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Lo spazio pubblico

immediatamente distinguibile entro i contesti urbani più ampi la città pubblica, generando da sé delle differenze con l’eterogeneità degli interventi urbani e i linguaggi architettonici dell’edilizia privata, spesso spontanea e illegale (Curci, Formato, Zanfi 2017). Un’altra caratteristica comune è la forte presenza e la distribuzione di servizi pubblici e attrezzature come scuole e spazi per lo sport o il culto, la loro disposizione studiata in funzione dei collegamenti pedonali e automobilistici con le aree della residenza, spesso entro aree verdi comuni e pubbliche. Questo fa emergere l’impressione di un disegno ordinato e generosamente concepito, con un’alta dotazione di verde, buona disponibilità di aree per la socialità, giusta distanza tra volumi edilizi. È proprio il rapporto peculiare tra spazio aperto e spazio edificato il carattere più importante ed evidente che accomuna tante delle realizzazioni, “il ruolo che nella loro articolazione e disegno ha lo spazio aperto” (Di Biagi 2001, p. 9). Spesso, l’inglobamento di questi brani di città entro l’urbanizzazione galoppante, se fa emergere una qualità edilizia minore, rende evidenti alcuni caratteri positivi come la distribuzione dei volumi più ampia e distesa, o le distanze generose tra fronti edificati. Con alcune derive e criticità che tratteremo in seguito, questo carattere di impianto omogeneo, unito alla pressoché contemporanea occupazione da parte delle famiglie assegnatarie, ha comportato a volte la nascita di comunità coese e ben identificabili, portatrici di orgogliose storie di mobilità sociale.

Lo spazio pubblico Come già notato, oltre alle particolari caratteristiche edilizie e di impianto urbano, la realizzazione di quartieri di edilizia economica ha comportato anche una precisa connotazione degli spazi aperti pubblici ricompresi in queste aree e derivati in parte dal rapporto di queste con l’intorno prossimo e con le infrastrutture di collegamento. Questi spazi sono entrati a fare parte di una peculiare evoluzione dello spazio pubblico verso dimensioni molto diverse dalle configurazioni tradizionali. Ciò richiede una trattazione specifica, sebbene sintetica: il progetto dello spazio pubblico, il contributo dei privati alla sua conformazione, i differenti ruoli che esso ha rivestito e tende a rivestire anche in rapporto alla realizzazione delle dotazioni pubbliche non residenziali, lo rendono un tema specifico sempre più indipendente dalla semplice dimensione edilizia (Loda 2011) o dalle possibilità realizzative pubbliche che nei primi decenni del XXI secolo sono molto limitate. È nota la grande tradizione e qualità dello spazio pubblico nelle città e nei borghi italiani (cfr. il capitolo Un progetto per i centri storici) il cui emblema sono le migliaia di piazze di varie epoche e dimensioni che rendono i centri storici italiani un esempio di eccel-

lenza per quanto riguarda la relazione tra i pieni e i vuoti della città consolidata. La sapienza e la precisione nel disegno degli spazi comuni urbani e la loro capacità di adattarsi ai diversi usi ed epoche da parte di differenti popolazioni è sorprendente. Eppure, all’aumentare della velocità delle trasformazioni urbane con la grande trasformazione della quale si è detto (Carta, Lucchesi 2017), lo spazio pubblico ha subito una mutazione eccezionale, che è lungi dall’essere conclusa, della quale ancora si fatica a prevedere gli esiti e nella quale gli spazi pubblici tradizionali non sono meno importanti ma vengono riconfigurati entro un rinnovato quadro generale. Alla qualità dello spazio pubblico concorrevano storicamente una serie di elementi: essere una sapiente e concertata conseguenza della disposizione dei differenti volumi edilizi di vario rango (lo spazio “tra gli edifici”), che soddisfaceva esigenze molto varie di distribuzione, di mobilità, di rappresentanza, unite alle precise necessità funzionali: come fungere da mercato, ospitare il culto e le manovre militari, soddisfare la dotazione di spazi aperti per l’igiene urbana e la raccolta delle acque etc. Inoltre, contribuivano alla qualità dello spazio pubblico le qualità materiche delle sue componenti fisiche, nonché l’attenzione alla corrispondenza degli spazi alle esigenze comunitarie di rappresentanza di aspetti simbolici sia civili che religiosi. Questa qualità è stata garantita nei secoli precedenti la grande trasformazione dalla forte densità e concentrazione nei centri urbani, dalla costante azione di loro perfezionamento e modifica incrementale, insomma dall’azione del tempo che ha sedimentato e selezionato gli elementi migliori o ritenuti tali. Anche durante la storia dell’Italia unitaria, con la costruzione degli spazi pubblici primo-novecenteschi (che hanno ospitato ad esempio il rito doloroso della collocazione in tutta Italia dei monumenti ai caduti della prima guerra mondiale) e durante il fascismo (quando il progetto dello spazio pubblico ha tentato di ripercorrere le tracce della tradizione, in una tendenza a celebrare il potere costituito), si poteva riconoscere una continuità forte, anche formale, con la città storica, e una identità di finalità dello spazio pubblico. L’eccezione sono state stata in questi periodi le “piazze della stazione”, che hanno iniziato tra Otto e Novecento a mutare gli equilibri urbani in maniera sostanziale, introducendo spazi pubblici inediti, legati a nuove funzioni (Godoli, Lima 2004). Ma è con l’esplodere dell’urbanizzazione, con il venir meno dei limiti fisici della città murata, con la crescita per inspessimento della città storica e poi per diffusione e dispersione negli spazi rurali delle pianure e in quelli naturali della coste e della montagna, con una massiccia realizzazione di seconde e terze case, con la frequente commistione tra abitare e produrre, è dunque in questo scenario così velocemente delineato (Clementi, Dematteis, Palermo 1996) che il ruolo dello spazio pubblico cambia, il suo progetto si indebolisce fino quasi a svanire. Il cambiamento radicale delle forme, del senso e del ruolo dell’insediamento urbano

è passato così anche necessariamente per un cambiamento radicale dello spazio pubblico, dei suoi usi, della sua percezione, del suo ruolo in una città divenuta sempre più porosa, dispersa, indefinita (Secchi, Viganò 2011). Il tentativo di realizzare nuovi spazi pubblici attraverso una sommatoria di dotazioni, addizione di superfici derivate dal calcolo di standard per individuo, si è rivelata fallimentare per quanto riguarda alcuni aspetti qualitativi (Giaimo 2019): tuttavia, lo spazio pubblico si è evoluto, assumendo una serie di declinazioni in linea con le più recenti trasformazioni di questa dimensione in ambito europeo. Il cambiamento più evidente e generale ha riguardato il mutare dello spazio della strada intesa come spazio pubblico: densità molto basse, frammentazione, dispersione, un differente rapporto dei fronti edificati con le strade, presenza delle automobili, hanno comportato la sparizione della strada come spazio pubblico per eccellenza, multifunzionale, presidiato, vissuto, in questo seguendo una trasformazione globale da tempo nota (Jacobs 2000). Con le strade, il cambiamento ha investito tutti quegli spazi dedicati alla mobilità: stazioni, porti, aeroporti, tramutati in spazi di transito e attesa specializzati, e infrastrutture lineari (ferrovie, autostrade, canali), il progetto e realizzazione delle quali anche in Italia ha comportato una discussione spesso aspra e a volte fertile sul loro significato e ruolo nella strutturazione di nuovi spazi pubblici (Clementi 2003). Questo è un indicatore del variare della scala e dell’uso degli spazi pubblici non solo urbani, spesso risultato di dismissioni di altre funzioni (spazi industriali o sportivi dismessi usati per eventi temporanei) o terrain vague in attesa di trasformazioni date per inevitabili e mai avvenute (le grandi estensioni dei terreni di margine alla città, le aree verdi intercluse di molte aree metropolitane, spesso agricole, cfr. il capitolo Il progetto del paesaggio). Nello spazio pubblico cambia così il rapporto con il paesaggio e con i grandi vuoti urbani, periurbani, rurali: l’emergere del paesaggio come elemento “altro”, l’affermarsi dell’architettura del paesaggio, dello spazio vuoto tematizzato il cui uso anche solamente ludico cambia ruolo e forma dello spazio pubblico, segnala questo spostamento di senso. Si assiste così al crescere di importanza di spazi pubblici specializzati e attrezzati: le spiagge, gli spazi della montagna, o i parchi diversamente declinati, con l’affermarsi di una loro crescente “privatizzazione”: dagli spazi di mercato centrali allo shopping mall metropolitano, periferico o più spesso baricentrico; dal cinema di quartiere al multisala, dalla piscina pubblica alla spa privata, etc. I fattori così delineati comportano un movimento duplice: da una parte, lo sforzo di ragionare con sensibilità e attenzione sui mutamenti degli spazi pubblici tradizionali, quelli delle piazze anche più note, che in Italia continuano la loro mutazione d’uso (ba-

sti pensare all’evoluzione dell’uso delle piazze nelle città d’arte invase dai turisti, cfr. Carta, Tarsi 2020); dall’altra, si pone il problema di affrontare la novità e l’evoluzione della natura e del ruolo dello spazio pubblico nella metropoli contemporanea, ove emerge lo scollamento del disegno e del significato dello spazio pubblico dalla dimensione dell’edificato. Lo spazio pubblico si tramuta velocemente in contenitore di funzioni temporanee o estemporanee, le sue gerarchie cambiano e i suoi usi sono decisi da sistemi di segni e messaggi istantanei che viaggiano su piattaforme digitali, tramutando tutto l’apparato semiologico costruito nel tempo. Lo spazio pubblico diviene così sempre più “architettura a volume zero” (Aymonino 2006), tema di riflessione molteplice e multiscalare per architetti, urbanisti, paesaggisti, agronomi, naturalisti, artisti, imprenditori del loisir, in un’azione che tenta anche di utilizzare nuovi usi potenziali per recuperare gli scarti e le frange di una città che, in forza della sua crescita subitanea, impetuosa e non ordinata, è intervallata da una miriade di spazi vuoti o di risulta (Rossi, Zetti 2018). C’è infine da considerare l’intreccio e l’interazione tra l’uso generalizzato di piattaforme digitali globali “generaliste” (Facebook, Google, Instagram) o altre piattaforme specializzate (come AirB&B, TripAdvisor, Amazon) e il cambiamento dello spazio pubblico, o meglio dell’uso collettivo e sociale degli spazi dilatati dell’urbanizzazione contemporanea. Sull’onda di una certa retorica della smaterializzazione tutta teorica, alcuni contrappongono allo spazio pubblico fisico l’uso degli spazi virtuali, assegnando a questi ultimi un qualche ruolo nell’indebolimento (o deperimento, addirittura) delle strutture fisiche urbane (Castells 1996). Noi pensiamo piuttosto che il cantiere della nuova città (o metropoli, o post metropoli) e dunque la disciplina urbanistica abbia nei big data messi insieme dagli utenti delle piattaforme digitali in mobilità uno straordinario e inedito strumento di conoscenza, mappatura e controllo minuzioso e continuo degli usi degli spazi, dei “gusti” o preferenze degli utenti, delle loro scelte come singoli e anche a volte come componenti di gruppi o fasce sociali che si possono comporre e scomporre in base ai differenti parametri; financo nella emersione di alcuni conflitti di uso (Hagi, Campani 2014). Esiste, come sottolineato ad esempio da Klinenberg 2019, una azione attiva e orientativa che gli strumenti digitali esercitano sugli utenti: nel dirigere la domanda di merci verso l’offerta di merci o servizi tramite la variazione dei prezzi in relazione alla disponibilità di reddito; la scelta dei percorsi in base alla disponibilità di tempo; la scelta delle destinazioni in base a desideri e/o necessità. Esiste anche la possibilità di conoscere spostamenti e azioni, di mapparli e conservare memoria di tutto ciò, unito alla possibilità di orientare comportamenti, gusti, desideri. Tutto ciò pensiamo possa essere utilizzato e debba essere studiato specificamente dagli urbanisti come strumento imprescindibile per capire, rinnovare e progettare al meglio