Nuovi Protocolli dell'Astrazione

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ACCIGLIARO AMBROGIO MARCHESE MASSENET ROSSO SPIGNO

Nuovi pr otocolli d e l l ’ a s t r az i o n e




Con il patrocinio di:


“Satura” Ass.ne culturale Genova

“Amici nell’Arte” Circolo artistico Garlenda

Comune di Cervo

Nuovi protocolli dell’astrazione Sei individualità tra Cuneese e Savonese WALTER ACCIGLIARO CORRADO AMBROGIO FERDINANDO MARCHESE VERONIQUE MASSENET SILVIO ROSSO CARMEN SPIGNO Testi settoriali di NICOLA ANGERAME CLIZIA ORLANDO Testi individuali di MARIA TERESA BAROLO ALBERT BARREDA CLOTILDE PATERNOSTRO CARLO PELLEGRINO ENRICO PEROTTO CLAUDIA SUGLIANO

Centro culturale “San Giuseppe” Alba


GENOVA Palazzo Stella, 24 marzo / 11 aprile 2007 CERVO (IM) Oratorio di S. Caterina, 14 / 31 luglio 2007 ALBA (CN) Chiesa di S. Giuseppe, 1 / 23 settembre 2007

Organizzazione delle mostre: Progetto grafico del catalogo: Documentazione fotografica: Collaborazioni (a vario titolo): Stampa: Copyright:

Walter Accigliaro, Carmen Spigno. Walter Accigliaro, Pasquale Meli. Paolo Cavaliere, Ivo Chiappello, Pasquale Meli, Pierangelo Vacchetto. Marinella Bert, Cristina Carlotto, Marisa Delfino, Bruna Ghiglione, Carlo Pellegrino, Pierangelo Vacchetto. Consorzio Artigiano Castel Govone, Finale Ligure (SV), marzo 2007. 2007 © “Amici nell’Arte”.

ASSOCIAZIONE CULTURALE “SATURA” Piazza Stella, 5/1 - 16123 Genova tel. / fax +39 010 2468294 - +39 010 662917 e-mail: saturarte@libero.it - www.saturarte.it CIRCOLO “AMICI NELL’ARTE” noprofit Via Lerrone, 89 - 17033 Garlenda (SV) tel. +39 0182 582351 e-mail: info@amicinellarte.it - www.amicinellarte.it CENTRO CULTURALE “SAN GIUSEPPE” Via Manzoni, 10/A - 12051 Alba (CN) tel. / fax +39 0173 361885 e-mail: sangiuseppealba@1ibero.it - www.centroculturalesangiuseppe.com


Nuovi protocolli dell’astrazione L’Associazione Culturale Satura, da dodici anni attiva sul territorio genovese, svolge un ruolo molto importante nella valorizzazione dell’arte contemporanea, con particolare attenzione al panorama ligure e con un occhio al territorio nazionale. Satura, con una politica di ampio respiro, cerca di aprirsi ad altre realtà regionali nell’idea comune di creare un’osmosi culturale tra le diverse realtà. È in quest’ottica che si colloca la piena collaborazione con questo gruppo di artisti savonesi e cuneesi, accomunati dalle scelte stilistiche astratte e aniconiche, trovo pertanto la proposta di una mostra a tema nei locali di Palazzo Stella, una grande opportunità di scambio e crescita tra diverse entità culturali. Ancora più importante, questo progetto, quando il livello degli artisti presentati ed il loro curriculum danno risalto alla nostra programmazione. Esprimo, pertanto, piena soddisfazione per la proposta e ringrazio gli Artisti Accigliaro, Ambrogio, Marchese, Massenet, Rosso e Spigno che daranno lustro a Palazzo Stella con le loro opere. Come Presidente mi auguro, inoltre, che questa prima iniziativa possa portare a gemellaggi futuri per una sempre e più ampia diffusione per l’amore dell’arte e della cultura in generale.

Mario Napoli Presidente dell’Associazione Culturale “Satura” Ospitare una mostra d’arte è sempre un grande piacere, se poi come in questo caso, si tratta di un’esposizione itinerante di artisti liguri e piemontesi, al piacere si aggiunge la soddisfazione e l’orgoglio di mostrare al pubblico le opere di conterranei che danno lustro al nostro territorio. Così grazie alla felice collaborazione tra le Associazioni culturali di Genova, Garlenda ed Alba, il nostro Comune potrà inserire la mostra Nuovi Protocolli dell’Astrazione nel già ricco programma culturale estivo cervese. L’iniziativa conferma, ancora una volta, lo spazio privilegiato che tradizionalmente il Comune di Cervo riserva alle iniziative culturali, musicali e non, dedicando sempre maggiore attenzione alle proposte che mirano a far conoscere ed apprezzare, a un pubblico sempre più vasto, le peculiarità del nostro Borgo. L’esposizione, organizzata all’interno dell’Oratorio di Santa Caterina ed in programma dal 14 al 31 luglio 2007, consentirà infatti ai visitatori di ammirare non solo le creazioni di artisti che vantano riconoscimenti a livello nazionale ed internazionale, ma anche di contemplare gli angoli caratteristici del nostro Centro Storico. Cervo, dove arte, cultura e paesaggio si fondono in un perfetto equilibrio! Ecco la formula vincente per manifestazioni di elevato valore.

Giovanni Cardone

Vittorio Desiglioli

Assessore alla Cultura

Sindaco del Comune di Cervo

A nome dell’Associazione Centro Culturale “San Giuseppe” Onlus di Alba desidero esprimere il più vivo compiacimento per l’importante iniziativa culturale dal titolo “Nuovi protocolli dell’astrazione”, mostra itinerante di pittura e scultura che vede una collaborazione sinergica tra più associazioni culturali e soprattutto tra artisti piemontesi e liguri, uniti dalla passione della ricerca nel settore artistico per l’astratto e l’informale. Una rassegna che si snoda in più località e siti di particolare suggestione per stimolare la conoscenza, la salvaguardia e la valorizzazione del patrimonio culturale. Come Centro Culturale “San Giuseppe”, sin dalla nascita del sodalizio, siamo impegnati in due situazioni albesi particolarmente importanti, come la chiesa di San Giuseppe e la chiesa di Santa Caterina, inserite in un contesto culturale e storico di particolare interesse, con il percorso archeologico musealizzato visitabile sotto il San Giuseppe, che ospita questa bella mostra. Un plauso agli organizzatori, in particolare al Circolo Artistico Culturale “Amici nell’Arte”, per nuove future collaborazioni in ambito culturale ed artistico. A tutti un caloroso benvenuto in Alba, terra ospitale di Langhe e Roero.

Roberto Cerrato Presidente del Centro culturale “San Giuseppe”

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Walter Accigliaro

Fra corsi d’acqua, il mare e pioggia lustrale Un’anamnesi tra esperienze in atto ovvero proposizioni per un riscontro

«...Abbiamo cercato di dimostrare che lo spazio dell’intreccio non è affatto immobile; anzi, si muove, giacché le metamorfosi vi si compiono sotto i nostri occhi, non per stadi separati, ma nella continuità completa delle curve, delle spire, dei fusti allacciati; non è piatto, perché, simili a un fiume che si perde in regioni sotterranee e poi ricompare alla luce, le tenie onde di cui son fatte queste instabili figure passano le une sotto le altre, e la loro forza evidente sul piano dell’immagine non si spiega che con un’attività segreta su un piano più profondo...». HENRI FOCILLON (Vie des formes, 1945)

I percorsi di fiumi e torrenti scorrono distinti, talvolta quasi paralleli, nei rispettivi bacini comunque convergono verso il mare. Così esperienze di vita, come ricerche espressive, seppur distaccate transitano in attinenti territori rivelando finalità convergenti. Le acque manifestano caratteristiche peculiari: movimentano, riflettono, improntano di sé luoghi diversi, irrigano placide o travolgono dirompenti, talvolta scompaiono per poi riapparire. Restano, in ogni modo, del tutto riconoscibili e si possono alimentare reciprocamente. I segni liquidi irradiano la durezza del suolo, come le onde fanno vibrare l’instabilità delle superfici fluide. Il mare è la meta lontana o la presenza vicina, è lo specchio immenso, la quiete o la burrasca. Altrove si indaga l’acqua della fertilità, si celebra l’acqua della vita spirituale. Qui evidenziamo ancora similitudini in un’evocata idrografia dell’anima. I percorsi di vita offrono a ciascuno analogie possibili, fra calma od irrequietudine, tra levità ed afflizioni; talvolta richiamano nutrimenti vicendevoli oppure rispondono distintamente a segni comuni. L’acqua è la materia prima ed emblematicamente è l’orizzonte semantico, molto complesso. Percorrendo il difficile cammino dell’espressività il ricercatore d’immagini va verso la foce ideale. Là, come scrive Michelangelo Castello (L’estetica degli anelli, 1991), «...l’acqua si adagia sull’acqua da sorgenti ignote - scorrere laminare ed intersecarsi degli stessi gesti che un tempo lontano erano i gesti del trovarsi, del rimescolamento delle acque fecondatrici del senso, e che ora sono vortici senza tempo della memoria intrappolata a brandelli tra le canne delle anse lente e limacciose, fluire, luogo poietico e mitopoietico insieme...». Vale per un luogo della mente, non descrivibile, come vale per sensazioni “altre”, non narrabili per stereotipi. Proprio quel particolare ricercatore d’immagini sente che può ancora sondare in dimensioni visionarie, però avulse dalla figurazione tout court. Guardandosi intorno, riconosce altre individualità affini che stanno tracciando itinerari raffrontabili. Amplia ancora le visuali oltre lo spartiacque e scorge esperienze parallele, lontane e vicine all’unisono, anch’esse derivate da matrici comuni. Perché non mettersi in comunicazione? Perché non affrontare in accordo un tratto di strada? Certamente contano orientamenti condivisibili, finalità sentite. Tuttavia, ognuno resti coerente con le proprie impronte e con i propri strumenti, così pure persegua le sperimentazioni che s’è prefissato. Ma ciascuno abbia consapevolezza che un sistema di nuovi “protocolli” espressivi va indagato. Specchiandosi in acque rigeneratrici, oggi si potrebbe ancora distinguere un’ansa non ristagnante e foriera di sostanza espressiva. Anche una scelta di campo - come quella deliberata di questi ricercatori d’immagini - non si areni tra le nostalgie volte a tempi dell’arte non lontani, ma ormai consumati. Senza rinnegare la memoria, occorre spingere le proprie energie su un rinnovato, alto volo poetico ed attuale. Segnali del tempo emergono anche dalle acque limacciose. È necessario coglierne stimoli, contenuti, provocazioni positive. Non si resti nel caos superficiale, nel solo fattore emotivo o costretti alle banalità. I rimandi da luogo a luogo, le suggestioni reciproche facciano da utile confronto. Seppur tra gorghi e rapide, gli scrosci divengano liquido lustrale per l’iniziazione ad un’ulteriore età propositiva. Alba, dicembre 2006.

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Nuovi protocolli dell’astrazione

Nuovi protocolli dell’astrazione Dopo essere stata celebrata da artisti come Kandinsky, Mondrian e Pollock, solo per citare alcuni dei tanti maestri, l’arte astratta è diventata un linguaggio capace di dare nuova linfa vitale all’espressione dell’Io moderno, della sua razionalità e irrazionalità. Senza di essa, almeno metà della lunga ed affascinante storia delle rivoluzioni vissute nel XX secolo scomparirebbero di colpo: niente più Rothko, Kline, de Stal, Burri, Fontana o i Cobra. Niente più Fluxus, il Wiener Actionismus, il Nouveau Realisme e l’arte concreta. E, probabilmente, nemmeno più la performance o l’arte concettuale, poiché queste estetiche si fondano sulla liberazione del linguaggio artistico dalle pastoie della figurazione per assumere il segno, il colore, il ritmo come elementi autonomi della costruzione dell’opera. Questa liberazione segna un’epoca: la fine dell’arte “antica”, intesa come mimesi del reale, e l’inizio dell’arte “moderna” intesa come “ritratto interiore della realtà” nei due sensi del genitivo, sia come approccio personale al reale, sia come ritratto di ciò che sta dietro la realtà e la fonda. L’arte moderna emancipa la libera interpretazione dell’artista dalle pastoie dei “generi” artistici e dalle pratiche tradizionali. Pone la sperimentazione ai primi posti nella nuova scala di valori e diventa interprete privilegiato del proprio tempo dando voce alla condizione esistenziale dell’uomo moderno, come dimostrano l’opera e la vita di un Van Gogh, di un Giacometti o di un Francis Bacon. Di questa nuova era siamo tutti inevitabilmente figli. L’arte diventa parte integrante del nostro vivere quotidiano. Mentre

s’innalza sulle vette del vaticinio e della preveggenza, offrendo a critici, storici e filosofi nuovi stimoli per comprendere la Storia della nostra civiltà, con un movimento discendente diventa democratica e si offre a tutti, lasciando a tutti la possibilità di avvicinarla e magari possederla. Di questo movimento partecipano anche i tre artisti in questione, provenienti da fuori delle accademie d’arte eppure da anni attivi con produzioni copiose e mostre in Italia e all’estero. La loro ricerca s’incontra attorno al nucleo dell’astrazione come movimento fondamentale di una condizione di ricerca di un linguaggio per raccontare il proprio modo di vedere il mondo. Per Carmen Spigno, che vive in una città ai confini con la natura come Garlenda, questo mondo è innanzitutto quello del bosco: delle sue terre colorate, le pietre rare e i legni che offrono le proprie venature come altrettanti segni con i quali interagire per creare le composizioni. Negli anni si sono accavallate le sperimentazioni fino alle recenti “tramature”, dove la psiche e la natura sono fuse insieme. Spigno registra il gesto della propria mano su tele grezze da cui trae, grazie alle terre preparate manualmente, dipinti autunnali e terrosi che hanno il sapore del muschio e del bosco. La stessa cosa fa sulle carte, piegandole e ottenendo immagini astratte speculari come le tavole di Rorscharc, nelle quali ognuno di noi può proiettarvi le immagini della propria mente. Queste carte sono poi preparate come matrici per realizzare alcuni stampi come se si trattasse di una incisione ma con una forza discendente ed un alleggerimento della composizione che rende bene l’idea

Nicola Angerame dello scorrere del tempo, del ciclo di una natura che cresce, muore e rinasce. In questa arte frattale, naturale, materica e “fatta a mano” in tutti i sensi, Carmen Spigno cerca l’espressione di un Io panico, psichico e onirico che tenta la congiunzione tra la propria interiorità e la natura circostante. Sulla stessa lunghezza d’onda sembra essere anche Véronique Massenet, le cui sculture in legno sono invenzioni liriche, combinazioni tecniche, quasi matematiche e, nello stesso tempo, simboli sensibili della Natura. La vita degli alberi, la loro forma interiore, mettono a nudo l’anima della natura esaltata dalle pratiche scultoree di sottrazione applicate da Massenet alle venature degli alberi. I tronchi della *** vengono tagliati in più parti secondo linee longitudinali e secondo disegni fluidi che creano incastri e permettono alla scultura funzionare come un meccano o come una costruzione biomorfa senza bisogno di bulloni e viti per sostenersi. Il lavoro risente della formazione architettonica della sua autrice, ma i titoli delle sculture, che spesso possono comporsi per svettare verso l’alto in formazioni aeree di grande leggerezza, risentono anche di una vibrazione più umana, rivolta all’idea dell’amore coniugale, della maternità o della vita familiare: della generazione come della comunicazione affettiva. Questi luoghi affettivi diventano l’abbraccio, la danza e il ritmo che Massenet imprime ai legni, chiusa dentro il suo laboratorio da cui esce poco e nel quale fa buon uso del computer per disegnare e fotografare i vari stati di

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vita delle sculture. Senza le fotografie digitali che espongono questi differenti stadi, l’artista non sentirebbe riuscito il proprio discorso, che si basa proprio sul mettere in mostra la vita delle sculture in combinazioni dinamiche che si sviluppano a partire dalle loro forme interiori. Di pittura si occupa invece Ferdinando Marchese. Una pittura vissuta innanzitutto come spettacolo, come appagamento estetico per se stesso, primo spettatore della propria arte. L’astrazione raggiunta da Marchese è in realtà un ritorno al punto di partenza, colto attraverso una figurazione che si ciba della natura morta come del paesaggio, nel caso specifico notturno che l’artista

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chiama “miraggi”. Andando alla radice della pittura, in quei toni chiari e scuri che essa dispone per creare luci, drammi e tridimensionalità, Marchese ripensa la figurazione nell’astrazione. “Anche le note musicali sono soltanto sette”, dice per spiegare come tutto per lui si riduca a comporre il chiaro e lo scuro dentro un sistema di colori e sfumature molto ricche che richiamano tutto il prisma dei colori senza escluderne alcuno. Questa gioia del colore Marchese la trae dai bambini, dal loro disegnare con colori primari e con i loro complementari senza soluzione di continuità. Anche marchese lo fa sfumandoli gli uni negli altri oppure usando predominanti blu come nella serie degli Abissi e

predominanti nere come nel Miraggi. Nelle astrazioni qui esposte, in Coke come in Angels Reiki si ritrovano i frammenti con i quali Marchese ama scomporre e intrecciare la tela per darle più fluidità e profondità usando un gioco di chiari e di scuri preciso e geometrico. Come in una sinfonia i suoni s’intrecciano per dare armonia e melodia, anche in queste tele si scorge una composizione per piani intrecciati che Marchese riconosce come vicini alla musica, in nome di una più alta corrispondenza fra l’arte del colore e quella del suono, che come si sa è l’arte astratta per eccellenza. Alassio, gennaio 2007


Nuovi protocolli dell’astrazione

Nuovi protocolli dell’astrazione La rassegna, nella sua accezione itinerante, propone, sotto l’ambiziosa denominazione “Nuovi protocolli dell’astrazione”, una sintesi espositiva volta a sottolineare il traguardo raggiunto da un gruppo di artisti appartenenti ad uno specifico territorio: l’area compresa tra la provincia cuneese e quella di Savona, realtà limitrofe, connotate da variegate sfumature culturali. Gli autori piemontesi invitati all’evento sono Corrado Ambrogio, Walter Accigliaro, Silvio Rosso, identità artistiche differenti, ma non contrapposte, cresciute in quel clima culturale particolarmente fertile che, mosso dalle istanze del cambiamento socio-artistico degli anni ‘60, ha segnato le linee di rinnovamento delle neoavanguardie: dal Neoinformale alla Postastrazione, dal Concettuale all’Arte Povera. È superfluo ora promuovere il solito elenco di nomi che ne hanno caratterizzato le tappe più innovative, ma è significativo ricordare come quei movimenti abbiano aperto potenzialità espressive all’arte con un nuovo repertorio di significati, ed abbiano individuato molteplici tecniche per esprimerli. Certo è che gli artisti in questione hanno guardato ai risultati di quelle esperienze, legando la propria formazione alle dirompenti riflessioni che progredivano all’ombra della Mole. Negli anni in cui la funzione culturale dell’artista andava sempre più affermandosi Ambrogio, Accigliaro e Rosso hanno lavorato alla ricerca di un registro linguistico proprio, idoneo ad esprimere messaggi nella loro pregnanza di contenuto. Perseguendo tale principio i tre

piemontesi hanno avviato un percorso di sperimentazione che, attraverso esperienze diversificate, li ha condotti a definire le singole poetiche. L’itinerario espositivo qui proposto può dunque tradursi in sunto topografico, mappa in cui si palesa un linguaggio artistico-emozionale proprio di una provincia, situazione da intendere non in funzione riduttiva, ma da considerare quale testimonianza della capacità di mettere in relazione l’identità di un territorio a suggestioni di più ampio respiro. Nell’intenzione della raccolta si esplicita la malia della metafora “aformale” attraverso la quale si procede allo svelamento di un luogo “altro”, situazione palpabile nella capacità comunicativa dei tre protagonisti, che si avvalgono dell’alchimia sospesa tra segno, colore, materia per dare profili al proprio sentire. L’inclinazione astratta delle scelte stilistiche diviene pertanto documento metalinguistico, che si esplica nella eterogenea definizione delle singole esperienze, proponendosi quale sfaccettata declinazione di contemporaneità. Partendo dunque da presupposti aniconici Ambrogio, Accigliaro e Rosso avviano percorsi di analisi differenti ma concettualmente paralleli. Per qualcuno l’iter creativo si fa impetuoso, immediato, prorompente, per qualcun'altro diviene trasposizione di una meditazione controllata e profonda. Il “fare” artistico di Corrado Ambrogio è segnato da un graduale svincolarsi dalla dimensione figurativa per approfondire una tensione emozionale con il “vero”, situazione in cui si delinea il rapporto mediato tra un procedere razionale e la viscerale necessità creativa. L’artista ha maturato la sua

Clizia Orlando esperienza sia in ambito pittorico che scultoreo, approfondendo il tema dell’essenza primaria della comunicazione tridimensionale. I risultati conseguiti dall’artista, nell’identificazione di modalità espressive connotate in dimensione tridimensionale, sono in questa mostra esplicitate nel legno; la materia, resa nella sua apparente fossilizzazione, appare dura come la pietra, ma allo stesso tempo viva e pulsante nella sua intrinseca energia. La risoluzione plastica è resa da una evocativa sintesi formale, con superfici percorse da una ricca tessitura svolta in un perenne susseguirsi di scanalature, solchi, piaghe: fonemi primari di comunicazione. Nel modellato si rivelano legami profondi con memorie ancestrali, repertorio recuperato in un’archeologia mentale, che si appella alle strutture organiche per vivere la sua contingenza tra passato, presente, futuro: reperti di dissertazioni ataviche che acquisiscono significato universale. Le forme occupano lo spazio dando corpo ad una composizione che si articola in tensione verticale, spesso contraddistinta da un rigore severo e monocromatico. La risoluzione volumetrica, a cui concorrono le superfici scultoree nel loro tonalismo assoluto, rafforza la pura comunicazione delle masse fino a lambire gli anfratti reconditi dell’essere, qui si sostanzia la simbiosi tra mezzo espressivo e volontà poetica. Nell’aggregarsi di volumi aleggiano umori lontani, apparenze di laconiche sembianze, echi di tempi remoti. Il suo modo di concepire “l’ambiente plastico” si

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allontana dagli schemi tradizionali del modellato per orientarsi al recupero dell’occasionale reperto (in questo caso) ligneo, dove la spessa corteccia o l’affusolata predisposizione del tronco si adeguano ad un concetto d’installazione. Nella designazione astratta dell’impianto si coglie una declinazione originale della funzione moderna della scultura. In ambito pittorico Accigliaro ha orientato la prima fase della sua ricerca alla realizzazione di dipinti percorsi da caldi cromatismi di percezione informale. Passaggio importante nella sua vicenda di sperimentazione avviene alla fine degli anni ‘80 quanto l’artista compie un’indagine d’intento concettuale “architettonico”: installazioni che hanno come soggetto della rappresentazione “Colonne”. Nello stesso periodo giunge ad elaborare in ambito pittorico, attraverso una tecnica pulita e raffinata, una soluzione espressiva che si rivolge all'uso di tonalità fredde, grazie a questi studi cromatici l’autore riesce ad infondere nell’opera effetti di levità straordinaria. Sulla tela si raccolgono attimi trattenuti in campiture trasparenti, sfumate, dove si rincorrono intriganti profondità; a tratti la silente atmosfera cresce nel succedersi timbrico dei piani grazie all’apparizione di surreali intensità argentee. La metallica corrispondenza si stempera in un rarefatto vortice di velatura fatte di grigi e tra la leggera bruma si visita la costruzione del gesto, avvolto da un perpetuo dipanarsi di un virtuoso sovrapporsi di variazioni tonali. In questo fluttuare armonico di

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risonanze compaiono trame seducenti nella loro reiterata stratificazione di piani. Nell’impercettibile rarefarsi del pigmento si raccoglie lieve il senso del tempo e si fa tangibile l’idea dello spazio. La superficie telacea si dispone così quale soglia per oltrepassare i limiti del veduto e lo strato pittorico rivela le sue più intime convergenze. L’opera di Accigliaro ci richiama ad un’attenta osservazione continuamente carpita dal ripetersi di puntualizzazioni; in discreto divenire ci appaiono linee che si ancorano ad accenni di geometrizzazione, ora evolvono su percorsi retti ora circolari, nel loro incontrarsi o sovrapporsi si rafforza il sentimento di profondità prospettica. Nella quiete emblematica dell’insieme, dove aleggiano effetti sussurrati di cromo-simbolismo, nulla è lasciato al caso, tutto è organizzato con ordine ed equilibrio, tra segno e colore avviene uno scambio d’identità: l’uno diventa l’altro e viceversa, grafemi di un linguaggio governato da una sintassi essenziale. Al personale lirismo cromatico Accigliaro affianca la sapiente abilità tecnica, è in questa congettura che l’ordito acquista funzione intimista e nella intersezione dei piani si compone l’affabulazione feconda di risonanze che ne amplificano il significato. Rosso ha maturato nel tempo uno studio puntuale circa le molteplici possibilità metamorfiche della materia cromatica, alla base della sua indagine si pongono segno e colore, visti nelle singole potenzialità. La sperimentazione lo ha condotto all’impiego di materiali semi-liquidi quali smalti e resine. Nell’ultima sua produzione affiora una vocazione

titanica della visione, resa in prorompente affermazione magmatica. Il quadro accoglie l’input creativo nella spettacolarità di una colata solcata da fremiti aggettanti, grumi di colore, su cui scivolano a tratti velature dorate che mutano nell’umore a seconda dell’incisività con cui la luce colpisce il dipinto. L’impianto produce così effetti mutazionali e riflessi d’eccezione. Il perimetro della tela non trattiene l’anima dell’opera ma la libera, permettendo allo spettatore di immergersi nella profondità di questa vertigine; il barlugginio, di montaliana memoria, permette di intuire nuove immensità oltre i limiti dell’apparenza: un attimo di densa emozione percorre la superficie e in un alone di vibrazioni intense si rievoca il perenne divenire e la mutabilità dell'esistere. Il ritmo tende a travolgere i tempi necessari della fruizione, imponendo un percezione visiva veloce e istintiva. Il lavoro di Rosso si costruisce su di una gestualità coinvolgente, che cattura i sensi e li trascina nelle viscere più profonde, nelle stratificazioni più nascoste dell’essere. In questo turbinio di forze si sprigionano energie primordiali da cui affiora un sentimento di riflessione avvertito a livello inconscio. Nel visitare la composizione si compie un viaggio in cui affiorano quasi maieuticamente indizi di forze primigenie. La spontaneità creativa dell'autore raggiunge in queste tele una potenzialità espressiva resa nella simultanea disposizione di gesto e colore. Asti, gennaio 2007


Opere di Accigliaro, Ambrogio e Rosso esposte nel 2007 all’“Isola di S. Rocco al Ponte delle Ripe” a Mondovì (CN) (foto di Ivo Chiappello)


Opere di Marchese, Massenet e Spigno esposte nel 2007 nel Castello “Costa-Del Carretto� a Garlenda (SV) (foto di Paolo Cavaliere)


WALTER ACCIGLIARO, Una storia segreta dell’Albero sephirotico, 2006 cm. 100 x 120, tecnica mista su tela (foto di Pierangelo Vacchetto)


CORRADO AMBROGIO, Pagine, 1997 cm. 57 x 44 (ciascuna), radica (foto di Ivo Chiappello)


FERDINANDO MARCHESE, Angels Reiky, 2006 cm. 100 x 120, acrilico su tela


VÉRONIQUE MASSENET, Trinitè, 2002 Ø cm. 35 x 70, tronc de sapin (foto di Paolo Cavaliere)


SILVIO ROSSO, Colata lavica (part.), 2006 cm. 35 x 50, smalti su cartoncino


CARMEN SPIGNO, ModularitĂ , 2006 4 x cm. 60 x 60, terre e resine naturali su carta su tela (foto di Pasquale Meli)


walterACCIGLIARO

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Walter Accigliaro è nato ad Alba (CN) nel 1950, dove risiede. Ha studiato al Liceo Artistico Statale di Torino ed all’Accademia Albertina delle Belle Arti, principalmente con Paulucci, Saroni, Calandri e Franco. Dal 1980 è docente di Discipline Pittoriche all’Istituto Statale d’Arte di Asti. Inoltre, dal 1970 egli si occupa della salvaguardia e dello studio dei beni culturali ad Alba, nelle Langhe, nel Roero. In questo ambito ha curato svariate esposizioni, scritto libri e saggi qualificati. Va pure considerata la sua parallela operosità di consulente, di redattore di cataloghi, nonché di organizzatore per rassegne d’arte moderna e contemporanea. Per quanto concerne la sua attività artistica, Accigliaro dal 1969 ha partecipato ad esposizioni collettive oppure dal 1974 ha allestito mostre personali in Italia ed all’estero (Parigi - 1985, Muntelier - 2005). Ha ottenuto vari riconoscimenti (S. Stefano Belbo, Milano, Avigliana, Ceva, Pisa ecc.). Fra il 1989 ed il 1990 egli ha fatto parte del gruppo artistico “Progressiva 7”. Inoltre, da tempo partecipa a progetti espositivi di mail-art in Italia. Documentano la sua ricerca espressiva (tra neoinformale caldo e freddo) pubblicazioni, cataloghi ed articoli, nonché fervidi contatti con artisti, critici d’arte, intellettuali, scrittori. Fra coloro che si sono occupati delle opere di Walter Accigliaro vanno segnalati, tra gli altri: Giuseppe Andreani, Roberto Baravalle, Maria Teresa Barolo, Luca Beatrice, Miche Berra, Mario Bianco, Silvia Bottaro, Massimo Centini, Andrea Cogoi, Giovanni Cordero, Edoardo Di Mauro, Eraldo Di Vita, Marida Faussone, Ida Isoardi, Pino Mantovani, Gian Giorgio Massara, Angelo Mistrangelo, Filippo Mollea Ceirano, Carlo Morra, Carlo Pellegrino, Jolanda Pietrobelli, Otello Soiatti, Elisabetta Tolosano, Antonio Visconti, Oscar Visentin. MOSTRE PERSONALI 1975 – Galleria "L'Incrocio", Alba (CN); 1976 – Salone comunale delle Conferenze, Mondovì (CN); 1978 – Galleria "Art Center", Novara – Galleria "Chanaz", Cherasco (CN); 1980 – Sede dell'Ordine provinciale degli Architetti, Cuneo; 1981 – Palazzo della Maddalena, Alba (CN); 1982 – Sala d'arte "Amici di Piazza", Mondovì (CN); 1983 – Galleria "La Gibigianna", Bra (CN) – Foyer del Teatro Nuovo (Provincia di Torino), Torino; 1985 – Centre International d’Art Contemporain (CIAC), Parigi (Francia) – Galleria "Galeasso", Alba (CN) – Spazio comunale, Cuccaro Monferrato (AL) – Chiesa di S. Chiara, Mondovì (CN); 1986 – "Expo Arte" (Galleria "Alba" di Ferrara), Bari; Biblioteca Civica, Mondovì (CN) – Centro culturale "A. Moro", Alba (CN) – Palazzo S. Anna, Novello (CN); 1987 – Manica Nuova di Palazzo Reale (Regione Piemonte), Torino – Sala "Pejlo di Porti Sovran", Mondovì (CN); 1989 – "Studio Arte 56", Alba (CN) – Galleria "Target", Torino; 1992 – Galleria del Candelaio, Firenze; 1993 – Galleria "La Gibigianna", Bra (CN); 1994 – Castello dei Busca, Mango (CN) – Spazio "S. Ercolano", Perugia; 1995 – Palazzo Robellini, Acqui Terme (AL) – Castello comunale, Barolo (CN); 1996 – Galleria "Galeasso", Alba (CN); 1997 – Circolo vecchio "Tutti edition", Verduno (CN); 1998 – Sala "Perinetti" AICS, Torino; 2000 – Filiale della Banca Popolare di Novara, Alba (CN); 2004 – Spazi pubblici, Bergolo (CN); 2005 – Padiglione “La Cabane”, Muntelier (Svizzera) – Cantina “Gigi Rosso”, Castiglione Falletto (CN); 2006 – Galleria “Galeasso”, Alba (CN).

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WALTER ACCIGLIARO, Polittico verticale dei frammenti scabri, 1989 cm. 110,5 x 86; tecnica mista e collage su tavole lignee (foto di Pierangelo Vacchetto)


WALTER ACCIGLIARO, Dittico da un acrostico di Jean Cocteau, 2005 cm. 69 x 212; tecnica mista su tavole lignee (foto di Pierangelo Vacchetto)


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Aurora consurgens

Un’altra volta, per parlare di Walter Accigliaro, avevo utilizzato il titolo di un trattato alchemico del XVII secolo, Atalanta fugiens: Atalanta fuggitiva è una metafora dell’Opus alchemico. In una delle illustrazioni del trattato, di Michael Maier, alchimista di Rodolfo II a Praga, pubblicato a Oppenheim nel 1617, l’Uomo segue le orme lasciate dalla Natura errante nell’oscurità, armato di occhiali, bastone e lanterna. Nell’equazione alchimia = pittura, una Natura imprendibile è inseguita dell’alchimista/pittore. Da che parte stia Walter Accigliaro, pittore/alchimista a caccia di sensazioni profondamente naturali, in senso orfico, nel cuore più puro e appassionato della ricerca informale, non è difficile intenderlo. Walter mi è sembrato essere sempre protagonista e spettatore al tempo stesso, in una concezione antica e moderna insieme di arte intesa come opus. È stato Kandinsky, come tutti sappiamo, a produrre le prime annotazioni grafiche e cromatiche svincolate dalla figurazione, improvvisazioni, ad acquerello sulla carta, come suoni liberati dalle verosimiglianze di stampo impressionista, dalle descrizioni liriche, romantiche e decadenti, del simbolismo. L’astrazione ha poi fatto il suo lungo percorso, ha rinnegato quei primi presupposti, dichiaratamente spirituali, ha adottato l’azione forte della pittura gestuale, l’ossessione icastica dei segni. Lasciato cadere lo spirito, ha trovato le urgenze della materia, spessori e “sporco”, ma anche creme soavi d’impasti, sprezzature di spatola, tenerezze di pennello, superfici di lacche sontuose e di terre brune, scabre, a confronto, in una parola, tutti i contrasti della vita. Una scelta di libertà, estratta dalla radice espressionista, con l’affermarsi della sensazione e del gesto pittorico in grado di esprimerla, a partire “dall’interno” dell’animo umano. Il sé ha reclamato un campo su cui giocare le carte dell’esperienza più intima e profonda. Già Gauguin aveva predicato la nuova libertà di scegliere colori introvabili in natura, che sembrano emergere piuttosto da un sogno ad occhi aperti, altri avrebbero preso violente strade di denuncia, individuale e sociale. E Matisse avrebbe perseguito, quasi da subito, il senso di una calma profonda, la conquista dell’essenziale e nuovi colori, in grado di esprimere le seduzioni policrome del mondo. Avrebbe detto: prendo quel colore che mi soddisfa. Avrebbe rinchiuso, come già Cézanne, la luce nel colore. Perduta la figura, hanno vagato a lungo, ridotti a brandelli, i fantasmi della forma. Brutalità e leggerezza del gesto, densità e rarefazione della materia. Quella di Accigliaro è una pittura calma, intrisa di saturnina, notturnale malinconia, una pittura che è indagine e conoscenza, ma che sembra sempre sospesa sull’orlo di una visione; che attinge dal pozzo della memoria forme sedimentate e veli sovrapposti, coglie impressioni fluttuanti, descrive il lento percorso di una luce che affiora, all’interno della materia. Le scelte espressive, tradotte in scrittura raffinata, tra segni grandi e graffi nervosi, e accordi preziosi di colori (mirabile pittura, sporca, apparentemente casuale), forse soprattutto diventano quell’attesa che si abbina alla ricerca paziente di una traccia, una queste du graal, alle radici profonde dell’assenza di figura. Questa traccia negli ultimi tempi è diventata argentina, e mercuriale, puro distillato di vibrante argento vivo, come le armature della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, al Louvre, composizione notturna, contrapposta al giorno, e all’oro, dell’altra grande tavola di Londra. Notte e oscurità, argento e luna, mercurio... Solve, sembrano dirci questi dipinti: sciogli, separa, purifica, trasforma. Opera che trapassa dal nero al bianco, epifania della luce dopo la nigredo, la corruzione nera della materia, primo stadio dell’opera. Appaiono geometrie arcane, ridotte all’osso, il filamento trova la macchia, e l’attraversa, la cresta fine di una pennellata densa di colore sembra arrestarsi sul confine occulto del disegno, recinto provvisorio, in attesa di catturare una forma selvatica e strana, che non si manifesterà. Opera al bianco, luce che trasfigura, e ci mostra il mondo sotto un aspetto diverso, misterioso, lo fa entrare in una dimensione sofisticata e inattesa. Un demone ci conduce a vedere oltre le fessure del mondo, al di là della sua variopinta scena, diritto all’essenza, al nocciolo delle cose: così scriveva Franz Marc proprio alle soglie dell’astrattismo. Attraverso le fessure, oltre lo spiraglio, e il fumigare di nebbie chiare, Accigliaro, sorta di moderno manierista, ha intravisto, e ci racconta, in toni freddi, l’anima fuggitiva, imprevedibile, del mondo. Un’aurora sembra essere sorta, distillata, in un alambicco mentale, tersa, come pensieri che si succedono, finalmente “quasi” in ordine. Così si ritorna con l’aurora, da capo, alla meditazione e alla malinconia, come ci fa vedere Michelangelo, nella Sacrestia Nuova. E non dimentichiamo che uno dei dipinti più straordinari di Pollock, del 1947, ora alla Guggenheim di Venezia, è intitolato Alchemy, alchimia. Pollock, il cui originale dripping, determinato dalla materia stessa nel suo divenire, è in realtà pilotato dalla ragione e dal sogno insieme. Ecco svelato, forse, uno stesso segreto, profondo, di queste pitture di Accigliaro, che ripudiano personalismi e tormentate confessioni. La ragione e il sogno. In linea, probabilmente, con le affermazioni del filosofo razionalista Gaston Bachelard (in tal senso già chiamato in causa da Maurizio Calvesi), che negli anni Trenta teorizzava l’immaginazione materiale, tesa tra manipolazione concreta degli elementi e sogno, per arrivare a cogliere, alla fine del processo alchemico, l’essenza.

Maria Teresa Barolo


corradoAMBROGIO

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Corrado Ambrogio nasce nel 1957 a Mondovì, dove vive. Frequenta il Liceo Scientifico e successivamente il Politecnico di Torino, laureandosi in Ingegneria Meccanica. Nel 1987 presta servizio presso la Direzione VIA del Ministero dell’Ambiente a Roma. É attualmente titolare della cattedra di Tecnologia e Disegno presso l’IISS Cigna di Mondovì. Esordisce come pittore nel 1974. La Regione Piemonte nel 1988 gli dedica una personale nel Palazzo della Giunta, nell’ambito della rassegna “Proposte”, selettiva di valori emergenti. Le sue opere, caratterizzate inizialmente da una oggettuale ispirazione, acquistano con gli anni una sempre maggiore indipendenza dalla realtà intesa nei suoi aspetti più riconoscibili “per instaurare un rapporto nuovo con il vero, quasi contrassegnato da un carattere mentale più che sentimentale: sino a manifestarne le suggestioni più vive negli aspetti forse più segreti ed essenziali”. (Angelo Dragone) L’esigenza di sperimentare nuove regole e nuovi materiali lo porta nel 1989 ad alternare le attività di pittore e scultore. Ha progettato e realizzato elementi di arredo ed ha illustrato libri, tra i quali è da segnalare Desiderio che avanza nelle mappe della materia di Adonis, Edizioni San Marco dei Giustiniani, Genova. Tra gli altri hanno scritto di Ambrogio: Alessandro Abrate, Marco Antonio Aimo, Giorgio Auneddu, Andrea Balzola, Roberto Baravalle, Germano Beringheli, Miche Berra, Carla Bertone, Ernesto Billò, Luciano Bona, Rossana Bossaglia, Ezio Briatore, Fulvio Cervoni, Giovanni Cordero, Guido Costa, Odette De Bernardi, Patrizia Di Meglio, Angelo Dragone, Franco Fanelli, Claudia Ferraresi, Marco Franceschetti, Andreina Griseri, Giovanni Griseri, Paolo Levi, Lorenzo Mamino, Pino Mantovani, Angelo Mistrangelo, Carlo Morra, Nalda Mura Sguerso, Piergiorgia Oderda, Carlo Pellegrino, Enrico Perotto, Teresio Polastro, Francesco Poli, Carlo Regis, Daniele Regis, Adelina Rodolico Gariglio, Elena Sardo, Angela Schiappapietre, Gianfranco Schialvino, Aldo Spinardi, Franco Torriani, Marco Vallora, Giuseppe Vietti, Dario Voltolini, Federico Zeri. MOSTRE PERSONALI 1978 – Galleria La Rotonda, Mondovì; 1980 – Galleria La Rotonda, Mondovì; 1981 – Ordine degli Architetti, Cuneo; 1987 – Chiostro di S. Giovanni in Lupazzanio e Convento delle Domenicane, Mondovì; 1988 – Studio d’Arte Le Immagini, Torino – Chiesa di S. Rocco al ponte delle Ripe, Mondovì; 1989 – Foyer del Teatro Marenco, Ceva – Museo Civico di Casa Cavassa, Saluzzo – Palazzo della Giunta Regionale, Torino; 1990 – Studio d’Arte Le Immagini, Torino; 1992 – Porti di Magnin e Chiostro di S. Giovanni in Lupazzanio, Mondovì; 1993 – Palazzo Lomellini, Carmagnola; 1994 – Chiesa di S. Rocco al ponte delle Ripe, Mondovì; 1996 – Galleria Devoto, Genova; 1997 – Galleria Beniamino, Sanremo – Sotto la Mole, Associazione culturale, Torino; 1998 – Antico Palazzo di Città, Mondovì; 1999 – Galleria Devoto, Genova; 2000 – Galleria Del Monte, Forio d’Ischia; Palazzo Robellini, Acqui Terme; 2002 – Galleria Del Monte, Forio d’Ischia; 2003 – Palazzo Salmatoris, Cherasco – Chiesa di S. Rocco al ponte delle Ripe, Mondovì.

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CORRADO AMBROGIO, Sisma, 2004 cm. 52 x 40 x 25, legno (foto di Ivo Chiappello)


CORRADO AMBROGIO, Oltre lo sguardo, 2006 cm. 23 x 13 x 57, legno, materiale plastico (foto di Ivo Chiappello)


corradoAMBROGIO

L’identità vera è nella materia

Corrado Ambrogio da qualche anno si è dato a misurare il tempo. Le sue operazioni divulgative più massicce ed estese sono calendari che fermano, una al mese, dodici opere all’anno. Carta patinata pesante, grafica curatissima, immagini realizzate con rara perfezione tipografica, coinvolgendo di volta in volta fotografi di particolare capacità espressiva e professionalità con scrittori e poeti di gran calibro. Le illustrazioni evidenziano oggetti-sculture che paiono, più che realizzati, trovati, dissepolti, fatti affiorare e premono comunque con allusioni e insinuazioni loro proprie in ragione più che di suggerimenti di fantasia o letterari, in ragione della loro materia (o materie) costitutive (cemento o oro o quel che è) evidenti sempre e determinanti nelle loro definizioni strutturali. Più recentemente (è quasi di questi giorni), ha sentito una necessità maggiore di assoggettare e legare le forme, rivisitate in studio, con uno spazio di giacitura ideale avvolgendole in architetture, proiettandole su pareti, posandole su gradini e scale che il tempo e il degrado evidenziano di più nei loro componenti un po’ sfatti, nelle superfici, nelle pietre e nei sassi sconnessi, nelle erbe infiltrate o nelle muffe o edere rinsecchite e fragili. Corrado Ambrogio ha limato la sua esperienza in anni ormai lunghi, carichi di molte riflessioni e molto lavoro prodotto nella sua ideale “schatzkammer” (oggi un’aula superstite della dimenticata chiesa oratorio di S. Antonio Abate già sede dell’omonima Compagnia) che pur nelle varie mutazioni insediative è sempre stata in qualche modo significativa e partecipe attiva nella definizione delle procedure realizzative. Ha fatto tesoro e si è dato agio dei rapporti calibrati e attenti con la critica: agli albori con Angelo Dragone e Pino Mantovani e a seguire con Rossana Bossaglia, Marco Vallora, Dario Voltolini per non citare che alcuni. Con le gallerie e le istituzioni è stato presente in ambienti che trascorrono l’Italia nelle localizzazioni regionali piemontesi e liguri (Torino egocentrica, la significativa Acqui, Cherasco salmatoriana, Genova e la Riviera), per lambire la Toscana etrusca e medicea della Fortezza di Cortona, per toccare un sud più estroverso e turistico (Forio d’Ischia). Ma a noi pare non secondario insinuare nel percorso di Corrado e nella sua storia gli elementi localistici che hanno concorso a segnalarlo, a crescerlo e confermarlo dalle origini giovanili di pittore di paesaggi e nature morte con bardatura tradizionale di cavalletto, scatola dei colori, tavolozza e pennelli e certami relativi a un’immagine in qualche modo “verista” fino a scioglimenti e addensazioni diverse. Corrado Ambrogio esterna poco o non esterna quasi su queste cose ma per studio ha un suo “pedigree” scientifico, per formazione e laurea è un ingegnere meccanico tutto sui generis. E’ pittore e scultore, se così si vogliono ancora appellare attività che però fanno ormai a meno dei colori in barattolo o in tubetti, che fanno a meno di pennelli e spatole, di scalpelli e mazzuoli, crete, pietre o marmi per arrivare a cogliere una sfumatura in un pezzo di cuoio, in una ruggine, in un vetro giocato di piatto o ribaltato nello spessore, per appropriarsi di una forma in un oggetto consunto, in una pietra rosicchiata dal gelo, in un tronco folgorato o in un legno toccato dal tempo. E’ pittore e scultore per propensione, per vitalità, per DNA costitutivo, per consequenzialità logiche, per aggressività visive, per una manualità artigiana accorta, che risolve sempre per assecondare occhi che vedono molto e fantasie che suggeriscono di più nella definizione di fatti, di realtà minute e concrete ma insieme allusive, referenti, altre. La sua palestra l’ha trovata lì dove è nato e vissuto, a Carassone (Mondovì) tra “Porti di Magnin” che è stato trent’anni fa un particolare concorso di pittura e che resta una pubblicazione di arti figurative animatrice di rinnovamenti e S. Evasio che resta da decenni tra i “peccati” dei monregalesi. Una palestra che auspicava percorsi aperti al nuovo e si prova a suggerirli attraverso prove e modelli al vero. Non tutto è andato o va a segno ma, tra altro, i modi espressivi di Corrado e il suo linguaggio formale sono enucleati in maniere conseguenti e nuove e anche originali. E’ molto tempo fa che Picasso (e altri prima di lui) aveva fatto notare che un manubrio di bicicletta e una sella potevano arrivare a somigliare un toro e una damigiana impagliata una capra gravida attraverso giochi intelligenti di trasferimenti che si anteponevano come risultato finale l’identificazione. Per Corrado questa non risulta così importante: in qualche modo l’allusione, il suggerimento è un elemento che qualche volta si fa rilevante (ricordo le forme di legno delle scarpette in bilico sul cerchio), ma l’identità vera è nella materia. Al più nelle cose. In quel suo farsi e sfarsi di continuo, in quell’essere e divenire (ricordo i ceppi di faggio che si fanno paesaggio), nel richiamo dell’immaginazione attraverso residui pieni, per se stessi, di inquietudini e di immagini diverse (alcuni elementi possono, volendo, assumere conformazioni mutanti) nel tentativo protratto, continuo, insistito di taccheggiare piccolo o grande che sia un bello inconsueto, sorprendente nella sua quotidianità.

Carlo Pellegrino Gennaio 2007

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ferdinandoMARCHESE

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Ferdinando Marchese è nato a Termini Imerese nel 1956; vive in Liguria dal 1964. Abita ed ha il suo studio a Toirano (SV). A Loano (SV) svolge la sua attività di insegnante di scuola primaria. È maestro infatti da più di 25 anni, ha lavorato con bambini dai tre ai dieci anni, istituendo nelle scuole numerosi laboratori d’arte grafico-pittorica e ceramica. Attualmente sta seguendo la realizzazione, presso la scuola elementare di Loano, di un grande murales in ceramica della lunghezza di m. 20 x 2 ed inoltre, legato all’arte e alla creatività, è promotore di Phylosophy for children, un progetto basato su un'attività filosofica vera e propria che ha come obiettivo quello di portare se stessi verso un pensiero critico e creativo e di educare l'alunno all’ascolto, al pensiero ed alla prassi democratica. Ha iniziato a dipingere in giovane età sotto la guida del professor Ferdinando Fioretti di Bra. Ha approfondito e sviluppato le tecniche pittoriche come autodidatta fino all’incontro con il pittore spagnolo Albert Barreda, che l’ha introdotto nella dimensione dell’astrattismo e della didattica dell’arte in ambito scolastico. Con lo stesso ha iniziato una stretta collaborazione dal 1986, attività che l’ha condotto a Vic, Barcellona e Madrid alla ricerca di nuove fonti d’ispirazione. Nei laboratori d’arte i bambini vengono portati alla scoperta dell’attività grafica come strumento di comunicazione, liberata da ogni stereotipo indotto dal mondo degli adulti, e, in quanto tale, arte. Ha tenuto la sua prima mostra importante presso la galleria Ghisolfi di Loano nel 1988, seguita dalla personale del 1989 presso la galleria “Il Brandale” di Stelio Rescio a Savona. Seguono poi una serie di numerose mostre presso la Galleria civica di Albenga. Sono molteplici le partecipazioni a mostre collettive in Italia e all’estero, tra le quali Quipu, interpretazione non celebrativa della scoperta dell’America nell’anno delle “Colombiadi” presso il palazzo comunale di Savona e villa Groppallo a Vado Ligure. Hanno parlato di lui Stelio Rescio, Albert Barreda, Nicola Angerame, Silvia Bottaro, Giovanna Capello, Aldo Ghidetti, Stefano Pezzini. Suoi quadri fanno parte di collezioni private in Italia, Francia, Germania, Svizzera e presso istituzioni. MOSTRE PRINCIPALI 1988 – Galleria Ghisolfi, Loano; 1989 – Galleria “Il Brandale”, Savona; 1990 – Cronospettica, insieme al maestro Pascal de Nicolò, Galleria Civica, Albenga; 1991 – Blu oltre il mare, Albenga; 1992 – Terra d’ombra, Albenga; 1998 – Legami d’odio, legami d’amore, presso C.S.T.C.S., Genova; 1999 – Garlenda, punto d’incontro (coll.), Castello Costa-Del Carretto, Garlenda; 2004 – Italienischer sommer, Alte Kapelle, Schönecken//Eifel (D); 2005 – Ginevra in blues (coll.), Castello, Garlenda; 2006 – Labirinti (coll.), Castello, Garlenda.

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FERDINANDO MARCHESE, Coke, 2007 cm. 100 x 120, acrilico su tela


FERDINANDO MARCHESE, Irrisolvibile, 2006 cm. 120 x 120, acrilico su tela


ferdinandoMARCHESE

Blu del rigore

Un unico e solitario segno intrappolato nelle divagazioni formali di un “campo decorativo” i cui ritmi vengono interrotti dalla cornice-limite dello spazio. Quei segni prevalentemente bianchi (giallastri, rosei, blu) e materici (quasi ceramiche dentro la tela) sono ricorrentemente impostati nei quadri come la genesi il cui posteriore sviluppo espressivo viene realizzato seguendo una determinata logica, partendo sempre e sistematicamente dalle tensioni tra quei segni e le superfici da colorare. Da queste tensioni si esprime oggi il linguaggio pittorico di Ferdinando Marchese. Tensioni che riesce a strutturare in un discorso/percorso capace, con un ammirevole dominio delle tecniche scelte, di realizzare la realtà visiva dell’autore ; le sue immagini lasciano intravedere uno sfondo poetico che è a sua volta, all’origine di quelle tensioni. Blu, o del rigore: colore freddo che allontana lo spettatore dalla tela dell'artista, colore che -a sua volta- si ritrae, si ritira dallo sguardo.Questa è ormai definizione da manuale , ma troppo poco, tiene conto della spinta emotiva che conduce all'uso di questo colore.I blu dell'ultima serie di opere di Ferdinando Marchese mi hanno messo di fronte, ancora una volta alle sue emozioni. Blu nuovi, che sempre meno ricordano le passate trasparenze , il verde morbido della superficie marina: blu che sanno, ormai, di abisso. Non gelido, però, o meglio, non solo .queste tele mi pongono di fronte ad una trasformazione avvenuta, ad una tappa importante della ricerca del pittore: quasi scomparse le immagini evanescenti che si delineavano nei quadri precedenti, ora avanza un'oscurità forse impenetrabile,forse. Perchè nel buio qualcosa attrae, non solo respinge, riscalda, non solo congela: molte le letture possibili, molte le conclusioni verificabili. Così l’immagine di Marchese si offre intenzionalmente a uno sguardo dinamico che voglia avvicinarsi al suo ricco codice di simboli precisi che ci riportano a quello sfondo poetico. Così gli strani fossili incastonati nella roccia: ricordi slabbrati dal tempo, ma che riemergono, indimenticabili. O gli oggetti segreti impigliati tra i coralli: simboli fragili che, per essere stati ritrovati, possono sempre, per infinite volte essere perduti. Forse allora non serve chiedersi se quel buio sia origine, o punto d'arrivo: le due possibilità si equivalgono, e tra esse si smuovono le emozioni del pittore. Da qui, dove i vortici si fanno più profondi, scaturiscono nuove pulsioni di vita, e qui, antiche pulsioni trovano finalmente espressione e significato. Nella simbologia di Marchese si ritrovano reminiscenze, suggerimenti, concretizzazioni di un antico sapore mediterraneo, di una agonizzante realtà culturale che rischia, in quanto, realtà viva, di lasciare ancora più solitari nel nostro confronto i segni già isolati dei suoi quadri. Albert Barreda

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véroniqueMASSENET

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Véronique Massenet è nata a Parigi nel 1945 dove compie studi classici e poi di architettura d’interno all’Ecole Camondo. Parallelamente s’interessa già alla scultura, ma la sua formazione è tutta personale se si eccettua qualche corso serale di “modelage” in un atelier di Montmartre e sessioni di disegno dal vivo all’Académie des Beaux Arts. Nel 1967 vince il concorso “Soffitti contemporanei in bassorilievo” la cui realizzazione viene esposta al Grand Palais di Parigi. Trasferitasi in Italia, apre il suo primo vero atelier di scultura. Fino al 1978, pur prediligendo già il legno, sperimenta anche altri materiali, realizzando sculture in pietra, marmo, granito e bronzo, poi evolvendo verso strutture mobili ed articolate; il legno, rivelatosi più idoneo, diventa l’unico materiale che lavora. Le sculture partono da un blocco semplice: una sezione di tronco di varie misure e qualità. Il tronco ha terminato la sua vita vegetale di cui conserva le tracce. Si anima allora di una nuova vita, degli elementi vi nascono, strettamente legati, con un progetto di crescita e di coesione. Gesti e attitudine permettono l’evoluzione delle relazioni nel gruppo che raggiunge nell’espandersi un nuovo equilibrio. Questo processo evolutivo, da uno stadio primitivo compatto fino alla crescita sognata, viene ultimamente illustrato in composizioni foto-digitali, ricreando il “vivere insieme ” di questi gruppi. Le digigrafie sono stampate a getto d’inchiostro pigmentato su tela o carta d’arte. La sua attività espositiva prosegue dal 1977, accreditata dall’interesse di critici autorevoli all’occasione delle esposizioni in Francia, in Italia e in Germania. Hanno parlato del suo lavoro: Germano Beringheli, Miche Berra, Ernesto Bodini, Metella Bovero, Enrica Brocardo, Luciano Caprile, Luigi Carluccio, Lino Cavallari, Angelo Dragone, Claudia Ferraresi, Sergio Fantaguzzi, Albino Galvano, Alida Gianti, Renzo Guasco, Almerino Lunardon, Giovanni Lunardon, Angelo Mistrangelo, Carlo Morra, Ivo Pastorino, Ferdinando Molteni, Silvio Riolfo-Marengo, Ugo Ronfani, M. Rovero, Claudia Sugliano, Stephanie Glandien, Nicole Laffont, Silvano Godani, Margherita Levo-Rosenberg. Metella Rovero. Vive e lavora a Berteggi, piccolo centro in provincia di Savona. MOSTRE PRINCIPALI 1977 - Castello degli Acaja, Fossano (CN); 1979 - Galleria Linea Arte, Cuneo; 1981 - Galleria La Bussola, Torino; 1982 - Circolo culturale Il Cortile, Bologna; 1984 - Gallerie Mandragore, Paris; 1987 - Chiostro delle Domenicane, Mondovi.(CN);.1988 - Centre Culturel Français, Torino; 1993 - Palazzo Nervi, Savona - Chiostri di S. Caterina. Finalborgo (SV); 1994 - Galleria Ellequadro, Genova; 1998 - Museo A. Martini, Vado Ligure (SV); 2000 - Circolo culturale La Stella, Vado Ligure (SV) - Museattivo Claudio Costa, Genova; 2001 - Museo A. Martini, Vado Ligure (SV); 2002 - Show room di “Tecno”, Bologna; 2004 - Ass. Cult. Satura, Genova “Italienischer Sommer”, Galerie Altes Amt, Schönecken/Eifel (D) - Galleria Merchionne, Loano (SV); 2005 stand personale a “S.I.A.C. 2005”, Palais des Congrès , Marseille (F) - G.M.A.C. ile des impressionistes, Chatou (F) - G.M.A.C. 2005, Paris(F); 2006 - Palexpo, EUROP’ART 2006, Ginevra, CH - Galerie Altes Amt, Schönecken/Eifel (D) - G.M.A.C. 2006, Paris (F); 2007 - Galerie Gavart, Paris (F).

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VÉRONIQUE MASSENET, Un échange sans fin, 2004 Ø cm. 30 x 17, tronco di pino silvestre (foto di Paolo Cavaliere)


VÉRONIQUE MASSENET, S’entendre, 2007 Ø cm. 28x 74, tronco di pino silvestre (foto di Paolo Cavaliere)


véroniqueMASSENET

I giochi a incastro di Véronique Massenet

Forme flessuose. Volumi cangianti. Intrecci sorprendenti. Per conservare nel legno la nascita di un’ idea Tronchi che si flettono, si aprono a ventaglio, si abbracciano in una sorta di amoroso amplesso. Rami che si rincorrono, si cercano,si intrecciano. Sono le forme sorprendenti e sempre cangianti create da Véronique Massenet, scultrice parigina che da anni vive in Liguria, dove si dedica con passione a lavorare il legno in una bella casa in riva al mare… …” Scolpire il legno è una continua sfida. Da una parte, a differenza di certi marmi, non è fragile, e può essere piegato, aperto e manipolato fino a fargli ottenere la forma desiderata, dall’altra, il legno si fessura, si muove, è una materia viva”. La sua lavorazione, che prevede diverse fasi , è faticosa e lunga : “Passa quasi un anno e mezzo prima che un pezzo secchi e si stabilizzi”. L’artista in particolare si concentra sulle venature, esaltando il minimo rilievo con la sabbiatura. “Prediligo i legni resinosi , del pino e dell’abete, proprio per la regolarità dei loro misteriosi segni”. Ogni opera è il frutto di un attenta indagine formale, che prende le mosse da piccole composizioni in plastilina e terracotta. La Massenet studia cosi le sue complesse sculture, capaci, grazie ad un abile gioco a incastro, di comporsi e scomporsi, di diventare altro dal tronco iniziale. Desiderio dell’artista è mostrare come ogni opera possa crescere e trasformarsi non solo nelle mani dell’ artista, ma anche in quelle di ogni appassionato d’arte. “Cerco di riprodurre la nascita e l’evoluzione dell’idea”. Claudia Sugliano

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silvioROSSO

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Nato a Cuneo nel 1940, dal 2004 vive e lavora a Demonte (CN). Inizia, giovanissimo, la sua attività di pittore con esperienze figurative già incentrate sul colore e sul segno, anticipando futuri sviluppi di una poetica orientata sia sul verbo informale che sull'indagine materica. Alla fine degli anni '50 è tra i fondatori del gruppo artistico "La Tavolozza", attivo per oltre un decennio. Dal 1963 al 1966 è allievo di Filippo Scroppo a Torino. Il 1964 segna per Rosso una svolta importante con l'abbandono di ogni figuratività tradizionale e l'incontro con le poetiche dell'informale. Nel 1971 il pittore apre in Cuneo la galleria "Saletta Arte Contemporanea" poi divenuta spazio interdisciplinare e laboratorio serigrafico con il nome di "Studioerre" nel 1974, al cui interno opera l'Associazione culturale "Scala B", promuovendo pubblicazioni, dibattiti, mostre, concerti, incontri con poeti e attori teatrali, scambi con realtà esterne. Si dedica, per un breve periodo anche alla scenografia ed al teatro collaborando con Roberto Mussapi, Giuseppe Conte, Milo De Angelis, Riccardo Cavallo ed altri. Si tratta di una fase che vedrà la partecipazione alle sue attività di personaggi quali Andrea Zanzotto, Giancarlo Pontiggia, Nicola De Maria, Albino Galvano, per non citare che alcuni nomi. Il 1982 è l'anno in cui Silvio Rosso, di fronte al definitivo allentarsi della tensione politico-culturale, viva nel precedente decennio, decide la chiusura dello "Studioerre" ed inizia un periodo in cui abbandona ogni attività espositiva. Nel 1997, riprende l'attività artistica ed espositiva, sotto il segno di tempi e direzioni mutati. Ha esposto sue opere al castello comunale di Barolo nel 2001, mostra personale "Silvio Rosso. Policromo", nel 2004 nella rassegna collettiva "Poems on the rocks" Silvio Rosso, ha esposto a partire dal 1958 in numerose personali e collettive in Italia e all'estero. Numerose le testimonianze di critici e poeti sulla sua ricerca pittorica fra cui: Walter Accigliaro, Claudio Artino, Roberto Baravalle, Miche Berra, Giorgio Brizio, Riccardo Cavallo, Giuseppe Conte, Mario Contini, Angelo Dragone, Ascanio Dumontel, Roberto Franzini Tibaldeo, Albino Galvano, Fabrizio Gardinali, Henri Heraut, Ida Isoardi, Pino Mantovani, Beppe Mariano, Miquel Montoliu, Carlo Morra, Roberto Mussapi, Adriano Nebiolo, Enrico Perotto, Vanna Pescatori, Enrico Sanna, Filippo Scroppo, Luigi Servolini, Franco Solmi, Paolo Vecchiettini. MOSTRE PERSONALI 1966 – Società Promotrice delle Belle Arti, Torino – Spazio autogestito, Cuneo; 1967 – Galleria "La Labronica", Livorno; 1968 – Galleria "42", Bologna; 1969 – Centro culturale CIGAPS, Parigi; 1970 – Galleria "Vallombreuse", Biarritz; 1973 – Saletta Arte Contemporanea, Cuneo – Galleria "LP220", Torino; 1974 – Centro culturale "Studio due", Sesto San Giovanni – Galleria "Triade", Torino; 1975 – Galleria "Studioerre", Cuneo; 1976 – Galleria "Erika", Torino – Centro culturale Symarip, Valenza Po; 1978 – Centro "Il Brandale", Savona; 1979 – Galleria "Studioerre", Cuneo – Palazzo dei Diamanti, Ferrara, proiezione film "A volo d'uccello" e rappresentazione scenica "Dopo, il racconto"; 1981 – Centro I.S.A.D., Milano; 1998 – Sala del Consiglio comunale, Borgo San Dalmazzo; 2000 – Centro incontri della Provincia - Sala C, Cuneo; 2001 – Castello comunale, Barolo; 2002 – Bottega d'Arte Botto, Cuneo; 2006 – Galleria "Art Dama", Calafell (Spagna).

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SILVIO ROSSO, Colate laviche (part.), 2006 cm. 35 x 50, smalti su cartoncino


SILVIO ROSSO, Colate laviche (part.), 2007 cm. 35 x 50, smalti su cartoncino


silvioROSSO

Silvio Rosso o l’astrazione fluida del colore in divenire

Silvio Rosso è figura riconosciuta di artista che occupa un ruolo ben individuato nel panorama regionale e nazionale della pittura di tendenza astratto-informale. Nato a Cuneo nel 1940, ha iniziato il suo percorso di ricerca con l’interessarsi al paesaggio negli anni Ciinquanta, passando allo studio del linguaggio astratto negli anni Sessanta, al tempo della frequentazione dei corsi di pittura della scuola di Filippo Scroppo a Torino, passando poi a sviluppare, negli anni Settanta, una personale interpretazione concettuale dell’astrazione pura, realizzando indagini affascinanti sui processi temporali di modificazione di materie e colori. Dal 1971 è fondatore a Cuneo della «Saletta arte contemporanea», «Studioerre» dal 1974, affiancato dall'Associazione Culturale «Scala B», ed è stato inoltre promotore della Comunità Operatori Serigrafici, tutte esperienze che si concludono nel 1981. Si è trattato di un decennio particolarmente fecondo, caratterizzato da una forte attività creativa, concretizzatasi in opere quali le Scacchiere, configurate in strutture geometriche rigorose, che a stento contengono e limitano il libero dispiegarsi delle tensioni tra cromie materiche debordanti, e le Paludi, impressionanti allegorie dei processi di trasformazione alchemica del colore impuro, alterato e ripugnante di palude, in colore aureo o argenteo luminoso, lasciato filtrare in superficie da un fondo di resina viscosa, trascolorante di timbri e sfumature lucenti, che lasciano intendere quasi una fascinosa e superiore affermazione di significati spirituali. In seguito, ha realizzato l'opera a stazioni Hamlet, oltre a diverse scenografie teatrali e ad alcuni audiovisivi prodotti in contaminazione con il linguaggio poetico. A partire dal 1997, Silvio è tornato a riaccostarsi alla pittura, elaborando in successione una serie riuscita di opere intitolate Oltre la palude, Prima del tempo, Invasioni, Fogli di Calafell, Marine e Lagune, in cui l’atto creativo si rivela nel gesto sorvegliato del lavorio degli strati pittorici, nella capacità dell’artista di infondervi l’apparenza di un tempo-vita, l’emozione di un’esistenza naturale, la sensazione di assistere al manifestarsi di un evento, di un processo metamorfico, che allude al guizzo tremulo di un movimento linfatico, sottoposto alle dinamiche della sua durata. Interprete rapito e colto in contemplazione dello spettacolo della natura, Silvio sa trasmettere i richiami incantati delle cromie fluttuanti dell’iride, comunicando energia e piacere visivo con quel modo tutto suo di accostarsi, com’egli ha scritto a Calafell in una pagina del 2001, nella «giusta misura» ai fenomeni terracquei, esibendo la volontà di interpretarli e di interiorizzarne i colori e la luce che sprigionano. Enrico Perotto

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carmenSPIGNO

Nuovi protocolli dell’astrazione NOTE BIOGRAFICHE

Nata a Diano Marina (IM), in Liguria, fin dall'infanzia si è dedicata con passione al disegno ed alla pittura. La vera e propria attività artistica risale al periodo della frequentazione del gruppo del C.I.A.C. (Centro Italiano Artistico Culturale) di lmperia, diretto dal maestro Giuseppe BALBO di Bordighera, cofondatore del Festival Internazionale del Fumetto. Com’è codificato per l'artista-donna, per molti anni tale attività è stata condizionata dagli impegni della famiglia e della professione di insegnante, nella quale ha profuso la sua creatività, praticando un metodo di insegnamento innovativo fondato sul disegno e la pittura come elementi sinergici e maieutici. Innumerevoli infatti i premi vinti dai suoi alunni in concorsi artistici nazionali ed internazionali ed altrettanto numerosi gli ex-allievi tuttora impegnati con successo nel campo delle arti grafiche e visive. Numerosi sono stati i corsi di aggiornamento professionale per insegnanti da lei tenuti come docente su incarico dell'I.R.R.S.A.E. Liguria. Nel 1997, insieme con l’olandese Rudolf Neervort Van de Poll ed il tedesco Carl Schoenfeld, è stata fra i fondatori dell'associazione artistico-culturale “Amici nell'Arte” di Garlenda (SV) che annovera nomi prestigiosi del panorama europeo e della quale è presidente. Dal 1998 è consulente artistico-culturale per il Comune di Garlenda e si occupa dell’organizzazione di manifestazioni culturali e mostre d'arte, note per l’originalità e la varietà dei contenuti e realizzate con lo scopo primario di divulgare l’amore per l’arte e la cultura. Vari critici e giornalisti si sono occupati del suo lavoro. Fra questi: Luciano Caprile, Ettore Cerruti, Ugo Ronfani, Clotilde Paternostro, Francesco Gallea, Carlo Cormagi, Silvia Bottaro, Arnaldo Fontana, Annalisa Rossi, Ferdinando Molteni, Massimo Boero, Barbara Testa, Mara Giovine Scavuzzo, Wolfgang Meixner, Donata Mora, Patrizia Gioia, Aldo Ghidetti, Romano Strizioli, Luciano Corrado, Stefano Mentil, Dario Freccero, Marisa Siffredi, Claudio Almanzi, Alberto Sgarlato, Gemma Lugaro ed altri. La pittrice ha partecipato a numerose mostre personali e collettive, in Italia, Francia, Germania, Spagna, Svezia e sue opere sono presenti in collezioni pubbliche e private. Vive e lavora a Garlenda (SV), ove ha l’atelier d’arte. MOSTRE PRINCIPALI 1997 – Dipingere con le Terre, con Andrea Bagnasco, Castello Costa–Del Carretto, Garlenda; 1998 – Terre di Liguria, Castello, Garlenda; 1999 – Incontri, Studio Arredo–Design Melgrati, Alassio; 2000 – In cammino per la Pace (coll.), Rassegna Internazionale di Arte Contemporanea, Castello, Garlenda e Palazzo Nervi, Savona; 2001 – Astrazioni di immagini, sensazioni reali, Villa Cambiaso, Savona; 2002 – Astrazioni di immagini, sensazioni reali, “Galleria d'Arte 2000”, Milano – Arte Italiana in Provenza (coll.), Galerie des “Amis des Arts”, Aix–en–Provence (F), – Fiabe e Magia, ex–Chiesa Anglicana, Alassio (SV), con Emanuele Luzzati; 2003 – Mediterraneo (coll.), “Tuchfabrik”, Treviri (D) – Mediterraneo, Maison des Artistes, Cagnes–sur–Mer (F) – La Voce della Natura, Galleria Merchionne, Loano; 2004 – Italienischer Sommer, Galerie “Altes Amt”, Schönecken/ Eifel (D) – Sedimentazioni, Galleria UCAI, Albenga – Il mito di Orfeo (coll.), Castello, Garlenda – Sedimentazioni, Palazzo del Parco, Diano Marina; 2005 – Ritorno alle origini, “SpazioStudio”, Milano – Galleria “Eleuteros”, Albisola Marina e Association des Jeunes Monegasques, Montecarlo; 2006 – Storia di terre, Grand Hotel Sestriere – Italienischer Sommer 2, “Vieille Eglise”, Schönecken/Eifel (D) – Labirinti (coll.), Castello, Garlenda – Percorsi Paralleli (coll.), Galleria Scola Albenga.

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CARMEN SPIGNO, Mappe XIII, 2007 cm. 50 x 70, terre e resine naturali su carta (foto di Pasquale Meli)


CARMEN SPIGNO, Tramature III (part.), 2006 cm. 60 x 80, terre e resine naturali su carta su tela (foto di Pasquale Meli)


carmenSPIGNO

La terra imprigionata in forme inusitate e senza tempo

Ci sono luoghi che più di altri riflettono lampi della memoria primordiale della nostra Anima. Forme senza tempo e magnifiche invenzioni. Ama la terra Carmen Spigno; l'amore per la campagna è il veicolo che conduce l'artista a pitture inusitate, inedite. Ama la terra l'artista ma non la terra in senso lato bensì la terra quale zolla, elemento vivo della campagna; terra quale zolla lavorata e impastata, stesa con le dita sulla tela o su qualsiasi supporto possibile (carta, legno, stracci). La mano lavora la zolla che posta al sole diviene pulita, sgranata dai residui; passata al setaccio si muta in polvere; mescolata poi, questa, alla resina degli alberi da frutta (collante perfetto), forma un amalgama denso, e la mano ancora lo plasma lasciando «impronte», e «tracce» sugli alberi soprattutto. Un quid panteistico e affascinante, mondo primigenio; la natura per la natura. Una tesi astratta accoglie la poetica della Spigno. Non forme volute ma sempre e comunque «forme» e spontaneamente nate. A sua insaputa e senza volontà alcuna l'artista crea immagini astratte e materiche (informale-materico); ne sorgono forme attraenti e bizzarre. Permangono anche le striature del tronco; si formano an-se voluttuose in perfette diagonali; altrove si evidenziano masse granulose (la corteccia dell'albero) sul piano liscio sottostante. Amore per la natura e per la materia, e la più naturale per eccellenza: la terra. Ha la terra dramma o fatica? Queste «tracce» accennano ad un sì perpetuo: Panico (2005), The door (2005), Immagini interiori XI (2006). Un traslato dunque, calchi di pensieri. Tutto è imprevisto in questa pittura e di grande effetto; immediato è il pensiero che alla natura riporta; è la terra, la materia; e il giuoco delle combinazioni improvvise dà luogo al segno di un interiore travaglio, molto ben esemplato, questo, nei lavori della Spigno. Sono, in realtà, lavori inquietanti e lusinghe di una serenità davvero inesistente in natura e così nell'uomo, dominatore della terra e del suo continuo divenire molto ben narrato in queste tele della pittrice «inconsapevole». Il colore le renderà poi fervide creature dell'immaginario collettivo e immaginifico. Una interessante materia pittorica questa della Spigno, per soluzioni improvvise e attraenti volute dalla solerzia di una pittrice inquieta dall'istintiva passionale adesione alla natura e alla vita. Ottobre 2006 Clotilde Paternostro

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Nuovi protocolli dell’astrazione

Rosso, Accigliaro e Ambrogio all’“Isola di S. Rocco al Ponte delle Ripe” a Mondovì (CN) (foto di Ivo Chiappello)

Massenet, Marchese, e Spigno al Castello “Costa-Del Carretto” a Garlenda (SV) (foto di Paolo Cavaliere)

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Indice Saluti introduttivi / Mario Napoli, Vittorio Desiglioli, Roberto Cerrato ........................ pag. 5 Fra corsi d’acqua, il mare e pioggia lustrale / Walter Accigliaro ............................... pag. 6 Nuovi protocolli dell’astrazione / Nicola Angerame ................................................... pag. 7 Nuovi protocolli dell’astrazione / Clizia Orlando ........................................................ pag. 9 Walter Accigliaro ........................................................................................................ pag. 19 Aurora consurgens / Maria Teresa Barolo .............................................................. pag. 22 Corrado Ambrogio ...................................................................................................... pag. 23 L’identità vera è nella materia / Carlo Pellegrino .................................................... pag. 26 Ferdinando Marchese ................................................................................................ pag. 27 Blu del rigore / Albert Barreda ................................................................................ pag. 30 Véronique Massenet .................................................................................................. pag. 31 I giochi a incastro di Véronique Massenet / Claudia Sugliano ................................ pag. 34 Silvio Rosso ................................................................................................................ pag. 35 Silvio Rosso o l’astrazione fluida del colore in divenire / Enrico Perotto ................. pag. 38 Carmen Spigno .......................................................................................................... pag. 39 La terra imprigionata in forme inusitate e senza tempo

/ Clotilde Paternostro ....... pag. 42

Indice generale ........................................................................................................... pag. 44 44




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