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L’arco

LUGLIO 2011

Speciale 150° anniversario Unità d’Italia

ANNO XXIV n. 2

PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARCO” - MAZARA DEL VALLO - Reg. Trib. Marsala n. 86-5/89 del 2/3/1989 - Distribuzione gratuita

Editoriale

NELL'ANNO DEL VOLONTARIATO SVILUPPIAMO LA CULTURA DELL'ACCOGLIENZA!

ABSIT INIURIA VERBIS

di Tonino Salvo

di Giuseppe Fabrizi Com'è noto l'anno 2011 è stato proclamato dal Consiglio d'Europa l' "Anno europeo delle attività di volontariato che promuovono una cittadinanza attiva” Il 2011 nella Decisione del Consiglio d'Europa, pubblicata a Bruxelles sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea del 22 gennaio del 2010 (2010/37/CE) è stato formalizzato appunto come l'Anno Europeo delle attività di volontariato che promuovono una cittadinanza attiva. Il volontariato va a vantaggio di tutti e rinsalda i legami sociali. Il sistema di volontariato ha bisogno di persone di buona volontà, generose ed animate da spirito di umana e cristiana solidarietà, che impegnandosi nelle attività sociali del volontariato stesso possano fornire un contributo efficace, per favorire in tempi più rapidi possibili lo sviluppo socio-economico di tutte quelle popolazioni che vivono nella povertà e nell'assenza di alcuni fra i diritti fondamentali dell'uomo, vale a dire il diritto alla salute, alla scolarità, alla sussistenza, alla dignità e alla libertà!

Esso succede al 2010 proclamato, sempre dal Consiglio d'Europa, “l'anno della lotta contro la povertà e contro l'esclusione sociale.” In quest'ultimo periodo abbiamo assistito, dal punto di vista internazionale, ad una primavera dei Paesi arabi, iniziata con la Tunisia e poi allargatasi a macchia d'olio in Egitto, in Libia, in Siria, nello Yemen e in altri paesi arabi. Mazara del Vallo per la sua strategica posizione geografica si colloca come crocevia di tali movimenti ideologici, politici e sociali, crocevia importante per la sua storia passata ma ancor più per la sua condizione presente di città più araba d'Italia. Mazara del Vallo ha sempre avuto nel suo DNA il sentimento dell'accoglienza, della tolleranza e della fratellanza nei riguardi delle popolazioni arabe migranti e la folta comunità tunisina presente ne è la testimonianza più lampante. Auspichiamo pertanto che le barriere ideologiche, alzate da taluni improvvidi politici, appartenenti soprattutto a movimenti ideologicamente secessionistici, vengano rimosse e che possa prevalere il sentimento di cristiana solidarietà. Ed è per questo che ancora di più plaudiamo ai nostri marinai di Mazara del Vallo, che, con grande sacrificio e sempre con elevato sprezzo del pericolo, si sono adoperati in questi anni a salvare numerose vite umane di migranti, uomini, donne e bambini, trasportati dalle maledette carrette del mare e provenienti dall'Africa, o per scampare ad una guerra civile, come sta succedendo in Libia, o per fuggire da una vita di stenti e di dolore, per inseguire un sogno fatto di libertà, di dignità e di condizioni di vita più umane.

Letteralmente "sia lontana l'ingiuria delle parole” è una frase ad onor del vero modificata da uno scritto di Tito Livio (Ab urbe condita) che assumeva il significato di ”sia lontana l'ostilità della parola”. Il senso, comunque uguale in ambedue le frasi, sottolinea un concetto non offensivo nei confronti di qualcuno oltre a voler dare una interpretazione di un determinato fatto per onore di verità da parte di chi scrive o comunque per riportare un giudizio espresso da altri. Pertanto in ultima analisi la frase è traducibile nel significato di: ”non vi sia offesa nelle parole”. Lo "SPEDALE" di Mazara fu fondato da Mons. Luciano de Rubeis nel 1596 e completato nel 1657. Nell'atto di fondazione ai rogiti del notaro Anello riguardante l'orfanotrofio di S. Agnese si legge testualmente: "Lucianus episcus mazariensis Spiritu Sanctu ductus a quo cuncta bona procedunt, et ubi vult spirat, considerans et attendens ac animum vertens in hac civitate Mazarae fuisse et esse utile et necessarium construere et fondare Monasterium sive Seminarium ac etiam novum Hospitale..." (Archivio della Curia Vescovile di Mazara) Si sa inoltre che tale "Spedale Civico" era dotato anche di una "ruota" per bambini lattanti, "espositelli" e che nel 1859 viene istituita una specie di succursale di questo pio luogo presso la chiesa di S. Giorgio; ed ancora che era stata impiantata una infermeria gestita dai Padri Osservanti del Poverello di Assisi, aggregata alla Congrega delle Cinque Piaghe, detta anche dello Spedale, che nel 1779 diventa un istituto di beneficenza riprendendo l'antico titolo di Congrega di Maria SS. Immacolata e si occupa dell'oratorio costruito tra la chiesa del Purgatorio e quella dell'Immacolata. Un'altra istituzione che non riguarda direttamente lo "Spedale" ma che comunque testimonia una forma di assistenza che oggi si chiamerebbe per i "malati terminali" è del 1741, epoca in cui il Vicario Generale e Ciantro Gaspare Sansone fonda la Congrega della Buona Morte di San Michele Arcangelo col compito di assistere i moribondi, Poche notizie ed insufficienti dal punto di vista storico sono riportate nel contesto di altre riguardanti in genere tutte le opere pie esistenti a Mazara e di cui l'ospedale faceva parte; e ciò sino ad arrivare al 7 Luglio 1882, data della stesura dello Statuto Organico dell'Ospedale Civico del Comune di Mazara del Vallo che consta di 10 pagine, di 4 capi e 23 articoli ufficializzato (come da data in calce) il 17 febbraio 1883 con la dicitura "per copia conforme", visto d'ordine di S.M. e la firma del Ministro dell'Interno De Pretis. Brevi e scarne notizie, giusto per fare conoscere per sommi capi l'origine del nostro ospedale. Ma lasciamo da parte il passato ed occupiamoci ora del presente e, se possibile, del futuro. Ho iniziato con una citazione latina per chiarire semplicemente la volontà di volere dare una interpretazione ed un parere che, ad onor del vero, sembra sia condiviso da molti concittadini con cui ho avuto l'occasione di discutere tale problema. Il territorio della nostra città è, anche se marginalmente, un'area soggetta ad eventi sismici come avvenuto negli ultimi decenni. Premesso ciò appare quanto meno “rischioso” provvedere

a ristrutturare il vecchio "A. Ajello” (ospedale costruito negli anni 60 per l'ala vecchia, e nei primi anni 70 per l'ala nuova) che ha sul groppone circa 50 anni di vita. Considerato che l'emivita delle vecchie costruzioni di tale tipologia (tra l'altro ormai obsolete per quanto riguarda la prevenzione antisismica alla luce delle nuove tecniche oggi messe in atto) a detta degli esperti in tale settore ha una durata di circa 80 anni appare subito evidente, anche ad un quasi profano come il sottoscritto, che si sta per sprecare una ingente somma di denaro pubblico. Inoltre non di poco conto la considerazione che l'attuale ospedale ormai trovasi “circondato” da varie costruzioni di ogni tipo che non consentono alcun ampliamento. Sembra che sia ipotizzata una "costruzione" nella parte posteriore dell'ospedale con la conseguente scomparsa del piccolissimo spazio per ora adibito (si fa per dire) a verde. Per non parlare, sperando che non si verifichino, di eventi (incendio, terremoti, ecc.) per cui è necessario ed obbligatorio avere delle vie di fuga immediate verso spazi aperti onde restare lontano da aventuali crolli di edifici vicini; ed inoltre la necessità di condizioni ottimali per l'immediato intervento dei Vigili del Fuoco e dei vari soccorsi. E' altresì appena il caso di sottolineare che già da anni nelle vie adiacenti esiste solo una minima possibilità per il posteggio di autovetture per gli utenti e per i dipendenti. Prima di vanificare l'encomiabile lavoro dell'Assessore alla Sanità che è riuscito a concretizzare quella che ormai, dopo tanti anni, sembrava fosse una ”favola” e cioè l'assegnazione effettiva della cifra di 32 milioni di euro (sempre che siano effettivamente utilizzabili senza altre sorprese) per l'ospedale di Mazara sembrerebbe opportuno porre attenzione ad alcuni quesiti che penso abbisognano quanto meno di una seria riflessione: a) è stata presa in considerazione una soluzione alternativa che consentirebbe di costruire un nuovo ospedale (sempre con gli stessi posti letto o forse anche qualcuno in più) su un'area quattro-cinque volte superiore a quella dell'attuale nosocomio? b) si è pensato conseguentemente ad una zona con adeguato spazio per un eventuale e futuro ampliamento, di facile accesso anche da strade provinciali e dall'autostrada per agevolare l'arrivo al Pronto Soccorso ed ai vari Reparti? c) si è valutato che si avrebbe una struttura costruita tenendo conto dei nuovi accorgimenti antisismici, ampi posteggi, spazio verde a disposizione dei pazienti, varie strutture di riferimento per la popolazione, annesso eliporto ecc. ? Mi è sembrato corretto cercare di documentarmi per quanto possibile con la consapevolezza che non sono un “addetto” ai lavori. Ebbene sono arrivato ad alcune conclusioni che reputo interessanti e che mi permetto suggerire, sempre che ci sia la volontà di “ascoltare” e “riflettere”, prima di dare inizio ad un meccanismo da cui poi è difficile tornare indietro. Sono convinto che oggi ci siano ancora i tempi e le possibilità per intervenire politicamente a livello comunale, regionale, nazionale ed europeo per far sì che l'obiettivo non sia la "ristrutturazione" dell'attuale "A.Ajello", bensì la costruzione di un nuovo

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(SEGUITO DAL NUMERO Dicembre 2010)

ALLE ORIGINI DELL’ASSOCIAZIONE VOCATA “MAFIA” E questa commistione fra Carboneria, Massoneria (inglese) e associazioni mafiose toccò anche i Fasci siciliani che contemporaneamente a quelli della Lunigiana portarono il Socialismo rivoluzionario in Sicilia, e qui mafia e lotte operaie danno il primo assaggio di confusione e di commistione, perché è certo che il capo carismatico dei Fasci siciliani B. Verrò fu accolto fra i fratuzzi di Bagheria ed è certo che gli statuti di più di una società operaia socialista erano letteralmente calchi

dell'emigrazione italiana per lo stesso periodo di 778.892). Ed inizia l'interesse da parte delle associazioni mafiose per controllare le elezioni e i suffragi elettorali. Le elezioni giolittiane del 1892, le prime con il collegio uninominale dopo tre elezioni generali fatte con lo scrutinio di liste sono già controllate pienamente dalle associazioni mafiose nelle province di Trapani, Palermo, Agrigento e Caltanissetta [cfr. G. De Felici, Mafia e

di statuti di associazioni ma forse [così G. Alongi, La mafia nei suoi fattori e nelle sue manifestazioni. Saggio sulle classi pericolose di Sicilia, Torino, 1886]. 7. Gli anni 1876-1945 sono anni di trasformazione della mafia siciliana in periodi storici, che possono essere così distinti: a) 1876-1905, periodo di attesa e di riflessione in cui i gruppi mafiosi cercano di capire e di studiare lo Stato Italiano, il nuovo arrivato, e fanno proprie le regole di quest'ultimo, e si adeguano. Alla fine dell'Ottocento nasce a Palermo la cosiddetta mafia di giardini che controlla fatti, acque, forza lavoro e commercializzazione dei prodotti della Conca d'Oro. Ed iniziano i rapporti con i gruppi mafiosi che intanto nascono negli Stato Uniti. Dal 1876 al 1905 il flusso migratorio siciliano ha questo andamento (fonte: voce Migratoria, Correnti, in EI, XXIII, 1934, pp. 256-257: Paesi europei e Paesi del Maghreb. 1876-1880: 642; 1881-1885: 929; 1886-1890: 954; 1891-1895: 772; 1896-1900: 1.341; 1901-1905: 6.689 per un numero complessivo di 11.327 unità (su un totale dell'emigrazione italiana per lo stesso periodo di 765.450); Paesi Transoceanici (Canada, Usa, America Latina): 1876-1880: 325; 1881-1885: 1072; 1886-1890: 5.636; 1891-1895: 13.472; 1896-1900: 16.898; 1901-1905: 32.827 per un numero complessivo di 70.830 unità (su un totale

delinquenza in Sicilia, Milano, 1900]. Incomincia dunque da quel momento l'interesse dei gruppi mafiosi verso il controllo democratico del consenso spostando di volta in volta il loro appoggio nei confronti del potere politico secondo l'analisi che poi farà Santi Romano dalla cattedra dell'Università di Palermo sulla validità delle Istituzioni minori come Ordinamenti Giuridici al pari, dogmaticamente, della Chiesa e dello Stato. In questo stato di presa di coscienza delle proprie forze e del proprio ruolo appare del tutto fuori lungo, in questo primo periodo dalla storia della Mafia italiana (che coincide con il primo periodo della storia nazionale italiana) parlare, come fa Giarrizzo (voce mafia, cit., p. 278) di mafia parassitaria, mafia imprenditrice per il periodo 1885-1905 riandando ad un “carattere massonico – settario con un rapporto di dominio / protezione del territorio in cui la “cosca” opera (cit. p. 278). E non si chiede il Giarrizzo che parlando della mafia come un complesso di sette, bande armate che operano attraverso la guerriglia, con propri tribunali interni che operano come strumenti di giustizia interna, non si fa altro che dar corpo e forza alla tesi del Santi Romano che mai era pervenuto a siffatta costruzione. L'abbandono dell'isola da parte di gente del popolo che ricostruisce il modello mafioso nei Paesi dove trova rifugio, fu dovuto alle condizioni miserevoli in cui la Sicilia cadde (al pari di tutta la Penisola) a causa dei due elementi che causarono in tutta Italia l'emigrazione, dal Veneto all'Isola per tutta la dorsale appenninica, la coscrizione obbligatoria (ignota al regime borbonico) e la tassa sul macinato: 11.327 nei paesi europei e in Tunisia, e 71.230 oltreoceano, questo è il numero dei Siciliani che fra il 1876 e il 1905 abbandonarono l'Isola. Abbandono che proseguì con maggior forza nel periodo 1906-1928. b) 1906-1928. Sono gli anni della presa di coscienza della propria forza politica e militare da parte dello Stato italiano e della Mafia nei loro reciproci rapporti. Ed è il periodo della guerra dichiarata fra lo Stato Italiano e le cosche mafiose. Le caratteristiche di questo periodo possono così sintetizzarsi: 1. Ad una fase di intimidazione ad andare a votare si passa al controllo delle elezioni amministrative e politiche da parte dei gruppi mafiosi. 2. Si arriva fino a intimidire la grande finanza con l'assassinio di Notarbartolo presidente del Banco di Sicilia (di cui sono sospettati come esecutore il Fontana, mafioso dei Colli, e mandante un deputato di Palermo, R. Palizzoli, già del gruppo di Crispi). Tra il processo Palizzoli che condanna pesantemente quest'ultimo e il processo di Milano che lo assolve, la Mafia dà l'immagine di sé stessa come di una forza che sta pari a pari con lo Stato italiano dimostrando ormai in modo plateale di essere Stato nello Stato.

3. Nascono momenti organizzativi democratici che tendono a contrastare nel pieno della società civile i gruppi mafiosi ad opera del movimento socialista di G. de Felice e delle cooperative cattoliche di don Sturzo che tendono a fermare tentativi di separazionismo come quello della famiglia Badalamenti che ideò perfino uno Stato di Palagonia nella Sicilia orientale dove veniva estesa la mafia dei Giardini della Conca d'Oro sviluppatasi subito dopo l'Annessione. 4. Un forte movimento di diserzione dei coscritti e dei chiamati alla prima guerra mondiale che favorisce l'immigrazione clandestina negli Stati Uniti proprio nel periodo bellico. 5. L'instaurarsi di regolari rapporti fra lo Stato Italiano e il Dipartimento dell'FBI negli USA per controllare il fenomeno dei rapporti fra gruppi mafiosi siciliani e gruppi mafiosi operanti negli Stati Uniti, intensificatosi soprattutto dopo l'assassinio di J. Petrosino avvenuto a Palermo in Piazza Marina. L'uccisione del poliziotto di New Orleans venuto a indagare in Sicilia sul vertice della mafia di Sicilia conferma che i gruppi mafiosi del loro centro storico [province di Palermo, Trapani, Caltanissetta – Agrigento] si diffondono nella provincia di Enna e nella zona delle Caronie nel Messinese lambendo il Catanese. 6. La dura reazione dello Stato Italiano attraverso l'opera di C. Mori prima con le sue prime prove, fino al 1914 contro la mafia argentaria, i sequestri di persona e la diserzione militare, poi con le operazioni, tutte nuove, di retate antiguerriglia fino al 1924 e infine, come prefetto di Palermo (1925-1928), intercettando i tradizionali legami con la politica poi colpendo i notabili, quindi individuando i fiancheggiatori, imponendo l'utopia statualista dello Stato Fascista. Il risultato è che lo Stato rivendica il monopolio dell'ordine contro il preteso ordine della mafia, istituendo luoghi di pena in centri lontani dall'Isola e comunque lontani dall'attività mafiosa con l'istituzione del confino che, nato come misura di pena per tutto il sistema processual-penalistico italiano, fu specifico per risolvere il sistema mafioso [cfr. C. Mori, Con la Mafia ai ferri corti, Milano, 1932]. In questo scenario si accentuò il sistema migratorio siciliano in parte favorito dallo Stato italiano che chiuse gli occhi verso l'emigrazione clandestina ad onta delle richieste cautelative degli Uffici dell'emigrazione statunitense. L'andamento della corrente migratoria della Sicilia fu la seguente [fonte EI, cit., pp. 256-257]. Paesi Europei e Paesi del Maghreb: 1906-1914 = 1.608 1915-1919 = 12.743 1920-1928 = 130.087 Per un numero complessivo di 27.438 unità (su un totale dell'emigrazione italiana per lo stesso periodo di 1.786.476 unità). Paesi Transoceanici (Canada, USA, America Latina) 1906-1914 = 341.795 1915-1919 = 36.741 1920-1928 = 133.471 Per un numero complessivo di 512.010 unità (su un totale dell'emigrazione italiana per lo stesso periodo di 2.268.261 unità) c) 1930-1945. Al termine del giro di vite che lo Stato italiano compie sulla Mafia Siciliana nasce la “mafia cattiva”, la mafia partito con le sue organizzazioni periferiche, la mafia della pena alla secessione ma che intanto si inserisce, per vivere, nella struttura dello Stato: svolge un'azione mediatrice negli affari pubblici, e interviene negli enti di concimi, di bonifica, della distribuzione dell'acqua, negli enti pubblici e del parastato, entrando nella struttura dello Stato. La guerra (1939-1945) con le diserzioni, il contrabbando e le immigrazioni clandestine (tutte passate attraverso la mafia americana) caratterizza il territorio siciliano con le premesse di secessione / restaurazione / rivoluzione e con la consapevolezza di essere forza internazionale. Dal 1930 al 1937 lasciarono la Sicilia per l'Europa e il Maghreb 9.333 persone e 16.627 persone per oltre oceanici: con un numero impressionante di emigranti: quelli verso l'Europa e il Maghreb inferiori soltanto a quelli provenienti dalla Lombardia, dal Veneto e dalla Toscana, ma inferiori alla sola Calabria per quanto riguarda gli emigranti d'Oltreoceano ( su un numero complessivo di 185.163 emigranti dalle altre regioni italiane verso l'Europa e il Maghreb e di 125.427 verso l'Oltreoceano). La restrizione statunitense all'immigrazione clandestina di Siciliani (e in genere di

di Onorato Bucci

meridionali) che doveva avvenire direttamente o attraverso stazioni intermedie, canadesi o sudamericane, non funzionò affatto, e la mafia vinse nei rapporti italo-statunitensi e vinse sull'FBI e sulla CIA, inserendosi al loro interno. Non a caso gli anni trenta, anche in relazione con questi sviluppi, furono gli anni della grande criminalità siculo-americana mentre in Sicilia veniva a registrarsi una significativa regressione ad attività tradizionali della criminalità organizzata (così G. Giarrizzo, alla voce Mafia, in EI, App. 1979-1992, V, p. 279). Di qui l'attenzione che la Massoneria statunitense ebbe per la mafia siciliana, attenzione che si perpetuò per tutto il periodo bellico e che preparò i contatti con le alte gerarchie militari dell'Esercito americano al momento dello sbarco in Sicilia. Ma fu la Mafia siciliana a governare i rapporti fra l'isola e i poteri d'Oltreoceano e non le alte gerarchie militari né tanto meno i Servizi di quel Paese. I mafiosi siciliani, di madrepatria o di terra americana, non furono mai massoni, al massimo rimasero Carbonari, fedeli alla tradizione che parte dai Vespri, difensori delle consuetudini locali ereditati dai Padri attraverso la Chiesa siciliana: usarono e utilizzarono i massoni, anche quando alcuni di loro vi aderirono, ma nel loro intimo furono sempre mafiosi di Sicilia. Aleggia intorno ai rapporti far Mafia e Massoneria la figura di Andrea Finocchiaro Aprile, nato a Lercara (Palermo) il 26 giugno 1878, ordinario di storia del diritto italiano nelle Università di Ferrara e Siena, deputato per tre legislazioni prima del Fascismo e sottosegretario di Stato alla Guerra e al Tesoro nel primo ministero Nitti, morto il 15 gennaio 1967. Promotore del Movimento per l'Indipendenza della Sicilia ideò un progetto di Confederazione di Stati Italiani fra cui la Sicilia, del tipo svizzero, nordamericano e germanico del tempo di Bismack. Per questa iniziativa e per mille altri problemi fu mandato al confino, ma fu eletto in entrambe le circoscrizioni dell'isola all'Assemblea Costituente dove pronunciò violenti discorsi contro i principali uomini della Democrazia Cristiana accusandoli di corruzione (cfr. la voce omonima, in Novissimo Digesto Italiano, VII, 1961, ristampa 1981, pp. 370371, e in DBI, 48, 1997, pp. 61-69). Fu nominata una commissione d'inchiesta che giudicò vere gran parte delle accuse da lui formulate. Fondò l'associazione del Libero Pensiero Giordano Bruno e della filosofia del nolano, è stato probabilmente il più grande interprete in Italia e all'estero. Partendo dal pensiero del nolano è stato Presidente della Lega internazionale dei Diritti dell'Uomo. E' certamente l'Italiano che più ha collaborato alla redazione della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo approvata il 10 dicembre 1948. Massone dichiarato. Non c'è dubbio che Finocchiaro Aprile ebbe un'influenza determinante nell'ispirare il Movimento Indipendentistico Siciliano (MIS) ma è altrettanto indubbio che la Mafia, dopo alcuni momenti di marginali implicazioni con la sua dottrina non abbracciò mai l'idea dell'indipendenza siciliana. Ed è ancora tutto da studiare quanto la vicenda dell'esercito di Giuliano sia legata ai tentativi di separatismo siciliano e quale fosse il ruolo avuto in quella vicenda dalla Chiesa siciliana e perfino dal Pontificato di Pio XII che si sarebbe opposto fermamente alla nascita di una nazione siciliana più o meno patrocinata dalla mafia (siciliana) degli Stati Uniti e quindi da alcuni rami della massoneria di Berkeley, oltre che da alcuni settori della Chiesa dell'Isola.

(segue al prossimo numero)


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IL GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO (GAP) Nella società attuale siamo pervasi dalla possibilità di giocare, basti pensare all'enorme diffusione che hanno avuto “gratta e vinci”, “bingo”, sale “SNAI”, videopoker, lotterie e scommesse sportive. L'Italia ha in questo campo un primato: è prima al mondo! E dopo la Fiat, Telecom, Enel e Ifim al quinto posto troviamo proprio “l'industria” del gioco d'azzardo (cfr. www.codacons.it/userfiles/file/ludopatie_ OK.pdf). L'80% delle persone almeno una volta nella vita ha giocato d'azzardo e tra queste, una percentuale variabile tra l'1% e il 3% ha sviluppato, in seguito, forme di dipendenza: molte persone quindi che si sono avvicinate al gioco per questioni culturali o familiari, successivamente ne sono diventate dipendenti, passando da una modalità di “gioco sociale” ad una di “gioco patologico”. Da un'indagine condotta in Italia nel 2001, è emerso che il 3% della popolazione è implicato nel Gioco d'Azzardo Patologico (per brevità GAP) (Spazzapan, 2001). Oggi il fenomeno presenta percentuali ben più allarmanti. Il rapporto tra maschi e femmine è di 6 a 2; mentre gli uomini giocano più intensamente e più pesantemente, le donne arrivano più tardi al gioco, ma in genere scivolano in maniera molto veloce in forme di dipendenza (Dalpiaz, 2010). Si possono definire giochi d'azzardo “tutti quei giochi il cui risultato è determinato dal caso” e l'aspetto patologico -secondo il manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (DSM-IV-TR)- si insinua

nel momento in cui si mettono in atto comportamenti ripetitivi e maladattivi di gioco, che pregiudicano in qualche modo le attività personali, familiari e quelle lavorative. Il GAP attualmente è stato inquadrato all'interno di quattro categorie diagnostiche che non sono reciprocamente escludentesi: disturbo del controllo degli impulsi, spettro ossessivocompulsivo, disturbi dell'umore, dipendenza patologica. Anche nell'ultima versione del DSM (APA, 2000), il GAP rientra nella sezione dei comportamenti quali cleptomania, piromania, tricotillotomia, disturbo degli impulsi non altrimenti specificato, che hanno in comune i seguenti fattori: “impossibilità di controllare un desiderio impellente, tentazione ad attuare un'azione pericolosa per sé o per gli altri, sensazione crescente di tensione o di eccitazione prima di compiere l'azione che diventa gratificazione o sollievo al momento di compierla o dopo averla compiuta, presenza di sentimenti di rimorso o sensi di colpa”. Couyoumdjian, (et al, 2006) riportano i criteri per individuare la dipendenza da gioco d'azzardo: Criterio 1. E' eccessivamente assorbito dal gioco d'azzardo. Criterio 2. Ha bisogno di giocare d'azzardo con quantità crescenti di denaro. Criterio 3. Ha ripetutamente tentato senza successo di controllare, ridurre o interrompere il gioco d'azzardo. Criterio 4. E' irrequieto o irritabile quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d'azzardo. Criterio 5. Gioca d'azzardo per sfuggire

di Vito Giacalone e Maria Mancuso*

problemi o per alleviare un umore disforico. Criterio 6. Dopo aver perso al gioco, spesso torna un altro giorno per giocare ancora. Criterio 7: mente ai membri della famiglia, al terapeuta, o ad altri per occultare l'entità del proprio coinvolgimento nel gioco d'azzardo. Criterio 8. Ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto o appropriazione indebita per finanziare il gioco d'azzardo. Criterio 9. Ha messo a repentaglio o perso una relazione significativa, il lavoro oppure opportunità scolastiche o di carriera per il gioco d'azzardo. Criterio 10. Fa affidamento su altri per reperire denaro per alleviare una situazione finanziaria disperata causata dal gioco d'azzardo. In riferimento a questi criteri, è possibile distinguere tra giocatori non problematici o sociali, problematici o a rischio, e patologici o compulsivi. I primi che si differenziano anche in giocatori occasionali ed abituali, giocano per divertirsi, rilassarsi o trascorrere il tempo e non presentano nessuno dei criteri del DSM (Petry, 2005), i secondi manifestano da uno a quattro dei criteri del DSM ed infine gli ultimi ne presentano almeno cinque. Le persone affette da GAP possono essere totalmente concentrate nel gioco e la maggior parte di esse dichiara che la motivazione principale non sono i soldi, ma la ricerca di avventura. Il livello di eccitazione desiderato,

cambiando per via del meccanismo della tolleranza, può essere ottenuto talvolta solo mediante scommesse e puntate progressivamente più ingenti o adottando rischi maggiori. I soggetti con GAP spesso continuano a giocare malgrado gli innumerevoli sforzi per controllare, diminuire o interrompere il comportamento, e talvolta mentono ai familiari, al terapeuta o ad altri, per nascondere l'intensità del proprio coinvolgimento nel gioco d'azzardo. Le persone così coinvolte nel gioco, spesso richiedono prestiti, e quando esauriscono anche tale possibilità, possono mettere in atto comportamenti antisociali per ottenere il denaro (Guerreschi, 2000). Da ciò si desumono le conseguenze del gioco patologico, che possono essere: di tipo relazionale, in quanto troppo spesso il giocatore si isola, trascurando le persone che gli sono vicine; di natura finanziaria, a causa di indebitamenti o di perdita del lavoro; di natura legale, come quando i soggetti incorrono in azioni criminose; ed infine di natura patologica quando al gioco associano il consumo di sostanze (Aquilina et al, 2010). Le differenti forme di gioco e rischi associati Negli ultimi decenni abbiamo assistito ad una rivoluzione tecnologica dei giochi; a partire dai primi videopoker installati nei bar, si sono sviluppate forme di gioco “invisibili” quali i casinò online, nuove slot machine, lotterie online che stanno cambiando sia gli scenari sociali del gioco che le sue stesse dinamiche. Siamo quindi

di fronte ad una nuova diffusione di forme di gioco d'azzardo in luoghi diversi e di forme di gioco praticate in solitudine: tutto ciò sta portando ad una trasformazione della funzione sociale del gioco d'azzardo, che da attività condivisa in gruppo e praticabile in luoghi e tempi precisi, con regole e riti condivisi, sta diventando un fenomeno più solitario e realizzabile senza vincoli spaziotemporali (Aquilina, 2010). La grande diffusione di Internet ed il suo utilizzo legato ai giochi in rete, secondo alcuni autori, può essere spiegata ricorrendo a specifici fattori che rendono la rete uno dei luoghi privilegiati di tale attività, grazie anche alla facile accessibilità, da casa o dal lavoro (Griffiths, 2003; Cooper, 1998; Young, 1999). La grande diffusione di Internet ed il suo utilizzo legato ai giochi in rete, secondo alcuni autori, può essere spiegata ricorrendo a specifici fattori che rendono la rete uno dei luoghi privilegiati di tale attività, grazie anche alla facile accessibilità, da casa o dal lavoro (Griffiths, 2003; Cooper, 1998; Young, 1999). L'anonimato che la rete consente è risultato essere un fattore rilevante, poiché è in grado sia di eliminare il timore dello stigma attribuito al giocatore, sia di rendere le persone più disinibite nello spendere il denaro. La presenza così diffusa di Internet ha permesso che si amplificasse la possibilità del rinforzo primario della dipendenza, generato dalla gratificazione e dal sollievo che offre, facendola diventare una possibile via di fuga dalla realtà di tutti i giorni. La caratteristica rapidità dei giochi d'azzardo online ha inoltre incrementato la velocità di spesa del denaro, poiché riducendo in caso di perdita il periodo di una successiva giocata, ha ridotto il tempo di effettuare eventuali riflessioni di natura economica; e in caso di vincita, ha facilitato la spesa del denaro ottenuto attraverso la possibilità di rigiocarlo rapidamente. La natura interattiva di internet ha aumentato il coinvolgimento personale e conseguentemente l'illusione di controllo dei comportamenti legati al gioco. Molti siti

online inoltre dispongono di simulatori di scommesse, tramite cui il potenziale giocatore può allenarsi a comprenderne i meccanismi. Tale straordinaria e vincente strategia di marketing, rappresenta il modo più semplice per adescare il potenziale “cliente” (per meglio dire, il cosiddetto “pollo da spennare”); apparentemente ci si avvicina al gioco senza conseguenze negative, con l'illusione di poter vincere, essendone apparentemente diventati esperti, e successivamente si entra nel meccanismo di dipendenza. Lo stesso meccanismo lo possiamo riscontrare nei ragazzi che trascorrono interi pomeriggi alle consolle (p.e. Playstation, Xbox, Wii, Nintendo, ecc …); provate a chiedere loro di staccarsi dal gioco, difficilmente vi diranno di sì. Figuriamoci per un giocatore che oltre ad essere incastrato nel meccanismo del gioco, sta perdendo quattrini. Nella migliore dell'ipotesi vi lancerà un'occhiata minacciosa. Poiché il gioco su Internet è accessibile 24 ore su 24, le persone possono sempre e ovunque avere la possibilità giocare; tale caratteristica risulta particolarmente rischiosa per alcune persone tra cui gli adolescenti, i consumatori di sostanze e i giocatori patologici che non riescono ad avere controllo sui comportamenti di gioco. Griffiths e Parke (2002) hanno inoltre individuato dei fenomeni che aumenterebbero il rischio di dipendenza da gioco anche per tutte le altre persone che utilizzano la rete. Oltre alla già citata accessibilità illimitata che consente l'uso della rete anche sul posto di lavoro, secondo gli autori gli altri fattori sarebbero il cash elettronico (cioè isoldi veri che vengono percepiti come se non lo fossero), l'inattendibilità dei siti e alcune strategie che essi utilizzano. L'uso del cash elettronico può infatti interrompere la valutazione finanziaria del giocatore e stimolarne l'attività di gioco; la mancanza di attendibilità di alcuni siti nei quali si rischia di giocare senza ricevere alcuna ricompensa in caso di vittoria e di altri che (continua a pagina 4)


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(segue da prima 3)

IL GIOCO D'AZZARDO PATOLOGICO (GAP) di Vito Giacalone e Maria Mancuso* ad esempio utilizzando l'etichetta Gambling Compulsivo offrono, ad una persona che voglia risolvere il suo problema con l'aiuto di Internet, una nuova possibilità di ricaduta; ed infine strategie quali il “circle jerks” utilizzato dai siti di gioco che, realizzando un'apertura automatica di altri sit, nel momento in cui si desidera uscire, accrescerebbero il tempo di permanenza all'interno di essi. Le caratteristiche dei giocatori Per quanto riguarda la presenza di caratteristiche di personalità comuni nei giocatori, nel 1975 Langer ha rilevato che le persone affette da GAP avevano l'illusione del controllo, cioè credevano che il loro gioco fosse d'abilità ed avevano un'aspettativa di conseguire un successo personale sproporzionata rispetto ala probabilità oggettiva. Altri studi hanno dimostrato la presenza di valutazioni erronee, come ad esempio l'attribuzione del successo al gioco a fattori personali quali l'abilità, e l'attribuzione della perdita ai fattori esterni quali la sfortuna. Ulteriore caratteristica comune ai giocatori è stata definita “rimpianto cognitivo”, ovverosia il meccanismo per cui, la frustrazione che i giocatori provano rispetto alle cosiddette “quasi-vincite” (insuccessi che si avvicinano a successi) funziona per loro da incoraggiamento per le giocate future, eliminando così il rimpianto stesso. Sebbene la letteratura e la pratica clinica attuale evidenzino come non si possa delineare un unico profilo psicologico del giocatore d'azzardo, esse confermano, come le precedenti ricerche, che alcuni tratti di personalità e stati psicopatologici quali l'impulsività, la sensation seeking (ricerca di rischio, sfida, imprevedibilità) ma anche la dissociazione in giocatori che prediligono giochi solitari, sono maggiormente presenti nei soggetti affetti da GAP (Caretti, La Barbera, 2009). L'impulsività renderebbe infatti l'individuo più vulnerabile allo sviluppo e al mantenimento di una dipendenza (Vitato et al., 1999), inoltre, essendo legata al rischio, tale tratto potrebbe anche generare comportamenti aggressivi e antisociali (Blaszczynski et al, 1997). La sensation seeking, secondo Zucherman (1979) sarebbe invece riscontrabile in soggetti che cercano il rischio, nutrono un costante desiderio di esperienze, ricercano sensazioni sempre nuove e sono particolarmente suscettibili alla noia. Una ricerca ha rilevato come la dipendenza in generale, compresa quella del GAP, sia maggiormente presente in alcuni soggetti che, inefficaci nell'autoregolare le proprie emozioni e i propri affetti, ricorrono ad una forma di comportamento dipendente che

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serve loro a modulare gli stati affettivi, allontanare le emozioni difficili da elaborare o vissute come traumatiche. Nelle personalità che sviluppano dipendenze si riscontra spesso la presenza di un vissuto di vuoto e di paura del vuoto, oltre che storie di carenze affettive, i cui effetti sono rintracciabili sia a livello cognitivo che affettivo. Sono infatti numerosi i casi in cui, oltre alla caratteristica dell'impotenza appresa, le persone possiedono diversi “bias” (errori sistematici) di natura cognitiva, quali illusioni di controllo, modalità di pensiero magico, ridefinizione delle situazioni in termini autogiustificanti (Dalpiaz, 2010). Adolescenti e GAP

essere in costante crescita e sono proprio le caratteristiche specifiche di questa fase evolutiva, quali l'impulsività, la ricerca di novità e di emozioni nuove e sempre più forti, che accrescono la vulnerabilità allo sviluppo del gioco d'azzardo problematico (Gupta, 2000), in particolare relativamente alle sue forme tecnomediate (Croce, 2001) e ai giochi a riscossione immediata. Tra i giovani sono diventate infatti popolari le lotterie, le slot machine e le scommesse di vario tipo; in particolare le slot machine e il videopoker sono strumenti che possono indurre, specialmente gli adolescenti, all'abuso o a vere e proprie condotte di dipendenza. Fischer e G r i ff i t h s , analizzando i comportamenti di gioco con le slot machine di alcuni adolescenti,

Gran parte della letteratura mondiale evidenzia che la quasi totalità dei giocatori patologici maschi ha iniziato tale attività proprio in adolescenza. E' stato infatti rilevato che negli uomini il gioco patologico inizia in un'età compresa tra i 19 e i 30 anni (Raylu, Oei, 2002) e che la presenza di giocatori dipendenti in questa stessa fascia d'età supera di due o tre volte quella degli adulti. Negli USA, come riportato da Durand Jacobs basandosi su ricerche e studi condotti in California, New Jersey e Connecticut, i giovani che giocano d'azzardo sono non meno di 7 milioni, e tra questi più di un milione manifesta problemi seri, correlati al gioco. La prevalenza del gioco tra gli adolescenti, sembra inoltre

hanno rilevato che uno dei fattori in grado di condurre ad una dipendenza è la natura solitaria dell'attività: coloro i quali evidenziano problemi sarebbero verosimilmente quelli che giocano in solitudine. Ricerche recenti condotte in Europa, negli Stati Uniti, in Canada e in Australia hanno dimostrato che, in una forbice compresa tra il 24 e il 40% degli adolescenti, gioca d'azzardo ogni settimana, che tra il 3,5 e l'8% dei soggetti di età inferiore ai 18 anni sono giocatori patologici e che tra il 10 e il 14% sono a rischio di sviluppare problematiche serie (Nower, 2004). Una ricerca condotta in Italia su 300 adolescenti ha rilevato che, sebbene in modo non problematico, gioca d'azzardo il 67,3% dei ragazzi, l'8,4% è

rispettare tempi brevissimi (sembra che un anno o poco più di Tonino Salvo potrebbe bastare); in alternativa si potrebbe optare per restare proprietari della vecchia struttura con conseguente trasformazione in poliambulatori per riabilitazione ed altro in regime di day-hospital, senza degenza. E' altresì indubbio che l'ASP potrebbe utilizzare la non indifferente cifra risparmiata per dotare il nuovo ospedale di apparecchiatire ed attrezzature all'avanguardia senza richiesta di ulteriori fondi, difficilmente reperibili allo stato attuale. Non mi pare poca cosa specialmente nella situazione di crisi economica per cui si cercano continue soluzioni per ridurre il più possibile la spesa sanitaria. Tutto il lavoro, a livello regionale e provinciale, sino ad oggi attuato egregiamente dall'Assessorato alla Sanità e dalla nostra Azienda Provinciale che, a costo di rendersi impopolari, sono riusciti a dare una “sterzata” dalla vecchia via percorsa negli ultimi anni risulterebbe vano. Il risparmio ottenuto si perderebbe in tanti rivoli dispersivi con le varie iniziative ai vari livelli delle realtà locali che sommate insieme porterebbero a far sì che la spesa sanitaria lieviterebbe, senza avere in contropartita una migliore fornitura di servizi per gli utenti. Inoltre con le azioni sinergiche dell'Assessore alla Sanità e del Direttore Generale dell'ASP, sino ad oggi del resto ampiamente dimostrate, con l'ulteriore supporto degli operatori sanitari e di tutti noi

mazaresi si otterrebbe la possibilità per i prossimi decenni di avere a disposizione una struttura nuova, moderna e funzionante e comunque non l'attuale che per quanto ristrutturata è pur sempre vecchia ed inoltre non suscettibile di ampliamenti. Mi sembra di potere affermare che alla fine del "restauro" si potrebbe paragonare l'ospedale ad un vestito logoro che un sarto ha modificato e riadattato, ma che rimane pur sempre un "vecchio vestito".

ABSIT INIURIA VERBIS nosocomio. Non vorrei che, come è abitudine di noi mazaresi, si verifichi quanto avvenuto tanti anni addietro per il "palazzaccio" di Piazza della Repubblica. Allora per non perdere i contributi (questa la scusa postuma) si partorì il "mostro" con cui da allora si è costretti a convivere. Costruire un nuovo ospedale comporterebbe da un lato avere a disposizione per i prossimi 80-100 anni una struttura idonea e con tutti i moderni requisiti, e dall'altro lato un risparmio notevole per il trasferimento di Reparti essenziali (Pronto Soccorso, Patologia Clinica, Radiologia, ecc.) per due anni in locali adattati alla meno peggio e che comportano anche un costo per l'affitto, la strutturazione e l'adeguamento a tali necessità. Nel contempo si potrebbe mantenere, per così dire in “vita”,l'attuale nosocomio per il periodo necessario senza disagi per gli utenti e ricoveri in altre sedi. Mi si dice che i tempi ed il costo per la costruzione ex novo sarebbero sicuramente e decisamente minori della ristrutturazione del vecchio ospedale. Inoltre si potrebbe avere un ulteriore risparmio qualora si riuscisse ad includere nel capitolato per la gara la possibilità per l'impresa che si aggiudicherà il lavoro di diventare proprietaria dell'attuale ospedale dietro ulteriore risparmio e con la clausola di

In chiusura di questa breve “riflessione” mi permetto evidenziare, a mò d'esempio in certo qual modo negativo, quanto avvenuto tra la fine dello scorso anno e l' inizio del corrente anno e che non ha avuto l'attenzione che forse meritava. Alcuni mesi addietro, come riportato dalla stampa, è stato inaugurato il nuovo Reparto di Cardiologia. Articoli e foto, in una delle quali veniva ripreso anche il Cappellano dell'Ospedale che giustamente avrebbe dovuto benedire i nuovi locali funzionanti. Dico “avrebbe dovuto” perché, se mi è stato riferito correttamente, i locali sono stati consegnati dopo circa due mesi ed in tale periodo i pazienti sono stati trasferiti nei nosocomi vicini. In questi due mesi il personale della cardiologia non avendo da assistere degenti (funzionava soltanto il poliambulatorio) è stato adibito ad altre mansioni compresa quella di provvedere al trasloco delle apparecchiature e di quanto necessario. Non mi pare esatto continuare a sostenere sulla stampa dei quotidiani, anche

ritenuto a rischio e il 2,3% presenta già condotte patologiche (Baiocco et al., 2005). Un'altra ricerca italiana condotta su un'equipe di professionisti a contatto con adolescenti e giovani adulti, ha inoltre evidenziato come già intorno ai 13 anni sia possibile riscontrare vere e proprie sindromi da dipendenza che riguardano, nel 24% dei casi da loro seguiti, dipendenze da gioco d'azzardo e da videogiochi (Baiocco et al., 2004). Riguardo alle motivazioni che spingono gli adolescenti al gioco e che fanno in modo che tale comportamento si perpetui, in una ricerca condotta da Griffiths nel 1988 apparentemente datata, ma che mostra quanto lo scenario non sia cambiato di molto- su 50 adolescenti giocatori di fruitmachine (allora le slot machine si chiamavano così), è emerso che i giovani giocavano d'azzardo perché tale comportamento era messo in atto da genitori o da amici, per il non sapere cosa fare, per la voglia di sfida, per il divertimento, per la possibilità di guadagnare soldi. Altri autori inoltre hanno confermato come la grande maggioranza degli adolescenti giochi per ragioni sociali o per svago, per sfuggire dalla quotidianità, e come modalità per alleviare le tensioni. Per concludere Da quanto rilevato emerge un dato preoccupante, cioè che si può essere dipendenti da una patologia ma non esserne a conoscenza -visto che il fenomeno ha rilevanza sociale ma non in tal senso ancora percepito- in considerazione anche del fatto che il numero dei giocatori cresce di giorno in giorno. Individuare tra le persone che conosciamo comportamenti che possono essere addotti a tale patologia è un dovere sociale. Aiutare anche chi non vuol farsi aiutare è un dovere sociale. Pensare che nella propria città non si faccia nulla, è soltanto un pregiudizio sociale; le tanto erroneamente disprezzate ASL, che sono dislocate dappertutto, sono un esempio concreto di organizzazione competente a cui rivolgersi. Un dato che conferma quanto appena affermato, e che deve ancora una volta anche farci riflettere sulla gravità del problema, è riferito al fatto che in Italia ci sono più di 186 centri specializzati nel contrastare il Gioco d'Azzardo Patologico, e di questi 53 si trovano nel sud (p.e.: http://www.gruppologosonlus.it/). Internet da questo punto di vista è una miniera da cui attingere. Contatti:vitogiacaloneconsulenze@gmail. com (*) Maria Mancuso, psicologa, esperta in psicologia dello sviluppo.

recentemente, che i lavori per la Cardiologia ... ”non hanno interrotto i servizi”. A parte il disagio per gli utenti, sembra sia stata spesa una discreta somma per la ristrutturazione dei nuovi locali (1°piano-ex oculistica). Cosa succederà ora con la ristrutturazione di tutto l'ospedale? La ditta aggiudicatrice dei lavori per l'intero nosocomio dovrà mettere tutto a norma e ciò anche per i nuovi locali per la Cardiologia. Vanificando così la spesa sino ad oggi sostenuta? Anche la Cardiologia avrebbe potuto continuare ad operare nei vecchi locali, come del resto sta avvenendo per gli altri reparti e risparmiare dei soldi (non pochi) utilizzandoli meglio. Inoltre nei vari corridoi sono state collocate alcune porte, tipo compartimenti stagni. Mi si dice che tali porte provengono dal vecchio ospedale di Marsala (forse non avevano dove collocarle). Ciò però comporta maggiori difficoltà per un eventuale abbandono veloce del fabbricato. Inoltre la collocazione di queste porte ha avuto sicuramente un costo, anche se minimo, che alla luce dell'attuazione del nuovo progetto si dimostrerà un inutile spreco, come del resto altri soldi spesi per altri reparti. Se tutto ciò corrisponde al vero (e per come riferitomi, non ho motivo di dubitarne) nella nostra amata e vituperata Mazara nulla è cambiato, anzi una volta tanto il non far nulla si sarebbe dimostrato più utile che fare qualcosa e male.


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SCHEDE BIOGRAFICHE

di Onorato Bucci

LUIGI CAPUANA

GIOVANNI VERGA

(1839 – 1915)

(1840 – 1922)

Nasce a Mineo (Catania) il 28 maggio 1839 e muore il 29 novembre 1955. Troncati al secondo anno gli studi di Giurisprudenza nell'Università di Catania si trasferisce a Firenze donde poi passa a Milano e poi a Roma. Viene nominato per chiara fama professore nell'Istituto Superiore di Magistero di Roma e poi, dal 1902, nell'Università di Catania. Datosi prima alla poesia, divenne critico letterario e fu attento lettore della produzione letteraria di Pirandello e di Verga che gli devono non poco perché li consigliò sapientemente, incitandoli a perseguire nella via tracciata, soprattutto il Verga, abbandonando le prime mediocri pubblicazioni della loro produzione letteraria. Fu il primo a propugnare in Italia il romanzo naturistico e il suo appoggio a Verga e Pirandello deriva proprio da questa lettura della letteratura che intendeva impersonale e il romanzo documento e analisi mentre il personaggio era un caso. Non ci si deve meravigliare, dunque, che egli abbia perfino pensato, sulla lettura di Hegel, a lui trasferitagli attraverso il De Meis, che la letteratura si dissolvesse nella scienza, derivando, queste posizioni, in parte dal De Sanctis e in parte da Emile Zola. Al di là del suo primo volume di Novelle (Profili di donne, Milano, 1877) e il suo primo romanzo (Giacinti, Milano, 1879), e poi i successivi (Profumo, Palermo, 1890, Rassegnazione, Milano, 1907; Il Marchese di Roccaverdina, Milano, 1901; C'era una volta, Milano, 1882; Il raccontafiabe, Firenze, 1894; Scarpidola, Torino, 1898; Cardello, 1897) è nei Studi sulla Letteratura contemporanea, S. I., Milano, 1879; s. 2, Catania, 1892 e nella prolusione. La scienza della letteratura, Catania, 1902 che si trova il suo pensiero di critico.

Nasce a Catania il 31 agosto 1840 e ivi muore il 27 gennaio 1922. Ebbe come prima guida un verseggiatore e montiano, Antonino Abate che influì non poco nel suo primo romanzo. I Carbonari della Montagna (Catania, 1861 – 1862) racconto storico del periodo murattiano cui seguì Sulla laguna, uscito a puntate sul giornale fiorentino La Nuova Europa, nel 1863. Scritti insignificanti, li giudica A. Momigliano (in E.I., XXXV, 1937, pp. 159 – 161) cui però seguirono, a partire con Una peccatrice (1866) e Storia di una capinera (Milano, 1971) la sua splendida e copiosa verità di produzione letteraria scritta fra Firenze e Milano ma soprattutto in quest'ultima città dove viene a lungo. I suoi due capolavori, I Malavoglia, Milano, 1881 e Mastro Don Gesualdo, Milano, 1889, sono la memoria di un passato che egli vive con nostalgia da terre e tempi lontani, e memoria di un passato immemore nel cuore e nell'animo restano le opere scritte fra il 1881 e il 1889 (Il marito di Elma, Milano, 1882; Per le Vie, Milano, 1883; Vagabondaggio, 1887) mentre rimangono piccoli gioielli tutte le sue opere scritte fra il 1863 e il 1881, fra cui eccellono Vite dei campi, l'Amante di Gramigna, La duchessa di Leyra, Jeli il pastore, Lupa.

Cfr. U. Bosco, in EI, VIII, 1930, p. 919 e prima, B. Croce, La letteratura della nuova Italia, vol. III, 2 ed., Bari, 1922, pp. 101-118.

LUIGI PIRANDELLO (1867 – 1936) Nasce a Girgenti il 28 giugno 1867, muore a Roma il 10 dicembre 1936. Nel 1984 gli viene attribuito il Premio Nobel per la letteratura. Nato in una famiglia che vantava, sia dal lato paterno che da quello materno illustri tradizioni patriottiche nella storia del Risorgimento, Luigi fu avviato dal padre, appaltatore di miniere di zolfo, alla Scuola teatrale. Diplomato nell'Istituto Tecnico di Girgenti, si maturò poi al Liceo Classico che frequentò prima a Girgenti e poi a Palermo. Iscrittosi alla facoltà di Lettere Classiche nell'Università di Roma si laureò in Filologia Romanza con E. Monaci che lo inviò a Bonn dove si laureò (compilandola in tedesco e in tedesco discutendola) con una dissertazione dal titolo Laute und Lautentwichelung der Muntard von Girgenti, che gli procurò un posto di lettore sulla Cattedra di Letteratura Italiana. Ma in quel periodo scrisse anche le sue prime poesie, raccolte poi in un volume dal titolo Pasqua di Gea e tradusse per la prima volta in italiano le Elegie Romane del Goethe. Nel 1890 rientra in Italia e in Sicilia, dopo un primo tentativo di assumere gli oneri commerciali familiari, strinse rapporti con Luigi Capuana che lo consigliò di scrivere in prosa e che lo inserì nei circoli culturali nazionali. Raccolse così le sue prime novelle nelle raccolte Amore senz'amore e scrisse poi la sua prima Commedia L'amica delle mogli e il suo primo romanzo L'Esclusa. Intanto si sposò nel 1893 con l'agrigentina Maria Antonietta Portulano da cui nel 1895 ebbe un figlio. Dal 1895 al 1921 (anno dei Sei personaggi in cerca d'Autore e dell'Enrico IV) fu un'ascesa continua verso la universale rivelazione della sua opera in tutto il mondo, dalla Francia al Giappone, e come sottolineò poi Corrado Alvaro (in EI, XXXII, 1935, pp. 352 – 353) “pirandellismo e pirandelliano diventarono parole correnti in tutte le lingue, e dietro al loro successo trascinano in tutte le parti del mondo il loro autore”. I Sei Personaggi in Cerca d'Autore e l'Enrico IV – continua ancora Corrado Alvaro (ibidem, p. 353) – rimangono l'espressione più perfetta universalmente riconosciuta; letteratura, cinema, vita, s'impadroniscono dei temi di codeste opere che toccano assai da vicino la perfezione; la prima dissolve tutti i convenzionalismi teatrale e torna a forme di teatro classiche, lo stesso dialogo ha un valore lirico come accade in tutti i capolavori teatrali”. In uno squarcio biografico pur succinto come il presente, non possiamo tralasciare la figura di Marta Abba (Milano, 25 giugno 1900 – Milano, 24 giugno 1988) che fu la sua musa ispiratrice, attrice impetuosa e passionale dalla recitazione istintiva ed esuberante. Dal 1925 alla morte di Pirandello, e cioè per 11 anni, Marta Abba si dedicò esclusivamente alla rappresentazione dei lavori drammatici del Maestro, privilegiando Diana e la Tuda, L'amica delle mogli, Trovarsi e Come tu mi vuoi, e diede vita ad un carteggio di 560 lettere scritte dallo scrittore e 280 scritte da lei. Intorno ad un'affermazione presente in una lettera di Pirandello alla Abba (“non domando altro tempo, oltre a quello che mi bisogna per finire i lavori che ancora mi restano da scrivere; perché sento come obbligo della mia coscienza che devo scriverli. Senza questo chissà dove sarei a quest'ora, fin da un'atroce notte passata a Como”. Francesco Merlo (in Italiana, a cura di E. Roccella e L. Scaraffio, Roma, 2004, p. 5 ricorda come su quella “atroce notte” sono stati scritti chilometri di scempiaggini sino all'idea che sarebbe stata lei a provarci e lui a respingerla”. Di qui il gustoso commento di Merlo: “ Pirandello fedele a una moglie che lo vedeva infedele era dunque pirandellianamente infedele?”. Cfr. oltre alla bibliografia riportata nel testo 1. d'Amico, Cronologia 1923 – 1928, in Luigi Pirandello, Maschere Nude, vol. III, Milano, 2004; Caro Maestro…Lettere a Luigi Pirandello (1926 – 1936), Milano, 1994; Lettere di Luigi Pirandello a Marta Abba, Milano, 1995.

Cfr. oltre alla voce di Momigliano il volume, sempre fondamentale, di L. Russo, Giovanni Verga, Napoli, 1920 arricchitosi poi nelle successive edizioni.

PIA NALLI (1886 – 1964) Prima donna siciliana a salire su una cattedra Universitaria di ruolo fu una matematica. Pia Nalli nata il 10 febbraio 1886 a Palermo si laurea nel 1910 discutendo una tesi assegnata da Giuseppe Bagnera, allora ordinario di analisi infinitesimale e superiore. Nel 1914 a soli 28 anni prende la libera docenza con la dissertazione Esposizione e confronto critico delle diverse definizioni proposte per l'integrale definito di una funzione limitata o no e divenne primo professore straordinario a Cagliari (1921 – 1922) poi professore ordinario nella stessa sede fino al 1927 quando fu chiamata a Catania sulla cattedra di Analisi algebrica. Fu avversata per tutta la sua vita, in una società e in un tempo che non consentivano ad una donna di primeggiare e non fu chiamata a far parte di concorsi a cattedre ritenendola un'intrusa nel campo scientifico e accademico non chiamandola in nessuna accademia scientifica. Ritiratasi dall'insegnamento nel 1949 finì i suoi giorni a Catania nel 1964. Bibliografia: G. Fichera, Necrologio, in Bollettino UMI, s. III, vol. XX, 1965, n. 6; G. Fichera, L'analisi matematica in Italia. Atti dell'Acc.Naz. dei Lincei, Matematica e applicazione, s. 9, vol. 10, 1999, pp. 288-290; A. Brigaglia – G. Masotto, Il circolo matematico di Palermo, Bari, 1982, pp. 129-135; A. Guerraggio, L'analisi in La Matematica italiana dopo l'Unità d'Italia. Gli anni fra le due guerre mondiali a cura di S. Di Siano – A. Guerraggio - P. Nastasi, Milano, 1998, pp. 121-126; A. Guerraggio – P. Nastasi, Matematica in camicia nera, Il regime e gli scienziati, Milano, 2005, pp. 208-209; M. Fiume, in Italiana, a cura di E. Roccella e L. Scaraffa, Roma, 2004, pp. 120-122.

GIUSEPPE BAGNERA (1865 – 1927) Nasce a Bagheria (Palermo) il 14 novembre 1865, muore a Roma il 12 marzo 1927. Laureatosi in ingegneria civile nel 1890 e poi in matematica nel 1895, sale sulla cattedra di algebra e geometria nell'Università di Roma nel 1901 ed ivi insegna fino al 1909 per passare poi sulla cattedra di Analisi Infinitesimale e Superiore nell'Università di Palermo (1909 – 1922) e poi ancora, sullo stesso insegnamento, nell'Università di Roma (1922 – 1927) dove tenne cattedra fino alla morte. Stimato per il suo acume critico in campo nazionale e internazionale, ottenne brillanti risultati per le ricerche sui gruppi di ordine finito (particolarmente di omografie) e sulle superficie iperellittiche (ossia sulle funzioni obliane di due argomenti). Per queste ultime ricerche, compiute in collaborazione con M. De Franchis, ebbe il premio Bordini nel 1909 emesso dall'Academie des Sciences di Parigi. Cfr. F. Severi, Commemorazione di Giuseppe Bagnera, in Rendiconti della Regia Accademia dei Lincei, s. 6, VIII, 1928 Voce Bagnera, Giuseppe in EI, V, 1930, p. 855.

MARIA MESSINA (1887 – 1944) Nacque in provincia di Palermo da Gaetano, ispettore scolastico, e da Gaetania Valenzo Traina, discendente di una famiglia baronale di Pruzzi. Viaggiò molto per via dei continui spostamenti del padre finché la sua famiglia, nel 1911, si stabilì a Napoli. Ma il suo cuore era sempre in Sicilia, rincuorato da una fitta corrispondenza con Giovanni Verga fra il 1909 e il 1921. E fu Verga a patrocinarla nella Nuova Antologia dove uscì una sua novella e un'altra La Mérica, uscita su “Donna” e quest'ultima vinse il premio “Medaglia d'oro”. L'ultimo suo lavoro fu L'amore negato. Morì a Pistoia nel 1944. Visse molti anni a Mistretta, i provincia di Messina, nel cuore dei monti Nebrodi, dove ambientò molti dei suoi racconti (produsse ben sette volumi di Novelle, sei romanzi e ben otto volumi di letture per bambini). I suoi resti mortali sono stati traslati a Mistretta, ospitati dai Nebrodi il 24 aprile 2009. Cfr. G. Fiume, in Italiani, a cura di E. Roccelli e L. Scaraffa, Roma, 2004, pp. 129-131.


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L’arco

GIUSEPPA BOLOGNANI CALCAGNO

GAETANO FINOCCHIARO

(Peppa la Cannoniera, 1826 – 1884)

(1891 – 1947)

Nacque a Barcellona Pozzo di Gotto nel 1826 ed è conosciuta come Giuseppa Calcagno o Bolognani, ma probabilmente si è nel vero con il primo cognome, perché fu affidata a Maria Calcagno “nutrice di trovatelli”. Si sa poco di lei, forse serva di un oste catanese e poi aiutante stalliera in un fondaco e rimessa di carrozze da nolo. Certo ebbe pessima reputazione per legarsi a uomini molto più giovani di lei, fra cui ebbe fama il giovinetto Vanni. Fu l'eroina dell'insurrezione del 31 maggio 1860 per le strade e le piazze di Catania quando le squadre popolari male armate, guidate dal colonnello Paulet, tennero testa ai duemila borbonici che tenevano la piazza catanese: nella piazzetta Ogninella e a Via Mazza fu lei, in prossimità dell'attuale Piazza San Placido, ad arringare i popolani contro i borbonici. E fu lì che le fu attribuito l'epiteto di Peppa la cannoniera che la rese famosa a Catania e in tutta la Sicilia. Ma non basta. La troviamo poi vivandiera della Guardia nazionale a Siracusa alla cui espugnazione prende parte. La si ritrova poi nel 1876 a Catania. La si ritrova poi a Messina dove cade in mano ad usurai cui cede la pensione. A Messina muore nel 1884, altre notizie riportano la morte al 1900.

Nasce a Catania il 10 settembre 1891 da Francesco Paolo, avvocato, e da Giuseppina Romeo. Nel 1910 si iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza e si laurea con una dissertazione di diritto commerciale, relatore Francesco Carnelutti, il 9 luglio 1914. Passa a iscriversi nella Facoltà di Medicina della stessa Università dove si laurea il 10 luglio 1920 dopo essere stato chiamato alle armi nel 1915. Conseguì nel 1922 la libera docenza di diritto Commerciale e nel 1923 fu incaricato sul corso di diritto industriale nell'Istituto Superiore di Scienze Economiche e Commerciali a Catania, diventato poi Facoltà di Economia e Commercio nel 1935. Nel 1925 fu ternato al Concorso per la Cattedra di diritto commerciale, bandito dall'Università di Macerata. Suo è il Sistema di diritto industriale, vol. I, Catania, 1924 che aggiornò con il codice civile del 1942 in una edizione del 1944. Fu presidente del Consiglio provinciale della Corporazione di Catania del 1937 al 1940. Morì a Catania il 6 maggio 1947.

Bibliografia: G. Fiume, in Italiani, vol. I, a cura di E. Roccelli e L. Scaraffia, Roma, 2004, pp. 24-27.

Bibliografia: G. Lo Castro, in DBI, 48, 1997, pp. 59-60.

LUIGI STURZO (1871-1959)

ANGELO MUSCO (1872-1937) Nacque a Catania il 18 dicembre 1872, morì a Milano il 6 ottobre 1937. Da ragazzo non frequentò le scuole ed imparò a scrivere per la strada, da solo, andando cantando per le strade canzoni in gran parte composte da lui. A 12 anni, cominciò a partecipare alla vita teatrale prima come garzone, poi come macchietta e burattinaio, in quella epopea dei pupi che ha fatto grande la cultura teatrale di strada del Catanese e della Sicilia. Fu la compagnia di Michele Insanguina che agiva in quel tempo a Catania che egli lasciò campo libero alle sue macchiette che egli perfezionò poi nel corso della sua vita rendendolo grande e inimitabile. Per tutto il 1886 passò a più di una compagnia di marionette affinando il suo gusto per l'inventiva, per trasferirsi poi ad una compagnia di operetta nel 1887. Da quell'anno al 1890 fece l'artista di varietà apparendo in scena anche in abiti femminili, cosa che scandalizzò non poco gli ambienti teatrali del tempo. Nel 1900 si provò a dirigere una compagnia napoletana e a verseggiare in quella parlata siculo – napoletana. Passò poi alla compagnia siciliana di Giovanni Grasso dove si fece notare, in una perfetta e aulica parlata siciliana, per il grottesco colorito da lui dato ai vari personaggi che recitava, soprattutto quando, al termine di ogni spettacolo della Compagnia – recitato in lingua toscana – egli ne riassumeva il contenuto in lingua siciliana accentuando il grottesco e l'ilarità quando faceva la parodia del dramma precedente (quasi sempre preso dal repertario del Grasso, in lingua siciliana e toscana). A dargli successo dentro e fuori la Sicilia fu la commedia in tre atti scritta dal Martoglio, San Giovanni Decollato e questo fatto provocò anche un astioso scontro con l'attività letteraria del Grasso accusato di essersi chiuso in una maniera artefatta e melodrammatica. Di qui gelosia e sospetti fra il Martoglio e il Grasso rinfocolati dalla critica che ci sguazzò e il bersaglio divenne, a torto o a ragione, lo stesso Musco che fece una compagnia propria prima invitandola da M. Bragaglia – Musco (1912) e poi esclusivamente a suo nome (1914). A Roma, nel 1915, con la nuova commedia scritta per lui dal Martoglio, L'Aria del continente, raggiunse il successo nazionale, che poi esplose l'anno dopo a Milano. E fu un trionfo, che fu rassicurato dal suo portarsi nelle Comunità italiane (siciliane in particolare) nelle Americhe, soprattutto nell'America Meridionale dove passò di trionfo in trionfo, in particolare negli Stati Uniti e ovunque, attraverso i mimi siciliani, arrivò nel cuore di quella gente che già si stava affermando in quelle terre lontane dalla propria patria di origine, affermando il grottesco anche a note di incredibile e intensa drammaticità. La sua musa protettrice divenne sempre più Martoglio che scrisse per lui Nica, Scuru, Sua Eccellenza e il Marchese di Rivoluto. E non si fermò a Martoglio, perché portò nelle scene il Paraninfu di Luigi Capuana e il Pensaci Giacomino!, Il Berretto a Sonagli, Liolà, La patente di Luigi Pirandello, Me fugghiu di G. Gallina, Sperduti nel buio di R. Bracco, Ridi Pagliaccio di F.M. Martini. Era inevitabile che il Cinematografo (come allora si diceva) si occupasse di lui e la sua fama divenne così universale. Bibliografia: A.MUSCO, Cerca che trovi…Bologna, 1929 (sorta di autobiografia fino a quell'anno); S. D'AMICO, Maschere, Milano, 1920; Idem, Tramonto di un grande attore, Milano, 1929; cfr. le schede in EI, XXIV, 1934, p. 89.

GRASSO GIOVANNI (1875-1930) Nasce ad Aci-Trezza (Catania) nel 1875 e muore a Catania nel 1930. Suo nonno, anch'egli di nome Giovanni, fondò a Catania nel 1861 un teatro di “pupi” che il padre, Angelo, fece diventare celebre per tutta la Sicilia. Qui il giovane Giovanni divenne marionettista finchè, scoperto da Nino Martoglio, esordì come attore nel dramma La zolfara di Giusto – Sino poli e il successo fu grande. Di qui il suo rappresentarsi come attore applauditissimo nella Cavalleria Rusticana del Verga. Malia e La Cavalieri Pedagna del Capuana e l'Omertà del Polver. Passò poi alla Figlia di Iorio del D'Annunzio, alla morte civile del Giacometti, al Feudalismo di Guimera, al Juan Josè di Dicenta e alla Pietra fra Pietre di Sudermann. Fu ammirato per gli impeti di violenza che nella recitazione alternava a particolari dedicati, amorosi, accorati e squisiti. Intorno a lui si riuniscono attori squisiti anch'essi come Mimì Aguglia, Totò Maiorana, Angelo Musco e Marinella Bragaglia ognuno dei quali assunse per un ruolo a sé e prese strade diverse e basi precise. Il successo di Giovanni Grasso si estese in tutta la penisola e andò oltre i confini, chiamato a Parigi, Londra, nelle Americhe e in Russia. Tornato in patria, ricco ma infelice perché ebbe una malattia alla gola che gli procurò una voce roca fino a scomparire del tutto. E con una voce rauca e ingrata, come la definì il D'Amico, interpretò per ultimo il berretto a Sonagli di Pirandello. Bibliografia: S. D'AMICO, in EI, XVII, 1933, p. 752.

Nasce a Caltagirone il 26 novembre 1871. Studia nel seminario di questa città dove nel 1894 viene ordinato sacerdote passando poi a Roma all'Accademia Tomista e alla Gregoriana. Tornato, dopo gli studi e la formazione romani a Caltagirone viene nominato professore di filosofia e sociologia al Seminario. A Caltagirone fonda un settimanale, La Croce di Costantino e varie associazioni di operai, fittavoli e studenti. Nel 1896 entra nel primo movimento democratico cristiano accanto a G. Toniolo, R. Murri, F. Meda e V. Mangano diventando poi, nel 1905, sindaco di Caltagirone, Segretario Generale della Giunta dell'Azione Cattolica (1915-1917) e Vicepresidente dell'Associazione dei Comuni Italiani (1912-1924). Il 18 gennaio 1919 fonda il Partito Popolare Italiano (PPI) con l'appello “ai liberi e ai forti” enunciando un ardito programma ispirato alla dottrina sociale cristiana e ad una marcata autonomia e indipendenza politica. Nelle elezioni politiche del 1921 porta alla Camera dei Deputati ben 107 deputati. Con il discorso Crisi economica e crisi politica del 1920 gettò l'allarme contro le debolezze del parlamentarismo liberale che di lì a poco avrebbe permesso la marcia su Roma e il primo governo fascista. Si oppose a quest'ultimo con tale vigore che nel Congresso del 12 aprile 1928 riuscì a portare fuori dal Governo il suo partito. Il 10 luglio successivo lasciò la carica di Segretario del Partito e il 25 ottobre 1924 fu costretto all'esilio. Nell'esilio trascorse a Roma fino al 1940 e poi, fino al rientro in Italia a New York, fu apostolo della difesa del prestigio e degli interessi italiani dando la sua collaborazione alla fondazione del Segretariato Internazionale del Partito democratico di ispirazione cristiana e ai gruppi di “Popolo e Libertà” (Londra, 1931; New York, 1941). Antifascista rigoroso, non volle tuttavia mai avere rapporti organici con l'antifascismo militante all'estero, soprattutto ospitato in Francia, e questo influì non poco per il suo isolamento perché si trovò solo rispetto alla Chiesa gerarchica siciliana e della Curia romana che lo ignorò completamente nel momento della riorganizzazione della Democrazia Cristiana e rispetto ai quadri di questo partito che si erano formati intorno a Alcide De Gasperi e a Gouelle che ne furono i facitori. Tutta la sua pubblicistica, ad ogni modo, edita negli anni dell'esilio dal 1926 al 1944 [Italia and Fascismo, London, 1926; International community and the right of the war, London, 1929; Il ciclo della creazione, Paris, 1932; Essai de sociologie, Paris, 1935; L'Eglise et l'Etat, Paris, 1937; Politics and Morality, London, 1938; L'Italia e il nuovo ordine internazionale, Roma, 1944] e quella dal 1945 al 1949 [Spiritual problems of our times, New York, 1945; Nationalism and Internationalism, New York, 1946; La vera vita, Sociologia del Soprannaturale, Roma, 1947; La mia battaglia da New York, Milano, 1949; La regione nella Nazione, Roma, 1949] spiegano bene il suo isolamento e l'incomprensione di cui fu circondato, fuori e dentro l'ambito cattolico, tanto da essere stimato nella dottrina protestante (anglicana inglese e dei gruppi protestanti negli Stati Uniti) e ignorato in Italia per suo contributo dato al tentativo di dar vita ad uno storicismo cristiano e ad una problematica del tutto originaria (né marxista né liberaldemocratica) della società civile inserita nella più complessa visione cosmologica. Lui vivo i suoi estimatori diedero vita a New York ad una Fondazione Sturzo per approfondire lo studio. E si dovette attendere la sua morte nel 1959 per dar vita ad un progetto del genere anche a Roma. La sua morte apparve una liberazione per i partito della Democrazia Cristiana e per la Curia romana soprattutto perché dalle Colonne del Giornale d'Italia si oppose fermamente, poco prima di morire, al tentativo dell'Amministrazione Comunale di Roma, di governare la città con l'appoggio determinante del Movimento Sociale Italiano. Andrebbero meglio studiati i suoi rapporti, per nulla sereni da ambo le parti, con Alcide De Gasperi, i Capi della DC e la Curia romana. Fu tardiva, e non lo appagò moralmente, la nomina a membro della Corte Costituzionale per la Sicilia né tanto meno la nomina a Senatore a vita nel novembre del 1952. Si ritirò negli ultimi anni nel Monastero delle Suore Canossiane a Roma continuando a influire sul costume politico degli Italiani, avversò la partitocrazia, il sempre più vasto intervento dello Stato nella vita economica italiana. Fautore in tempi lontani delle autonomie regionali vide nel regionalismo, così come venne a formarsi, una minaccia all'unità e all'autorità dello Stato. L'Opera Omnia di Luigi Sturzo fu pubblicata negli anni Sessanta del secolo scorso a Bologna ad opera della Casa Editrice Zanichelli. La pubblicistica su Sturzo è amplissima ma per chi scrive i giudizi più onesti rimangono quelli vergati in tempi non sospetti da A. CANALETTI GAUDENTI, Luigi Sturzo, Milano, 1921, 2 ed. ampliata, Roma, 1945; M. FERRARA, Luigi Sturzo, Roma, 1925; G. PETROCCHA, Luigi Sturzo, Roma, 1945; G. PETROCCHA, in EI, Appendice II, 1949, pp. 924-925. Tutto il resto è apologetica o malferma e scarsa sincerità di ritrattazione.


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LA VOCE DEL LETTORE L'Arco da sempre è stato un giornale libero e a più voci. Per questo ha da sempre, garantendo libertà di pensiero e pluralità d'opinione, ospitato pensieri e parole di persone che, su argomenti riguardanti il bene pubblico della nostra amata Mazara, possono trovarsi anche su posizioni diverse e spesso antitetiche. Nella pagina del “forum” i lettori possono inviare commenti ed esprimere suggerimenti sugli articoli trattati, avviando un a discussione aperta nel merito dei problemi affrontati. Tutto questo può essere utile però per una crescita culturale della nostra società civile, e ciò perché le critiche non sono sempre dettate da interessi personali, ma, a volte, soltanto dall'amore profondo verso la nostra città marinara, che vorremmo sempre risplendente, viva, civile e pronta alla solidarietà e alle modernità, mantenendo nella memoria collettiva della "polis” le vestigia di un passato storico e culturale di faro del Mediterraneo. E' pertanto con piacere che ospitiamo un interessante contributo dell'Avv. Nicolò Vella, noto politico cittadino e già Sindaco di Mazara, dove ciascun lettore attento potrà trovare spunti di riflessioni e di discussioni, utili per stimolare un dibattito su problemi concreti che riguardano la nostra collettività. Giuseppe Fabrizi

“L'affare” della spiaggia in città e la “Caporetto” di Tonnarella di Nicolò Vella

Due storie recenti e diverse. Ma c'è un filo rosso che lega queste storie diverse : ed è la fatica della politica e delle istituzioni a governare la modernità. Prima storia. Un incontro insolito in una bella giornata nella passeggiata al mare. Sollecita idee, proposte, riflessioni, tradizioni che appoggiano le sfide della modernità e del cambiamento. Un vispo, attento e curioso vecchietto, fermatosi davanti alla “lapide dei caduti” del secondo conflitto mondiale esclama: “ringrazio la Madonna del Paradiso e San Vito se io non sono scritto fra i nomi di quei duecento e più giovani soldati mazaresi, morti nell'atroce guerra. Allora ebbi dolorose ferite e schegge alla spalla, ed oggi, una misera pensione”. E guardando il mare aggiunse: ”Proprio qui vicino, quando ero bambino, c'era la spiaggia attrezzata di Mazara. Le cabine degli spogliatoi erano costruite su palafitte. Si scendeva in mare da scalette di legno. Feci i primi bagni, stretto nelle mani di mia madre che si immergeva in acqua con addosso una sottana nera. E tante altre donne erano vestite, non indossavano costumi”. “Oggi, prosegue, voler fare la spiaggia di città nello stesso luogo, portando sabbia da chissà dove (contro legge) è una fatica costosa ed inutile. Il mare qui è sterile e improduttivo di sabbia. Quella trasportata qui la divora, se lo scirocco non l'ha già fatta volare prima.” E, sorridendo, aggiunse con ironia: “ho lavorato in Belgio ed in Francia. Una “spiaggetta” qui, dopo aver bonificato il fondo marino va realizzata, sempre, su palafitte. E per non essere una caricatura di spiaggia, ma diventare accattivante e spiazzante, andrebbe destinata come in Francia ai “naturalisti” (naturisti?) e oscurata al “voyarismo”. E concluse l'incontro, alzando il tono della voce e quasi gridando disse: ”La vera grande spiaggia di Mazara è Tonnarella!”. Seconda storia. E parliamo di Tonnarella, non per verificare quella miracolosa promessa elettorale non mantenuta, che sarebbe stata ripulita e fruibile anche d'inverno. Da che parte cominciare a monitorare? Il problema più volte segnalato dalla cittadinanza, come un'emergenza e come

una sfida, comprende tanti aspetti e tante sfaccettature, che non è semplice elencare. E' fondamentale pertanto definire questione aperte e punti fermi. Va rimarcato che l'attuale governo cittadino si avvia a raggiungere il traguardo del secondo anno di vita. La sua gestione della spiaggia di Tonnarella sarà invece la terza volta. Tonnarella è diventata sempre più tema centrale della vita locale, ma anche provinciale e regionale, con riferimento specifico al mancato completamento e alla valorizzazione del Parco di Capo Feto, paesaggio costiero da sogno, un tesoro naturale inestimabile. In estate la spiaggia accoglie più di trentamila fra bagnanti e villeggianti in ville, casette al mare e hotel. Anche se va molto di moda da alcuni anni si è assistito alla riduzione, sempre più cospicua, della sua bianca e finissima sabbia e negli ultimi due anni alla riduzione della spiaggia libera. Alcuni stabilimenti balneari nella base di impianto stagionale, abusivamente e senza controlli da parte delle Autorità, sottraggono con pale meccaniche tonnellate di sabbia dalla spiaggia libera per riportarla nei confini di loro spettanza. Ciò fa abbassare il livello dell'arenile, fa avanzare il mare e fa ridurre l'ampiezza del tratto di spiaggia libera, e in qualche caso, addirittura, la fruibilità! Ma vi è di più! Il vasto e lungo tratto di spiaggia libera, che ha inizio in prossimità della via Mario Fani, da area “provvisoria” di stoccaggio per essiccazione delle alghe rimosse è diventata “area permanente illegale”. Qui le alghe accumulate ed essiccate da tre anni non vengono più trasportate dal Comune nella discarica autorizzata. Questo vasto tratto di spiaggia ex-libera, diventata discarica abusiva, non è conforme alla legge, dal punto di vista ambientale ed estetico. E' un'alterazione del contesto naturale che ha modificato dannosamente il territorio, attentando alla salute dei cittadini. Tale area va bonificata e destinata alla fruibilità delle famiglie e dei bagnanti. E poi permane l'insopportabile preoccupazione per il pericoloso silenzio del Comune sullo stato dei nitrati e di altre

sostanze nocive presenti nell'acqua potabile. Silenzio tombale anche sulla progettazione e finanziamento del “Piano delle fognature”. Sta al Comune fornire delle risposte! Sempre a Tonnarella va eseguita la totale ricostruzione del “muretto” fra la spiaggia e la litoranea Fata Morgana, con la posa delle fontanelle distrutte dai vandali. Va anche consolidata la “percorribilità” in sicurezza della pista ciclabile, ostruita da posteggi incivili e selvaggi di auto. Ed occorre avviare l'individuazione e la costruzione di parcheggi. Altra ferita al paesaggio del litorale sono le palme, colpite dal punteruolo rosso, abbattute e tolte: occorre ricreare la piantumazione di alberi diversi. Negli ultimi tre anni c'è stato il rosario di famiglie, dei villeggianti , dei bagnanti e dei turisti per migliorare e valorizzare Tonnarella. E i turisti in città, sempre più numerosi, arrivati con aerei low cost, non trovano bus pubblici, a diverse ore, per raggiungere i lidi e la spiaggia. Viene così per tutti umiliato il concetto ed il servizio di bene pubblico. E' la “Caporetto di Tonnarella”, da tutti riconosciuta e vissuta. La risultanza di un atteggiamento negativo nei confronti della spiaggia e dei suoi appassionati frequentatori da parte del Comune. Sono state attese invano delibere e atti formali delle istituzioni. L'allarme dei cittadini è giustificato e comprensibile di fronte al pressapochismo e al declino. Certo, senza occhiali pregiudiziali, a vedere le cose come sono, c'è da dire che alcuni problemi sono precedenti al governo cittadino attuale, ma si sono disastrosamente aggravati ed altri nuovi ne sono sorti. Quanto tempo deve ancora passare per fermare il disastro di Tonnarella. Si impone quindi più di una qualche civile e pacata riflessione. Non solo centro storico di ceramica a Mazara. La perla della città è anche la spiaggia di Tonnarella! Occorre un impegno straordinario di interventi. Finora si è visto soltanto colpi di teatro, ascoltato parole d'ordine, sentito spot mediatici: ma niente è cambiato e innovato. Non c'è visione né progettualità! Il degrado è sotto gli occhi di tutti e non può essere anestetizzato da demagogia e retorica. La retorica colora i discorsi, ma non risolve i problemi. Occorre un intervento generale, sistemico per il “ripascimento” dell' arenile, prelevando sabbia dal fondo marino, come prescrive l'Unione Europea. Sorge una domanda al riguardo. Andando fuori da “Consultopoli”, che avvolge il Palazzo di Città, si è contattato, per un piano potenziale di ripascimento della spiaggia il super tecnico

mazarese, unico in Sicilia? Egli è fiduciario per tutto il Mezzogiorno di una grande multinazionale, società questa che ha eseguito con successo la rinascita di spiagge in Tunisia, Marocco, a Fiumicino e in altri Paesi del Mediterraneo! A Mazara ci si muove in un'ottica di breve periodo, insufficiente al recupero ed alla ripresa della celebre spiaggia di Tonnarella. Si vive in un modello di confusione e di intorpidimento pubblico, con un ciclo progettuale annuale, non virtuoso e fatto di ambiguità e di incertezze. Ahi noi! Ormai è stata deturpata e stuprata la splendida spiaggia mazarese! Scenario inquietante: per fermare e superare la “ Caporetto” si impone oramai una politica “ dal basso”. Occorre aprire “un tavolo di confronto” con il governo politico della città e la guardia costiera per produrre decisioni condivise e concrete. Occorre inoltre far mettere mano, sin dall'inverno, a risorse finanziarie per interventi sistemici ed infrastrutturali, utilizzando voci del bilancio comunale per rilanciare un bene pubblico, fruito da tutti i cittadini. Non bisogna aspettare, come è ormai abitudine, il prossimo bilancio, che verrà approvato ad estate inoltrata. Occorre però una vibrante forza civile per non voler vedere la fine della storia della spiaggia di Tonnarella e per sconfiggere il suo declino. Bisogna quindi far partire con urgenza le decisioni politiche dal basso della popolazione, dalla cittadinanza attiva, per ottenere un grande atteggiamento di responsabilità istituzionale del governo cittadino! “Riprendiamoci Tonnarella” è l'invocazione da parte di tutti i cittadini che hanno a cuore le sorti della città, in modo che possa diventare un vanto per Mazara. In modo che ne possano godere tutti. In modo che i giovani possano utilizzarne ampi spazi, fruibili in piena libertà. Sarà il risultato positivo in cui Popolo, Associazioni di Volontariato, Comitati spontanei, Consiglio Comunale, Giunta e Sindaco si autoidentificano nelle emergenze, nella necessità, nella sfida di Tonnarella. Che i problemi si affrontino congiuntamente e si risolvino strategicamente per il bene comune. La rinascita di Tonnarella promette rapidamente qualità, produttività, competitività di servizi, turismo, gastronomia, difesa dell'ambiente, creando così opportunità di posti di lavoro. Ciò fa recuperare posizione nello scenario siciliani e mediterraneo alla città di Mazara del Vallo per attrarre e far crescere il turismo, con un indotto economico ed occupazionale di grande interesse per tutti.


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L’arco

CATERINA E... FRA' VINCENZO: IL NERO E IL BIANCO Una meravigliosa storia africana! Era la prima volta che giungevo in Africa. Il caldo era infernale e io mi trovavo nel villaggio delle streghe, un nome che, solo a pensarci, evocava fantasmi o sensazioni di paura nell'animo. Per fortuna il tasso di umidità era scarso e il calore africano, che avvolgeva il mio corpo, era sopportabile, direi quasi piacevole. Ascoltavo quasi in estasi Fra' Vincenzo e lo seguivo camminando passo passo, mentre guardavo la sua lunga barba bianca incolta, le sue folte sopracciglia e gli avambracci, ancora muscolosi nonostante l'età! Già l'età! Ma quanti anni poteva avere questo sacerdote Camilliano, rivestito da una tunica stinta, di colore bianco polvere, dove la croce rossa era sbiancata dai cocenti raggi del sole dell'Africa! Questo mi chiedevo mentre egli mi raccontava che viveva in Africa da oltre 30 anni e che dopo tale tempo (… e forse da un bel pò di tempo!) aveva smesso di contare il tempo che passava. D'altra parte che senso ha seguire il tempo che scorre per uno, come Fra' Vincenzo, tutto proiettato sempre verso il futuro, nei progetti e nei bisogni, nel

fare e nella solidarietà cristiana verso il prossimo! L'aspetto del viso, apparentemente burbero, mostra invece una dolcezza dei lineamenti e delle sue fattezze, che si illuminano soprattutto quando Egli parla dei poveri, dei suoi Padroni, come ama definirli. E questi padroni sono i più poveri e i più derelitti della terra, sono gli ammalati di lebbra e di Aids, sono anche le streghe, le presunte mangiatrici di anime! Sono, per Fra' Vincenzo, l'essenza stessa di Nostro Gesù Cristo, anzi essi stessi sono Gesù. Questa che sto per raccontarvi è la storia vera di Fra' Vincenzo, frate Camilliano che da oltre 40 anni vive come missionario in Africa, ad Ouagadougou, la capitale del Burkina Faso, oggi uno dei Paesi più poveri del mondo, e di Caterina, una presunta strega, una mangiatrice di anime, scampata a morte certa, per lapidazione o per il fuoco, grazie a questo frate coraggioso, che fa della carità verso i derelitti il suo meraviglioso apostolato terreno. E vi racconto anche di questo villaggio, situato a ridosso di un bacino idrico, nel

di Giuseppe Fabrizi quartiere di Tanghin, famoso e conosciuto da tutti nella capitale burkinabè, una sorta di “zona franca” dove le presunte streghe, più di 400, vivono indisturbate e rispettate da tutti e dove esse hanno trovato la loro affettività, la loro famiglia, la loro dignità, il loro lavoro, la loro libertà e la loro spiritualità! Di quest'ultimo aspetto tenete ben conto perché esso rappresenta l'essenza portante di questa storia vera, la storia di Caterina, una strega, scampata alla morte e poi, per sua libera scelta, mancata alla vita. Entrando nel villaggio ero stato colpito subito da questa moltitudine silenziosa di donne che lavoravano, chi filando il cotone, chi ammassando la farina di mais nell'aia, chi lavorando i campi limitrofi, chi producendo e raccogliendo ortaggi e verdure, e chi cucinando nelle cucine all'aperto i prodotti della terra appena raccolti. Una cosa colpiva subito il visitatore che come me per la prima volta si affacciava al villaggio, e cioè una sorta di caos, di disordine, che regnava un po' dappertutto, ma poi, ad un più attento esame, si vedeva come esso fosse una sorta di caos o di disordine ben organizzato. Fra' Vincenzo parlava e mi accompagnava a visitare i grandi capannoni rettangolari dove, entrando, dovevi prima per qualche istante abituarti ad una sorta di penombra che permeava l'ambiente e poi, quando le pupille si abituavano alla semioscurità appariva uno smisurato disordine indicibile, fatto di cose, di sacchetti, di indumenti, di masserizie e di suppellettili, che invece avevano per loro una logica ed abituale collocazione. In questo ambiente chiuso, dove fino a sessanta persone vivevano insieme una cosa si percepiva nell'aria e in modo incredibile: non si avvertiva infatti nessun fastidioso senso olfattivo di odori sgradevoli, ma tutto, in quell' apparente bailamme, era dignitosamente pulito e non maleodorante.

BURKINA, L'ULTIMO MISTERO NERO: LE "STREGHE" CHE RUBANO L'ANIMA (Pubblicato su "Repubblica" del 24 agosto 2005) OUAGADOUGOU (BURKINA FASO) - Le streghe hanno a disposizione due mattonelle 40 centimetri per 40. In questo spazio mangiano, riposano, dormono. In questo spazio conservano quel poco che sono riuscite a portare via dal loro villaggio e quel poco che hanno racimolato in questa casa che è ormai diventata la loro vita. Le chiamiamo streghe, ma in realtà a Ouagadougou, poverissima capitale del Burkina Faso, sono conosciute come le «mangiatrici di anime». La loro è una storia primitiva e tragica, che si ripete villaggio dopo villaggio, uno spietato rituale cui nessuna di queste donne è riuscita a sottrarsi. Morire o fuggire, è questa la sola possibilità che viene loro concessa.Dunque succede che quando una donna rimane sola, perché vedova, o perché sterile, o semplicemente perché il marito la abbandona, il villaggio comincia a guardarla con sospetto. La donna disturba e spesso la sua solitudine porta con sé anche un pizzico

di rabbiosa asocialità. Così si decide di allontanarla dal gruppo e dopo qualche tempo il capo villaggio applica la più odiosa delle leggi tribali. Un burkinabé su due è di religione animista, basata sul culto degli antenati e degli spiriti (l´altra metà è musulmana). Quando un uomo del villaggio muore, è alla donna che viene addossata la colpa. Per mostrare a tutti che di quella donna è meglio fare a meno, il corpo del defunto, sistemato su una barella di paglia, fa il giro del villaggio. Quando passa davanti alla casa della futura strega, il corpo improvvisamente si mette a sussultare.«Ecco - grida il capo - quella è la donna che gli sta rubando l´anima». La conclusione è di facile interpretazione. Alla strega viene concessa una notte per riflettere sul da farsi. Poi, il capo villaggio si sentirà libero di decidere come giustiziarla: rogo o lapidazione.Padre Vincenzo, un missionario camilliano di 71 anni dalla lunga barba bianca che svolge la sua opera

cristiana in Burkina Faso dagli anni '70, mentre racconta la barbarie riesce ancora a commuoversi. Ne ha viste tante, di streghe, e tante ne ha salvate. Anche se odiato dalle popolazioni del luogo, Vincenzo ha deciso che non poteva non reagire alle storie, spesso raccapriccianti, che filtravano dalle campagne. Ha sentito i loro racconti, consolato le loro lacrime, promesso loro il paradiso concedendo prima un piatto di zuppa. «E´ da una decina d´anni che vado nella savana a raccogliere donne ripudiate. Di solito succede così: la notizia mi arriva alla missione, mi danno una indicazione geografica di massima, parto. A volte, purtroppo, non arrivo in tempo. Ecco l´ultima donna che ho trovato, l´ho ribattezzata Caterina, la vuole conoscere?». Siamo al «Centro Delwende di Tanghin», settore 25 di Ouagadougou. E´ questa la «casa delle streghe». Ci si arriva costeggiando uno stradone che pullula di venditori di cose di ogni genere. Su un fianco

Il pavimento era costituito da una superficie liscia, di colorito grigiastro, organizzato con lastroni quadrati di circa 40 x 40 cm. e ogni donna aveva a disposizione per sé due quadrati, quindi 80 cm di lunghezza x 40 di larghezza, dove mettere le proprie e poche cose, dove lavorare all'ombra, dove riposare e dove dormire. Ad un certo punto, subito dopo la porta d'ingresso, in uno di questi ambienti ho notato all'inizio uno spazio vuoto, costituito da due spazi liberi, con la superficie appena pulita, ma che contrastavano con il sovraffollamento di tutto il rimanente spazio. Incuriosito ho chiesto a Fra' Vincenzo come mai quello spazio non fosse abitato. E arrestandosi di botto Fra' Vincenzo sospirò, la sua voce si incrinò e con un visibile groppo in gola borbottò: “quello è il posto di Caterina…” Ma prima di conoscere la fine di questa straordinaria e bellissima storia, struggente nella sua capacità di emozionare, prego i lettori dell'Arco di leggere l'accluso articolo scritto sei anni fà da un giornalista italiano, Emilio Piervincenzi, e pubblicato su ”Repubblica” del 24 Agosto del 2005.

di Emilio Piervincenzi scorre il «grande barrage», una specie di grande invaso che la stagione delle piogge riempie fino a sfiorare la strada e che serve come riserva d´acqua per tutta la città. E´ la risposta del governo al problema acqua, che in questo paese - molto lontano dal mare e il cui unico vanto economico è di essere il nono produttore al mondo di patate - è la vera questione nazionale. E´ il senso di una vita a metà, costantemente precaria, che si riassume in poche impressionanti cifre: la media di vita non supera i 45 anni, l´86,8 per cento della popolazione è analfabeta, il 51,04 per cento dei bambini fra i 10 e i 14 anni lavora per sopravvivere. Un altro triste record. Caterina e le sue amiche streghe vivono in quattro grandi capannoni e qui, grazie alla Croce Rossa, ci sono i pavimenti e i tetti. Le donne compaiono da un´oscurità irreale, quando padre Vincenzo le saluta in lingua mossi, l´etnìa principale del paese, e le invita ad affacciarsi all´esterno. Come se fossero lebbrose nascoste in una grotta, le


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streghe si sporgono lentamente sul mondo esterno. Sono quasi tutte povere vecchie, raggrinzite dagli stenti e consunte dal dolore, ma hanno ancora la forza di un sorriso. Padre Vincenzo sussurra: «Sente qualche cattivo odore? No, vero? Anche questa - che a lei può apparire un fatto trascurabile - è stata una dura conquista. Sono pulite, serene, sono le mie streghe e nessuno me le può toccare».Sotto le tettoie le donne filano il cotone, anzi, per meglio dire, staccano i grani del cotone per farci l´olio. Fanno tutto a mano e con pazienza infinita. Fuori dai capannoni già funzionano le cucine, tanti piccoli fuochi, che loro chiamano "ameliores". Se invece si vuole usare la cucina comune, c´è il grande pentolone dove si preparano fino a 500 pasti al giorno, destinato alle donne ma anche ai poveri che bussano alla porta di Tanghin. Più distante, in un angolo, l´altare per le preghiere: non ci sono croci sulla parete, ma solo un tavolo, una sedia e un lacero tappeto disteso a terra. «Qui, chi vuole, prega il suo Dio, nessuno impone confessioni religiose» precisa padre Vincenzo. Ma vi eravamo debitori di una storia, la storia di Caterina. Vincenzo la chiama e lei sbuca dal fondo del capannone. E´ stata raccolta un paio di mesi fa nella savana, a 30 chilometri da Ouagadougou, ormai ridotta a un mucchio di ossa. La strega fu condotta nella missione cattolica della città, lì fu curata e rifocillata, lì Vincenzo andava a trovarla. Finché un giorno la donna gli chiese: perché ti prendi cura di me? Io sono nera e tu sei bianco. Io sono dovuta fuggire dalla mia gente che voleva uccidermi. Perché siamo tutti fratelli, le rispose il missionario. Se siamo tutti fratelli, chi sono i tuoi genitori che sono anche i miei genitori?, replicò lei. Dio e la Madonna, le spiegò Vincenzo. Voglio conoscerli, chiese la strega. Li conoscerai quando morirai, la tranquillizzò Vincenzo. Allora voglio morire adesso, sentenziò la strega. Non devi essere tu a decidere quando andrai a conoscerli, ma loro a scegliere il momento, chiuse la conversazione Vincenzo. Da quel giorno Caterina - che intanto è stata battezzata e ci mostra orgogliosa la croce che porta appesa al collo - aspetta la morte. Non c´è nulla di sé, nello spazio delle due mattonelle. «Non ho niente perché non mi serve niente - spiega perché saranno i miei genitori a provvedere per me». Vincenzo sorride. Non sembra preoccupato: «Non la lascerò andare: prima o poi mi verrà in mente qualcosa per convincerla». da “Repubblica”, 24 agosto 2005

Presi la mano di Fra' Vincenzo ed Egli mi guardò, mentre una lacrima dolcissima formava un piccolo rivolo e solcava la sua guancia destra! “Mi dispiace caro Professore, perché non sono riuscito ad inventarmi nulla per salvare Caterina ma sono comunque felice perché la sua Fede, la sua nuova Fede, l'ha salvata per sempre! Caterina non c'è più e il suo posto è rimasto lì, desolatamente vuoto, ma sempre in ordine e pulito. Nessuna altra donna ha osato mettere le proprie cose in quello spazio rimasto inutilizzato, per un atteggiamento che è espressione di una forma di rispetto.” E molte di queste “presunte streghe”, quando passano davanti a quello spazio vuoto, si fermano un attimo in raccoglimento, bisbigliano parole incomprensibili, poi si fanno un rapido segno della croce e riprendono la loro vita nel cosiddetto ”villaggio delle streghe”, nella zona di Tanghin, a Ouagadougou, capitale del Burkina Faso, uno tra i paesi più poveri del mondo ma ricco, tanto ricco, di intensa spiritualità!

Due pozzi arco-baleno in Burkina Faso con il 5 x mille del 2008 E' con grande gioia che comunichiamo ai nostri lettori che Arco-baleno onlus, costituitasi nel marzo del 2008 ha ricevuto, grazie alla generosità di tanti amici e benefattori, la somma di Euro 9.531,74, relativa all'anno 2008. La suddetta somma, accreditata sul cc. 000400540498 della Banca UniCredit, ag. 60 di Roma, intestato ad ARCObaleno Onlus, è stata immediatamente girata sul conto corrente bancario della Nunziatura Apostolica in Burkina Faso e Niger ai primi di gennaio di quest'anno e proprio il 17 marzo del 2011, nella ricorrenza del 150° Anniversario della Unità d'Italia, sono stati inaugurati due pozzi di acqua potabile, cui accedono migliaia di persone che prima ne erano privi. Il primo, come potete vedere dalle foto, è stato finanziato

interamente con parte della somma ricevuta da Arcobaleno Onlus per il 5xmille del 2008 nei pressi del villaggio di Tanwoko, mentre il secondo pozzo, scavato nei pressi del villaggio di Rollin, è stato co-finanziato con la rimanente somma del 5xmille dell'anno 2008 e con il contributo della parrocchia “Nostra Signora del Rosario di Errano in Faenza“ e della Parrocchia "Santa Maria la Blanca" di Madrid a testimoniare di quanto imperscrutabili ma belle siano le vie della Provvidenza! Come potete notare i nostri pozzi sono contrassegnati dal n. 22 e dal n.23 della Nunziatura Apostolica e ciò a testimoniare il grande impegno e il notevole spirito di carità cristiana profuso instancabilmente da S.E.R. Mons. Vito Rallo in questa povera terra africana, che sono il Burkina

di Giuseppe Fabrizi

Faso e il Niger, nell'aiutare queste poverissime popolazioni, anche per i bisogni più essenziali come l'acqua da bere, per cucinare e per lavare. Guardando queste immagini un senso di partecipazione gioiosa ci pervade unitamente ad un grande senso di riconoscenza e di gratitudine verso quanti hanno contribuito alla realizzazione di quest'opera intrisa di grande carità cristiana. Per questo faccio mie le parole scritte nella lettera di ringraziamento ufficiale alla nostra onlus e dico a tutti, Amici e Sostenitori: "Y barka ! Y bark zânga" (grazie! grazie mille dal profondo del cuore!).


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L’arco

ARCO-baleno ONLUS LANCIA A CAMPOBASSO IL PROGETTO UMANITARIO “IL MOLISE ADOTTA IL BURKINA FASO!” Si è svolta il 7 Marzo a Campobasso, sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica, nella prestigiosa Aula Magna dell'Università degli Studi del Molise, alla presenza del Magnifico Rettore, Prof. Giovanni Cannata, e del Presidente della Regione Molise, On. Dr. Michele Iorio, un incontro dibattito sul tema: ”Le meravigliose donne del Burkina Faso”, organizzato dal prof. Giuseppe Fabrizi, presidente di "Arcobaleno onlus" e dal prof. Onorato Bucci, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche e Sociali e Direttore dell'Osservatorio per l'immigrazione afroasiatica in Italia dell'Università del Molise, nonché direttore della nostra testata “L'Arco”, in collaborazione con il SISM, Segretariato Italiano degli Studenti di Medicina, la FIDAPA nazionale e regionale e l'Ordine dei Giornalisti del Molise. Un notevole contributo alla manifestazione è

stato fornito infine dal Comitato Nazionale per lo studio del principio di sussidiarietà, fraternità, solidarietà ed uguaglianza da Leone XIII alla Costituzione Europea, presieduto dal Prof. Alessandro d'Avack dell'Università di Cassino. Al Convegno hanno preso parte in collegamento telematico da Ouagadougou S.E.R. Mons. Vito Rallo, Nunzio Apostolico in Burkina Faso e Niger, Mons. Andrea Pio Cristiani, presidente del Movimento SHALOM onlus e S.E. Jean Baptiste Kambire, Incaricato d'Affari presso l'Ambasciata in Italia del Burkina Faso. Ha condotto infine e moderato l'incontro, con la consueta bravura e in modo brillante e puntuale, Carmen Lasorella, nota giornalista radio-televisiva italiana, attualmente direttore di RTV di San Marino. Come è noto il 2011 è stato proclamato dal Consiglio d'Europa l' “Anno internazionale delle attività di volontariato, che promuovono la cittadinanza attiva” ed è in questo contesto e nell'ambito del progetto dei proff. Fabrizi e Bucci denominato "Il Molise adotta il Burkina Faso” che si è inserita la manifestazione del 7 Marzo. La proposta di collaborazione invocata da ARCO-baleno onlus, in occasione della giornata dell'8 marzo, festa della donna, che nel Burkina Faso rappresenta festa nazionale, nasce dall'interesse dell'associazione per la difesa dei diritti umani nei confronti dei popoli “più deboli”, che non godono dei diritti basilari sanciti dalla Dichiarazione dei Diritti Umani, e dall'interesse nella difesa della salute fisica, psichica e sociale della donna, volta all'ottenimento delle pari opportunità tra uomo e donna. L'idea è stata quella di dedicare il convegno alle donne tutte, e in particolare alla condizione femminile nel Paese più povero della Terra, il Burkina Faso, alle donne burkinabè che sono delle donne miti, dolcissime, lavoratrici instancabili e che si

occupano nel quotidiano praticamente di tutto, dalla crescita e dalla cura dei figli al duro lavoro nei campi, dalla vendita al dettaglio o nei mercati dei prodotti coltivati e r a c c o l t i s i n o all'approvvigiona-mento, spesso dopo marce lunghe ed estenuanti nel deserto, di acqua da bere e per cucinare e lavare. “Le meravigliose donne del Burkina Faso” hanno inteso rappresentare per il SISM, per il progetto molisano “Il Molise adotta il Burkina Faso” e per l'Arcobaleno onlus una sorta di sensibilizzazione verso la condizione della donna in una realtà geograficamente lontana ma non dissimile, per tanti versi, a situazioni di condizioni femminili ancora presenti su alcune zone del nostro più civilizzato territorio nazionale. L'incontro dibattito, durato circa tre ore e seguito da un attento e qualificato pubblico in un'Aula Magna, piena quasi come nel momento celebrativo più importante dell'Università, e cioè quello della inaugurazione di un anno accademico, ha visto celebrare tre momenti salienti. Il primo, quando il Magnifico Rettore, prof. Giovanni Cannata, aderendo formalmente al nostro progetto, ha proclamato l'istituzione di tre borse di studio per una durata di sei anni ciascuna per accompagnare tre studentesse della Facoltà di Medicina dell'Università Cattolica dal primo anno di studi universitari sino alla laurea. Il secondo quando il

di Giuseppe Fabrizi

Presidente della Regione, On. Michele Iorio, ha consegnato al Prof. Fabrizi la delibera per un contributo regionale di 10.000 Euro per finanziare un pozzo di acqua potabile nella regione desertica del Sahel, vicino a scuole e villaggi che finora ne erano privi. Il terzo infine quando il Presidente dell'Ordine dei Giornalisti del Molise, il Dr. Antonio Lupo, dopo un appassionato e commovente intervento a favore dei bambini burkinabè, ha formalizzato anch'Egli, a nome dell'Ordine, l'adesione al Progetto con l'istituzione di una borsa di studio per un'altra studentessa in Medicina del Burkina Faso.

CHE COSA DIVENTA UN PRESUNTUOSO, PRIVO DELLA SUA PRESUNZIONE? Provate a levar le ali ad una farfalla: non resta che un verme (Nicolas-Sébastien Roch de Chamfort) Platone vedeva l'ignoranza come una vera e propria deformità dell'anima, così come la malvagità ne è una malattia; e non vi è ignoranza che reca più danno della «mezza cultura», conferendo l'illusione (e l'arroganza) del sapere, senza averne la sostanza. La persona ignorante non si vanta mai di essere tale, semmai se ne rammarica; nutre, anzi, in genere, rispetto per la cultura e per le persone di cultura; a volte le invidia, a volte no; in ogni caso, sa che nella sua formazione esiste un grande vuoto e, in cuor suo, apprezza le (rare) persone colte che sanno come rivolgersi a quelle come lei. Di contro, la persona che possiede qualche mezza conoscenza, pasticciata e stiracchiata, il più delle volte non percepisce le proprie manchevolezze, si stima sufficientemente padrona non tanto di questo o quell'argomento, ma del sapere in generale; elargisce giudizi su tutto e su tutti; non è propensa ad ascoltare, perché ciò le sembrerebbe una implicita ammissione di non sapere abbastanza; al contrario, vuol sempre mettersi in evidenza e non si risparmia di giudicare a trecentosessanta gradi, facendo la ruota come un pavone, in genere senza rendersi conto di esporsi a delle figure ridicole o pietose, nonché del pericolo inesorabile di realizzare l'assunto Hegeliano: “Prima o poi il delirio di Onnipotenza coinciderà con quello di Onnideficienza”. In altre parole, la persona ignorante possiede la consapevolezza del proprio limite e l'umiltà che costituisce la necessaria premessa per ogni vero apprendimento; la persona dotata di una mezza cultura, invece, non è consapevole

dei propri limiti e non desidera colmarli, perché, se lo facesse, le parrebbe di ammettere che le sue conoscenze sono poche e confuse. Giungiamo così a una importante conclusione: il vero sapere non è mai conoscenza parziale di qualcosa: è, al contrario, consapevolezza dei propri limiti, e ardente desiderio di oltrepassarli; mentre il falso sapere è caratterizzato dal mancato riconoscimento di tali limiti e dal desiderio di mascherarli, non certo di affrontarli. La

persona veramente colta è la persona che misura costantemente la distanza abissale che esiste fra il proprio sapere, per quanto (relativamente) grande, e il mistero del mondo, che è infinito, dunque qualitativamente incolmabile. La persona mezza colta è, al contrario, quella che si riempie di orgoglio quando scopre o apprende una cosa nuova, perché s'immagina che, un poco alla volta, riuscirà a sapere anche tutto il resto, o almeno quanto basta per esprimere un'opinione su ogni cosa e per fare bella figura davanti agli altri. Ne deriva che la persona colta è sempre umile, benevola, paziente e

tollerante, specialmente verso coloro che non sanno; mentre la persona mezza colta è vanitosa, arrogante, impaziente e sprezzante nei confronti di coloro che non sanno, almeno quanto è invidiosa, dei veri sapienti: non perché questi ultimi ne sappiano più di lei (questo non lo ammetterebbe mai), ma perché possiedono il senso del limite, il che è un rimprovero indiretto alla sua presunzione. Bisognerebbe escludere dalla vita politica e dall'amministrazione pubblica tutti coloro i quali si fanno avanti e si candidano alle elezioni con immodestia e petulanza, sostenendo di avere la soluzione pronta per ogni genere di problema e le capacità per fronteggiare qualunque situazione, che attaccano chiunque non si mostri in linea con il loro pensiero. È la loro presunzione che li qualifica, automaticamente, come dei mezzi sapienti: gente della quale sarebbe bene non fidarsi, e meno che mai affidare loro la direzione della cosa pubblica e/o la rappresentanza politica. Siamo così, presi dall'egoismo, sul valore dell'arrivismo, del mettersi in bella mostra, di giudicare, di esaltare l'orgoglio, tutti a pensare per una carriera, a correre, a salire una scala sociale, tutti, a mettersi sopra gli altri, a primeggiare. Ma il vero ricco, il personaggio, il primo attore è colui che vive ed applica la virtù dell'umiltà! L'umiltà non è rassegnazione, non è propria della gente debole, anzi è una primavera di energia che è al di sopra di tutti. Chi è umile è al servizio degli altri, non per essere servito, ma per servire. La virtù dell'umiltà è un modo di vita, è conoscere se stessi, stimare gli altri, riconoscere i

di Danilo Di Maria

propri limiti, rispettare il prossimo. Ma bisogna essere attenti, l'umiltà non significa essere servili, sottovalutarsi rispetto alla realtà: l'umiltà è dignità; è un sentiero di vita che ci apre al dialogo con l'essere vivente, a un naturale rapporto di spirito con Dio. Un rapporto di limpida purezza, ci si abbassa a servire per amore, ma proprio in quel momento d'amore ci porta ad essere in alto, così in alto da essere vicino a Dio. L'umiltà ha una forza interiore che è riconosciuta dall'umanità, il mondo in genere non coltiva l'umiltà, eppure si riconosce a prima vista chi è umile, non ha prezzo un atto di vera umiltà!

L’arco ANNO XXIV n. 2 LUGLIO 2011 Periodico dell’Associazione Culturale “L’Arco”

Fondatore Giuseppe Fabrizi Direttore Responsabile Onorato Bucci Comitato di redazione Onorato Bucci - Giuseppe Fabrizi Pietro Foraci - Enzo Gancitano Nino Gancitano - Gabriele Mulé Giuseppe Pernice - Tonino Salvo Segreteria di Redazione Bice Provenzano Redazione Via G. Toniolo, 3 - 91026 Mazara del Vallo Registrazione Tribunale di Marsala n.86-5/89 del 2/3/1989 Finito di stampare presso: Rallo s.r.l. Mazara del Vallo


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