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Formazione a Distanza Estratto da

VISCOCHIRURGIA VISCO CHIRURGIA

Numero di Accreditamento Provider: 77 Data di Accreditamento Provvisorio: 22/04/10 (validità: 24 mesi) La Fabiano Group è accreditata dalla Commissione Nazionale a fornire programmi di formazione continua per medici chirurghi con specializzazione in Oftalmologia e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia e si assume la responsabilità per i contenuti, la qualità e la correttezza etica di queste attività ECM. Iniziativa FAD rivolta a Medici Oculisti e Ortottisti/Assistenti in Oftalmologia. Obiettivo formativo: Innovazione tecnologica: valutazione, miglioramento dei processi di gestione delle tecnologie biomediche e dei dispositivi medici. Technology Assessment Modulo didattico n. 2 del Percorso Formativo “Viscochirurgia: strumenti, tecniche diagnostiche e follow up nel settore oftalmologico” (Rif. 77-922), della durata complessiva di 9 ore. Numero di crediti assegnati al programma FAD una volta superato il test di apprendimento: 9.

Provider: Fabiano Group S.r.l. - Reg. San Giovanni 40 - 14053 Canelli (AT) Tel. 0141 827827 - Fax 0141 033112 - e-mail: fad@fabianogroup.com


Indice dei contenuti Farmaci e traumi chirurgici alterano la superficie oculare?

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Stefano Bonini

Nuova strategia di impianto di PRL mediante iniettore personale

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Giuseppe Perone

Transepiteliale parziale associata con Cross-Linking (TP CL): nostra esperienza

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Antonio Laborante

Correzione della presbiopia con PRK multifocale

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Eugenio Melchionda C A S O C LINIC O

Aumento delle cellule endoteliali dopo trapianto di cornea perforante in 9 anni di follow-up

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Umberto Merlin

La canaloplastica nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto: nostra esperienza

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Guido Caramello

Chirurgia della cataratta in presenza di pupilla ristretta

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Andrea Niutta

Chirurgia della cataratta via pars plana nell’adulto

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Antonio Scialdone

Utilità del Bevacizumab nell’evoluzione della retinopatia diabetica

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Roberto Grenga

Antibioticoprofilassi preoperatoria nella chirurgia della cataratta: protocollo modulare basato sui profili di rischio

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Salvatore Troisi

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Farmaci e traumi chirurgici alterano la superficie oculare?

Stefano Bonini

Università Campus Bio-Medico di Roma, Cattedra di Oftalmologia

RIASSUNTO Obiettivo: Valutare gli effetti delle procedure chirurgiche oculistiche e dei farmaci sull’omeostasi della superficie oculare. Tipo di studio: Revisione sistematica della Letteratura. Materiali e Metodi: Gli Autori hanno effettuato una revisione sistematica della Letteratura utilizzando 3 databases: PubMed, ScienceDirect e Ovid. La ricerca ha incluso parole chiave come “medications”, “ocular surgery” e “ocular surface”. Risultati: L’analisi della Letteratura evidenzia la possibilità di determinare alterazioni anche severe della superficie oculare in seguito a procedure chirurgiche molto diffuse, come la chirurgia della cataratta e la chirurgia refrattiva. Anche l’utilizzo di particolari farmaci sistemici e topici, questi ultimi soprattutto se usati nel lungo periodo, può determinare modificazioni talvolta irreversibili dell’omeostasi della superficie oculare, spesso legate all’effetto tossico dei conservanti. Conclusioni: Alla luce dei dati analizzati in Letteratura suggeriamo un’accurata analisi preoperatoria dei pazienti, con particolare attenzione allo studio del film lacrimale e di tutta la superficie oculare, cercando di privilegiare, soprattutto nel lungo periodo, la somministrazione di farmaci “preservative-free”. ABSTRACT Aim: To evaluate the effect of ophthalmic surgery and drugs on the ocular surface. Study type: Systematic review of the literature. Matherials and Methods: The authors carried out a systematic review of the literature searching 3 databases: PubMed, ScienceDirect and Ovid, using keywords such as “medications”, “ocular surgery” and “ocular surface”. Results: The literature analysis demonstrates that common ophthalmic surgical procedures, such as cataract surgery and refractive surgery, can cause a iatrogenic damage to the ocular surface. Also systemic and topic drugs, especially if used for long period, can impair the homeostasis of the ocular surface, sometimes irreversibly. The toxic effect can be direct or related to preservatives. Conclusion: According to the literature data we suggest a careful pre-operative examination of patients, with particular attention to the ocular surface and tear film evaluation. We also suggest the use of preservative free medication postoperatively, especially for chronic or long term therapy.

ormai comunemente riconosciuto il con-

PAROLE CHIAVE superficie oculare chirurgia oculare conservanti KEY WORDS ocular surface ocular surgery preservative

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È cetto di superficie oculare come un’uni-

ca entità anatomo-funzionale, in cui le singole componenti (film lacrimale, cornea, congiuntiva e annessi) interagiscono tra di loro grazie ad una varietà estremamente complessa di meccanismi finemente regolati, il cui fine ultimo è quello di garantire e mantenere l’omeostasi della superficie oculare stessa (Figura 1). viscochirurgia

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Negli ultimi anni sono emersi dati alquanto preoccupanti, o che per lo meno dovrebbero far riflettere, sulle possibili alterazioni della superficie oculare conseguenti a chirurgia oculare o all’uso, talvolta improprio, di medicamenti topici e sistemici. Tutto questo in un clima, che talvolta noi stessi abbiamo colpevolmente contribuito a creare, dove ad esempio un intervento di cataratta


Farmaci e traumi chirurgici alterano la superficie oculare?

Figura 1 La superficie oculare

non viene più considerato come un delicato intervento di microchirurgia, ma una “banale” procedura della durata di pochi minuti priva di qualsiasi rischio o complicanza. In realtà le cose stanno molto diversamente: una revisione sistematica della Letteratura scientifica che abbiamo effettuato utilizzando 3 diversi databases (PubMed, ScienceDirect e Ovid) dimostra anzi come tutte le procedure chirurgiche oculari possano determinare alterazioni, anche molto severe, a carico della superficie oculare, con importanti ripercussioni sulla capacità visiva e sulla qualità della vita dei pazienti. In particolare è stato dimostrato come tutte le diverse tecniche di chirurgia refrattiva possano determinare un dry eye post-operatorio. Il meccanismo patogenetico è rappresentato dalla lesione dei nervi sensoriali corneali, che rappresentano il braccio afferente della secrezione lacrimale (Hovanesian JA et al., 2001). La LASIK causa una maggiore riduzione della secrezione lacrimale e un dry eye più severo clinicamente rispetto alla PRK (Lee JB et al., 2000) (Figura 2). Uno studio di Yu e coll. del 2000 ha evidenziato l’incidenza di sintomi da occhio secco postLASIK nel 95% dei soggetti nel primo giorno post operatorio, nell’85% dopo una settimana e nel 60% dopo un mese. Nella maggior parte dei pazienti sottoposti a chirurgia refrattiva, il dry eye migliora lentamente nel tempo. Questi dati correlano con l’immediata riduzione della sensibilità corneale centrale, che lentamente

ritorna ai valori di partenza in 3-6 mesi. Tuttavia, evidenze derivate da studi di microscopia confocale suggeriscono che una parte delle fibre nervose non recupera il suo stato originale (Lee BH et al., 2002). Recentemente diversi gruppi di ricerca hanno rivolto la loro attenzione sulle possibili alterazioni della superficie oculare in seguito ad intervento di cataratta. È infatti esperienza comune come molto spesso, nonostante l’ottimo esito dell’intervento chirurgico dal punto di vista del recupero visivo, numerosi pazienti riferiscono sintomi “aspecifici” di discomfort oculare, sia nell’immediato post operatorio che a distanza di mesi dall’intervento. Sono state descritte alterazioni della superficie oculare dopo intervento di cataratta, con diversi meccanismi patogenetici, che potrebbero essere responsabili di questi sintomi. È stato ipotizzato che una riduzione della sensibilità corneale indotta dai tagli corneali pos-

Figura 2 Dry eye post LASIK

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Stefano Bonini, Paolo Lauretti

Figura 3 Pseudopemfigoide da farmaci

sa determinare un dry eye in maniera del tutto simile a quello che si verifica dopo chirurgia refrattiva, ma i risultati in Letteratura sono contrastanti. Kohlhass e coll. hanno evidenziato una riduzione della sensibilità corneale centrale dopo facoemulsificazione (Kohlhass et al., 1997), ma questo dato non è stato confermato in un altro studio, effettuato da John, in cui la sensibilità corneale era alterata esclusivamente in un’area cuneiforme, in prossimità del tunnel (John T, 1995). Più recentemente Khanal e coll. hanno evidenziato, in 18 pazienti sottoposti ad intervento di cataratta, una riduzione della sensibilità corneale misurata con un estesiometro non-contact, che perdurava a tre mesi di follow-up, ma con una tendenza al ritorno ai valori di partenza. Liu e coll. hanno ipotizzato che uno stato patologico subclinico preesistente possa rappresentare un fattore di rischio importante nel dry eye post operatorio. Infatti nel loro studio i pazienti con BUT preoperatorio < 10 sec, presentavano un rischio significativo di sviluppare una severa instabilità del film lacrimale e un dry eye di tipo evaporativo nel post operatorio (Liu et al., 2002). Anche Xue-Min e coll. hanno evidenziato dopo facoemulsificazione una riduzione della secrezione ed un peggioramento degli indici di stabilità del film lacrimale, con picco a un mese dopo l’intervento (Xue-Min Li et al., 2007). In uno studio recente Cho e coll. hanno ipotizzato un possibile ruolo dell’eposizione prolungata alla luce del microscopio operatorio nella genesi del dry eye (Cho et al., 2009). Tra i meccanismi di danno della superficie

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oculare non va trascurato, tuttavia, il possibile effetto dei farmaci topici impiegati come terapia post-operatoria. È ben noto infatti l’effetto dannoso sulla superficie oculare di diversi principi attivi e soprattutto dei conservanti, in particolare il benzalconio cloruro (BAK), che è in assoluto il più diffuso. In una review del 1979 Wilson aveva illustrato come diversi farmaci potevano causare un danno anche severo a livello della superficie oculare. Il quadro più drammatico è rappresentato dallo pseudo-pemfigoide, caratterizzato da progressive modificazioni cicatriziali a livello congiuntivale, con riduzione delle cellule caliciformi, panno corneale con completo sovvertimento dell’anatomia della superficie oculare che esita nei casi più severi nella cheratinizzazione corneale (Figura 3). Ci sono poi effetti meno eclatanti ma non per questo meno importanti: Lemp e Hamill hanno dimostrato che l’instillazione di proparacaina con conservante (Benzalconio cloruro) determina un’alterazione della stabilità del film lacrimale e perdita dei microvilli dell’epitelio corneale e congiuntivale (Lemp M et al., 1973), mentre Singh e coll. hanno evidenziato come gli steroidi topici, accanto ai più comuni effetti collaterali, possano determinare un dry eye di tipo evaporativo quando usati in terapia cronica. In questi studi non è chiaro se l’effetto nocivo sia legato al principio attivo o al conservante. Degli effetti tossici di questi ultimi sulla superficie oculare esiste una vasta Letteratura (Figura 4). Gli effetti più importanti del Benzalconio cloruro sono rappresentati dalla solubilizzazione dello strato lipidico del film lacrimale (Wilson WS et al., 1975; Baudouin C, 1998) e da un effetto citotossico diretto (apoptosi/necrosi) sulle cellule dell’epitelio corneale e congiuntivale (Figura 5). Queste modificazioni determinano un’alterazione significativa della stabilità del film lacrimale e più in generale dell’omeostasi dell’intera superficie oculare (Burstein 1980). È facile comprendere come queste alterazioni siano di gran lunga più severe nei pazienti sottoposti a terapia cronica con farmaci contenenti conservanti.


Farmaci e traumi chirurgici alterano la superficie oculare?

Figura 4 Principali conservanti contenuti nelle formulazioni topiche in collirio

Nei pazienti glaucomatosi ad esempio, sottoposti a terapia per molto anni, è comune riscontrare alterazioni anche severe della superficie oculare. Arici e coll. hanno evidenziato, nei pazienti in trattamento con β-bloccanti topici contenenti conservanti, una riduzione del test di Schirmer I, del BUT e della densità delle cellule caliciformi rispetto al gruppo di controllo (Arici MK et al., 2000). Queste alterazioni sono state attribuite dagli Autori al possibile effetto tossico diretto dei β-bloccanti, che determinerebbero una riduzione della se-

Figura 5 Effetti tossici del benzalconio cloruro: in questa immagine di microscopia elettronica si osserva la scomparsa di alcune cellule epiteliali con perdita dei microvilli periferici

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Stefano Bonini, Paolo Lauretti

crezione lacrimale per effetto anestetico sulla superficie oculare o per alterazione della circolazione ematica congiuntivale. Tuttavia, anche i conservanti potrebbero avere un ruolo. Infatti, in un successivo studio di Baudouin e coll. sono stati valutati gli effetti sulla superficie oculare in due gruppi di conigli, trattati rispettivamente con β-bloccanti topici contenenti o privi di BAK. Dopo 2 mesi di trattamento la stabilità del film lacrimale (BUT) era significativamente alterata nei gruppi trattati con collirio contenente conservanti rispetto ai gruppi che avevano ricevuto il collirio senza conservanti. Dall’attenta analisi di questi dati possiamo concludere come stiano emergendo degli aspetti finora sconosciuti, o perlomeno trascurati, ri-

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guardo le alterazioni iatrogene della superficie oculare. I farmaci e le procedure chirurgiche possono determinare alterazioni severe, con la comparsa di segni e sintomi di dry eye, che possono alterare in maniera così significativa la percezione dello stato di salute dell’apparato visivo da parte del paziente da far passare in secondo piano i benefici sul recupero visivo delle procedure chirurgiche. Pertanto, è necessaria un’accurata analisi preoperatoria dei pazienti, con particolare attenzione allo studio del film lacrimale e di tutta la superficie oculare; inoltre, tenendo in considerazione gli effetti tossici dei conservanti, sarebbe opportuno privilegiare, soprattutto nel lungo periodo, la somministrazione di farmaci “preservativefree”.

Bibliografia

1. Hovanesian JA, Shah SS, Maloney RK. Symptoms of dry eye and recurrent erosion syndrome after refractive surgery. J Cataract Refract Surg 2001; 27:577-584 2. Lee JB, Ryu CH, Kim J, et al. Comparison of tear secretion and tear film instability after photorefractive keratectomy and laser-assisted in situ keratomileusis. J Cataract Refract Surg 2000;26:1326-31 3. Yu EY, Leung A, Rao S, Lam DS. Effect of laser in situ keratomileusis on tear stability. Ophthalmology 2000;107:2131-5 4. Lee BH, McLaren JW, Erie JC, et al. Reinnervation in the cornea after LASIK. Invest Ophthalm Vis Sci 2002;43:3660-4 5. Kohlhaas M, Stahlhut O, Tholuck J, Richard G. Development of corneal sensitivity after Phacoemulsification with scleral tunnel incision. Klin Monbl Augenheilkd. 1997 Jul;211(1):32-6 6. John T. Corneal sensation after small incision, sutureless, one-handed phacoemulsification. J Cataract Refract Surg. 1995 Jul;21(4):425-8 7. Liu Z, Carvajal M, Carothers CA, et al. Increased expression of the type 1 growth factor receptor family in the conjunctival epithelium of patients with keratoconjunctivitis sicca. Am J Ophthalmol 2000;129:472–80 8. Xue-Min Li, Lizhong Hu, Jinping Hu and Wei Wang. Investigation of Dry Eye disease and analysis of the pathogenic factors in patients after cataract surgery. Cornea 2007;26 (Suppl 1):S16-S20 9. Cho YK, Kim MS. Dry eye after cataract surgery and associated intraoperative risk factors. Korean J Ophthalmol. 2009 Jun; 23(2):65-73. Epub 2009 Jun 9 10. Wilson FM 2nd. Adverse external ocular effects of topical ophthalmic medications. Surv Ophthalmol. 1979 Sep-Oct;24(2):57-88 11. Lemp MA, Hamill JR, Jr. Factors affecting tear film breakup in normal eyes. Arch Ophthalmol 1973; 89(2):103-5 12. Singh G, Kaur J. Iatrogenic dry eye: late effect of topical steroid formulations. J Indian Med Assoc. 1992 Sep;90(9):235-7 13. Baudouin C, Harnard P, Liang H, et al. Conjunctival epithelial cell expression of interleukins and inflammatory markers in glaucoma patients treated over the long term. Ophthalmology, 20004, 111:2186–92 14. Wilson WS, Duncan AJ, Jay JL. Effect of benzalkonium chloride on the stability of the precorneal tear film in rabbit and man. Br J Ophthalmol. 1975 Nov; 59(11):667-9 15. Burstein NL. Corneal cytotoxicity of topically applied drugs, vehicles and preservatives. Surv Ophthalmol. 1980 Jul-Aug; 25(1):15-30 16. Arici MK, Arici DS, Topalkara A, et al. Adverse effects of topical antiglaucoma drugs on the ocular surface. Clin Experiment Ophthalmol 2000; 28:113–17

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NOTE

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Nuova strategia di impianto di PRL mediante iniettore personale

Giuseppe Perone

Centro Oculistico G. Perone, Diagnostica e Microchirurgia dell’occhio, Saronno (VA)

RIASSUNTO La correzione della miopia elevata mediante tecniche di impianto di lenti fachiche è una tecnica ormai consolidata in grado di fornire risultati qualitativamente superiori a quella di tecniche di superficie che utilizzano il laser ad eccimeri. Tra le lenti attualmente disponibili, la PRL offre al chirurgo senza dubbio caratteristiche ideali. Poiché, nel corso della nostra esperienza, abbiamo rilevato un punto debole nella tecnica di impianto, rappresentato dalla fase di inserimento della lente nella camera anteriore, abbiamo sviluppato una tecnica personale di impianto mediante iniettore volta a superare questo inconveniente. Nel presente lavoro viene descritta il passaggio dalla tecnica standard a quella personale con iniettore. ABSTRACT The correction of High Myopia by Phakic Lense is an actual, promising and developing technique. It proves to be more reliable in respect to excimer ablation. In order to solve one of the main problem in the lens implant, we developed a personal injection technique. In this paper we describe how to switch over an injection technique rom a standard one.

>> Introduzione PAROLE CHIAVE miopia elevata lenti fachiche chirurgia refrattiva tecnica con iniettore KEY WORDS high myopia phakic lenses refractive surgery injection technique

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La correzione chirurgica della miopia elevata mediante tecniche di impianto in occhio fachico (lenti fachiche da camera anteriore, ad aggancio irideo o retroiridee) è un argomento di grande attualità1 ed è destinato ad occupare uno spazio sempre maggiore nel panorama chirurgico in campo oftalmologico. Infatti, da una parte la chirurgia di superficie non sembra rispondere in modo ottimale alle esigenze di emmetropizzazione e di qualità della visione dei pazienti con miopia superiore alle 6-7 diottrie, dall’altra gli stessi pazienti, stimolati sia dai professionisti che dai mezzi di informazione, sono portati a richiedere con maggiore insistenza e determinazione la propria emmetropizzazione. Per coprire tali esigenze è indispensabile che il chirurgo refrattivo conosca e sappia proporre tutta la gamma delle possibili opzioni, tralasciando la tecnica di superficie quando questa non è viscochirurgia

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potenzialmente in grado di offrire risultati qualitativamente elevati ed optando per una tecnica di impianto. Consapevoli di quanto sopra esposto, abbiamo da sempre affiancato alle tecniche di chirurgia refrattiva corneale2 le tecniche di impianto: prima l’impianto di ICL3 (Intraocular Contact Lens), poi lenti fachiche a fissazione iridea4 e poi lenti ad appoggio angolare di GBR, tecniche che, per diversi motivi, sono state nel tempo da noi abbandonate. La nostra esperienza di impianto di PRL™ (Phakic Refractive Lens), lente fachica da camera posteriore5 si protrae da circa 6 anni di followup e si è dimostrata finora una metodica affidabile e soprattutto a tutt’oggi scevra da complicanze. Poiché nella nostra esperienza il momento critico per l’impianto di questa IOL (PRL) è stato sempre rappresentato dalla fase d’inserimento della stessa in camera anteriore e la sua successiva


Nuova strategia di impianto di PRL mediante iniettore personale

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Figura 1 PRL modello 100-101

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Figura 2 PRL modello 200

collocazione nello spazio retro irideo, abbiamo cercato soluzioni diverse per affrontare nel migliore dei modi questa fase chirurgica. Questo lavoro ha lo scopo di proporre una nuova metodica di impianto di PRL, mediante iniettore di nostra concezione.

>> PRL È una lente (Figure 1-2) di silicone (morbido, elastico, idrofobico) giunta ormai alla terza generazione. Questa lente da camera posteriore, che presenta una curvatura simile a quella del cristallino naturale (la curvatura della lente riproduce quella media del cristallino) non viene fissata nel solco, ma si appoggia sulla zonula, senza gravarvi. L’idrofobicità del materiale e la geometria di costruzione permettono alla lente di “flottare” sul cristallino a “distanza di sicurezza” dallo stesso cristallino, mentre l’umore acqueo spinge la lente verso l’alto. Nella Tabella 1 vengono elencate le principali caratteristi-

che tecniche della lente, proposta in tre modelli, due per la miopia (PRL 100 e PRL 101) ed una per l’ipermetropia (PRL 200).

>> Criteri generali per l’impianto Criteri di inclusione Età > 18 anni Conta cellulare ≥ 2,000 cellule/mm² ACD ≥ 3.0 mm (inclusa cornea) Pre-Op IOP < 20 mm Hg White to White ≥ 11.3 mm for PRL101 (Myopic) White to White < 11.3 mm - PRL100 (Myopic) Criteri di esclusione Pre-esistente danno zonulare: tutti i candidati dovrebbero essere sottoposti ad un esame a 360° della zonula con pupilla completamente dilatata Pazienti con zonula fragile o danneggiata (traumi oculari) o facodonesi (Sindrome di Marfan, Weill-Marchesani, pseudo-exfoliatio), storia di uveiti e infiammazione oculare.

Tabella 1 Caratteristiche della lente Myopic model PRL101

Myopic model PRL100

Hyperopic model PRL200

materiale

Silicone, monofocale, sferica

Silicone, monofocale, sferica

Silicone, monofocale, sferica

disegno

Monopezzo, biconcava

Monopezzo, biconcava

Monopezzo, convesso-concava

indice di refrazione

1.46

diametro totale

11,3 mm.

10,8 mm.

10,6 mm.

diametro ottica

4.5-5.0 mm.

4.5-5.0 mm.

4.5 mm.

range diottrico

-3 D to -20 D

-3 D to -20 D

+3 D to +15 D

incremento diottrico

0.5 D

0.5 D

0.5 D

correzione diottrica

da -3 a -27 D

da -3 a -27 D

da +3 a +11 D

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Giuseppe Perone, Filippo Incarbone

Figura 3 Pinze ad apertura verticale per impianto di PRL; relative piastrine

Antibiotici + FANS in colliri 3 giorni prima Tropicamide 0,5% o 1% 20’ prima dell’inizio dell’intervento.

>> Descrizione della tecnica di base

Pazienti con patologie sistemiche croniche come Diabete Mellito, Coliti ulcerative, Lupus Erythematosus, Morbo di Crohn, Artrite Reumatoide, ecc. Cornea non trasparente Pupilla mesopica > 6 mm ACD non sufficiente (il valore minimo è di 3.0 mm comprendendo la cornea) Cataratta Sublussazione del cristallino Glaucoma (Pre-Op IOP > 20 mmHg) Uveite, iridociclite cronica Problemi maculari e vitreoretinici

>> Valutazione preoperatoria Oltre ad un esame clinico e refrattivo preoperatorio completo, siamo soliti eseguire una valutazione strumentale completa del segmento anteriore (topografia e tomografia corneale, Scheimpflug Camera, microscopia endoteliale, IOL Master) che permetta di individuare con esattezza i parametri richiesti per l’impianto ed un esame strumentale del segmento posteriore (OCT-SLO). In modo particolare: misurazione del bianco-bianco, profondità della Camera Anteriore, conta delle cellule endoteliali, lunghezza assiale, parametri richiesti per compilare il modulo di richiesta della lente.

>> Preparazione pre operatoria

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Rimozione LAC morbide o semirigide per un tempo sufficiente a raggiungere una stabilità refrattiva 2 (o 3) iridotomie YAG laser (minimo una settimana prima della chirurgia)

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Nella tecnica standard, la lente viene prelevata dal suo contenitore, posta su di una apposita piastrina, quindi afferrata con una pinza ad apertura verticale (Figura 3), facendo attenzione a non danneggiare la porzione ottica della lente. La versione originale della pinza, disegnata da Dimitri Dementiev, è angolata, ad azione diretta, con arresto; la branca inferiore è piatta, quella superiore è arcuata in modo tale da evitare di danneggiare il piatto ottico. Essa viene poi inserita direttamente in camera anteriore attraverso un tunnel di 2,75 mm. con l’ausilio di una sostanza viscoelastica. Le pinze per l’impianto ad apertura verticale, al momento del rilascio della lente, possono provocare un’apertura della breccia chirurgica con fuoriuscita di sostanza viscoelastica dalla camera anteriore, riduzione della profondità della camera e della midriasi; inoltre, in virtù del meccanismo di apertura della pizza stessa, è elevato il rischio di traumatizzare la capsula anteriore del cristallino. Soprattutto, spesso in questa fase chirurgica si verifica la fuoriuscita della lente dalla camera anteriore come conseguenza sia della adesione della lente alla parte distale della pinza, sia della spinta verso l’esterno della lente per la pressione presente in camera anteriore.

>> Descrizione della nostra prima variante Per superare queste problematiche, abbiamo pensato di utilizzare una pinza ad apertura orizzontale; al Congresso Nazionale AICCER del 2008 a Bologna avevamo presentato una nuova pinza (Figura 4). L’apertura della pinza è orizzontale, richiama il disegno della pinza utilizzata per l’impianto di lenti GBR, ma, rispetto a quest’ultima, ha le branche più lunghe. Anche in questo caso, la lente viene prima adagiata su una piastrina da noi disegnata (Figura 4), poi afferrata e ripiegata in due, lungo l’asse maggiore, in modo da poter essere inserita agevolmente in camera anteriore. La piastrina, con una sezione


Nuova strategia di impianto di PRL mediante iniettore personale

Figura 4 Pinze ad apertura orizzontale per impianto di PRL; relativa piastrina Figura 5 Inserimento della lente nel cartridge

convessa sul lato minore, ha reso più agevole la presa ed il ripiegamento con pinza della lente. L’apertura orizzontale della pinza ha ridotto il rischio di traumatismo sulla capsula anteriore del cristallino, mentre l’allungamento delle branche riduce solo di poco l’espulsione della lente dalla camera anteriore durante il suo inserimento, problema che ci ha confermato che l’obiettivo da perseguire era quello di trovare una strategia di impianto mediante iniettore.

>> Descrizione della tecnica personale di impianto con iniettore Nel 2004, Dementiev aveva presentato un primo tipo di inettore6 (PRL Injection System™), successivamente abbandonato, a quanto ci risulta. Abbiamo così cercato di trovare una soluzione di impianto con iniettore adattando alle nostre esigenze quanto il mercato dei dispositivi di impianto delle IOL pieghevoli ci metteva a disposizione.

l’introduzione in camera anteriore. La viscoelastica deve essere iniettata in modo che sollevi il margine irideo dalla capsula anteriore del cristallino inducendo inoltre una moderata viscomidriasi. Si preleva la lente dal contenitore con una pinza tipo Kelmann. Tutte le manovre di manipolazione della lente devono essere assolutamente rispettose dell’integrità di quest’ultima. Sono da evitare assolutamente contatti con la superficie dell’ottica, per mantenerne intatte tutte le proprietà. La lente viene inserita nel cartridge riempito di BSS (Figura 5). Si preleva da un iniettore il cappuccio di protezione dalla parte distale del pistone (Figura 6). Questo cappuccio di protezione andrà collocato sulla tip metallica di spinta dell’iniettore (Figura 7). Esso servirà da protezione nei confronti della lente durante la manovra di spinta sulla lente. Il cartridge viene riempito di BSS ed inse-

Impianto con iniettore Si pratica un tunnel corneale di 2,2 mm. ed un accesso di servizio. In caso di tunnel temporale, l’accesso di servizio è ad ore X per l’occhio sinistro e ad ore II per l’occhio destro. Si inietta una sostanza viscoelastica nella camera anteriore. È da preferire una sostanza coesiva alla concentrazione di 10 mg/ml che permette una buona tenuta degli spazi (camera anteriore e spazio iridolenticolare) ed una adeguata protezione dell’endotelio, senza ostacolare eccessivamente i movimenti di dispiegamento della lente, dopo

Figura 6 Prelievo del cappuccio dal pistone

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Giuseppe Perone, Filippo Incarbone

Figura 7 Cappuccio di protezione sulla tip metallica del pistone Figura 8 Manovra di allineamento del cappuccio sullo stantuffo

rito nell’iniettore; il pistone dell’iniettore va spinto all’interno del cappuccio conservando l’allineamento. Premendo sullo stantuffo, ed eseguendo se necessario una manovra di allineamento del cappuccio sullo stantuffo con l’aiuto di una pinza (Figura 8), si fa avanzare la lente fino all’imbocco dell’uscita del cartridge. A questo punto l’iniettore viene inserito nel tunnel di 2,2 mm. L’azione del pollice sul pistone deve far avanzare la lente lentamente; la lente esce dal cartridge ed inizia a dispiegarsi (Figura 9). L’operatore deve controllare che la lente si trovi nel verso giusto (se la lente viene impiantata a facce invertite può determinare una grave sindrome da dispersione di pigmento in camera anteriore). Poiché non sono presenti segni di riferimento sulla lente ci si può aiutare con segni indiretti; ad esempio, con l’aiuto di una spatola bottonuta si può verificare che il piatto ottico sia localizzato anteriormente rispetto al piano delle apte. Con la spatola, inoltre, l’operatore esegue

Figura 9 La lente esce dal cartridge ed inizia a dispiegarsi Figura 10 Posizionamento della lente con spatola

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movimenti di posizionamento (Figura 10) della prima apta sotto il piano dell’iride posto distalmente rispetto al tunnel di ingresso. A questo punto può essere di aiuto iniettare ancora un po’ di sostanza viscoelastica per agevolare i movimenti di scorrimento e posizionamento della lente e per aumentare la protezione nei confronti dell’endotelio, soprattutto in periferia dove una o entrambe le apte possono presentarsi ripiegate su se stesse con un rischio aumentato di contatto endoteliale. Le manovre per posizionare la lente proseguono fino al corretto inserimento di entrambe le apte sotto il piano irideo. L’introduzione di Acetilcolina in camera anteriore permette di rifinire la centratura e di verificare il corretto posizionamento della lente. Dopo la manovra di aspirazione della sostanza viscoelastica dalla camera anteriore, il tunnel e l’accesso corneale vengono idratati per una corretta chiusura delle aperture corneali.


Nuova strategia di impianto di PRL mediante iniettore personale

>> Conclusioni La correzione della miopia elevata mediante tecniche di impianto di lenti fachiche è una tecnica ormai consolidata in grado di fornire risultati qualitativamente superiori a quella di tecniche di superficie che utilizzano il laser ad eccimeri. Tra le lenti attualmente disponibili, la PRL offre al chirurgo senza dubbio caratteristiche ideali. Nella nostra esperienza abbiamo rilevato un punto debole nella tecnica di impianto, rappresentato dalla fase di inserimento della lente nella camera anteriore. Abbiamo pertanto

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sviluppato una tecnica personale di impianto mediante iniettore volta a superare questo inconveniente. Speriamo che il nostro contributo possa stimolare i colleghi e le aziende produttrici a porre attenzione a questa richiesta, ritornando a sviluppare, sulla base di questa e delle esperienze precedenti, un iniettore ideale per la lente PRL. Ci auguriamo, dunque, che nelle evoluzioni future della PRL ci sia anche un iniettore dedicato che offra ai chirurghi oftalmologi una possibilità di migliorare la propria tecnica di impianto.

Bibliografia

1. Lindstrom R.L.: Refractive Surgery and IOLs – Future Trends. In Mastering Refractive IOLs – The Art and the Science – Editor F. Chang – SLACK Inc. – 2008 - Cap. 6. Pag. 15 2. Perone G., Incarbone F.: LASIK l’evoluzione della nostra tecnica attraverso 1000 interventi. VISCOCHIRURGIA Anno XIII n.3 Dicembre 1998, pag. 45-66. 3. ICL in Treatment of Myopia (ITM) Study Group. United States Food and Drug Administration clinical trial of the Implantable Collamer Lens (ICL) for moderate to high myopia. Ophthalmology. 2004;111:1683-1692 4. Huang D, Schallhorn SC, Sugar A, Farjo AA, Majmudar PA, Trattler WB, Tanzer DJ.: Phakic intraocular lens implantation for the correction of myopia: a report by the American Academy of Ophthalmology. Ophthalmology. 2009 Nov; 116(11):2244-58. 5. Donoso R, Castillo P.: Correction of high myopia with the PRL phakic intraocular lens. J Cataract Refract Surg. 2006 Aug;32(8):1296-300. 6. Dementiev D.: Lenti fachiche in camera posteriore: PRL – Comunicazione a ESCRS WINTER REFRACTIVE MEETING, ROME febr. 2005

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Transepiteliale parziale associata con Cross-Linking (TP CL): nostra esperienza

Antonio Laborante1 Unità Operativa Complessa di Oculistica – IRCCS – “Ospedale Casa Sollievo della Sofferenza” – San Giovanni Rotondo (Foggia), Italia

RIASSUNTO Scopo: Valutare la riepitelizzazione, il dolore postoperatorio, la migliore acuità visiva corretta con lenti (BSCVA), ed i parametri cheratometrici Materiali e Metodi: 10 occhi di 10 pazienti con cheratocono 2°-3° stadio sono stati trattati in modalità PTK per rimuovere l’epitelio. È stato utilizzato un laser ad eccimeri. Risultati: Completa e veloce riepitelizzazione in 72 ore, scarso dolore 2, BSCVA migliorata di 2 linee, l’evoluzione dei parametri cheratometrici valutati con Pentacam è simile alla tecnica tradizionale. Conclusioni: I risultati di questo studio preliminare dimostrano che l’incorporazione dell’algoritmo Flex Scan nella modalità PTK è sicuro ed efficace come gli algoritmi convenzionali. Il principale vantaggio di questo nuovo algoritmo PTK è che rimuove l’epitelio omogeneamente. Studi futuri sono necessari per determinare i risultati a lungo termine. ABSTRACT Purpose: Epithelial healing, postoperative pain, best spectacle corrected visual acuity (BSCVA) and the keratometric parameters were calculated. Materials and Methods: 10 eyes of 10 patients with keratoconus 2°-3° stage were treated with PTK mode for the epithelium removal. Results: Complete and quick ri-epitelization in 72 hours, scarce pain 2, BSCVA improved of 2 lines, keratometric parameters evaluation with Pentacam similar to the traditional technique. Conclusions: The preliminary study results show that the incorporation of the Flex-Scan algorithm im the PTK mode is as safe and effective as conventional PTK algorithms. The main advantage of this new PTK mode allows more consistent epithelial removal. Furthers studies are necessary to determine the long term results.

>> Introduzione PAROLE CHIAVE Cross-Linking, PTK, Transepiteliale parziale, Riboflavina 0,1%, UVA KEY WORDS Cross-Linking, PTK, Transepithelial Partila, Riboflavin 0,1%,UVA

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Il Cross-Linking è una reazione enzimatica biochimica di polimerizzazione del collagene naturale1, per incrementare i collegamenti, lo spessore e la resistenza allo sfiancamento, attraverso l’interazione tra una sostanza fotosensibile (Riboflavina-vitamina B2) e radiazione ultravioletta di tipo A (UVA)2. La radiazione UVA stimolando la Riboflavina determina la formazione di un radicale ossidrilico con liberazione di un elettrone e formazione di ossigeno singoletto (O2-), che attiva la reazione fotochimica. La Riboflavina ha la funzione di assorbire la reazione luminosa, specialmente nella porviscochirurgia

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zione anteriore ed intermedia dello stroma, ma anche nella parte posteriore, e determina un effetto barriera che protegge le strutture sottostanti. La Riboflavina 0,1% riduce del 95% l’intensità dell’energia radiante (a 0,15 mW/cm 2) con ovvi vantaggi. Il Destrano al 20% ha la funzione di rendere isoosmolare la soluzione di Riboflavina, che determinerebbe edema dello stroma corneale a contatto con una soluzione iperosmolare. In questo studio si riportano i risultati preliminari della tecnica Transepiteliale Parziale associata al Cross-Linking.


Transepiteliale parziale associata con Cross-Linking (TP CL): nostra esperienza

>> Materiali e Metodi Lo studio è composto da 10 occhi di 10 pazienti con cheratocono 2°-3° stadio. Tutti i trattamenti sono stati eseguiti con laser ad eccimeri, usando la modalità PTK per rimuovere l’epitelio. La fluenza media è stata di 120-130 mj/ cm2 e il diametro di ablazione 9-9,5 mm, legato al diametro corneale. L’algoritmo PTK integrato dal programma Flex Scan, tiene conto della riduzione di energia del laser nell’ablazione periferica. L’ablazione PTK è di profondità 30 micron. La calibrazione del laser è stata eseguita su piastre in PMMA. La riepitelizzazione epiteliale è stata valutata con una lampada fotografica, quotidianamente, fino a completa riepitelizzazione; il dolore postoperatorio misurato con il metodo Faces Pain Scale, metodo di misurazione soggettivo dell’intensità del dolore: il paziente classifica soggettivamente il dolore con una scala da 0 (no dolore) a 10 (dolore massimo), fino a completa riepitelizzazione. La BSCVA ed i dati cheratometrici sono stati valutati con Pentacam. Per eseguire il Cross-Linking è stata utilizzata la Riboflavina 0,1%.

>> Tecnica e Protocollo La procedura dura 30 minuti con una esposizione agli UVA di 5 minuti ripetuta per 6 volte. La Riboflavina viene lasciata assorbire sulla cornea, per 20 minuti. Il protocollo chirurgico applicato prevede: Test di verifica del laser Preparazione del paziente 30 minuti prima con istillazione di pilocarpina 1%, 2 gocce ogni 15 minuti (la miosi è importante per proteggere le strutture sottostanti) Anestesia topica con lidocaina 4% alcuni minuti prima del trattamento Il trattamento viene eseguito in condizioni di asepsi in sala operatoria, dopo abbondante lavaggio del sacco congiuntivale con antibiotico a largo spettro sua disinfezione così come della cute perioculare Dopo applicazione del blefarostato, meglio se a valve chiuse, è stato eseguito trattamento PTK con laser ad eccimeri per una profondità di 30 micron ed un diametro di 9-9,5 mm, a

seconda del diametro corneale, per proteggere dalla esposizione agli UVA le cellule staminali. Molta attenzione è stata posta al corretto posizionamento del capo (tilting), e alla focalizzazione a 5,5 cm dal piano corneale. La defocalizzazione riduce l’energia del laser sulla cornea con un minor effetto. La soluzione di Riboflavina somministrata fredda ne favorisce l’assorbimento; la fase di assorbimento dura 20 minuti prima della irradiazione con UVA. A differenza dei suggerimenti della Scuola di Siena4, abbiamo aumentato il tempo di assorbimento della Riboflavina per ottenere una buona concentrazione tissutale poiché l’assorbimento è tempo-dipendente. Utilizziamo una soluzione già preparata, sterile e stabilizzata. Si controlla l’adeguato assorbimento attraverso la visione diretta della camera anteriore. Un giusto assorbimento permette un buon effetto barriera, una buona protezione delle strutture sottostanti ed un trattamento efficace (la formazione di una giusta quantità di radicali liberi, e quindi per la formazione di una buona quantità “linkante”). La procedura dura 30 minuti, con 6 esposizioni di 5 minuti ognuna, e la Riboflavina viene istillata ogni 2-3 minuti A metà del trattamento istilliamo talora di nuovo alcune gocce di anestetico A fine trattamento si lava con BSS Poi si esegue m edicazione con antibiotico in collirio, lacrime artificiali e dilatazione pupillare con tropicamide 1% o ciclopentolato; infine si applica una lente a contatto morbida terapeutica che viene rimossa dopo 5 giorni La terapia postoperatoria vede la somministrazione di antibiotico in collirio e lacrime artificiali. Cortisone per via locale viene somministrato solo in caso di haze e/o edema dello stroma corneale Somministriamo aminoacidi per via locale e generale per 10 giorni5

>> Risultati e Discussione La Transepiteliale Parziale permette di unire i vantaggi della Transepiteliale al Cross-Linking e media tra i fautori della teoria Transepiteliale e della teoria con Disepitelizzazione totale. 2 • 2010

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Antonio Laborante, Luca Buzzonetti MD, Emilio Mazzilli, Mario Gaspari, Gianni Petrocelli

Figura 1 Quadro topografico pre e post trattamento

Nella tecnica Transepiteliale si ha: minor assorbimento di Riboflavina minor dolore e disconfort per il paziente minor rischio di infezioni minor rischio di disepitelizzazioni recidivanti minor rischio di opacità corneali. È inoltre possibile trattare cornee con spessore, nel punto più sottile, inferiore ai 400 micron standard (epitelio compreso). È più semplice, non necessita della sala operatoria, necessita di un carrier.

Figura 2 Dati corneali pre-trattamento misurati con Pentacam

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La tecnica con Disepitelizzazione ha il solo vantaggio dell’ottimo passaggio della Riboflavina e degli UVA. La Transepiteliale Parziale (TP CL) unisce i vantaggi di entrambe le tecniche: idoneo assorbimento della Riboflavina, scarso dolore, minor compromissione del film lacrimale per minor interessamento del plesso nervoso subepiteliale, rapida riepitelizzazione, minor rischio di infezioni ed opacità corneali. Però questa tecnica presenta


Transepiteliale parziale associata con Cross-Linking (TP CL): nostra esperienza

Figura 3 Dati corneali post trattamento misurati con Pentacam

maggiori costi, perché necessita del laser ad eccimeri. Non necessita di un carrier. Il buon passaggio della B2 è favorito dalle interruzioni dell’epitelio e della membrana basale, determinato dalla PTK di 30 micron. Il tempo medio di completa riepitelizzazione è di 3 ± 0,5 giorni, range tra 2 e 4 giorni; il punteggio medio del dolore è 2,5 ± 1, range tra 1 e 4. Questi dati della TP CL sono più vantaggiosi della tecnica tradizionale con disepitelizzazione totale.

La BSCVA è migliorata di 2 linee con un visus medio di 20/32 (range tra 20/50 e 20/25). Nessun occhio ha perso linee di BSCVA. La variazione dei parametri cheratometrici rilevata è stata simile alla tecnica tradizionale con disepitelizzazione totale. Mostriamo la valutazione dei dati cheratometrici con Pentacam presentando 1 caso. La PTK per asportare l’epitelio ha permesso di regolarizzare la superficie corneale, ma poiché sappiamo che l’epitelio nel cheratocono

Figura 4 Pre-trattamento Holliday

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Antonio Laborante, Luca Buzzonetti MD, Emilio Mazzilli, Mario Gaspari, Gianni Petrocelli

Figura 5 Post trattamento Holliday

non ha spessore uniforme, eseguiamo una PTK di 30 micron, che può produrre in alcuni punti un’ablazione anche dello stroma superficiale e ciò determinerebbe vantaggi visivi sia per la regolarizzazione della superficie corneale che per il miglioramento degli indici di simmetria corneale. Questa regolarizzazione insieme alle variazioni cheratometriche, topografiche ed aberrometriche (riduzione delle aberrazioni di alto ordine e della componente cromatica) determinano un miglioramento della qualità visiva (BSCVA). Inoltre avendo rispettato il criterio dei 400 micron di spessore, epitelio compreso nel punto più sottile

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ed avendo eseguito il Cross-Linking abbiamo ottenuto un rinforzo della struttura corneale. È anche importante che la PTK Transepiteliale Parziale assistita dal laser ad eccimeri è controllata dal sistema eyetracker, ciò permette un perfetto centraggio, un risparmio regolare del limbus e delle cellule staminali con il risultato di una riepitelizzazione più rapida ed omogenea6-7. È pertanto una tecnica sicura ed efficace con una più rapida ed omogenea riepitelizzazione, scarso dolore, miglioramento sia della qualità che quantità visiva. Futuri studi valuteranno i risultati a distanza su casistiche più ampie.

Bibliografia

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NOTE


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Correzione della presbiopia con PRK multifocale

Eugenio Melchionda

Polo Ospedaliero Oftalmico ASL RME Roma. Dipartimento di Oculistica e Rete Oftalmologica (Direttore: Prof. Ciro Tamburrelli)

RIASSUNTO Scopo del lavoro: Riportare le esperienze relative al trattamento della presbiopia con PRK multifocale in pazienti miopi ed ipermetropi. Tipo di studio: Studio longitudinale retrospettivo. Materiali e Metodi: 69 occhi di 35 pazienti di età maggiore di 45 anni sono stati trattati con tecnica PRK usando il laser ad eccimeri InPro Gauss. Il trattamento della presbiopia è stato realizzato attraverso quattro spots infero-nasali, larghi 3 mm, distanti 30° tra di loro, a 3,5 mm di distanza dal centro pupillare, da 1 a 3 D di correzione. Risultati: In tutti i casi abbiamo ottenuto un visus naturale soddisfacente sia per vicino che per lontano. In nessun caso sono state perse linee nel visus corretto con lenti. Conclusioni: La correzione corneale multifocale della presbiopia ottenuta con PRK in pazienti ametropi, nella nostra esperienza, si è rivelata una procedura refrattiva sicura, precisa e riproducibile. ABSTRACT Purpose: To report our experiences in the treatment of presbyopia with multifocal PRK in patients with myopia and hyperopia. Type of study: Retrospective longitudinal study. Materials and Methods: 69 eyes of 35 patients older than 45 years were treated with PRK InPro Gauss laser. The treatment of presbyopia was realized through four infero-nasal spots, 3 mm large, distant 30° between them, 3.5 mm distant from the center pupil, 1 to 3 D of correction. Results: In all cases we obtained a satisfactory UCVA for near like to that obtained by distance. In no case we had lost lines of BSCVA. Conclusions: The multifocal corneal correction of presbyopia using PRK in ametropic patients, in our experience, it has become a safe, accurate and reproducible refractive procedure.

>> Scopo del lavoro PAROLE CHIAVE presbiopia laser ad eccimeri PRK multifocalità KEY WORDS prebyopia excimer laser PRK multifocality

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La correzione con il laser ad eccimeri è la metodica più diffusa e più precisa per la correzione dei difetti visivi. L’evoluzione delle tecnologie, anche negli ultimi anni, ci ha permesso di perfezionare le tecniche e di garantire dei risultati sempre migliori per la qualità della visione. Tuttavia, uno dei principali limiti della metodica è quello di essere rivolta alla sola correzione per distanza o comunque ad una correzione monofocale. Solo da pochi anni alcune Ditte hanno sviluppato sistemi di ablazione corneale con il laser ad eccimeri efficaci per il trattamento della previscochirurgia

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sbiopia, attraverso profili di ablazione multifocali strutturati. Come già accade per la chirurgia tradizionale si rinnova la presenza di un ampio carnet di tecniche di superficie, tutte sulla carta adatte allo scopo: Lasik; i-Lasik; Lasek; Prk; etc.1,2 Su un binario parallelo viaggia l’Intracor ottenuta con il Femtolaser.3,4 Le strategie di ablazione corneale sono di due tipi: “near center”, con zona ottica centrale adattata per vicino e la restante per la visione a distanza, o ”distance center”, con zona ottica centrale adattata per distanza e multifocalità periferica per la visione da vicino5,6,7,8.


Correzione della presbiopia con PRK multifocale

Si produce, tramite ottiche aberrate, un aumento della profondità di campo della refrazione corneale: all’interno degli occhi trattati si formano simultaneamente focali originate a distanza ed altre originate da vicino. Per correggere la presbiopia viene sfruttato il principio della pseudoaccomodazione, la proprietà del nostro cervello di selezionare e di processare, istante dopo istante, singole immagini poste a distanza diversa, per evitare la confusione delle stesse. Lo scopo del lavoro è quello di riferire i primi risultati ottenuti nella nostra esperienza nel trattamento della presbiopia con la correzione della presbiopia con PRK in pazienti già ametropi.

>> Materiali e Metodi Si tratta di uno studio longitudinale retrospettivo su 69 occhi ametropi, di cui 64 fachici e 5 pseudofachici, di 35 pazienti con età media 51,1 anni, che chiedevano di porre un rimedio chirurgico al difetto visivo per lontano e per vicino, trattati con PRK multifocale con laser “InPro Gauss System”. I pazienti sono stati selezionati nel corso dell’attività clinica svolta nell’U.O.S. Chirurgia Rifrattiva del nostro Ospedale seguendo l’iter degli esami preliminari di routine: esame della refrazione manifesta ed in cicloplegia, topografia corneale, pachimetria, tonometria, pupillometria, test di Schirmer e autorefrattometria in cicloplegia. I criteri di esclusione erano rappresentati da patologie oculari che comunemente controindicano procedure refrattive di superficie (glaucoma; cataratta; patologie corneali etc.). Al paziente venivano consegnato un consenso informato dedicato. Il paziente veniva sottoposto a procedura PRK standard, con disepitelizzazione alcoolica per 30 sec, quindi veniva effettuata l’ablazione del difetto refrattivo seguita da un ablazione rivolta alla correzione della presbiopia in relazione all’età: venivano effettuati 4 spots di diametro 3 mm, di intensità variabile da 1 a 3 D, localizzati nel quadrante infero-nasale, distanti dal centro pupillare da 3,5 a 3,8 mm. L’intervento si concludeva con l’applicazione di lente a contatto terapeutica. Seguiva terapia locale con antibiotici e lacrime artificiali e terapia antidolorifica per via sistemica. Il paziente veniva visitato dopo 7 giorni per la ri-

mozione della lente a contatto, quindi sottoposto a controlli periodici dopo 1, 3, 6, 12 mesi eseguiti tutti dallo stesso oculista. Nel corso della visita venivano registrata la capacità visiva naturale e corretta mono e binoculare per lontano e per vicino e la topografia corneale. La refrazione preoperatoria media in equivalente sferico era di -3,57±1,43D in 36 occhi miopi, di +1,96±1,43D in 33 occhi ipermetropi. Il visus corretto medio era 0.9±0.14 nei miopi e 0.9±0.13 negli ipermetropi. L’addizione media per vicino corretta oltre alla refrazione basale per distanza era di 1,85±0,45D nei miopi (età media: 50 anni), di 2,18±0,58D negli ipermetropi (età media: 53anni). Il follow up, a giugno 2010, ha raggiunto i 6 mesi in 31 occhi, i 3 mesi in 48 occhi ed 1 mese in tutti i 69 occhi.

>> Risultati In tutti i casi si è ottenuto un visus naturale soddisfacente per vicino, così come quello ottenuto per distanza. In nessun caso si sono perse linee di visus corretto. La refrazione postoperatoria media in equivalente sferico nei miopi è di -0,41±0,47D a 1 mese, di -0,52±0,46D a 3 mesi e di -0,46±0,50D a 6 mesi. Il visus naturale per distanza è di 0.6±0.17 a 1 mese, di 0.7±0.24 a 3 mesi e di 0.7±0.20 a 6 mesi. Il visus corretto per distanza è di 0.8±0.24 a 1 mese, di 0.9±0.23 a 3 mesi e di 0.9±0.20 a 6 mesi. L’addizione media per vicino postoperatoria era 0,10±0,26D a 1 mese, di 0,21±0,29D a 3 mesi e di 0,13±0,35D a 6 mesi. Il visus naturale per vicino è di 0.9±0.16 a 1 mese, 0.9±0.15 a 3 mesi e di 0.9±0.10 a 6 mesi. La refrazione postoperatoria media in equivalente sferico negli ipermetropi era di –0,36±0,60D a 1 mese, di –0,16±0,21D a 3 mesi e di –0,04±0,09D a 6 mesi. Il visus naturale per distanza è di 0.6±0.21 a 1 mese, di 0.8±0.20 a 3 mesi e di 0.9±0.01 a 6 mesi. Il visus corretto per distanza è di 0.8±0.18 a 1 mese, di 0.9±0.20 a 3 mesi e di 0.9±0.08 a 6 mesi. L’addizione media per vicino postoperatoria era 0,12±0,28D a 1 mese, di 0,39±0,40D a 3 mesi e di 0,63±0,56D a 6 mesi. Il visus naturale per vicino è di 1.0±0.09 a 1 mese, 0.9±0.15 a 3 mesi e di 0.9±0.13 a 6 mesi. 2 • 2010

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Eugenio Melchionda, Alessandra Balestrazzi, Enrico Catone, Marco Barigelli Calcari, Rosa Maria Melchionda, Ciro Tamburrelli

I disturbi più lamentati dai pazienti nel corso del follow up sono stati relativi alla guida notturna e con la pioggia, oltre alla secchezza oculare. In due casi, le disfotopsie indotte sono state insostenibili per il condizionamento negativo durante la quotidianità. Pertanto siamo stati costretti ad effettuare un ritrattamento.

>> Discussione La correzione della presbiopia con PRK multifocale è una delle numerose opzioni chirurgiche a disposizione per i pazienti presbiti desiderosi dell’indipendenza da occhiali. Si tratta di creare un area di iperprolatura corneale che eserciti un gradiente diottrico positivo da poter utilizzare per la visione a distanza ravvicinata negli occhi trattati (Figure 1 e 3). Hanno aperto la strada le esperienze ottenute da Gobin, Trau e Tassignon1, adoperando la tecnica Lasek, in uno studio caso-controllo su soli occhi ipermetropi. Notando, ed essendo consapevoli9, degli effetti multifocali esercitati dalla zona di transizione negli occhi con ablazioni miopiche medio elevate o elevate, abbiamo ritenuto potenzialmente valida l’idea che un area iperprolata periferica potesse esercitare un effetto analogo o superiore anche negli occhi dei miopi. Nella nostra esperienza i pazienti hanno accettato volentieri e senza diffidenza la proposta correttiva, anche perché trattasi di procedura

Figura 1 Topografia differenziale: occhio destro miope –2.50sf (add.+2.00sf). Si nota la multifocalità orientata verso il settore infero-nasale

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combinata. Maggiore scetticismo è stato esplicitato dai candidati alla proposta di impiantare IOL multifocali essendo soggetti con cristallino trasparente, ed essendo decisamente più onerose le spese per questa opzione, o alla proposta di indurre la “monovisione” con l’uso del laser ad eccimeri. Il decorso postoperatorio della PRK multifocale è sovrapponibile a quello della PRK monofocale standard, nella sintomatologia, nella terapia e nei tempi di recupero funzionale: anche questo punto è risultato decisivo per la scelta. È probabile che i tempi necessari per il neuro adattamento al nuovo assetto refrattivo per distanza e per vicino avvenga mediamente entro 4-5 settimane. La maggioranza dei pazienti risultava abile con rapidità nelle risposte ai test refrattivi. Più penalizzante rispetto ai trattamenti standard è risultata la sindrome dell’occhio secco secondaria all’intervento, tenuto conto anche dell’età media più elevata dei pazienti. L’analisi topo-aberrometrica corneale degli occhi operati, i cui risultati saranno pubblicati in un secondo tempo, ci ha permesso di evidenziare che: 1. Il gradiente diottrico in zona ottica rispecchia l’addizione per vicino attesa. 2. L’isola multifocale si trova spesso vicino al campo pupillare, con apice entro 1,5-2 mm dal centro, dopo trattamenti ipermetropici mentre è più distante, circa 2-2,5 mm dal centro, dopo trattamenti miopici.


Correzione della presbiopia con PRK multifocale

Figura 2 Topo-Aberrometria dello stesso occhio: con la pupilla in miosi prevale la componente sferica longitudinale negativa. In midriasi le aberrazioni indotte sono ancora compatibili con una qualitĂ visiva sufficiente a garantire una buona acutezza visiva

Figura 3 Topografia differenziale: occhio destro con astigmatismo ipermetropico composto +1.75sf +1.00cyl @90 (add. 2.25sf). Pur con un pattern differente dalla figura 1 si nota la multifocalitĂ diretta verso il settore infero-nasale

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3. L’aberrazione sferica longitudinale negativa ottenuta è più evidente in miosi negli occhi trattati per defocus miopico ed al contrario in midriasi negli occhi trattati per defocus ipermetropico (Figura 2). 4. Aumentano le aberrazioni ottiche totali (RMS), in forma direttamente proporzionale all’entità del difetto “combinato” trattato e del diametro pupillare. 5. Aumentano le aberrazioni coma-like negli ipermetropi trattati, in midriasi (Figura 4). 6. È segnalata una costante differenza nei Sim K nei 3 mm ma spesso non concorda con la refrazione manifesta. Questo indica che nel selezionare i pazienti è quanto mai importante conoscere la pupillometria

Figura 4 Topo-Aberrometria dello stesso occhio: la pupilla in condizioni fotopiche è di 2.6 mm, pertanto il quadro aberrometrico atteso è ancora migliore di quello simulato a 3 mm. In midriasi le aberrazioni indotte mostrano la dominanza della coma che influenza il cammino del fronte d’onda

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del paziente, ma anche lo stile di vita dello stesso (Figura 5). Inoltre è necessario selezionare occhi con difetti refrattivi lievi o medi e proporre tecniche alternative in presenza di difetti elevati. L’esperienza ci ha permesso di ottenere un grado di disfotopsie impercettibile trattando la presbiopia con spot a distanza di 3,8 mm dal centro pupillare. È da segnalare poi che le mappe topografiche postoperatorie di questi occhi possono essere facilmente confuse come ectasie corneali primitive o secondarie al trattamento se la storia clinica non è nota. È quindi consigliabile un’adeguata compilazione della cartella clinica, la documentazione completa degli esami strumentali ed un’ampia informazione dei pazienti al momento della accettazione e della dimissione.


Correzione della presbiopia con PRK multifocale

Figura 5 La mappa topografica di questo occhio può indurre un errore diagnostico perché può essere confusa con un ectasia corneale a sede centrale. Pur ritenendo gli autori di aver operato un occhio con un difetto troppo elevato (+5.00sf +2.00cyl @90), e un diametro pupillare al limite (3.67 mm) le condizioni refrattive postoperatorie sorprendono: visus naturale 0.8; add.+1.00sf: 1.0. Il grado di soddisfazione è elevatissimo: la paziente, ipermetrope anche in OD, ha 58 anni è casalinga e non guida l’automobile

>> Conclusioni La correzione della presbiopia con PRK multifocale, nella nostra esperienza, è risultata una procedura refrattiva sicura, precisa e riproducibile. La tecnica si è distinta per la semplicità di esecuzione, per l’efficacia, la prevedibilità, la ripetibilità, per non essere invasiva e per i costi ridotti. Può essere applicata in forma combinata al trattamento di difetti di refrazione miopici, ipermetropici ed astigmatici, sia in occhi fachici che pseudofachici, sia dopo pregres-

>>

si trattamenti con il laser ad eccimeri. Come per i trattamenti in PRK standard è prevista la comparsa di dolore nel postoperatorio precoce, ed un recupero funzionale lento e progressivo. Nei trattamenti combinati con ametropie elevate possono comparire fastidiose disfotopsie: se ne sconsiglia pertanto l’esecuzione in queste circostanze. Appare ovvio che pazienti trattati con multifocalità corneale siano inadatti per essere impiantati con IOL multifocali per una futura chirurgia di cataratta.

Bibliografia

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CASE REPORT

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Caso clinico Aumento delle cellule endoteliali dopo trapianto di cornea perforante in 9 anni di follow-up

VISCOCHIRURGIA

Ospitiamo volentieri un contributo del prof. Umberto Merlin, oggetto di una rapida presentazione fatta al Congresso AICCER 2010 a Napoli per un’ulteriore riflessione sulla storia clinica. Naturalmente sarà dato adeguato spazio alle risposte che perverranno in Redazione. C’è sempre da imparare! Vittorio Picardo

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trapianto lamellare profondo nel 09/03/2001 a Sn. Dopo 10 gg. comparvero alcune chiazze biancastre profonde nella parte centrale della cornea, evidentemente nella superficie di contatto tra il trapianto e la parte stromale della cornea ricevente (Foto 1 – 19/03/2001). Nei giorni successivi la situazione si aggravò con ipopion. Da un prelievo di acqueo risultò un’ infezione da Candida Albicans. Si decise di ripetere il trapianto non più lamellare ma perforante, con lavaggio della camera anteriore con Diflucan (antimicotico diazolico). Il decorso si svolse normalmente senza altri se-

gni di infezione (Foto 2 – 30/07/2001) Da allora furono eseguite oltre 20 microscopie endoteliali, più di una all’anno in corrispondenza delle visite di controllo. Il trapianto rimase sempre trasparente (Foto 3 – 14/01/2010), e nella data dell’ultimo controllo con la correzione di -6,5 sf e -2 cyl a 130 il visus era di 7-8/10. Si riportano le 4 immagini più significative dell’endotelio (Foto 4, 5, 6, 7) in ordine progressivo di data nelle quali si vede anche la data di scatto. I numeri sotto le immagini dell’endotelio indicano il numero di cellule/mm2 ed il coefficiente di variazione riportati dalle immagini. Appare un aumento progressivo della densità

Figura 1 Cheratoplastica lamellare profonda: infezione da Candida

Figura 2 Quadro clinico a 4 mesi

Paziente femmina (M.M.) di anni P aziente: 48 affetta da cheratocono, fu operata di

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CASE REPORT

Figura 3 Conta endoteliale a 1 anno dal trapianto: 493/13

Figura 4 Conta endoteliale a 2 anni dal trapianto: 557/23

Figura 5 Conta endoteliale a 6 anni dal trapianto: 779/30

Figura 6 Conta endoteliale a 9 anni dal trapianto: 1371/39

endoteliale da 492/13 dopo un anno dal secondo intervento a 1371/39 nella data dell’ultimo controllo (14/01/2010).

La conta endoteliale fu sempre eseguita con lo stesso microscopio endoteliale controllata dal sottoscritto. Ma, a parte i numeri le immagini sono molto dimostrative.

>> Ipotesi

Figura 7 Immagine clinica ad oggi

È noto da numerosi studi e ricerche che le cellule endoteliali non si riproducono. Infatti in nessuna delle varie immagini endoteliali non è mai apparso un segno di mitosi cellulare. Quale potrebbe essere una spiegazione di questi dati? Si ritiene possibile che cellule possano migrare dalla cornea ospite verso il trapianto.

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La canaloplastica nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto: nostra esperienza

Guido Caramello

Unità Operativa di Oculistica, Ospedale “S. Croce e Carle” – Cuneo (Direttore Dottor Guido Caramello)

RIASSUNTO Scopo del lavoro: Valutare l’efficacia e le complicanze della canaloplastica nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto nell’adulto. Materiali e Metodi: In questo studio prospettico sono stati inclusi 36 pazienti (25 uomini, 11 donne) affetti da OAG (32 POAG, 3 glaucomi pseudoesfoliativi, 1 glaucoma pigmentario) in multiterapia non compensati. 4 pazienti sono stati esclusi dal nostro studio poiché l’intervento non è stato portato a termine. Sono stati valutati la IOP, l’acuità visiva, l’angolo di distensione trabecolare e le complicanze. Risultati: Ad un anno dall’intervento i nostri pazienti avevano una pressione intraoculare media di 14.08±4.09 mmHg con 0,13 + 0,42 farmaci topici (preoperatorio di 24.72±6.35 mmHg con 3.16+0.85 farmaci topici). L’acuità visiva di 0.54±0.29 (preoperatoria di 0.56±0.31) è rimasta invariata. L’angolo medio di distensione trabecolare era di 11.34± 3.03 gradi. Sono stati registrati 4 casi di ipoema massivo, 1 caso di sezione del trabecolato con prolene a corda da h 9 a h 12 in camera anteriore, 3 casi di ipertono transitorio, 3 casi di IOP controllati con una monoterapia ed 1 caso di ipertono ad un anno, sottoposto successivamente a sclerectomia profonda. Conclusioni: La canaloplastica è una tecnica chirurgica sicura ed efficace nel ridurre la IOP nell’OAG dell’adulto. ABSTRACT Purpose: To evaluate the effectiveness and complications of canaloplasty in the treatment of open angle glaucoma in adults. Materials and Methods: 36 patients (25 men, 11 women) were included in this prospective study. They were affected by OAG (32 POAG, 3 PEX glaucoma, 1 pigmentary glaucoma) uncompensated in multi-therapy. Four patients were excluded from our study because the intervention has not been completed. It was evaluated IOP, BCVA, the angle of trabecular distension and complications. Results: One year after, our patients had a mean IOP of 14.08 ± 09.04 mm Hg with 0.13 + 0.42 topical medications (preoperative 24.72 ± 6:35 mm Hg with 3.16 +0.85 topical medications). Visual acuity of 0.54 ± 0.29 (preoperative 0.56 ± 0.31) remained unchanged. The average angle of trabecular distension was 11.34 ± 3.3 degrees. We have recorded four cases of massive hyphema, one case of section of the trabecular meshwork with prolene in the anterior chamber, three cases of transitory elevated IOP, three cases of IOP-controlled with mono-therapy and one case of elevated IOP at one year that received a deep sclerectomy later. Conclusions: Canaloplasty is a safe and effective technique in reducing IOP in the adults OAG.

>> Introduzione PAROLE CHIAVE canaloplastica glaucoma ad angolo aperto KEY WORDS canaloplasty open angle glaucoma

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La chirurgia del glaucoma, da ormai più di trenta anni, è rappresentata principalmente dalla trabeculectomia, una tecnica che prevede l’apertura in camera anteriore e la creazione di uno shunt dell’umore acqueo attraverso una bozza sottosclerale e sottocongiuntivale, per ridurre la pressione intraoculare. Sebbene la trabeculectomia sia una tecnica efficace nella riduzione della IOP e della velocità di progressione della malattia, le viscochirurgia

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complicanze post-operatorie immediate sono frequenti e possono essere causa, esse stesse, di perdita o riduzione della vista. Inoltre, l’anomala reazione cicatriziale della bozza congiuntivale, sempre più frequente dopo uso prolungato degli attuali farmaci ipotonizzanti, richiede spesso delle revisioni chirurgiche e può essere causa di fallimento della chirurgia penetrante. Una valida risposta alle problematiche evidenziate è fornita dalla chirurgia non perforante, in


La canaloplastica nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto: nostra esperienza

cui la filtrazione dell’umor acqueo dalla camera anteriore non avviene attraverso una soluzione di continuo, ma attraverso la membrana trabeculo-descemetica accuratamente conservata. La prima tecnica non perforante, descritta da Zimmerman nel 1984, ampiamente sviluppata da Koslow e coll. con migliori soluzioni tecniche, è la sclerectomia profonda. Nel 1990 R. Stegmann, rifacendosi agli studi originali degli Autori precedenti, descrisse la tecnica di “viscocanalostomia”, introdotta in Sud Africa per ovviare ai fallimenti che la chirurgia filtrante presentava sui pazienti di razza nera. Le due metodiche chirurgiche, tecnicamente molto simili, permettono all’acqueo di percolare dalla camera anteriore attraverso la membrana trabeculo-descemetica, che viene lasciata in situ e privata del tessuto a tergo, nel lago sclerale. La mancata apertura del bulbo oculare riduce il rischio di infezioni, di cataratta e di ipotonie, con conseguenti ipotalamie o atalamie e distacchi di coroide. Recentemente R. Stegmann ha sviluppato una variante chirurgica della viscocanalostomia, la canaloplastica. La canaloplastica è una chirurgia non penetrante che ha lo scopo di dilatare permanentemente il

canale di Schlemm per 360°, per riattivare la via di deflusso “naturale” dell’umore acqueo, con conseguente riduzione della pressione intraoculare. La dilatazione del canale di Schlemm avviene per mezzo di un micro-catetere, flessibile, dotato sia di un lume per infondere sostanza viscoelastica (Ialuronato di sodio) che di una tip luminosa, per facilitare la sua localizzazione durante il passaggio all’interno del canale stesso. L’intervento, completamente eseguito al di sotto del flap sclerale, consiste nell’identificazione dell’ostio del canale. L’ostio del canale viene dilatato con l’inserimento di viscoelastico (Figura 1) che viene successivamente incannulato per 360°con il micro catetere (Figure 2-3). Il microcatetere viene poi rimosso, dopo avere annodato all’estremità un filo di prolene 10/0, trascinando il filo stesso all’interno del canale di Schlemm; i capi vengono successivamente annodati (Figure 4-5), con lo scopo di mantenere permanentemente aperto il canale e stirare il trabecolato, avvicinandolo alla camera anteriore, favorendo cosi il deflusso dell’umore acqueo. Il flap sclerale viene poi suturato in maniera stagna (Figure 6-7) come per altri interventi antiglaucomatosi.

Figure 1, 2, 3 Sequenza chirurgica

Figure 4, 5, 6 Sequenza chirurgica

Figura 7 Immagine di fine intervento

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Guido Caramello, Fiamma Campana, Marco Leto

Un’importante differenza con la viscocanolostomia è che la canoloplastica ha lo scopo di mantenere beante l’intera lunghezza del canale di Schlemm e non soltanto una parte di questo. Inoltre suturando lo sportello sclerale superficiale in modo stagno, diversamente dalla sclerectomia profonda, non si ricerca una filtrazione sottocongiuntivale, evitando così le reazioni fibrotiche della sclera e della congiuntiva soprastenti.

Tabella 1

Tabella 2

Tabella 3

>> Materiali e Metodi Lo scopo dello studio è di valutare l’efficacia e la sicurezza di questa nuova procedura per ridurre la IOP nel glaucoma ad angolo aperto. Tutti i pazienti arruolati sono stati sottoposti ad una normale visita che includeva la storia della malattia, i farmaci utilizzati, l’esame alla lampada a fessura, la IOP, l’acuità visiva corretta (BCVA), la gonioscopia, il fundus, l’UBM ad alta risoluzione. Il follow-up post-operatorio prevedeva il controllo ad 1 giorno, 1 settimana ed 1,3,6,12 mesi in cui venivano misurati la IOP, la BCVA, l’esame alla lampada a fessura, l’UBM (ad 1 giorno, 1 mese, 12 mesi), la registrazione dei farmaci utilizzati e le eventuali complicanze. Abbiamo eseguito più di 50 interventi fino ad oggi presso il nostro reparto ma sono stati inclusi nel nostro studio soltanto 36 interventi di canaloplastica su 31 pazienti affetti da OAG, 9 donne e 22 uomini, con età media pari a 64,22±12,24 che avevano un follow-up di un anno. Di questi pazienti 32 occhi erano affetti da POAG (88,89%), 3 da glaucoma pseudoesfoliativo (8,33%) ed 1 da glaucoma pigmentario (2,78%). Abbiamo valutato la pressione intraoculare e l’acuità visiva, il grado di distensione dell’angolo preoperatorio e l’angolo medio di distensione trabecolare. Lo studio della morfologia dell’angolo irido-corneale, fondamentale per questo tipo di chirurgia, è stato effettuato con HR-UBM con sonda da 80 MHz. Sono stati esclusi dal nostro studio 4 pazienti, nei quali si è verificata l’impossibilità di scorrimento del microcatetere per 360° all’interno del canale di Schlemm e, pertanto, sono stati sottoposti a sclerectomia profonda con impianto di Aqua-flow. Abbiamo, quindi, preso in considerazione soltanto 32 occhi.

>> Risultati Ad 1 anno dall’intervento i nostri pazienti avevano una pressione intraoculare media di 14.08±4.09 mmHg (preoperatorio di 24.72±6.35 mmHg con 3.16+0.85 farmaci topici) (Tabelle 1-2). L’acuità visiva di 0.54±0.29 (preoperatoria di 0.56±0.31) è rimasta invariata (Tabella 3). L’angolo medio di distensione trabecolare era di

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La canaloplastica nel trattamento del glaucoma ad angolo aperto: nostra esperienza

Figura 8 UBM: controllo ost operatorio

Figura 9 Complicanza post operatoria

11.34± 3.03 gradi (Figura 8). Abbiamo avuto 4 casi di ipoema massivo, 1 caso di filo di prolene a ponte in camera anteriore (Figura 9), 3 casi di ipertono transitorio, 3 casi di IOP controllati con una monoterapia ed un caso di ipertono ad 1 anno che è stato sottoposto a sclerectomia profonda.

dell’umore acqueo senza ricercare la filtrazione sottocongiuntivale evitando cosi le complicanze legate alla bozza. Essa mira ad incrementare il deflusso dell’umore acqueo dalla camera anteriore, attraverso le maglie del trabecolato e la finestra descemetica, nel canale di Schlemm e, quindi, nei canali collettori. Il nostro studio dimostra l’efficacia della procedura nel ridurre la IOP, con limitate complicanze post-operatorie immediate e tardive, se paragonate alla trabeculectomia che utilizza la filtrazione sottocongiuntivale.

>> Discussione e Conclusioni La canaloplastica è una forma di chirurgia non penetrante, che mira a ristabilire il naturale deflusso

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Chirurgia della cataratta in presenza di pupilla ristretta

Andrea Niutta

Ospedale G.B. Grassi – ASL Roma D – Unità Operativa Complessa di Oculistica (Direttore: Dott. Andrea Niutta)

RIASSUNTO Gli Autori riportano la propria esperienza della gestione della chirurgia della cataratta in presenza di una pupilla ristretta. Vengono analizzati i principali motivi per cui, nonostante una adeguata preparazione preoperatoria, non si riesce ad ottenere una buona midriasi per l’esecuzione dell’intervento e viene riportato il comportamento da loro tenuto nella gestione di tale situazione. Secondo gli Autori l’utilizzo degli uncini iridei è il metodo migliore per la risoluzione di tale problema. ABSTRACT The Authors report their own experience of managing cataract surgery in the presence of a small pupil. They examine the main reasons why, despite adequate pre-operative preparation, it is difficult to achieve good mydriasis to facilitate the surgery. Furthermore the surgical techniques employed by the authors for management of such a situation will be described. The Authors believe that the use of iris hooks is the best method to manage cataract surgery complicated by a small pupil.

PAROLE CHIAVE cataratta complicata uncini retrattori iridei seclusione pupillare KEY WORDS complicated cataract iris retraction hooks pupil seclusion

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pupilla ristretta, inferiore a 4 mm, rapL apresenta per il chirurgo della cataratta un importante fattore di rischio nella gestione dell’intervento1,2. È, infatti, necessario programmare in maniera accurata l’intervento sia per le possibili complicanze intraoperatorie che possono avvenire sia per i possibili danni anatomici che possono residuare alla fine dell’intervento. I motivi per cui, nonostante l’utilizzo dei normali colliri midriatici in uso nelle nostre sale operatorie, ciclopentolato e tropicamide con fenilefrina (ciclolux e visumidriatic fenilefrina) non si riesca ad ottenere una buona midriasi sono solitamente da ricercare in: precedenti fatti patologici (quali pregresse uveiti o pregressi interventi chirurgici sul segmento anteriore che hanno provocato sinechie posteriori)3; l’uso prolungato di miotici in pazienti anziani glaucomatosi; la presenza di una sindrome da pseudoefoliazione capsulare o di un glaucoma pigmentario; il diabete; viscochirurgia

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disgenesie del segmento anteriore, fibrosi dello sfintere irideo, iridodialisi post traumatiche o iridoschisi; l’uso prolungato di alfa antagonisti, in pazienti di sesso maschile, sottoposti a terapia per ipertrofia prostatica (intraoperative floppy iris sindrome IFIS) o in soggetti di sesso femminile sottoposti a terapia antipertensiva o per presenza di incontinenza urinaria4; inoltre non bisogna dimenticare che una pupilla iporeagente può essere presente anche in soggetti anziani o ipermetropi elevati in cui non siano evidenziabili alterazioni anatomiche a livello del tessuto irideo. Da quanto sopra esposto, risulta evidente che le condizioni preoperatorie dell’iride influenzano in modo significativo la scelta tecnica per la risoluzione della miosi, oltre a condizionare il comportamento dell’iride durante l’intervento stesso di asportazione della cataratta. Attualmente sono proposti dai vari Autori in letteratura diversi tipi di approccio per la gestione della pupilla ristretta: dilatazione mediante chirurgia dell’iride (sine


Chirurgia della cataratta in presenza di pupilla ristretta

Tabella 1 Dilatazione mediante manovra sull’orletto pupillare

chiotomia, sfinterotomia, sfinterectomia, asportazione dell’orletto pupillare)5 (Tabella 1); stiramento pupillare meccanico (utilizzo di uncini dilatatori o retrattori iridei, anelli iridei)6; utilizzo di materiale viscoelastico ad alto peso molecolare (viscomidriasi) associato ad un trattamento farmacologico midriatico massimale preoperatorio7; immissione di epinefrina intraoculare nelle forme lievi e medie di IFIS8. Nel presente lavoro viene riportata la nostra esperienza nella gestione della pupilla ristretta nell’intervento di cataratta eseguito con tecnica di facoemulsificazione.

>> Materiali e Metodi Dal 2002 ad oggi abbiamo eseguito 320 interventi di cataratta in pazienti con pupilla ristretta. Tutti i casi sono stati trattati utilizzando lo stesso protocollo: in caso di utilizzo di farmaci miotici quali la pilocarpina, si è provveduto a sospendere il farmaco almeno quindici giorni prima dell’intervento; instillazione di colliri antinfiammatori non steroidei ed antibiotici almeno tre giorni prima dell’esecuzione dell’intervento; la midriasi preoperatoria è stata ricercata

Tabella 2 Uso di uncini iridei

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Andrea Niutta, Federico Di Tizio, Enrichetta Palombì

utilizzando, un’ora prima dell’interveto, il Ciclolux collirio ed il Visumidriatic fenilefrina 1 goccia di entrambi i tipi ogni 10 minuti; in tutti i casi, eseguiti esclusivamente in anestesia topica, si è provveduto, dopo l’esecuzione di due paracentesi di servizio e l’esecuzione dell’accesso principale, ad apporre 4 uncini iridei per risolvere la miosi e stabilizzare l’iride, modulando la dilatazione della pupilla caso per caso, ma avendo cura di non superare mai i 5 mm al fine di evitare di rompere l’orletto irideo; gli uncini, costituiti da prolene 5/0 hanno la forma di uncino, presentano un fermo in silicone che blocca lo scorrimento al limbus e vengono inseriti in camera anteriore attraverso quattro incisioni autochiudenti, di ampiezza limitata ed inclinazione verticalizzata, eseguite al limbus con un meringotomo da 20G, rispettando ovviamente sia l’incisione principale che le due incisioni di servizio (Tabella 2); l’immissione di viscoelastico ad alto peso molecolare e con forte componente elastica in camera anteriore ha permesso, in tutti i casi,

Tabella 3 Cataratta bianca: uso di uncini iridei

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di avere una ulteriore grado di dilatazione con una buona midriasi di almeno 5 mm, tale comunque da permettere una capsuloressi circolare continua anteriore coincidenti con le dimensioni della pupilla dilatata; idrodissezione ed idrodelaminazione del nucleo, esecuzione di facoemulsificazione della cataratta, utilizzando la tecnica dei quattro quadranti, con aspirazione degli stessi al centro della pupilla mantenendosi all’interno del sacco capsulare in situazione di completa protezione delle strutture oculari vicine; l’aspirazione delle masse corticali residue è stata sempre eseguita con due cannule distinte, una di irrigazione ed una di aspirazione, utilizzando le due paracentesi di servizio; l’impianto della IOL nel sacco è sempre avvenuto utilizzando la giusta angolazione verso il basso della loop distale, fino all’inserimento del corpo ottico della lente nel sacco capsulare, e procedendo quindi all’inserimento dell’ansa prossimale con una manovra di rotazione e modesta compressione sul corpo ottico della IOL;


Chirurgia della cataratta in presenza di pupilla ristretta

rimozione dei quattro uncini; alla fine dell’intervento si è provveduto ad edemizzare sia l’accesso principale che le paracentesi di servizio e si è immesso in camera anteriore del cefurexime 0,1 mg/0,1 ml. I casi da noi trattati presentavano: in 54 casi delle sinechie posteriori irido lenticolari secondarie ad uveiti (Tabella 3); in 36 casi delle sinechie posteriori in bulbi sottoposti a pregresse trabeculectomie o a pregresse iridotomie laser nelle quali non vi era stata la sospensione della pilocarpina; in 110 casi una miosi serrata in presenza di una pseudoesfoliatio capsulare; in 10 casi esiti di traumi perforanti bulbari con sinechie anulari irido-capsulari; in 35 casi una miosi in presenza di assunzione di pilocarpina al 2 o al 4% da più di 10 anni; in 20 casi una miosi in soggetti di età superiore agli 80 anni in assenza di situazioni anatomiche predisponesti e presenza di diabete; in 55 casi era presente un’iride flaccida con floppy iris sindrome (IFIS) severa in soggetti che assumevano dal oltre un anno farmaci alfa

litici per la cura dell’ipertrofia prostatica (Tabella 4).

>> Discussione e Conclusioni La chirurgia della cataratta con pupilla ristretta rappresenta, a nostro avviso, una delle situazioni più a rischio per il chirurgo della cataratta, sovrapponibile, per difficoltà, alla presenza di una facodonesi o ad una sublussazione del cristallino. Pensiamo che l’utilizzo dei quattro uncini retrattori iridei, apposti prima dell’inizio dell’intervento, semplificano la chirurgia, evitando possibili complicanze che sono proprie di tale situazione anatomica e che possono rendere più difficoltosa la chirurgia della cataratta; inoltre possono essere utilizzati anche per la stabilizzazione del sacco capsulare, in casi selezionati. La facoemulsificazione eseguita con tecnica di nucleofrattura appare, a nostro avviso, la tecnica chirurgica più indicata anche perché ci permette di lavorare sempre al centro del forame pupillare senza interferire con le strutture oculari periferiche.

Tabella 4 Manovra combinata di dilatazione pupillare e uso di uncini iridei in combinazione con chirurgia vitreo-retinica

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Andrea Niutta, Federico Di Tizio, Enrichetta Palombì

Tabella 5 Seclusione pupillare con uso di uncini iridei

In caso di assunzione di tamsulosina da parte di pazienti affetti da ipertrofia prostatica, si è visto, in studi internazionali, che risulta inutile interrompere il farmaco a ridosso dell’intervento, in quanto livelli di principio attivo erano presenti dopo 28 giorni dalla sospensione della tamulosina nell’umore acqueo e casi di IFIS sono stati riportati da Chang8 anche dopo un’interruzione del farmaco superiore ad un anno. In caso di IFIS severa risulta indispensabile, per nostra esperienza, prevenire le inevitabili complicanze intraoperatorie, che compaiono immediatamente appena si inserisce il facoemulsificatore in camera anteriore, (quali iride flaccida che ondeggia in risposta all’irrigazione, miosi progressiva intraoperatoria, prolasso dell’iride dalle incisioni) apponendo prima dell’inizio dell’intervento gli uncini iridei e riducendo il flusso di aspirazione (flow rate) del facoemulsificatore. Va comunque sottolineato che la chirurgia della cataratta con pupilla ristretta, in cui si utilizzano gli uncini iridei per la risoluzione della miosi,

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comporta delle conseguenze proporzionali alle manovre svolte, che devono essere ben conosciute e segnalate al paziente prima dell’esecuzione della chirurgia stessa. Infatti, non è raro osservare dopo tale chirurgia, pur in presenza di risultati funzionali ottimi, deformazioni della pupilla con anisocoria, subatrofie irideee, rottura della barriera emato-acquosa con reazioni infiammatorie maggiori e possibile insorgenza di un edema maculare cistoide, presenza di un ipertono oculare, creazione di sinechie irido-capsulari, fibrosi della capsula anteriore residua e fimosi del sacco, possibile incidenza di maggiore opacizzazione della capsula posteriore secondaria ai fatti infiammatori postoperatori (Tabella 5). In tutti questi casi appare consigliabile un trattamento farmacologico particolarmente mirato, instillando colliri antinfiammatori non steroidei nel preoperatorio, farmaci ipotonizzanti oculari per via sistemica nell’immediato postoperatorio e prolungare la terapia steroidea topica per al-


Chirurgia della cataratta in presenza di pupilla ristretta

meno tre/quattro settimane dopo l’intervento. In alcuni casi particolari può essere indicato l’utilizzo di midriatici e cicloplegici nel postoperatorio valutando comunque, caso per caso, se e quando somministrare tali farmaci. L’esecuzione di sfinterotomie, sfinterectomie,

>>

asportazione dell’orletto pupillare e iridotomia risultano, a nostro avviso, sconsigliabili in quanto provocano sicuramente una maggiore sofferenza a livello delle strutture iridee con possibile maggiore incidenza di complicanze intra e postoperatorie.

Bibliografia

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Chirugia della cataratta via pars plana nell’adulto

Tecnica chirurgica

Antonio Scialdone

Azienda Ospedaliera Fatebenefratelli e Oftalmico Milano - Unità Operativa di Oculistica I (Direttore: Dottor Antonio Scialdone)

alla chirurgia della cataratta via L’ approccio pars plana presenta aspetti d’interesse quando vi sia una simultanea chirurgia del vitreo. L’associazione delle due è sempre più frequente. Si pensi allo sviluppo, negli ultimi anni, della chirurgia della cataratta abbinata a quella del pucker maculare, i cui vantaggi visivi sono ancora da definire correttamente (Figura 1). Con patologia vitreale preminente, la rimozione del cristallino è indispensabile quando impedisce una chiara visione retinica, e utile quando permette un completo accesso alla base del vitreo, oltre che una più precisa e sicura ispezione della periferia retinica. Si aggiunga che alcuni chirurghi rimuovono il cristallino abitualmente nei pazienti con età maggiore di 50 anni, indipendentemente dalla presenza di un’evidente opacità, poiché la vitrectomia accelera l’insorgenza di cataratta e, quindi, la rimozione contemporanea sottopone il paziente ad un solo intervento. Collateralmente, la presenza del vitreo anteriore intatto fornisce un supporto che limita la mobilità del diaframma irido-lenticolare. Tuttavia, l’intervento combinato presenta anche alcuni svantaggi legati all’aumento dei tempi operatori ed agli effetti sul segmento anteriore, che possono sfavorire la visibilità chirurgica del segmento posteriore, quali una miosi al termine della faco. Figura 1 Cataratta

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Alcuni Autori (Trumer) rilevano anche effetti post operatori, come una maggior infiammazione con presenza di fibrina e sinechie irido lenticolari, specie nei pazienti diabetici sottoposti a trattamenti retinopessici estesi. Ultimo, ma non rara, è la dislocazione della IOL soprattutto in presenza di mezzi tamponanti. L’asportazione della cataratta può quindi essere eseguita per via anteriore o via pars plana. La tecnica attualmente maggiormente utilizzata è la facoemulsificazione per via anteriore. Solo pochi chirurghi vitreo-retinici, che usualmente non eseguono la chirurgia del segmento anteriore, utilizzano l’approccio via pars plana (Figura 2). La rimozione della cataratta avviene attraverso le stesse sclerotomie che serviranno per la vitrectomia. Due sono gli approcci tecnici. Il primo prevede la perforazione con lancia della lente all’equatore, attraverso la quale si esegue la facoemulsificazione, il secondo consiste nell’esecuzione di una vitrectomia anteriore, successiva capsuloressi posteriore con vitrectomo che dà accesso a nucleo e corticale. Le fasi successive consistono nell’idrodissezione con cannula da 27 o 30 G, emulsificazione del nucleo e aspirazione corticale, facendo particolare attenzione a non danneggiare la capsula anteriore. Le masse residue saranno rimosse in aspirazione con il vitrectomo, pulendo accuratamente la capsula anteriore, conservata integra. Se la cataratta non è molto consistente, si può utilizzare anche un sistema 25 G, data la notevole forza di frammentazione ed aspirazione dei nuovi vitrectomi. I vantaggi offerti dalla via pars plana sono il minor stimolo infiammatorio esercitato sul segmento anteriore, oltre alla stabilità assoluta della camera anteriore ed alla maggiore persistenza intraoperatoria della midriasi farmacologica. Secondaria-


Chirurgia della cataratta via pars plana nell’adulto

mente, si riduce la possibilità di edema epiteliale e di qualche gemizio ematico in camera anteriore, nonché la fuoriuscita di acqueo e a volte dell’iride dal tunnel durante l’indentazione retinica o durante gli scambi. Il maggior vantaggio conseguito consente una migliore visibilità durante la chirurgia sul segmento posteriore. Inoltre, l’accesso al vitreo della base è più agevole e completo, di rigore soprattutto nell’emovitreo dei diabetici e nei distacchi di retina con PVR. Nel postoperatorio, a parità di condizioni, la risposta infiammatoria è inferiore, specie nei diabetici, e nei primi controlli post operatori l’ispezione del fondo è sempre possibile con buona visione anche in presenza di mezzi tamponanti. Gli svantaggi non sono di poca rilevanza. L’intervento di cataratta è di più difficile svolgimento, per la ridotta manovrabilità degli strumenti, e spesso la caduta di masse catarattose in camera vitrea rende più complessa la chirurgia, soprattutto in presenza di un distacco di retina, incrementando comunque i rischi di danni retinici secondari. L’assenza di un sacco capsulare obbliga all’impianto nel solco, tecnica oggi di seconda scelta. Nel postoperatorio, a distanza di un paio di settimane spesso si ha la formazione di un’opacità capsulare più densa centralmente, che rende difficoltosa l’ispezione del polo posteriore, benché comunque visibile quella periferica, specie in presenza di olio di silicone. Infine, la prevedibilità di eseguire una capsulotomia YAG in poche settimane. Su queste considerazioni, la chirurgia della cataratta via pars plana può, tuttavia, conservare spazio come valido metodo in casi particolari; ad esem>>

Figura 2 Disegno schematico del segmento anteriore

Figura 3 Postoperatorio di cataratta via pars plana + vitrectomia

pio quando non è possibile o non è necessario inserire la lente artificiale al primo intervento. Fra le motivazioni citiamo se non è possibile eseguire una biometria accurata, per densità eccessiva dei mezzi diottrici o per retina distaccata, oppure quando non è consigliabile inserire la IOL in prima istanza, poiché sono previsti più interventi, oppure non è necessario poiché non influenzerebbe il recupero visivo (Figura 3). La possibilità di eseguire una vitrectomia lunga e complessa con una camera anteriore stabile e con mezzi diottrici trasparenti può giustificare l’approccio per via pars plana, anche se più indaginoso.

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Utilità del Bevacizumab nell’evoluzione della retinopatia diabetica

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Roberto Grenga

Università degli Studi di Roma ‘‘La Sapienza’’- Policlinico Umberto I - Dipartimento di Scienze Oftalmologiche, Unità Operativa TCCO6 (Responsabile: Prof. Roberto Grenga)

RIASSUNTO Scopo del lavoro: Valutare l’efficacia terapeutica del Bevacizumab nel trattamento dell’edema maculare diabetico. Tipo di studio: Studio retrospettivo su una serie di casi clinici consecutivi. Materiali e Metodi: 20 occhi di 17 pazienti affetti da edema maculare diabetico sono stati sottoposti a trattamento con un ciclo di 3 iniezioni intravitreali di 1,25 mg (0,05ml) di Bevacizumab, con intervalli di un mese tra le iniezioni. I pazienti sono stati sottoposti a controllo il giorno successivo, a distanza di 20 giorni dopo ciascuna iniezione e a tre mesi dall’ultima iniezione. Durante i controlli, sono stati determinati l’acuità visiva (BCVA) e lo spessore maculare centrale mediante l’OCT. Risultati: Il valore medio del BCVA prima dell’inizio della terapia era di 0,79±0,49 logMAR. Dopo la prima iniezione era pari a 0,74±0,49 logMAR; un ulteriore miglioramento è stato registrato dopo la seconda iniezione, con un valore medio di 0,66±0,49 logMAR (p=0,02); un lieve peggioramento della BVCA è stato evidenziato dopo la terza iniezione, con un valore comunque superiore rispetto all’iniziale: 0,69±0,45 (p=0,036). Alla fine del ciclo, il risultato è stato di 10 occhi (50%) con un miglioramento dell’acuità visiva, 8 occhi (40%) rimasti stabili e 2 occhi (10%) con una diminuzione dell’acuità visiva rispetto al valore iniziale. Il valore medio dello spessore maculare all’ultimo controllo è apparso ridotto di circa 73 µm rispetto allo spessore maculare di partenza. Conclusioni: Nonostante l’efficacia terapeutica del Bevacizumab sia evidenziabile già dopo la prima iniezione, un trattamento ripetuto sembra prolungarne l’effetto benefico, prevenendo la riduzione delle concentrazioni intravitreali.

PAROLE CHIAVE edema maculare diabetico Bevacizumab BVCA spessore maculare centrale KEY WORDS diabetic macular oedema Bevacizumab BVCA central macular thickness

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ABSTRACT Aim of the study: Evaluation of the therapeutic efficacy of Bevacizumab in the treatment of diabetic macular oedema. Design: restrospective case series. Materials and Methods: 20 eyes of 17 patients with diabetic macular oedema underwent a cycle of 3 intravitreal injections (each dose: 1,25 mg of Bevacizumab), with an interval of a month between each other. Patients were controlled the following day, 20 days after each injection and at three months after the third injection. During the controls, visual acuity (BCVA) and central macular thickness using the OCT were determined. Results: The mean value of BVCA at baseline was 0,79±0,49 logMAR. After the first injection was 0,74±0,49 logMAR, with a further increase after the second administration (0,66±0,49 logMAR p=0,02). After the third injection was noted a small reduction of BCVA (0,69±0,45 logMAR p=0,036), in spite of this, its value was better than the one at baseline. At the end of the cycle, the final result included: 10 eyes (50%) with an improvement of visual acuity, 8 eyes (40%) that remained stable and 2 eyes (10%) with a reduction of visual acuity compared to baseline. The average value of macular thickness, at the last control, was lowered about 73 µm in comparison with the baseline. Conclusions: Although therapeutic efficacy of Bevacizumab was evident after the first injection, a repeated treatment seems to prolong its beneficial effect, because it prevents a reduction of intravitreal concentrations.

>> Introduzione L’edema maculare è una manifestazione nel corso della retinopatia diabetica che produce una compromissione severa dell’acuità visiva. Nonostante siano state prese in considerazione diverse modalità di trattamento, allo stato attuale i principali mezzi usati per ridurre il rischi di perdita visiva viscochirurgia

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da edema maculare diabetico sono la fotocoagulazione laser (come dimostrato dall’ETDRS)1; lo stretto controllo della glicemia (come dimostrato dal DCCT e dall’UKPDS); e il controllo della pressione del sangue (dimostrato dall’UKPDS) 2,3. Comunque, grande interesse è stato rivolto verso nuovi approcci terapeutici come, ad esempio, la


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terapia farmacologica con inibitori orali della protein-chinasi C e l’uso di corticosteroidi intravitreali. Tutto questo perché la maggior parte degli occhi trattati con la fotocoagulazione laser non presenta miglioramenti soddisfacenti della acuità visiva4,5. Una tra le più recenti prospettive terapeutiche è rappresentata dall’utilizzo degli anticorpi monoclonali contro il VEGF come inibitori dell’evoluzione della retinopatia diabetica. Allo stato attuale sono disponibili diversi farmaci anti-VEGF, che a differenza del trattamento della degenerazione maculare senile, sono tutti “off label” per l’edema maculare diabetico. Il VEGF è un mitogeno specifico delle cellule endoteliali ed un induttore angiogenico in una varietà di modelli in vitro ed in vivo6. La sua produzione viene indotta dall’ipossia e contribuisce all’aumento della permeabilità vascolare, avendo così un ruolo importante nell’edema maculare diabetico. Bevacizumab è un anticorpo monoclonale di piena lunghezza che lega e inibisce tutte le isoforme biologicamente attive del VEGF. Nonostante dati sperimentali pre-clinici da studi su primati suggerivano la possibilità che gli anticorpi di piena lunghezza non fossero in grado di superare la membrana limitante interna della retina, recenti studi hanno dimostrato la penetrazione a tutto spessore della retina entro le prime 24 ore7. Tutti gli studi clinici e sperimentali fin ora presentati, inoltre, non hanno evidenziato effetti tossici farmaco–correlati nelle strutture retiniche8,9.

>> Obiettivo dello studio Questo studio è stato attuato con il seguente obiettivo: valutare gli effetti del trattamento con iniezioni intravitreali di Bevacizumab sull’andamento della retinopatia diabetica, in termini di miglioramento dell’acuità visiva e di riduzione dell’edema maculare.

>> Pazienti e Metodi Si tratta di uno studio retrospettivo su una serie di casi clinici consecutivi di occhi affetti da retinopatia diabetica con edema maculare, trattati con iniezioni intravitreali di Bevacizumab, tra il mese di Gennaio 2008 e il mese di Novembre 2009, presso il Dipartimento di Scienze Oftalmologiche del Policlinico Umberto I di Roma. Sono stati presi in esame 20 occhi di 17 pazienti

affetti da retinopatia diabetica, con edema maculare, analizzando in particolare l’acuità visiva e lo spessore maculare centrale, misurato mediante OCT, con controlli a 1 giorno, a 20 giorni da ciascuna iniezione e a tre mesi dall’ultima. Ciascun paziente è stato sottoposto ad una visita oftalmologica completa, durante la quale sono stati raccolti i dati anagrafici, le informazioni anamnestiche di carattere generale e quelle oculari specifiche; è stato eseguito un esame obiettivo completo, con valutazione del visus, ispezione del segmento anteriore a mezzo della lampada a fessura, misurazione del tono oculare a mezzo del tonometro, esplorazione del fondo a mezzo dell’oftalmoscopio indiretto, esame biomicroscopico della retina usando una lente da 90 diottrie, misurazione dello spessore retinico con l’OCT Spectral Domain ed esame fluoroangiografico. Tutto questo prima dell’inizio del trattamento e in ogni visita successiva. Le immagini OCT sono state ottenute mediante una scansione mappata rapida dello spessore maculare usando un pattern a 6 linee radiali, e lo spessore retinico centrale è stato misurato mediante un’analisi della mappa retinica per il calcolo dello spessore medio nel punto centrale. I valori dell’acuità visiva (BCVA: best corrected visual acuity) sono stati convertiti dalla scala decimale alla scala logaritmica dell’angolo minimale di risoluzione (minimum angle of resolution) [logMAR]. Gli interventi sono stati effettuati con paziente in posizione supina, in un ambiente chirurgico sterile. L’anestesia topica è stata indotta con applicazione di gocce di proparacaina (0,5%) prima dell’iniezione. La sterilizzazione del campo operatorio è stata eseguita con soluzione di povidone-iodio, la quale è stata applicata lungo i margini palpebrali e le ciglia e, successivamente sulla congiuntiva bulbi e nei fornici. L’iniezione intravitreale è stata eseguita a 3,5-4 mm dal limbus corneale per via transcongiuntivale o transclerale attraverso la pars plana, usando un ago di 30-gauge. Controlli intraoperatori del tono sono stati eseguiti a intervalli regolari. Dopo l’iniezione, gocce di antibiotico (Norfloxacina collirio 0,3%) furono prescritte con una frequenza di 4 applicazioni al giorno per 3 giorni. Tutte le informazioni necessarie riguardanti la procedura, le caratteristiche del farmaco, le eventuali terapie alternative, così come le informazioni riguardanti lo stato “off-label” dell’uso del farma2 • 2010

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Roberto Grenga, Endrit Strazimiri, Simona Bianchi, Claudia Ganino, Luigi Pattavina, Romualdo Malagola

Figura 1 Le immagini in A mostrano un edema maculare diabetico prima dell’inizio del trattamento con intravitreali di Bevacizumab. In B si evidenziano i risultati a 1 mese dalla seconda iniezione: lo spessore maculare centrale è ridotto di circa 100 µm

A

B

co e i suoi potenziali rischi e benefici, sono state fornite ai pazienti in modo chiaro ed esaustivo. Il t-test è stato usato per il confronto tra il BCVA e lo spessore maculare centrale prima e dopo gli interventi. Un valore p<0,05 è stato considerato statisticamente significativo.

>> Risultati Venti occhi (17 pazienti) sono stati sottoposti ad un trattamento comprendente un ciclo di 3 iniezioni intravitreali di 1,25 mg (0,05 ml) di Bevacizumab, con intervalli di un mese tra le iniezioni. Dopo ogni iniezione è stata eseguita una visita di controllo il giorno successivo, una seconda visita a distanza di 20 giorni. Un ultimo controllo è stato effettuato a 3 mesi dalla terza iniezione. Durante i controlli, è stata fatta la determinazione dell’acuità visiva (BCVA) e dello spessore maculare centrale mediante l’OCT. L’età media dei pazienti era di 65,8±11,6 anni con una percentuale di maschi del 53% (9 uomini, 8 donne). Tutti i pazienti hanno completato il ciclo di 3 iniezioni. Diabete mellito di tipo II era presente nel 85% dei pazienti e nel restante 15% era presente diabete di tipo I. 14 occhi (70%) presentavano retinopatia diabetica proliferante e 6 occhi (30%) retinopatia diabetica pre-proliferante. Tutti gli occhi avevano ricevuto almeno una terapia alternativa prima dell’iniezione intravitreale di

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Bevacizumab. Un solo occhio era stato sottoposto a vitrectomia. Un periodo di tempo minimo di 6 mesi era trascorso dall’ultimo trattamento subito, in tutti gli occhi esaminati in questo studio. Il valore medio del BCVA prima dell’inizio della terapia era di 0,79±0,49 logMAR. Dopo la prima iniezione, è stato notato un miglioramento del valore medio, che è salito a 0,74±0,49 logMAR (p=0,037). Il miglioramento del acuità visiva è continuato anche dopo la seconda iniezione con un valore medio logMAR di 0,66±0,49 (p=0,02), per poi subire un lieve peggioramento dopo la terza iniezione, pur mantenendosi ad un livello superiore rispetto al baseline: 0,69±0,45 (p=0,036). Il valore medio dello spessore maculare centrale prima dell’inizio della terapia era di 405,35±128,93µm. Lo spessore ha subito una riduzione già dopo la prima iniezione portandosi ad un valore medio di 368,25±114,86µm (p=0,004). La riduzione dello spessore centrale della macula è continuata dopo la seconda e la terza iniezione con valori medi rispettivamente di 358,40±133,39µm (p=0,021) e 332,55±103,95µm (p=0,003). L’analisi dell’acuità visiva per sottogruppi ha dimostrato che: dopo la prima iniezione, in 9 occhi (45%) l’acuità visiva ha subito un miglioramento, in 10 occhi (50%) è rimasta stabile e in 1 occhio (5%) ha subito un decremento rispetto al baseline;


Utilità del Bevacizumab nell’evoluzione della retinopatia diabetica

dopo la seconda iniezione si è notato un aumento dell’acuità visiva rispetto al baseline in 14 occhi (70%), stabilità in 5 occhi (25%) e una diminuzione in 1 occhio (5%). Al controllo di routine dopo la terza iniezione, il risultato finale è stato di 10 occhi (50%) con un miglioramento dell’acuità visiva, 8 occhi (40%) rimasti stabili e 2 occhi (10%) con una diminuzione dell’acuità visiva rispetto al valore iniziale. A distanza di tre mesi dall’ultima iniezione le variazioni dei parametri analizzati rispetto all’ultimo controllo non sono state statisticamente significative. Nessun caso di endoftalmite, uveite, incremento della pressione intraoculare, o di riduzione severa del visus è stato riscontrato immediatamente dopo l’iniezione. Alla fine del ciclo di terapia, non è stato riportato alcun effetto avverso, oculare o sistemico, dovuto al farmaco.

>> Discussione In Letteratura figurano diversi studi caratterizzati da iniezioni ripetute di Bevacizumab, con la finalità di impedire la riduzione dell’effetto del farmaco dovuta, probabilmente, alla diminuzione delle sue concentrazioni intravitreali con il passare del tempo. Arevallo et al., in uno studio retrospettivo condotto con iniezioni di Bevacizumab, hanno riscontrato un miglioramento funzionale e strutturale nel 55% degli occhi. In questo studio il 55% degli occhi ha guadagnato 10 o più lettere nella valutazione del BCVA ed una riduzione dello spessore centrale maculare di 112 µm dopo 6 mesi10. Haritoglou e collaboratori hanno evidenziato un effetto del farmaco sullo spessore maculare entro le prime 2 settimane, con significativa riduzione dello stesso da 501±163µm a 377±117µm. Anche l’acuità visiva è migliorata nelle prime 6 settimane, ma quest’ultimo effetto non è persistito dopo 12 settimane11. In uno studio clinico randomizzato del 2009, Soheilian et al. hanno individuato un più evidente miglioramento dell’acuità visiva a 6 mesi, nel gruppo dei pazienti trattato con iniezioni intravitreali di Bevacizumab rispetto al gruppo trattato con fotocoagulazione maculare. La riduzione dello spessore maculare era invece sovrapponibile nei due gruppi, non mostrando una differenza tra i due tipi di terapia12. La Diabetic Retinopathy Clinical Research Network ha pubblicato recentemente i risultati di uno studio randomizzato di fase 2 con iniezio-

ni intravitreali di Bevacizumab in 121 occhi con edema maculare diabetico. Lo studio ha dimostrato l’assenza di un effetto aggiuntivo nell’uso di un dosaggio maggiore della molecola (2,5 mg versus 1,5 mg) e l’assenza di un effetto cumulativo nell’uso del Bevacizumab combinato con fotocoagulazione laser. Comunque, una terza fase è stata pianificata per ottenere dei risultati più esaustivi, riguardanti l’efficacia delle varie combinazioni terapeutiche13. Per quanto riguarda gli occhi sottoposti a precedente vitrectomia, un piccolo studio di Yanyali et al. non ha riscontrato un beneficio nell’“outcome” dell’acuità visiva e dello spessore maculare dopo tre iniezioni di Bevacizumab14. Nel caso del nostro unico paziente con precedente vitrectomia, l’acuità visiva dopo le 3 iniezioni è rimasta stabile, mentre si è notata comunque una riduzione dello spessore maculare. In linea generale, tutti gli studi condotti su pazienti riceventi una sola iniezione di Bevacizumab con controlli a una settimana, uno e tre mesi di distanza, hanno rilevato una riduzione dell’effetto del farmaco, alla fine del periodo di follow-up rispetto ai valori del controllo del primo mese, con la risultante di un decremento della acuità visiva ed un aumento dello spessore maculare. Figura 2 Andamento del valore medio logMAR dell’acuità visiva valutato prima dell’inizio della terapia e dopo la prima, la seconda e la terza iniezione

Figura 3 Andamento del valore medio dello spessore maculare centrale (central macular thickness) valutato prima dell’inizio della terapia e dopo la prima, la seconda e la terza iniezione

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Roberto Grenga, Endrit Strazimiri, Simona Bianchi, Claudia Ganino, Luigi Pattavina, Romualdo Malagola

Il regime terapeutico seguito durante il nostro studio, consistente in un ciclo di 3 iniezioni a distanza di un mese l’uno dall’altro, aveva lo scopo di aumentare il risultato finale dell’effetto del farmaco, attraverso il mantenimento dei livelli intravitreali per un periodo prolungato. Il risultato è stato una graduale e costante diminuzione dell’edema maculare durante tutto il periodo di terapia, con un valore medio dello spessore all’ultimo controllo ridotto di circa 73µm rispetto allo spessore maculare pre-trattamento. L’andamento del valore medio dell’acuità visiva è stato meno prevedibile e lineare, con un miglioramento netto al controllo del primo e del secondo mese ma con un lieve peggioramento al terzo mese rispetto al precedente controllo. Comunque, rispetto al valore medio dell’acuità visiva prima dell’inizio del trattamento, si è notato un netto miglioramento alla fine del ciclo di iniezioni.

>> Conclusioni Il trattamento della retinopatia diabetica è complesso e necessita di interventi sia a livello oculare che sistemico. Nonostante la fotocoagula-

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zione laser sia attualmente il principale mezzo terapeutico usato nel tentativo di modificare e rallentare il percorso evolutivo della retinopatia diabetica e nel ridurre i rischi di perdita visiva da edema maculare diabetico, nuove modalità di trattamento stanno suscitando grande interesse. Gli inibitori del fattore di crescita vascolare endoteliale (VEGF) sono la classe di farmaci che ha dato i migliori risultati nel trattamento della retinopatia diabetica in studi clinici condotti negli ultimi anni. Attualmente, l’uso di tutti i farmaci anti-VEGF in commercio è “off-label” per il trattamento della retinopatia diabetica. Bevacizumab, somministrato per iniezione intravitreale, sembra portare ad un significativo miglioramento del quadro clinico della retinopatia diabetica. In questo studio, il miglioramento dell’acuità visiva e la riduzione dello spessore maculare centrale sono visibili già dalla prima iniezione e continuano durante il ciclo di 3 iniezioni. Il regime di trattamento con iniezioni ripetute del farmaco sembra prolungarne l’effetto benefico, prevenendo la diminuzione delle concentrazioni intravitreali e, nel nostro caso, senza indurre effetti avversi.

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Antibioticoprofilassi preoperatoria nella chirurgia della cataratta: protocollo modulare basato sui profili di rischio

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Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno “OO. RR. S. Giovanni di Dio e Ruggi d’Aragona” Struttura Complessa di Oftalmologia (Direttore: Dott. Alfredo Greco)

RIASSUNTO Gli Autori effettuano una revisione critica delle linee guida regionali sulla profilassi antibiotica nella chirurgia del segmento anteriore oculare, formulando una proposta di protocollo basato sulle evidenze scientifiche, adottata dal Comitato Infezioni Ospedaliere della Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno nel 2009. Lo schema prevede un approccio modulare, in base al profilo di rischio del paziente, con somministrazione di levofloxacina collirio 0.3% nei tre giorni precedenti l’intervento, integrata da terapia sistemica nei soggetti ad elevato rischio. In caso di flogosi della superficie oculare vengono praticati esami microbiologici per una terapia mirata. Il protocollo adottato è sottoposto a verifica periodica mediante indicatori di costo, efficacia ed efficienza. ABSTRACT The authors propose a new evidence based protocol approvated by Nosocomial Infections Committee of Salerno University Hospital (2009) following a retrospective review of guidelines about antibiotic-prophylaxis of the endophthalmitis post-anterior segment surgery. The approach is modulated on the individual risk factors, using Levofloxacin 0.3% drop-eye and systemic preoperative treatment in increased risk patients. In presence of ocular surface inflammations, microbiological investigations are carry out, for a specific therapy. A follow up is planed in order to obtain efficacy, efficiency and costs evaluations about this protocol.

PAROLE CHIAVE endoftalmite postchirurgica antibiotico-profilassi chirurgia del segmento anteriore levofloxacina KEY WORDS post-surgery endophthalmitis antibiotic prophylaxis anterior segment surgery levofloxacin

>> Scopo del lavoro Lo studio è finalizzato alla ricerca ed implementazione di un protocollo di antibiotico-profilassi nella chirurgia del segmento anteriore, alternativo a quello raccomandato dalle Linee guida di “Profilassi antibiotica peri-operatoria” emanate dalla Regione Campania nel 20071, fondato sulla revisione della Letteratura e sulla stratificazione

Grave endoftalmite

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dei pazienti in base a profili di rischio per endoftalmite.

>> Materiali e Metodi Le linee guida nazionali di antibioticoprofilassi del 2008 non contemplano la chirurgia oculistica, la cui trattazione è demandata ad una successiva

Endoftalmite con interessamento della camera vitrea


Antibioticoprofilassi preoperatoria nella chirurgia della cataratta: protocollo modulare basato sui profili di rischio

analisi ed eventuale linea guida ad hoc, data la peculiarità delle problematiche oftalmologiche2. L’argomento viene affrontato a livello regionale o da singole aziende sanitarie od ospedaliere, con la redazione di “raccomandazioni” relative alla profilassi antibiotica perioperatoria nella chirurgia del segmento anteriore e posteriore. Si è proceduto ad una revisione critica, confrontando i dati della Letteratura ed i risultati evidence based degli studi sulla profilassi dell’endoftalmite settica post-chirurgica con quanto indicato dalle Linee Guida della Regione Campania. Sulla base di queste valutazioni, è stata formulata, in accordo con la direzione sanitaria, una proposta di protocollo, successivamente sottoposta al Comitato Infezioni Ospedaliere (C.I.O.) dell’Azienda, approvata ed adottata dal 2009.

>> Risultati Le linee guida di antibioticoprofilassi perioperatoria della Regione Campania (delib. n. 1814 del 12.10.2007) prescrivono, nella “chirurgia del segmento anteriore e della cataratta con impianto di cristallino artificiale”, la somministrazione di “Povidone-iodine soluzione al 5% 2 gtt nel sacco congiuntivale ogni due ore a partire dalle 24 ore preoperatorie. Ripetere 5’ prima del-

l’incisione, lasciando la soluzione a contatto con l’occhio oppure Ofloxacina collirio ogni 6 ore a partire dalle 24 ore precedenti l’intervento” 1. La Letteratura indica che il povidone ioduro al 5%, se somministrato nel sacco congiuntivale senza anestetico, provoca notevole bruciore; l’instillazione ripetuta determina inoltre fenomeni irritativi ed effetti tossici sull’epitelio con riduzione della trasparenza corneale 3,4. Le indicazioni sul foglio illustrativo del prodotto comprendono “preparazione del campo operatorio (palpebre ciglia e guance) e irrigazione della superficie oculare (cornea, congiuntiva e fornici palpebrali)”. La somministrazione intraoperatoria di iodopovidone 5% su cornea e sacco congiuntivale per almeno tre minuti prima dell’intervento rappresenta attualmente un cardine nella prevenzione delle endoftalmiti, mentre non è riportata nelle indicazioni l’instillazione ripetuta nel tempo quale profilassi preoperatoria 3, 4, 5, 6, 7. La prescrizione domiciliare, antecedente all’intervento, ne configura pertanto un utilizzo “off label”6. Il prodotto è commercializzato in confezioni di 25 contenitori da 15 ml. in doppio involucro sterile, ad ulteriore conferma del suo impiego esclusivamente intraoperatorio. La somministrazione di ofloxacina collirio ogni 6 ore a partire dalle 24 ore precedenti l’intervento,

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prevista nel documento regionale quale opzione alternativa, è ben tollerata, ma insufficiente per un effetto battericida sulla flora residente, esponendo al rischio di resistenze, che può essere ridotto mediante un prolungamento della somministrazione per tre giorni prima dell’intervento5, 7.

>> Protocollo di antibiotico-profilassi preoperatoria adottato Il protocollo proposto dalla S.C. di Oftalmologia ed approvato dal Comitato Infezioni Ospedaliere (C.I.O.) dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Salerno (2009) prevede: Levofloxacina collirio 0.5% ogni 6 ore a partire da tre giorni prima dell’intervento, a cui viene associato, 60 minuti prima dell’intervento, Levofloxacina 500 mg. 1 cp, in presenza di “fattori di rischio generici”, o Ceftriaxone 1 fl 1g., in situazioni di “rischio elevato di endoftalmite” (Figura 1). Sono da ritenersi fattori di rischio generici l’età avanzata (> 65 anni) e la presenza di malattie metaboliche. Sono considerati fattori di rischio elevato l’immunocompromissione, le terapie citostatiche, immunosoppressive e steroidee ed infezioni croniche in atto. In presenza di focolai flogistici locali vengono effettuate indagini microbiologiche (tamponi per ricerche microscopiche e colturali) per una terapia mirata fino ad eradicazione del germe (tampone negativo dopo wash out di almeno cinque giorni). Immediatamente prima dell’intervento, viene instillato nei fornici iodopovidone in soluzione acquosa al 5% e lasciato agire per almeno tre minuti.

>> Discussione e Conclusioni Gli interventi di elezione sul segmento anteriore vengono collocati nell’ambito della “chirurgia pulita”, con una incidenza di complicanze settiche riportata nelle casistiche di chirurgia della cataratta dal 0.02% allo 0.5% 8, 9, 10. Bisogna comunque considerare che la chirurgia della cataratta prevede l’impianto di materiale protesico (IOL) e viene eseguita in pazienti spesso di età avanzata con patologie generali concomitanti; inoltre, le complicanze settiche, anche se rappresentano una evenienza rara, possono avere conseguenze devastanti, con compromissione irreversibile della funzione visiva, e minacciare la

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stessa integrità anatomica dell’organo 8, 11, 12, 13. L’endoftalmite settica post-chirurgica, in assenza di contaminazione intraoperatoria, è legata generalmente a virulentazione e penetrazione intraoculare di microrganismi considerati saprofiti, abitualmente presenti sulla superficie oculare e sulla cute palpebrale, che per il 75-90% sono gram positivi14, 15. Il microrganismo più frequentemente coinvolto è lo stafilococco epidermidis coagulase-negativo, che presenta in genere poliantibiotico resistenza16, 17, 18; è stato rilevato inoltre un costante aumento, nel tempo, della prevalenza di Stafilococco aureo meticillino-resistente 17, 18, 19, 20. L’incidenza di endoftalmite, dopo chirurgia del segmento anteriore, ha presentato una complessiva riduzione nell’ultimo ventennio8, 9, 10, 23; tuttavia, uno studio retrospettivo condotto su 215 lavori pubblicati su PubMed relativo a 3.140.650 interventi per cataratta eseguiti in 40 anni, ha posto in evidenza un incremento a partire dal periodo 2000-2003 (0.26%), rispetto agli anni ’70 (0.08%) 10, 14. Questo andamento coincide temporalmente con lo sviluppo e l’espansione della tecnica di incisione in cornea chiara, in sede temporale e “sutureless”10. In particolare, l’esecuzione del tunnel in sede temporale è correlato ad un incremento del rischio di endoftalmite di cinque volte rispetto alla sede superiore. L’incidenza di endoftalmite, inoltre, aumenta di tre volte con l’impianto di IOL in silicone, rispetto alle lenti in acrilico 3, 14, e di 14 volte in caso di rottura della capsula posteriore con perdita di vitreo, che favorisce il passaggio di germi in camera vitrea 16, 18, 24. Queste considerazioni tendono a ricollocare la chirurgia della cataratta in una posizione intermedia tra quella “pulita” e “pulito-contaminata”. L’utilizzo di terapia antibiotica preoperatoria ha lo scopo di ridurre a livello del sito chirurgico la carica batterica e di prevenire le infezioni del bulbo oculare, la cui incidenza è probabilmente sottostimata, sia per la scarsità di studi prospettici, sia per la difficoltà di condurre indagini microbiologiche sistematiche e standardizzate su casistiche sufficientemente ampie 14, 17, 25. Le linee guida per la profilassi delle endoftalmiti formulate dall’ESCRS nel 2007 invitano a considerare l’utilizzo di un chinolone (levofloxacina o ofloxacina per 4 volte al di) o un’associazione polimixina B/bacitracina/neomicina nelle 24-48 ore antecedenti l’intervento, un’ora e mezz’ora


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Percorso ideale del paziente per la chirurgia della cataratta

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prima; prescrivono, inoltre, l’instillazione di iodopovidone 5% almeno tre minuti prima dell’intervento e la pulizia della cute periorbitale con Iodopovidone al 10% o Clorexidina allo 0.05% 3. Nel protocollo di nostra introduzione, è prevista la somministrazione preoperatoria di levofloxacina in collirio allo 0.5%, sia per l’ampio spettro di azione26, 27, 28, sia per la dimostrata capacità di penetrazione intraoculare29, 30, sia per la buona tollerabilità e la disponibilità in oftioli monouso29, 31, sia per la possibilità di una eventuale somministrazione sistemica dello stesso principio attivo 16, 32. In una percentuale minore dei casi (forme endogene: <10%), l’endoftalmite settica è dovuta a colonizzazione del sito chirurgico da parte di germi provenienti da organi anche distanti, soprattutto in pazienti immunodepressi e defedati, in seguito a batteriemie, che risultano spesso asintomatiche3, 14, 17. Si tratta tipicamente di casi isolati, dovuti in genere a germi gram negativi, di cui è difficile stabilire l’esatta provenienza, che vengono attratti dal tessuto traumatizzato in seguito all’atto chirurgico, le cui cellule liberano proteine ed enzimi alterati con effetto chemiotattico17. Tale possibile evenienza rende, a nostro avviso, giustificato l’impiego di profilassi antibiotica per via generale in soggetti con fattori di rischio sistemici per endoftalmite, di cui generalmente non si tiene conto nelle linee guida emanate da enti o regioni. La revisione scientifica ha permesso di individuare, come buona pratica preoperatoria, una stratificazione dei pazienti da sottoporre a chirurgia oculare in base a profili di rischio per endoftalmite, con scelta della strategia profilattica adeguata al caso in esame7, 33. Nei pazienti con fattori di rischio generico (età avanzata, diabete mellito) viene utilizzata la Levofloxacina 1 cp da 500 mg. 60’ prima dell’intervento; la molecola, impiegata anche per via topica, risulta efficace e ben tollerata. In presenza di elevato rischio di endoftalmite è utilizzato il Ceftriaxone (1 fl i.m. 1 g. 60’ prima dell’intervento), che presenta caratteristiche favorevoli di assorbimento e di diffusione attraverso la barriera emato-oftalmica ed una copertura prolungata nel post-operatorio32, 34. In presenza di focolai infiammatori locali vengono eseguiti tamponi congiuntivali per

esami colturali su batteri e miceti con antibiogramma14, 17, 25; in casi selezionati viene effettuata anche una citologia congiuntivale per valutare la componente infiammatoria36. Viene quindi prescritta terapia mirata e la ripetizione del tampone dopo almeno cinque giorni di wash out. Il paziente è sottoposto ad intervento solo dopo avvenuta negativizzazione delle indagini microbiologiche. In particolare, alcune condizioni infiammatorie, quali blefariti, meibomiti, acne rosacea, dermatite seborroica, stenosi delle vie lacrimali, dacriocistite, cheratiti, richiedono trattamenti specifici, con posologia idonea11, 15, 25, 28. La necessità di ottenere una copertura antinfettiva adeguata con minimi effetti indesiderati è particolarmente sentita nel caso di ricovero in regime di day surgery e nella chirurgia ambulatoriale, che non consentono il monitoraggio del paziente in tutte le fasi, ed espongono maggiormente a possibili fonti di contaminazione36. Si ritiene utile sottolineare l’importanza di attenersi ai più ampi criteri di prevenzione anche sotto il profilo medico-legale e delle attribuzioni di responsabilità in ambito civilistico, in quanto l’ordinamento giuridico prevede l’obbligo per la struttura sanitaria di dimostrare che, a fronte del verificarsi di un danno, sia stato fatto tutto il possibile per evitarlo. Venendo meno tale dimostrazione, si instaura una sorta di automatismo nel risarcimento del danno, che trova la sua massima espressione proprio nelle infezioni postchirurgiche, in assenza di una profilassi antibiotica documentata. La Unità Operativa di Oculistica ha in corso un monitoraggio dei costi e degli indicatori di processo e di esito, al fine di confermare efficacia ed efficienza del protocollo adottato in un’ottica di technology assessment (Figure 2 e 3). La profilassi preoperatoria in chirurgia oftalmica costituisce tuttora argomento di discussione e non ha avuto una definitiva regolamentazione a livello nazionale. Si ritiene che l’argomento debba essere definito e sottoposto a verifica periodica in ambito oftalmologico, tenendo conto dell’implementazione di nuove risorse farmacologiche e tecnologiche e delle evoluzioni delle tecniche chirurgiche.

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