Newl'Ink N.3

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l’AZIONE

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NEWL’INK

marzo | aprile 2012

di Davide Scandura

Un evento storico in tutti i sensi la prima volta dello zambia, con una cornice da romanzo. vincono i più deboli, perdono i più forti. il giocatore più titolato in campo sbaglia il rigore della vittoria nei novanta minuti, e infine, gli “Elefanti” della Costa d’avorio s’inchinano ai “Chipolopolo” dello Zambia dopo 18 rigori, una serie infinita, quasi commovente. venti anni fa, proprio sopra Libreville (Gabon), un aereo con su una squadra di calcio precipitava mentre era in viaggio verso Dakar per affrontare il senegal: era la nazionale dello Zambia, trenta morti (18 calciatori, 7 funzionari della federazione e 5 membri dello staff), nessun superstite, una “nazione” cancellata e distrutta; il mondo africano conosceva così la tragedia più grande che il suo travagliato corso calcistico ricordi. era il 27 aprile 1993. Quasi vent’anni dopo, ancora a Libreville, la storia del calcio chiude il cerchio di dolore nel modo più bello che lo sport possa regalare: lo Zambia alza al cielo la prima Coppa d’Africa della sua storia. Nella capitale del Gabon, paese organizzatore insieme alla Guinea, si affrontano la corazzata composta da tutti giocatori con esperienza internazionale, e la sorpresa di una squadra giovane, quella zambiana, trascinata oltre ogni sogno dal talento dell’attaccante Mayuka (classe ’90, cannoniere della squadra con 3 reti, unico a giocare in europa, con gli svizzeri dello Young Boys) e dall’abilità del tecnico Renard. Drogba e compagni si presentano in campo forti di un ruolino di marcia impeccabile, fatto di sole vittorie con nove reti all’attivo e zero subite, con i fratelli Tourè a comandare difesa (Kolo) e centrocampo (Yaya, pallone d’oro africano 2011), ed il tridente stellare KalouDrogba-Gervinho. Zambia con il 44-2 e l’appuntamento con la storia di un disastro da “cancellare”. La carica agonistica degli africani mal si concilia con il terreno di gioco ai limiti della praticabilità e tanti sono gli errori nel controllo e nella gestione della palla. Lo Zambia attende gli avversari per ripartire, riservando alla Costa d’avorio l’incombenza di costruire il gioco. al 69’ episodio chiave: Gervinho si invola verso la porta avversaria e viene steso a ridosso del limite d’area. L’arbitro indica deciso il dischetto: Drogba ha sul destro il match point ma spreca tutto incredibilmente calciando altissimo, con Mweene (portiere dello Zambia) che lo irride platealmente. si va ai supplementari e qui è lo Zambia ad avere l’occasione più ghiotta dopo cinque minuti: cavalcata di sinkala sulla fascia destra e palla al centro dove Christopher Katongo colpisce a due passi da Barry, che con il piede tocca in maniera impercettibile ma decisiva deviando

la palla sul palo. Le squadre sono sempre più stanche e non trovano il colpo del ko, si va ai calci di rigore: Bamba si fa parare il terzo rigore ma il penalty va ripetuto per un movimento anticipato di Mweene, la seconda conclusione è vincente e si prosegue senza altri errori a oltranza. Gervinho si rifiuta di andare sul dischetto per l’ottavo tiro, Kolo Touré lo sostituisce e Mweene para. Kalaba ha sui piedi il tiro della vittoria ma spara alto, ancora parità. Nessuno della Co-

sta d’avorio vuole andare a tirare, Gervinho ora non può esimersi, Drogba tenta di tranquillizzarlo parlandogli prima del tiro ma senza esito: palla altissima, e stavolta sunzu non fallisce. Zambia regina d’africa, alla Costa d’avorio le lacrime di una storia che si ripete dopo la sconfitta nel 2006 subita contro l’egitto, in finale, sempre ai rigori. Nella notte di Lusaka (capitale dello Zambia) impazza la festa con canti e balli che consumano un rito tribale che mai era stato applicato al calcio. Uno spettacolo di passione pura, lacrime, balli e preghiere. Lo Zambia realizza il suo sogno più grande e tornano a suonare le vuvuzelas di un popolo in estasi. Grandi elogi vanno all’allenatore francese Hervè renard, ma non va dimenticato che a portare lo Zambia alla Coppa d’africa 2012 era stato il tecnico italiano Bonetti, che allenava gli africani da diciotto mesi. il 10 ottobre 2011 l’allenatore italiano viene infatti esonerato nonostante la qualificazione per la fase finale del torneo continentale. il presidente federale Kalusha Bwalya decise però che Bonetti non fosse in grado di portare la squadra ai Mondiali in Brasile del

2014, al suo posto arrivò così renard, quarantatreenne che aveva già allenato la nazionale africana tra il 2008 e il 2010 prima di passare alla selezione dell’angola e poi al club del UsM alger. Una scelta dettata da idee particolari, visto che l’ex giocatore del Cannes venne scelto perché considerato una specie di “stregone” per la sua singolare attenzione all’aspetto psicologico (che in africa conta più della tattica) e la sua propensione al misticismo. La sua bravura è stata infatti quella di puntare sulle coincidenze. il primo incontro ad esempio, ha messo di fronte agli zambiani il senegal, ovvero lo stesso avversario contro cui stava andando a giocare quella nazionale scomparsa nel ‘93. La fase a gironi, i quarti e la semifinale sono stati giocati tutti in Guinea equatoriale, solamente arrivando in finale infatti, i ragazzi di renard sarebbero riusciti a giocare in Gabon, proprio dove accadde la tragedia del 1993. e poi il “segno” finale, con quel calcio di rigore fallito da Drogba durante la partita. Una serie di sincronicità che il commissario tecnico zambiano ha saputo “usare” al meglio per motivare i propri giocatori e che introduce renard nel ristretto club di francesi che hanno vinto la Coppa d’africa, un trio che comprende anche Claude Le roy (vincente nel 1986 con l’egitto e nel 1988 con il senegal) e roger Lemerre (che vinse nel 2004 con la Tunisia). Una menzione a parte, in questa storia, la merita Kalusha Bwalya, stella di quella nazionale “caduta” nel ‘93, che non viaggiava su quell’aereo ma su un altro proveniente dall’olanda, dove lui giocava nel psv eindhoven. alle olimpiadi di seul 1988 lo Zambia venne inserito nel gruppo B in compagnia di iraq, Guatemala ed italia, e, se le prime due compagini sembravano abbordabili per la selezione zambiana, gli azzurri apparivano un ostacolo insormontabile. Tradendo invece qualsiasi logica precostituita, lo Zambia diede una lezione di calcio agli azzurri in evidente stato confusionale: 4-0 il punteggio finale, con tripletta di Kalusha Bwalya. Una squadra che aveva cominciato a farsi notare quello Zambia. Un appassionato e vibrante gruppo di giocatori che stava conquistando la scena mondiale. poi la tragedia, con Bwalya che divenne il simbolo della rinascita del calcio dello Zambia. Da quel giorno di primavera del 1993, Bwalya ha dedicato la sua vita cercando di completare il viaggio che lui e i suoi compagni avevano cominciato insieme quasi due decenni fa. La sua angoscia lo ha proiettato nella missione permanente di portare lo Zambia ai

vertici del calcio africano fino ad arrivare alla carica, che occupa tuttora, di presidente federale. Dal 1993 il suo impegno è stato implacabile: ha condotto una decimata nazionale alla Coppa d’africa del 1994 pochi mesi dopo l’incidente; ha giocato fino a 40 anni, cercando disperatamente di aiutare lo Zambia a qualificarsi per la Coppa del Mondo; e poi la nazionale l’ha pure allenata. La decisione alquanto coraggiosa di esonerare Bonetti e richiamare renard alla vigilia del torneo è stata tutta sua, ed evidentemente ci ha preso. se c‘è una connessione tra la squadra 1993 e quella del 2012 lui l’ha trovata. Quel sogno di portare gloria all’intero Zambia ha legato le due squadre. Una generazione è stata persa, ora un’altra è finalmente pronta a prenderne il posto. Adesso le anime dei fratelli morti quel giorno potranno finalmente riposare in pace, sono le parole dell’attaccante Felix Katongo, che fanno capire quanto epico sia il significato di questa vittoria. “in memory of 1993, you are playing home” (“in memoria del 1993, si sta giocando in casa”), era il cartello mostrato dai giocatori dello Zambia nel ricordo della tragedia di un paese che da oggi per dimenticare il dolore avrà un trionfo da celebrare, arrivato al terzo tentativo dopo la sconfitta contro Zaire (1974) e Nigeria (1994). Un paese in cui la realtà simbolica acquisisce sempre un’importanza particolare. Una nazione in cui convivono circa settanta differenti gruppi etnici, con forte coscienza nazionale, basato sulla produzione di rame, il nome di “Chipolopolò” (letteralmente: “proiettili di rame”) viene proprio da questo, che sta provando a rilanciarsi pure grazie al turismo. Una vittoria scritta nel cielo che lega il “sacrificio” al trionfo. Le ali di quell’aereo caduto hanno sostenuto l’entusiasmo di atleti che hanno prevalso anche sulla superiorità tecnica dell’avversario. Una squadra senza grandi stelle internazionali, lo Zambia, un’esperienza catartica che ha lasciato pochi dubbi sul fatto che si possa vincere senza avere grandi qualità tecniche, ma semplicemente credendo in se stessi ed in un Dio, come palesemente mostrano i segni della croce e le preghiere durante ogni partita del torneo, che avrebbe restituito ad un intero paese ciò che gli era stato tolto. anche la tragedia del ‘93 ha svolto il suo ruolo nella vittoria, non solo di una squadra, ma di un intero popolo; forse è anche questo il segreto dello Zambia campione d’africa.

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i giocatori dello Zambia esultano stringendo l’ambita Coppa d’africa (immagine dal web) A PAGINA 21

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Luciano vadalà | vittoria incrociata, 2012, tecnica mista su carta, cm 31,5 x 22


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