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ORGOGLIO MEDIOEVALE

Le torri che furono case nella città di Prato di Mila Montagni foto Pasquale Paradiso

C’è stato un tempo anche a Prato in cui i giorni erano scanditi dalla campana con i suoi rintocchi. A guidare la vita e il lavoro era la campana della pieve di santo Stefano, che fronteggiava la prima sede del Comune, le cui adunanze erano convocate proprio nella Pieve. Quando nel 1250 il potere laico si fece più sicuro innalzò le sue campane e la più importante fu posta su una delle torri del palatium imperatoris, per cadenzare le 12 ore di lavoro quotidiano che caratterizzavano la vita dei pratesi, i cui signori (affievolitosi il potere dei conti Alberti) erano Ugorlandi e Pipini, Marinai, Gollo, cui si associavano già casate d’ascendenza borghese come Guazzalotti, Migliorati, Ferracani, Ringhiadori. Famiglie associate in consorterie che vivevano nelle loro case segnate dalle torri, nella cerchia delle mura allora di libero Comune.

Un secolo prima

Dopo la distruzione del castello e della borgata, nel 1107, fu innalzato un nuovo, più ampio cerchio di mura, furono coordinati lavori idraulici e costruiti canali d’acqua per campi e industrie. All’interno della città furono costruiti nuove chiese, ospizi, case in muratura, botteghe, mulini e gualchiere, ma anche torri e poi case torri in bozze d’alberese biancastro. Prato era diventato un castrum ma non ancora città, mancando la sede vescovile. Le torri, i palazzi e le case torri accompagnavano la nascita di una città nella sua completezza. Alla metà del XIV secolo, queste architetture lasciarono il posto ai palazzi di tutt’altra struttura, magari nati proprio dalla fusione di casetorri rimaste semivuote dopo la terribile peste nera del 1348, che ridusse del 70% la cittadinanza e consentì di ampliare strade e piazze. Piazza del Duomo, piazza del Comune e piazza San Francesco sono l’esito ancora visibile di questo cambiamento demografico e urbanistico, mentre le torri nel Quattrocento furono trasformate in altane da cui ammirare il panorama. Nel Cinquecento le torri rimaste erano testimonianze storiche.

Case o torri?

Secondo quanto raccontano i contemporanei l’orizzonte di Prato contava su ben 60 torri, che potevano essere requisite dal Comune e usate come punti d’avvistamento, ma anche essere violentemente mozzate quando una famiglia riusciva con la forza a prevalere su quelle dei nemici. Perché le torri erano inizialmente il simbolo orgoglioso di una nobiltà feudale inurbata che doveva essere contenuta nelle sue aspirazioni e ambizioni di potere, non soltanto dagli avversari (Guelfi o Ghibellini che fossero), ma anche dal potere pubblico che cercava di instaurare un sistema proiettato verso il mondo del lavoro e del commercio.

Alberese e laterizio

Così queste dimore venivano sviluppate in altezza per sfruttare al massimo il terreno all’interno della cinta urbana fortificata, con porte e finestre molto piccole; i materiali uti-

Palazzo Pretorio, secondo gli studiosi, è una casa torre tra le più tarde. A confermarlo sarebbe proprio il laterizio usato per edificarla

In alto torre Guizzelmi, in basso torre del Fossato in piazza Lippi. Nella pagina accanto dall’alto in senso orario: torre degli Ammannati, casa torre di via Garibaldi, casa torre di via del Corso, casa torre di via Garibaldi lizzati per l’esterno (il serpentino era il più caro, mentre il laterizio del più tardo Palazzo Pretorio era assai più economico) e l’altezza della torre erano un indicatore del potere di una famiglia. All’interno la suddivisione in piani era fatta con pavimenti e scale di legno e in alto si trovava la cucina, il luogo dal quale più facilmente si diffondevano gli incendi. E quando, tra il Duecento e il Trecento, persero la funzione difensiva divennero delle vere e proprie case: più confortevoli, a cominciare dalla pianta che si fece più larga, e maggiormente curate, le finestre vennero ingrandite, al piano terra apparvero i primi loggiati con le botteghe artigiane. Sparirono le buche pontaie, servite per l’appoggio dei ponti mobili in legno, eredità di secoli in cui passare da una torre a un’altra poteva significare la vita o lamorte.

Oggi, in città…

Gli esperti contano 26 torri sopravvissute ai secoli. Alcune non sono visibili, perché letteralmente inglobate in strutture architettoniche più tarde e segnate dall’abbassamento subìto in età comunale, altre spuntano solo in parte da strati d’intonaco successivi, altre ancora, però, si stagliano in cielo nella lora integrità e sembra quasi di veder affacciarsi la sentinella di turno. La prima del nostro itinerario è in piazza Lippi, dietro le sue logge in stile liberty. È la torre del Fossato, costruita nel XII secolo a guardia della Porta dei figli di Rusticuzzo. Imboccando via Santo Stefano si vede la prima delle case torri di via Garibaldi; proseguendo lungo la strada, al civico 58, si trova la seconda, che conserva ancora oggi il suo portalino rialzato originale, ampliata nel Duecento con una torre in laterizio rosso. Si tratta delle torri di Borgo al Cornio, la più antica struttura in alberese della città.

All’altezza di via Pugliesi (numero 21) la torre dei Giudei, detta della Buca e in angolo con via Cairoli la torre degli Ammannati. Ancora riconoscibili ci sono quelle tra tra via Mazzoni e via dell’Accademia, mentre proseguendo lungo le strade che si fanno spazio tra le case si arriva in piazza Sant’Antonino, dove domina torre Ginori. Superata piazza san Francesco si ammira una delle ultime torri della città, in laterizio, ovvero Palazzo Pretorio, mentre in via Cesare Guasti il numero 21 è da secoli torre Guadimari. Il nostro percorso non poteva che concludersi tra via del Pellegrino e via dell’Aiale, dove troneggia salda torre Guizzelmi.

VIA PUGLIESI SI CHIAMAVA ANTICAMENTE ‘VIA DELLE TORRI’ PER LA MASSICCIA PRESENZA DI COMPLESSI EDILIZI FORTIFICATI. NELLA TORRE DETTA DI GIANNICONE, TRA LE ODIERNE VIA DELL’ACCADEMIA E VIA SETTESOLDI, NEL 1200 C’ERANO LE PRIGIONI DEL COMUNE

In alto: la casa torre di via Garibaldi vista da via Santo Stefano Nella pagina a fianco: torre della Buca

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