luserna, Bert non vede altro che «lastre e lastre, e sempre lastre» condotte giù dalle montagne da

pesanti carri verso la «stazione ferroviaria di Pinerolo, [e]per più lontana destinazione». Le pietriere di Luserna, ossia le cave di pietra situate, in particolare, in località Mugniva, sono collocate «per un cammino riservato ai soli carrettieri di quelle cave, e per l’esclusivo uso del quale, essi pagano al Comune di Luserna San Giovanni che lo fe’ costrurre, un piccolo canone». Oltre a questa entrata, il Comune riscuoteva anche dagli imprenditori il fitto delle pietriere, riuscendo a raggruzzolare così una somma considerevole. Ai lavori partecipano gli abitanti del vicinato, «in genere, gente povera e boscheresca» che vive in montagna sotto l’antico regime delle terre concesse in arretraggio (cioè appezzamenti ceduti dal Comune a famiglie a basso reddito, in cambio di un affitto simbolico, e poi trasmessi di padre in figlio). Agli «arretraggisti» in genere compete il lavoro di scavo dei blocchi di pietre nelle cave; gli «slittisti», invece, conducono le lastre di pietra su robuste slitte dalle cave al luogo di deposito dei blocchi estratti, dove li attendono carri e muli per condurre il materiale in paese. E, ancora, salendo per quei sentieri, avremmo incontrato «brigate di scalpellini» che, inerpicati sulle pareti di roccia, legati con corde più o meno resistenti misurano le pietre e delineano la superficie della lastra da ricavare «a furia di martelli».Ma l’attento occhio di Bert non dimentica la presenza, su quelle montagne, di «orbi, monchi, zoppi o monocchi, i quali furono vittime del lavoro, nelle grandi battaglie che dannosi tuttodì, in quelle cave». Un’industria di rilevanza storica per un territorio - il Pinerolese e la Val Pellice stessa - che sta subendo oggi tante privazioni. E pensare che la Pietra di Luserna è usata per costruzioni negli Stati Uniti, in Canada, in Thailandia, in Giappone…


PINEROLO

Lettere al giornale di Elvio Fassone

Che fatica farsi ascoltare

I giovani. Non c’è convegno, dibattito, articolo o conversazione che non investa il problema. Poi càpita che il “problema” si rompa le scatole di essere solo un problema, e si passa alle violenze delle periferie, alle turbolenze delle banlieues importate sotto casa, al massiccio allontanamento dei giovani dalla politica, alle loro migrazioni ad ingrossare le fila dell’estremismo islamico e via elencando: ed allora succede. Che cosa? quello che avrebbe dovuto accadere alcune ere geologiche addietro, se si fosse usata la ragionevolezza. Che cosa è accaduto? Riferiscono le cronache che Draghi, il presidente della BCE, ha dichiarato di voler adottare alcune “misure non convenzionali” di fronte alla crisi della maggior parte dei Paesi: cioè acquistare massicciamente obbligazioni private e, se occorre, titoli di Stato sul mercato secondario; e questo lo farà, piaccia o non piaccia alla BundesBank. Ciò vuol dire che Draghi erogherà il credito che le banche non fanno più, e che lo Stato può indebitarsi ancora un poco, se il debito serve a rilanciare investimenti e lavoro. Non è cosa da nulla. Come controcanto mr. Junker, presidente della Commissione dell’UE, non molto a suo agio dopo le compiacenze fiscali del suo Lussemburgo, ha dichiarato che intende finanziare il Fondo europeo (quello che può dare i quattrini necessari per gli investimenti) e siccome i quattrini sono pochi, è indispensabile che i vari Stati provvedano a rimpinguare il Fondo. Sembra niente, una delle tante sortite dei burocrati, e invece è dinamite. Perché Draghi ha detto in sostanza che l’azionista di maggioranza della Banca europea non può fare il bello e il brutto tempo, e ha sancito che la BCE farà da garanzia per i debiti sovrani (cioè degli Stati) cosicché non ci saranno più le tempeste speculative della finanza a mettere in ginocchio gli Stati meno forti. E Junker in pratica ha posto la prima pietra di un bilancio europeo, nel quale la parola solidarietà non vale solo a decorare i convegni, ma diventa sostegno per il bene di tutti, anche degli Stati che si proclamano virtuosi. Con una precisazione (ed è qui che vengono in campo i giovani): che

gli investimenti finanziati in debito devono essere capaci di creare nuovi posti di lavoro, di generare stipendi e futuro, e non essere sprecati nell’aumento delle spese correnti, come è sempre successo. Può sembrare un discorso tecnico, ma è un passaggio pieno di aperture sul futuro. C’è il vagito di un’Europa davvero federale; c’è l’europeizzazione del bilancio e una prima muraglia contro le speculazioni onnipotenti. E c’è un accenno di rimozione del tabù del debito, per cui la domanda non sarà più “debito sì o no?”, ma “debito per che cosa?”, e se l’obiettivo è dare dignità e lavoro alle persone, si può anche chiedere al futuro di essere un poco spremuto, ché poi le opere fatte serviranno anche a chi verrà dopo e lo ricompenseranno. La morale, in conclusione, è piuttosto immorale, ma non del tutto. Infatti alla fine viene fuori che: 1) bisogna “fare casino” per essere ascoltati; 2) bisogna che anche i potenti sentano un po’ di strizza (il calo delle esportazioni tedesche negli altri Paesi dell’Europa) per allentare i loro diktat; 3) bisogna che dilaghino gli “euro-scettici” perché l’Europa di Bruxelles si renda conto che non sta lì soltanto per stabilire come si deve fare la manutenzione degli ascensori; 4) è bene rendersi conto che più si incancreniscono i problemi, e meno li si risolve con le ronde, le grida, i localismi e i capi-popolo, e se qualche speranza c’è ancora, essa risiede nella dimensione sovra-nazionale e nella solidarietà fra i popoli; 5) è purtroppo vero che gli uomini non sentono la necessità del cambiamento se non quando si scoprono in una crisi profonda, e non vedono la profondità della crisi se non quando sono sull’orlo del baratro. Ma forse la vicenda insegna anche qualcosa di meno triste: che Junker ha detto quello che ha detto perché è stato sollecitato dal Parlamento europeo, a sua volta spinto dai cittadini nelle elezioni dello scorso maggio; e poi che, alla fine, è la politica quella che individua la strada giusta …. sia pure dopo aver prima imboccato tutte le altre.

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arte& spettacolo

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Teatro di Sara Nosenzo

Al sociale la banda osiris con neri marcorÈ

Le risate con Beatles submarine

Quando si presenta uno spettacolo sui Beatles si rischia di essere fraintesi, di deludere le aspettative del pubblico e di incappare nelle critiche più feroci. Come si possono rappresentare i Fab Four in modo efficace e divertente? Sorprendendo e strappando risate? Facendo cantare le canzoni che molti portano nel cuore e nel proprio smartphone? Semplicemente come hanno fatto la Banda Osiris e Neri Marcorè, con sincerità, pazzia, bravura e grande rispetto. Giorgio Gallione, testi e regia, dirige magistralmente cinque artisti, permettendo ad ognuno di avere il proprio spazio. La Banda Osiris, formata da quattro membri, Carlo Macrì, Gianluigi Carlone, Roberto Carlone, Sandro Berti, dimostra eccelse doti comiche. Rimangono impresse le smorfie e le movenze da creature preistoriche che per prime calcano il palcoscenico inscenando il mito della creazione. Queste creature saranno il filo logico che permetterà agli attori di collegarsi alla genesi della storia dei Beatles. I tre personaggi, dotati di corna, antenne o corazze, si inseguono sul palco frenetici, mimando con la loro foga il ritmo scoppiettante di una vita che inizia in un mondo altrimenti desolato. A questi quattro indiscutibili talenti si affianca Neri Marcorè che presta il suo volto a personaggi di spicco, primo fra tutti Dio, chiamato Imperatore dal fabbricante di animali Zoo, interpretato dall’ultimo del quartetto. Sarà quest’ultimo a creare con cura maniacale gli scarafaggi da cui, con un gioco di parole, nascerà il nome della band inglese. Il nome, gli anni che si susseguono, la nascita di alcune particolari canzoni e la città-sfondo Liverpool sono i temi affrontati in questo spettacolo, alternando

sketch irriverenti a sentite interpretazioni canore accompagnate come sempre da strumenti suonati dal vivo. A completare il quadro della scena vi è uno sfondo su cui vengono proiettati video squisitamente Fab Four Style, psichedelici e immersivi. I colori e le forme bidimensionali accompagnano la messinscena ben riuscita, creando un gioco di luci con le giacche paiettate degli interpreti, cambiate ad ogni esecuzione musicale. Lo stesso Neri Marcorè esegue alcuni pezzi alla chitarra e canta con lo stesso savoir faire che dimostra nella classica interpretazione attoriale. Benché tutti e cinque gli interpreti fossero microfonati, in due canzoni il suono della voce veniva parzialmente coperto dal suono della batteria, percossa seguendo lo stile di Ringo Star. Tale spiacevole imprecisione, trascurabile per la riuscita dello spettacolo, viene dimenticata grazie all’inserimento nel canovaccio di alcune scelte di narrazione, quali l’identità di Lucy, una bambina a cui John scriveva, come un’amica di penna, dei sogni e delle cose impossibili a cui si poteva pensare ogni giorno, a cui viene dedicata la canzone celeberrima Lucy in the sky with diamonds; poi l’efficace interpretazione di Marcorè di Mark Chapman, l’assassino sociopatico e mentalmente instabile di John Lennon; fino all’inaspettata favola dark di una Cappuccetto, adesso, Nero sboccata e cocainomane, raccontata sempre da Neri Marcorè come un’effettiva fiaba per bambini… vietata ai minori. Uno spettacolo divertente, curato e amato dagli interpreti quanto dal pubblico. Un tripudio di applausi e risate di pancia.

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società

Serate di Laurea a cura di Gabriella Bruzzone

Scienze Religiose e Ingegneria Aereospaziale con Manuel Marras e Matteo Pesando

La vocazione profetica in Giona

I fenomeni di risonanza in cavità Si è svolto venerdì 28 novembre l’ultimo appuntamento dell’anno di Serate di Laurea. Ospiti due neolaureati triennali in settori nettamente opposti: Manuel Marras ha presentato una tesi in Scienze Religiose dal titolo “Giona, Israele in filigrana. Elementi di vocazione profetica nel libro di Giona”; M a t t e o Pesando, invece, laureato in Ingegneria Aerospaziale, ha presentato un lavoro intitolato “Analisi numerica di fenomeni di risonanza in cavità”. L’obbiettivo Manuel Marras di Manuel è stato analizzare i due momenti di vocazione presenti nel libro di Giona. Il racconto, totalmente inventato, si pone come avvertimento per il popolo di Israele: Giona infatti, come il popolo israelitico, è eletto da Dio ma la prima volta rifiuta la chiamata divina e cade nel naufragio di Babilonia. Come tutti ricorderanno, viene però salvato da un “grande pesce”, diventato nell’immaginario comune una balena. A questo punto interviene il secondo momento di vocazione al quale il “profetasoldato” non può rifiutarsi. In una metafora perfetta del popolo di Israele quindi anche Giona accetta la spinta universalistica della fede. Manuel ha inoltre sottolineato come,

a differenza di altri libri profetici, in questo siano quasi inesistenti le parole di Dio. Dopo un breve intermezzo musicale, Matteo ha illustrato il suo lavoro in ingegneria: ha analizzato la dissipazione acustica di una cavità posta all’interno di un condotto in presenza di un flusso laminare. Ha quindi studiato nello specifico il variare di dissipazione dell’energia sonora al variare delle dimensioni della cavità, facendo riferimento alle cavità applicate ai motori T u r b o F a n impiegati per ridurre l’inquinamento Matteo Pesando acustico. Nell’arco di tre mesi circa, Matteo ha osservato come si comporta la dissipazione della cavità, utilizzando l’impedenza acustica specifica, ovvero la “forza” che un fluido oppone quando è sottoposto a continue fluttuazioni di pressione. Ha riscontrato quindi che, variando la dimensione della cavità, si può ottenere una maggiore dissipazione acustica. Interessante il dibattito sviluppato in seguito alle presentazioni, riguardante la misura in cui l’uomo può intervenire sulla scienza, ma soprattutto il modo in cui la scienza stessa può influenzare l’uomo nelle sue scelte e nei suoi comportamenti. Il prossimo appuntamento sarà venerdì 30 gennaio 2015.

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Società

Donne del Pinerolese

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di Sara Nosenzo

Intervista a Graziella Bonansea

Insegnante e storica delle donne Graziella Bonansea, scrittrice, storica, insegnante di lettere presso l’Istituto Michele Buniva di Pinerolo, ma anche ricercatrice all’università, è esperta del movimento femminista e della storia delle donne, comprese quelle coinvolte nell’emigrazione, fenomeno oggi importante e di cui ancora non si conosce l’evoluzione futura. Ha vissuto a Parigi e Firenze, ma le sue radici sono a Pinerolo. Lei ha fatto molte ricerche sulle donne, si definirebbe una femminista? Io nasco come ricercatrice e come tale mi sono ritrovata a studiare molti processi, ma in alcun modo mi definirei una femminista. Non voglio questo tipo di etichetta, io sono una storica. Ci tengo a dirlo perché, benché l’abbia attraversato e studiato come fenomeno, il femminismo non mi appartiene. Molte delle posizioni, che ho potuto capire stando all’interno, non mi corrispondevano. Mi sentivo troppo inquadrata, dentro dei vestiti che non erano i miei, per questo motivo non mi sento di poter avere questa etichetta. Nella storia dell’immaginario che per anni ho studiato, ho comunque potuto analizzare molti aspetti di questo fenomeno. Questo periodo, anche se ha fatto molto rumore, è solo un aspetto della storia delle donne di cui mi sono occupata. Cosa è rimasto di questo movimento femminista oggi? La questione di mettere al centro anche le giovani donne, un tramandare a loro per dare valore. Un passaggio dalle donne del passato a quelle del futuro. Le donne di oggi, però, non sono più consapevoli di quelle che le hanno precedute, forse perché quei gruppi di pensiero erano troppo autoreferenziali. Mancavano dell’elemento essenziale dell’incontro: nel trovarsi e confrontarsi con altre persone si perde qualcosa di noi per far spazio a qualcosa di nuovo. Lei ha studiato anche il tema dell’emigrazione,

ce ne parla? Le cause del fenomeno sono molteplici, le più forti sono quelle che spingono dei genitori a cercare una vita migliore per i figli. La sopravvivenza è la ragione di fondo. Se parliamo della Romania, ad esempio, le donne lasciano i figli soli, nella terra di origine, mentre loro cercano fortuna da altre parti sperando di trasferire la famiglia. In altri casi abbiamo regimi politici oppressivi e quindi situazioni che spingono a un trasferimento. Il rapporto tra generazioni, i giovani di ieri e di oggi, quali differenze vede? La solitudine è un elemento comune: la mia generazione ha cercato di separarsi molto dalla precedente, dai genitori, di cui ci si vergognava molto. C’era l’idea che si dovesse rompere la tradizione. I giovani di oggi invece hanno un utilizzo dei linguaggi e dei codici, attraverso la tecnologia, che portano ugualmente alla solitudine. Un giudizio sulla nostra città di Pinerolo? È una città dai molti volti in una realtà in declino dovuta anche alla crisi che colpisce tutti. È una città che amo molto anche se ci sono molti gruppi culturali abbastanza chiusi. Benché abbia vissuto da altre parti sono sempre tornata qui, dove ci sono le mie radici e dove ho coltivato molte relazioni. Pinerolo ha un rapporto centro-periferia che altrove non puoi più vivere, non ci si sente isolati, come mi capitava a Parigi, per esempio. Purtroppo però c’è un forte provincialismo e una buona dose di presunzione dovuta a uno zoccolo di potere socioculturale che si è ramificato in città in maniera molto chiusa e ormai permanente. Ogni gruppo si autocelebra in un certo senso, ma per fortuna l’ideologia si è smorzata così da poter far presagire un maggiore confronto, di tipo aperto. In questo nostro territorio mi piacerebbe mettere insieme le generazioni, le culture e i generi, per confrontarsi e trovarsi.


dal tempo

Lettera a... di Cristiano Roasio

Lettera a... due signore pinerolesi

Cosa vuol dire “prendersi cura” Spero che i vostri figli patiscano la fame. Questo il primo pensiero quando due distinte signore (ahi quanto inganna l’apparenza), davanti ai miei occhi allibiti, gettano due intere porzioni di patatine nella spazzatura. Stavo solo cercando di mangiare la mia cena in tranquillità in un centro commerciale di Pinerolo ed eccomi a dover fronteggiare ancora una volta la stupidità umana. Ora mi rendo conto che questo sfogo di rabbia (trattenuta) non me lo posso neanche permettere, non tanto in virtù della tacita regola del “non augurare mai del male al prossimo” o l’ancor più trita “i bambini non ne possono nulla”, ma piuttosto perché io non so cosa sia la vera fame. Non so cosa sia la carestia. Potrei cercare di raccontare alle due storie dei miei nonni, o informarle su cosa le circonda, un palazzo pieno di crepe sopra terra traballante su placche ubriache nel cielo vuoto di un universo prossimo all’estinzione nell’infinito. Forse è meglio un apologo, semplice come le favole con una morale, perché una cosa è certa: le due signore – termine verso le quali perde tutta la sua presunta galanteria ed indica soltanto l’animale con la predisposizione biologica capace di dare alla luce altri esseri, ormai di mezza età – non conoscono la leggenda del Klabauetermann. Racconto di mare, a metà tra il mito, l’invenzione e la morale, narra di uno spirito delle navi, un folletto o un coboldo, cosa importa, tanto nessuno lo ha mai visto, al massimo intravisto tra le nebbie dell’alba, che protegge la ciurma e l’intera nave, se essa viene trattata bene. E potrei concludere qua. Ma presupponendo che le due signore non

siano ancora arrivate al nocciolo della questione tenterò di spiegare. Soltanto dimostrando cura, i rapporti, i luoghi, le emozioni, le cose assumono un senso e restituiscono l’incanto di cui sono fatte. Effettivamente a noi occidentali manca un po’ di animismo e tendiamo a ragionare per aldilà o aldiquà e non vediamo il confine poroso tra la vita e la morte, mentre per un disegnatore giapponese immerso nello shinto (dal quale ho tratto la leggenda) è più facile vedere lo spirito vitale antropomorfo nella nave; però, anche noi, proprio perché si avvicina quel Natale Tremendo e come una tempesta porta sconforto e malessere e consumo, dovremmo essere in grado di valutare le patatine non come cibo che non voglio più (e qui si aprirebbero vastità metafisiche sulla meccanica del desiderio, la necessità o meno di esaudirlo, l’incapacità di circoscrivere la sua realizzazione... ma non ho spazio) o come troppo salate, fredde o insipide (e anche qua ci sarebbe molto da dire sulla percezione, sul relativismo e sul giudizio) ma come un processo che ha comportato del lavoro, delle risorse, del tempo, perso o guadagnato, una serie di azioni che vanno rispettate nella loro apparente normalità. Prendersi cura, non sprecare quello che ci viene dato, calafatare con perizia ogni nostro giorno contro i marosi e le avversità del futuro, è obbligatorio ancora di più ora che tutti, le signore alle quali dedico questa lettera no di sicuro, sappiamo che la chiglia su cui appoggiamo i piedi potrebbe spezzarsi da un momento all’altro.

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Società

Il Passalibro di Valentina Scaringella

Camilleri in Donne, per Rizzoli

“Semplicemente donne” “Tu se’ fieramente nelle branche d’amore inviluppato”, dice il marito defunto della vedova di cui si è innamorato Boccaccio a quest’ultimo. Parole del Corbaccio che si potrebbe essere tentati di rivolgere al Camilleri di Donne, a suo modo perdutosi in una sorta di “laberinto d’Amore”. E non a causa di una donna sola, bensì di 39. Dai nomi che vanno dalla A alla Z. Lo scrittore, però, è uno che nel “laberinto” sta bene e che dal “laberinto” non vuole uscire. Nessun aiuto celeste da lui invocato per fuggirne, nessuna forza celeste che lo ritenga bisognoso di un qualche soccorso. Sono la Donna e la femminilità ad averlo fatto prigioniero. Non potrebbe esserci per lui cattività più dolce. Se per quel Boccaccio esistono “femine” e “donne” – le prime delle quali “animale imperfetto, passionato da mille passioni spiacevoli e abbominevoli” –, per questo Camilleri esiste soltanto quella Donna così femminile che tanto lo affascina. Tutta virtù o solo vizi o un po’ e un po’. In cui non sempre la virtù è virtù e i vizi sono vizi. I volti di questa Donna appartengono alla storia, alla letteratura e alla vita stessa dell’autore, per rapporto diretto o per sentito dire. In quella mescolanza di realtà e finzione che è, per lo più, la creazione letteraria. Con buona pace di quanti, in uno scritto in prima persona autoriale, si ostinano a vedere, sempre e necessariamente, la fedele o infedele narrazione di una reale esperienza autobiografica. Anche se piace pensare

che Elvira, la deliziosa nonna dello scrittore, anziché dire “vado a cuocere il pane nel forno”, dicesse realmente “vado a fornicare”. Con una spiritosaggine propria del nipote, addirittura percepibile quando egli affronta la Beatrice dantesca e l’Elena del mito: come non sorridere al suo “ma santo ragazzo [Paride], perché non te la sei portata [Elena] sul monte Ida tra le tue pecore? … lassù chi vi veniva a cercare?”? Altro che guerra di Troia! Come se stesse sfogliando un vecchio album fotografico, l’autore ci illustra insomma le immagini delle donne che hanno segnato la sua lunga esistenza. Con scatti da vero artista. Della durata di non più di sette pagine ciascuno. Con la messa a fuoco, in sostanza, dell’attrazione: sia intellettiva sia fisica (nelle sue infinite sfumature, compresa quella più animalesca). Sotto la calda luce della comprensione e dell’astensione da un facile giudizio. Perché puoi finire nelle case di tolleranza a causa del fascismo, a elemosinare per il ripudio sociale che ti colpisce se sperimenti il carcere, a “fare cambio” col tuo corpo giacché nessuno ti dà niente per niente e tu non hai nemmeno quel niente. Perché i tuoi perché sono tuoi. Una lettura quindi che ci mostra le tante donne di cui è fatta la Donna, senza avere la pretesa di rappresentarle tutte, il che sarebbe peraltro impossibile. Tra di esse v’è però un esempio positivo per ognuna: la bella Nefertiti, con le sue piccole rughe scolpite. Camilleri docet!

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società

Per Mostre e Musei di Chiara Gallo

Alex spunton, terzo classificato al s.f.s.v.

Una giovane passione tra musica e arte Alex Spunton frequenta il Liceo Artistico Buniva di Pinerolo, ha solo sedici anni eppure è stato il terzo classificato per il Premio di Street Art organizzato dal Summerfest di San Pietro Val Lemina. Il suo stile da strada, fresco e spigliato non lascia intravedere la sua giovane età, ma tutta la sua passione. Scopriamo allora qualcosa in più in merito a questo promettente artista. Parlaci un po’ di te. Qual è stato il tuo percorso e come mai ti sei avvicinato al mondo della street art? Le mie passioni sono l’arte e la musica. Disegno da sempre e solo da qualche anno ho iniziato a dipingere. Son sempre rimasto affascinato dal mondo della street art e dai graffiti, ma è in prima superiore che ho iniziato ad appassionarmi seriamente, stando fino a sera tardi a studiare tecniche, stili ed i vari artisti con le loro opere. Per me l’arte ha un senso molto più vasto che non si ferma alla pittura o al disegno, per questo voglio studiare per approfondire ogni possibile percorso. In merito alla street art devo anche dire di essere fortunato, perché Torino è una delle capitali d’Italia e d’Europa per quanto riguarda i graffiti. Quali sono le tecniche e gli stili che prediligi? Non ho una tecnica preferita, mi piace vedere e sperimentare cose nuove, mai viste prima. Per quanto riguarda lo stile, ce ne sono molti che mi piacciono e da

cui traggo ispirazione. Sono numerosi gli artisti odierni e del passato che ammiro. Dirne alcuni, vorrebbe dire sminuire gli altri. Come hai trovato il soggetto che ti ha permesso di arrivare terzo al concorso di street art? Il soggetto è semplicemente, in realtà, una scritta in stile graffiti ed un grosso cane blu. Per realizzare la parte scritta ho messo insieme tante bozze, mentre il cane è un elemento nato a scuola tra una lezione e l’altra, poi riadattato per il concorso. Cosa ne pensi della diffusione di questo genere artistico sul territorio? Pensi sarebbero apprezzate altre iniziative simili? Penso che si stia iniziando a sviluppare seriamente e bene, ne sono esempi alcuni lavori realizzati su muri di Pinerolo, Torino e dintorni. Sono assolutamente favorevole sia alla diffusione dell’arte urbana, sia alla realizzazione di altre iniziative e manifestazioni di questo genere. Progetti per il prossimo futuro? Mi piacerebbe riuscire a creare un qualcosa che coinvolga anche l’altra mia grande passione, la musica. A livello di produzione artistica vorrei invece migliorare sempre di più il mio stile, e riuscire a dare un’ impronta decisiva specialmente dal punto di vista dell’uso cromatico.

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per il

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Viaggiare

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di Francesca Borgarello

Il mio soggiorno in Irlanda col Master dei Talenti

“Il viaggio e i legami che ti cambiano” Era il 10 luglio, gli esami di maturità erano appena terminati, io e altri tre neodiplomati del Liceo Porporato, tra i selezionati per il Progetto Master dei Talenti 2014, ci trovavamo a Malpensa in attesa di un aereo per l’Irlanda per trascorrere tre mesi all’ estero svolgendo uno stage lavorativo. Ciò che si stava prospettando era per noi una novità assoluta e per altro non potevamo assolutamente immaginare cosa avrebbe significato vivere quest’esperienza, che al ritorno ci avrebbe fatto ritrovare radicalmente cambiati. Posso dire ora che l’esperienza in Irlanda è stata per me uno spartiacque fondamentale. Prima c’era la vita a casa, un ambiente protettivo e conosciuto, A Cork invece il cambiamento è stato totale, mi sono trovata di colpo nella vita da sempre percepita come “futuro”. Innanzi tutto perché per la prima volta mi sono ritrovata a vivere autonomamente condividendo con altri diciassette ragazzi una casa su più piani in centro città,;lavoravo cinque giorni alla settimana e potevo ovviamente autogestirmi sotto ogni aspetto. Ma andiamo con ordine. Una volta arrivati in Irlanda abbiamo vissuto in famiglia nel paesino di Bandon per due settimane, durante le quali abbiamo frequentato un corso di lingua e abbiamo svolto i colloqui per i futuri lavori, attraverso l’organizzazione ECE che si preoccupava di raccogliere le preferenze di ciascun candidato e di organizzare i colloqui con l’azienda ospitante. Io avevo dato indicazione di diversi ambiti di interesse e infine sostenuto e superato il colloquio con una galleria d’Arte contemporanea a Cobh, un paesino sul mare. Fu così che partii alla volta di Cork dove mi stabilii, e da cui ogni giorno viaggiavo in treno. Alla galleria svolgevo diverse tipologie di lavoro ed è stato per me particolarmente significativo lavorare ad una collaborazione Irlanda – Turchia (Istanbul), con la possibilità così di conoscere artisti turchi, in un ambiente decisamente stimolante. Il lavoro in galleria ha significato costruire legami con i colleghi, affinare il

mio inglese, trascorrere le ore in un edificio molto suggestivo affacciato sul mare, conoscere giovani artisti con cui ho stretto amicizia e con cui mi sento tutt’ora. Durante quelle giornate in galleria pregustavo ogni giorno il pomeriggio che sarebbe venuto e poi la sera. Sì perché il fatto di vivere in una città come Cork ha significato vivere in un ambiente estremamente ricco sotto ogni aspetto: culturale e internazionale. Infatti i miei coinquilini provenivano da ogni angolo del mondo, così come i ragazzi incontrati durante il tempo libero. L’aspetto che sicuramente porterò maggiormente con me, e che non mi aspettavo sarebbe stato così intenso, è quello dei legami. Ho instaurato amicizie profonde con ragazzi di nazionalità diverse, con cui ho condiviso la vita di tutti i giorni per mesi e con cui credo si sia instaurata un’ amicizia duratura. Sono legami speciali, di tipo famigliare, diversi da quelli dell’ amicizia. Ci sarebbe tanto da scrivere, pagine intere da riempire. Si potrebbe parlare della meravigliosa cultura irlandese che ho avuto la fortuna di incontrare, dei viaggi con gli amici lungo tutto il territorio dell’ isola, dei momenti grandi e piccoli che hanno reso questa esperienza qualcosa di fondamentale e irripetibile. Ho scritto che quando sono tornata mi sono scoperta cambiata. Ma cambiata radicalmente, in un modo e ad una velocità che solo il viaggio sa offrirti. In viaggio ho scoperto aspetti di me che non conoscevo, debolezze e punti di forza, o semplicemente aspetti del mio carattere che non sospettavo. Solo se decidi di partire e di vivere diversamente hai questa possibilità. Incontri persone che frequenterai per mesi o per un giorno ma che sconvolgono completamente il tuo sguardo sul mondo. Scopri come ci sia tanto altro oltre alla cerchia ristretta del tuo vissuto, modalità d’ essere del tutto differenti. E tutto questo è un bagaglio immenso che mi porterò dentro e che costituisce solo l’ inizio di tanti altri viaggi. Mi sento quindi di consigliare a tutte le ragazze e i ragazzi che avranno la stessa possibilità o occasioni analoghe di coglierle al volo.


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così per il mondo

Vita internazionale

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di Alessia Moroni

Intervista a Giulia Giovon e Courtney Bainbridge

Un gemellaggio Pinerolo-Melbourne Giulia e Courtney si sono conosciute a Melbourne, in Australia, grazie ad un gemellaggio tra l’istituto Alberghiero “Arturo Prever” di Pinerolo e l’“Emmaus College” di Melbourne. Partiti lo scorso Luglio, Giulia ed altri ragazzi di quarta superiore sono stati ospitati dalle famiglie degli studenti australiani ed hanno trascorso due settimane nella scuola locale ed una lavorativa nell’ambito della ristorazione o del turismo. In questi giorni invece sono proprio i ragazzi australiani ad essere ospitati qui a Pinerolo: abbiamo così l’opportunità di intervistare le due ragazze, che dopo circa tre mesi sono di nuovo insieme. Il progetto per gli studenti pinerolesi prevedeva sia la vita scolastica che lavorativa. Per te e i tuoi compagni di che tipo di esperienza si tratta, Courtney? È un progetto culturale della mia classe di Italiano. Si tratta di un viaggio di circa un mese che ci permette di vedere l’Italia e come vivono le persone italiane. Siamo stati due giorni a Parigi, poi qui a Pinerolo e dalla prossima settimana viaggeremo per l’Italia. Io studio italiano da quando andavo alle scuole elementari, ma più seriamente dall’età di tredici anni. L’ho scelto perché è molto importante per gli studi futuri e poi mi piace molto la classe. Giulia, com’è stata l’esperienza nella scuola australiana? Cosa hai notato di particolare? A scuola seguivo Courtney, quindi tutte le sue materie. Siccome siamo studenti dell’Alberghiero, abbiamo anche fatto tre lezioni pratiche di cucina. Mi ha molto colpita il fatto che nella loro scuola si dia molta importanza allo sport e anche il fatto che gli studenti possano scegliersi le materie e crearsi il proprio percorso personale, dato che la scuola non è specifica, ma unica per tutti. E invece, Courtney, quali differenze hai colto rispetto all’ambiente scolastico a cui sei abituata? Sono stata solo per due giorni all’Alberghiero, perciò non ho visto tantissimo. Ho notato che ci sono intervalli un po’ più brevi e la mia scuola è molto diversa, portiamo l’uniforme

e non è un unico edificio, ma copre un’area molto grande. Giulia, parliamo della tua settimana lavorativa. È stata utile sia dal punto di vista pratico che linguistico? Lavoravo cinque ore al giorno in una gelateria con altre mie compagne. Il mio lavoro consisteva nel preparare delle torte, per esempio pan di spagna ricoperto di cioccolato

o con il gelato. All’inizio è stato difficile con la lingua, ma devo dire che ho imparato di più a capire che a parlare. È stato molto formativo e sarei rimasta a lavorare anche per un’altra settimana. Gli altri ragazzi invece hanno lavorato in hotel o al ristorante. Suppongo che siate diventate molto amiche, giusto? E che tipo di rapporto avete con le rispettive famiglie ospitanti? Courtney: Mi è piaciuto molto stare qui, sono tutti molto gentili e io e Giulia abbiamo legato molto. Spero che ci rivedremo in futuro. Giulia: Mi hanno accolta tutti molto bene e mi piacerebbe molto rincontrarla in futuro. Di sicuro ci terremo in contatto.


musica

Officine del suono

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di Isidoro Concas

M u s i c a emergente

Fabio Smeraldo

Fabio Smeraldo, classe ’95, è un giovane cantautore che, a partire da quest’anno, si è trasferito da Genova, sua città natale, a Saluzzo, per intraprendere gli studi di tecnico del suono alla Scuola di Alto Perfezionamento Musicale, continuando parallelamente la sua attività live sia nel genovese che, adesso, nella provincia di Torino. In occasione di questa sua nuova fase di crescita musicale, l’abbiamo intervistato. La figura del cantautore è sempre stata difficile da proporre al pubblico, ed in questo periodo ancor di più: qual è la ricchezza che trovi in questo genere, per averlo fatto diventare tuo? In che modo un cantautore moderno può far appassionare il pubblco? La forza dei cantautori è sempre stata nelle parole, nel portare storie più o meno verosimili all’ascoltatore, con personaggi vivi, mitologie soggettive, temi esplorati a fondo. Penso che questo non passerà mai di moda, perché ci piace ascoltare delle storie. Alla base della forma canzone c’è proprio l’esigenza di raccontare. Certo, sta a ciascun cantautore porsi in modo più o meno accessibile all’ascoltatore, ma ce n’è e sempre ce ne sarà per tutte le orecchie! Per dirne una che va pure in radio, “L’amore non esiste” dal nuovo cd di Fabi Silvestri Gazzé è un piccolo miracolo, in questo senso. Nel tuo genere, oltre alla personalità ed alla qualità musicale, l’importanza dei testi è preponderante: di cosa parli, nei tuoi? Quali argomenti trovi più adatti ad uno sviluppo in musica? Nei miei testi parlo soprattutto di esperienze personali, vissute, cercando di allargare l’obbiettivo perché come dice Paoli “ogni attimo che viviamo è stato vissuto mille volte” e le mie stesse sensazioni le provano, le hanno provate e le proveranno in tanti. Cerco quel genere di argomento che può diventare universale. Spesso però non è l’argomento ma il punto di vista: come parla d’amore Battiato e come parla d’amore Guccini, cambia le carte in tavola. Senza volermi comparare ai maestri, sarebbe un suicidio, questo è quello che cerco alla fine: un punto di vista del tutto mio sui soliti

argomenti, visto che quelli sono, non si scappa. La musica pop/cantautorale ha sempre avuto un rapporto particolare con la cultura di massa, con la sua commercializzazione e la distorsione snaturata che ne danno i media. La tua seppur breve esperienza in un reality come X-Factor cosa ti ha potuto fare osservare al riguardo, dall’interno? Certo, dopo la pubblicità di X-Factor mi sono posto delle domande: quanti di quelli che hanno iniziato a seguirmi dopo l’esperienza in questo programma “pop” può poi avvicinarsi al cantautorato? La risposta che ho trovato è che non importa quanti: basta che uno solo mi apprezzi perché ha ascoltato le mie canzoni e non solo per la mia immagine. Esporsi come ho fatto ha quindi un effetto positivo perché mi permette di diffondere la mia musica ma non vorrei, e il rischio è quello, che mi si identifichi in modo istantaneo come “quello di X-Factor”, perché è stata una breve esperienza in quella che spero sarà la mia lunga strada nel mondo della musica. Tu arrivi da una città grande come Genova: quali differenze, se ne hai colte, ci sono, tra la scena musicale genovese e quella della zona? Non ho ancora abbastanza esperienza nella zona per poterti dare una risposta circostanziata. Però posso dirti che siamo un po’ tutti sulla stessa barca, manca l’entusiasmo del pubblico, i locali spesso non pagano e mettono a disposizione impianti indecenti... C’è molto disinteresse, ma si trovano anche delle realtà virtuose dove la musica è di casa. L’importante è non arrendersi e continuare a credere nella musica dal vivo, che può e deve rinascere. Quali sono i tuoi futuri progetti musicali, oltre agli studi? C’è qualche novità in vista? Ora sto puntando molto sul mio progetto solista, sto puntando alla realizzazione di un EP di inediti e a un’attività importante dal vivo, ma ho anche un gruppo in attività, i Pandango, con cui lavoriamo ad un videoclip e ad un EP. Insomma, seguitemi e seguiteci, ci sarà da ascoltare!


Cosedell’altromondo di Massimiliano Malvicini

20 novembre 1989-20 nov. 2014

Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza Si è celebrata il 20 novembre la Giornata internazionale dei diritti dell’infanzia e dell’adolescenza. Tale giorno è stato infatti selezionato perché – venticinque anni fa - veniva approvata la “Convenzione Onu sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza”(Convention on the Rigths of the Child)che si inserisce tutt’ora nel quadro di protezione dei diritti umani codificato in seno all’Organizzazione delle Nazioni Unite in quanto strumento di promozione e di protezione dei diritti dei bambini e dei più giovani. In seguito alla firma dell’atto, datato quindi 1989, le Nazioni Unite affidarono all’Unicef il compito di garantire e p r o m u o v e r e l ’ e f f e t t i v a applicazione del documento tra i quasi duecento Stati che hanno intanto ratificato il trattato. Per capire come il trattato vincola gli Stati nella protezione degli infanti e degli adolescenti (ragazzi e ragazze di età inferiore ai diciotto anni) vediamo come sono enunciati i principi dell’accordo: “Gli Stati parti s’impegnano a rispettare i diritti che sono enunciati nella presente Convenzione ed a garantirli ad ogni fanciullo nel proprio ambito giurisdizionale, senza distinzione alcuna per ragioni di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, di opinione politica o di altro genere del fanciullo o dei suoi genitori o tutori, della loro origine nazionale, etnica o sociale, della loro ricchezza, della loro invalidità, della loro

nascita o di qualunque altra condizione. Gli Stati parti devono adottare ogni misura appropriata per assicurare che il fanciullo sia protetto contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivata dallo status, le attività, le opinioni espresse o il credo dei suoi genitori, dei suoi tutori o di membri della sua famiglia.” [art 2, commi 1 e 2 della Convenzione].

Per quanto attiene alla procedura di verifica e di attuazione dell’accordo, la Convenzione prevede anche un meccanismo di controllo sull’operato degli Stati, che devono presentare a un Comitato indipendente un rapporto periodico sull’attuazione dei diritti dei bambini sul proprio territorio. Come si può intuire, la Convenzione non è un semplice documento firmato ma, come in molti casi l’esperienza ha confermato, esso rappresenta una vittoria per tutti coloro che si sono sempre impegnati nella protezione dei diritti dei più giovani che, prima di questo accordo, non avevano un sostrato giuridico attraverso il quale far valere i propri diritti. L’obiettivo della Convenzione è il miglioramento delle condizioni di vita dei bambini e dei ragazzi attraverso il rispetto dei loro diritti: per la prima volta nel 1989 i bambini, i ragazzi e le ragazze diventano “soggetti” di diritto cioè diventano detentori di diritti civili, sociali, politici, culturali ed economici, al pari degli adulti.

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diritti umani

Visibili & Invisibili

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gruppo giovani amnesty international

A Rosarno nulla è cambiato

Nel gennaio 2010 il centro calabrese di Rosarno aveva assistito a violenti scontri tra gli abitanti e i giovani immigrati che lavoravano e vivevano in condizioni degradanti. L’episodio aveva evidenziato la situazione di sfruttamento e malessere sociale che i lavoratori stagionali sono costretti ad affrontare nel nostro paese. Il 26 novembre Amnesty International Italia ha presentato un rapporto che mostra il fallimento della legge italiana nell’affrontare i problemi dello sfruttamento dei migranti nel settore agricolo. Il rapporto aggiorna una ricerca effettuata nel 2012, e a distanza di due anni non sono stati riscontrati miglioramenti significativi;risulta invecechiaro che i criteri restrittivi della “Legge Rosarno”limitano ulteriormente la possibilità di accedere alla giustizia

da parte dei migranti sfruttati, i quali nel caso vogliano denunciare i propri datori di lavoro incontrano varie difficoltà tecniche (spesso non li conoscono o cambiano frequentemente la persona per cui lavorano) e giuridiche (l’immigrazione irregolare in Italia costituisce reato e sporgendo denuncia si rischia di essere denunciati a propria volta). In occasione della presentazione a Rosarno il Direttore Generale di Amnesty International Gianni Rufini ha sottolineato che affrontare il fenomeno migratorio con misure di sicurezza sempre più severe porterà ad un aumento delle violazioni dei diritti umani e del disagio sociale. Con questo rapporto Amnesty International chiede alle autorità italiane che i diritti dei lavoratori vengano rispettati a prescindere dalla loro posizione migratoria.

Le vittime di mafia: don Pino Puglisi Molte volte tendiamo a dimenticare ciò che è scomodo, ciò che ci fa ripensare a quante ingiustizie sono state commesse e a quante volte abbiamo abbassato la testa. Molte vittime di mafia, invece, hanno sempre avuto il coraggio di camminare a testa alta e di affrontare la realtà che si poneva loro di fronte. A questo proposito possiamo ricordare la figura di don Pino Puglisi, ucciso il 15 settembre 1993 e proclamato beato il 25 maggio 2013. Egli infatti ha sempre sottolineato l’importanza di camminare a testa alta, di non piegarsi ai ricatti e allo squallore del mondo mafioso. Chi ha avuto la fortuna di conoscerlo può ricordare come abbia sempre cercato di aiutare i giovani e di salvarli dal mondo della strada, che a Brancaccio li avrebbe portati, presto o tardi, allo smarrimento definitivo. Quest’uomo, come altri, non ha avuto l’onore di vedere il suo progetto realizzato, infatti solamente nel 2000 è stata finalmente aperta una scuola in quegli edifici abbandonati che da anni don Pino chiedeva di poter utilizzare per l’educazione dei ragazzi del quartiere. Nonostante egli non vedesse un concretizzarsi delle sue richieste non ha però mai smesso di portare avanti gli ideali nei quali

credeva e di sorridere. Proprio questo sorriso è stato capace di smuovere l’animo di uno dei suoi assassini, il quale divenuto pentito dichiarò di non aver dormito dopo aver sparato a don Pino, che si voltò, sorridendo alla morte. La capacità di Don Pino di sorridere e di andare avanti nonostante la mancanza di riscontri concreti e di ascolto da parte delle istituzioni è un messaggio importante, non solo per l’atteggiamento che bisogna continuare ad avere nei confronti delle organizzazioni mafiose, un atteggiamento basato sul desiderio di cambiamento e non sull’arresa, ma anche per la società odierna nel suo complesso. Quante volte ci si arrende davanti alle difficoltà? Forse troppe. Quanto scoraggiamento si percepisce oggi di fronte a quelli che sono i “mali sociali”? Anche in questo caso forse troppo. Ecco allora che è necessario alzare la testa e affrontare la realtà che ci troviamo davanti, in una società basata sulle contraddizioni, così come ad esser basata sugli opposti era la Sicilia di don Pino, dove “parrino” lo era tanto lui, uomo di Chiesa, quanto i capi mafiosi. di Chiara Perrone


società

Giovani,Tecnologia@Innovazioni

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a cura di Greta Gontero

Superhub Superhub è una piattaforma digitale in grado di fornire informazioni sui mezzi di trasporto, in modo tale che gli utenti possano scegliere qual è l’itinerario più ecologico e anche acquistare i servizi nel campo della mobilità cittadina. Questo progetto conta 20 partner e, con l’aiuto di quasi 2000 cittadini, si è già inserito con successo in tre città europee: Milano, Barcellona ed Helsinki. Utilizzando queste metropoli come “cavie”, Superhub ha colto e registrato le diverse esigenze, evidenziando così le condizioni del contesto metropolitano e le stesse attitudini al cambiamento del singolo cittadino. L’applicazione, disponibile per pc e smartphone, permette la raccolta di dati

riguardo spostamenti e richieste dei cittadini: dati che vengono utilizzati dai tecnici del progetto per intervenire in modo efficiente sul trasporto pubblico, tutto ciò avviene ovviamente rispettando la privacy degli utenti. Superhub è stata presentata all’Expo Gate di Milano, nell’ambito della conferenza sul progetto europeo “Sustainable and persuasive human users mobility in future cities” e sarà presentata al grande pubblico all’Expo 2015. Un grande progetto che potrà cambiare in meglio il nostro pianeta e renderlo un po’ più “green”.

Presentati gli Atti dei 150 anni del Liceo Porporato


eventi

Via Vigone da valorizzare

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la via degli artisti e degli artigiani

Onda d’Urto Eventi - Inaugurazione mostra

Via Vigone e gli ecomostri dell’Acea

Ce la farà l’amministrazione Buttiero a delocalizzare l’Acea da Via Vigone verso il polo ecologico, liberando la via dal passaggio di centinaia di camion? Liberando al contempo delle ampie aree per parcheggi a 200 metri da piazza Fontana? È una scommessa con la cittadinanza e con tutti gli utenti della zona messa per iscritto nella variante ponte. I rapporti di forza tra a.d. Acea e Amministrazione non sono però a suo favore. Staremo a vedere! (A.D.)


Sono amici di Pinerolo InDialogo e di Onda d’Urto 25


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