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ARTE INCLUSIVA

Cristiana Perrella, nuova direttrice del Centro Pecci di Francesca Lombardi

La incontriamo alla vigilia del suo arrivo definitivo in città: Cristiana Perrella è la nuova direttrice del Centro Pecci, in carica per tre anni. Figura di spicco della scena artistica romana e internazionale, è stata responsabile per dieci anni del Contemporary Arts Programme presso la British School di Roma, ha collaborato con Riso, il Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, ed è curatrice alla Fondazione Golinelli di Bologna. La neo direttrice ha organizzato mostre come free lance in musei e gallerie, tra cui la Fondazione Prada di Milano e il Maxxi di Roma, curato la grande monografia di Francesco Vezzoli uscita nel 2016 per i tipi di Rizzoli, e pubblicato diversi libri fra cui, con Luca Beatrice, Nuova Scena, Nuova Arte Italiana- Esperienza visiva ed estetica della generazione anni Novanta. Una nomina ma anche un ritorno: come è cambiata la città?

Ho frequentato nel 1991-1992 il corso per giovani curatori, nell’ultimo anno di direzione del Pecci di Amnon Barzel. La città è sicuramente molto cambiata, trasformata a livello di composizione sociale e dal punto di vista della produzione. Ma io l’ho trovata molto più aperta, recettiva al cambiamento, più viva nel suo centro storico e orientata all’innovazione. Ho appreso con piacere che in città si sta installando la banda larga 5G ultraveloce ed è una delle due sedi toscane delle Manifatture Digitali Cinema: sono segnali importanti di un atteggiamento vocato al cambiamento e all’innovazione.

Quali sono stati secondo lei i punti di forza del passato mandato?

Cavallucci ha portato in città il Forum dell’Arte Contemporanea, un evento di portata internazionale che ha dato vita a un dibattito fondamentale per il futuro del mondo del contemporaneo. Purtroppo è un evento passato un po’ in sordina e forse è mancato un momento di approfondimento e riflessione dopo i lavori, ma rimane una fase di grande forza propulsiva. Questi 3 anni sono stati importanti da tanti punti di vista: il Grand opening ha messo Prato al centro del mondo dell’arte contemporanea; Cavallucci ha saputo poi dare il via a un polo veramente multidisciplinare. La mostra di Jerome Bell – dove l’arte si unisce alla danza, al video e alla performance – ne è un esempio tangibile. Non ultima la Pecci School, con il suo importante ruolo didattico e di divulgazione. Credo che in alcuni momenti sia mancata solo una comunicazione efficace.

Arriva nell’anno del 30° anniversario, come festeggerete?

Racconteremo la storia del museo, il suo carattere, il suo Dna per attualizzarlo. Partiremo proprio dal Museo stesso per tracciare un per-

FIGURA DI SPICCO DELLA SCENA ARTISTICA ROMANA E INTERNAZIONALE. CRISTIANA PERRELLA È LA NUOVA DIRETTRICE DEL CENTRO PECCI

Il Centro per l’Arte Contemporanea Luigi Pecci si compone oggi di due parti: l’edificio progettato negli anni Ottanta dall’architetto Italo Gamberini e l’ampliamento firmato dallo studio Maurice Nio/NIO architecten di Rotterdam corso dal 1988 fino a oggi, senza dimenticare uno sguardo che si allunga sul futuro. Quale sarà il Centro Pecci di Cristiana Perrella? A grandi linee: avanguardia o sperimentazione?

Io penso che per un museo come il Pecci sia molto interessante avere una identità ben precisa. Sicuramente l’aspetto della sperimentazione mi interessa molto. Credo che la sfida sia portare contenuti sperimentali e innovativi ma comunicarli in maniera accessibile e renderli veramente accessibili anche per un pubblico allargato. L’arte contemporanea è veramente espressione del nostro tempo, delle tensioni che viviamo, ha in sé un carattere fortemente inclusivo. Ci saranno grandi nomi e giovani artisti, con un tratto comune: che riescano a affrontare e a riflettere su temi urgenti della contemporaneità, in un momento in cui la semplificazione eccessiva sembra non stia dando frutti.

La mostra di Wallinger è stata scelta da Cavallucci ma lei e Mark vi conoscete da tempo...

Si, infatti l’ho considerato un allineamento degli astri di ottimo auspicio: una delle opere in mostra l’avevo commissionata e prodotta quando ero all’Accademia Britannica a Roma. Per que- sto con Mark abbiamo deciso di creare insieme un momento di approfondimento sulla mostra, dando vita a una conversazione. Un format che mi piacerebbe ripetere anche con altri artisti che ospiteremo... Sempre nell’ottica di un rapporto con un’arte comprensibile e avvicinabile

In un momento in cui l’appoggio dello Stato alla cultura è carente, cosa ne pensa dell’intervento privato nell’arte e nella cultura in generale?

Credo che i musei debbano riprendere il ruolo centrale nel mondo dell’arte che avevano in passato, di centri propulsori di quelli che saranno i grandi nomi del panorama: troppo spesso assistiamo a artisti con quotazioni altissime che non hanno mai fatto una mostra in un museo. Detto questo credo comunque in un intervento del mondo imprenditoriale nell’arte. Ancor più vero per il Centro Pecci che ha questa caratteristica proprio impressa nel suo Dna fin dalla nascita

Come si è innamorata dell’arte?

A 7 anni i miei genitori mi portarono a vedere una mostra su Matisse a Roma. Ho deciso che nella vita avrei voluto fare quello: creare Mostre. Ma il corso di curatore a Prato è stato un importante momento della mia Formazione.

‘CREDO CHE LA SFIDA SIA PORTARE CONTENUTI SPERIMENTALI E INNOVATIVI MA COMUNICARLI IN MANIERA ACCESSIBILE E RENDERLI VERAMENTE ACCESSIBILI ANCHE PER UN PUBBLICO ALLARGATO’

In questa pagina: Cristiana Perrella. (Ph. Giovanni De Angelis)

Mark Wallinger, Pietre Prato, 2018 (sul pavimento); The unconscious, 2010 (alle pareti)

Contemporaneamente

Il Centro Pecci si prepara al nuovo corso con un inizio promettente, nuove acquisizioni e mostre importanti di Francesca Lombardi

In questa pagina:

Ecce Homo di Mark Wallinger

Nella pagina a destra: Passport Control di Mark Wallinger

Una nuova stagione, iniziata sotto il segno di quattro acquisizioni, un nuovo direttore, una nuova mostra equilibratamente pop –pensata quindi non solo per il pubblico degli intenditori ma per una platea più ampia - e di rilievo internazionale. Si può dire un ottimo inizio per il Centro Pecci, che resta il candidato numero uno per essere il polo dell’avanguardia contemporanea del centro Italia, in asse con Firenze e con il vicino Palazzo Strozzi che alterna il contemporaneo alla grande arte antica e moderna. Alla direttrice neo – designata abbiamo dedicato le nostre pagine per conoscerla e gettare un primo sguardo sugli anni che verranno.

Mark Wallinger Mark, è la prima mostra personale in Italia dell’artista inglese Mark Wallinger, uno dei più importanti artisti contemporanei attivi nel Regno Unito. Noto per la sua ricerca sul tema dell’identità, nel 2007 Wallinger ha vinto il Turner Prize con l’installazione State Britain, una replica fedele del presidio di protesta messo in atto in Parliament Square a Londra dall’attivista e pacifista Brian Haw. Il percorso espositivo studiato per il Centro Pecci inizia con Ecce Homo (1999-2000), la prima scultura di arte contemporanea ad aver occupato il piedistallo storicamente vuoto di Trafalgar Square a Londra, a cui segue Passport Control del 1988: un lavoro che affronta con largo anticipo l’attuale situazione socio politica mondiale in cui , attraverso una serie composta dagli ingrandimenti di alcune sue fotografie di passaporti rielaborate con scarabocchi di pennarello e bianchetto, Wallinger affronta direttamente le questioni relative agli stereotipi razziali e culturali. Negli Id Paintings (2015-2016) Wallinger usa il proprio corpo come strumento e adotta delle pose simmetriche, in modo che i gesti sulle due metà della superficie pittorica siano speculari, rimandando alla simmetria bilaterale dell’Uomo vitruviano di Leonardo da Vinci. In Self Portraits (2007-2015) l’artista prende la lettera maiuscola I, il pronome personale inglese che ognuno utilizza per riferirsi a sé stesso, e cerca di estrarne una forza espressiva; allo stesso modo in Self

(Symbol) 2017, la stessa I maiuscola nel font Symbol è espansa fino a diventare una statua tridimensionale della stessa altezza di Wallinger. Due opere profondamente connesse con la sua Londra: in Shadow Walker (2011), Wallinger ha ripreso la propria ombra che gli si staglia davanti mentre cammina per le strade della città. In MARK (2010), Wallinger ripete in vari luoghi il titolo dell’opera, inscrivendolo ripetutamente con un gessetto all’interno della misura standard di un mattone. Un’operazione di tagging imperturbabile viene riproposta attraverso uno slide-show di fotografie in cui la scritta MARK appare nel medesimo punto di fuga prospettico in 2265 immagini. The Unconscious (2010) è un’installazione costituita da enormi ingrandimenti di fotografie digitali, trovate dall’artista online, che ritraggono delle persone addormentate sui mezzi pubblici. Opera che assume il senso di una vera e propria violazione di privacy. Pietre Prato (2018) è invece una nuova opera site-specific realizzata per la mostra: le pietre numerate a mano con il loro intrinseco contrasto tra il lavoro dell’uomo e la monumentale scala temporale della geologia, convogliano riflessioni sulla mortalità e sulle liste degli scomparsi e degli ignoti. A chiudere il percorso espositivo, due video-documentazioni : Construction Site (2011) e Sleeper (2004), dove l’artista, indossando un costume da orso, percorre per tutta la notte gli immensi spazi deserti della Neue Nationalgalerie di Berlino. Una piccola curiosità: le strade dell’artista e della direttrice si era già incontrate nel recente passato, quando la Perrella era responsabile del Contemporary Arts Programme presso la British School di Roma.

Le quattro nuove acquisizioni sono un affascinante viaggio nell’universo dell’arte. Si inizia con Carlos Garaicoa: nato a L’Avana, Cuba nel 1967, oggi vive fra L’Avana e Madrid. La sua opera De cómo la tierra se quiere parecer al cielo II, 2016 è stata uno dei progetti speciali per la mostra La fine del mondo; è stata acquisita una versione aggiornata con un’installazione presentata dall’artista alla 51° Biennale Internaziona-

UNA NUOVA STAGIONE SOTTO IL SEGNO DI 4 ACQUISIZIONI, UN NUOVO DIRETTORE, CRISTIANA PERRELLA, E LA PRIMA MOSTRA PERSONALE DI MARK WALLINGER

VERSION le d’Arte di Venezia. L’opera rappresenta la città come spazio del desiderio. Józef Robakowski è nato in Polonia nel 1939. La sua opera – prodotta nel 1973 dal titolo I’m Going – è un film 35 mm e era inclusa nella retrospettiva dell’artista al Centro Pecci. Di grande valore storico e culturale, l’autore usa la fotocamera come estensione del proprio corpo per una scalata alla torre di lancio col paracadute, mediando fra la meccanica del mezzo e il proprio stato psicofisico. Rainer Ganahl è un artista austriaco vive fra New York e Berlino. La sua opera Please, teach me Chinese - Please, teach me Italian del 2018 è un progetto realizzato nel contesto delle azioni artistiche di POP-ART al Macrolotto Zero.

La sua opera racconta la contaminazione fra culture diverse: pensata in relazione alla situazione socio-culturale proprio del Macrolotto Zero propone la semplice richiesta di apprendimento della lingua altrui come forma di avvicinamento e considerazione reciproca, quindi come fondamento per la comprensione e la convivenza. Non ultimo il nostro Loris Cecchini con il suo modulo d’acciaio, componente base della scultura recente di Cecchini, permette la generazione di morfologie artificiali, associabili all’idea di crescita organica o di aggregazione cellulare. Si pone in questo contesto di nuove opere che hanno arricchito il patrimonio di una città da sempre votata alle avanguardie, l’opera di Marco Bagnoli per piazza Ciardi. Voluta dal Comune è stata scelta con la collaborazione di Stefano Pezzato e del Centro Pecci, l’opera si intitola L’anello mancante alla catena che non c’è. Elemento distintivo dell’arte di Bagnoli, nel 1989 una mongolfiera con caratteristiche simili a quella di piazza Ciardi fece la propria ricomparsa nella sala ottagonale della Fortezza da Basso a Firenze, assumendo la forma dello scheletro al posto dell’originario pallone aerostatico, opera precedente dell’artista. Per l’opera di Prato ai tre elementi originari dell’opera - la terra, l’aria e il fuocoBagnoli aggiunge ora l’acqua purificatrice aggiornando le “coordinate di una visione interna all’anima” L’opera diventa l’emblema del rinnovamento urbano della città.

In questa pagina: I’m Going di Józef Robakowsk, Nella pagina a sinistra: Waterbones (2018) di Loris Cecchini

Il Mio Non Credo

Lorenzo Urciullo è Colapesce, uno tra i cantautori più liberi della nostra musica. Si racconta, in attesa del suo live, il 31 marzo al Capanno Black Out di Sabrina Bozzoni

Lo ricordo bene, era ottobre. In una piovosa mattinata di autunno, vengo facilmente a sapere della nuova, attesissima, uscita di Infedele, terzo lavoro in studio di Lorenzo Urciullo, in arte Colapesce, e così facilmente questi otto brani, come piccoli cadeau per l’anima, mi entrano dritti al cuore. Lorenzo è un talentuoso cantautore e autore che dalla Sicilia, sua terra essenziale, dove nasce nel 1983, si trova a Milano, megalopoli di suoni e ispirazioni, per divenire, a partire dal 2012 con il suo primo album Meraviglioso declino, simbolo di una musica indipendente, libera e personale. Ed è proprio con questo suo primo lavoro che Colapesce riesce a diventare in breve tempo un piccolo classico della nuova musica italiana, premiato con la Targa Tenco per la migliore opera prima e con il P.I.M.I. sempre per il migliore esordio. Ma torniamo a oggi. Una batteria elettronica e un sintetizzatore. Comincia così Infedele, e lo si capisce subito che questo è un disco importantissimo per la carriera del cantautore. Una boccata d’aria nell’universo musicale alternativo italiano, un lavoro sonoro tridimensionale curato e prodotto con Mario Conte e Jacopo Incani (noto come Iosonouncane). Incontro

Lorenzo in occasione del live di sabato 31 marzo al Capanno Black Out di Prato, unica data toscana del suo Infedele Tour Lorenzo, hai iniziato con un ‘Meraviglioso declino’, sei passato a calpestare le macerie di un ‘Egomostro’ per giungere alla sacralità di ‘Infedele’. Un percorso sonoro e immaginifico che non fa una piega. Come ti senti cambiato tu, dai tuoi esordi.

E’ cambiato naturalmente il mio modo di scrivere musica e l’approccio alla composizione. Dopo il premio Tenco è stata la volta dei concerti disegnati in collaborazione con Alessandro Baronciani e poi altre innumerevoli esperienze che non si sono fermate ai dischi e alla loro promozioni, ma che mi hanno impegnato a tempo pieno e grazie alle quali ho visto ampliarsi il bacino di chi apprezza la mia musica. Forse è banale dirlo, ma ne sono molto felice.

‘Infedele’ sembra un viaggio tridimensionale verso mondi che parlano di mare e negroni sbagliato, sesso e necropoli, panna e psichedelia, il tutto condito da alti riferimenti sonori. Un dualismo che riguarda anche la tua esistenza divisa tra la Sicilia e Milano. Come riesci a con-

Intervista Musica

UNA BOCCATA D’ARIA NELL’UNIVERSO MUSICALE ALTERNATIVO ITALIANO, UN LAVORO SONORO TRIDIMENSIONALE CURATO E PRODOTTO CON MARIO CONTE E JACOPO INCANI (IOSONOUNCANE)

Lorenzo Urciullo, classe 1983, cantautore siciliano, è l’autore del progetto discografico Colapesce, il cui nome è ispirato a una leggenda siciliana

‘INFEDELE TOUR VEDE UNA COMMISTIONE LUCI, SUONI E TEATRALITÀ. HO VOLUTO PUNTARE MOLTO SULLA DIMENSIONE SUONATA DEL LIVE. PONENDO AL CENTRO LA MUSICA E DIETRO TUTTO IL RESTO’ vivere con queste due anime?

Quella di vivere in un grande città è stata una scelta dovuta e votata alla praticità del mio lavoro in musica sia come autore per altri che per me stesso. La Sicilia, il mare, l’energia di questa terra sono stati esistenziali che accompagnano la mia quotidianità e faccio mio quel paradosso che afferma che le tue origini le apprezzi maggiormente guardandole da fuori, osservandole come quadri su cui ricamare i tuoi ricordi, le tue canzoni.

Con il tuo album il successo di pubblico e critica è stato meraviglioso. Cosa ci dobbiamo aspettare il 31 marzo nella tua unica data toscana al Capanno Black Out?

Sarà un vero e proprio spettacolo. Un tour che vedrà una commistione luci, suoni e teatralità. Ho voluto, più delle altre volte, puntare molto sulla dimensione suonata del live. Ponendo al centro la musica e dietro tutto il resto.

Un lavoro prodotto con Jacopo Incani e Mario Conte. Un paio di cose per cui ti senti di ringraziarli infinitamente.

La loro condivisione di un amore per la musica sano e sincero, senza infrastrutture, indipendenti da tutto. E per la loro sensibilità, davvero unica.

Infedele rispetto a chi o a che cosa?

Rispetto alle regole musicali preordinate. Nel mio ultimo lavoro si passa da un linguaggio sacro a uno più urban, da un sound elettronico si toccano echi cantautorali, verso suggestioni latine. Un caleidoscopio della mia volontà di essere musicalmente libero.

Lorenzo fuori dalla musica. In ordine sparso, le cose per cui vale proprio la pena vivere.

Viaggiare e mangiare.

I tuoi rifugi in Toscana?

Il mio fonico è fiorentino e ogni volta che mi trovo in Toscana mi affido completamente a lui. L’ultima volta mi ha portato a mangiare il lampredotto a Firenze, non ricordo dove, ma devo dire che mi è piaciuto, molto, moltissimo.

Una canzone per finire questa intervista.

Bandiera Bianca, di Franco Battiato.

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