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Torino città aperta Natya Migliori

Torino città aperta

Natya Migliori

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Dal 4 maggio si torna in strada, al lavoro. Si esce dal lockdown, insomma. Ma in che condizioni? Le norme di sicurezza vengono rispettate?

Lo abbiamo chiesto a quei lavoratori che forse più di altri percepiscono i rischi e le differenze fra il “prima” e il “dopo” della Fase 2: i dipendenti dellaazienda trasporti –Gruppo Torinese Trasporti(GTT). C.M. lavora per l’azienda dal 2003. Due bimbi, moglie e genitori anziani. Preferisce restare anonimo.

«Ormai–mi racconta–abbiamo un po’ fatto l’abitudine, ma fino a qualche settimana fa, personalmente, tornando a casa mi disinfettavo con l’alcool dalla testa ai piedi prima di abbracciare mia moglie e i miei figli. E la notte non si può dire che dormissi sonni tranquilli, colterrore di contagiare loro e i miei genitori». «Come abbiamo lavorato? –aggiunge–All’inizio, parlo dei primi di marzo, quando abbiamo cominciato a percepire la situazione in tutta la sua gravità, non avevamo ancora nessun tipo di protezione. Né guanti, né mascherine, nulla... Solo grazie all’intervento dei sindacati sono cominciate ad arrivare le mascherine, ma eravamo già a metà aprile, quando si era nel pieno dell’emergenza. L’azienda ci è venuta incontro anticipando sia la cassa integrazione, sia, in due tranche, un premio che normalmente ci viene dato a fine giugno. Da questo punto di vista ci reputiamo fortunati. Sappiamo che in molte altre realtà nel resto d’Italia non è stata dimostrata la stessa solerzia».

E in Fase 2? Cos’è cambiato?

«In Fase 2 –continua il dipendente–si può dire che stiamo lavorando con tutte le protezioni, con la porta anteriore chiusa per contingentare gli ingressi, ma purtroppo gli autobus sono strapieni. Inoltre se, prima della riapertura, prendevamo servizio solo dal deposito, in maniera tale che ognuno di noi utilizzasse soltanto un mezzo in ogni giornata lavorativa, dal 4 maggio siamo tornati ai posti cambio in fermata. Il collega scende dal pullman e io prendo il suo posto, per intenderci, con evidenti rischi dal punto di vista igienico sanitario. Avevamo chiesto che ciò non avvenisse, almeno fino alla fine di maggio, fino a che la situazione fosse più chiara. Ma l’azienda ci ha risposto picche. Ci sono state fornite delle salviette per pulire il posto guida, ma non ci sentiamo sufficientemente tutelati. Da un lato ci raccomandano di continuare a mantenere la distanza sociale e tenere le mascherine nei luoghi chiusi, dall’altro ci obbligano e salire in un abitacolo non sanificato, per prendere il posto di un collega che non sappiamo con chi sia stato nei giorni precedenti, cos’abbia fatto e se abbia rispettato le norme di sicurezza. Su questa cosa, nonostante le pressioni sindacali, l’azienda è rimasta sorda alle nostre richieste». «I problemi maggiori–incalza Roberto Faranda, rappresentante della Segreteria Regionale FastConfsal Piemonte e Valle D’Aosta –sono legati soprattutto alla clientela. Come nel resto del mondo, non tutti rispettano i parametri di distanziamento e a

volte bisogna discutere anche solo per convincere ad indossare la mascherina. L’utenza è specchio della società e vi si trova di tutto, persino chi reagisce male quando gli viene chiesto di rispettare le regole. In questo contesto noi stigmatizziamo la scelta del Comune di Torino di disimpegnare i Vigili Urbani. Noi crediamo invece che la polizia locale debba essere costantemente impegnata sui mezzi e nelle fermate principali, al fine di contingentare gli ingressi e soprattutto di sensibilizzare al rispetto dei parametri di sicurezza, agendo da dissuasori rispetto a chi non vuole adempiere. In questo, purtroppo, le istituzioni locali non stanno dando alla nostra azienda appoggio e risposte sufficienti».

«Fino al 4 maggio –è ancora C.M. –c’erano diversi controlli in strada per obbligare la gente a scendere dai mezzi qualora fossero troppo pieni. Ma dopo varie aggressioni, l’azienda ha deciso di interrompere anche questo tipo di servizio. Ci era stato promesso l’intervento di volanti e Polizia Municipale in caso di pullman troppo affollato, ma nessun aiuto ci è mai arrivato. Se l’autobus è pieno, si va avanti. Tra l’altro lo spazio è ulteriormente ridotto dalla corda che separa il nostro abitacolo dall’utenza. Sono due metri e mezzo in meno, con il risultato che la gente sta ancora più accalcata. Si sta lavorando un po’ alla cieca, insomma». «Auspichiamo per la Fase 3 –conclude Faranda–e specie da settembre in poi, in un dialogo costruttivo fra i sindacati e l’azienda per risolvere in maniera efficace i nodi più critici. Nel frattempo, non dobbiamo avere paura. Il rischio zero non esiste, è vero, ma l’azienda fa il possibile per farci lavorare in sicurezza».