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Tre piste per il paesaggio

– uno dei perni per la ricostruzione di una relazione di prossimità urbano-rurale (Mininni 2012) –, il Sistema infrastrutturale per la mobilità dolce, la Valorizzazione e riqualificazione integrata dei paesaggi costieri, i Sistemi territoriali per la fruizione dei beni culturali. Un altro piano tra i primi ad aver sviluppato una robusta e diversificata dotazione di strumenti di carattere strategico è il PPR del Piemonte, che comprende progetti a scala sovracomunale, programmi o progetti locali, programmi o progetti di rilievo regionale e sovraregionale, tra i quali il Progetto strategico Corona Verde (imperniato anch’esso sul tema del rapporto tra la città di Torino e il suo intorno rurale) e il Progetto Rete di Valorizzazione Ambientale. Sempre sui temi della mobilità lenta, della rete ecologica e dei beni culturali lavora il PPR del Friuli Venezia-Giulia, con le sue Reti strategiche a essi dedicate. Quattro Programmi strategici sono individuati anche dal QTRP della Calabria (Calabria un paesaggio parco da valorizzare, Le reti materiali e immateriali per lo sviluppo della regione, Territori sostenibili, Calabria in sicurezza) che definisce, in più, un progetto strategico incentrato sulla rete ecologica polivalente regionale. L’utilità dei progetti strategici per il paesaggio è quella di proporre visioni integrate che richiedono una cooperazione multisettoriale all’interno delle amministrazioni coinvolte. Spesso agganciati alle politiche di settore e ai relativi finanziamenti, possono essere in grado di mobilitare risorse indipendenti dalla spesa corrente delle amministrazioni. Infine, se vengono dotati giuridicamente di valore di direttiva – cogente per gli strumenti urbanistici comunali (come, per esempio, nel PPTR della Puglia) – possono contribuire a identificare azioni idonee per la realizzazione dello scenario strategico alla scala dei territori comunali.

Tre piste per il paesaggio Alcuni temi cruciali dell’approccio strutturale e patrimoniale al paesaggio emergono dalle considerazioni fin qui esposte e riguardano il ruolo di integrazione che può essere svolto dal paesaggio rispetto alle politiche pubbliche con ricadute spaziali, la “produzione sociale del piano e del paesaggio” e la costruzione di un progetto culturale sul paesaggio (De Bonis, Gisotti 2021). Il primo tema concerne la necessità di concepire il paesaggio come politica pubblica, attivatore di un’idea di sviluppo diverso, non legato solo a quei parametri economici che, sempre più nella congiuntura attuale, stanno mostrando la loro limitatezza (Barbanente 2011). La qualità dell’ambiente in cui viviamo, una relazione non più predatoria dell’uomo rispetto alle altre specie viventi, il diritto a un cibo sano che non impieghi metodi di produzione che rappresentano per noi minacce endemiche, la possibilità di muoversi in

modo sostenibile non solo per esigenze di loisir ma anche per quelle ordinarie, il diritto alla bellezza, alla fruizione della natura nei suoi aspetti più selvatici come in quelli addomesticati, sono tutte aspirazioni che possono trovare una sintesi all’interno del tema paesaggistico. Il paesaggio e la sua pianificazione non possono più quindi essere inquadrati come uno dei tanti campi settoriali dell’azione pubblica ma dovrebbero conquistare una centralità come sede di sintesi di un insieme di istanze progettuali e programmatiche su base regionale. In questo senso, la funzione che il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio riconosce al piano paesaggistico (di possibile coordinamento di tutti gli strumenti di pianificazione territoriale e di settore, oltre che di piani, programmi e progetti nazionali e regionali) può giocare un ruolo importante per la definizione di politiche di carattere integrato. Il secondo tema riguarda la cosiddetta “produzione sociale del piano e del paesaggio”, che ha trovato in esperienze di pianificazione come quella del PPTR pugliese una declinazione particolarmente matura: essa si è alimentata, infatti, di numerosi strumenti partecipativi multilivello (sito internet interattivo per segnalazioni di buone e cattive pratiche, conferenze d’area, progetti sperimentali locali di paesaggio, ecomusei e mappe di comunità, contratti di fiume, premio del paesaggio, tavolo e manifesto dei produttori di paesaggio) e si è infine tradotta in uno specifico Titolo delle Norme Tecniche di Attuazione del piano stesso (“La produzione sociale del paesaggio”). Lavorare alla predisposizione di strumenti e contesti idonei ad accogliere la partecipazione degli attori territoriali al processo di pianificazione e la formalizzazione giuridica del loro contributo sono, dunque, tappe essenziali; non solo dal punto di vista del potenziamento dell’efficacia del piano, ma anche per il consolidamento di una nuova cultura del paesaggio inteso come bene comune e patrimonio collettivo. In questa prospettiva, può essere utile proseguire sul cammino della rappresentazione statutaria, che evidenzia l’identità stratificata del territorio e del paesaggio, le regole di buon funzionamento a essa sottese, gli scenari di trasformazione. Si tratta di elaborati grafici di natura diversa: cartografie che abbinano a una marcata espressività dei caratteri paesaggistici rigore metodologico e attendibilità topografica (da alcuni anni potenziata grazie al ricorso ai Sistemi Informativi Territoriali nell’ambito dei quali le carte vengono prodotte)12; ma anche rappresentazioni come le norme figurate che, inserendosi nel solco già tracciato dalla tradizione dei form-based code, sperimentano modalità di esplicitazione visiva dell’apparato normativo del piano. La rappresentazione statutaria del paesaggio può proficuamente alimentare la partecipazione alla sua tutela e contribuire alla restituzione di quel caleidoscopio di visioni, non privo di conflittualità interna, che è il paesaggio “così come percepito dalle popolazioni”.

12 La “carta dei caratteri del paesaggio” del PIT toscano costituisce un esempio particolarmente significativo di questo tipo di rappresentazioni (Lucchesi 2016).

L’ultimo tema è quello della costruzione di un progetto culturale sul paesaggio, di lungo periodo, che accompagni e supporti le sperimentazioni e gli avanzamenti compiuti sul piano tecnico e normativo. Questo progetto potrebbe svilupparsi su tre assi: il primo, rivolto al “senso comune” o alle “popolazioni” cui fa riferimento la CEP, dovrebbe sensibilizzare sull’importanza del paesaggio come bene comune, come ambiente di vita da curare a partire anche dai comportamenti individuali; il secondo potrebbe coincidere con un’ampia offerta di processi formativi sui piani paesaggistici, per far sì che tutti coloro che operano sul terreno tecnico e amministrativo condividano un campo di conoscenze e riferimenti comuni; il terzo asse potrebbe, infine, concentrarsi sull’immaginare il progetto del paesaggio futuro, non solo in ambito rurale ma anche e soprattutto urbano, un tema oggi cruciale specie se si accetta che il paesaggio, come sostiene la CEP, è quadro di vita delle popolazioni.