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I cani della storia

Cane da pastore tedesco . Foto Elena Corselli.

Poesia, credenze e verità di una cinofilia che continua a sfidare il tempo

Le testimonianze commoventi di Omero, Senofonte, Aristotele, Artemidoro e tanti altri grandi filosofi, scrittori e poeti. La struggente storia di Argo, il cane di Ulisse e gli epigrammi di Marziale. Come decifrare i loro “messaggi” se compaiono in sogno o tentare la fortuna con il lotto

“Io non posso entrare”. Se sei così scemo da scrivere un cartello ai cani, non dovresti essere tu il primo a uscire dal negozio?”

Fabio Fazio

Mai chiedere ad un poeta il rispetto dell’ottavo comandamento: ogni sua testimonianza, perché nient’altro che tali sono le poesie, risulterà vera o bugiarda a seconda dei tempi, delle circostanze, degli stati d’animo e, infine delle persone a cui si rivolge. Proprio come ebbe a scrivere la coinvolgente Alda Merini (1931-2009): “non cercate di prendere i poeti perché vi scapperanno fra le dita” aggiungendo poi che la loro opera “è un atto d’amore indirizzato al mondo”. Anche - e soprattutto - quando ad ispirarli sono i cani. Nei loro versi c’è una realtà mutevole e magica proprio come le figure che animano per un attimo e mai più tornare, il caleidoscopio o le tenui sfumature di improvvisi arcobaleni: somigliano a tante altre senz’essere ripetitive ed uguali a nessuna. Ecco perché, come afferma Franco Arminio, poeta, regista e uomo di profonda sensibilità, la poesia è “un mucchietto di neve in un mondo con il sale in mano”.

Cane da pastore belga Groenendael. Foto Pierangelo Ferrari.

Nonostante questo “le persone si incontrano per rinascere” e “nessuno non basta mai a nessuno”. Eppure ogni giorno che il sole porta sulla terra la poesia fa splendere la verità di Italo Calvino e confermarsi “l’arte di far entrare il mare in un bicchiere”. I riferimenti? (Le ispirazioni direbbe ogni poeta) sono tanti quanti gli attimi che misurano la vita sulla terra, uno diverso dall’altro, non raramente contraddittori (ecco il non rispetto dell’ottavo comandamento), sempre comunque palesi e limpidi per i lettori ma delicati ed eterei come desideri di cristallo. Viandanti con i poeti a percorrere la via della conoscenza, anche filosofi e pensatori, ciascuno con la sua verità, tutti insieme a contribuire ad una storia particolare e stupenda ed a far conoscere le virtù stupefacenti del cane o, alla maniera di Artemidoro vissuto due secoli prima di Cristo a Daldi, città della Libia, a donargli doti divinatorie e che continuerebbe ancor oggi a confidare nei sogni. Così se di notte mentre nel sonno percorri un altro universo e sogni di aver per compagno un cane da caccia avrai guadagni insperati “I cani a guardia della casa indicano la moglie, i servi e le ricchezze guadagnate” lasciò scritto il grande Artemidoro. “Perciò se sono in buona salute e fanno le feste ai padroni significano una buona gestione della casa sia da parte della moglie che da parte degli amministratori”. “Se i cani di qualcun altro fanno le feste, abbaiano o mordono pronosticano offese manifeste se sono bianchi, nascoste se sono neri, non del tutto manifeste se sono fulvi, mentre se sono pezzati pronosticano che le aggressioni saranno ancora più terribili”. Al contrario i cani da compagnia (Artemidoro li chiama melitesi “indicano ciò che vi è di più piacevole e dolce nella vita,pertanto se capita loro qualcosa di male indicano dolore e pena” Il cane infatti, secondo Aristotele di Stagira, (284-321 a.C.) è non solo dotato di memoria ma risulta capace di soluzioni che paiono frutto della logica. Il filosofo scrive infatti: “Il cane insegue le tracce di una lepre e di fronte ad un trivio annusa due sole vie e se esclude entrambe, senza ricorrere all’odorato decide di imboccare la terza strada”. Marziale (38 oppure 41 e 104 d.C.) il più importante epigrammista romano racconta, dando voce al cane Lidia, una vicenda, drammatica e commovente insieme, di caccia al cinghiale.

Gianni Rodari (1920-1980) inimitabile poeta e geniale

Alaskan Malamute. Foto India Scavello. Cane da pastore pastore maremmano abruzzese. Foto Angelica Moro.

protagonista della letteratura per l’infanzia, scherza, con la solita delizia, sulla parola “cane” ed in particolare sulla pronuncia dei Fiorentini che, come noto, aspirano la “c” ed è quindi come se tale lettera dell’alfabeto non esistesse. Il sostantivo cane diventa quindi, nella parlata,”ane” e perde la c che il poeta chiama testa e scrive che….

IL POVERO “ANE”

Se andrete a Firenze vedrete certamente quel povero ane di cui parla la gente. È un cane senza testa, povera bestia. Davvero non si sa ad abbaiare come fa. La testa, si dice, gliel’hanno mangiata… (La “c” per i fiorentini è pietanza prelibata). Ma lui non si lamenta, è un caro cucciolone, scodinzola e fa festa a tutte le persone. Come mangia? Signori, non stiamo ad indagare: ci sono tante maniere di tirare a campare. Vivere senza testa non è il peggior dei guai: tanta gente ce l’ha, ma non l’adopera mai! IL CANE DI ULISSE

Ma la cronaca più seducente, capace di vincere la caducità del tempo ed a commuovere centinaia di generazioni in ogni latitudine la traccia Omero e la rende efficace, nella traduzione essenziale di Ippolito Pindemonte. Racconta la vicenda, destinata a rimaner eterna, del re di Itaca, Ulisse e del suo cane che lo attese vent’anni, fu il solo a riconoscerlo pur se, partito per la guerra di Troia in vesti regali era tornato con stracci da medicante. Gli si avvicinò per salutarlo (e nei versi di Omero c’è l’immensa grandezza del sentimento) … e fu l’ultima volta perché pochi attimi dopo si accucciò con la testa fra le zampe per non svegliarsi più.

“Questo è il cane d’un uomo che morì lontano. Se ora fosse di forme e di bravura come, partendo per Troia, lo lasciò Odisseo, lo vedresti con meraviglia così veloce e forte. Mai una fiera sfuggiva nel folto della selva quando la cacciava, seguendone abile le orme. Ma ora infelice patisce. Lontano dalla patria è morto il suo Odisseo; e le ancelle, indolenti, non si curano di lui. Di malavoglia lavorano i servi senza il comando dei padroni, poi che Zeus che vede ogni cosa, leva a un uomo metà del suo valore, se il giorno della schiavitù lo coglie”. Così disse, ed entrò nella reggia incontro ai proci. E Argo, che aveva visto Odisseo dopo vent’anni, ecco, fu preso dal Fato della nera morte.

Rodolfo Grassi