Principessa Mafalda

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Un tragico nome

PRINCIPESSA MAFALDA Un tragico nome

Le navi, come gli esseri umani, hanno una vita che può essere breve o lunga, fortunata o meno. Anche negli ultimi anni della Vela Oceanica Italiana, dal 1880 fino alla metà degli anni ‘20, non pochi sono stati gli episodi da ricordare di avventure vissute da una irrepetibile generazione di Comandanti ed Equipaggi che sono vanto e onore della Marina Mercantile su tutti gli oceani, dalle difficili rotte del Sud Est asiatico fino a doppiare il famigerato Capo Horn, imprese mai più eguagliate a volte vanificate da una tragica fatalità. Verso la fine nel 1800 molte navi erano state dotate di motrici a vapore il cui rendimento era molto migliorato rendendo economicamente accettabile la loro gestione anche come navi da carico. L’estremo tentativo di rendere la navigazione a vela competitiva a quella delle navi a vapore fu la costruzione delle grandi navi a palo. Vale la pena ricordare che con l’apertura del Canale di Suez nel 1869 le navi a vapore tolsero ai veloci Clippers il ricco traffico del tè dalla Cina, relegandoli a trasportare carichi meno pregiati. Sebbene migliorato il rendimento delle motrici a vapore, il consumo di carbone era molto alto, per cui erano necessari scali di rifornimento piuttosto ravvicinati. La rotta per raggiungere i mercati della Cina, usufruendo del Canale di Suez si rese fattibile in quanto vi era la possibilità di più facili e ravvicinati porti di rifornimento. Ultimo, ma non meno importante, fu che gli inglesi, grandi consumatori di tè, si resero conto che la fragranza della loro bevanda preferita non veniva alterata anche se trasportata da navi di ferro. Dal 1902 al 1904 grazie ai noli elevati nei traffici dalle coste americane verso il Sud Est asiatico e dal Cile all’Europa e dall’Australia al Cile ed ai benefici che le leggi accordavano alle nuove costruzioni, diversi armatori ordinarono ai cantieri italiani poderose unità per nulla inferiori a quelle straniere. Nacquero così le navi a palo che tennero alto il prestigio della marineria e cantieristica italiana. Questo tipo di veliero con scafo in acciaio era caratterizzato da quattro alberi, tre a vele quadre ed il quarto a vele auriche (randa e controranda), ne furono costruite circa una decina di cui sette in Italia.

Aldo Baffo Genova


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Tutte le navi erano di costruzione italiana e vennero realizzate in Liguria. I loro nomi: “Edilio Raggio” – “Emanuele Accame” – “Erasmo” – “Regina Elena” – “Italia” – “Principessa Mafalda” – “Gabriele d’Alì”. Le loro rotte attraversavano tutti gli oceani trasportando legname dai porti della Columbia Britannica e dall’Oregon per l’Europa e l’Australia, da qui con carbone verso il Cile da dove ripartivano per varie destinazioni cariche di nitriti; dall’America con petrolio in cassette verso il Sud Est asiatico. Le nostre navi erano talmente belle che nel 1912 l’armatore Laeisz di Amburgo acquistò prima l’Erasmo, che divenne Pinguin, e poi la Regina Elena, che divenne Ponape. Entrambe parteciparono alle famose “regate del grano” vivendo una seconda giovinezza. L’Erasmo (Pinguin) fu demolito nel 1927, mentre la Regina Elena (Ponape) navigò fino al 1936.

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Nave a Palo “PRINCIPESSA MAFALDA” Venne costruita nel 1902 dal Cantiere Nicolò Odero alla Foce a Genova per conto dell’armatore Beverino di Genova, progettista e Direttore dei lavori l’ingegnere navale Fabio Garelli.

“Principessa Mafalda” – Nave a palo Varata il 18 maggio 1903 da Nicolò Odero alla Foce per i fratelli Beverino. Nel settembre del 1906 affonda al largo di Sumatra per le conseguenze di un violento fortunale. Si fa appena a tempo a metter le lance in mare, che alle ore 16, con un sussulto improvviso e prolungato la nave sprofonda negli abissi.

Scafo in acciaio, stazza tonn. 2.385, bastimento bello e dalla linea filante che risultò molto veloce per l’ampia velatura. Il 13 luglio 1903 salpava da Genova in zavorra per New York al comando del Cap. Marselli, dove giungeva il 28 Agosto. Caricò petrolio in barili per Samarang. I seguenti viaggi furono: da Surabaya a Newcastle (A) in 47 giorni, da Newcastje a Caleta Coloso 44 giorni, da Caleta Coloso a Newcastle 44 giorni. Nel 1905: da Newcastle a Junin 52 giorni e da Junin a Filadelfia 78 giorni. A Filadelfia sbarcava il Cap. Marselli ed imbarcava il genovese Cap. Paolo Serra, caricò petrolio e ripartì per Samarang. Aldo Baffo Genova


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Qui la parca navale che sempre è in agguato si manifestò al largo di Sumatra; verso la fine di settembre il veliero incontrava un fortissimo ciclone che lo ridusse a mal partito. Il veliero si trovava a 50 miglia a Sud Est della suddetta isola ed era in pessime condizioni senza timone e con inarrestabili ed imponenti vie d’acqua. Il Comandante Serra diede l’ordine di abbandonare la nave; non appena le lance si allargarono la nave si spezzo in due affondando rapidamente. Dopo ulteriori tormenti le lance riuscirono a raggiungere la costa di Sumatra.

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Piroscafo “PRINCIPESSA MAFALDA” In anni in cui l’emigrazione era in crescente aumento la cantieristica italiana dovette far fronte alla richiesta di nuove navi che fossero all’altezza della concorrenza nordeuropea. Nel 1904 il cantiere navale di Riva Trigoso, su commissione del Lloyd Italiano, intrapresa la costruzione di una coppia di transatlantici: “Principessa Jolanda” e “Principessa Mafalda”. Le due navi caratterizzate da un allestimento di gran lusso divennero le più grandi navi costruite per una Compagnia di Navigazione Italiana. Tuttavia, anche in questo caso, la parca navale era in agguato ed il 22 Settembre 1908 la “Principessa Jolanda” ultimata per prima, appena varata si coricò sul fianco affondando.

“Principessa Mafalda” – Piroscafo Varata il 22 ottobre 1908 dai Cantieri di Riva Trigoso. Naufraga il 25 ottobre del 1927 dopo quasi vent’anni di servizio a poche miglia dalla costa del Brasile.

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Costruita su progetto dell’Ing. Erasmo Piaggio la “Principessa Mafalda” fu felicemente varata il 22 ottobre 1908. Entrò in servizio il 20 marzo 1909. Caratteristiche: Lunghezza: Larghezza: Pescaggio: Propulsione: Potenza: Velocità: Equipaggio: Passeggeri:

146 metri 16,80 metri 8 metri 2 macchine a vapore a quadruplice espansione 10.500 CV ognuna, due eliche 18 nodi 300 1580 Prima classe 180 Seconda classe 150 Terza classe 950

L’allestimento di gran lusso, un grande salone per le feste ed altri vari ambienti estesi in verticale su due ponti facevano della “Principessa Mafalda” il più prestigioso piroscafo della flotta italiana. La nave era dotata di telegrafo e lo stesso Marconi effettuò i primi esperimenti radiofonici. Il 30 Marzo 1909 iniziò le traversate da Genova a Buenos Aires con scalo a Rio de Janeiro e Santos. Diventando per svariati anni la migliore nave su quella rotta. Durante la prima Guerra Mondiale fu requisita dalla Regia Marina e divenne alloggio ufficiale a Taranto. Dal 1918 il Lloyd Italiano fu assorbito nella Navigazione Generale Italiana e la nave fu posizionata sulla rotta Genova – New York. Dal 1922 la “Principessa Mafalda” ritornò sulla rotta Genova – Buenos Aires La nave partì da Genova l’11 Ottobre 1927, per quello che doveva essere il suo ultimo viaggio prima del suo smantellamento, ma anche in questo caso la parca navale era in agguato. Il Comandante era Simone Gulì, un esperto comandante siciliano sessantaduenne, con a bordo 1.259 persone, tra le quali numerosi emigranti piemontesi, liguri e veneti. A bordo era stato imbarcato un forziere di monete d’oro per un valore di 250.000 lire di quell’epoca. Esso rappresentava un dono del governo italiano al governo argentino per l’accoglienza dei numerosi emigranti italiani.

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Dopo anni di usura e scarsa manutenzione la nave non poteva essere sicura, ma per la società armatrice la nave era in perfette condizioni e poteva ancora godere del prestigio di un tempo. Non appena lasciata la costa ligure iniziarono i problemi. A Barcellona la sosta fu di ventiquattro ore per procedere alle riparazioni. Comunque la nave partì per Capo Verde con la sola macchina di dritta. Fu necessario procedere per Dakar per effettuare le necessarie riparazioni alla macchina di sinistra. Viste le pessime condizioni dell’apparato motore il Comandante chiese alla Società di mandare un altro transatlantico in sostituzione della “Principessa Mafalda”; la richiesta fu respinta e venne ordinato al Comandante Gulì di proseguire per Rio de Janeiro. Il giorno 25 Ottobre alle ore 17.10, quando la nave era a circa 80 miglia al largo della costa brasiliana tra Salvador de Bahia e Rio de Janeiro la nave fu scossa da una fortissima vibrazione; si era rotto l’asse dell’elica di sinistra e sfilandosi l’elica ancora in rotazione aveva provocato una grossa falla nella zona poppiera. Purtroppo le porte stagne non funzionarono come avrebbero dovuto ed il Direttore di macchina Scarabicchi avvertì il Comandante che presto la sala macchina sarebbe stata inondata. Il Comandante Gulì ordinò di fermare la macchina di dritta e fece lanciare l’SOS. Il segnale di soccorso fu raccolto da alcune navi tra le quali i transatlantici francesi “Mosele” e “Formose”, che erano vicini e che accorsero immediatamente. Purtroppo non si avvicinarono molto alla Principessa Mafalda, poiché da essa si innalzava un vistosa colonna di fumo bianco che poteva fare temere una esplosione delle caldaie. In effetto i macchinisti avevano aperto le valvole del vapore prima che l’acqua raggiungesse le caldaie. Colmo della sfortuna, l’unico generatore di corrente si era danneggiato e quindi non fu possibile ai marconisti Reschia e Boldracchi trasmettere alle navi più vicine che il pericolo di esplosione era scongiurato. Ad ogni modo le navi soccorritrici misero in mare le loro lance ed iniziarono ad imbarcare molti naufraghi. Intanto sopraggiunse l’oscurità a rendere più difficile l’opera di salvataggio. Essendo la nave molto sbandata a sinistra non fu possibile ammainare le lance di dritta. Sulla sinistra la situazione era migliore e diverse lance furono ammainate; molte di esse rivelarono il loro cattivo stato imbarcando acqua dalle commessure. Altre furono prese d’assalto dai naufraghi e si rovesciarono.

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A quel punto il Comandante Gulì capì che più nulla si poteva fare e ordinò “Si salvi chi può” nel caos più totale. Alcune lance riuscirono a raggiungere le navi vicine ed insieme a quelle delle navi soccorritrici portarono in salvo circa 900 persone. La “Principessa Mafalda” alle 22.20 colò rapidamente a fondo in circa 1.200 braccia. Molte testimonianze concordarono con l’affermare che il Comandante Gulì ed i due marconisti restarono a bordo fino alla fine. Il salvataggio dei numerosi naufraghi in mare proseguì fino a tarda notte purtroppo con scarsi risultati essendo quel mare infestato da pescicani. La notizia dell’affondamento della “Principessa Mafalda” fece rapidamente il giro del mondo e fu sicuramente il più grave disastro nautico italiano. La stampa italiana dell’epoca diede alla tragedia un resoconto marcatamente retorico, ponendo l’accento su episodi di eroismo dell’equipaggio. Due le ragioni di questo atteggiamento di sottacere la notizia. La prima politica: Perché la sciagura avvenne a pochi giorni dell’anniversario della marcia su Roma nel V anno fascista, quindi era preferibile non turbare l’opinione pubblica con cattive notizie. La seconda economica: Perché l’Italia in quegli anni investiva molto sull’industria navale e quindi non sarebbe stato conveniente spaventare la cospicua percentuale di emigranti, fonte di guadagno per le compagnia di navigazione nelle rimunerative rotte per le Americhe. Vi fu una inchiesta promossa della Regia Marina la cui commissione stabilì che l’asse dell’elica di sinistra si sfilò per il cedimento di un giunto. Inoltre risultò che alcune lance collocate a poppa non poterono essere usate perché posizionate male. Anche il Registro Navale Italiano ordinò una direttiva per alcune modifiche degli assi. Un processo in seguito alla denuncia dei famigliari delle vittime diede ragione a questi ultimi e la società SNGI fu condannata al pagamento di forti indennizzi. Il Governo Italiano conferì la medaglia d’oro alla memoria del Comandante Gulì ed agli altri ufficiali; al Direttore di macchina Scarabicchi ed ai marconisti Reschia e Boldracchi.

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PRINCIPESSA MAFALDA MARIA ELISABETTA ANNA ROMANA Nata a Roma il 19 Novembre 1902, figlia di Vittorio Emanuele III e di Elena del Montenegro. Durante la prima guerra mondiale, con le sorelle, seguì la madre nelle frequenti visite ai soldati e agli ospedali. Si sposò a Racconigi, il 23 Settembre 1925 con il principe tedesco Filippo, Langravio d’Assia Kassel. Dal matrimonio nacquero quattro figli: Maurizio, Enrico, Ottone e Elisabetta. Fu il periodo dell’ascesa del fascismo, visto da Mafalda con simpatia. Nel settembre del 1943, alla firma dell’armistizio con gli alleati, il Governo Badoglio e Vittorio Emanuele III trasferirono la capitale più a Sud, ma Mafalda partita per Sofia per assistere la sorella Giovanna, non fu messa al corrente dei pericoli. La regina Elena di Romania, che aveva fatto fermare il treno alla stazione di Sinaia, aveva tentato di farla desistere dal rientro in Italia. Consiglio che Mafalda decise di non seguire. Era anche cittadina tedesca, principessa tedesca e moglie di un ufficiale tedesco, quindi sicura che i nazisti l’avrebbero rispettata. Raggiunse Roma e fece appena in tempo a vedere i figli custoditi in Vaticano da e Monsignor Montini. Con una scusa venne chiamata al comando tedesco, uscita dal Vaticano, fu subito arrestata inviata a Berlino e da lì deportata nel Lager di Buchenwald. Le venne ordinato di non rivelare la sua identità e rinchiusa nella baracca n. 15 sotto falso nome. Il regime del Lager, pur privilegiato a paragone di quello dei altri prigionieri, fu comunque molto duro: la vita del campo ed il freddo invernale la provarono molto. Aldo Baffo Genova


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Malgrado il tentativo di segretezza la notizia che la figlia del Re d’Italia fosse prigioniera a Buchenwald si diffuse. Nell’agosto del 1944 gli anglo-americani bombardarono disgraziatamente la Principessa rimase gravemente ustionata.

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Dopo quattro giorni di tormenti e senza cure gli fu amputato un braccio. L’operazione fu eseguita con una sconcertante durata. Ancora addormentata fu abbandonata in una stanza del postribolo e morì dissanguata la notte del 28 Agosto 1944. Grazie al prete boemo del campo padre Tyl la Principessa Mafalda non venne cremata e dopo varie vicissitudini il corpo oggi riposa nel piccolo cimitero degli Assia nel castello Kromberg vicino a Francoforte sul Meno. Giunto alla fine del racconto di questi ricordi che mi hanno interessato per la tragicità che li ha uniti, rivolgo un grato pensiero all’Angelo Custode che ognuno di noi ha e che è intervenuto al momento opportuno proteggendoci nei momenti cruciali delle nostre vite. Aldo Baffo

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pubblicazione a cura di Pascal McLee

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