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Il Bergamasco in trecento pagine

Il professor Guidobono Cavalchini parla della sua ultima opera

in trecento pagine

Docente universitario nell’ateneo di Milano, ricercatore fra i più noti, giudice ENCI ed allevatore, fa il punto su una razza che ha contribuito alla storia della cinofilia nazionale

L’acqua che tocchi de’ fiumi è l’ultima di quella che andò è la prima di quella che viene. Così il tempo presente.

(Leonardo da Vinci)

Racconta… e la voce evoca il mormorio dello Scrivia, l’affluente del Po che, nel nome, ricorda l’affisso dei suoi Pastori bergamaschi fondato dal padre e nel fluire dell’acqua il rinnovarsi delle generazioni. Le parole giungono, lievi come increspature d’onda, vivono l’attimo d’un respiro e lasciano il posto ad altre annodandosi in un racconto che ancor oggi par cronaca tanto la voce le rende vivide. Si annodano invece a vicende di tempi lontani quando i buoi trascinavano gli aratri e pochi grandi immaginavano le nazioni del continente sotto una sola bandiera e render vano quanto soleva dire il brasiliano Paulo Coelo “ogni giorno abbiamo un piede nella favola e l’altro sull’abisso”. Dicono, nelle pagine di Luigi Guidobono Cavalchini, di giorni sereni fra lo studio ed i grandi prati che fanno quieta la campagna piemontese di Tortona, raccontano delle genti di una metropoli avviata alla resurrezione industriale e geniali agricoltori del riso curvi sulla loro fatica: tempi lontani, ciascuno raggomitolato nelle sue storie quotidiane e tutti insieme ad animare un diario di stagioni remote a cui la memoria dà voce e la nostalgia rende affettuoso lo sfogliarle. Proprio come fa il professor Luigi Guidobono Cavalchini in quel suo libro “Il Bergamasco. Da cane dei pastori a cane dei signori” che, pagina dopo pagina ricostruisce e vivifica l’icona di un tempo di cui è parte e continua a vivificare. Allevatore, giudice ENCI, docente universitario fra i più noti e stimati della Facoltà di Veterinaria in Milano, una riconosciuta notorietà nella Società civile che gli ha valso l’onorificenza di “Benemerito del comune di Bergamo”. I perché di un così importante riconoscimento sono molti e fra questi quello di aver salvaguardato una razza – il Cane da pastore bergamasco - che appartiene per carattere ed indole a quelle terre e ne è uno dei simboli nel mondo. Nella biografia fra i traguardi di un percorso accademico importante ed unanimemente riconosciuto, la

signorilità innata ed una passione cinofila in cui si uniscono, completandosi a vicenda, intelligenza e passione, voglia di progredire e desiderio di vivificare ancor più una razza, Il Cane da pastore bergamasco, che continua a plasmarsi meravigliosamente nel tempo. Gli inizi, ricorda con una punta di nostalgia (ed a tratti par di cogliere nella voce incrinature di commozione), furono entusiasmanti ma non facili: erano i giorni fervidi della rinascita delle coscienze fra comunità prima che fra i popoli e la cinofilia, con Giulio Colombo, il principe Tommaso Corsini, il conte Romano Saladini Pilastri, Giovanni Radice, Giuseppe Solaro, Fabio Cajelli, Marco Valcarenghi, Enrico Oddo e tanti, tanti altri stava rinascendo in fatiche sospinta da genialità ed entusiasmi nuovi tantochè niente sembrava impossibile. “Ero uno scolaro di nove anni quando mio padre, Annibale, ottenne dall’ENCI l’affisso “di Valle Scrivia” di cui ancor oggi si fregiano i nostri Pastori Bergamaschi ed i Bassotti tedeschi…”. Lo dice lentamente il professore Luigi Guidobono Cavalchini come se la voce riscoprisse lontane memorie destinate a vivere qualche attimo ancora confidando segreti di un usuale vivere quotidiano fondato sulla discrezione ed il rispetto nella vivacità di un’opera che non può non rinnovarsi continuamente per restar viva e scorrere negli anni. Come l’acqua dello Scrivia e di tutti gli altri torrenti e fiumi che sono, furono e saranno alla maniera in cui Talete, filosofo, astronomo e matematico di Mileto (”nessuno può bagnarsi una seconda volta nella stessa acqua dello stesso fiume”) o Leonardo da Vinci, li elevarono ad immagine dello scorrere della vita con i suoi progressi e le sue vittorie. “In quei giorni in cui mio padre gioiva per l’affisso, trascorrevo gran parte del mio tempo fra i cani di cui ero compagno di giochi”. È vero, ricordare è vivere una seconda volta. “La casa di famiglia dove sono nato si trova lungo lo Scrivia, e non lontano da dove il torrente finisce nel Po. Oltre ai “Bergamaschi” avevamo anche i Boxer, frequentavamo le esposizioni di bellezza e anche le prove di lavoro e mio padre era giudice ENCI in entrambe le specialità. Dopo essermi laureato in Medicina Veterinaria all’Università di Milano ho dovuto sceglier cosa fare e a cosa dedicarmi. Le prime esperienze pratiche come tutti le ho fatte negli ambulatori delle cliniche della Facoltà. In quei miei giorni oramai lontani i veterinari specializzati nella cura dei cani erano pochi tantochè quelli che avevano ambulatorio in Milano si contavano sulle dita di una sola mano: nonostante fossi conosciuto nell’ambiente cinofilo decisi di non seguire la professione clinica: il cane per me doveva rimanere una passione e non essere fonte di reddito”. Tace… e t’accorgi quanta ragione ci sia ne proverbio tedesco: “il silenzio è un recinto intorno alla saggezza”.

IL FASCINO DELL’ALLEVAMENTO Cosa spinge un cinofilo quale lei è ed un professionista brillante e docente universitario apprezzato a scendere.. nell’arengario degli allevatori? . La domanda non lo coglie impreparato. “Allevare, dice, ha un fascino particolare, devi far nascere i cuccioli, crescerli, educarli, ma devi anche scegliere i riproduttori, verificare i risultati delle scelte fatte, partecipare alle competizioni zootecniche, competere. Quante cose bisogna imparare, verificando quelle che sono le convinzioni e le tradizioni degli allevatori e del mondo cinofilo, con le realtà provate scientificamente”. “È così che ho scelto di fare lo zootecnico e mi sono fermato in Università, diventando professore ordinario, occupandomi principalmente di specie avicole, dove la selezione genetica e le applicazioni della scienza, hanno permesso progressi incredibili. Ma in Università mi sono anche occupato di cani, ho insegnato per molti anni “Allevamento degli animali d’affezione” e ho promosso e seguiti diversi progetti di ricerca che sono stati oggetto di pubblicazioni a carattere nazionale e internazionale”. La sua prima opera è stata un libro sui cani e significativamente sui Cani da pastore bergamaschi? “Il primo libro che ho scritto è stato sull’allevamento del tacchino, specie che ho imparato a conoscere in numerosi stage trascorsi in USA e a cui ho dedicato molte delle mie ricerche. Il primo libro sul Cane da pastore bergamasco è stato pubblicato dalla De Vecchi Editori di Milano nel 1988. Un libro che mi ha poi dato la possibilità di dirigere l’intera collana cinofila di questa casa editrice, una delle più ricche di volumi e tra le più conosciute. Ho una biblioteca di cinofilia piuttosto rifornita, aveva iniziato mio padre a raccogliere volumi già dagli anni Cinquanta e poi ho continuato io con testi di nuova pubblicazione, ma anche con volumi storici trovati nelle bancarelle di antiquariato. Il materiale a disposizione è molto e l’esperienza vissuta mi ha insegnato parecchio”. Perché solo ora questa nuova opera? “La cinofilia sta evolvendo in modo significativo, allineandosi con il notevole progresso delle comunicazioni e con la possibilità di maggiori scambi con Paesi di tutto il mondo che permettono di migliorare le conoscenze specifiche, ma che richiedono continui aggiornamenti. È cosi che a distanza di trentadue anni ho deciso di scrivere un

L’INTELLIGENZA DEL BERGAMASCO Attento e riflessivo partecipa a quanto accade attorno a lui e sapendo sempre dove siete e cosa stai facendo, leggendo ogni vostro movimento e prevedendo le vostre intenzioni, seguendovi ovunque e controllandovi. Affettuoso e dolce cerca il contatto con voi e con tutta la famiglia, comportandosi in modo differente a secondo la persona, più dolce con gli anziani e con i bambini piccoli, più attivo con chi lo fa giocare, correre, saltare. Una buona educazione è importante per mantenere sotto controllo i soggetti più esuberanti. È un ottimo guardiano e sa impedire a chi non conosce di entrare nel suo territorio.

nuovo libro in cui non solo ho raccontato le conoscenze storiche sulla razza, ma anche il risultato di esperienze vissute come allevatore attivo” Qualche consiglio? “Uno solo agli allevatori neofiti: non si è mai finito di imparare. Sono conscio che ognuno deve farsi le proprie esperienze, ma ritengo che anche quelle di chi vi ha preceduto possano aiutarvi ad allevare meglio e a fare meno errori”. Quanti “pastori” ha allevato? “Di preciso non so quanti “bergamaschi” ho allevato, dovrei entrare nel database e contarli, verificare quanti sono i Valle Scrivia registrati e quante le mamme e gli stalloni. Di alcuni soggetti ho un ricordo molto chiaro poiché hanno partecipato attivamente alla mia vita, di altri meno, il ricordo è più sfumato poiché alla mia vetusta età la memoria spesso fa un po’ cilecca, ma sicuramente tutti mi hanno dato qualche cosa. La passione deve essere la prima molla indispensabile per allevare qualsiasi animale, ma in modo particolare i cani che ti richiedono una condivisione quotidiana del tuo affetto e delle tue cure”. Ci sono pagine che consiglia in modo particolare, riferimenti a persone o dediche? “C’è una particolare attenzione al lavoro del cane, poiché è proprio dal lavoro che in tempi remoti è iniziata la razza e la sua selezione. È cosi che il Cane da pastore bergamasco ha accompagnato per molti secoli la vita dell’uomo, partecipando con il suo lavoro alle attività quotidiane. È bello poter dire che il “Bergamasco” ha conservato le attitudini di lavoro, la sua rusticità e il suo stretto legame con l’uomo e averlo potuto verificare in campo su un alto numero di soggetti. Attività questa che ha richiesto una particolare attenzione e dedizione. Scrivere un libro richiede tempo e impegno, è qualche anno che sto mettendo da parte materiale da cui ho poi attinto recuperando anche vecchi articoli e presentazioni di conferenze, da me scritti negli anni passati. Nella stesura dei testi ho cercato, dove possibile, di abbandonare la forma manualistica e di raccontare in modo vissuto alcuni capitoli, in modo da renderli più piacevoli e di facile lettura.” Dedica e ringraziamenti? “Dedico questo libro a tutti gli appassionati del Cane da pastore bergamasco e a tutti i miei cani per l’affetto ricevuto e per quello che mi hanno saputo dare in tanti anni di allevamento. Un grazie particolare a mia moglie Gabriella che mi ha dato preziosi consigli e a cui ho sottratto tempo e attenzioni. Ad Alberto Marengoni giudice ENCI e da sempre appassionato della razza, per i disegni che hanno reso lo scritto più comprensibile e Marco Mazzoleni fotografo appassionato di vita rurale e di malghe per le belle fotografie. A Jutta Ammann, Marina Favro, Emilia Marchetti, Valter Grossi, Valentina Cioffrese. Ringrazio tutti quelli che con materiale e suggerimenti hanno contribuito alla stesura di questo libro”.

Rodolfo Grassi

PERCHÉ IL BERGAMASCO VIVE BENE IN CASA “La domanda che frequentemente mi sento rivolgere è: ma il “Bergamasco è adatto a vivere in casa”? Certamente si, lui ama stare dove siamo noi, in casa se siamo all’interno, come in questo momento mentre scrivo mi si è seduto sui piedi tenendoli caldi, e fuori con noi in giardino quando usciamo, non ama stare solo per lungo tempo. Se osservate i greggi mentre pascolano o si spostano, vedrete sempre il cane conduttore vicino al pastore, non sarà mai solo isolato come si comporta il cane da protezione, si muoverà solo in seguito a un ordine, un fischio o un gesto del pastore, che lo manda a recuperare il bestiame, per poi ritornare prontamente al suo fianco tranquillo e soddisfatto di aver eseguito quanto richiestogli, pronto a ricevere una carezza o un bravo. Il mantello del “Bergamasco “ è ipoallergenico poiché non fa mute stagionali imponenti come altre razze, che durante la muta riempiono la casa di pelo, e con un minimo di cure si può mantenerlo in ordine e pulito. Ho sempre avuto “Bergamaschi” all’interno della mia casa, dove possono girare liberamente dove preferiscono, ma loro stanno dove siamo noi e alla notte ai piedi del letto. Certamente un giardino o anche un cortile sono un bello sfogo apprezzato dal vostro cane, a cui però potete ovviare con lunghe passeggiate quotidiane.”