Dossier nazionale contribuzione studentesca - Tu da me volevi solo soldi

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tu da me volevi solo

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INDICE p.2

Introduzione. La contribuzione studentesca in Italia

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1. La dimensione della contribuzione studentesca in Italia

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2. I modelli di contribuzione studentesca in Italia

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3. Il rapporto tra contribuzione studentesca e merito

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Conclusioni. La necessità di un’Università gratuita: come fare?

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INTRODUZIONE LA CONTRIBUZIONE STUDENTESCA IN ITALIA ED IN EUROPA All’interno di questo dossier affronteremo il tema della contribuzione studentesca negli Atenei del nostro Paese. Com’è noto, il numero dei laureati all’interno del nostro Paese è uno tra i più bassi in Europa - circa il 27% tra i 25 e i 34 anni contro il 44% della media OCSE. Sicuramente una delle cause principali è da rintracciare negli ostacoli economici che esistono oggi nella possibilità di accedere all’Università e negli alti costi necessari per poterla frequentare. Uno dei costi principali è legato alla contribuzione studentesca, che negli ultimi dieci anni è cresciuta in maniera esagerata, divenendo una barriera economica notevole per tante e tanti. In termini generali, il definanziamento degli ultimi anni del sistema universitario italiano, con l’aumento delle disuguaglianze all’interno di un regime scarso di risorse, ha portato gli Atenei ad aumentare la contribuzione studentesca, considerando gli studenti e le studentesse come mere voci di spesa da tassare per la propria sopravvivenza e sostentamento. Anche il rapporto Eurydice 2019 ha evidenziato come l’Italia sia il fanalino di coda dell’Europa in tema di diritto allo studio. Il rapporto, che ogni anno fotografa la situazione relativa a tasse e supporto finanziario agli studenti dell’istruzione superiore, evidenzia come l’Italia sia uno dei paesi europei dove studiare costa di più. La legge di Bilancio del 2017 ha introdotto una «no tax area», ovvero l’esenzione dal pagamento della contribuzione studentesca, per quanti appartengono ad un nucleo familiare con Isee fino a 13mila euro e che sono al massimo al primo anno fuori corso. Questo con un paletto legato comunque alle performance di studio: all'iscrizione al secondo anno dovranno aver conseguito, entro il 10 agosto del primo anno, almeno 10 crediti formativi e per gli anni successivi almeno 25 crediti formativi. Nonostante ciò, in Italia solo il 13% degli studenti e delle studentesse è esonerata dal pagamento delle tasse: l’87% degli studenti che studiano negli Atenei italiani paga le tasse, con un ammontare che si aggira tra i 1000 e 3000, posizionandosi tra le università europee con le tasse più alte. Infatti, ad esempio in Francia e Spagna, la percentuale di studenti che pagano le tasse si abbassa, rispettivamente al 68% e al 70% ed in Francia la contribuzione studentesca va dai 100 ai 1000 euro. Se si prendono in considerazione la Germania e la Polonia, la stessa contribuzione studentesca si aggira tra i 0 e i 100 euro. Questi numeri ci restituiscono l’immagine di un sistema di contribuzione studentesca in Italia che rende l’Università inaccessibile per molti, e che anche nel confronto europeo dimostrano come l’Italia sia uno dei Paesi che ritengono la Conoscenza e la possibilità di proseguire i percorsi formativi non come uno strumento ed un’opportunità collettiva per il benessere e lo sviluppo socio- economico del nostro Paese, ma come uno strumento per aumentare le disuguaglianze all’interno del nostro Paese e conservare lo status quo, andando a costruire un’Università elitaria e per pochi. Da questo punto di vista, ben si inserisce il rapporto tra la contribuzione studentesca e la distribuzione dei punti organico, in base ai quali avvengono le assunzioni nelle Università: al netto della valutazione sui punti organico su cui da sempre siamo contrari come Organizzazione studentesca, emerge chiaramente ancora una volta la volontà da un lato di punire gli Atenei all’interno di un sistema socioeconomico e con un pil pro-capite medio-basso, senza considerare il rapporto tra Università e territorio, dall’altro di obbligare ad essere sempre più d’èlite. Inoltre, negli ultimi anni sempre più studenti sono costretti ad indebitarsi e si sono moltiplicati gli istituti di credito che agiscono in tal senso, considerandosi come un’opportunità e non come un vero e proprio strumento di ricatto. Un Paese che davvero si ponga l’obiettivo di investire nella formazione e in un sistema universitario realmente accessibile ed aperto, le battaglie per una tassazione più equa, per quanto necessaria a livello dei singoli Atenei per il miglioramento della condizione degli studenti e delle studentesse, non è più bastevole: o si persegue la gratuità dell’istruzione o la sfida per la trasformazione dell’Università e del Paese è persa.

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1. LA DIMENSIONE DELLA CONTRIBUZIONE STUDENTESCA IN ITALIA La dimensione della contribuzione studentesca italiana, a livello di sistema, negli ultimi dieci anni ha subito una serie di fluttuazioni, principalmente dovute a tutta una serie di politiche ministeriali e dagli effetti che le stesse hanno avuto sui singoli atenei. Per comprendere a fondo l’andamento delle serie storiche e la direzione verso cui stiamo andando è interessante partire dal gettito imputabile alla contribuzione studentesca che ogni Ateneo dichiara al Ministero. In questa voce sono considerati gli introiti relativi ai corsi di laurea, laurea magistrale, ciclo unico e vecchio ordinamento, al netto dei flussi imputabili alle diverse tasse regionali per il diritto allo studio. A livello nazionale il trend appare molto chiaro: il gettito totale a livello nazionale, dal 2008 ad oggi cresce del 18,30% passando da 1,38 miliardi a oltre 1,63 miliardi. Nello stesso periodo il Fondo di Funzionamento Ordinario, la principale fonte di finanziamento ministeriale degli atenei italiani, passa da 7,44 miliardi a 6,98, ovvero un calo del 6,19%. In altri termini si vede come il peso totale della contribuzione studentesca per il finanziamento dell’Università passi dal 18,5% a 23,4%. Di fatto si assiste ad uno spostamento del peso del finanziamento dell’istruzione superiore dalla fiscalità generale alle spalle degli studenti. È interessante analizzare l’andamento di tale gettito suddividendo gli atenei in macroregioni geografiche, mostrando come la distribuzione sia tutto fuorché equilibrata: l’aumento percentuale più alto si registra al sud (+26,6%), seguito dal nord (+18,10%) e quindi dal centro Italia (+10,74%). Il valore dell’aumento del gettito proveniente dalla contribuzione studentesca è ancor più rilevante se rapportato con l’andamento degli iscritti. Se nell’anno accademico 2008/2009 il nostro sistema universitario contava 1.659.764 studenti iscritti, nel 2017/2018 tale numero ammonta a 1.428.395. L’intersezione tra i dati del gettito e il numero di iscritti permette di osservare un altro aspetto estremamente critico del sistema di tassazione: la questione meridionale. Mentre il numero totale degli studenti iscritti è in calo, la distribuzione sul territorio di questo calo è tutto fuorché equilibrato. Suddividendo gli atenei in macroregioni (come fatto in precedenza) e confrontando i dati del 2008/2009 rispetto al 2017/2018, si osserva come, mentre il nord cresce del 7,3%, il centro cala del 20,2% e il sud perde addirittura il 29% degli iscritti. Tali numeri appaiono ancora più eclatanti se rapportati alla distribuzione geografica del gettito: nello stesso periodo di tempo il numero di studenti cala drasticamente mentre aumenta vertiginosamente il gettito proveniente dalla contribuzione studentesca. Queste osservazioni trovano riscontro nell’andamento dell’importo medio della contribuzione osservata dal 2015 al 2017: a livello nazionale si osserva una crescita media di circa 95€ (da 1080€ a 1175€), pari al 8,72%. Anche in questo caso le sperequazioni su base geografica sono piuttosto marcate, sotto tutti i punti di vista. La contribuzione media cresce salendo verso nord, ma il trend mostra come la forbice di differenza si stia riducendo. Nel periodo osservato, infatti, il sud vede la propria tassa media passare da 794€ a 951€, registrando un aumento di 158€ (+19,90%). Il nord passa da 1407€ a 1480€, registrando un aumento di 73€ (+5,18%). Il centro invece rimane piuttosto stabile, passando da 1061€ a 1077€ registrando un aumento di soli 16€ (+1,51%). Passando ai valori più specifici e di massima relativi ai regolamenti tasse dei singoli atenei italiani, è interessante analizzare quello che è il valore massimo della contribuzione studentesca, per meglio comprendere l’accessibilità ai corsi di studio. I valori analizzati riguardano i regolamenti tasse dell’anno accademico 2018/2019, considerando gli importi senza riduzione, con minimi criteri di merito, e contando il valore massimo tra percorsi triennali, magistrali e a ciclo unico (comprensivi di bollo, tassa regionale e altri contributi specifici). Uno degli elementi che appare più evidente riguarda la presenza di cospicue disparità tra aree accademiche differenti, con importi mediamente più elevati per i percorsi dell’area medica. Anche in questo caso vengono confermate le disparità a livello geografico: se si analizzano i valori medi, gli importi crescono a partire dal sud (2439€), passando per il centro (2947€) arrivando al nord (3206€).

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Uno dei provvedimenti che più ha influenzato la contribuzione studentesca in Italia negli ultimi anni è rappresentato dalla legge n. 236/16 che ha introdotto la NO-TAX area per tutti gli studenti con ISEE inferiore a 13.000€. La maggioranza degli atenei italiani hanno adottato tale provvedimento alla lettera, stazionandosi sul valore minimo imposto dalla legge. Se si analizza il valore medio adottato dagli atenei, suddivisi per collocazione geografica, è facile osservare come al nord appare un aumento più diffuso di tale limite reddituale. Il valore medio del limite per accedere al regime di no-tax area, infatti è pari a 17.405€, con valore di punta pari a 25.500€ registrato al Politecnico di Torino. Al centro e al sud si osservano valori medi molto simili, pari rispettivamente a 14.808€ e 14.657€. Anche i valori di punta sono molto simili, rispettivamente 22.000€ all’Università di Pisa e 23.000€ all’Università di Cagliari. Questi dati mostrano come, a livello di sistema, stiamo osservando un generale aumento della contribuzione studentesca accompagnato da un generale calo del numero degli iscritti. Fenomeni che appaiono ancor più gravi perché molto polarizzati a livello geografico, mettendo a rischio il ruolo sociale degli studenti e delle Università sul territorio. 2. I MODELLI DI CONTRIBUZIONE STUDENTESCA IN ITALIA L’analisi dei diversi modelli di contribuzione studentesca sconta la difficoltà dell’assenza di uno o più modelli nazionali da cui gli Atenei possano trarre ispirazione. La regolamentazione della contribuzione studentesca risulta, infatti, un terreno di elezione per l’esercizio della autonomia universitaria e ciò, come si vedrà nei prossimi paragrafi, porta al proliferare di una molteplicità di soluzioni che presentano soltanto occasionali punti di contatto tra loro. Una parziale azione di uniformazione è, tuttavia, conseguita attraverso l’introduzione della No Tax Area con la L. 232/16. Il punto di vista che vogliamo adottare in questo capitolo riguarda una verifica più complessiva sul rispetto di principi di progressività della contribuzione studentesca. Seppur il rendimento accademico degli studenti concorre insieme al reddito a definire il modello di contribuzione studentesca, si può evidenziare come esso agisca, salvo casi eccezionali, successivamente all’applicazione dei criteri di reddito, che risultano in genere ancora prevalenti nel caratterizzare il sistema. Allo stesso tempo considerare congiuntamente criteri di merito e di reddito avrebbe portato ad una tale frammentazione del campione da rendere poco significativa un’analisi aggregata. Al tema del merito si dedicherà, tuttavia, uno specifico capitolo e potrà pertanto fornirsi un’analisi più puntuale delle effettive condizioni del sistema di contribuzione italiano attraverso la considerazione congiunta di questi due capitoli. Rispetto al rapporto tra reddito e contribuzione ad una prima analisi si possono distinguere due classi di modelli: un sistema di contribuzione a fasce prevede per un determinato intervallo di valori di ISEE uno specifico importo della contribuzione studentesca; un sistema di contribuzione non a fasce prevede, al contrario, un algoritmo che definisce una curva in cui il valore dell’importo della contribuzione cresce all’aumentare del valore dell’ISEE. Non si danno modelli di contribuzione non a fasce che prevedano una riduzione della contribuzione all’aumentare dell’importo dell’ISEE, né modelli a fasce per cui all’incremento dei valori dell’intervallo dell’ISEE consegua una diminuzione dell’importo finito. Ciò, seppur possa essere ricondotto alla necessità di progressività del sistema, non è da solo sufficiente a garantirne il rispetto del principio, come si vedrà subito oltre approfondendo alcune classi di modelli di contribuzione. Può in questa sede già essere evidenziato come esistano addirittura casi in cui l’incremento della contribuzione studentesca risulta meno che proporzionale all’incremento del ISEE, in aperta violazione del principio di progressività. Nel campione analizzato i due modelli paiono avere una pari incidenza (24 Atenei con fasce contro 23 senza fasce). Si riscontra, inoltre, 1 caso di un Ateneo (Camerino) che ha previsto eccezionalmente l’azzeramento della contribuzione studentesca e 4 Atenei che hanno adottato un modello misto. Rispetto al modello di contribuzione a fasce non appare utile svolgere ulteriori suddivisioni. Possono essere però tratte, dall’analisi qualitativa del campione, alcune considerazioni generali. Di per sé il modello di contribuzione a fasce non è inidoneo a realizzare il principio di progressività del sistema 4


di contribuzione studentesca. Esso dipende in concreto dalla crescita del valore degli importi tra i diversi intervalli. Esistono, tuttavia, potenziali fattori di criticità connessi a questo modello. In primo luogo, rispetto ad un modello non a fasce, esso finisce per equiparare irragionevolmente gli importi di studenti aventi redditi diversi. Inoltre esso presenta una maggiore rigidità nel distribuire gli incrementi di contribuzione all’aumento del reddito. Tali problematiche si articolano, tuttavia, in modo fortemente diversificato a seconda del numero di fasce di reddito. Atenei con solo 7 fasce di reddito, come la Politecnica delle Marche, presentano un sistema completamente diverso da quello di Siena che ne prevede più di 100. Appare evidente come per quest’ultimo i problemi sopra indicati risultano minimizzati o completamente superati dal modello in concreto, assumendo quest’ultimo di fatto le stesse caratteristiche di un sistema di contribuzione non a fasce. Nella categoria della contribuzione non a fasce per analizzare il grado di realizzazione del principio di progressività occorre operare un’ulteriore distinzione. In particolare si possono distinguere modelli con aliquota fissa, con aliquote variabili e con modelli a curva differenti. Sul campione analizzato più della metà dello stesso presenta un modello ad aliquote variabili, mentre circa il 30% presenta un modello ad aliquota fissa e il rimanente un modello a curva differente. Rispetto alla realizzazione del principio di progressività, essi richiedono di essere analizzati distintamente. I modelli ad aliquota fissa (che caratterizzano 5 Atenei del campione) non realizzano un sistema progressivo in quanto l’incremento dell’importo della contribuzione studentesca è soltanto proporzionale all’incremento del reddito. I modelli ad aliquote variabili (tutte ad aliquote crescenti all’incremento degli intervalli di reddito) risultano maggiormente rispondenti ad un sistema progressivo. Essi tuttavia non soddisfano il principio di progressività inteso in senso forte, che richiede per ogni intervallo della curva di contribuzione studentesca un incremento della contribuzione più che proporzionale all’incremento del reddito. Una soluzione di piena ottimizzazione del principio di progressività può essere realizzata soltanto attraverso un modello a curva differente. Bisogna constatare che, tuttavia, i modelli a curva effettivamente proposti, pur tutti crescenti al crescere del reddito, non presentano soltanto casi di crescita della contribuzione più che proporzionale al reddito, ma anche, almeno in alcuni suoi tratti, meno che proporzionale al reddito. Nello svolgere qualche considerazione conclusiva, a titolo meramente provvisorio, dal quadro analizzato si può trarre conferma della forte diversificazione dei sistemi di contribuzione studentesca, che stenta a presentare l’emergere di un modello di contribuzione prevalente. Se la distinzione relativa alla presenza di fasce di contribuzione fissa rappresenta un criterio distintivo significativo per l’analisi dei modelli, anche all’interno di questi due gruppi, di incidenza quasi eguale tra gli Atenei italiani, non si evincono caratteristiche omogenee rispetto alla realizzazione del principio di progressività. Non si può inoltre evidenziare un unico modello esemplare per la realizzazione del principio di progressività, ma si possono individuare alcune pratiche negative come i modelli a fasce poco differenziati e i modelli con aliquote fisse. Al contrario la presenza di un caso, seppur eccezionale, di gratuità completa merita attenzione per lo sviluppo di una pratica realmente innovativa. In conclusione del presente capitolo si possono svolgere due considerazioni ulteriori, di carattere maggiormente puntuale. Tutti i sistemi di contribuzione delle Regioni italiane presentano una tassa regionale per il DSU che rappresenta una delle voci della contribuzione studentesca, nonchè la massima fonte del sistema di diritto allo studio in Italia. Essa, che peraltro rappresenta l’unico elemento di contribuzione in caso di applicazione della No Tax Area, sfugge dall’applicazione del principio di progressività e presenta un importo fisso di 140€. Rappresentano, in senso positivo, un’eccezione a questa pratica gli Atenei delle Regioni Campania, Puglia e Calabria nelle quali si è previsto un sistema più progressivo con importi crescenti sulla base di intervalli di reddito. Un altro elemento, pur non connesso alla progressività del sistema, che influisce significativamente, oltre alle considerazioni di carattere meritocratico, sull’importo della contribuzione studentesca è la suddivisione della tassazione per aree disciplinari. Tale divisione risulta presenta in poco più della metà del campione esaminato, con incrementi, anche molto significativi, connessi principalmente ai corsi di area medico-sanitaria. Tali distinzioni, pur non incidendo sulla progressività del sistema, crea

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forti sperequazioni tra i corsi di studio e potrebbe, come effetto indiretto, generare un effetto dissuasivo sull’iscrizione a tali aree, specie nelle fasce di reddito medio-basse. 3. IL RAPPORTO TRA CONTRIBUZIONE STUDENTESCA E MERITO La regolamentazione della contribuzione studentesca risente nell’Università italiana di una forte influenza della retorica meritocratica. Se un sistema di contribuzione studentesca potrebbe basarsi esclusivamente a criteri di reddito, necessari per garantirne la progressività, in concreto i modelli di contribuzione inseriscono numerose condizioni volte ad inserire effetti premiali. Tali misure, oltre a creare sperequazioni tra gli studenti di non facile giustificazione e rivelandosi di natura antiprogressiva, considerata la relazione positiva esistente tra reddito e risultati accademici, sono di efficacia per nulla riscontrata. Ciò nonostante i modelli più largamente diffusi presentano tutti misure premiali o esenzioni di matrice meritocratica. Il sistema di contribuzione studentesca risulta ulteriormente informarsi a caratteri meritocratici a seguito della L. 232/16. In essa da un lato si introducono criteri di merito (acquisizione di almeno 10 cfu al primo anno e almeno 25 cfu negli anni successivi) per accedere alla No Tax Area, ma anche si formalizza la possibilità di introdurre penalizzazioni per gli studenti fuoricorso. Esula dalle finalità di questo dossier un’analisi completa degli effetti indiretti della L. 232/16 sulla natura meritocratica della contribuzione studentesca. Un approfondimento specifico appare tuttavia opportuno per la figura degli studenti fuoricorso che appare paradigmatica nel determinare la natura meritocratica del sistema di contribuzione studentesca. In essa si rivela, infatti, la vera caratteristica della meritocrazia, che alla difficoltà e allo stigma sociale già presente su una categoria, aggiunge un’ulteriore penalizzazione, di carattere materiale, che rivela tutta la sua reale vessatorietà. La L. 232/16 prevede la possibilità di non applicare la No Tax Area, ma una tassazione fino a 200€ per gli studenti iscritti dal secondo anno superiore alla durata normale del corso di studi. L’interpretazione qui indicata non risulta tuttavia pacifica, in quanto risulta attestato un orientamento alternativo che prevede che la contribuzione studentesca sia esattamente di 200€ per gli studenti fuoricorso ricompresi nella fascia di reddito della No Tax Area. Per quanto l’analisi del campione mostri come la maggior parte degli Atenei abbiano adottato questa seconda interpretazione (o comunque abbiano previsto il massimo della contribuzione studentesca possibile), anche la prima risulta attestata e risulta preferibile in quanto garantisce il maggior grado di progressività del sistema e limita in modo più ridotto l’autonomia degli Atenei. Al di là della comune cornice normativa, esistono forti elementi di differenziazione tra i diversi Atenei sia per gli anni da cui si inizia a considerare gli studenti fuoricorso, sia sulla natura delle maggiorazioni. Rispetto al primo elemento più del 75% del campione adotta maggiorazioni a partire dal secondo anno successivo alla normale durata del corso di studi. Esistono però 4 Atenei che, ferma restando la garanzia della No Tax Area per le fasce di reddito in cui sia prevista, presentano maggiorazioni già a partire dal primo anno fuoricorso, 2 Atenei che posticipano le maggiorazioni al terzo anno fuoricorso e 2 ulteriori Atenei che prevedono regolamentazioni diversi per triennali, magistrali e magistrali a ciclo unico. Pur risultando meno del 10% del campione, 4 Atenei, nonostante l’intervento della L. 232/16, non prevedono nessun incremento di tassazione per gli studenti fuoricorso. La natura delle maggiorazioni prevede un grado di omogeneità di gran lunga inferiori. L’alto grado di differenziazione del campione rende conseguentemente scarsamente significativo l’individuazione di classi omogenee di modelli di maggiorazioni. Si possono, tuttavia, individuare alcuni esempi significativi. In alcuni casi (ad esempio l’Università di Firenze e del Salento) è previsto un incremento fisso di 200€. In altri casi l’incremento risulta decrescente (Brescia) oppure crescente (Catania) al variare del reddito. In altri ancora è prevista una variazione dell’aliquota prevista dal modello di contribuzione studentesca (Foggia aliquota aumenta del 20%, Napoli Parthenope aumento del 10%). Non è possibile individuare, sulla scorta delle considerazioni precedentemente svolte, un modello positivo di maggiorazione dei fuoricorso. Qualsiasi maggiorazione, infatti, agisce negativamente sulla garanzia del pieno diritto all’università delle studentesse e degli studenti. Ci si limiti soltanto a

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notare che il modello bresciano risulta avere un effetto anti-progressivo sul sistema, mentre le variazioni di aliquota mantengono la connessione più forte sulla natura progressiva del sistema. Sempre al di là degli interventi meritocratici connessi alla L. 232/16, si possono individuare altri elementi di natura premiali all’interno dei modelli di contribuzione studentesca. Del campione analizzato più del 70% presentano ulteriori interventi meritocratici rispetto a quelli previsti nella L.232/16. In essi non risultano peraltro ricomprese le maggiorazioni previste per gli studenti fuoricorso che, come già visto, sia per platea coinvolta che per importo superano le previsioni della L.232/16. La natura degli interventi meritocratici trova come unico limite la fantasia di coloro i quali predispongono i regolamenti tasse. Si va da esenzioni per gli immatricolati con 100 o 100L (Ferrara) o con diploma di 100/100 (Roma3), a incentivi per laureati in corso (UniCal). Esistono, poi, in diverse Università modelli di incentivi al merito strutturati basati sia sui crediti acquisiti, che sulla media. Si veda ad esempio ad “UniSa premi il merito” o il “coefficiente di merito” dell’Università del Salento. Altre Università, come l’Università degli Studi di Milano e l’Università di Milano-Bicocca, prevedono una classificazione degli studenti in meritevoli e non meritevoli, estendendo le categorie della L.232/16 anche agli studenti non coinvolti in tali fasce di reddito e finanche agli studenti fuoricorso. Sulla base del quadro descritto si possono trarre alcune considerazioni provvisorie. Il sistema universitario italiano di contribuzione studentesca risulta fortemente influenzato da misure meritocratiche. Esse presentano un alto grado di differenziazione tra i vari Atenei e non paiono essere giustificate da un fattore comune, se non l’esasperata adesione ad un modello ideologico che impone la presenza di incentivi per i più bravi anche in settori dove essi non abbiano un’utilità acclarata e dove l’idea di qualità sia essenzialmente arbitraria e la l’obbligo degli Atenei di dover stare entro determinati parametri. Tali caratteristiche, pur esistendo anche indipendentemente dalle L.232/16, appaiono esasperate da tale misure. Se quest’ultima ha rappresentato quasi uno standard minimo di meritocrazia imposto a livello nazionale, risulta al contempo significativo sottolineare che un numero, seppur ridotto, di Università abbiano resistito e non si siano conformate ad un’idea imposta di merito.

CONCLUSIONI LA NECESSITA’ DI UN’UNIVERSITA’ GRATUITA: COME FARE? Per l’analisi fin qui condotta, ormai da anni come Link Coordinamento Universitario siamo profondamente convinti che serva un cambio di direzione netta e radicale che attribuisca alla fiscalità generale i costi dell’Università, azzerando la tassazione; siamo convinti che solo in questo modo si riconosca realmente il ruolo dell’Università nella società e nel territorio. Molti la considerano come un’utopia, riportando una giustificazione legata ai fondi per coprire le conseguenti mancanze di gettito per gli Atenei. Noi rispondiamo con una riflessione provocatoria che prova ad interrogarsi e lanciare uno spunto su come percorrere la strada verso la reale gratuità dell’istruzione. In primis, è necessaria una volontà politica, ad oggi del tutto mancante - il contratto di governo e le ultime azioni delle stesse parlano chiaro evidentemente. Per quanto riguarda i finanziamenti, abbiamo già visto come negli ultimi anni non solo si è stati in presenza di risorse scarse, ma a questo c’è da aggiungere un ulteriore elemento: la preponderanza dell’elemento premiale, per cui chi ha più riceve di più dallo Stato, gli Atenei che hanno meno ricevono sempre meno. Chiaramente questo non può che avere delle forti ripercussioni sulla contribuzione studentesca. È necessario, dunque, sul tema dei finanziamenti provare ad invertire profondamente la rotta degli ultimi anni e facendo in modo che questa derivi da una tassa pagata quasi da tutti in maniera fortemente proporzionale alle rendite e ai patrimoni, e per il resto deviando risorse che attualmente sono destinate al ministero della Difesa, determinando uno squilibrio per cui il nostro Paese investe molto più in guerra che formazione. Proponiamo, dunque,

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di imporre la riduzione della contribuzione del 20% annuo che verrà sostituito dalla tassa di cui si parlava prima con cui il Miur provvederà ad integrare l’FFO. Nel periodo di transizione, è necessario lavorare sul sistema di tassazione per renderlo meno iniquo, garantendo che la contribuzione studentesca sia slegata dagli indici di sostenibilità economica degli atenei che porta alle conseguenze già precedentemente esposte. È fondamentale lavorare sulla progressività delle curve di tassazione ed aumentare la no tax area almeno fino a 28000 euro, come presente nella LIP per il diritto allo studio scritta da Link Coordinamento Universitario. Inoltre, la tassazione non può essere differenziata sulla base del corso di studio e non può prevedere delle maggiorazioni specifiche a seconda della disciplina studiata in quanto non si può far dipendere la scelta di uno studente al costo di un corso di studi. È poi necessario eliminare qualsiasi forma di contribuzione aggiuntiva legata ai criteri di merito. Rispetto al tema dei fuoricorso, essi dovrebbero avere accesso ad una riduzione della contribuzione, dal momento che usufruiscono in quantità minore dei servizi rispetto agli altri studenti. Queste misure sono finalizzate ad accompagnare la strada verso un’Università realmente gratuita e, pur essendo delle misure transitorie, sono per noi fondamentali per poter garantire nell’immediato una maggiore accessibilità e sostenibilità del percorso universitario.

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