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L’arco Aprile 2009

ANNO XXII n. 1

PERIODICO DELL’ASSOCIAZIONE CULTURALE “L’ARCO” - MAZARA DEL VALLO - Reg. Trib. Marsala n. 86-5/89 del 2/3/1989 - Distribuzione gratuita

Editoriale

RINNOVARSI... IN SILENZIO! di Giuseppe Fabrizi Per tanto tempo … troppo tempo, l’Arco è rimasto in silenzio! Ma ciò non è certo avvenuto perché non avevamo niente da dire, o, perché non era successo nulla in Mazara e dintorni, tutt’altro! La crisi economica, che ha colpito il nostro Paese, non ha lasciato indenne nemmeno l’Arco ed ha condotto ad alcuni mutamenti fondamentali! E’ stato un periodo lungo, intenso di riflessioni e profondi cambiamenti, che hanno portato noi e l’organigr amma del nostro gior nale ad un importante confronto costruttivo di forte crescita culturale. Tra tutto ciò, l’evento più importante è stato sen za dubbio il disimpegno, per motivi strettamente personali, del nostro direttore Nino Corleo, che ci ha accompagnato sin dalla nascita, con perizia ed intelligenza, con amore e con dedizione, sino ad oggi. Al dott. Corleo va naturalmente il nostro più sentito grazie per questi meravigliosi anni vissuti insieme, con grande spirito di collaborazione ma anche con intensi confronti dialettici, improntati sempre però a rispetto reciproco, stima e, soprattutto, a grande amicizia! Ci lascia l’eredità pesante di un giornale libero, di una voce forte ed indipendente da ogni condizionamento politico e social-culturale, di un giornale, consentitemi, anche se non sempre puntuale, però ben fatto ed inappuntabile! Al nuovo Direttore, il Prof. Onorato Bucci, va la nostra riconoscenza, per aver accettato con entusiasmo di gestire questa avventura culturale, in una terra non così lontana, se la Provvidenza ha voluto infatti che uno dei figli più diletti di questa città si laureasse proprio con Lui, discutendo la tesi anche con Sua Eminenza, il Cardinale Tarcisio Bertone, Segretario di Stato del Vaticano. Al Prof. Bucci, direttore del dipartimento di Scienze Giuridiche presso l’Università degli Studi del Molise, tutti noi, dell’Associazione Culturale l’Arco, esprimiamo il più caloroso e cordiale benvenuto ed auguriamo un lungo e proficuo percorso insieme! E’ trascorso più di un anno da quando S.E. Mons. Vito Rallo è stato ordinato vescovo, nella sua amata Mazara, ed inviato da Sua Santità, come Nunzio Apostolico, in Burkina Faso e Niger, tra i più poveri della terra! Nel frattempo sono successe tante cose! Il nostro giornale, l’Arco, è stato apprezzato da Sua Santità Benedetto XVI , durante una solenne cerimonia in Vaticano! Diverse iniziative di solidarietà, sempre per il Burkina Faso e Niger, sono state avviate a Mazara: dal concerto di beneficenza in piazza San Michele, organizzato dall’Associazione “Mozart”, alla cena di beneficenza, organizzata presso il Mahara Hotel, sino al pranzo pre-natalizio, svoltosi presso il Kempiski Hotel e organizzato dalla Associazione-onlus “ Il fratello”. E’ nata, infine, per iniziativa spontanea, un’Associazione, denominata ARCO-baleno onlus, senza fini di lucro e senza colorazioni politiche, che ha lo scopo statutario di promuovere iniziative benefiche a favore dei bambini del Burkina Faso e Niger, e che è già molto attiva, anche sul territorio nazionale! Mai per tanto, come nel caso dell’Ar co, possiamo dire che il silenzio… è d’oro!

SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI RICEVE DAL PROF. GIUSEPPE FABRIZI UNA COPIA DEL NUMERO SPECIALE DEL NOSTRO PERIODICO DEDICATO ALL’ORDINAZIONE EPISCOPALE DI S.E. MONS. VITO RALLO

SALUTO AI LETTORI di Onorato Bucci

Come si fa a diventare direttore responsabile di una testata di provincia, e per giunta a Mazara del Vallo, in terra di Trinacria? Ma come si fa, e perché, ad accettare una proposta del genere? Ed infine, cosa c’entra il professore Onorato Bucci, ordinario di diritto romano nell’Università degli Studi del Molise cui è pervenuto dagli Studi orientalistici passando per l’Iranistica, con 34 anni di insegnamento nella Pontificia Università Lateranense e circa 40 anni al servizio della Santa Sede consultore di Congregazione e Dicasteri romani ed ora membro del Pontificio Comitato per le Scienze Storiche? Mazara del Vallo, tra Capo Feto e Capo Granitola, la incontro al Laterano conoscendo don Vito Rallo, giovanissimo sacerdote lì mandato dal suo Vescovo per addottorarsi in Utroque Jure, diritto canonico e diritto civile. Lì, al Laterano, dove incontro anche l’attuale Vescovo di Mazara che la Provvidenza volle indirizzare in un cammino diverso da quello di don Vito, quel giovane sacerdote si laurea con me e con l’allora don Tarcisio Bertone, salesiano, ora Segretario di Stato di Sua Santità Benedetto XVI. Continua a pag. 2


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Pag. 2 SALUTO AI LETTORI di Onorato Bucci

dalla prima pagina

Mazara del Vallo la incontro un ventennio dopo, mentre don Vito serviva la Santa Sede fra Seul, Behirut, Madrid e Strasburgo, a Campobasso, nella facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi di Siena. Con Maria Assunta Libertucci Marascia, che si laurea con me, con una dissertazione su un antico documento giuridico su Mazara, continuando a tenere viva la conoscenza di quel lembo di Sicilia, come era avvenuto per don Vito Rallo, anche se quest’ultimo con tutt’altro respiro, e nello scenario complesso e organico della Chiesa siciliana. Mazara del Vallo la incontro a Roma, ancora con Giuseppe Fabrizi, alla Facoltà di Medicina dell’Università Cattolica del Sacro Cuore con l’annesso Policlinico “Agostino Gemelli”: un incontro incredibile (nel senso non prevedibile) e inaudito (nel senso di non pensabile), ma realmente accaduto, realmente vissuto, rafforzato poi nel tempo con il suo trasferimento alla facoltà di Medicina e Chirurgia dell’Università degli Studi del Molise, a Campobasso. E qui la memoria si salda, perché Mazara la ritroviamo tutti e tre, chi scrive, Giuseppe Fabrizi e Maria Assunta Libertucci Marascia, intorno a don Vito Rallo, che diventa così il filo di una memoria ricostruita e rivissuta, padre Vito, come lo chiama Fabrizi. Mazara del Vallo diventa cemento di amicizia quando l’antico mio studente, compiuto l’iter di preparazione diplomatica e superata la prova con giudizio positivo da parte dei Superiori, viene elevato al Vescovado e nominato Nunzio Apostolico nel Burkina Faso e ad ordinarlo Vescovo è proprio quel suo professore, don Tarcisio Bertone, ora Cardinale e Segretario di Stato del Vescovo di Roma. E a Mazara, all’ordinazione episcopale, è presente anche chi scrive, l’altro professore di don Vito Rallo, che diventa Vescovo e sul cui capo hanno posto le mani i Vescovi della Sicilia intera, fra cui il Vescovo di Caltagirone che già si era addottorato con me, sempre al Laterano. Lì, all’ordinazione episcopale di don Vito, scopro l’ “Arco”, l’ “Arco Associazione” e l’ “Arco” testata giornalistica, con Giuseppe Fabrizi che fa da legame, incredibile e fortunato legame, in una Mazara il cui scenario di amicizia si aggiunge alle miriadi di esperienze che questa terra raccoglie, e conosce, e memorizza. Il disegno della Provvidenza veniva così storicizzato in terra di Mazara. In quell’occasione, in quell’ordinazione episcopale, Mazara, Mazara del Vallo, non è più solo oggetto di conoscenza e di studio per chi scrive, come era stato fino ad allora, o il condividere i ricordi con Giuseppe Fabrizi (con il quale – Ahi la Provvidenza! – scopriamo di avere in comune la Guardia di Finanza, e nel passato delle Fiamme Gialle dei nostri Genitori, ritornano i ricordi di mio padre in servizio a Termini Imerese, e poi ad Enna e poi a Calascibetta), ma vita dello spirito che memorizza nella Cattedrale dove ammiro i tre sarcofagi romani raffiguranti Achille e Pentesilea, Meleagro e il cinghiale calcedonio, il ratto di Proserpina, e ricordo, recuperando le letture del mio passato liceale, la som igli anza con il sarc ofago di Rac alm uto. In quell ’occ asione, in quell’ordinazione episcopale, mi sono beato di Mazara, Mazara del Vallo, ho vissuto l’antico quartiere ora occupato dalla comunità tunisina, ho legato l’esperienza cristiana della città con quella islamica, ho tentato di capire attraverso la Chiesa normanna di San Nicolò e il portale siculo-gotico di Santa Maria della Giummare cosa unisca le esperienze storiche attraverso cui sono passati, con l’esperienza che ha dato vita alla chiesa di Santa Caterina, e mi sono beato di Selinunte, e sono riandato a Stefano di Bisanzio che ricorda Mazara sotto il nome di Mazare e ho pensato a quanto Mazara deve per la sua conoscenza storica all’Itinerarium Antonini. E ho scoperto i volti della gente di Mazara e, attraverso quei volti, i volti dell’intera isola che già conoscevo guardando negli occhi dei miei antichi allievi, diffusi in tutta la Sicilia, da Caltagirone a Messina, da Catania a Palermo, da Gela a Siracusa. E infine l’invito del Presidente dell’Associazione l’ “Arco”, ad essere direttore responsabile del giornale. Questo l’iter della mia chiamata a Direttore. Perché ho accettato? Perché tutto è avvenuto in modo spontaneo, onesto, pulito, disinteressato. Ed ora: cosa fare? Cosa fare subito? Mettersi al lavoro, e fare de l’ “Arco” un giornale vivo, palpitante, voce di una cultura e di una terra che sa e che deve offrire, a chi legge le sue pagine, speranze, e rimembrare ricordi dal suo passato perché diventi memoria. Sulla speranza da offrire e sulla memoria da conservare e proteggere sta la forza della testimonianza di una testata libera. E l’ “Arco”, allora, giornale di provincia, diventa eco di una nazione, la piccola grande nazione di Mazara, che contribuisce non poco a gettare archi di comprensione e di collaborazione fra posizioni diverse, per essere arcobaleno. Arco, che poi è il simbolo di Mazara, come Arcobaleno, con tutti i colori dell’iride.

Sabato 16 maggio 2009, ore 18.00 Aula Magna Seminario Vescovile – Piazza della Repubblica - Mazara del Vallo

Le associazioni “ARCO-baleno Onlus” e “L’Arco” di Mazara del Vallo, col patrocinio del Comune di Mazara del Vallo, propongono la conferenza:

“Mazara come modello di integrazione tra civiltà cristiana e civiltà islamica” Relatore il Prof. Onorato Bucci, Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Sociali e dell’Amministrazione della Università degli Studi del Molise, Membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche, Consultore della Congregazione per le Chiese Orientali e del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi della Chiesa.

L’ARCO

BURKINA FASO : IL “PAESE DEGLI UOMINI INTEGRI” di Pietro Foraci Durante l’atterraggio il primo impatto visivo con Ouagadogou, capitale del Burkina Faso, conferma le sommarie informazioni da viaggio raccolte prima della partenza ; pochi palazzi, una sterminata serie di piccole abitazioni disseminate su un territorio perlopiù brullo e punteggiato qua e là da alcune macchie di vegetazione che si intravedono appena tra le nuvole di polvere che si sollevano dalle strade in terra battuta. Il Burkina Faso, già Alto Volta, si trova nell’Africa Occidentale subsahariana, quella vasta parte del continente nero contrassegnata dalle peggiori condizioni di vita del nostro pianeta ; le statistiche indicano in 14,8 milioni gli abitanti dei quali la maggior parte vive in zone rurali anche se si registra un crescente flusso migratorio verso le principali città alla ricerca spesso vana di un maggior benessere. Il Burkina Faso è la seconda nazione meno sviluppata al mondo secondo l’Indice di Sviluppo Umano del 2007, una classifica redatta con cadenza annuale dall’Ufficio per il rapporto sullo sviluppo umano delle Nazioni Unite secondo un modello che estrapola e pondera differentemente una serie di dati statistici tra i quali l’aspettativa di vita media alla nascita (indice dell’adeguatezza del sistema sanitario), il tasso di alfabetizzazione e di partecipazione al sistema scolastico nazionale, il reddito annuo procapite. Quest’ultima grandezza è stimata dalla Banca Mondiale in 430 dollari americani ; il dato va interpretato insieme a quello del tasso di povertà, pari nel 2006 al 40,8% dell’intera popolazione burkinabè secondo il III Rapporto Annuale congiuntamente redatto dal Fondo Monetario Internazionale e dalla Associazione per lo Sviluppo Internazi o nal e. I dati indicano che il 27,2% della popolazione guadagna meno di 1 dollaro al giorno mentre il 71,8 % percepisce un reddito inferiore ai 2 dollari al giorno. Peraltro nello stesso rapporto si afferma come, nonostante il miglioramento degli ultimi anni consenta di sperare nel raggiungimento dell’obiettivo fissato dalla Organizzazione Mondiale della Sanità e dalla FAO del dimezzamento del tasso di povertà estrema entro il 2015, si aggravi ulteriormente una situazione di sostanziale ineguaglianza e quindi di disparità nel tenore di vita tra poche classi benestanti ed il resto della popolazione. La seconda impressione si ricava dando uno sguardo dal finestrino della vettura che percorre le strade della capitale affollate da una moltitudine ordinata di motorini e biciclette; ci si accorge ictu oculi delle condizioni fatiscenti delle case, molte delle quali costruite con mattoni ricavati da un impasto prevalentemente di argilla che si sciolgono come neve al sole con le prime piogge e vengono pazientemente ricostruite . A parte poche decine di negozi dagli standards quasi occidentali che si affacciano sulla principale arteria commerciale del centro, il resto dell’offerta dei beni avviene sul ciglio delle strade ove numerosi venditori ambulanti si affastellano rumorosi nell’offrire le loro mercanzie disposte alla bell’e meglio su rudimentali carretti, traballanti bancarelle, variopinti cesti di frutta ed ortaggi portati con innata grazia dalle donne od all’interno di piccoli negozi ad un vano, il cui tetto è quasi sempre in lamiera arruggi ni ta. Ti colpiscono immediatamente la

semplicità del tratto, la fierezza del portamento e la dignità con la quale i burkinabè rifiutano di mendicare anche pochi spiccioli ma cercano in tutti i modi di proporre la loro “preziosa” merce allo straniero di turno. Il clima caldo ma secco deperisce in poche ore frutta, ortaggi, pesci e gli altri generi alimentari offerti; attira la nostra attenzione la cura e l’alacrità con la quale uomini e soprattutto donne si dedicano all’irrigazione delle coltivazioni con rudimentali secchi in ogni fazzoletto di terra libera lungo le strade. Si comprende d’acchito quanto l’acqua sia la risorsa principale, l’oro blu che in città ma ancor più nelle campagne consente di mantenere un sia pur minimo livello di igiene personale e di autosufficienza alimentare; purtroppo gli ultimi rapporti climatici sottolineano il trend negativo delle precipitazioni sempre più rare e concentrate in piccoli periodi stagionali con ovvie ricadute sui volumi delle produzioni agricole quali cotone e cereali vari. Peraltro occorre valutare anche l’impatto che i cambiamenti climatici in corso avranno sulle precipitazioni e sulle risorse idriche per sistemi agricoli così vulnerabili. Un recente studio commissionato dall’ONU, tradotto in un modello quantitativo stima in 60-90 milioni di ettari le aree coltivate che saranno abbandonate entro il 2060 a causa della siccità nell’Africa subsahariana ed in 26 miliardi di dollari, cifra superiore a quella degli aiuti bilaterali per la regione nel 2005, la perdita di reddito consequenzi al e. Variazioni anche minimali dei regimi pluviometrici o delle temperature possono compromettere i raccolti con incidenze drammatiche ed interagire con le condizioni di pace sociale e di sostentamento di milioni di persone. E’ di palese evidenza la responsabilità delle nazioni più industrializzate e quindi più inquinanti , il cui comportamento produrrà effetti catastrofici proprio sulle nazioni meno inquinanti , più povere e meno attrezzate per gestire le vulnerabilità legate ai cambiamenti climatici indotti da politiche energetiche irresponsabi l i . Non appena ci si allontana dalle città il panorama muta immediatamente; delle fragili abitazioni d’argilla quasi non c’è traccia, mentre si alternano i villaggi con le tipiche capanne di paglia e frotte di bambini dagli occhi vivissimi e sgranati all’offerta di qualche caramella. Le attività quotidiane scorrono lente e ripetitive; gli unici combustibili disponibili sono la legna o lo sterco degli animali, utilizzati per cucinare mentre oltre 12,4 milioni di persone nel 2005 non erano servite dalla rete elettrica. Il 39 % della popolazione non ha un accesso sostenibile ad una fonte d’acqua; nelle campagne l’acqua è quasi unicamente presente negli stagni o nei pozzi a cielo aperto soltanto durante i mesi di minor calura ed è spesso inquinata e fonte di malattie come la bilharzia e la diarrea che affligge il 47% dei bambini sotto i 5 anni. Pertanto nei villaggi uomini, donne e bambini sono ancor oggi costretti a percorrere sin dalle prime luci dell’alba decine di chilometri con pesanti recipienti d’argilla sul capo per potersi approvvigionare presso il più vicino pozzo oppure per procurarsi la legna necessaria per cucinare. Fortunatamente si sta diffondendo l’uso di carretti, a volte trainati da asinelli, per il trasporto di legna, acqua e generi di prima necessità per i villaggi; capita talvolta di incontrare lungo le asContinua a pag. 3


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solate strade di campagna carretti pieni di grandi recipienti di plastica che consentono di soddisfare il fabbisogno familiare per qualche giorno con notevole sollievo in special modo per le donne, da sempre dedite a questa incombenza. Diventa pertanto fondamentale migliorare l’accesso alle fonti d’acqua ; alcuni programmi delle ONG e sopratutto delle organizzazioni vicine alla Chiesa Cattolica prevedono come obiettivo primario delle varie iniziative di solidarietà la realizzazione di pozzi d’acqua con tecnologia molto semplice, in guisa tale da consentire alle maestranze locali eventuali interventi di riparazione. La costruzione di pozzi ha offerto una migliore protezione dal rischio di contaminazione dell’acqua, mentre si è diffusa nelle donne la consapevolezza sull’uso di semplici filtri a base di carbone o della stessa ebollizione per rendere l’acqua potabile ; tali iniziative hanno consentito la riduzione di alcune delle malattie già menzionate.

Pag. 3 Nonostante le oggettive difficoltà climatiche e la scarsità delle principali risorse economiche i burkinabè fanno leva su una riconosciuta tradizione che li dipinge come solerti lavoratori, i “prussiani d’Africa” secondo un’azzeccata definizione. Un dato riesce ad esemplificare il precedente assunto ; la produzione di riso nel 2008 è triplicata rispetto al 2007, passando da 69.000 a ben 235.800 tonnellate anche se il fabbisogno nazionale rimane largamente dipendente dalle importazioni di riso dal Sudest asiatico per ben 450.000 tonnellate annue. Il riso viene consumato soprattutto nelle città per la sua facilità nella preparazione e nella cottura, mentre nelle aree rurali si continua a coltivare e consumare principalmente miglio, sorgo e cereali vari, che abbisognano di varie lavorazioni prima della cottura. L’unico pasto della stragrande maggioranza della popolazione che vive sotto la soglia di povertà consiste in una semplice zuppa di miglio, qualche volta condita con lenticchie od altri cereali e raramente accompagnata da qualche pezzettino di carne; il costo di tale piatto si aggira sui 30 centesimi di euro e delinea la dimensione chiara ed inequivocabile del problema nutrizionale che caratterizza il regime di alimentazione quotidiano dei burkinabè. La Banca Mondiale stima che circa il 38 per cento dei bambini sotto i cinque anni sia sottopeso o affetto da nanismo nutrizionale; la terribile conseguenza immediata di tale situazione si riflette nella mortalità alla nascita pari a 96 neonati su 1.000 ed in quella infantile pari a 191 su 1.000. Ma la speranza di ogni nazione si fonda sull’incre-

mento del tasso di scolarizzazione dei giovanissimi ed una delle esperienze di maggior interesse ha riguardato la visita dell’Università Cattolica che sorge ad alcuni chilometri da Ouagadougou; le strutture didattiche e funzionali sono certamente superiori agli standards di riferimento del Paese, ma l’offerta scolastica del Burkina non si caratterizza per realtà di miglior livello. Il tasso di alfabetizzazione nel 2007 era pari al 30 % della popolazione oltre i 15 anni , mentre appare promettente il tasso di partecipazione alla scuola primaria che evidenzia una crescita dal 29% del 1991 al 68% del 2007. Nazioni così povere dipendono necessariamente in buona misura dagli aiuti internazionali; i flussi di capitale, prestiti e donazioni ammontavano nel 2007 a 861 milioni di dollari americani ed a differenza di molte altre nazioni sottosviluppate la non elevata corruzione consente una buona efficacia delle somme elargite (come attesta la classifica stilata da Transparency International nel 2007 che vede il Burkina Faso all’80esimo posto, prima di India e Serbia ed alla pari con il Brasile). Il Burkina Faso gode di un regime democratico stabile ; parecchie riforme fondamentali sono state realizzate negli ultimi anni e non si registrano i tristi fenomeni di rivolte popolari o di conflitti tribali che hanno insanguinato altre nazioni vicine. I principali trattati internazionali sul rispetto dei diritti fondamentali della persona sono stati ratificati. E’ un paese povero ma ricco di spiritualità ; le principali religioni cattolica, protestante, musulmana ed animista convivono pacificamente tra le diverse etnie ed all’interno degli stessi nuclei familiari. E proprio la stabilità politica e la pacifica convivenza possono contribuire a caratterizzare un sistema sociale ed economico capace di impiegare con sempre maggiore efficienza gli indispensabili aiuti che proverranno dalle economie più sviluppate.

Lateranense, e la pazienza e la dottrina consolidata recepita nelle Sedi Internazionali dove hai avuto l’opportunità di servire la Chiesa. Ma aggiungo: acqui sisc i l’ esperienza c he personalmente ti sei formata e fondila con l’esperienza dei tuoi Padri, e poi con la dottrina, la sapienza e l’educazione che gi à fanno part e della tua conoscenza. E metti tutto questo bagaglio di conoscenza, di esperienza e di dottrina al servizio delle persone che la Chiesa ti ha permesso di incontrare: perché insieme e prima di essere ambasciatore della Chiesa (anzi del Papa), tu sei sacerdote e presbitero e per questo sei nunzio. Il mondo che è intorno a te è assetato di acqua e di sete ma anche di Cristo. Non mi ricordo in quale visita compiuta da Giovanni Paolo II alla tua Pontificia Accademia Ecclesiastica a

Roma, il Vescovo di Roma ebbe a dire duc in altum, ripetendo la parola di Cristo a Pietro, e aggiunse che il nunzio deve mostrare Cristo nei contatti con gli ambienti politici e diplomatici. Puoi tenere conto anche di un altro insegnamento, quello di don Primo Mazzolari che dettò ai Cristiani un motto sacro: che il Cristiano, in ogni momento della sua giornata non deve stare né a destra, né a sinistra né al centro, ma deve sempre e comunque puntare in alto. In alto dunque, don Vito, duc in altum, come ti ha insegnato la tua famiglia e la tua Chiesa: soprattutto quando sarai solo, quando ti sentirai abbandonato da tutti, quando ti prenderà lo sconforto e quando ti sentirai tradito non tanto da tutti, (avverrà anche questo, stanne certo) ma forse anche da te stesso. Un abbraccio.

LETTERA A S.E. MONS. VITO RALLO di Onorato Bucci Caro Don Vito, richiesto di un mio intervento sui giorni trascorsi a Mazara in occasione della tua ordinazione a Vescovo, ho ritenuto opportuno farlo attraverso una lettera a te indirizzata. Un grazie innanzitutto per avermi permesso di stare con te in un momento così rilevante della tua vita sacerdotale: ho vissuto momenti indimenticabili, non paragonabili certo a quelli da te vissuti, ma comunque intensi e tali da restare indelebili nel mio cuore e nella mia mente. Ho goduto della gioia di chi ti vuole bene e, attraverso Fabrizi, il mio e il tuo amico Giuseppe, ho lett o negli occhi della gent e di Mazara la consapevolezza di vivere un momento eccezionale e quasi sacrale. E ho benedetto la Provvidenza. La Provvidenza aveva già unito te, don Tarcisio Bertone e me proprio venti anni fa in una seduta di laurea al Laterano, ma era intervenuta già prima, quando tu venisti per la prima volta in quelle aule austere e disadorne, ma ricche di una tradizione incredibile che ha dato alla Chiesa più di un Papa, centinaia di Vescovi, la maggior parte dei Nunzi Apostolici che ti hanno preceduto in questo ufficio e una folta schiera di Cardinali. La Provvidenza ha unito ora te, Giuseppe Fabrizi e me in un’amicizia consolidata da un forte e interiore legame che conferma la validità della nostra Chiesa e della cura ecclesiale che è il fondamento del suo carisma. E ancora grazie per come ti sei comportato durante, fuori e dentro la Cattedrale di Mazara del Vallo, durante la cerimonia dell’Ordinazione, prima di essa e dopo. Hai dato a tutti una lezione di stile e di grande senso dell e istituzioni e sopratt utto di totale compenetrazione con i destini della Chiesa e della sua ecclesiologia. Che dirti? Potrei risolvere l’interrogativo con il sottolineare: comportati come ti suggerisce l’eredità dei tuoi padri, l’educazione della tua famiglia, la sapienza appresa nelle Aule dell’ Universi tà


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L’ARCO

Aumentano la povertà e le diseguaglianze sociali: necessita promuovere una nuova cultura della solidarietà

LA SOLIDARIETÀ INTERNAZIONALE NUOVA FRONTIERA DELLO SVILUPPO di Giuseppe Pernice

Questo nuovo secolo si era aperto all’insegna di grandi speranze: giustizia, pace, solidarietà, che il precedente non aveva saputo assicurare. Sono già trascorsi nove anni del nuovo secolo e i risultati sono ancora molto scarsi su tutti i fronti: l’impegno di tutti gli uomini di buona volontà deve essere quello di dare una mano affinchè le speranze possano diventare realtà. La speranza più grande, che è stata anche la grande utopia del secolo scorso, è quella di un mondo più giusto e solidale, capace di correggere le profonde distorsioni che lo travagliano: una iniqua distribuzione delle risorse, il mancato rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle comunità, lo sfruttamento incontrollato e insostenibile delle risorse naturali. Un recente lavoro del “World Resources Institute”, un istituto di ricerca che si occupa dei fabbisogni umani e dell’ambiente, impone una riflessione sulla necessità di accelerare i tempi per avviare un modello di sviluppo diverso da quello attuale, che abbia come obiettivo quello della lotta alla povertà mediante la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali, da realizzare con programmi di solidarietà e cooperazione internazionale. Il progetto “Managing Ecosystems to Fight Poverty” presentato al Summit Mondiale delle Nazioni Unite, si propone, infatti, di combattere la povertà salvaguardando l’ambiente, capovolgendo il meccanismo attraverso il quale è avvenuto il cosiddetto “sviluppo” dei paesi oggi più ricchi, fondato sostanzialmente sulla distruzione sistematica delle risorse ambientali. Un modello, questo, che si vorrebbe da taluni estendere ai paesi in via di sviluppo attraverso la cosiddetta “globalizzazione”. Eppure questo modello ha prodotto conseguenze disastrose che sono sotto gli occhi di tutti: oggi dei 6 miliardi di abitanti del nostro pianeta, ben 2,8 miliardi (quasi la metà) sopravvivono con meno di 2 euro al giorno e 1,2 miliardi con meno di 1 euro al giorno. La povertà non è solo la causa di sofferenze e di malattie, ma insieme

al malgoverno, è all’origine dei conflitti e del terrorismo. In questi ultimi anni la povertà, invece che diminuire, è aumentata: non solo nella regione dell’Africa Sub sahariana, dove è passata dal 46,6% del 1987 a quasi il 50% del 2005, ma persino in Italia, dove sono aumentate pesantemente le disuguaglianze sociali. Si impone oggi, dunque, un programma di ripartizione più equa delle risorse del pianeta, basato sulla solidarietà e la condivisione e nel rispetto e salvaguardia delle risorse dell’ambiente. E questo programma deve coinvolgere innanzitutto la popolazione dei paesi cosiddetti “sviluppati”, dove spesso lo spreco e la distruzione delle risorse viene considerato “ricchezza” e si guarda al “povero” come diverso, definendolo talvolta “extracomunitario”. E’ necessaria, quindi, l’affermazione di una nuova “cultura” che parta dalla salvaguardia delle risorse, in primis quelle ambientali (l’acqua, l’energia…), e che attraverso la solidarietà, la condivisione e la cooperazione permetta di superare le disuguaglianze di questo secolo. Non è più sufficiente la solidarietà come obolo o carità: all’aiuto in denaro va affiancato il trasferimento di conoscenze e programmi. E questo aiuto deve essere assicurato anche attraverso la formazione e deve tendere alla salvaguardia delle risorse ambientali del pianeta in un’ottica di rinnovabilità e sostenibilità. Bisogna superare attraverso questa “cultura” il concetto di solidarietà internazionale, tipico del secolo scorso, strettamente collegato all’appartenenza ai “blocchi” politici e militari, e che veniva assicurato con finanziamenti che poi venivano gestiti da ristrette caste locali, che si arricchivano lasciando in povertà la maggior parte della popolazione, finanziamenti che erano spesso collegati ad attività tendenti ad una spoliazione delle risorse ambientali locali, in una logica colonialistica, assicurando e gestendo pro-

grammi di cooperazione internazionale di natura solidaristica che, attraverso fondi gestiti in loco, permettano di avviare processi di crescita solidale delle risorse locali. Progetti “coordinati” di sviluppo per l’acqua, la sanità, la scuola, per superare la povertà e il sottosviluppo, attraverso finanza, know how e innovazione tecnologica compatibile con l’ambiente. Tutto questo per combattere una povertà che colpisce soprattutto le fasce più deboli della popolazione, le donne e in particolar modo i bambini. Secondo dati ufficiali dell’UNESCO, infatti, oggi 640 milioni di bambini non dispongono di alloggi adeguati, 500 milioni di bambini non hanno accesso a servizi igienici di base, 400 milioni di bambini non hanno accesso a fonti d’acqua sicura, 300 milioni di bambini non hanno accesso all’informazione (TV, radio e stampa), 270 milioni di bambini non hanno accesso ai servizi sanitari, oltre 120 milioni di bambini, la maggior parte dei quali sono bambine, non sono mai andati a scuola, 90 milioni di bambini soffrono di grave carenza di cibo. Ma la solidarietà internazionale oggi non deve partire solo dai governi, che certo devono fare la loro parte. Bisogna convincere la gente che essa può realizzarsi non solo attraverso le istituzioni, ma, dal basso, costruendo una rete solidale di associazioni onlus, che possano creare ponti e progetti per lo sviluppo dei paesi disagiati. Con questa logica e intendimenti è stata costituita a Mazara del Vallo l’As-

sociazione “ARCO-baleno Onlus”, avente lo scopo statutario di: - promuovere la presenza attiva dei cittadini di Mazara del Vallo nel mondo del volontariato; - promuovere e sostenere la raccolta di fondi da destinare a progetti di solidarietà sociale da realizzare in Burkina Faso e in Niger, due Paesi della fascia del Sahel ritenuti tra i più poveri del mondo, e in altri Paesi poveri e in via di sviluppo; - realizzare progetti di cooperazione nei settori della sanità, dell’agricoltura, delle infrastrutture, dei servizi sociali, dell’educazione, in appoggio ed in collaborazione con le missioni e le autorità locali; - realizzare progetti umanitari e di sviluppo socio-culturale per le popolazioni interessate; - promuovere studi, conferenze e convegni riguardanti i diritti della donna, dei minori ed, in genere, dei più deboli. Già sin dall’anno scorso l’associazione è stata iscritta nell’anagrafe delle onlus per il finanziamento del cinque per mille delle imposte. E’ necessario ora far crescere, attorno a questa Associazione, l’adesione e il consenso della popolazione siciliana, perché, attraverso una nuova cultura della solidarietà, possa portarsi un contributo vero alla cooperazione internazionale, cercando non solo di stimolare il contributo finanziario, ma soprattutto la partecipazione dei cittadini e particolarmente dei giovani a progetti di solidarietà internazionale verso i paesi più poveri del mondo.


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Nell’ambito della manifestazione «Europa e Mediterraneo s’incontrano», organizzata dall’associazione “Il Fratello”, presieduta da Maria Caccamo Savalle con la collaborazione dell’associazione “ARCO-baleno onlus”, presieduta dal prof. Giuseppe Fabrizi, si è svolto, domenica 21 dicembre 2009, presso il Kempinski Hotel Giardino di Costanza di Mazara del Vallo, un «Charity day» in favore del Burkina Faso, con un pranzo di raccolta fondi, curato dallo Chef della “Trattoria” di Roma Filippo La Mantia, la cui vita avventurosa ha ispirato libri e film. Alla manifestazione hanno partecipato, per il governo del Burkina Faso, Beyond Luc Adolphe Tiao, ambasciatore in Francia e presso la Santa Sede e, per la conferenza episcopale del Burkina-Niger, il vescovo di Dori, mons. Joachim Ouédraog. In quella occasione Mons. Joachim Ouédraog ha pronunciato l’intervento che pubblichiamo integralmente.

EUROPA E MEDITERRANEO SI INCONTRANO di Joachim OUÉDRAOGO Vescovo di Dori Il governo del paese cerca sempre di promuovere questa ricchezza culturale.

Carissimi voi tutti qui presenti, veri amici del Burkina Faso e del suo popolo. A tutti voi indirizzo un saluto caloroso e amichevole! Per quanto la conoscenza del mio italiano lo permette, vorrei dare il mio modesto contributo a questa giornata dedicata al mio Paese, il Burkina Faso. E’ un onore per me stare in mezzo a tanta persone così qualificate per cultura e per autorità. Sono molto emozionato per questo incontro e, pertanto, chiedo la vostra indulgente comprensione. Il Burkina Faso, che si trova nel cuore dell’Africa occidentale, è un paese del Sahel, con una superficie di 274 000 km2, quasi quanto l’Italia, e una popolazione di circa 13 milioni di abitanti. E’ il secondo paese più povero del mondo. Il Burkina Faso gode di un clima di stabilità politica, di pace, di tranquillità e una democrazia che cerca la sua strada di sviluppo. Questo clima di pace e di tranquillità, al contrario di quello che succede in molti paesi in Africa e nel mondo, è stato favorito dal senso della famiglia che è molto forte. In Burkina Faso, nella stessa famiglia vivono insieme cristiani, musulmani e membri della religione tradizionale africana. Insieme cercano di sviluppare e di mantenere i valori della solidarietà, dell’ onore e della fraternità, al di là delle differenze di religione, di etnia o di regione. Le feste, i matrimoni, i funerali sono celebrati insieme. Tutto ciò è molto importante e significativo: il dialogo interreligioso ha una grande importanza per tutti gli abitanti del Burkina Faso. Il dialogo interculturale, a sua volta, aiuta e regola la convivenza tra tutte le etnie. Il mio paese, il Burkina Faso, ha una sessantina di etnie. E tra le diverse etnie esiste «la parentela a scherzo» . Cioè, tra etnie diverse ci si prende in giro con umorismo, e questa aiuta a superare i conflitti.

Grazie al coraggio della sua gente, nonostante le difficoltà, da dieci anni, il Burkina Faso ha preso seriamente la via dello sviluppo, affrontando le sfide che sono: la sanità, l’educazione, la sicurezza alimentare e il grande problema dell’acqua. Il Burkina Faso ha il 4,5% come indicatore di sviluppo. Il 30% dei suoi abitanti è alfabetizzato. Il 68% dei bambini e dei ragazzi frequenta la scuola dell’obbligo, il 20% frequenta la scuola secondaria e l’1% l’università. Nella zona del Sahel, dove si trova la diocesi di Dori, della quale sono il vescovo, le grandi sfide sono soprattutto l’acqua, la sanità, l’educazione, il dialogo interreligioso e interculturale. Su questo argomento – il dialogo interreligioso e interculturale – i musulmani (il 95% della popolazione) e i cristiani (1%) - nella mia diocesi, vivono nella tolleranza, nella pace e nell’accettazione dell’altro. Cercano di superare le difficoltà e di contribuire insieme allo sviluppo della regione, affrontando la stessa realtà dura del Sahel. Le feste, i matrimoni, i lutti, i battesimi e altre circostanze, sono occasioni di incontro, di scambio reciproco di saluti. Una associazione che si chiama “Unione Fraterna dei Credenti” cerca da quarant’anni di promuovere una cultura di pace, di tolleranza, e di un vero dialogo interreligioso e interculturale nella regione del Sahel. Si sta anche costruendo “Un Centro per la pace”. La realtà del Sahel in Burkina Faso è molto dura. Infatti, la mancanza crudele dell’acqua: acqua per gli uomini, acqua per gli animali e acqua per l’agricoltura si fa sentire ogni anno con intensità. La popolazione lotta con coraggio e con l’aiuto di amici e benefattori a costruire pozzi di una profondità media di 70 metri, laghi artificiali per mantenere un po’ d’acqua, segno di vita. Per concludere, vorrei trasmettere la gratitudine del Presidente della Conferenza Episcopale del Burkina Faso e del Niger, Mons. Séraphin Rouamba, che molti di voi

conoscono perché è venuto nella vostra città per la consacrazione episcopale di Mons. Vito Rallo, per l’invito a partecipare a questo incontro. E’ stata per me una grande ricchezza, un momento di scambio, di riconoscenza reciproca, di amicizia e di fratellanza. Vi trasmetto soprattutto il saluto caloroso, amichevole e fraterno di Sua Eccellenza Monsignor Vito Rallo, Nunzio Apostolico in Burkina Faso e in Niger. Mi ha detto di porgere il suo saluto e la sua gratitudine a tutti i presenti: autorità, amici, conoscenti e a questa rispettabile assemblea. Il suo desiderio era di essere qui con noi, ma il suo programma non gli ha permesso di compiere questo viaggio. Allora, tramite il Vescovo di Dori, egli vi saluta calorosamente e manda a tutti la sua benedizione, augurando a tutti i presenti un Santo Natale e un sereno anno nuovo. Auspico che tali iniziative di solidarietà, segno di amicizia tra i popoli, si svilupino al massimo, al fine di creare un mondo di pace, un mondo di fratellanza, un mondo giusto, un mondo di vera carità. Tutti insieme possiamo creare un mondo più degno dell’uomo creato ad immagine e somiglianza di Dio. Santo Natale e sereno anno nuovo a tutti voi. Grazie per l’attenzione.

Riteniamo utile, inoltre, pubblicare un articolo di mons. Joachim OUEDRAOG che illustra l’attività dell ’U.F.C., tratta da http://www.ildialogo.org/islam/dialogo2007/UFC13092007.htm

L’UNIONE FRATERNA DEI CREDENTI DI DORI di Joachim OUÉDRAOGO L’Unione fraterna dei Credenti di Dori è nata nelle circostanze drammatiche della carestia del 1969. Il suo fondatore, il padre Lucien Bidaud, in missione alla Parrocchia Sant’Anna di Dori, preso da compassione, all’epoca si diede da fare ed ottenne dei viveri che distribuì gratuitamente alle popolazioni duramente colpite dalla carestia. Essendo gigantesca l’opera di soccorso, decise di circondarsi di altre persone volontarie di Dori per organizzare meglio questi aiuti. Così, dodici persone provenienti dalle due comunità religiose (sei da ognuna) dell’epoca si unirono al p. Bidaud e fecero nascere l’Unione Fraterna dei Credenti di Dori nel 1969. Essa copre le province del Séno e dello Yagha della Regione del Sahel. L’Unione Fraterna dei Credenti è un esempio vivo di dialogo interreligioso tra la comunità musulmana e la comunità cattolica in Sahel. Dal 1969 quest’Unione lavora con e per le comunità presenti senza distinzioni nel Sahel. Il dialogo interreligioso è il fondamento essenziale della pace e della comprensione tra i popoli e le nazioni. E’ una delle convinzioni dell’Unione Fraterna dei Credenti. Resta aperta alle altre comunità presenti a Dori, che sono d’altronde associate quando

si svolgono le diverse Assemblee Generali annuali. Il dialogo interreligioso in Sahel si vive essenzialmente a due livelli: 1. Messe a confronto con le stesse realtà dure del Sahel (sfida dell’educazione; sfida della sicurezza alimentare; sfida della salute ed il problema ricorrente dell’acqua, sia per gli uomini che per gli animali), le comunità musulmana e cattolica lavorano alla promozione dell’uomo e di ogni uomo in Sahel attraverso: - la realizzazione di dighe di ritenute d’acqua - la formazione dei giovani e delle donne (centro sociale) - l’educazione per l’alfabetizzazione 2. Il dialogo della vita: le visite reciproche, la comunione in occasione delle gioie e delle pene (feste, matrimoni, battesimi, dolori…). Questo dialogo della vita è uno spazio verace di fraternità e di solidarietà, di riconoscimento reciproco nel rispetto delle differenze. Attualmente, per rafforzare quest’aspetto del dialogo della vita, l’U.F.C. inizia la promozione di un Centro per l’Educazione alla Pace e per il dialogo

interculturale «DUDAL JAM». Quest’ambizione è condivisa da alcuni amici italiani e francesi. Così il budget per la realizzazione di questo Centro per l’Educazione alla Pace è di circa 150.000.000 franchi francesi (… per tre anni). E’ allo studio la realizzazione di un centro culturale e sportivo in favore dei giovani (del Burkina Faso, degli altri paesi vicini e dell’Europa). La bellezza di un quadro sta nell’armonia dei colori che lo compongono e nella loro giustapposizione. L’UFC vuole, attraverso tutte queste iniziative, portare il suo contributo alla costruzione di un mondo di pace e di fraternità, poiché uno sviluppo autentico passa oggi attraverso una cultura di pace, una pace realizzabile se si impiegano tutti i mezzi (Giovanni Paolo II). L’esperienza dell’UFC/Dori nel Sahel del Burkina Faso è la dimostrazione che il Dialogo Interreligioso è possibile. E, lungi dal dividere, le religioni possono e devono essere un fattore di unità per costruire un mondo più giusto, più fraterno e più degno dell’uomo. (Traduzione dal francese di Lorenzo Tommasselli)


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L’ARCO

Mazara medievale sec. XIV Dicembre 1399

FINIS HISTORIAE: UNA STORIA, ALLA FINE di Nino Gancitano

Si era levato il vento sopra il cielo di burrasche Non il fulgore, né l’ira, né gli onori trascorsi, illanguiditi dal tempo, non le adulanti parole dei vili o l’orgoglio sprezzante di nemici sconfitti, né l’inebriante potere di uno spirito giovane in campi di battaglia, né la forza della spada, né vaghe promesse lontane, non misericordia o pietati. Nulla restava. Non c’era più il tempo. Non il conforto filiale alla debolezza senile, alle sue ginocchia infiacchite, al suo passo incerto, alle braccia stanche. Nulla restava. Solo il sussulto delle spalle di un vecchio e il diniego dei ricordi. “Il mio amato è per me un sacchetto di mirra che dimora tra i miei seni” aveva gridato sua nuora. Il tremolo vivo della verità, l’orgoglio ferito. Era stata l’impudenza sua, di Giacomo Penna, padre di Matteo, e di Matteo Pisano, padre di Talagea, ad aver voluto insegnare al tempo il destino dei propri figli. Una scelta indotta, voluta, tristemente fallace. “Il mio amato è per me un sacchetto di mirra che dimora tra i miei seni”, aveva ripetuto. Si era levato il lento sopra il cielo di burrasche dei giorni di dicembre del 1399. E poi la sera senza un cantico finito, senza il pianto liberatore, senza il calore di un conforto amico. Scese lento le scale, uscì in strada, fermò il suo incedere stanco davanti la porta del suo vecchio compagno d’arme. Scosse il battente. E rimase smarrito sotto la pioggia sottile, quasi a chiedere espiazione per quella scelta lontana. Una via alla fine, un luogo, pensava, per i pazienti e i savi, per i purificati dalle passioni, per i liberati dai pegni, per i puri mondati dalla colpa, e, per i peccatori, gli arroganti, i superbi pentiti. Una via d’espiazione, alla fine, un luogo di pace. Aveva pregato il Dio della misericordia. Quali vuci sentisti na la menti? E quali ikku, rarugna lì tò aricchi? Fu accolto da padre e figlia nel gelido silenzio della camera bassa. Giacomo Penna si sorprese nei sussurri delle sue parole, sospese nella costanza dell’inquietudine; alzò le mani congiunte quasi a chiedere grazia per sé, per la sua solitudine, per quel figlio andato via da giorni – fuggito - , quello strano violento figlio, mal marito di Talagea. Chiese perdono per sé, per le male parole gridate, ora predate al voluto oblìo dei ricordi, all’amarezza di scomode verità. Si prostrò senza ritegno nei suoi rimorsi anonimi, inutile padrone del suo orgoglio diruto, un tempo maestoso. Dolore la memoria, le residue parvenze di dignità. Nulla restava. Solo il sussulto delle spalle di un

vecchio e il diniego dei ricordi. Non c’era più il tempo. “Et nullo intisi et nullo fui viggìli” (Niente fu avvertito). Matteo Penna lasciò la casa paterna con le sue armi e il suo cavallo, all’imbrunire del 6 dicembre del 1399, poco prima che fosse chiusa la porta orientale della città, al tramonto. L’inutile attesa del padre al declinare del giorni, al consumarsi delle lucerne. Era già dicembre inoltrato. Nulla restava. Solo il pianto di un vecchio e solitudine e inquietudine, e l’amarezza di scomode verità, rimorso per la menzogna negata, la follia del figlio, occultata dal silenzio, per quelle incostanti parole bugiarde, e ancestrali credenze. Chiedeva perdono Giacomo Penna, per la miseria dei suoi peccati, a quella giovane donna silenziosa e a quel suo amico di un tempo. Dolore la tristezza dello sguardo. Dolore i volti, rantoli di anime senza più storia, oramai. Parole che chiamavano pace tra ombre di orgoglio ferito. Quali ikku? Quale eco? “Curuzzu mè si senti la mè vuci/ pensa chi senza tia ‘un trovu paci” “Curuzzu mè s‘un sentu la tò vuci / ‘un haju abbentu e cchiù nun trovu paci” . Quale echi? Quali ricordi avviliti da ingiuste parole ? Era immobile al centro della camera bassa, Talagea, e la notte si inoltrava tra i guizzi delle lucerne, al rincorrersi delle ombre e delle luci e i draghi d’iniquità e dell’odio si ritiravano ormai nelle tane. Non il tempo del disprezzo ma della commiserazione. Eppure, pensò alla sua giovinezza tradita, Talagea, alle parole adulatrici, alle lingue bugiarde, alle voci ingannevoli, e anco ad altre voci, sommesse, spirito materno, da labbra riboccanti d’affetto, spirito paterno, consolazione a maliziose verità. Guardò i due vecchi , padre e suocero, Talagea, e pensò al dolore senza tempo, al declino dello spirito, all’inquietudine della carne, al peregrinare della volontà, alla vanità, alla vampa delle passioni, pure alla misericordia dell’amore. Pensò a sua madre – Maria Boccardo - “Beddra , cchiù beddra di la luna / e quannu agghiorna allumini lu suli/ Beddra, cchiù beddra di la vita/ … (Bella più bella e più splendente della luna/ capace perfino di illuminare il sole/ Bella più della stessa vita) , e ascoltò – nel dolore che non aveva ritegno né conforto - l’eco di uno strano linguaggio “come sussurro d’amore di un benevolo Dio conosciuto”. Tornò a guardare i due vecchi, spiriti eguali, protervi a pretendere dal fato il futuro dei propri figli; inconsapevoli, invero, che il destino insegnava a se stesso il tempo del divenire di ognuno. Ombre e sogni fallaci. Vanità, (“costruirono il nulla sulla loro bugia”), errore. Detriti del passato. Guardò i loro volti, le loro mani congiunte, e pensò all’inquietudine degli umani, alle loro anime evanescenti, irrequiete, bramosia delle passioni, e, anche alle sapienti parole della carità, guizzo benefico della gran fiamma dell’amore. Uscì dalla camera bassa e si portò verso il porti-

co. Era sera inoltrata, bagnata da una pioggia sottile, a li durici di dicemmiru dell’anno 1399, Dei gratia. Quali vuci, quali ikku aranzi lu tò passu, quali trummentu aranzi la tò paci? (Quali voci, quali echi innanzi il tuo passo e quale dolore tormentò la tua pace?) Quali parole? Quale pace ? …. E po’ veni l’ananca e ti rici cu è… E poi il rivelarsi del destino..… Quale preghiera in favore della speranza? Grida al Dio dell’amore. E poi… La notte, il buio e poi la luce, tremula, incerta, e poi il giorno… Passà lu jornu e po’ vinni la notti / senza lustru di luna a cunurtari / stà vuci ch’a tia canta / amuri e ‘un taci / …passa puru la notti senza paci …. e po’veni lu jornu a cunurtari a tià chi cerki paci e un’nà l’ amuri…. (E dopo il giorno il buio della notte, senza manco il chiarore di luna a consolare chi non tace un canto d’amore… pure la notte passa….e segue il giorno, conforto pure per chi non ha l’amore,) E poi il giorno… e poi la notte e poi ancora il giorno… Giungeva un secolo nuovo. Et nullo (se) sappe de Mattheo de Penna. Jacobo de Pinna morse lo anno Domini …(1400 ?) a li….. Mattio Pisano morse lo…. Era giovane Talagea; colpiva la sua grazia, la sua candida bellezza, il suo fine portamento, la sua fierezza composta e non altera; commuoveva il suo innocente dolore, il suo sguardo benevolo verso l’acredine del mondo, osservava Frate Andrea mentre l’accompagnava. Anna de Pisano ea ivvi, doppo morti patri suo, pinitenti in lo munasterio di la citati de ***…?... Un secolo nuovo. Videbatur finis historiae sed principium aliud erat (sembrava la fine di una storia e invece era un altro principio) – si sorprese a pensare il frate, tra le antiche balate. Poi incrociarono la porta di “maistru”, a settentrione…


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IO CONOSCO QUESTA CITTÀ di Enzo Gancitano

Io conosco le antiche strade della città che sanno dell’acre gusto delle memorie dell’effluvio del tempo della vita e della morte della lotta alla vita e della resa alla sorte. Io conosco il mesto sorriso delle genti del Mazaro il pasto di lagrime salate delle donne in attesa dei loro morti, le grida laceranti (e non sentite) delle spose per gli uomini che immoti giacciono coperti di acque saline. Io conosco il singhiozzo di bimbi atterriti, attaccati alle vesti di madri inconsolate le parole, le promesse come sassi scagliati sui visi di quei bimbi, sui volti delle madri. Io conosco le mute processioni di popolo dietro bare, troppe bare, che sanno di sudore, di sale, di sangue, di ingiustizia e di muti lamenti. Io conosco la statua lapidea di San Vito a mare poggiata sulla roccia e sull’acqua, che dispensa lo sguardo, il braccio protettore e congiunge le sue lagrime al mare per i figli non tornati. Io conosco le marrobbiate del fiume spiritato le barche ribaltate e frantumate, i moli infangati, l’esalazioni di acque arrabbiate, le facce disperate, dei pescatori, senza pianto. Io conosco le chiese di questa città che sanno d’incenso, di mani sul petto, di voci ormai spente, di riso e di gemito, di passi dubbiosi e di gravi rimorsi. Io conosco le draunare piratesche che assaltano le gracili paranze

levandole al cielo e scagliandole nel fondo del mare gelido, sepolcro di pace, alfine, per gli umili dai piedi nudi, amara conclusione di un’esistenza senza sorrisi. Io conosco il rumore dei treni in partenza, gli abbracci disperati e di speranza, i sinuosi e vetusti vicoli della Pilazza, il ghetto ebraico dalle basse case annichilite dal silenzio, il suono del tambur o alla r icer ca dei piccoli smarriti. Io conosco le urla gioiose dei bimbi sulle spalle paterne all’Aurora, incontro tra la Madre addolorata e il Figlio resuscitato, le folle mattutine incedere serene al tempio a mare del martire San Vito, i fuochi d’artificio a digiuno, precario oblio delle quotidiane ambasce. Io conosco i virgulti della città, non i figli dei nostri figli nati in terra italica o in lande sperdute e mai più tornati a scrutare i sussulti del Mazaro e a tergere le castigate lagrime di sabbia rossa portata dal Ghibli. Io conosco le str ade, le piazze, il lungomare, il fiume, le chiese, i palazzi, la gente, l’indifferenza, i lamenti, la collera abortita, i soprusi, le cose non

fatte, il dolore del distacco senza ritorno, la povertà, la nostalgia, l’abbandono nelle lagrime non fluite. Io conosco questa città.

MAZARA o MAZZARA? di Enzo Gancitano Da circa un secolo non sussiste più questo dilemma o banale dubbio che si voglia definire, giacché ormai è stata adottata in modo generalizzato la prima denominazione. D’altronde il nome della città sembra derivare da quello del fiume che è riportato in Tucidide come “ epi ton Mazaron potamon”, in Diodoro Siculo ?Mazarw potamw?, in Tolomeo “Mazaras”, in Stefano Bizantino “Mazarh” (il centro urbano), e “Mazarioi” (gli abitanti), cioè tutti i nomi con una sola consonante zeta. Anche nell’’epoca romana il nome della città compare con una sola zeta in Mazaris, denominazione che è riportata fra i centri urbani collocati nella Via Valeria e nella Via Pompeia. Se si ritorna alle ipotesi sull’origine del nome Mazara, ricordiamo che l’Amari attribuiva un’origine orientale basandosi sull’omonimia con Mazar, villaggio del Loristan, in Persia. Il Bochart faceva derivare il nome Mazara dalla voce punica Mazar, mentre la maggior parte degli studiosi è concorde nell’attribuire una genesi oriental-fenicia, sempre con il nome Mazar. Risulta evidente come tutte le denominazioni riportino una sola consonante zeta. Nel lontano e recente passato “quasi tutti” gli studiosi mazaresi hanno adoperato il nome della città con una sola consonante. L’umanista e medico mazarese G.G.Adria, sulla base di queste conoscenze, utilizzava il nome del fiume e della città con una sola consonante: ”Ostium fluminis Mazar erat quasi portus: Cartaginenses saxis adimplerunt et molu m Mazariae deturparunt”. Ed ancora:” Pammilus instituit liquidi prope fluminis undam Mazariam, nomen Mazaru s ipse dedit…”. Allo stesso modo si sono comportati gli storici Filippo Napoli, Leonardo Bonanno, Alberto Rizzo Marino, Pietro Saf ina, Antonino Castiglione, Vito Pugliese, A. Nicolò De Federicis e gli studiosi Gianni Di Stefano, Orazio Na-

(Foto A. Romano)

poli, Francesco Bascone, Antonino Cusumano, Lorenzo Greco, etc. Il canonico G. Battista Quinci utilizzò nei suoi scritti la denominazione Mazara con una sola consonante tranne che nel libro “La Cattedrale di Mazzara” con doppia zeta. Persino negli atti notarili dei notai mazaresi della fine del 1400, A.Polito, A.Tudisco, etc. si evidenzia la denominazione Mazara con una sola zeta. Nelle piante di Mazara del Cinquecento il nome della città risulta con una sola consonante. Nelle piante del Seicento, invece, è possibile riscontrare ora l’una ora l’altra denominazione, cioè con una e con due zeta. Per esempio il Morelli e il B. Schauroth utilizzarono il nome della città con doppia zeta. Lo Spannocchi ci fornisce piante con una sola con sonante ”Parecer sobre la ciudad de Mazara” e una veduta dal mare della Città di Mazzara con doppia consonante. Il Camilliani utilizzava nelle sue piante la terminologia con doppia consonante. Le piante di F. Negro del Seicento ri-

portano il nome di Mazara con l’accento dolce di una sola consonante, così pure le diverse piante di un Anonimo del Settecento. L’ingegnere militare G.de Bauffe eseguì uno schizzo della veduta esterna della città riportando l’accento aspro della doppia consonante nella denominazione Mazzara. Anche alcune cartoline della città, dei primi decenni del Novecento, riportano il nome con doppia consonante. Pure i manifesti pubblicitari delle case vinicole mazaresi utilizzavano la doppia denominazione. Quello di John Hopps, per esempio, ostentava la denominazione Mazzara, mentre quelli di Vito Hopps, Tortorici e Luigi Vaccara riportavano il nome Mazara. Le piante topografiche dei feudi mazaresi nell’Ottocento, documenti della Secrezia di Palermo riportavano la giusta terminologia e così pure il Mortillaro in una sua rappresentazione cartografica utilizzava il nome della città con una sola zeta. Il Raffaeli Castelli, invece, nei suoi scritti e nella

sua corrispondenza nella seconda metà dell’Ottocento, in un periodo in cui pervadeva inspiegabilmente l’uso della doppia consonante, utilizzava il nome Mazzara invece di Mazara. Tuttavia quando trattava del fiume Mazaro adoperava una sola consonante. E si sa che il nome della nostra città deriva da quello del fiume. Tale uso improprio è stato perpetuato da diversi impiegati comunali, soprattutto, come si diceva prima, tra la fine dell’Ottocento e i primi anni del Novecento. Ma già agli inizi del secondo decennio del Novecento, la denominazione con una sola consonante riprendeva il giusto riutilizzo. Ma quale motivazione abbia determinato tale non generalizzato impiego non è dato ancora sapere. Verosimile è che il rafforzamento della consonante zeta nel denominazione Mazara rappresenta l’esito della corruzione popolare derivata o causata dalla pronuncia aspra della consonante zeta, come se fosse doppia. Da qui il probabile passaggio nella scrittura di una doppia zeta nel sostantivo Mazara, diventato Mazzara (da alcuni si scrive o si scriveva come si parla o come si pronuncia). Il percorso, quindi, è stato facile e breve. Ricordiamo, inoltre, come alcuni termini dialettali a doppia zeta, màzzara (pietra o insieme di pietre legate alla rete con la funzione di contrappeso), mazzacàni ( pietra di una grandezza tale da essere presa con le mani), mazzàta (colpo di mazza), mazziàtu (bastonato), richiamino il nome della nostra città e, pertanto, possano avere indotto l’errore nella stesura ortografica. Da non trascurare la facilità della ripetizione dell’errore iniziale nelle diverse categorie sociali. Infine si ricorda che il 14 marzo 1952 il decreto del Presidente della Repubblica, Luigi Einaudi, con il quale si concedeva al Comune di Mazara il titolo di Città, riporta il nome con una sola consonante.


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L’ARCO

Biografia del Prof. Onorato BUCCI

PREGHIERA DI “UN MEDICO” di Tonino Salvo Dio, sostiemmi affinché io possa servire allo stesso modo e con lo stesso impegno il giovane e l’anziano, il povero ed il ricco, l’amico ed il nemico, il buono ed il malvagio, l’ignorante e l’erudito, l’ateo ed il credente, perché senza il Tuo aiuto nulla posso. Provvedi affinché i sofferenti che si affidano alle m ie cure ripongano in me fiducia e comprensione ed io riesca ad essere loro vicino,non solo come medico, nelle ineluttabili fasi della nostra vita terrena. Donami l’umiltà, la forza, la possibilità e la volontà di ampliare ogni giorno le mie conoscenze non soltanto nella scienza medica, affinché possa scoprire continuamente ciò che ieri neanche immaginavo che esistesse. Fai in modo che non sia presuntuoso e nell’eventualità che lo diventi, non permettere che la mia presunzione ostacoli o renda nulla la guarigione dei malati, affinchè sia consapevole dei miei limiti e non dimentichi mai che prima di essere un medico, sono un uomo. Rendimi felice se un malato mi ringrazia per averlo guarito; ma gratificami maggiormente per essere riuscito a curarlo, con il Tuo aiuto, senza mortificarlo. Concedimi che il mio animo possa progredire sempre più nell’amore per tutti gli esseri umani, in modo che al termine della mia vita terrena possa essere certo di aver compiuto il mio dovere.

IL NUOVO DIRETTORE RESPONSABILE DE “L’ARCO” Il prof. Onorato Bucci si è laureato in Giurisprudenza nell’a.a. 1965/66 presso l’Università degli Studi di Roma con il prof. Edoardo Volterra, relatore e correlatore il prof. Alessandro Bausani sulla disciplina dei Diritti dell’Antico Oriente Mediterraneo, con una tesi dal titolo “Profilo storico del diritto iranico” (110 e lode/110 e diritto di pubblicazione), è stato borsista CNR presso la cattedra di Istituzioni di Diritto Romano dell’Università degli Studi di Roma (a.a. 1967/ 1968), rinnovato per l’anno successivo 1968/1969. Alunno della Scuola di perfezionamento in Diritto Romano e Diritti dell’Oriente Mediterraneo dell’Istituto di Diritto Romano della Facoltà romana, è stato anche alunno della Scuola di Paleografia e Diplomatica della Biblioteca Apostolica Vaticana (aa.aa. 1969/1970 e 1970/1971) nonché dell’Istituto per il Medio ed Estremo Oriente (Is.M.E.O.) privilegiando i corsi di Lingua e Letteratura persiana e inglese con specializzazione sulle Istituzioni dell’Iran (1964/1965 1965/1966 e 1966/1967). Vincitore del concorso per borse biennali rinnovabili (aa.aa. 1971/1972 e 1972/1973), si trasferisce presso l’Università degli Studi di Siena, Facoltà di Magistero, dove esercita la borsa presso la Cattedra di Storia Antica. Vincitore del concorso per assistente ordinario prima sulla cattedra di Istituzioni di Diritto Romano (presso l’Università degli Studi di Roma) e poi di Storia Romana (presso l’Università degli Studi di Siena) viene dichiarato decaduto dal primo per aver inoltrata la domanda fuori termine e dal secondo per sue dimissioni. Ricercatore sulla cattedra di Storia Antica della Facoltà di Magistero dell’Università degli Studi di Siena, viene confermato presso la stessa cattedra. Incaricato prima di Cultura Greca e poi di Cultura Greca-Romana fin dall’a.a. 1975/1976 presso la stessa Facoltà, dove diventa Associato a partire dall’a.a. 1983/1984 e chiamato sull’insegnamento di Storia del Vicino Oriente Antico. Supplente sull’insegnamento di Diritto Romano presso la Facoltà di Giurisprudenza del’Università degli Studi del Molise per l’a.a. 1992/1993, viene chiamato sullo stesso insegnamento, in qualità di Associato nell’a.a. 1993/1994. Vincitore del concorso per professore di I fascia sul IUS 18X con Decreto Rettorale del Rettore dell’Università degli Studi di Messina del 27 settembre 2000, viene chiamato come straordinario sulla cattedra di Istituzioni di Diritto Romano con Decreto Rettorale del Rettore dell’Università degli Studi del Molise in data 26 ottobre 2001 e confermato come ordinario con Decreto 16 marzo 2005.

E’ stato Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridico-Sociali e dell’Amministrazione della Facoltà di Giurisprudenza dell’Università degli Studi del Molise nell’a.a. 1994/1995 e poi negli aa.aa. 1998/1999 e 1999/2000, ed ivi anche Delegato del Rettore per l’Orientamento e Tutorato dall’a.a. 1995/1996 all’a.a. 2002/2003. Attualmente è Direttore del Dipartimento di Scienze Giuridiche, Sociali e dell’Amministrazione dell’Università degli Studi del Molise nonché Direttore del “Centro di ricerca Andrea d’Isernia per lo studio della tradizione romanistica e l’unificazione dei diritti europei” della Facoltà di Giurisprudenza dello stesso Ateneo. E’ supplente sulla cattedra di Diritto Romano della stessa Facoltà, dove copre per affidamento l’insegnamento di Diritto dell’Antico Oriente Mediterraneo. Per l’a.a. 2003/2004, rinnovatogli per l’a.a. 2004/2005, ricopre per supplenza l’insegnamento di Archeologia e Storia del vicino Oriente Antico nel corso di laurea di 1° Livello in Scienze Turistiche della Facoltà di Economia dell’Università degli Studi del Molise. Ha anche ricoperto l’insegnamento di teoria Generale del Diritto presso la stessa Facoltà negli aa.aa. 1995/1996 e 1996/1997. Socio della S.I.D.A. (ora S.I.H.D.A.), Société Internationale des Droits de l’Antiquité, fin dal 1967, è stato relatore ai Congressi di Perugia, Vienna, Amsterdam, Dublino, Salamanca, Atene, Miscolc, Madrid; socio dell’Accademia Storico-Giuridico Costantiniana, è stato relatore nei Congressi di Spello del 1978, 1980, 1982, 1984, 1986; socio della Societé Internationale de Droit Canonique Orientale fin dalla sua fondazione, è stato relatore nei Congressi di Creta e di Atene. Il 25 luglio 2008 è stato nominato da Papa Benedetto XVI membro del Pontificio Comitato di Scienze Storiche. Professore incaricato di IUS Graeco-Romanum e di Iura Orientis Antiqui Mediterranei presso la Pontificia Università Lateranense fin dall’a.a. 1973/1974, è stato redattore della Rivista “Apollinaris” dall’a.a. 1975/1976 fino all’a.a. 2000/2001. Consultore prima della Commissione per la revisione del Codice di Diritto Canonico Orientale per gli anni 1975-1980, è consultore dal 1986 a tutt’oggi del Pontificio Consiglio per l’interpretazione dei testi legislativi della Chiesa. Autore di oltre trecento pubblicazioni, la sua ricerca scientifica spazia dall’indagine sull’Antico Diritto Iranico alle Provincie Orientali dell’Impero Romano fino al rapporto esistente fra tradizione giuridica delle Chiese Orientali rispetto alla tradizione giuridica latina, non disdegnando lo studio sul mondo greco e sui Diritti dell’Antico Oriente Mediterraneo di tradizione indo-europea e semitica.

I HAVE A DREAM di Tonino Salvo

L’arco

Periodico dell’Associazione Culturale “L’Arco” Fondatore Giuseppe Fabrizi Direttore Responsabile Onorato Bucci Comitato di redazione Onorato Bucci - Giuseppe Fabrizi Pietro Foraci - Enzo Gancitano - Nino Gancitano Michele Norrito - Giuseppe Pernice Tonino Salvo Redazione Via G. Toniolo, 3 - 91026 Mazara del Vallo Registrazione Tribunale di Marsala n.86-5/89 del 2/3/1989 Finito di stampare presso: Grafiche F.lli Napoli Campobello di Mazara

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ogni anno nel mondo si verificano circa un milione di morti per malaria e circa l’80% di queste morti avviene nella fascia sub-sahariana delI’Africa. Ancora più grave è il fatto che ciò si verifica maggiormente nei bambini sotto i cinque anni d’età. Ma anche la Tubercolosi e l’Aids mietono centinaia di migliaia di vittime,specialmente donne. Il tenore di vita (ma forse è anche esagerato usare questa parola) delle popolazioni del Burkina-Faso e del Niger è sicuramente da considerare, a detta degli esperti in materia, tra i peggiori del nostro pianeta. La quasi totale mancanza di acqua oltre a rendere precaria la vita giornaliera è inevitabilmente una “predisposizione” alle malattie più disparate. Se si considera poi che l’economia locale non consente di poter affrontare in pieno le necessità, anche primarie, di quelle popolazioni si può avere una pallida idea dell’enorme problema esistenziale. Basta del resto un esempio: per scavare un pozzo che possa dare l’acqua a circa mille persone occorrono almeno 10.000 euro. Mazara si trova ad affrontare alcuni problemi per l’acqua potabile che presenta valori di nitrati superiori alla norma. Ebbene credo che in Burkina-Faso e Niger vorrebbero avere questi nostri problemi con l’acqua “inquinata”, purché fosse possibile avere a disposizione una discreta quantità di acqua. Alcuni mesi addietro è stata costituita l’Associazione “ARCObaleno” onlus che, tra le altre finalità, ha il principale scopo di aiutare il più possibile le popolazioni di queste due nazioni: povere forse economicamente, ma sicuramente ricche di valori umani e spirituali. Restando nel tema: “acqua”, siamo consapevoli che si tratta per ora di una goccia di acqua in un mare di bisogni, ma nel contempo siamo convinti che ogni goccia d’acqua in più che ognuno di noi riuscirà a versare nel secchio degli aiuti per quelle popolazioni costituirà a poco a poco una quantità d’acqua che potrà dissetare realmente e metaforicamente gli abitanti di quei luoghi forse lontani fisicamente da noi, ma vicini spiritualmente. Parafrasando una famosa frase di Martin Luther King: “I have a dream” (ho un sogno), anche noi possiamo avere un sogno. Bisogna però tener presente che se smettiamo di “sognare”, ringraziando DIO avremo comunque quanto basta per i nostri flgli; mentre se noi non continuiamo a “sognare” quelle popolazioni avranno sempre meno risorse per poter far crescere i loro figli. Ed allora ognuno di noi contribuisca come può, iniziando dalle piccole “rinunce” quotidiane (qualche sigaretta o qualche caffè in meno, per fare un esempio) ottenendo così due scopi: - uno altruistico, destinando tale risparmio all’aiuto di quei popoli; - uno egoistico, facendo del bene a se stessi migliorando il proprio stato di salute. Ricordiamoci però che se NOI ci fermiamo anche LORO si fermano.


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