2010_4_L'arco

Page 1

L’arco

DICEMBRE 2010

ANNO XXIII n. 4

PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARCO” - MAZARA DEL VALLO - Reg. Trib. Marsala n. 86-5/89 del 2/3/1989 - Distribuzione gratuita

Editoriale

UN ALTRO ANNO E' PASSATO Ambizioni, speranze e progetti ... per il futuro!

di Giuseppe Fabrizi

E' questo l'ultimo numero del ventitreesimo anno di pubblicazione del giornale "L'arco". Quest'anno il giornale è uscito con quattro numeri in edicola ed è consultabile on line su Internet assieme a tutti i numeri della nuova serie. Siamo orgogliosi di questa storia e di questi successi, che sono la testimonianza concreta che questo giornale ancor oggi è assai utile a Mazara del Vallo e al suo territorio. Abbiamo inoltre saputo mantenere nel corso degli anni l'impegno assunto nell'editoriale del primo numero, nel lontano settembre del 1988, e cioè quello di fare un giornale culturale al servizio dei cittadini e radicato nel nostro territorio. Ripercorriamo qui, giacché sempre attuali, rivisitandoli con la mente, i punti salienti del nostro impegno in quello storico editoriale del 1988. "Questo giornale, la cui redazione è composta da persone di diversa formazione ideale, vuole rappresentare un momento di confronto di idee ed è aperto alla collaborazione di quanti hanno a cuore lo sviluppo culturale, sociale ed economico di questa parte della Sicilia, più giusto ed equilibrato, fuori dagli schemi ideologici pregiudiziali. Il nostro impegno è di contribuire a che Mazara del Vallo possa ritrovare lo splendore di"inclita urbs" dei tempi passati, deturpato oggi dalle devastazioni urbanistiche ed ambientali e, talvolta, dall'incuria e dalla incapacità gestionale degli amministratori locali. Siamo convinti che le idee possano e debbano servire a creare una società più giusta ed un progresso sempre più rispettoso dell'uomo e dell'ambiente in cui Egli vive. Noi ci auguriamo che le nostre piazze vivano, che i nostri giovani discutano della propria storia, di cultura, di scienze, che i nostri circoli culturali, abitualmente espressione di atteggiamenti più consoni alla natura “arabeggiante” del mazarese, dove il non fare è più faticoso del fare niente e dove il fare qualcosa è spesso oggetto di critiche feroci o di gratuita derisione, diventino invece fucina di intelletti attivi, veri e propri centri propulsori di scambi culturali tra cittadini impegnati e vivi socialmente e non solo biologicamente, e che costituiscano vere sentinelle della memoria storica della nostra civiltà e delle nostre tradizioni storiche, sociali e religiose”. Noi continueremo a dare ai nostri amministratori idee e proposte e vigileremo sulla loro concreta fattibilità; verificheremo inoltre che essi, liberi da interessi personali o ideologici, gestiscano il potere, la “res publica” dialogando anche con i più deboli (umili, poveri e ammalati!) per risolvere col metodo democratico i problemi sociali, di interesse comune. Noi continueremo ancora a far rivivere nell'animo dei nostri concittadini sensibilità perdute verso la nostra storia e le nostre tradizioni sociali, culturali e religiose, recuperando ricordi di eventi storici, di personalità illustri mazaresi, di monumenti architettonici e artistici, recuperando cioè in una parola "la memoria mazarese, con particolare attenzione alla civiltà contadina e marinara, che ne sono alla base. Ci piacerebbe che dall'animo dei mazaresi si esprimessero con più forza e veemenza sentimenti quali la solidarietà, la fraternità e la carità, verso i fratelli più bisognosi, e anche verso una comunità, quale è quella tunisina, che ormai condivide con tutti la vita di questa città. Per tutti questi motivi il panorama culturale e politico (nel senso della "polis"!) ha oggi più che mai bisogno di un giornale come questo. E di fronte a tanti effimeri giornali del passato, che si sono avvicendati in quasi un lustro, il nostro giornale "L'arco" ha saputo mantenere una sua precisa collocazione, attraverso il colloquio e l'incontro tra idee, anche diverse, ma che vogliono costruire insieme il futuro, sulla base di una solida eredità culturale e della memoria storica. Rinnovamento e impegno per una rinascita culturale e politica del nostro territorio sono i nostri propositi per il 2011. Sono stati poco analizzati i profondi cambiamenti socio-economici, politici e culturali avvenuti nel nostro territorio nel corso degli ultimi venti anni, che hanno inciso profondamente nel suo sviluppo. Questo giornale vuole ora analizzare i mutamenti avvenuti e fornire un supporto culturale per la formazione di una nuova classe dirigente adeguata ai cambiamenti, in assenza, purtroppo, di un dibattito politico su queste tematiche. Ma per fare questo abbiamo bisogno del vostro aiuto e del vostro sostegno. Il giornale è nato come periodico del "Centro Studi Gaspare Morello". Nel precedente numero abbiamo festeggiato l'intestazione (finalmente!) di una importante strada cittadina al suo nome. Ora chiediamo di riprendere alcuni tratti caratteristici dell'azione culturale e politica di Padre Morello: quello dell'incontro fra uomini, provenienti da esperienze politiche diverse, ma accomunati dalla comune volontà di fornire un supporto allo sviluppo socio-economico del territorio. E' con questi proponimenti che chi scrive, assieme al Direttore, Prof. Onorato Bucci e a tutto il Comitato di redazione, formula a tutti i cittadini mazaresi e alla folta comunità tunisina gli auguri più cordiali per un Sereno, Felice e Prospero 2011.

CENTRO STORICO, IL LUNGO ADDIO DELLA MEMORIA di Gabriele Mulè

Resta solo il malinconico rintocco delle campane nel centro storico di Mazara del Vallo a colmare a distesa il deserto d'idee e d'azioni che divide il dire dal fare. Resta in questa terra di mezzo spazzata dal vento lo sgretolarsi delle pietre; poche durature mattonelle di ceramica, che nei toni da permanente campagna elettorale "riqualificano il centro storico", imbellettano alcuni muri: sepolcri imbiancati che nascondono graziosamente il corrompersi della nostra identità. Nella celebrata scenografia della ceramica, estranea ad ogni tradizione mazarese, che traveste il folklore locale di toponimi dialettali in recupero della memoria storica, che insedia in un ruolo improprio le espressioni artistiche di sinceri appassionati, languiscono opere d'arte maggiori e minori, grandi complessi monumentali ed estesi brani di tessuto urbano minore. Interventi cosmetici: così li hanno altrettanto graziosamente stroncati docenti e dottorandi in Recupero dei centri storici delle università di Napoli Federico II, Genova e Palermo in visita a Mazara. Significativo che nessun rappresentante dell'amministrazione abbia trovato tempo e voglia, necessità ed opportunità, per porgere un saluto e stemperare con una fugace presenza il convinto senso di perplessità che questa visita ha lasciato. All'orizzonte, frattanto, monta la piena dei prossimi (gli ultimi) generosi finanziamenti europei per il centro storico: serviranno a rispolverare progetti esecutivi chiusi nei cassetti da anni. Progetti di cui, siamo certi, si

rivendicheranno senza merito paternità e glorie. La verità? Ci prepariamo nuovamente ad interventi di restauro a metà tra imbalsamatori e antiquari appassionati: perché senza i piani di gestione (questi sconosciuti) economicamente sostenibili e destinati a sostenere lo sviluppo, edifici e complessi monumentali nella fantasiosa inventiva comunale diventeranno sede di pubblici uffici, centri di fantomatici servizi oppure verranno proiettati nell'iperuranio di una millantata ed approssimata fruizione turistica, inservibili ad ogni prospettiva di sviluppo reale. Uno sviluppo coltivato (coltivato?) in presenza di una progettualità a breve termine, che vivacchia alla giornata, tirando a campare, procedendo a strattoni senza una direzione precisa: una progettualità che prima distribuisce concessioni per locali pubblici in via Garibaldi a poca distanza l'uno dall'altro e poi tira violentemente il freno a mano sospendendo la concessione di nuove licenze, comminando sanzioni, aumentando i controlli quando scopre dopo dure proteste degli abitanti che una simile concentrazione di pub genera ed esalta, senza freni, una pericolosa deriva giovanile (sai che novità! Se solo avessero letto l'articolo di Vito Giacalone: Fun, fresh, cool. Ergo bevo! su L'Arco di marzo 2010). Ancora, una progettualità che non riesce ad immaginare un'animazione del mercato immobiliare mazarese diversa da quella della pioggia di soldi pubblici: “Verranno finanziati dalla Regione Siciliana (continua a pagina 4)


DICEMBRE 2010

Pag. 2

L’arco

(SEGUITO DAL NUMERO PRECEDENTE)

ALLE ORIGINI DELL’ASSOCIAZIONE VOCATA “MAFIA” Lungo questa tradizione si comprende Santi Romano, L'Ordinamento giuridico, Pisa, 1917. Questo grande studioso nato a Palermo il 31 gennaio 1875 e morto a Roma il 3 novembre 1947 che è il fondatore della Scuola Costituzionalistica italiana e che ebbe la venerazione di tutta la dottrina pubblicistica italiana dal Capograssi al Crisafulli, affermò che “è noto come, sotto la minaccia delle leggi statuali, vivono spesso nell'ombra, associazioni la cui organizzazione si direbbe quasi analoga, in piccolo, a quella dello Stato: hanno autorità legislativa ed esecutiva, tribunali che diramano controversie e puniscono, agenti che eseguono inesorabilmente le punizioni, statuti elaborati e precisi come le leggi statuali. Esse dunque realizzano un proprio ordine come lo Stato e le istituzioni statualmente lecite” (ibidem, p. 101). E non poteva che essere così dal momento che riteneva “una società rivoluzionaria o una associazione a delinquere non costituiranno diritto per lo Stato che vogliono abbattere e di cui violano le leggi, così come una setta scismatica è dichiarata antigiuridica dalla Chiesa” (ibidem, pp. 36-37). Nella dottrina del pluralismo giuridico, dunque, il gruppo mafioso è pienamente giustificato sicché Salvatore Romano (alla voce Mafia in Novissimo Digesto Italiano, X,

1964, rist. 1981, p. 15) potrà dire che la Mafia è “una organizzazione più o meno spontanea in funzione della difesa di interessi di gruppi o di classi, creando una più o meno segreta ed estesa rete di legami di dipendenza, di complicità, di intesa e di minaccia tra le differenti forze del corpo sociale e specialmente nei riguardi delle autorità amministrative, politiche e giudiziarie, che questo è, appunto, la mafia nelle sue varie connessioni sia di origine feudale sia di origine borghese, sia di origine “rivoluzionaria” dopo il 1860, sia di origine conservatrice o “democratica” [cfr. G. Fianduca, La mafia come Ordinamento giuridico; utilità e limiti di un paradigma, in Seguo, 1994, n. 155, pp. 23-35]. Alla luce di tali risultati della dottrina, continua ancora una volta ad essere incomprensibile la posizione del Giarrizzo che, dopo aver fatto il parallelo con la camorra, compie un parallelo fra la Mafia e la massoneria (voce Mafia, in EI, Appendice 1979-1992, V, pp. 277-281 ed ivi, p. 278), lungo posizioni dottrinarie che trovano in Monnier, Colacino, Lombroso e Alongi i suoi lontani antecedenti [M. Monnier, La camorra, Firenze, 1862; T.V. Colacino, La fratellanza, in Rivista di disciplina carceraria, 15, 1885; G. Aloni, La mafia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni, Saggio sulle classi pericolose in Sicilia, Torino, 1886; C. Lombroso, L'uomo delinquente, Torino, 1889, 4 ed.]. C'è in Giarrizzo, nelle sue posizioni della ricerca delle origini dell'associazione vocata mafia, la volontà di scrollarsi di dosso un peso gravissimo, quello di dire che la mafia è qualcosa di esterno e lontano dalla società siciliana, un

cancro portato da fuori, ora proveniente dalla camorra ora derivante dalla massoneria, domani chissà da quale altra perturbazione esterna. Giarrizzo è uno studioso troppo colto da non capire che movimenti esterni e paralleli al fenomeno mafioso possono benissimo essersi incontrati con la mafia di cui hanno potuto lambire caratteri e canoni che sono tuttavia squisitamente originali di terra siciliana e che trovano origine nel sistema feudale sorto successivamente alla caduta del reame di Federico II e alla necessità di darsi veste e organismi giuridici di controllo della società siciliana rimasta orfana della scomparsa dell'Islam e della venuta meno del progetto federiciano. Le origini della mafia sono tutte lì, nella consapevolezza di darsi un'organizzazione giuridica che prendesse il posto lasciato vuoto da precedenti amministrazioni: i Vespri siciliani la mobilitarono e i tempi successivi le diedero forma e caratteri giuridici. Nata come formazione di bravi, e dunque braveria(picciotti) la mafia è stata a disposizione di un ordine costituito dai signorotti o dalla Chiesa (il cui ruolo è stato fondamentale per la sua autonomia e la sua formazione specifica) e si è dunque scontrata con qualunque potere forte proveniente dall'esterno, siano essi Borboni o Stato Nazionale: figuriamoci se deve le sue origini alla camorra o alla massoneria! Con entrambi la mafia ha avuto rapporti di “buon vicinato”, di scontro o di alleanza, ma in perfetta autonomia e libertà, dopo tuttavia che si era ben formata e autoplasmatasi da tempo. Santi Romano (e poi Finocchiaro Aprile) capirono questo (così come lo capì il Gierke e il Windscheid) e videro nella mafia le attestazioni della dottrina del pluralismo giuridico, la presenza storica di organismi giuridici e amministrativi autonomi e liberi dallo Stato Hegeliano cui Santi Romano ha sempre negato essere unico portatore del diritto e della norma. La Chiesa, in tutto questo, ha di fatto e in dottrina appoggiato la tesi di Santi Romano ed anzi né è in fondo l'ispiratrice. E questo può spiegare più di un atteggiamento comprensivo, se non benevolo, della Chiesa verso la mafia. Altro che camorra e massoneria che sono ben poca e misera cosa, agli occhi della Chiesa siciliana rispetto alla mafia, sistema tutto autoctono della terra di Sicilia! Altro ne è la giustificazione ma lì siamo in una visione storica ed etica che va valutata di volta in volta, quel che ora stiamo tentando di compiere. Di tutti questi problemi si caricava, a mio giudizio, Sciascia, contro la incomprensione della Sinistra italiana e del progressivo radical-chic del tempo, che isolò il grande romanziere che tentò di capire il perché la terra di Sicilia avesse generato la mafia che era, ai suoi occhi, e lo è tuttora, tutta e solo siciliana.

di Onorato Bucci

6. La connessione fra Chiesa siciliana, sentimento religioso e spirito di difesa di classi deboli verso i signori da un lato e qualunque potere costituito che venisse dall'esterno dall'altra, come motivo ispiratore della mafia, è chiara nei fratuzzi di Bagheria, nei fratuzzi di Corleone, e nei Fasci siciliani di ispirazione socialista, movimenti che ben stanno ad indicare l'autonomia della mafia che vuole rimanere siciliana ad onta di chi la voleva controllare dall'esterno (se inteso in tal senso l'influsso della camorra e della massoneria, accettiamolo pure, ma nel senso che entrambi si trovano di fronte ad un organismo già completo amministrativamente che tentano di sottoporre ai propri indirizzi “politici” ma non che ne abbiano favorito le origini, perché le origini della mafia erano ben più antiche di entrambi). In questo ambiente si è poco studiata la formazione e lo sviluppo della Chiesa siciliana nei confronti delle associazioni mafiose. Al momento della caduta dell'Islam in Sicilia, la Chiesa era pressoché scomparsa: essa viene ricostruita dal sangue dei pochissimi cristiani rimasti. Senza una struttura gerarchica, con un fondo orientale bizantino della sua memoria antica dovette liberarsi dal fascino pagano federiciano e ricostruire se stessa nella storia dell'isola, riunendo le membra sparse di una tradizione che l'Islam e Federico II con il germanesimo svevo avevano distrutto. Ciò spiega perché la mafia nulla ha a che vedere con la camorra e la massoneria, banditesca la prima, laicista e atea (pur nei suoi rivoli anglicani) la seconda. I fratuzzi di Bagheria e quelli di Corleone lo stanno a dimostrare, e lo testimoniano i Fasci Siciliani innanzi richiamati i cui appartenenti non a caso si chiamavano fratelli. Determinante in tutti e tre i movimenti sono le confraternite cattoliche spesso composte da terziari francescani che occupano momenti ecclesiali e politici in cui le basi religiose sono fortissime. E ritorna il problema di quale influsso abbiano potuto avere la Massoneria e la Carboneria sulla formazione e lo sviluppo dell'associazionismo mafioso. Ora è fin troppo noto che in Sicilia quando si parla di Massoneria, almeno fino al flusso migratorio italiano (e siciliano) negli Stati Uniti prima e dopo la prima guerra mondiale, si intende la massoneria della Loggia d'Inghilterra che tende a favorire la nascita della Carboneria, legata all'episcopato dell'Isola. Fu l'Inghilterra, nel periodo immediatamente precedente alla creazione del Regno delle

Due Sicilie, attraverso lord W.C. Bentineck a dar forza a quello che viene chiamata il Sicilianismo, movimento che prima che politico fu essenzialmente spirituale, contro ogni napoletanizzazione della cultura siciliana. Può sembrare un paradosso, ma la “questione siciliana” nasce dalla Corte borbonica e da qui viene poi trasferita al nuovo Stato Italiano. L'Inghilterra favorì nel periodo 1802-1815 il Sicilianismo, appoggiò (meglio: accolse, obtorto collo) al Congresso di Vienna la creazione del Regno delle Due Sicilie ma non abbandonò mai le tensioni di libertà e di autonomia della classe economica e culturale dominante dell'isola che si adoperò contro il governo napoletano, sicché, quando le Cancellerie europee favorirono l'Unità della Penisola, non ebbe dubbi ad appoggiare i desiderata della nuova classe politica dell'Isola ad unirsi al Piemonte. E intanto appoggiò i gruppi e le associazioni che lavoravano in tal senso. In questo scenario deve vedersi l'appoggio discreto ma incondizionato dato dall'Inghilterra ai signorotti locali, ai Fratuzzi di Bagheria, ai Fratuzzi di Corleone. E i signorotti locali erano in gran parte aderenti alla Carboneria, per via napoletana, attraverso una commistione francese da cui la Carboneria deriva, i Charbonniers, come per esplicita testimonianza dichiara Pietro Colletta napoletano e Giuseppe Rossetti piemontese. Che poi fra Carboneria francopimeontese-napoletana e massoneria inglese vi fossero delle connessioni è più che plausibile, dove tuttavia il clero siciliano ebbe un ruolo fondamentale al pari di tutto l'episcopato meridionale che, finchè non abbracciò (o gli fu imposta) l'unità della penisola, fu solo aderente alla Carboneria e non alla Massoneria che comunque rimase interlocutore privilegiato per il tramite della nobiltà inglese abbondantemente presente nell'Isola [cfr. F. Lemmi, Le società segrete nella Sicilia e l'autodifesa dell'abate Luigi Oddo, Palermo, 1920; R. Soriga, Le società segrete e i moti del 1820 a Napoli, Roma, 1921; Idem, Gli inizi della Carboneria italiana, in Il risorgimento italiano, Torino, 1928; R. Soriga, alla voce Carboneria, in EI, VIII, 1930, pp. 962-963]. In questo scenario la commistione fra carboneria, massoneria (di loggia inglese) e mafia appare evidente, sicché non deve meravigliare che simboli e giuramenti carbonari siano reciprocamente assimilabili [“come si brucia questa santa e queste poche gocce del mio sangue, così verserò tutto il mio sangue per la Fratellanza; e come non potrà tornare questa cenere nel proprio stato e questo sangue un'altra volta nel proprio stato, così non posso rilasciare la Fratellanza”: così in G. Giarrizzo, cit., p. 278].

(segue al prossimo numero)


L’arco DICEMBRE 2010

Pag. 3

INTITOLATO AL DR. UBALDINO IL REPARTO DI OCULISTICA DELL'OSPEDALE DI MAZARA DEL VALLO

di Tonino Salvo*

Vito Ubaldino nasce a Mazara del Vallo il 24 Dicembre 1934. Frequenta il Liceo Classico "G. G. Adria" e consegue la Maturità Classica nell'anno scolastico 1952-53. Si iscrive alla Facoltà di Medicina e Chirurgia dell'Università di Palermo ed ivi si laurea nel 1960. Consegue la Specializzazione in Oculistica con il massimo dei voti e la lode nel 1964. Assistente della Clinica Oculistica dell'Università di Palermo viene incaricato di dirigere il Centro per il Glaucoma sino al 1973. Nel 1974 crea la Divisione di Oculistica dell'Ospedale “A. Ajello”e vince il concorso di Primario prestando servizio sino al 2001, anno del suo “pensionamento”. Muore il 14 Settembre 2006 ed a quattro anni dalla morte (14/9/2010) gli viene intestato il Reparto da Lui voluto e diretto con competenza, professionalità ed impegno costante. Mi sia consentito, al di fuori delle scarne ma necessarie e dovute parole di cui sopra, un ricordo “ospedaliero” del collega Vito Ubaldino. Mentre stava materialmente nascendo il Reparto di Oculistica, che Egli seguiva quasi ogni giorno nel suo evolversi, spesso veniva a trovarmi nella mia stanza per prendere un caffè ed io condividevo le sue preoccupazioni in quanto qualche anno prima le avevo vissute in prima persona per far nascere il Servizio di Analisi che, come l'Oculistica, prima non esisteva. Questa abitudine del “momento di pausa”, compatibilmente con il suo ed il mio impegno quotidiano, è poi rimasta per diversi anni; di solito però ero io a recarmi nella sua stanza per un caffè ed una sigaretta. Spesso veniva a trovarmi per chiarire un quesito

diagnostico e ad onor del vero debbo riconoscere che era uno dei pochi colleghi con cui ero riuscito a portare avanti tale prassi. Altre volte ci si incontrava per svariati motivi, come quando andavo a trovare Padre Morello durante un suo ricovero in Oculistica ed ambedue stavamo ad ascoltare il nostro Preside che si ricordava di quasi tutti gli allievi del "G. G. Adria" e di alcuni che si erano dovuti allontanare da Mazara per motivi di lavoro ci chiedeva notizie. Infine prima che io andassi in pensione, durante gli anni “difficili” (per non dire altro) del mio incarico di Direttore Sanitario quando mi veniva a trovare nella mia stanza, nell'ala nuova appena un piano sotto il suo Reparto. Non sempre tale “visita” era dovuta a motivi di servizio; a volte era per una breve

Nella foto dell'articolo: da destra a sinistra Ubaldino, Romagnosi, Scaglione, Mulè. pausa (impegni permettendo) anche se vogliano alcuni colleghi) di ciò bisogna darne spesso si finiva per parlare dei soliti problemi atto ancora oggi. del nostro ospedale. Mi piace chiudere questo breve "ricordo" con Vi era per alcuni di noi (e non parlo solo di medici, ma anche di alcuni infermieri) l'orgoglio di appartenere all'Abele Ajello e Vito Ubaldino era sicuramente tra i medici che in quegli anni ed anche poi si sono impegnati per far sì che, come ebbe a dire pubblicamente in un incontro ufficiale il Medico Provinciale dell'epoca, il nostro Ospedale fosse considerato il migliore della Provincia. Ed a sua volta all'interno del nostro ospedale la Divisione di Oculistica era spesso portata ad esempio per la funzionalità e l'organizzazione e (non me ne

un doveroso omaggio ai colleghi del Dr. Ubaldino (Dr. Girolamo Romagnosi, Dr. Fabio Scaglione, Dr. Diego Mulè) che con la loro professionalità hanno permesso, sotto la guida del loro Primario, che l'Oculistica di Mazara raggiungesse dei traguardi lusinghieri e fosse un vanto per la nostra città. Impegno, sacrificio, professionalità, che non mancavano certamente a noi tutti (medici ed infermieri) allora in servizio nel nostro nosocomio.

RICORDO DI UN AMICO.... FRAMMENTI DI IMMAGINI, PENSIERI ED EMOZIONI di Giuseppe Fabrizi Percorrendo l'autostrada Adriatica stavo per imboccare lo svincolo per Rimini, dove mi accingevo a tenere la relazione di apertura del Congresso Nazionale di dermatologia pediatrica quando mi raggiunse una maledetta telefonata: Vito Ubaldino non c'era più! Frastornato e addolorato sono arrivato al Centro Congressi ed ho fatto l'unica cosa che mi era possibile in quel momento: quella cioè di dedicare davanti ad oltre 1200 congressisti la mia lettura magistrale alla sua memoria! Poi, di corsa, abbandonando i lavori congressuali mi sono precipitato in auto verso Roma dove sono riuscito a prendere l'ultimo aereo per Palermo, per stare, la mattina successiva, idealmente ancora una volta assieme a Vito. E la mattina, a Mazara del Vallo, nella basilica Cattedrale, gremita da parenti ed amici, durante la funzione funebre, mi sono tornate alla memoria, come in un film, le innumerevoli immagini di vita trascorsa, e i pensieri e le emozioni, rivivendo così atmosfere mai del tutto sopite. I capelli brizzolati e lievamente ondulati, sempre ben pettinati; l'immancabile fumo della sigaretta, aspirata con voluttà e tenuta stretta tra due dita affusolate con innata eleganza. Le camicie bianche, sempre ben stirate con colletti impeccabili, dove il nodo della cravatta emergeva perfetto e sempre in tono con il colore degli abiti su misura e dai cui polsi si intravedevano preziosi gemelli, spesso dorati, e sempre accompagnati al polso da orologi di raffinata fattura. Ad una prima e superficiale conoscenza Vito poteva incutere soggezione nell'interlocutore, ma bastava poco, bastava sentirlo parlare, accompagnato da quel suo sorriso solare, o incontrare il suo sguardo intenso dove gli occhi spesso dicevano più di quanto le parole stesse non potevano dire. E le innumerevoli ore trascorse nei dopo cena a casa sua, a parlare fitto fitto sino a

notte fonda, con una comunanza di spirito e con una sintonia perfetti, dibattendo temi di attualità, a volte di sport, ma soprattutto parlando a lungo del nostro lavoro, della nostra professione di medici e dei problemi universitari. E durante queste ore Egli non si stancava mai di chiedere notizie dei miei percorsi accademici e, dandomi consigli, andava con la mente al periodo trascorso presso la Clinica Oculistica dell'Università di Palermo, ma senza mai mostrare rimpianti. La carriera per Vito era infatti importante, così come lo era il suo lavoro, che amava moltissimo: ma prima di tutto c'era la sua vita privata, costituita dalla sua famiglia e dai suoi affetti più cari! E durante questi colloqui leggevo spesso nei suoi occhi, che brillavano, la gioia condivisa e sincera per i miei successi professionali, così come lo sguardo si accendeva di vivissima luce quando ricordava, dilungandosi nei particolari, i suoi trascorsi accademici vissuti a Palermo, quando negli anni '70 dopo la laurea e la specializzazione in Clinica oculistica aveva la responsabilità della direzione del Centro per lo studio e la cura del glaucoma dell'Università di Palermo. C'era grande e reciproca ammirazione tra di noi, grande rispetto e sincera amicizia. A volte non ci sentivamo per molto tempo ma quando ci si reincontrava era per noi come se ci fossimo lasciati qualche attimo prima! Vito Ubaldino è stato per me un sincero e fraterno amico. E quando il mio essere fragile mi ha indotto a fare delle scelte di vita, laceranti e assai dolorose, mai ho inteso dalla sua voce parole di biasimo o di disapprovazione nei miei confronti (e sì che Egli se lo poteva permettere!), ma ho sempre letto nei gesti e nei modi parole di fraterna comprensione e di umana considerazione, parole che infondevano nel mio animo turbolento una grande serenità interiore. E nel contempo leggevo nei suoi occhi il rammarico e il sincero dispiacere per

una fase della mia vita assai difficile, ricca spessa di critiche ingiuste e di taglienti giudizi morali anche da parte di chi, sul piano umano e morale, non era certamente irreprensibile. Ma Vito era anche un uomo molto generoso. Conservo infatti ancora nel mio studio professionale di Mazara del Vallo una piccola scrivania che agli esordi della mia attività libero-professionale a Mazara del Vallo Egli generosamente e affettuosamente mi donò. E ricordo ancora le sue parole che, con voce sommessa, quasi schernendosi per pudicizia, ma con grande gioia interiore, allora pronunciò:"Vedi, caro Pino, questa scrivania mi ha portato fortuna quando io ho cominciato la mia attività di oculista a Mazara del Vallo e sono sicuro che te ne porterà, e tanta, anche a te!" Vito mi rassomigliava anche sul piano professionale. Egli infatti appariva spesso eccessivamente rigoroso con gli altri, collaboratori medici e paramemedici, ma in realtà prima di tutto Egli era rigoroso con sè stesso, perchè doveva rappresentare un esempio, una guida per tutti. Per questo non si risparmiava nel lavoro e celeberrime venivano considerate, in Mazara e provincia sino a Palermo e nella Sicilia Occidentale, le sue prestazioni professionali, lunghissime nel tempo, ma sempre accompagnate da grande impegno e dalla massima competenza professionale. Ma anche nel lavoro pubblico ospedaliero Vito non si risparmiava mai. Le sue giornate cominciavano assai presto, quasi sempre con la sala operatoria e quindi con l'attività chirurgica, alla quale dedicava gran parte del suo impegno professionale, e terminavano a volte nel primo pomeriggio, ben oltre il monte orario che gli competeva

per contratto ospedaliero; e il suo reparto veniva additato come il più ordinato, il più efficiente e il più funzionale tra tutti i reparti ospedalieri di Mazara del Vallo e provincia e preso come esempio di eccellenza anche da altri reparti di talune Università! Vito, come me, ha sempre coniugato nella professione, la dedizione, l'impegno, il rigore e la testimonianza professionale! Pensavo a tutte queste cose mentre pregavo in Cattedrale. E confesso che da molto tempo non pregavo più in modo così intenso e partecipe e dentro di me è scesa una serenità che non provavo da molti, troppi anni, mentre ripercorrevo con la mente frammenti importanti della mia vita, che si distaccavano per sempre da me!


DICEMBRE 2010

Pag. 4

VISITA TOSCANA PER IL NUNZIO APOSTOLICO IN BURKINA FASO MONS. VITO RALLO

L’arco

di Elia Mannucci

S. Ecc. Mons. Vito Rallo, Nunzio Apostolico in Burkina Faso e in Niger, ha fatto tappa in Toscana nei giorni 3, 4, 5 settembre scorsi, ospite del Vescovo della diocesi di San Miniato S. Ecc. Mons. Fausto Tardelli e su invito del Sindaco di Santa Croce sull'Arno Osvaldo Ciaponi che, insieme al parroco mons. Morello Morelli, hanno fatto propria l'idea del presidente della Pro Loco dott. Angelo Scaduto – originario dello stesso paese natale del Nunzio – di invitarlo, circa due anni fa. Dopo l'accoglienza all'aeroporto la mattina del 3 da parte del dott. Scaduto, di mons. Morelli e di mons. Cristiani, arciprete di Fucecchio, il Nunzio Apostolico è stato ricevuto in comune dal Sindaco e da parte della giunta. In questa sede, il Sindaco ha esposto al Nunzio Apostolico l'attività di cooperazione internazionale svolta dalla città di Santa Croce sull'Arno in Burkina Faso. Il Nunzio Apostolico ha potuto constatare come tutti i comuni del territorio siano attivamente impegnati in progetti di aiuto e sostegno di quella popolazione. Il Vescovo di San Miniato ha avuto l'idea di una cena di beneficenza in onore del Nunzio Apostolico, per sostenere le sue opere in Burkina Faso. Così, la sera, molti invitati, in rappresentanza della società civile e imprenditoriale della città, hanno dato vita all'incontro conviviale, tutti consapevoli di essere molto più fortunati dei bisognosi del Burkina e di conseguenza desiderosi di aiutarli attraverso il Rappresentante del Papa. Lo spirito di solidarietà ha animato tutti i partecipanti, che di fatto approvano i progetti di cooperazione internazionale messi in atto dalle istituzioni locali, politiche e religiose e ritengono oggi pressoché indispensabile l'aiuto dei cittadini e di tutti coloro che hanno il desiderio e la possibilità di sostenere chi è più povero e bisognoso. A fare gli onori di casa è stato il Vescovo di San Miniato, che con squisita sensibilità ha espresso la gioia dell'intera diocesi per la visita dell'illustre ospite, il suo apprezzamento per l'alto servizio svolto dalla Santa Sede per lo sviluppo dei popoli, ed ha esortato tutti a sostenere i progetti di aiuto in Burkina. Erano presenti inoltre: mons. Andrea Pio Cristiani, mons. Morello Morelli, il Presidente della Provincia di Pisa Andrea Pieroni, il Sindaco Osvaldo Ciaponi, gli assessori Conservi e Valiani, il vicepresidente della Fondazione Cassa di Risparmio di San Miniato dott. Vivaldi, il Lion's e il Rotary club, la Misericordia e i Donatori del sangue Fratres, la Fidapa, la Pallavolo maschile e femminile, il maresciallo Oteri, le figure più rappresentative del consiglio parrocchiale e alcuni imprenditori quali Piero Caponi, Sergio Sani, Pietro Giannanti, Mario Brotini, Gastone Conti. Sono stati raccolti circa 5 mila euro, che saranno impiegati dal Nunzio Apostolico per l'acquisto di cibo e medicinali per un lebbrosario. Sabato 4 Mons. Rallo ha fatto visita alla città di San Miniato (PI) ed è stato ricevuto in Comune dall'assessore alla cooperazione Dott. Giacomo Gozzini. Non poteva mancare la visita al Movimento Shalom, che il Nunzio Apostolico ha conosciuto in questi tre anni di servizio in Burkina, abitando proprio accanto alla Casa della Pace Shalom “Laafi Roogo”. Ad accoglierlo l'intero consiglio direttivo e il presidente Andrea Sansevero. Durante l'incontro si è parlato di solidarietà, cooperazione allo sviluppo e dello spirito che anima i soci Shalom, soprattutto nelle iniziative e nei progetti che da anni il movimen-

to realizza in Africa e in Burkina Faso in particolare, rinnovando il rapporto di amicizia e collaborazione che lo lega ormai da lungo tempo al Rappresentante diplomatico della Santa Sede. Nel pomeriggio Mons. Rallo ha toccato la città di Fucecchio (FI), altro comune esempio di solidarietà, dove ha incontrato il Sindaco Claudio Toni, sensibile alle problematiche sociali e convinto sostenitore degli ideali e dei progetti Shalom. Il Nunzio Apostolico ha poi incontrato una rappresentanza del Palio di Fucecchio ed ha visitato la casa natale di Indro Montanelli e la fondazione che porta il suo nome, rappresentata dal prof. Alberto Malvolti. Domenica 5 è stata la volta di Cerreto Guidi (FI). La tradizionale festività patronale di Santa Liberata, celebrata nel borgo collinare da ben 674 anni, si è arricchita di ulteriore valore grazie alla presenza del Nunzio Apostolico. Per esprimere la gratitudine e l'onore della visita del Nunzio, il Vescovo Tardelli ha invitato l'illustre ospite a presiedere la celebrazione. Le parole che Mons. Rallo ha espresso durante la messa sono state di alto profilo spirituale e teologico ed hanno edificato tutti i presenti. I due Presuli sono stati salutati dal sindaco Carlo Tempesti, dai rappresentanti delle forze dell'ordine, delle associazioni, da una rappresentanza delle quattro contrade del Palio del Cerro e da tutto il popolo in festa, che li ha accompagnati per il centro storico fino a raggiungere il Santuario di Santa Liberata, dove è stata celebrata la messa in onore della Santa Patrona alla presenza del coro parrocchiale San Leonardo. “E' stata una vera sorpresa la scoperta di Cerreto Guidi – spiega Monsignor Vito Rallo – e la conoscenza del suo parroco don Agostinelli, così impegnato nelle missioni umanitarie. Non pensavo di trovare una festa patronale così radicata e ben sviluppata. In Toscana il senso della solidarietà è alto e la diocesi di San Miniato ne è un perfetto esempio.” “E' stato un grande privilegio – commenta il parroco di Cerreto Guidi don Donato

Agostinelli – poter accogliere nella nostra Parrocchia un Rappresentante della Santa Sede che spende tutte le sue energie al servizio del bene, della giustizia e della pace. Auguro a tutti che questa visita così eccezionale, perché credo che sia la prima volta che un Nunzio Apostolico viene a Cerreto, rafforzi la comunione fraterna.” A concludere l'impegnativa visita amichevole del Nunzio Apostolico è stato l'incontro con le monache del monastero di S. Salvatore a Fucecchio, dove con commozione ed intima gioia le suore hanno espresso la volontà di accompagnare l'azione apostolica di Mons. Rallo con le loro preghiere. Il Nunzio Apostolico ha conversato fraternamente con la

comunità, raccontando loro da quanta povertà sia afflitto il paese che serve, ma anche della sua ricchezza spirituale. È seguita una cena frugale in un contesto veramente francescano. Nella borgata della Ferruzza, sempre a Fucecchio, S.E. il Nunzio Apostolico ha concluso la tradizionale festa in onore della Madonna presiedendo il vespro e la processione. Nell'omelia, indimenticabile e toccante, egli, partendo dalla preghiera alla Vergine di Dante Alighieri tratta dalla Divina Commedia, ha illustrato la bellezza di Maria e la sua tenerezza materna. Quest'ultimo dono della predica, nell'ultimo atto compiuto in terra toscana, ha lasciato nel cuore di tutti un'indicibile dolcezza.

(segue dalla prima pagina)

CENTRO STORICO, IL LUNGO ADDIO DELLA MEMORIA interventi privati su immobili nel centro storico fino a trecentomila euro” ha detto qualcuno. Tacendo che la Regione ha stanziato per tutta l'isola solo 12 milioni di euro: cifra di impatto per un singolo edificio, ridicola se spalmata, come in effetti deve essere e sarà, sulla numerosa consistenza degli immobili di tutti i centri storici siciliani. Discorsi da immobiliaristi alla Ricucci, “furbetti der quartierino”, che ignorano le possibilità del microcredito (qualcuno ha più sentito parlare del progetto dell'architetto Navarra sul centro storico di Mazara presentato alla Biennale di Venezia 2008?), della ricerca di fondi alternativi, incapaci di fare squadra con i soggetti territoriali (associazioni di volontariato, culturali, imprenditoriali, etc.), antiquati e sorpassati fino all'anacronismo nella modalità piramidale ed esclusivamente pubblica di gestire il centro storico ed i suoi problemi, pertanto impreparati a sciogliere la sua complessità e ricchezza di temi e rapporti ibridi e collettivi (tra pubblico e privato,tra immigrati e mazaresi,tra diocesi e comune, tra proprietari,affittuari ed imprenditori,etc). La domanda del centro storico non è il come, domanda cui peraltro non sembrano essere in grado di rispondere, cocciutamente, ostinatamente fissati alla

di Gabriele Mulè

programmazione dei PISU, PIST, PRUSST, e quant'altro offre la ricca messe di acronimi della pianificazione territoriale (cui si aspira solo per mungere quattrini). La vera domanda per i centri storici, per il nostro centro storico è: perché? Qualcuno dovrebbe spiegarci perché dovremmo tornare a vivere nel centro storico, spendendo i nostri soldi nell'onerosa sfida di ristrutturare un immobile. Spiegarci perché tutti i cittadini sono uguali ma chi vive nel centro storico è un po' più cittadino degli altri. Spiegarci perché chi vive il proprio centro storico può “alzarsi in punta di piedi e gonfiare il petto”. Dietro il tecnicismo di crollo a causa di dissesto, che rischia di diventare tristemente familiare nella pressante emergenza, si allungano nella mia memoria le ombre di due vite prematuramente spente: due sorelline di tre e quattordici anni. Chiara e Marianna sono state uccise dal crollo della propria casa, fatiscente costruzione del centro storico di Favara. Io ci sono stato su quelle macerie che hanno inghiottito due vite, recintate da un nastro bianco e rosso. Declina il sole sul centro storico di Mazara, ed il rintocco delle campane della sera e l'invito alla preghiera del Muezzin suonano all'unisono come un'implorante richiesta di misericordia.


L’arco DICEMBRE 2010

Pag. 5

MAZARA, LABORATORIO DI CULTURA E DI POLITICA

di Onorato Bucci

Non si meraviglino i lettori per il titolo dato al fondo di questo numero dell'Arco: non abbiamo nessun desiderio di creare (e ci attendiamo anche che qualcuno ci ricordi l'antico brocardo excusatio non petita accusatio manifesta) un partito: la cosa è lontanissima dalla nostra concezione della vita e della storia (i tedeschi direbbero Weltanshauung) in cui ci siamo formati e cui siamo stati educati in tutti questi anni. Noi abbiamo ben altre e superiori ambizioni: vogliamo formare donne e uomini liberi, consapevoli del proprio destino e certi della propria scelta in un momento storico come quello attuale in cui vengono messi in discussione i progetti per il nostro futuro e la memoria del nostro passato. Perché, per chi ha dato vita a questo giornale e vi collabora, cultura è l'astratto del latino colere, che sta per coltivare che è l'atto che – come per il parallelo in agricoltura – necessita di formarsi giorno dopo giorno perché il campo – la mente in questo caso – non coltivato, si inaridisce: di qui il Kultur tedesco che sta per civiltà. E politica è l'arte dello stare nella polis, nella città, che fa del polites, il suo abitante, il politico, e che rende lo scenario di regole e di dottrine che si muovono intorno alla polis la politeia. E la nostra Sicilia, la greca Trinacria, terra di innumerevoli poleis non certo inferiori per storia e per memoria alle poleis della Madrepatria ellenica, ha dato un contributo decisivo alla costruzione della politeia. Lungi da noi, dunque, la volontà di creare partiti che sono soltanto centri di interessi più o meno leciti e comunque di parte. Noi vogliamo invece riandare ai principi oramai dimenticati dell'onestà, della correttezza e della dignità: che vuol dire Socrate, Aristotele, Platone e Pitagora, Scuola eleatica e Parmenide, ma anche Eraclito e il nostro Gorgia di Leontini, tutti fusi, attraverso la predicazione del Nazareno, da Paolo di Tarso (polis greca dove splendette lo stoicismo) che ipotizzò la città celeste elaborata poi da Agostino di Ippona. Ebbene, quei principi, che in Roma furono

difesi da Seneca, tanto da far parlare, in epoca successiva, da S. Girolamo in poi, di un carteggio fra lo stesso Seneca e Paolo di Tarso, sono stati sporcati in modo impressionante e indegno da una innumerevole schiera di soggetti che dalle Alpi alla Sicilia hanno reso il falso vero, e la verità falsità, l'immoralità ordinario comportamento, e l'illecito accettato come norma. Questi soggetti dominano in lungo e in largo il nostro Paese, la nostra Sicilia, i nostri Centri urbani, le nostre Campagne, le nostre Valli, i nostri Monti, insozzando tutti e tutto, rendendo normale ciò di cui un tempo avremmo provato vergogna. Il risultato è che non c'è più pudicizia, e quindi pudore, mentre il candore sembra un colore di una realtà ormai inesistente, con la conseguenza che la tradizione dei nostri Padri sembra irrimediabilmente oscurata. Che fare? Che fare se a destra si parla come se si fosse a sinistra perché si dicono le stesse cose della Sinistra facendole passare per destra? E che dire se da Sinistra si ripetono cose che la destra diceva precedentemente e che la Sinistra riteneva abominevoli ma che ora dice che sono da tutelare e da difendere? E che fare se al Centro si dice che si vuole essere destra e sinistra contemporaneamente? In questo marasma di concetti, frutto di un marasma di idee, un pugno di uomini, di cui ci sentiamo ora di far parte, si mossero fin dalla seconda metà degli anni Ottanta del secolo scorso nella Toscana di Camaldoli e poi nel Molise di Isernia dando vita ad un laboratorio di cultura e di politica che si è poi arricchito di formulazioni discusse in terra d'Otranto e che ora, dopo aver compiuto un bagno purificatore delle proprie idee nella Roma d'Oltre Tevere, hanno concluso, con il contributo di riflessioni provenienti delle Valli Pedemontane alpine, della terra di Piemonte e di Lombardia, e con le meditazioni preziose di Italiani nati e ancorati nella memoria delle due sponde dell'Adriatico, di redigere il documento che l'Arco pubblica per intero e che in terra di

Sicilia trova dunque la sua sedimentazione definitiva, trasferendosi a Mazara del Vallo da dove vogliamo ripartire per tentare di realizzare il Secondo Risorgimento Italiano: non più, quindi da Quarto al Volturno, attraverso Marsala, per occupare il Meridione della Penisola, ma da Mazara del Vallo alle Alpi, facendosi carico degli errori del passato e dando vita ad un risorgimento dei cuori e delle menti che costruisca la Nazione italiana nel corso dei 150 anni che ci dividono dall'atto unitario del Paese. E partire dal dato, come insegnava don Primo Mazzolari, “né a Destra, né a Sinistra, né al Centro, ma in Alto” (motto

scimmiottato a più riprese da più di un trafficante della politica che dimentica sempre il “né al Centro”, ignorando che “centro” è mediazione di valori e quindi quanto di più lontano dal pensiero di Mazzolari). “In Alto”, dunque, facendo un profondo esame di coscienza per poi decidere (dopo l'esame di coscienza) cosa fare: perché si potrà capire come e perché agire solo se verranno individuati i problemi che l'attuale classe politica fin dal 1989 (caduta del muro di Berlino che ha capovolto i rapporti di potere non solo in campo internazionale ma anche in Italia) ha accantonato per totale incapacità di comprendere i reali problemi del Paese.

Ricordiamo ai nostri lettori che questo giornale (e tutti i numeri precedenti) possono essere consultati in rete internet alla pagina: http://www.arcomazara.it e che si può collaborare inserendo commenti, articoli, proposte e critiche alla pagina:

http://www.arcomazara.it/forum.html

QUO USQUE TANDEM ... ABUTERE PATIENTIA NOSTRA ? AI posto dei puntini bisognerebbe inserire la parola “Catilina". ln effetti la frase nella sua interezza era rivolta proprio a questo personaggio dell'antica Roma: “Sino a quando infine, Catilina, abuserai della nostra pazienza"? Frase che fa parte del discorso pronunciato in Senato da Cicerone che così apostrofava Catilina per il suo comportamento sleale e per aver complottato contro Roma. Oggi nello spazio punteggiato ognuno di noi potrebbe inserire il nome di una persona (ma anche di un Ente o Istituzione) a cui rivolgere una critica a proposito delle sue azioni o dei suoi comportamenti. A proposito di comportamenti un'attenzione particolare dovrebbe essere rivolta verso i "voltagabbana" che solo poco tempo addietro si dichiaravano pubblicamente contrari a qualsiasi ed eventuale deturpazione di Mazara ed oggi (forse per sopravvenute esigenze di varia natura più che per reale convincimento) sembrano invece favorevoli ad alcune iniziative di vario tipo che non farebbero altro che distruggere quel poco che ancora rimane da salvaguardare per le nuove generazioni. Quando si "sposa" una causa e dopo poco tempo se ne "sposa" un'altra opposta e contraria, ed a

maggior ragione se ciò avviene come sembra non per convinzione ma per semplice opportunismo (la cui natura è tutta da decifrare), allora ci si trova quasi sempre di fronte ad una incertezza volubile e non ad una decisione conseguente ad una ponderata e seria riflessione che, in questo caso, giustificherebbe un cambiamento di

rotta. Ovviamente giustificando e nascondendo il tutto dietro un rilancio economico; un inserimento in circuiti turistici considerati d'elite; un tentativo di sembrare più moderni culturalmente e socialmente; trovando comunque altri alibi (principalmente con se stessi) per agire in un determinato modo, rischiando così anche il ”saccheggio" della città.

di Tonino Salvo

Purtroppo (e questi comportamenti lasciano l'amaro in bocca) ciò avviene sia in campo locale che nazionale; sia nel pubblico che nel privato; ed inoltre in vari settori della vita sociale. Quello che più dispiace è il fatto che a forza di ripetere tali motivazioni, a se stessi prima che agli altri, questi individui sono arrivati probabilmente a credere veramente a quanto dicono. Del resto è proprio vero, in certo qual modo, che alcune persone non fanno altro che parlare continuamente, ottenendo così che il suono della propria voce li ipnotizzi e li convinca di essere unici depositari della verità. Ricordiamoci allora dei rischi a cui si va incontro dando illimitato credito a quanto viene “strombazzato" ai quattro venti e principalmente che quando non esiste un minimo di buon senso, quando non si riesce ad avere la dote dell'umiltà, quando non si ricorre alla capacità di riflettere, quando viene a mancare una vigilanza efficace ed incondizionata da parte di tutti (anche verso se stessi) è quasi inevitabile che si scivoli lungo la china del degrado di qualsiasi genere e si arrivi, se non ci si ferma in tempo, al fondo dell'abisso di uno squallido imbarbarimento.


DICEMBRE 2010

Pag. 6

L’arco

DA SPLENDIDA E SUPERBA A SPORCA E MISERA Mazara attraverso gli occhi dei visitatori stranieri Nel corso dei secoli Mazara è stata meta di numerosi viaggiatori stranieri, il più delle volte come destinazione non programmata, nel senso che la città, geograficamente intercalata nel percorso verso Selinunte e le antiche città greche, costituiva tappa occasionale, raramente sosta prescelta. Qualche volta, dunque, destinazione determinata dagli eventi del viaggio, rare volte prestabilita per visitare alcuni avanzi di antiche civiltà o documenti rari. Questi viaggiatori stranieri, in genere letterati, nobili, storici, giornalisti, diplomatici, etc. hanno dato una descrizione settoriale,oltre che individuale, dei luoghi visitati al fine di licenziare, alcune volte, pubblicazioni nel loro paese di origine, idonee a favorire il turismo dei connazionali. Pur non attribuendo un valore assoluto ai giudizi di tali visitatori sulle città del nostro territorio, tuttavia da questi risalta immediatamente l'incontrovertibile verità, peraltro nota, dell'innaturale cammino a ritroso delle condizioni economiche, socio-culturali, ambientali ed architettoniche di Mazara, provocato dalle gravose dominazioni straniere prima e dall'indifferenza e/o incapacità degli abitanti dopo. I primi viaggiatori e visitatori della Sicilia, e perciò del nostro territorio, si possono far risalire al periodo della dominazione araba quando tantissimi musulmani viaggiavano per motivazioni religiose come il pellegrinaggio alla Mecca o per puro desiderio di conoscenza, recandosi, dunque, nelle città più famose nel mondo arabo del tempo: Cordova e Siviglia in Andalusia, Qayrawan e Mahdiya in Tunisia, Palermo e Mazara in Sicilia. Dalla corte di Qayrawan, a causa dell'imperversare della guerra in Tunisia, il celebrato poeta Ibn Rasiq si trasferì, intorno al 1062, nonostante l'avversione per il viaggio in mare, attratto dalle notizie di una città tranquilla e ricca, a Mazara dove trovò l'amico- nemico e collega Ibn Safar, che lo aveva preceduto da alcuni anni. Entrambi ospiti del principe-mecenate Ibn Mankut, sultano di Mazara, Trapani, Marsala e Sciacca, nella reggia fortezza al centro della città, nell'attuale Piazzetta Francesco Modica, continuarono la loro produzione poetica in quel felice ambiente culturale. Ma dopo qualche tempo, a causa delle odiose e persistenti guerre civili musulmane in Sicilia, valutarono l'idea del trasferimento in Spagna. Ibn Safar raggiunse Siviglia, mentre Ibn Rasiq, impedito dall'innato timore dei viaggi in mare, rimase a Mazara, dove cullato dalla discreta brezza marina, inebriato dal profumo di fiori di arancio e gelsomino, quotidianamente e nostalgicamente attratto dall'arrivo delle navi musulmane che ormeggiavano lungo il Mazaro, si spense nell'ottobre del 1064 ( o 1071). Tra le centinaia di tombe musulmane ritrovate nella parte orientale della città, durante le opere di edificazione di nuovi

edifici nella seconda metà dell'Ottocento, è probabile che sia stata demolito anche l'anonimo sepolcro dell'illustre poeta. Piace ricordare alcuni suoi versi tratti dal manoscritto n. 18330, conservato nella Biblioteca Nationale, Suq al-Attarin di Tunisi.. Tra gli altri visitatori musulmani ricordiamo Idrisi, autore, nel 1154, del “Libro di Ruggero”, ultimato, appunto, durante la dominazione normanna. L'autore dà della città del Mazaro senz'altro il giudizio più lusinghiero (Benedetto Patera): “Mazara, città splendida e superba, veramente insuperabile per la posizione e il prestigio di cui gode, ha raggiunto il vertice in quanto all'eleganza della sua sistemazione urbanistica. Essa raccoglie in sé tanti pregi quanto nessun'altra: ha mura robuste ed alte, case notevolmente graziose, arterie larghe, molte strade, mercati rigurgitanti di merci e prodotti vari, bagni sontuosi, vaste botteghe, oltre ad orti e giardini con piante pregiate; ad essa convengono viaggiatori da tutte le parti per approvvigionarsi dei suoi abbondanti prodotti…..” Questo giudizio, tuttavia, con il passare dei secoli diverrà solo un ricordo al quale ritornare o per nostalgia o per indignazione o per improponibile confronto. Anche il geografo arabo Al-Himyari, tra la fine del 1200 e l'inizio del 1300, non risparmia le parole nella descrizione della città del fiume spiritato:”Città in Sicilia, non lungi da Pantelleria, da cui dista una giornata di navigazione, Mazara, rinomata per fama, sorge a sud di Palermo sul litorale che fronteggia l'Ifriqiyah. Ha un fiume in cui le navi gettano l'ancora ed è città splendida, superba, insuperabile per il prestigio di cui gode, eccezionalmente bella per l'elegante sistemazione urbanistica. Raccoglie in sé tanti pregi quanti nessun'altra città; …” Molto probabilmente, però, l'Himyari non soggiornò a Mazara e per la sua descrizione si avvalse delle opere di altri autori. Ricordiamo, infatti, che egli è nativo di Ceuta, al pari dell'Idrisi.

di Enzo Gancitano

Nel 1317, l'aragonese Federico III, re di Sicilia, affascinato dalle bellezze del paesaggio mazarese, volle soggiornarvi per un anno circa trasferendovi l'intera corte reale da Palermo. Verde riposante delle campagne e dei boschi attorno alle città, fiume pescoso, fruttuose ed allegre battute di caccia nelle macchie e nei laghi mazaresi, il verde-azzurro del mare, il violento colore rosso fuoco del tramonto, il clamore del mercato della Piazza Chinea, la vivacità del Piano Maggiore e la schietta devozione dei cittadini costituivano l'affascinante scenario quotidiano del soggiorno reale. Il breve soggiorno del re aragonese in Mazara fu allietato dalla nascita del quartogenito Ruggero, battezzato nella cattedrale ad opera del vescovo Pellegrino Patti. Con la dinastia aragonese l'economia cittadina mazarese iniziò a declinare lentamente ma irreversibilmente e i riflessi negativi si manifestarono gradualmente ed inesorabilmente sulla città. Nel 1495, il re di Napoli, Alfonso II d'Aragona, sconfitto dai Francesi, poco tempo dopo l'assunzione al trono, abdicò in favore del figlio Ferdinando II, detto Ferrandino, e si recò in esilio a Mazara, citta reginale, appartenente alla matrigna, la regina Giovanna, seconda moglie del padre Ferdinando I. Nella città del Mazaro consumò i giorni nella ricerca di quiete e di pace, nel silenzio della pineta in Santa Maria di Gesù, nelle confortanti parole dei frati minori osservanti del vicino convento, nelle sapienti conversazioni con l'erudito mazarese Paolo Ferro. Attratto dall'amenità del luogo acquistò una villa vicino al fiume Mazaro, in prossimità del convento. Nell'agosto del 1500 giunse a Mazara la regina Giovanna d'Aragona che aveva lasciato Napoli per timore dell'esercito francese. Nella città reginale rimase alcuni mesi alloggiando nel castello antistante il litorale meridionale. Il pittore ed incisore francese, Houel Jean, nel primo viaggio in Sicilia nel 1776 visitando Mazara raccontò delle vecchie abitudini del luogo e cioè che gli abitanti prima di ricevere in salone gli stranieri facessero uscire le donne, costumanza di verosimile eredità musulmana, oggi quasi del tutto scomparsa. Durante la sua veloce visita disegnò i tre sarcofagi romani conservati nella Cattedrale. Lo scrittore e diplomatico francese, Denon Dominique Vivant, visitò la Sicilia nel 1778 e nella città del Mazaro si limitò ad osservare le varie antichità. Ecco il giudizio che riporta:” Vista dall'esterno offre un certo colpo d'occhio. Conventi e campanili abbastanza ricchi preannunziano una città piacevole che non si trova più quando si entra in strade tortuose e strette. Soltanto la piazza antistante la Cattedrale offre qualcosa di pittoresco”. Questo giudizio sarà riferito, in seguito, da molti altri viaggiatori stranieri. Dirty and poor. Così si presentava Mazara al saggista e poligrafo inglese Duppa Richard durante il suo viaggio in Sicilia intorno agli anni 1822-23. Dopo avere percorso le strade tortuose e strette, oltre che sudicie, del

centro antico della città del Vallo, la definiva: "sporca e miserabile” and filled with priests. Stracolma di preti. Per la verità anche un altro connazionale di questo saggista, l'ufficiale della marina inglese W. H. Smith, nel suo viaggio attorno alla Sicilia nel 1815 e 1816, aveva posto l'accento sul gran numero di ecclesiastici e sulla sporcizia delle strade tanto da potersi giustificare il vecchio detto “ogni casa e tugurio di Mazara contiene un prete e un porco”. Ma anche l'umanista mazarese G. G. Adria aveva accennato nei suoi scritti ad una ingens ordo clericorum, ingente schiera di preti nella città del Mazaro. Tuttavia lo Smith non potè non manifestare lo spettacolo gradevolissimo della veduta panoramica di Mazara dal mare con le numerose chiese ed i suoi svettanti campanili, tanto da prefigurarsi anch'egli una città piacevole ed accogliente. Ma che delusione quando vi mise piede ! Non cambiavano le sembianze e la realtà della città del Mazaro circa ventanni dopo, nel 1843, quando il pubblicista francese Sivry de Louis, viaggiando per la Sicilia, ne percorse le strade strette e fangose. Tuttavia al pari di altri viaggiatori stranieri, era rimasto, in precedenza, piacevolmente colpito dal paesaggio che si presentava da lontano. Definì, infatti, Mazara “belle de loin, miserabile de pres”, bella da lontano, desolante da vicino. In realtà si può condividere parzialmente il giudizio superficiale dei tre stranieri in quanto lo stile islamico dell'impianto urbanistico, rispondente ad una necessità d'ordine bellico e cioè ad una esigenza di difesa dagli attacchi nemici, presentava e presenta una peculiare attrattiva. Condivisibile in pieno il giudizio sulla mancanza di pulizia delle strade cittadine. Eppure non mancavano le norme igieniche per tenere pulite le vie della città. Sin dal 1521, infatti, durante la Signoria dei conti Cardona, era severamente vietato buttare immondizia di qualsiasi tipo, abbandonare carcasse di animali morti, riversare acque di rifiuto, dare fuoco a qualsiasi tipo di oggetto. In più era fortemente sentita la preoccupazione per l'inquinamento delle acque vietando rigorosamente la macerazione del lino nei fiumi e l'avvelenamento con erbe venefiche, calce viva ed escrementi d'ovini. Quindi, gli abitanti, allora come oggi, in generale non rispettavano le norme e gli amministratori non s'impegnavano a farle applicare. Comunque, una parte delle strade cittadine non era lastricata e ciò costituiva, quindi, una delle cause della fanghiglia durante la stagione delle piogge. Tuttavia i viaggiatori stranieri di fronte allo stesso spettacolo davano dei giudizi diversi se non contrastanti. Meyer de H., gentiluomo francese del XVIII secolo, che visitò la Sicilia nel 1791, e quindi anche Mazara, per esempio, fu attratto dalle belle strade (sic!). Probabilmente fu portato a vedere le strade principali trascurando l'impianto urbanistico prettamente islamico con strade strette a decorso sinuoso oppure comprese ed apprezzò la motivazione dello stile dell'urbanistica locale.


L’arco DICEMBRE 2010

Pag. 7

Insufficienti e di scarsa qualità erano gli alloggi a Mazara e non solo a Mazara. I forestieri, sia visitatori stranieri che italiani, trovavano alloggio presso i nobili locali o presso i monasteri, in specie, nel Monastero di San Francesco. L'egittologo ed ellenista tedesco Parthey Gustav Friedrichvisitò Mazara nel 1822 pernottando, infatti, nel convento dei Francescani grazie alle lettere di presentazione fornite dall'arcivescovo Gravina a Palermo. Anche l'erudito tedesco Johann Heinrich Westphal, pseudonimo Tommasini Justus, durante il suo viaggio in Sicilia soggiornò a Mazara, trovando alloggio nel Convento dei Francescani. Il prelato danese, ma tedesco di nascita, Munter Frederik, che nel 1785 visitò la Sicilia e quindi anche Mazara, alloggiò infelicemente nella città del Mazaro, dove si recò attratto da una veduta della campagna circostante “la più mirabilmente deliziosa” e dalla esistenza di antichi manoscritti nell'archivio della Cattedrale di Mazara che invano cercò per cui ripartì il giorno dopo per Selinunte. Verosimilmente il prelato danese compì tale viaggio su incarico della massoneria europea per ricercare antichi manoscritti che il vescovo Giacomo Lomellino del Campo aveva portato con sé nel Concilio di Trento dove morì e non furono più restituiti secondo quanto afferma il Pirri nella Sicilia Sacra. La capacità recettiva della città era costituita solo dai fondaci posti nei pressi delle Porte, principalmente dinnanzi alla Porta Palermo, e dalle due posate di Sant'Andrea, prossima alla Porta del Fiume, e di S. Nicolicchio, nelle vicinanze della Chiesa San Nicolò Regale. La qualità dell'alloggio era davvero infima sol se si pensi che i carrettieri che trovavano ospitalità nei fondaci solevano dormire sub bestiarum pedibus, sulla paglia o su qualche coltre accanto ai piedi dei cavalli. Se il numero dei posti letto con la loro scadente qualità era insufficiente nell'ordinario, diventava critico durante i giorni della fiera franca del SS Salvatore quando l'affluenza dei forestieri, mercanti, artigiani, lavoranti, popolazioni dell'hinterland, etc. aumentava vertiginosamente. Allora era consentito ai forestieri non solo visitare le chiese ma anche pernottarvi. Dalla deposizione del 1504 dell'abbadessa del Monastero di San Michele, Caterina de Anellu e di alcune moniali si riporta: “…non solamenti tali jorni di festivitati ut supra di lu Salvaturi li ditti furisteri solinu visitari li preditti ecclesii, ma ancora su soliti dòrmiri in li ditti ecclesii…” Anche il sacerdote Paolo Monteverdi il 22 agosto 1504, dichiarava:”…est solitu per lu concorsu d'assai foristeri omni annu li ditti foristeri cum tanti altri amichi quantu parenti di la chitati visitari li ecclesii et monisteri di la ditta chitati in quella andandu et videndu… Non solum li furisteri su solitu visitari et vìdiri li monisteri intus, ma ancora su soliti dòrmirichi donni foristeri…”. Questo secolare abuso dell'utilizzazione delle chiese come dormitori pubblici, fu

severamente proibito dal vescovo Antonio Lombardo con il sinodo diocesano del 1575. La ricezione alberghiera non sembrava diversa nelle altre città del territorio ad eccezione di Trapani. Lo scrittore inglese, Dryden John jr, che visitò la Sicilia nel 1700, sbarcato a Mazara il 22 dicembre dello stesso anno, riferiva di avere trovato, infatti, una soddisfacente sistemazione alberghiera soltanto a Trapani che definì città pulita, gradevole e signorile. Mazara e Marsala furono definite povere e derelitte. Ma “la città lilibetana almeno stimolava l'interesse dei turisti con l'oscillazione del campanile della chiesa dei Carmelitani al suono delle campane”. Pure lo storico americano Parkman Francis, durante il suo viaggio in Sicilia nel 1844 potè usufruire finalmente a Trapani di un eccellente albergo e di un buon pasto, an admirable albergo and an excellent dinner. A Mazara si limitò a vedere la Cattedrale. Tuttavia qualche viaggiatore straniero si lamentò anche della sistemazione alberghiera trapanese come lo scrittore inglese Sladen Douglas che alla fine dell'Ottocento definì il suo albergo “ the most forbidding-looking, il più spaventoso in cui fosse incappato. Probabilmente il suo giudizio negativo derivò dal confronto, peraltro improponibile, con la precedente deliziosa ospitalità dei Whitaker nel baglio Ingham di Marsala. Si diceva che i viaggiatori stranieri non sempre emettevano lo stesso giudizio nel visitare le città del nostro territorio. Per esempio, lo scrittore francese, Forbin (conte de) Louis-Nicolas-Philippe, che visitò la Sicilia nel 1820, definì Mazara “petite ville mal habitèe” , non discostandosi molto, quindi, dai precedenti giudizi, ma annotò il consiglio per i suoi connazionali di non recarsi a Trapani per il suo territorio malsano, rovente e poco interessante, in difformità dalla maggioranza delle valutazioni. Parzialmente discordante dai giudizi finora riportati è quello dell'avvocato francese Farjasse Denis Dominique che nel 1833 per il timore della malaria imperversante a Selinunte, si recò nell'agiata e poco interessante Mazara. Nel 1819 il viaggiatore svizzero Fehr Johan Caspar si soffermò anche nella città di Mazara visitando il palazzo municipale e raccontandone le vicende della produzione

vinicola. L'economia mazarese nelle prime decadi dell'Ottocento appare dalle descrizioni dei viaggiatori dell'epoca notevolmente depressa, anche se questi si soffermavano ad uno sguardo rapido e superficiale e non analizzavano la situazione economico-sociale cittadina. Si limitavano pertanto ad una occhiata fotografica e forse anche alle informazioni della guida. Tuttavia, quasi sempre la descrizione rispecchiava, pur se superficialmente, la condizione economica della città. Trattando dell'Ottocento, fino a quando gli Inglesi rimasero in Sicilia per difendere il re Ferdinando IV, con la sua corte in soggiorno a Palermo, in seguito all'insurrezione napoletana, l'economia locale mazarese poteva avvalersi di alcune briciole dei dodici milioni di sterline che il governo inglese spendeva ogni anno per il suo esercito di 17000 uomini e poteva gioire dell'iniziativa imprenditoriale di alcuni commercianti inglesi, il Payne e l'Hopps. Con la restaurazione borbonica, il ritorno a Napoli di Ferdinando, l'abolizione della Costituzione Siciliana e la cessazione del protettorato inglese, subentrò a Mazara un periodo di miseria generale conseguente all'eccessiva vessazione fiscale borbonica che portò addirittura al sequestro degli strumenti di lavoro di non pochi cittadini. Ciò costituì, per i Mazaresi, il primo vero motivo dei moti insurrezionali del 1820 piuttosto che l'acquisita consapevolezza di indipendenza e di libertà. Ecco così che il geologo inglese, Greenough George Bellas, visitando la Sicilia nel 1803, definiva Mazara, difatti, “città miserrima”. “Sette lunghi anni di carestia hanno affondato i poveri in un abisso di miseria senza speranza di recupero… Il numero dei derelitti che moriva di fame per le strade era divenuto ad un certo punto disturbo pubblico per cui gli abitanti fecero una sottoscrizione ed otto onze vengono adesso spese ogni giorno per minestre ai poveri”. Lamentò il deplorevole stato delle strade di tutte le città della provincia, la carente e pessima ricettività alberghiera ed annotò la difficoltà a trovare cibo a Trapani. Nel 1809 soggiornò per due giorni a Mazara il viaggiatore irlandese Thompson William Henry, che trascurò gli avanzi di antiche civiltà interessandosi delle condizioni economiche della città e del territorio circostante. Fu attratto dalla fertilità della campagna mazarese che definì di grado superiore a quella siciliana e si rammaricò del fatto che non fosse consentito la libera esportazione, cioè senza le restrizioni governative, dell'abbondante grano in eccesso che avrebbe permesso più benessere economico. Lo scrittore e poeta parigino, La Harpe Jean Francois, intorno al 1799, effettuò un viaggio superficiale in Sicilia, trascurò Selinunte, in fretta attraversò la città del Vallo ritenendola poco interessante e rilevò soltanto le ricche colture di cotone delle sue campagne. In realtà in questo periodo l'economia mazarese si basava

principalmente sulla produzione di olio, vino, cotone e sulla attività estrattiva di materiale calcarenitico, trasportato anche nei centri viciniori. L'attività della pesca, irrisoria in quel periodo, soddisfaceva appena il fabbisogno degli addetti e vedrà il suo imperioso sviluppo dopo la metà del secondo decennio del Novecento. Nell'aprile del 1767 anche il viaggiatore tedesco, barone Riedesel von JosephHermann, si soffermò sulla coltivazione e larga produzione di cotone a Mazara, che definì impropriamente la migliore rendita della contrada. Giudizio comunque affrettato poiché pur potendogli apparire immensa la visione di alcune coltivazioni terriere di cotone, in realtà la produzione agricola in quel periodo storico era paragonabile ai momenti più bui della storia di Mazara, nei quali la rendita agricola era limitata “prevalentemente” al frumento, olio, vino e orzo. Volle vedere le urne funeree della Cattedrale. La situazione economica era ancora depressa intorno al 1858 quando lo scrittore inglese Hare Augustus John C. visitò la Sicilia. Definì, infatti, Mazara “well situated but miserabile”, cioè collocata in una posizione geografica invidiabile, ma dall'economia misera. Il poeta e scrittore francese, Julvecourt de Paul, che visitò la Sicilia a dorso di mulo nel 1831, definì Mazara Petite sosie de Marsala, piccola copia di Marsala. Persino nel 1908, periodo delle tristi ondate emigratorie, Mazara appariva, ancora, al viaggiatore e pubblicista inglese Musson Spencer C. “squalid and dirty”, squallida e sporca. Nel recente 1953 lo storico d'arte americano Berenson Bernhard visitò il nostro territorio e la città del Vallo gli apparve attraente e ben tenuta. Se ne deduce che dalla seconda metà del XX secolo la sporcizia e il disordine tendono a diminuire ma non ad annullarsi in quanto i Mazaresi, nella maggior parte, amministratori compresi, preferiscono essere ancora abitanti piuttosto che cittadini, in quanto esageratamente consapevoli dei loro diritti e, volutamente, ignari dei doveri. Mahatma Gandhi dice: ”La vera fonte dei diritti è il dovere. Se adempiamo ai nostri doveri, non dovremo andare lontano a cercare i diritti”. Ma le parole di Gandhi sono lontane nel tempo oltre che sconosciute. La città con la sua posizione geografica, well situated, con il suo incantevole litorale, dono della natura non della capacità dei suoi figli, adesso maltrattato, trascurato abbandonato e in certe intenzioni e programmi da violentare, dalle spiagge di bianca sabbia di Capo Fedo fino alle brune rocce di Capo Granitola; con le necropoli di Roccazzo, con i suoi Gorghi Tondi, con il fiume Mazaro, scrigno di civiltà antiche e di memorie storiche ripudiate, adesso deposito succursale della Ato Belice Ambiente, da rivestire con i suoi abiti migliori; con il Centro Antico dal peculiare stile islamico, con le poche Piazze (Piano Maggiore, Piano del Collegio, Piazza Mokarta) attorniate da chiese ed edifici medievali degni di uno sguardo interessato, raramente quello dei suoi abitanti; con i templi religiosi dal barocco contrastante (San Francesco e San Michele), con le chiese, materialmente non più esistenti ma non divelte dalla memoria, con i Monasteri decadenti e decaduti (San Michele, Santa Caterina, Santa Veneranda, San Francesco); con il Lungomare, il dessert dopo il pranzo, sul quale si proietta e si specchia la città delle cento chiese, delle mille campane e delle centomila voci, potrebbe fungere ancora da ulteriore polo del turismo provinciale e regionale soltanto se si decidesse di riordinare e ripulire la propria Casa.

A N C H E L’ A R C O R I S P E T TA L’ A M B I E N T E : Q U E S TO N U M E R O È S TATO S TA M PATO S U C A R TA R I C I C L ATA


DICEMBRE 2010

Pag. 8

L’arco

LA CROCE: EPPUR… CI IDENTIFICA A distanza di un anno dalla sentenza del consiglio d'Europea che ha stabilito che l'esposizione nelle scuole violava il diritto alla libertà di istruzione, si attende a Strasburgo, presso la Grande Chambre della Corte Europea dei diritti dell'uomo, l'epilogo dell'udienza dedicata al ricorso dello Stato italiano contro tale decisione. Come è noto, il 3 novembre 2009, il Consiglio d'Europa accoglieva il ricorso della signora Lautsi riguardo la rimozione del crocifisso dalle scuole. La sentenza, emanata dal consiglio d'Europa, non è una norma vincolante poiché non è il risultato di un decreto proveniente dall'U.E., quella cioè che noi votiamo, quella legittimata a legiferare ecco perché concordo con lo stato italiano col procedimento del ricorso. Un consiglio d'Europa che emana una sentenza….lo stesso che due anni fa, udite udite, ha espresso parere negativo riguardo la figlia di musulmani che portava il velo, dunque ne ha vietato l'uso. In ultima analisi in quella famiglia musulmana impone i processi educativi, in quella finlandese che vive in Italia si preoccupa che

determinati processi educativi, invece, possano venir turbati da una croce. In Italia esiste un decreto regio del '29, anteriore al concordato, che prescrive si metta il crocefisso nei locali pubblici (scuole compreso). Un dato che, piaccia o non piaccia a qualcuno, corrisponde alla nostra tradizione cattolica. Ma vogliamo riflettere un attimo sulle dichiarazioni di questa madre finlandese che vive in Italia? Il crocefisso che turba il processo educativo del figlio? Non mi pare che uno che vede una moschea l'indomani mi diviene musulmano. Chi ascolta la voce al megafono del muzlin islamico (si quella che si ode a Mazara Del Vallo p.es.) viene turbata nei valori della sua religione? Non capisco perché in uno stato laico, dove argomento principe risulta essere la tolleranza, non si debba rivendicare la propria identità cristiana; le nostre radici sono cristiane; l'Europa è cristiana, l'Occidente è prevalentemente cristiano. O la verità è un'altra? Quella che sosteneva Pascal “l'ateismo è segno di forza di spirito ma fino a un certo punto”…perché questa madre rilascia la sua intervista di spalle e non de visu?

"La legge di Dio, dunque, non attenua né tanto meno elimina la libertà dell'uomo, al contrario la garantisce e la promuove." Giovanni Paolo II Quali sono le ragioni di questa vigliaccheria? Di che cosa si ha paura? Forse di una religione che si distingue per la tolleranza, la condivisione, il rispetto dell'uomo, l'uguaglianza, l'amore come

di Danilo Di Maria

donazione totale. Una madre, una famiglia ospite nel nostro paese, incapace di identificarsi con i valori italiani. Ma la croce è il segno della pietà, mettere in un posto d'onore un sofferente: una meditazione sulla sofferenza, sulla pace, sull'amore, contro la violenza e ogni possibile guerra. Recentemente abbiamo celebrato la ricorrenza dell'unità d'Italia e delle forze armate: in una società piena di opportunità e di sfide vi è sempre più bisogno di identità vissute con passione. Va bene il dialogo e la condivisione dei progetti, ma rimando al mittente il tentativo, a tutti costi, disfattista di determinate prese di posizione volte all'annullamento dell'altro. Gesù di Nazaret è un evento storico e una persona reale, ed è l'immagine vivente di libertà e umanità, di sofferenza e speranza, di resistenza inerme all'ingiustizia, ma soprattutto di laicità (“date a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”) e gratuità (“Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno”), sia per chi crede alla resurrezione, sia per chi si ferma al dato storico della crocifissione. Non reputo che crescere e istruire i nostri ragazzi in

un ambiente asettico sia la cosa giusta da fare; il crocifisso nella pedagogia cristiana è una opportunità per dare all'uomo una visione integrale di un serio progetto di vita. La simbologia, la tradizione e la nostra identità culturale sono elementi di crescita che vanno salvaguardati. Il rispetto di tutte le tradizioni storiche, politiche, culturali e religiose passa attraverso il riconoscimento dei diritti e dei valori, non attraverso la negazione dei simboli che spesso esprimono l'identità e la storia di un popolo. Escludendo il crocefisso dalla realtà europea, in particolare italiana, si toglie via quella sorgente proprio dei diritti umani di cui la corte europea era custode, per cui mi domando: a quali valori poi si fa riferimento? Una sentenza grave dalla quale la stessa Unione Europea si è dissociata; il Cristianesimo che ha nel crocefisso il suo simbolo fondamentale è entrato come stimolo alla solidarietà e alla donazione di sé. anche nella società civile europea. Nessuna meraviglia in tal senso: del resto Gesù, l'aveva pure predetto: se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi.

150° ANNO DELL'UNITA' D'ITALIA Strumento decisivo per l'emancipazione culturale, civile ed umana del Paese L'unificazione dell'Italia, avvenuta il 17 marzo 1861, fu tormentata e molto spesso contradditoria. L'idea di unità politica, economica e sociale dei vari stati esistenti prima del 1861 era sostenuta da una esigua minoranza e costituiva il sogno di una élite staccata dalla comunità di cui faceva parte. Il Risorgimento non aveva avuto un carattere popolare, era stata una rivoluzione fomentata da una ristretta cerchia di disoccupati intelliettuali, di diseredati e di "teste calde". La situazione d'Italia era caratterizzata da tre fondamentali realtà storiche: 1) l'analfabetismo quasi totale della maggioranza della popolazione; 2) l'avversione del Papa e della Chiesa all'unità d'ltalia; 3) la divaricazione sostanziale di visione politica tra gli uomini di cultura, di patrioti, di politici, di letterati. La condizione dell'istruzione pubblica, anche quella primaria, era disastrosa specie nelle regioni meridionali ove l'analfabetismo del popolo minuto era totale e la percentuale generale di analfabetismo nello Stato unitario era del 78%.I contadini non nutrivano un vero amore per l'unità d'Italia e resistevano a qualsiasi esercito invasore costituendo di fatto una forza politicamente controrivoluzionaria poiché temevano di avere sequestrato le provviste alimentari. Per questa classe popolare e per i diseredati ogni insurrezione rappresentava un'occasione di saccheggio, di incendio dei registri delle imposte e dei catasti: non possedere niente costituiva, in ultima analisi, un vantaggio non avendo da difendere nessun bene. Risorgimento politico non poteva avverarsi senza una rivoluzione sociale poiché le riforme sociali sono necessarie per la stabilità politica: una mentalità nuova era condizione indispensabile di progresso sociale ed economico. L'atteggiamento della Chiesa e del Papa era ostile a qualsiasi processo di formazione di una nuova nazione. L'abolizione dei beni temporali del papato, la soppressione degli ordini religiosi contemplativi, dei monasteri e dei loro privilegi furono elementi determinanti di una scomunica collettiva comminata nel 1860 che escludeva i patrioti italiani dai sacramenti e dalla sepoltura in terra consacrata, condanna che durò fino al 1929. Il terzo elemento ostativo si coglie nel diverso

atteggiarsi degli uomini più rappresentativi del Risorgimento sulla forma di governo della futura nazione unita. Giuseppe Mazzini, il maggiore profeta dell'unità d'Italia, sognava una repubblica realizzata dalla iniziativa popolare. La redenzione d'Italia, secondo lui, era affidata ad un vasto moto di rinnovamento morale e spirituale fondato sulla certezza religiosa che ogni nazione ha da compiere una missione stabilita da Dio che appunto nel popolo rivela se stesso. Per l'attuazione di questa missione era essenziale che il popolo fosse pienamente padrone di sé, nella libertà di una repubblica indipendente e unitaria. Anche Giuseppe Garibaldi, geniale condottiero, uomo di grande integrità morale e di amore disinteressato per l'Italia, si definiva repubblicano e socialista. Denis Mack Smith sostiene che egli "ebbe una sua grandezza, in primo luogo, come eroe nazionale, come famoso soldato e marinaio cui più che ad altro si dovette l'unione delle due Italie... Tutto queUo che fece, lo fece con appassionata convinzione e illimitato entusiasmo... lnoltre era una persona amabile e affascinante, di trasparente onestà." Per non creare difficoltà e remore al processo di unificazione non esitò un momento a consegnare il 13 febbraio 1869 a Vittorio Emanuele Il le terre valorosamente conquistate rinunziando al patrimonio politico-culturale dele sue idee. Atteggiamento ideologico-politico differente si trova in Vincenzo Gioberti che nel suo

saggio più celebre, "Primato morale e civile degli italiani", cercò di sciogliere l'antitesi tra la religione tradizionale e il movimento italiano sognando un'Italia stretta in confederazione intorno al papato e sotto la sua presidenza conciliando così il rispetto dell'autorità con le aspirazioni liberali, la nazionalità italiana con la chiesa cattolica. E' l'affermazione del cosiddetto neoguelfismo. Cesare Balbo, Leopoldo Galeotti, Giacomo Durando sostenevano con leggere diversificazioni il programma neoguelfo del Gioberti. Il prof. Luciano Malusa, ordinario nell'Università di Genova, profondo conoscitore e appassionato studioso del pensiero e delle opere di Antonio Rosmini, delinea "con una messe di importanti documenti il progetto" ove stesso Rosmini sostiene" una più stretta collaborazione degli Stati italiani in vista dell'unificazione" definendo giusto, "il ruolo del papato nel suo accordo con le libertà costituzionali" ed insistendo che "non possa esistere un contrasto tra la Chiesa e le cosiddette "libertà moderne" se intese come espressione delle naturali libertà della persona," diritto umano sussistente". Altre correnti di pensiero svolsero un programma di netto dissenso al neoguelfismo. Il gruppo toscano di Raffaele Lambruschini, di Gino Capponi, di Bettino Ricasoli; i neoghibellini Domenico Guerrazzi e G.Battisti Nicolini, l'altro gruppo radicale di Carlo Cattaneo e di Giuseppe Ferrari

di Vito Ingrasciotta

sviluppano un variegato quadro di programmi e di obiettivi politici tutti afferenti alla forma di governo dopo l'unificazione. Questa diversità di posizioni politiche e di pensiero è la prova non solo di una vivacità intellettuale ma anche di una aspirazione ad una sintesi di promozione umana e civile. Ernesto Galli della Loggia, eminente uomo di cultura ed eccellente giornalista, afferma che "la storia dell'Italia, dello Stato nazionale italiano è stata senza alcun dubbio una storia di successo... se negli ultimi 150 anni tutti gli italiani hanno mangiato, abitato, vissuto incomparabilmente meglio dei loro antenati, se hanno avuto la possibilità di curarsi, di istruirsi, di leggere un libro, di assistere ad uno spettacolo, di conoscere il mondo, in una misura anche 50 anni fa inimmaginabile, lo devono per lo più solo all'esistenza di quella gracile creatura nata nel lontano 1861... Bisogna essere consapevoli che l'Italia unita ha rappresentato lo strumento decisivo per la nostra emancipazione culturale, civile ed umana. L'Italia, lo Stato italiano, di cui tutti conosciamo i mille difetti, le mille inadempienze, le mille miserie ma che alla fine è il solo paese che abbiamo: il nostro Paese. Perchè buttarlo?


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.