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Un Maestro umano sognatore e ribelle - LeSiciliane n.72

Un Maestro umano sognatore e ribelle

Elena Brancati

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Capelli folti e lunghi, jeans, maglietta, e Nazionale sempre accesa tra le labbra. Tanta autoironia. Parlata affascinante. Un uomo diverso dai suoi coetanei. Entusiasmanti ricordi di una ragazzina oggi donna e madre ricordi che si mischiano con gli avvenimenti quotidiani della vita, diventano percorsi umani e professionali. Giuseppe Fava stato un maestro che ha insegnato a sognare e ribellarsi Luglio o agosto 19… ? Che anno era? Boh, non ricordo. Taormina, bar Mocambo e un festival del cinema in corso. Mio padre, mia madre, Pippo e Lina Fava. Ed io, adolescente. Risate, sfottò, sigarette accese e donne eleganti e raffinate. Ed io, felice ma non tanto, a quell’età si vorrebbe passare l’estate fra coetanei e non con genitori e amici loro. Ma era bello passare una settimana a Taormina e vedere film, noiosi ma anche interessantissimi (chi se lo scorda “Non si uccidono così anche i cavalli”?) e che dovevano segnare la mia grande passione per il cinema che mi avrebbe portato a scriverne per anni sulla “Gazzetta del Sud” e poi su “I Siciliani” e a trasmettere le storie della Settima Arte ai miei alunni? Insomma, le prime immagini che mi vengono in mente di Pippo Fava sono proprio queste. Quest’uomo tanto diverso dai suoi coetanei, capelli che gli sfioravano il collo, jeans, maglietta e Nazionale accesa. Lo sentivo parlare e mi affascinava, mi divertiva e sfotticchiava mio padre dicendogli che avrebbe dovuto lasciarmi un po’ più libera (ma chissà com’era con sua figlia che portava il mio stesso nome…). Un salto di più di un decennio ed eccomi dentro la redazione del quotidiano che Fava era stato chiamato a dirigere. Mi ero presentata portandogli alcune cose che avevo scritto su Andy Warhol per l’Università e i tre, dico tre, articoli che mi avevano pubblicato su La Sicilia. Tre, il numero perfetto per capire che lì era meglio non metterci più piede. E mi ritrovai a lavorare alla redazione spettacoli del Giornale del Sud. E certo non per il lavoro su Andy Warhol o per i tre, dico tre, articoli sulla Sicilia. Ma perché Fava aveva compreso che il suo entusiasmo, la sua voglia di verità e giustizia la poteva trovare solo in quei carusi che avevano il suo stesso spirito in una città indolente e malandrina. Il licenziamento di Fava dalla Gazzetta del Sud, la creazione della cooperativa Radar e la nascita de “I Siciliani” accesero le mie e dei miei compagni d’avventura speranze di un giornalismo libero, crudo, rivelatore di ingiustizie e anche di grandi bellezze che la stampa di regime negava per complicità, connivenza, ignoranza e tornacontismo. Anni faticosi ma entusiasmanti con un Maestro, un vero Maestro, umano e sognatore, ribelle e controcorrente. (quanto tempo è passato? Tanto. Ma per me è sempre lì a farmi compagnia e ad emozionarmi, a rendermi soddisfatta della scelta e che, anche per insegnare, mi ha dato molto di più della maggioranza dei noiosissimi e tromboneschi corsi d’aggiornamento). Il resto della storia la conoscete tutti. Non la voglio ricordare. Fa ancora male.