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L’arco

MARZO 2010

ANNO XXIII n. 1

PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARCO” - MAZARA DEL VALLO - Reg. Trib. Marsala n. 86-5/89 del 2/3/1989 - Distribuzione gratuita

Editoriale

2010: ANNO EUROPEO DELLA LOTTA CONTRO LA POVERTÀ! di Giuseppe Fabrizi Per richiamare l'impegno di tutti verso la solidarietà sociale la Comunità Europea ha stabilito che il 2010 sia l'anno europeo della lotta contro la povertà e contro l'esclusione sociale. L'Unione europea è una delle regioni più ricche al mondo. Tuttavia, circa il 20% degli Europei dispone ancora di risorse limitate e non riesce a soddisfare le proprie necessità primarie. La povertà è invece più presente nei paesi in via di sviluppo, come accade in molti paesi dell'Africa subsahariana o del Sud-America, e in questi Paesi la malnutrizione, la fame e la mancanza dell'acqua potabile rappresentano la grande sfida per la sopravvivenza quotidiana, mentre spesso malattie endemiche, come la malaria e l'Aids, abbassano di molto le aspettative di vita media della popolazione, sino a giungere ai 45 anni di vita media in paesi poveri come il Burkina Faso e il Niger. La povertà e l'emarginazione sociale sono però presenti anche in Europa. La povertà e l'esclusione di un singolo individuo contribuiscono spesso ad alimentare la povertà di una società intera. La Carta dei diritti dell'uomo recita che ogni individuo, indipendentemente dall'appartenenza ad una determinata razza e indipendentemente dalla propria condizione sociale o dal proprio credo religioso, debba possedere eguali diritti, come il diritto alla libertà, il diritto alla salute, il diritto al lavoro, quello verso l'emancipazione sociale e il diritto alla dignità della persona umana. Spesso, nei Paesi più poveri o in via di sviluppo, dove esiste ancora una grande disparità di condizione sociale tra le poche caste ricche e la moltitudine dei poveri, tali diritti non vengono affatto riconosciuti, o, peggio ancora, vengono calpestati. La nostra onlus "Arco-baleno onlus" sta cercando di operare per contribuire ad abbattere tali barriere; Essa infatti sta lanciando diverse iniziative, che vanno dal riconoscimento del diritto dell'accesso all'acqua potabile per tutti al diritto ad una corretta alimentazione ed alla salute individuale, sino al diritto alla scolarizzazione, costituendo quest'ultima, secondo noi, un elemento indispensabile per ottenere il miglioramento delle condizioni socio-economiche dei popoli in via di sviluppo o in difficoltà! Abbiamo terminato di costruire 7 pozzi in zone abitualmente aride, che daranno acqua da bere e per cucinare a migliaia di famiglie africane, che prima ne erano sprovviste. Stiamo costruendo, e i lavori termineranno entro la fine di marzo di quest'anno, un centro di pediatria presso l'Ospedale Paolo VI, a Ouagadougou, dotandolo anche degli arredi. Abbiamo adottato, grazie alla generosità di diversi amici, mazaresi e non, diversi studenti africani universitari, delle Facoltà di Medicina e Chirurgia, di Economia e di Giurisprudenza e con un contributo annuo questi studenti saranno accompagnati alla laurea, nella speranza poi che da essi possa partire un rinnovamento ed una spinta a migliorare le condizioni di vita in loco. Il Comune di Mazara del Vallo ha contribuito con un contributo economico alla costruzione di due case alloggi per famiglie di lebbrosi e il nostro Sindaco, On. Nicola Cristaldi ha espresso la ferma volontà, personale e della Giunta, ad istituzionalizzare annualmente un contributo economico verso tali popolazioni bisognose. La solidarietà è come una marea montante e sarebbe bello se tale movimento non si arrestasse mai!

IL BORSEGGIO DEL SATIRO E DI SELINUNTE Beni Culturali in saldo: affidamento ai privati dei siti e musei della Provincia di Trapani di Gabriele Mulè

Ci siamo. Dopo mesi di accuse, dossier, affluenze che precipitano, numeri al tracollo, l'assessorato regionale ai beni culturali estrae dal cilindro l'arma dell'affidamento ai privati dei siti culturali della Regione. La notizia è del 9 marzo: il bando per l'affidamento dei siti culturali della Provincia di Trapani è il primo della lista, fissato per aprile. Un bando internazionale che richiamerà operatori della gestione di servizi culturali lontani nello spazio e nel tempo dalle comunità e dai luoghi che ospitano i beni in questione. Così si celebra il sacrificio del carattere collettivo del bene culturale, del valore di risorse territoriali che dovrebbe andare a vantaggio del territorio e delle comunità, immolate sull'altare dell'inettitudine locale e regionale: perché l'unico motivo per cui questi siti vanno a bando è questo. Mi spiego meglio. Di fronte all'inefficacia di una gestione affidata troppo spesso solo ad esperti della conservazione e della tutela (a causa di una colpevole carenza di fondi per la costituzione di strutture apposite) piuttosto che ad esperti di valorizzazione e gestione, i nostri musei e siti archeologici registrano un fortissimo ritardo rispetto agli standard europei: mancano servizi di prenotazione, visite guidate, bookshop, noleggio di audioguide, attività di promozione che intercettino flussi di visitatori e di turisti, etc. il tutto a svantaggio della missione culturale di questi beni, il cui fine è la conservazione e divulgazione del sapere, tanto per la comunità locale quanto per i turisti. Dunque, di fronte a questa situazione, quale migliore soluzione per i burocrati regionali che affidare ai privati, salvatori della patria, il destino dei nostri musei e del nostro territorio? Offriranno un servizio migliore, garantiranno degli standard qualitativi adeguati e, come se non bastasse, pagheranno pure delle royalties alla Regione ed alla Soprintendenza. Che bello. Messa in questi termini mi sentirei di proporre al nobel per l'economia l'ideatore di questa trovata (assolutamente in linea con i disposti legislativi) se non fosse che,

purtroppo, alcune idee scomode mi costringono ad esprimere con riserva questa candidatura al premio. Primo. Gli operatori che partecipano a questi bandi non sono non profit: sono imprese dannatamente profit. Cioè non corrispondono servizi gratis et amore dei, ma li erogano e gestiscono con il fine di cercare il profitto: soldi, quattrini, cash. Per carità, nulla di male. Peccato che questi quattrini, soldi, cash, che derivano dallo sfruttamento di marca manageriale di risorse collettive (di tutti, mie, vostre) non ricadano e non vengano reinvestiti sul territorio: vanno nelle casse degli investitori, degli azionisti, dei soci di queste imprese. Il profitto non resta sul territorio, ma emigra a vantaggio dei bisognosi uomini d'affari del centro-nord. Così come gli investimenti sul territorio, da parte di queste imprese, sono senz'altro finalizzati al solo aumento dell'utile annuo: li guida uno squisito principio utilitaristico, non vengono a fare beneficenza. Secondo. Gli operatori che parteciperanno al bando non hanno alcun radicamento territoriale. Sono dei nuovi colonizzatori, che calano da Roma a salire verso il ricco (di cultura certamente) Sud, e vengono a scavare nei nostri giacimenti culturali. Con il risultato che gli attori del territorio, cioè enti pubblici, associazioni culturali, singoli cittadini, imprese enogastronomiche e turistiche, saranno estromessi dalla gestione: non vi è alcun profilo partecipativo in queste imprese se non nell'ottica di contentare le comunità locali. Non vi fate ingannare da specchietti e collanine per gli indigeni, non vi è possibilità alcuna che si “crei lavoro”, che si “richiamino i giovani”. I beni culturali, dal Satiro a Selinunte, sono strategici nello sviluppo turistico e sarebbe fondamentale che la loro gestione si articolasse in un progetto concertato di sviluppo e supporto alle attività economiche: lo sarà solo se questi investitori hanno interessi immobiliari nella zona. Terzo. La gestione affidata a privati comporta uno scollamento rispetto alle altre strutture museali minori ed al

complesso del patrimonio culturale dal carattere fortemente diffuso (centri storici, beni monumentali isolati) con la conseguenza di appesantire lo sviluppo armonico del territorio e di impedirne il decollo secondo una logica di rete non solo tra beni culturali, ma anche con il palinsesto delle tipicità territoriali che formano l'identità unitaria del nostro territorio. Rete sempre invocata e mai attuata e perseguita dagli enti locali che oggi, senza un'azione finalmente determinata, veloce ed efficace, si troveranno con le spalle al muro per almeno i prossimi 8 anni: tanto dura la concessione a privati dei beni culturali. Con un meccanismo suicida vengono messi a bando solo i siti capaci di generare profitto: come se vendessimo fabbriche di auto di successo perché non siamo capaci di metterle sul mercato. Il tutto dimenticando, o facendo finta di dimenticare, che i musei ed i siti di maggiore richiamo dovrebbero essere traino di quelli minori, puntando a logiche di rete museali ed al biglietto unico: sono anni, ed il 2009 è stato costellato da dichiarazioni di questo tenore a livello nazionale e regionale, che se ne parla, che Cassandre inascoltate vaticinano la pericolosità di questa situazione ed invocano, presentando progetti ed idee, proposte alternative, capaci di conciliare bene pubblico e gestione virtuosa. Quarto. Questa iniziativa porta, o dovrebbe portare, ad una seria riflessione sulle competenze finora espresse dal panorama politico sul tema della pianificazione culturale e turistica: l'urgenza con cui sono annunciati ed emessi questi bandi è la bandiera bianca della capacità di elaborazione strategica, la resa senza condizioni del buon senso, della buona volontà, della programmazione all'emergenza, causata non da un improvviso ed incalcolabile movimento tellurico dall'oggi al domani, ma da un progressivo, alimentato stato di dissesto che oggi si ripercuote con più forza sull'economia locale anche per colpa della crisi. Così la parola d'ordine è: tutti ai ripari, e presto. Anche a costo di svendere tutto.


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LA MERCEDE DELLA PIETA’ di Nino Gancitano Il vecchio entrò nel macasenu degli attrezzi da dell'altro sul lobo, mentre intonava una litania, pesca, dove erano disposti reti, vele, nasse, canto, giaculatoria “Lu patri ventu e la matri ceste, corde, remi, arpioni, ami, 'ntinni, e acqua/ Lu patri focu e la matri terra… Cantu lu l'odore del cordame di canapo, con la disa ventu e l'acqua di lu celu … Ora e sempi si appena mazziata, riportava alito di mare e di luratu Gesù Saramintatu e la Virgini Maria e li fiume, misto al vago sentore di grariu, Santi tutti quanti…” proveniente dal barile delle Non una goccia di sarde salate, supprissate da sangue. Non una lacrima, Era consuetudine che una pietra, sopra il coperchio non un lamento del marinai e carrettieri di legno di castagno. piccolo. Poi tornarono a E l'odore di salnitro, in fondo, e portassero all'orecchio casa dove la moglie d e l l o s p i c a r e d d r u , a d sinistro, lu latu tintu, un dell'uomo preparò per il essiccare per le orbite, sullo orecchino in cerchio d'oro, pranzo. spago grosso, teso da una Era dicembre. “Vurnu è lu quale prezzo della pietà. parete all'altra. cori me' , vurnu c'un taci, Aprì la scatola degli aghi per le In caso di morte per Urcu chi ruri e un finisci vele, il vecchio, e ne scelse naufragio (o comunque mai” [“Ferito è il mio uno piccolo a punta ricurva. accidentale in qualche cuore/ di una ferita Infilò per la cruna un filo di luogo) chi ritrovava l'ignoto urente/ piaga che arde, spago e poi lo pose in una inguaribile”] aveva corpo e avesse dato (o fatto sospirato la donna, mater ciotola di aceto. dolorosa, dalla morte del Chiamò il nipote – un bambino dare) dignitosa sepoltura figlio e di poi della nuora, di 10 anni – primogenito del alla salma, in terra suo unico figlio Pietro, consacrata, poteva ripagarsi qualche mese prima, per malattia di pettu. marinaio, sperduto una notte, del gesto misericordioso, anni prima, tra flutti e acqua di “Ciuciu che va e chiù nun cielo, addicatu di morti tinta, prelevando l'orecchino d'oro po' turnari, ciuciu di ciatu luntanu di l'arma e di cori, - mercede della pietà - . chi nun è cchiù vita….” distinu, malavintura pi tanti , cu [“Soffio che va e più non I'agghiommaru d'acqua 'ntr' può tornare, alito che non ula, [“agghiacciato da una morte tremenda, è più vita…”] aveva conchiuso il vecchio. lontano da chi lo amava, destino sventurato Poi si alzò. Salì, per la scala di legno, in soffitta per tanti, soffocato da un gomitolo d'acqua”], e trasse, da un baule, un orecchino d'oro, corpo ignoto alla terra. avvolto in un pezzo di tela. “Addumanna a lu Era venerdì e “tannu s'avà fari – di venniri – a mari / lu nomu di lu ventu / vuciannu pi fariti la mezza”. Carezzò la testa del bambino e gli ascutari/ pi fariti 'ntinniri/ da l'anciulu di Diu/ strofinò l'orecchio sinistro – lu latu mancu, lu priannu chi macari / n'anciulu, / unu sulu latu tintu – cu lu spattu e l'aceto. Poi, sintissi / la tò vuci, o la mè / prima chi notti / arroventato l'ago al fuoco di una lucerna, cummogghia cu lu scuru / lu tò jru / la mè vuci / strinse tra le dita il lobo dell'orecchio e lo na' stu mari di ventu / e d'acqua di celu/ di trapassò da parte a parte, legando il filo ad maraggiati/ di jra di tempu/ Picchì tempu / anello, per mantenere pervio il foro di la 'un'ni resta 'un'ni resta / pi vuciari ancora…” pirciata. Lavò con acqua ed aceto e ne versò [“Domanda al mare/ il nome del vento, /

gridando / perché un angelo di Dio, / almeno uno, uno solo,/ ascolti la tua voce / o la mia, / prima che la notte/ copra nel buio del silenzio/ il tuo grido, / la mia voce,/ in questo mare di vento, / d'acqua di cielo, / di onde / nel clamore del tempo./ Perché non resta tempo/ per gridare ancora…”]. Così era stato per suo figlio, quella notte, impedito al ritorno dalla tempesta. E chissà per quanti altri ancora. Al nipote comunicò che sarebbero andati per mare la stessa sera, la sua prima uscita da mozzo. Verso sera al modesto vento di ponente; sfilò lo spago dal lobo dell'orecchio del bambino e inserì l'orecchino d'oro. Raccomandò di averne cura. Il nipote chiese se doveva indossarlo sempre. E il vecchio rispose di no, solo quando andava per mare. E il piccolo chiese il perché, vedendo che il nonno lo portava sempre e anche Vanni, il marinaio che andava con loro a pesca, e gli altri marinai. Ma il vecchio rimandò a dopo le spiegazioni. Domandò anche a Vanni, il bambino, quando arrivò sulla barca, ma Vanni non rispose. Aveva sentito il canto di preghiera della vecchia poco prima. E pregò in silenzio, Vanni : “Signuri 'na l'iternu/ Diu d'amuri / chi pirduni piccati/ e piccatura./ Signuri di la vita/ e di la morti/ talia tutti l'armi/suffirenti,/ cori 'ngustiati/ di vita virminusa/ addilurati./Talia/ li mè tanti patimenti,/li chianti/ e li lastimi iccati./ Signuri 'na l'iternu/ Diu d'amuri/chi puru Tu patisti/ patimenti,/ arrisetta la mè paci/ la mè vita/ La virità chi cercu/ 'ntia addimura.” [“Signore dell'eterno, / Dio dell'amore / che rimetti i peccati e perdoni i peccatori,/ Signore della vita e della morte,/ guarda le anime sofferenti,/ i cuori addolorati di una vita miserabile,/ guarda i miei tanti patimenti,/ i pianti e le lacrime versate./ Signore dell'eterno/ Dio dell'amore/ Tu che hai sofferto /rimettimi la pace / e rasserena la mia vita/ poichè la verità che cerco / dimora in Te.”] Era già quasi sera, quando alzarono la vela, na la'ntinna, e uscirono dal porto verso il mare grande. Soffiava più forte il vento di ponente. Il vecchio governava il timone e a tratti sussurrava un canto. “La terra mi conchià/ ma fu lu celu mazzapanu chiusu/ E di la rama la punta di jusu/ chi fa lu fruttu e ti rici “tè…” [“Fu la terra a generarmi,/ ma il cielo /misterioso scrigno della mia esistenza./ Come l'estremità / del ramo che ha generato / il frutto / e te l'offre…”] “La notti chi morsi mè patri purtaru lu santu a dijunu davanti a la beddra Maria”….[ “La notte in cui morì mio padre / portavano all'alba l'immagine del Cristo,/ in processione davanti alla Madonna...”]

Erano già al largo ed era notte. Ognuno assorto nei suoi pensieri. Più forte il vento. Ricordava, il bambino, un lamento, ripetuto, inconsolabile di sua madre, poco prima di morire, un canto triste, pietoso “ Pitruzzu mi morsi anniatu/ luntanu di l'arma e di cori/ … cu l'agghiommaru d'acqua 'ntr' ula… lu mè Petru / cchiù beddru di l'oru/ omu finu splinnenti

d'amuri / cu la vita splinnenti d'arrera…” [“Annegato è morto il mio Pietro/ lontano da chi lo amava/ soffocato da un gomitolo d'acqua… agghiacciato da morte tremenda …il mio Pietro, distinto, amorevole…lontano da chi lo amava, abbandonato dalla vita palpitante…”] Più forte il vento. Ed il mare nella notte. “Addumanna a lu mari / lu nomu di lu ventu / c'aisa mareggiati / pi notti senza luna…” [“Domanda al mare / il nome del vento /che solleva le onde, / in notti senza luna…”] In una notte di dicembre (forse tra l'8 e il 10) del 1887 una piccola barca a vela di Mazara incappò in un fortunale a largo di mare da Mazara verso Sciacca. Qualche mattino dopo, un marinaio vide sulla spiaggia i corpi di un vecchio, di un bambino e di un adulto che il mare aveva restituito. L'uomo tolse a ciascuno il proprio orecchino d'oro – mercede della pietà - ricompensa per pietosa sepoltura, dall'orecchio sinistro, lato peccatore, mercenario, per l'espiazione dei peccati. Li pose con il lato destro, il lato buono, verso mezzogiorno. Misericordia. E poi permise che i loro corpi fossero consegnati alla terra consacrata.


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VIAGGIO NELL'ADOLESCENZA di Gieffe Da questo numero, iniziamo un “reportage” sulla condizione giovanile nella società odierna! Verranno affrontati temi, purtroppo attuali, come il bere, il bullismo, “lo sballo” a causa di assunzione occasionali o abituali di droghe, il modo di divertirsi in un’ era altamente tecnologica; successivamente si disserterà sui giovani e sul loro disinteresse per le attività sociali e politiche, sul rapporto tra i giovani e sulla loro libertà sessuale, sul rapporto tra i giovani e la scuola, sul rapporto tra i giovani, la Religione e la Chiesa per arrivare infine al rapporto tra i giovani e la famiglia. Questo viaggio attraverso l’adolescenza avviene con una sapiente e lucida disamina da parte di un illustre Mazarese, il Prof. Vito Giacalone, psicologo e psicoterapeuta, che vive tutte le problematiche dei giovani di oggi attraverso la sua professione e la sua attività scientifica universitaria. Il lettore potrà trovare nelle considerazioni espresse dall’Autore spunti di riflessioni su argomenti e fatti, una volta considerati tabù e oggi invece tollerati come comportamenti abituali.

FUN , FRESH, COOL. ERGO BEVO!

Sulle motivazioni che ci spingono a bere Il presente contributo è da intendersi come una finestra da cui affacciarsi per guardare un fenomeno in forte espansione, quotidianamente presente in tutte le città occidentali, e senza andare tanto lontano, anche sotto casa nostra: l'intossicazione da alcol tra gli adolescenti. Si affrontano alcune tra le principali questioni del bere, con il tentativo di rintracciare le origini del fenomeno tra i giovanissimi. In fondo al lavoro si trova un test rapido, promosso dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, di auto (e etero) somministrazione, per “l'individuazione del bere problematico”. E infine, per chi volesse approfondire l'argomento, una bibliografia, assolutamente non esaustiva, da cui ha tratto ispirazione il lavoro. Domandarsi il perché si è indotti a bere in modo smodato, abbuffandosi di alcol più di una volta a settimana, credo sia un interrogativo cui occorra darsi delle risposte e con una certa immediatezza. Secondo le rilevazioni statistiche annuali

dell'Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) il consumo di alcol è correlato al 10% di tutte le malattie, al 10% di tutti i tumori, al 63% di cirrosi epatiche, al 41% degli omicidi, al 45% degli incidenti (in generale) e al 9% delle malattie croniche. Se consideriamo l'Europa il dato risulta allarmante visto che ogni quattro ragazzi di età compresa tra i 15 e i 29 anni uno muore a causa del consumo di alcol. E in Italia il 50% dei decessi annuali causati da guida imprudente sono determinati dal fattore alcol (fonte ISTAT, 2006b; 2008) . L'Osservatorio Nazionale Alcol del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (CNESPS) dell'Istituto Superiore di Sanità, nel 2009 ha presentato durante l'Alcohol Prevention Day, una ricerca annuale (giunta alla terza edizione) sperimentata nelle discoteche italiane nell'ambito del progetto “il Pilota”. Dallo studio emerge una conferma di abuso di alcol tra i giovani: il 42% dei ragazzi e il 21% delle ragazze che bevono sino ad ubriacarsi ha meno di diciotto anni.

Tali percentuali tendono a diminuire con il crescere dell'età, fino a raggiungere il 7,5% per i maschi e il 5,5% per le femmine per quelli di età maggiore ai venticinque anni. Da una parte il dato è confortante –vale a dire che al crescere dell'età subentri una maggiore capacità di giudizio e di discernimento- dall'altra dimostra quanto i giovanissimi siano potenzialmente a rischio di sviluppo di condotte antisociali e di comportamenti violenti, in quanto privi di principi autoregolativi, tipici di chi è totalmente obnubilato dagli effetti dell'alcol. Un ulteriore dato rilevato dallo studio riguarda le percentuali di bevitori tra i giovani del Nord e del Sud. Se ad esempio consideriamo la Campania e la Sicilia i consumi di alcol riguardano il 47% degli intervistati a differenza del Friuli Venezia Giulia in cui si toccano punte del 72%. Questo dato se riportato alle condizioni socio-economiche, alle temperature decisamente più rigide e alla cultura genitoriale particolarmente propensa nel

Nord al bere, a qualsiasi ora, giustifica il risultato a favore del meridione; anche se, in un mondo ormai globalizzato, non è da escludere che si possano concretizzare cambiamenti peggiorativi negli stili e abitudini del sud. Il bere come lo intendiamo oggi, cioè una una moda e stile di vita, (chi beve si sente “figo”, per intenderci) accoglie una fascia di età molto ampia (a partire dai tredici anni); non a caso si parla in letteratura di social drinker. Il 9% dei giovani bevitori sono affascinati dal colore della bottiglia, dalla forma, e dal poter tenere in mano un oggetto di tendenza, come gli alcolpop (bevande gasate a moderato contenuto alcolico), con l'illusione di ingurgitare una singola quantità limitata di alcol in quanto la bevanda ha una nota fruttata, aromatizzata, che ne maschera la gradazione alcolica. In questi casi ci si dimentica che dalla sommatoria di tante bottiglie “accattivanti” ci si intossica di alcol, con il grande “vantaggio” di aver aumentato in modo esponenziale il fatturato

delle aziende che hanno puntato, con azioni mirate di marketing, alla produzione di bevande denominate appunto “fresh”, “cool” e “fun”. Il fenomeno del binge drinking (Wechsler H., 1992), ovvero del bere con la precisa volontà di ubriacarsi, fino a pochissimi anni fa non era una condizione particolarmente conosciuta in Italia; l'alcol ha sempre mietuto vittime e non è assolutamente un caso che in Italia l'attenzione mediatica sia stata spesso centrata sulle conseguenze dannose, ad esempio, del fumare, dell'uso di stupefacenti e pochissimo sugli effetti deleteri del bere. Quindi in un recente passato si moriva come oggi di alcol ma il fenomeno riguardava i forti bevitori (in letteratura definiti, e non soltanto per una questione di sola di traduzione, “heavy drinkers”), prevalentemente adulti . Cosa si intende allora per binge drinker? Secondo quanto riportato dagli studi di Wechsler è chi assume in una serata almeno cinque bevande alcoliche per gli uomini e almeno quattro per le donne; per altri studiosi, (Bloomfield K., et al., 1999) il binge drinker è chi beve in poche ore almeno dieci bevande alcoliche; l'Office of National statistics di Londra, considera indicativo di tale stato otto drink per gli uomini e sette per le donne (Baiocco et al., 2008). Le ricerche riguardo il “bere” ci aiutano a comprendere l'interesse della comunità scientifica nel categorizzare tale fenomenologia, e contemporaneamente configurano aspetti che vanno al di là di quanti bicchieri di drink occorrano per identificare il livello di intossicazione di un bevitore, dato su cui al momento gli studiosi non concordano essendo condizionato dal contesto sociale (e dal paese) di appartenenza. Queste considerazioni ci portano ad affrontare questioni più di carattere psicologico e cioè considerare gli effetti comportamentali che in buona sostanza possono manifestarsi dopo un'abbuffata di alcol. Mi riferisco ai comportamenti a “rischio” messi in atto dagli adolescenti, dannosi per se stessi e per gli altri (Bonino, et al., 2003). L'adolescente in generale vive in una condizione di cambiamento determinato dalle modificazioni psicofisiche in atto, e se intendiamo tale periodo come uno stato evolutivo della mente comprendiamo la complessità in cui si trova immerso. Ciò non necessariamente indica il fatto che l'adolescente possa vivere in uno stato di confusione o di mancanza di scelta. Infatti recenti studi hanno dimostrato che i nuovi adolescenti sono più sicuri (Offer, et al., 1992) e hanno le idee più chiare in relazione ai compiti di sviluppo (Palmonari, 2001), rispetto ai loro coetanei del passato, visti per lo più sofferenti e problematici. Ma allora cosa rappresenta l'alcol per gli

di Vito Giacalone

adolescenti e per i giovani adulti? Un'ipotesi suffragata da ricerche al riguardo asserisce che l'alcol possa essere inteso come un facilitatore di sviluppo ma che, inconsapevolemente, mette a forte “rischio”la costruzione dell'identità e la riorganizzazione affettivo relazionale. Detto in altri termini è come se l'adolescente volesse superare le difficoltà insite nella crescita attraverso un sistema che faciliti l'individuazione di scorciatoie di crescita; e l'alcol rappresenta una modalità che nell'ottica dell'hic et nunc risulta efficace, ma a medio termine fortemente pervasiva con risvolti a connotazione negativa. La ricerca di un'identità che transita anche attraverso la comprensione di cosa dà identità rispetto a cosa non la dia, richiede una sperimentazione sul campo dei confini comportamentali e relazionali. Il motore di tale ricerca interiore spesso è rappresentato dal bisogno, inteso come « […] uno stato di tensione […] dovuto alla mancanza di qualcosa […] e soggettivamente avvertito come uno stimolo che spinge l'individuo verso una meta in cui si annulla la tensione provocata dal senso di insoddisfazione […] ». (citazione tratta da: Galimberti, dizionario di psicologia, UTET). In un recente contributo Bonino, Cattelino e Ciariano (2003) esaminano alcune funzioni strettamente legate alla crescita dell'adolescente che possono essere facilitate dall'uso di alcol. Il bere è stato associato in particolar modo al bisogno di sentirsi adulto, di acquisire e affermare l'autonomia, di trasgredire e superare i limiti, di fuggire dalla realtà. A conferma di quanto appena riportato, Baiocco, D'Alessio e Laghi (2008) analizzano i motivi che spingono i


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Pag. 4 giovani bevitori a bere. Dapprima vi è una sorta di idealizzazione dell'alcol, come se fosse attraente, successivamente anelano i momenti in cui poterlo fare, perché, in un certo senso, ne soddisfano i bisogni personali. E' come se, secondo i bevitori, il bere migliori l'immagine di Sé, la regolazione emotiva, in quanto si possono smussare aspetti relativi alla gestione delle emozioni l'essere di umore negativo contrapposto all'essere apparentemente spensierato, allegro - e lo stile di vita ( il bere come rituale di passaggio all'età adulta). Il rischio per chi beve senza controllo è quello di considerare l'alcol un oggetto transizionale, cioè uno strumento con un potere rassicurante, a difesa dall'ansia, in grado di permettere il salto verso l'età adulta. In realtà nessuno strumento ha tale potere e in questo caso l'alcol agisce con una forza dirompente, facendone diventare il bevitore totalmente schiavo. La sicurezza che si acquisice nell'essere vittima di un tale stato alterato di coscienza è illusoria e fuorviante; sono momenti, o poche ore, in cui il comportamento è autocentrato, e tutto ruotasse intorno alla persona. Terminato l'effetto il risultato è inevitabilmente tendente al depressivo, portatore di sconforto, solitudine e nei casi più gravi di alienazione. Allora cosa occorre fare per riprendere tono? Ritornare a bere. In questo modo si rischia di entrare in un loop e reiterare quotidianamente lo scenario appena descritto, considerando che il bevitore, inserito in questo schema, ormai è soggetto ad una dipendenza fisica e psicologia. Nel momento in cui il soggetto è in astinenza dal bere si manifesta il craving fisico e psicologico (Federico, in Baiocco et al., 2008). Il craving fisico è evidente nel heavy drinker che decide (o lo inducono a farlo) di smettere di bere; il risultato è la manifestazione di una serie di sintomi tra cui:

nausea, sudorazione agitazione, tremori, (e così via). Il craving psicologico in molti casi riporta il soggetto a ritornare a bere, visto che l'euforia o il rilassamento, il forte senso di sé, tipico di chi beve, rappresentano forti richiami, soprattutto in chi non ha costruito una sufficiente coesione d'identità. E il non bere può portare alla manifestazione di stiti depressivi, disforia, ansia generalizzata. Da

non sottovalutare sono anche gli effetti sulla memoria. Senza entrare nel merito dei danni cerebrali determinati dall'alcol, tra cui il mal funzionamento dell'ippocampo (White, 2003) e dei lobi frontali (Ranganath, et al., 2003), si ricorda che il forte bevitore è anche soggetto ad amnesia anterograda, cioè il non ricordare gli accadimenti avvenuti durante l'abbuffata di alcol; in questo stato è

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facile che il bevitore assuma comportamenti incontrollati, di cui ne sono esempio le violenze in ambito familiare. Da un punto di vista statistico un adolescente che beve tanto ha maggiori probabilità di diventare alcolista da adulto, di assumere stupefacenti, di condurre una vita sessuale promiscua, così come di guidare in stato di ebbrezza e essere violento, divenendo così un pericolo per gli altri. Detto in altri termini niente di così edificante che valga la pena perseguire verso tale direzione. Se prendiamo in considerazione tutti gli aspetti appena menzionati, le possibilità di risoluzione positiva, ovvero di uscirne fuori, sono decisamente minime; occorre un'azione di sistema che aiuti l'adolescente o il giovane adulto, in generale, a far un percorso preventivo, di conoscenza approfondita dei pericoli nel portare avanti una vita priva di regole e di comportamenti appropriati; e nel caso dei forti bevitori di cominciare contemporeanamente un percorso di disintossicazione e di costruzione di un'immagine di sé più positiva supportata da un'adeguata psicoterapia. Una pronta informazione, che parta dalla Scuola e giunga ai Ragazzi, passando per le Famiglie, permetterebbe di alzare un fronte unito a contenimento di questo fenomeno sempre più crescente. In merito a quanto affermato i medici dell'Ospedale “Bambin Gesù” di Roma recentemente hanno realizzato un decalogo per i genitori sui pericoli dell'alcol, e uno per ragazzi. Le guide possono essere facilmente scaricate on line dal sito del Centro Nazionale di Epidemiologia, Sorveglianza e Promozione della Salute (EpiCentro) dell'Istituto Superiore di Sanità: http://www.epicentro.iss.it/temi/alcol/indice _alcol.asp. Per contatti: vgiacalone@formamentisweb.it

Test rapido per l'individuazione del bere problematico [Fonte: Hodgson R., Alwyn T., John B., (2002), The fast alcohol screening test, Alcohol and Alcoholism, 37, 61-66. (La traduzione in italiano del test è del prof. Roberto Baiocco)] Descrizione Il test d'identificazione precoce dei disturbi causati dall'uso di alcol (AUDIT), proposto dall'Organizzazione Mondiale della Sanità, è standardizzato a livello internazionale e possiede un'ottima sensibilità e specificità, Il test è breve e flessibile e si accorda alle definizioni della X edizione della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD-lO) sulla dipendenza e sull'uso dannoso da alcol. Istruzioni Rispondi alle seguenti domande e calcola il punteggio totale del test sommando il numero a fianco all'alternativa di risposta da te indicata. 1. Con quale frequenza consumi una bevanda alcolica? __ mai (o) __ una volta al mese o meno (1) __ da 2 a 4 volte al mese (2) __ da 2 a 3 volte a settimana (3) __ 4 volte o più di 4 volte a settimana (4) 2. Quanti drink alcolici consumi durante una tipica giornata in cui bevi? __ nessuno (o) __ 1 o 2 (o) __ 3 o 4(1) __ 5 o 6 (2) __ da 7 a 9 (3) __ 10 o più (4) 3. Quante volte hai mandato giù più di 6 drink in una occasione? __ mai (o) __ meno di una volta al mese (1) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) _giornalmente o più di una volta al giorno (4) 4. Durante lo scorso anno quanto spesso ti sei reso conto di non essere stato capace di smettere di consumare alcol dopo aver iniziato a bere? __ mai (o)

__ meno di una volta al mese (l) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) __ giornalmente o più di una volta al giorno (4) 5. Durante lo scorso anno quante volte sei stato incapace di comportarti secondo le attese (cioè in modo normale) a causa del bere? __ mai (o) __ meno di una volta al mese (1) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) _giornalmente o più di una volta al giorno (4) 6. Durante lo scorso anno quante volte hai sentito il bisogno di bere al mattino un drink dopo una serata ad alto consumo alcolico? __ mai (o) __ meno di una volta al mese (1) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) _giornalmente o più di una volta al giorno (4) 7. Quante volte nell'arco dell'ultimo anno ti sei sentito colpevole o hai avuto un senso di rimorso per aver bevuto troppo? __ mai (o) __ meno di una volta al mese (1) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) _giornalmente o più di una volta al giorno (4) 8. Quante volte nell'arco dell'ultimo anno ti sei dimenticato quello che è avvenuto perché la sera prima avevi bevuto troppo? __ mai (o) __ meno di una volta al mese (1) __ una volta al mese (2) __ una volta a settimana (3) _giornalmente o più di una volta al giorno (4) 9. A causa del bere hai avuto incidenti o li hai provocati a familiari o amici? __ no (o)

__ sì, ma non durante lo scorso anno (2) __ sì, durante lo scorso anno (4) 10. Vi è un familiare, un amico, un dottore che è preoccupato per il modo in cui bevi e ti ha consigliato di smettere? __ no (o) __ sì, ma non durante lo scorso anno (2) __ sì, durante lo scorso anno (4) Scoring Il punteggio totale del test si calcola sommando i numeri a fianco all'alternativa dì risposta indicata dai soggetti. Il punteggio complessivo di 8 è stato indicato come cutoff con la migliore sensibilità e specificità per l'individuazione dei bevitori a rischio. In base al punteggio di scala ottenuto è possibile categorizzate il soggetto nelle tre categorie proposte: punteggi inferiori a 8: nessun problema alcolico, probabilmente il soggetto non ha nessun problema alcolico diagnosticabile: punteggi tra 8 e 11: comportamento di abuso alcolico, si segnala la presenza di un abuso alcolico e si suggerisce al soggetto dì modificare il proprio comportamento nei confronti del bere; punteggi superiori a 11: dipendenza alcolica, il soggetto è caratterizzato da un problema nei confronti dell'alcol, sì consiglia di intervenire e di rivolgersi a uno specialista. Bibliografia ? Baiocco R., D'Alessio M., Laghi F., (2008), I Giovani e l'Alcol, il Fenomeno del Binge Drinking, Carocci Faber, Roma. ? Bloomfield K., et al., (1999), Alcohol Consumption and Alcohol Problems among Women in European Countries, Institute for Medical Informatics, Biostatistics and Epidemiology, Free University of Berlin, Berlin. ? Bonino S., Cattelino E., Ciariano S.,

(2003), Adolescenti a Rischio, Giunti, Firenze. ? CNESPS dell'Itituto Superiore di Sanità, (2009), il Pilota; la ricerca è stata finanziata dal Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, Roma. ? Galimberti U., (1994) Dizionario di Psicologia, pp. 139-42, UTET, Torino. ? Hodgson R., Alwyn T., John B., (2002), The fast alcohol screening test, Alcohol and Alcoholism, 37, 61-66. ? ISTAT, (2008), indagine multiscopo su rilevazioni del 2007: l'Uso e l'Abuso di Alcol in Italia, Roma. ? ID. (2006 b), l'Uso e l'Abuso di Alcol in Italia, Roma. ? Offer D., et al., (1992), Debunking the Myths of Adolescence: Findings from Recent Research, in Journal of the American Academy of Child and Adolescent Psychiatry, 31, pp. 1003-14. ? Palmonari A., (2001), Gli Adolescenti, Il Mulino, Bologna. ? Ranghanath C., Jhonson M. K., D'Esposito M., (2003), Prefrontal Activity Associated with Working Memory and E p i s o d i c L o n g - t e r m M e m o r y, i n “Neuropsychologia”, 41, pp. 378-89. ? Wechsler H., Isaac N., (1992), “Binge” Drinkers at Massachusetts Colleges. Prevalence, Drinking style, Time Trends, and Associated Problems, in “Journal of the American Medical Association”, 267, 21, 2929-31. ? White A. M., (2003), What Happened? Alcohol, Memory Black-outs, and the Brain, in “Alcohol Research & Health”, 2, 2, pp. 186-96.


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COLPO DA MAESTRO: LA FACCIATA DI CONSAGRA, VENT’ANNI DOPO di Gabriele Mulè Le reclame pubblicitarie sono tanto più efficaci quanto sono ripetute: la campagna deve essere continua e martellante. E, se il messaggio è buono, se lo slogan è vincente, allora non c'è neanche bisogno di modificarlo, di studiarne uno nuovo: basta riprenderlo, ciclicamente, rilanciarlo senza cercare una nuova veste. il pubblico sa già di cosa si sta parlando. Così il battage pubblicitario per la vexata quaestio sulla facciata di Consagra riprende nelle stesse forme e con le stesse formule cui nel corso degli anni ci siamo abituati. Il rilancio della proposta, “i dialoghi intercorsi con l'assessorato ai Beni culturali”, “il tributo doveroso ad un artista mazarese di fama internazionale”, “i sopralluoghi di studio”, “la promessa di finanziamenti”, eccetera, eccetera. L'obiettivo dei promotori della facciata di Consagra: rimediare a quer pasticciaccio brutto dell'ex-palazzo municipale. Il risultato: una grande fumata nera. Ora vi spiego come funziona. Da quando il progetto dello scultore fu presentato e non realizzato, grava sui suoi sostenitori un senso di incompiuto, generato, in buonissima fede, dall'opportunità di una duplice azione di rimozione: rimuovere dallo spazio fisico della principale piazza della città lo sfregio del palazzaccio, e dalla coscienza il senso di colpa di non essere riusciti ad impedirne la costruzione. Ho seguito con diretto interesse la campagna pubblicitaria pro-facciata di Consagra 2002, con la stessa collaudata tecnica di comunicazione oggi messa in campo: “i dialoghi intercorsi con l'assessorato ai Beni culturali”, “il tributo doveroso ad un artista mazarese di fama internazionale”, “ i sopralluoghi di studio”, “la promessa di finanziamenti” ed un inquietante titolo di giornale (“La facciata di Consagra si farà”). Tanto che, animato da giovanile ardore e fanciullesca ingenuità, mi mobilitai insieme ad altri compagni di studi, per una proposta modesta: un concorso di idee. Eravamo sinceramente preoccupati che, come d'uso, si praticasse una scelta senza un momento di confronto: una scelta subìta, che giudicavamo arbitraria ed autoritaria. Scrivemmo al Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per i Beni Architettonici ed il Paesaggio: ci rispose con estrema sollecitudine (prima dell'effetto Brunetta) il direttore dr.ssa Maddalena Ragni (4 luglio 2002, prot. 25580) inviandoci, per

conoscenza, la richiesta alla soprintendenza di Trapani “di diretto riscontro alla segnalazione concernente la facciata del municipio di Mazara del Vallo”. Era già qualcosa. Ci tranquillizzarono definitivamente i Carabinieri del Comando Tutela Patrimonio Culturale , Ufficio Comando-Sezione Operazioni di Roma. Il capo-uffico Ten. Col. Francesco Maria Benedetti Aloisi, con lettera datata 6 settembre 2002, scrisse: “nel ringraziarLa per la segnalazione pervenuta, volta alla salvaguardia del patrimonio artistico-culturale nazionale, Le comunico che il progetto dello scultore P. Consagra fu rigettato dalla Soprintendenza B.C.A. di Trapani nel 1986, e sebbene sia di dominio pubblico la notizia di una sua imminente realizzazione, non risulta che tale progetto sia stato ripresentato per l'approvazione. Pertanto la notizia dell'imminente restauro del Palazzo municipale di Mazara del Vallo, con il vecchio progetto dello scultore P. Consagra, è priva di fondamento”. Complice anche il nome decisamente cammilleriano del Tenente Colonnello, mi esercito in una lettura cammilleriana della missiva ricavandone due deduzioni. La prima: qualunque intervento in piazza della

Repubblica si inserisce (nel caso ci fossero dubbi in proposito) in un contesto di rilevanza artistico-culturale che è patrimonio collettivo della comunità locale e della nazione. Dunque a prescindere dal merito e dalla bontà delle proposte progettuali, si dovrebbe ascoltare la volontà della comunità di partecipare delle scelte su questioni che, a buon diritto, considera come

collettive: un desiderio di partecipazione che dovrebbe essere incentivato, promosso, incanalato nelle giuste forme e non mortificato. I processi partecipativi cui aspira la comunità si manifestano nelle chiacchiere che animano i luoghi di ritrovo: tutti, o quasi tutti, sono pronti ad esprimere un'opinione sulla facciata di Consagra. Un valore, quella

della partecipazione attiva, che i cittadini di questa città hanno progressivamente riscoperto, assaporando il piacere di essere protagonisti. Il caso Bertolino, vivamente seguito, per i risvolti di tutela e conservazione del proprio territorio ed ambiente, è un caso esemplare. Mettendo da parte opinioni e giudizi, legati non solo all'opera in sé ma al suo inserimento nel contesto urbano, ciò che rimane è il vuoto pneumatico sul tema generale della riconfigurazione di uno degli spazi cittadini più rappresentativi. Non un incontro, non un dibattito, non un convegno di studi, non un concorso per capire, discutere, approfondire. Non un ventaglio di proposte su cui argomentare, ma la sola alternativa della facciata di Consagra che,

peraltro, non è mai stata spiegata con metodo divulgativo: correndo il colpevole rischio (per nulla scampato, anzi) di rimanere estranea ed aliena alla maggior parte dei cittadini, vezzo culturale di pochi e non, come dovrebbe essere, monumento rappresentativo di tutti. Questo non è un invito a desistere dalle proprie posizioni e dalle proposte: ma è un invito ad ampliarle. A dibattere ad esempio sul significato che quest'opera ormai postuma, se realizzata, esprimerebbe a vent'anni dalla sua ideazione, senza nascondersi dietro l'alibi del risarcimento ad un maestro cui la sua città natale non ha saputo, fino ad oggi, rendere il dovuto omaggio. Dibattiamo sull'attualità dell'opera di Consagra, nel contesto culturale in cui, oggi, ci troviamo a vivere. Nutriamo la consapevolezza delle scelte, senza temere il confronto, parlando apertamente di anacronismi e di attualità, di scelte futuristiche e di ritorno al passato. Per questo è meritevole lo sforzo di organizzare una mostra su Pietro Consagra: è un punto di partenza esemplare, doveroso, corretto. Ma pur sempre un punto di partenza, non di arrivo, perché la bontà delle proprie idee si misura confrontandole. E abbiamo bisogno di tutto in questa città, ma non di altre opere controverse. Infine, a chiudere, la seconda deduzione che traggo dalla rilettura cammilleriana della missiva del tenente colonnello Francesco Maria Benedetti Aloisi. “La notizia dell'imminente restauro del Palazzo municipale di Mazara del Vallo, con il vecchio progetto dello scultore P. Consagra, è priva di fondamento”: ed “i dialoghi intercorsi con l'assessorato ai Beni culturali”, “il tributo doveroso ad un artista mazarese di fama internazionale”, “i sopralluoghi di studio”, “la promessa di finanziamenti”, i titoli di giornale del 2002? Seppelliti dal tenente, con un'affermazione lapidaria e senza l'onore delle armi: solo un altro caso di pubblicità ingannevole. Roba da Antitrust.

L´ARCO ALLA FONDAZIONE GARRONE La presentazione dei progetti che quest'anno partecipano al Premio Cattedra Edoardo Garrone, promossa a Siracusa il 22 e 23 Gennaio in seno alla Scuola di alti Studi in Economia del Turismo Culturale dalla Fondazione Edoardo Garrone di Genova, è stata occasione per distribuire ai presenti alcune copie degli ultimi tre numeri de L´Arco, a presentazione delle attività dell´associazione Arco-baleno onlus. Durante l´illustrazione di un progetto di valorizzazione e gestione del patrimonio culturale di Mazara del Vallo (M.U.MA., Musei Urbani di Mazara), centrato sul

tema della multi-culturalità e dell´integrazione, sono stati distribuiti ai giovani professionisti provenienti dal territorio nazionale e ai rappresentanti della Fondazione, alcuni numeri de L´Arco a testimonianza della vivace attività dell´associazione a sostegno del dibattito culturale locale. Alla dott.ssa Alessandra Gentile, referente della Fondazione Garrone, è stata concisamente illustrata la missione di Arco-Baleno onlus, sottolineandone le iniziative culturali sui temi dell´integrazione e le attività di beneficenza destinate al Burkina-Faso.


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I CARATTERI DELLA NAZIONE ITALIANA RITROVATA: MOVIMENTO ARISTOCRATICO E NON POPOLARE DELL’UNITÀ D’ITALIA di Onorato Bucci A parlare per primo di Nazione Italiana fu Saverio Bettinelli (18 luglio 1718, Matova, 13 settembre 1808, gesuita) con Del Risorgimento d'Italia negli studi, nelle arti e nel costume dopo il Mille, del 1775 dove, peraltro, per la prima volta si usa il termine Risorgimento. È tuttavia nell'età dei Comuni, che culmina in Dante, il periodo più glorioso della nostra storia. E fu poi Benvenuto Robbio di San Raffaele che usa il termine Risorgimento come recupero, sorgere di nuovo di una cultura italiana nata ancor prima di Dante, nel secolo di Augusto, tale da essere “maestra di tutte le nazioni ringentilite d'Europa” (con Secolo d'Augusto, Milano, 1769). E se entrambi non facevano riferimento all'unità politica, certo parlavano di una unità culturale e spirituale d'Italia, riannodandosi a Roma, al secolo di Augusto. A questo dato, riandarono Santarosa, Balbo, Vidua, Gioberti, Galeani, Napione, Denina, ma soprattutto Vittorio Alfieri che profetizzò come da una Italia “inerme, divisa, avvilita, non libera e impotente” sarebbe nata una Italia virtuosa,

magnanima, libera e una. Si può allora capire perché i patrioti napoletani del 1848 poterono dire “ecco l'Italia futura d'Alfieri”: dai Napoletani ai Lombardi, da Mazzini a Guerrazzi, da Santarosa a Gioberti e a D'Azeglio, tutti riconoscono in Alfieri il padre della nuova Italia. Questa concezione dell'Unità d'Italia fu tutta aristocratica e di questo erano consapevoli gli Autori del Risorgimento. Lo attesta Foscolo che ebbe a dire “quanto alla plebe, non accade parlarne; e in qualunque governo le basta un aratro o il modo d'aver del pane, un sacerdote e un carnefice; e si deve lasciare in pace, perché, per quanto santa sia la ragione che la sommove, ogni suo moto finisce in rapine, in sangue, in delitto; e com'ella si è avveduta della sua forza, è difficile renderla debole”. Cattaneo avversò questa posizione foscoliana, e così fece Cuoco che ritenne dovere morale l'opera di colmare l'abisso che si era creato tra popolo e minoranze intellettuali, e lo fece in nome di Vico, e dalla fusione del pensiero dell'Alfieri e di Vico, nacque la nuova Italia.

MASSONERIA E UNITÀ D’ITALIA Quanto influì la Massoneria (l'Associazione segreta creata il 24 giugno 1713, giorno di S.Giovanni, santo patrono dell'associazione che a Londra si formò con la riunione di quattro logge operative preesistenti la prima grande loggia simbolica, ad opera del reverendo anglicano James Anderson, già iniziato da A b e r d e e n e l 1 7 1 0 , J o h n Te o p h Desagueliers, già iniziato a Londra nel 1715 e poi, gran maestro, John duca di Montagu che sarà poi gran Maestro dal 1721) sulla formazione dell'Unità italiana? Certamente molto, ma meno di quanto si possa pensare, perché a operare sulla costruzione dell'Unità italiana fu l'Inghilterra come Impero Britannico (che si servì di Lord Bentick rappresentante del Governo britannico in Sicilia) e la Carboneria che nasce indipendentemente dalla Massoneria e che ne subì il fascino.

L’arco ANNO XXIII n. 1 MARZO 2010 Periodico dell’Associazione Culturale “L’Arco”

Fondatore Giuseppe Fabrizi Direttore Responsabile Onorato Bucci Comitato di redazione Onorato Bucci - Giuseppe Fabrizi Pietro Foraci - Enzo Gancitano Nino Gancitano - Gabriele Mulé Michele Norrito - Giuseppe Pernice Tonino Salvo Segreteria di Redazione Bice Provenzano Redazione Via G. Toniolo, 3 - 91026 Mazara del Vallo Registrazione Tribunale di Marsala n.86-5/89 del 2/3/1989 Finito di stampare presso: Rallo s.r.l. Mazara del Vallo

Comunque, la prima loggia italiana fu quella di Firenze (1733) cui seguì quella di Roma (1735) sulla base di «lavori» massonici come furono chiamati, quelli eseguiti da Martino Folkes nel 1724, mentre nel 1738 una loggia massonica veniva fondata in Savoia, a Chambery e a Napoli nel 1743, diffondendosi così in tutta la Penisola, tanto che nel 1753 Carlo Goldoni allude chiaramente alle logge massoniche nella sua Commedia Le donne Curiose. Non c'è dubbio che i carbonari sottoposti ai giudizi dei Trinunali dei vari Stati italiani risultassero iscritti anche alla massoneria, ma questa, per il suo forte spirito anticlericale, non attecchì profondamente se non nella sua fase ugonotta di derivazione francese che fu vera e propria organizzazione parastatale fiancheggiatrice della dominazione francese in Italia. E nella fase anticlericale, anzi anticattolica, essa operò dopo il 1860 in tutte le contese del nuovo Regno d'Italia giustificando ampiamente la condanna della Santa sede fin da Clemente XII (In Eminenti Apostolatus Specula, 28 aprile 1738), confermata da Benedetto XIV (Providas Romanorum Pontificum, 18 maggio 1751), Pio VII (Ecclesiam a Jesu Christi, 18 maggio 1751), Leone XII (Quo Graviora, 13 marzo 1825), Pio IX (Qui Pluribus, 9 novembre 1846) e l'allocuzione Multiplices inter del 2 settembre 1865), Leone XIII (Humanum genus, 29 aprile 1884 e la lettera apostolica Praeclara gratulationis, 20 giugno 1894).

ANCHE L’ARCO RISPETTA L’AMBIENTE: QUESTO NUMERO È STATO STAMPATO SU CARTA RICICLATA

di Iolanda Palazzo

Ricordiamo ai nostri lettori che questo giornale (e tutti i numeri precedenti) possono essere consultati in rete internet alla pagina: www.arcomazara.it

e che si può collaborare inserendo commenti, articoli, proposte e critiche alla pagina: www.arcomazara.it/forum.html


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