Luzer! #15

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INDEX

03Idle of the Month04Speciale Cannes05Pro-spektiva07Ca..to.o.dico08Make Love & Listen to the Music10Luzertube!11Hits in the Box12Zoom on14Clubbing Corner15Patty Music Consultant17Books from Boxes18Morte al Fescion 20I Cornuti(?)21Lo potevo fare anch’io22Garage Filosofico

LUZER! { free press } E’ REPERIBILE PRESSO: Brescia random: Pride bar, Arte in te, Fabbrica del cacao, OnlyOne vintage shop, Bodeguita, Frisco, Viselli’s, Bazaar wear, Kandinski records, Lio bar, Boys loft, Ivan bar, Oslo, La Bicicletta, Le Tits, Discovolante, Wardrobe, Bar da Franco, Minoia store, Bookstop, atenei universitari & many more..Maybe {Travagliato}, Romano {Villachiara}.. Orzinuovi: Barbel, Forbice shop, La Crisalide, Libri a Merenda. Garda West Coast: 24, Camillo, Stroke shop, Chiosco Mu, Timber shop, Vigna PuBirreria. Bergamo: Bazaar Wear, Coffee’n’television ....certi negozi, certi clubs, certi atenei...a seconda delle nostre gite…Milano

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02


Idle of the Month Ibiza E’ curioso che nel cuore della principessa balearica spalanchino un posto che si chiama “Bora Bora”. Sarebbe un po’ come se a Bora Bora aprissero una spiaggia che si chiama “Ibiza”. Milleuno contraddizioni di un sogno chiamato la isla bonita, che è meglio immaginare senza averci mai messo piede, piuttosto che sfiorare davvero: pena la disillusione. L’ha confessato tramite lettera redazionale un fricchettone col cervello pieno di schiuma. Massì quelle cose tipo “non è più come una volta da queste parti” che si tramandano di generazione in generazione, di bocca in bocca (dalle parti di Playa d’En Bossa si usa addirittura la lingua), un po’ con sana nostalgia dei bei tempi, un po’ tradendo malcelata invidia anacronistica. Di certo all’hippie prezzolato saranno girate quanto basta, vedendo la terra promessa in cui secoli fa si faceva le gite lunari più belle della sua vita, diventare un circo mondiale del divertimento d’assalto. Ma questa è un’altra storia. Inutile, ipocrita. Perché ora è solo un vecchio rosicone. E perché comunque le allegre scampagnate coi ravers se le sarà fatte pure lui. Anzi, avrà fatto pure a scazzottate con gli uligani d’oltremanica che a fine 80 calavano manco fossero Vichinghi. Avrà visto l’amore trasformarsi da libero a prigioniero delle paure del nuovo millennio, ma avrà comunque consumato con qualche turista in cerca di emozioni forti. Sfruttando il tramonto viola di San Antonio come cornice perfetta (e un po’ furbetta) dell’idillio sessuale veloce: le suggestioni della nascente chillout, le voglie da estate ormonale e tutto il resto. Poi giù in picchiata verso l’espansione ibizenca in stile paese dei balocchi prototipo d’agosto…coi media a cavalcare l’onda del fenomeno megadisco, che nel 1994 bollavano con attributi d’antan tipo “trasgressivo” o “di tendenza”. Cose necessarie a dipingere nelle menti di mezzo mondo

qualcosa che fosse molto vicino all’idea di paradiso. O di mito: 350 giorni l’anno a marcire negli uffici, in attesa di quel paio di settimane prese per i capelli sull’orlo di una crisi di nervi. E allora via senza il freno a mano: giorni che diventano notti e viceversa, il mare stupendo sempre un po’ più sporco, le caramelle colorate, i party globali all’Amnesia e gli afterhour bolliti dello Space, i trans che diventano “transh”, la Troya Asesina che invecchia e i pr succhiapalle a guidare la nuova epoca. L’hippie…? Sempre lì, a guardare silenzioso con la barba lunga e il muso ancora più lungo. Ora il caos dell’estate gli dà un po’ fastidio. Manco nessuno se le fila più le catenine e tutti gli altri oggettini in legno che ha costruito durante l’inverno, quando Ibiza è solo un paesone che galleggia nel Mediterraneo. Così facile da raggiungere e senza segreti da essere addirittura demodé, tanto che alcuni disperati si suicidano lanciandosi dalle terrazze degli hotel, invece che celebrare l’estate infinita. Così, per gioco, in faccia all’hippie piagnone. Ibiza, ovvero la isla bonita futuribile: in fuga da sé stessa, aggrappata a un domani in cui l’ “oggi” addominale, lampadato e con gli occhiali da sole - per effetto ciclicamente hippie - continuerà ad essere pura e dissennata mitologia balearica. Eliade Zupelli 03


Special/Cannes

Il 64mo Festival di Cannes

Tra opere coraggiose e film controversi, il Festival ritrova un’insperata freschezza Può piacere o meno, ma la riuscita di un grande festival cinematografico dipende dalla qualità dei film premiati e dalle scelte fatte dalla giuria incaricata. Perché quando cala il sipario e si spengono le luci, tutto si dimentica, tranne i vincitori. E così, anche il Festival di Cannes, in fondo, deve la sua grande fama alle Palme d’oro che le varie giurie hanno saputo assegnare nel corso della sua storia. Da questo punto di vista, il 64mo festival di Cannes non ha tradito le aspettative, affermandosi come una delle migliori edizioni degli ultimi anni. Se è vero che nel 2010 Cannes aveva in parte tradito le attese, portando in competizione tanti grandi nomi con opere spesso non memorabili (si pensi ai film di Kitano e Iñárritu), quest’anno il festival francese ha avuto il grande merito di affiancare ai grandi nomi, progetti altrettanto importanti. Film che, anche quando non completamente riusciti, rappresentano crocevia essenziali nella filmografia dei rispettivi autori. Penso ai film di Von Trier, dei fratelli Dardenne, di Almodóvar o dello stesso Moretti. Non film di transizione, ma opere coraggiose che prendono direzioni inaspettate, senza paura di deludere chi cerca in esse i segni tipici della loro autorialità. La giuria del festival ha riconosciuto questo rinnovato coraggio, assegnando il Gran Prix Speciale della Giuria ex-aequo ai fratelli Dardenne (“Le gamin au vélo”) e al turco Ceylan (“Once Upon a Time in Anatolia”). Nella stessa direzione, il premio a Kirsten Dunst come migliore interprete femminile per il discusso “Melancholia” di Lars Von Trier. Accanto ai grandi registi, quest’anno il Festival ha consacrato anche volti nuovi della cinematografia mondiale, presenti a Cannes con film spesso spiazzanti. Tra questi, “Polisse”, il terzo lungometraggio della trentacinquenne francese Maïwenn. La giovane regista ha ricevuto il Premio della giuria con un film certamente imperfetto e dai molti punti deboli, ma così intenso e pieno di vita che non poteva lasciare indifferenti. Nicolas Winding Refn, l’enfant prodige del cinema danese, non ha convinto tutti col suo “Drive”, film col quale ha vinto il premio per la miglior regia: per alcuni, il film è un grande noir che riprende le atmosfere del cinema di Michael Mann (con un gusto per la violenza che ricorda Tarantino), per altri è semplicemente l’opera “furba” di un regista più abile che ispirato. Sempre restando tra i giovani autori, il regista francese Michel Hazanavicius ha presentato “The Artist”, film che riporta ai tempi del cinema muto, per il quale Jean Dujardin ha vinto una meritata palma per la migliore interpretazione maschile. Infine, come ogni palmarès che si rispetti, anche Cannes 2011 ha avuto un grande escluso dalle premiazioni. L’anno scorso toccò allo splendido “Another year” di Mike Leigh, quest’anno invece è stata la volta di Aki Kaurismaki, presente in concorso con “Le Havre”, film di rara poesia che rappresenta uno dei vertici di tutta la sua filmografia. Tra gli autori ritrovati, spicca infine il nuovo, atteso film di Terrence Malick: la Palma d’oro al suo “The Tree of Life”, a cui dedichiamo l’articolo qui a fianco, ha il sapore di un atto dovuto nei confronti di un’opera/evento (e del suo autore) che va al di là dei generi, al di là dei gusti, al di là dei premi. Al di là del cinema. Michele Boselli 04


pro-spektiva

The Tree of Life: l’inquietudine dell’indicibile

E come potrei sopportare di essere uomo, se l’uomo non fosse anche poeta e solutore di enigmi e redentore della casualità! ( F.Nietzsche, Così parlò Zarathustra ) Molti registi faticano a comprendere un aspetto determinante per la speculazione di tipo cinematografico: il film d’autore non è un contributo al cinema (come linguaggio autonomo), è un contributo all’arte; quindi, al fondo, è un modo di affrontare il nulla, di dare forma al senso. Malick l’ha compreso come pochi: il cinema è uno strumento per interrogare, e capire, parlando con le immagini laddove non esistono parole per dire. In Tree of Life la morte di un ragazzo svela alla famiglia l’orrore dell’esistenza, dischiude il dubbio, sveglia dal “sonno della vita”. Malick, pensando alla morte (e non al morto), apre quello spazio disumano e liminare in cui la ragione non basta più per controllare ed elaborare il pensiero dell’assenza. E’ lo spazio dove l’assurdo (ciò che non ha ragione) schianta l’uomo sul caso. Ecco allora la reazione tipicamente umana, la volontà di mettere ordine: trasformare il caso in causa (in Dio?). Qui non ha nessun senso inchiodarsi sul Dio meramente religioso, quello dei fedeli inebetiti in processione; in Malick si cerca un motivo. E allora giù a zoom avanti e indietro nelle galassie, sulle nebulose, tra la materia che si sfalda e si compenetra, entropica ed aleatoria, sì, ma retta da una Legge suprema, che non si vede. La stessa che porta alla luce tre fratelli, e se ne riprende uno, senza-motivo. La domanda dei genitori è la più essenziale: perché? Jankélévitch ha scritto che pensare la morte è pensare niente, è un non-pensare. L’inquietudine di Malick converge nella ricerca di un rimedio al dolore, nel tentativo di pensare il niente; significa voler controllare l’imprevedibile ac-cadere delle cose (la morte di un figlio). Non significa riuscirci: il vero compito dell’autore sta nella lotta contro la “stanchezza” del pensiero, contro la rinuncia all’interpretazione del mondo a cui quest’epoca sembra abbandonarsi, compiaciuta: quasi fosse un destino. Perché non-pensare preserva dall’angoscia di capire. Com’è nei bambini, gli stessi che Malick sposta qua e là, senza direzione, irresponsabili, contraddittori, egoisti, in una dimensione che non conosce altro che un istante dilatato, il qui, ora. Poi l’esistenza prende forma di domanda e il presente (per chi lo vuole) si scompone in memoria, in progetto, in continua risignificazione. L’adulto oltre la soglia (Penn che oltrepassa la porta dell’indicibile) incontrerà le figure della sua vita (e non Dio con la barba, come sperava qualche anti-clericale impantanato), a ricordare che “sono sì texano, ma scemo no”. Malick scandisce il film con raro senso del ritmo, organizzando i tempi di esposizione al silenzio delle immagini in modo preciso e funzionale, mai eccessivo. L’intero film è un presagio di morte, perché Malick sa di poterla prevedere (come accadimento), ma di non poterla collocare. La sfiora, la cerca, se ne distacca. Sta nei confini umani, quelli di tutti noi, ma lì dentro si dibatte, inquieto, con una capacità di dire che a pochi è concessa.

Giovanni Mensi 05



ca..to.o.dico

a.ffare?

Vittorio Sgarbi Non occorrono certo iperboli per caratterizzare il primo (ed unico) atto della commedia sgarbiana “Ci tocca anche Sgarbi - or vi sbigottirà”, è sufficiente piuttosto fare appello alla semplicità di un aggettivo davvero troppo bistrattato: “brutto”. Se infatti la réclame virale aveva potuto legittimare una certa curiosità, proponendo un Vittorio in gran spolvero che ammiccava sottecchi, vagheggiando meraviglie agli astanti, ecco invece la diretta tv ad offrirci uno spettacolo impietoso, squarciando il promettente velo di maya pubblicitario. Il nostro beniamino riesce a scontentare proprio tutti. Chi si aspettava un ritorno della cultura in prima serata si è ritrovato piuttosto impelagato nell’arduo compito di distinguere, ed eventualmente estrarre dalla diarrea (verbale) auto-agiografica del conduttore qualche raro sfoggio di erudizione, comunque fine a sé stesso. In maniera del tutto simile, chi invece lo avrebbe voluto quale paladino della fantomatica ‘cultura-didestra’ ha dovuto ridimensionare le proprie aspettative ed accontentarsi di boutades facilotte e ormai francamente stantie: i giornali ‘falsari’ (cit.), i magistrati (tanto per non sbagliare…), quel frocio di Vendola e così via…il tutto, poi, dopo aver dovuto ingoiare il rospo: sì perché a quanto pare tra i padri culturali di Sgarbi (fil rouge della trasmissione, ma probabilmente non se n’è accorto nessuno…) figura anche Pier Paolo Pasolini. C’è anche lui: dopo Cossiga, ma c’è anche lui… Delusione cocente ed epifania insostenibile anche per i fans irriducibili del personaggio-Sgarbi, come del resto il sottoscritto, che forse per la prima volta ha sperimentato il fastidio per quell’egotismo ipertrofico altrove tanto amato (a chi fosse sfuggito perfino il sottotitolo “or vi sbigottirà” è anagramma di ‘Vittorio Sgarbi’). Non basta dunque a salvare un programma terribilmente sciatto la comparsa in scena di

una capra, a voler richiamare gli antichi fasti della celebre e compianta anafora sgarbiana “capra-capra-capra”. E nulla può nemmeno il coup de théâtre di predicare brandendo una riproduzione della propria testa mozzata di fronte all’oscena volgarità da marchetta televisiva che è chiamare il figlio in studio o dare in pasto alle telecamere il proprio padre, ormai novantenne, che regge un libro a firma Vittorio Sgarbi. Insomma l’onanismo autocelebrativo non è certo un peccato mortale, ma non sempre dà i frutti sperati: ciò che chi scrive si augura è di rivedere al più presto quell’elegante ciuffo bianco riassettarsi nei salotti delle Barbare d’Urso, di ritrovare quanto prima quelle scalmanate movenze anfetaminiche nelle tribune politiche del giovedì, a rintuzzare a suon insulti i Travagli della situazione. Se dunque anche la televisione, com’è vero, afferisce al dominio della dialettica, il buon Vittorio da Ferrara non farà fatica a ritrovare in breve tempo quel ruolo, necessario, che più gli si confà e di cui è indubbiamente il miglior interprete in circolazione: la pars destruens.

Simone Noja 07


Make l ve & listen to the music BEASTIE BOYS - Hot Sauce Committee part II Il ritorno del trio era atteso da tempo. Il materiale certo non mancava (ben sedici i brani presenti): motivo del ritardo un cancro diagnosticato a Mca e fortunatamente curato. I ragazzi che inventarono il crossover ci sanno ancora fare, e sfoggiano un disco onesto, variegato e a tratti ancora bestiale, specialmente nei pezzi più diretti ed oldschool tipo “Make Some Noise” o “Crazy Ass Shit”. MOBY - Destroyed Il titolo è eloquente. L’immaginario musicale di un Moby così malinconico va ricomposto usando quindici frammenti, quindici canzoni che arrivano da mondi “sbagliati”, ma poetici nella loro disarmante semplicità. Si attinge dal blues, dall’elettronica di matrice analogica. Quando la voce manca sono solamente gli archi i protagonisti di una scena desolata e incompleta, ma suggestiva.

PATRICK WOLF - Lupercalia Bastano i primi due pezzi per capire che i “tempi duri” sono finiti per Patrick Wolf. “The City” è un dolce boccone pop accompagnato da sassofono 80’s e video in spiaggia, mentre il pianoforte romantico di “The House” riempie la stanza di grandi fiori colorati. Niente metamorfosi a luna piena: “Lupercalia” è un disco sincero, interamente consacrato al dio Amore e, di conseguenza, altamente vulnerabile. ARCTIC MONKEYS - Suck it and See Il precedente “Humbug” non se lo ricorda quasi nessuno. Meglio, perché “Suck It And See” è un disco che cresce, frullando la nuova vena matura-stoner con la nostra preferita teen-danzereccia. Dodici pezzi che profumano di anni ‘60 (“Brick by Brick”) e sono appicicosi come una gomma nei capelli (“The Hellcat Spangled Shalalala”): un bell’esempio di rock’n’roll senza odore di muffa.

FRIENDLY FIRES - Pala Allegro, leggero e veloce: un disco perfetto per le feste mojito, con la casa libera e la piscina che calamita gli amici. I Friendly Fires ripropongono la vecchia ricetta a base di indie-quasi-dance-molto-pop con pochi ingredienti nuovi: pezzi come “Live Those Days” e “True Love” accontenteranno quelli che ancora sognano Parigi, mentre l’elegante “Hurting” incuriosirà gli amanti del new-retro-80’s tipo Washed Out. PAJARRITOS - Sauce Wars Pajarritos è un nome che fa pensare a un involtino messicano pieno di carne e salsa piccante (forse per questo c’è “sauce” pure nel titolo). In realtà dopo il play sono 45 minuti di puro funk-paura come non si sentiva da un pezzo. Ancheggiante, schizzato di psichedelia e di mondi che abitano altrove: Parliament, Clinton e Johnny Watson per un party puro divertimento nell’oasi più incantevole del tuo deserto pensato. Con una voce nera pimpata nel groove e un accento inglese decente sarebbe negli imprescindibili di sempre. KODE9 & SPACEAPE - Black Sun Cinque anni dopo il seminale “Memories Of The Future” il professor Kode9 ci regala un nuovo lavoro. Le atmosfere del patron Hyperdub sono cupe e ossessive. Synth acidi sdraiati su bassi profondi e rocciosi, attraverso i quali si fa strada la mistica voce di Spaceape. Da segnalare “Kyron”, featuring Flying Lotus: un viaggio lisergico in cui synth taglienti si rincorrono senza soluzione di continuità. 08


CHUMA CHUMS - Fest-On “Ciao Patente” è un inno fenomenale che dovrebbe transitare alto nelle cuffie di tutti i falcidiati dalla piaga ritiro e non solo. Il resto di questo disco è un pastiche gitano pieno di “good vibrations” ad incastro canicola: ovvero street-punk, sambareggae, ska, d’n’b e cocadisco per pogare contenti sotto la luna d’agosto. Ok anche al solleone, comunque…“Sottomarina” d’uopo per gite d’assalto in pedalò: rappresaglia sottoproletaria paletta-secchiello lungo la riviera adriatica e il senso della vita. SHINE 2009 - Realism Il debutto degli Shine 2009 è un’opera che gli Hurts post-Wonderful Life non erano riusciti a compiere: un disco di nostalgia pop 80’s rinfrescato dal gusto moderno che non mira a grandi palchi internazionali ma semplicemente a essere bello. Il pregio di “Realism” è che farà battere i cuori di tutti i festaioli che andavano a ballare nel ‘92, ma incuriosirà anche quelli che nel ‘92 erano appena nati.

VINTAGE VIOLENCE - Piccoli Intrattenimenti Musicali L’attacco sembra di aver messo un disco del Teatro. Ma illude. Perché poi il rotolone delle idee si svela bene e parla linguaggi personali, che mutuano garage grezzone e sprazzi di sociale contemporaneità per dieci tracce palestrate e un po’ anarcomalinconiche (“Le Bariste dell’Arci”; “Fuori dal Partito”). Poi verso la fine c’è una canzone che si chiama il “Paraculo” e dice più o meno “ma quale rock indipendente se c’è qualcuno che ti lava le mutande”. Questione di velleità: vedi pagina 12.

THE KILLS - MAGAZZINI GENERALI - 6/6/2011 “The security should not stop those who dance in a fucking rock concert”. Storia che riassume l’intensa anima rockenrolla di “The Kills”, in versione Magazzini. Jamie, chitarra e voce, è il lato istintivo del duo e non si vergogna di mostrare complicità al pubblico; Alison, cantante suadente ed energica, penetra negli occhi e nell’udito sin dalla prima nota, per restarci indissolubilmente. “No Wow” per iniziare. Classicone che scuote la folla da subito, poggiando sul “signature-riff” a base di chitarra grezza. Seguono due canzoni del nuovo lavoro “Blood Pressure”, caratterizzate da suoni garage-rock a tinte elettriche che dimostrano già un appeal consolidato sul pubblico. Brividi. La chitarra di Hince è strafatta di distorsioni quando parte la meravigliosa “Tape Song” e la Mosshart con la sua voce crea un effetto graffiante e insieme melodico, perfetto nel completare il susseguirsi di gesti e sguardi, teatro e complicità, sudore ed erotismo, inscenati dai due. Ed è proprio il dimenarsi scatenato con i lunghi capelli corvini della magnetica front(wo)man a rendere affascinante la versione scordata di “You Don’t Own the Road”. Abbandonano la scena (tradizione ormai rituale, quasi retorica). Infatti tornano puntualmente qualche minuto più tardi: avvolta da pailettes dorate lei e accanto al piano lui. “The Last Goodbye” è la perla della serata: le danze scatenate di Alison lasciano spazio ad una voce sensuale, dolce e decisa che lascia tutti incantati fino al finale devastante di “Fried My Little Brains”. Un’ ora e mezza di puro rock. Da ascoltare, inalare, assaporare, come sempre meno accade.

Alice 09


LuzerTube! 2010

SHINE 2009 - So Free Non è detto che Svezia faccia rima con fiordi e freddo polare. Anzi. Conferma sognante del postulato anti-stalalattite sono questi due baldi giovani senza piume e coi capelli tutti ordinati all’indietro. La loro missione? Galleggiare in un mid-tempo che più etereo non si può, dove spiagge viola al tramonto e cultura post-rave si incontrano al crocevia tra Pet Shop Boys in amore e Bora Bora. Provare per credere: prima, durante e dopo qualunque cosa bellissima della vostra vita.

MY LIFE WITH THE KILL THRILL KULT - Dirty Little Secrets Welcome to Americana. Anomala. Perché a dispetto della dicitura industriale che si portano appresso, essere un povero nucleo di invertiti con le borchie e un nome stupendo ha i suoi vantaggi. Ad esempio, poter calare un personalissimo jolly-anthem in levare ok per la sabbia d’agosto, senza essere sfanculati dai clienti più integralisti. Questione di stile e altre cosucce inutili sulla falsariga di.

2007

WILCO - Impossible Germany Senza scorciatoie: se esibisci esistenzialismi blu-es 24/7 prima o poi puzzi di formaggio stagionato. Il miracolo degli Wilco è farlo da sempre, riuscendo a profumare di pesca. Basta usare un buon deodorante tipo questo, che in notti rurali e balorde spaccia gratis sensazioni forti: tipo essere rimasto l’ultimo uomo sulla terra a godersi la luna facendo “cra-cra” alle rane mentre Neil Young gioca all’angelo custode nel suo campo di cotone. Rivoluzione-gorgonzola, ma al risveglio tutto magnifico e senza tanfo.

FRANCO TRINCALE - Il Purgante L’avanguardia pop della canzone italiana passa attraverso le sorti di questo balbuziente cantastorie siciliano, un po’ porcello, un po’ acuto cronista di misfatti sociali. Come uno dei più temuti: l’ incontrollabile accesso fecale davanti al capo o in mille altri posti che non vorresti mai. Nemmeno per scherzo. Quando meno te l’aspetti come una bomba: base arrapata da filmetti per spioni a incastonare un’interpretazione geniale, visionaria, senza precedenti nella canzone d’autore peninsulana (enfasi vocale con tonalità da disagiato e coro degli alpini su base merda compresi).

1996

1993

1972

BABYLON ZOO - The Boy with the X-Ray Eyes Il titolo potrebbe tranquillamente essere roba da Ziggy Stardust. In realtà lo spin-off del singolone “Spaceman” fa anche a meno del condizionale, essendo tutto fuorché menzognero. Tanto nelle intenzioni, quanto nello svolgimento. Glam-poppa da sogno: asessuato, anacronistico, bionico, perso in voce indiana divinae folliae, chitarre T-Rex, tacco alto alla Brian Slade e tutto il resto dell’indecisa baracca colorata. Nello stesso periodo, in qualche pub a qualche kilometro di distanza, Damon e Liam fingevano di fare a pugni esibendo ai tabloid tronfia mascolinità albionica. I casi della vita.

ZEROZEN - Zona Bikini (2001) Il gadget finto-estivo di una band fallita miseramente per colpe che non si possono spiegare prima delle vacanze. 10

E. Zup


HitsintheBOX BROWN BARCELLA

From We Are The Gang (oldies but goldies / 60’s / power-pop)

HANGOVERBOY

DAVE DEE, DOZY, BEAKY, MICK & TICH - Hold Tight THE FOUR PENNIES - When The Boy’s Happy (The Girl’s Happy Too) LULU - I’ll come running over THE SUPREMES - When The Lovelight Starts Shining Through His Eyes YOUNG RASCALS - Good Lovin’ THE CONTOURS - Just A Little Misunderstanding MARTHA & THE VANDELLAS - Heatwave ARTHUR CONLEY - Sweet soul music JACKIE FOLLETT - There’s a moment EASYBEATS - She’s So Fine

From Radio Onda d’Urto freelance (deep house / disco)

THE BARKING DOG

from Plastic / Serendeepity (nu-disco/ house/ techno)

MOODYMANC - Black Paint (Larry Heard’s After Dark Mix) VAKULA - I Forget SOUND STREAM - Tease Me Sound Stream THEO PARRISH - Feel Free To Be Who You Need To Be MOODYMANN - It’s 2 Late 4 U And Me (youANDme Edit) KSOUL & MUTEOSCILLATOR - Funkin’ Our Ass OMAN RAUCH FEAT. BARTELLOW - Lemme Get There MARVIN BELTON - Love Will Find A Way (2007 Mix) RICARDO MIRANDA PRES. LATIN SOUL BROTHAS - Soul Late CHRISTOPHER RAU - Pervading Animal

JOE SEVEN - Restionaire HOLGER CZUKAY - Hit Hit Flop Flop SKYLEVEL - Skylevel 2 CROWDPLEASER - Together we’re strong LP BORDERLINE - Stay VIRGO FOUR - Resurrection (Caribou/Hunee rmx) GOOD GUY MIKESH & FLIBURT - Ours FOUR TET - Pinnacles MATIAS AGUAYO - I don’t smoke GABLE - Cute Horse Cut LP

DJ OVIDIO

TEMPLE OF THE DOG - Call Me a Dog GEORGE CLINTON - Atomic Dog (animal nitrate / bossa dogga I CANI - Velleità baubauhaus) PINK FLOYD - Dogs SNOOP DOGG - Doggystyle THE STOOGES - I Wanna Be Your Dog RINO GAETANO - Escluso il Cane THE UNDERDOG PROJECT - Summer Jam FLORENCE AND THE MACHINE - Dog Days Are Over CURIOSITY KILLED THE CAT - Misfit From LaCuccia Club

DAVID HOFMANN

from Laserdance@Vinile45 (techouse / electro / techno)

SKINNERBOX - Purgatory Five PETAR DUNDOV - Quinta DAVID AUGUST - Hamburg Is For Lover HOT CHIP - I Feel Better (Max Cooper Remix) GUS GUS - Within You (Veiran Dubdrop) STATIV CONNECTION - Huepfschneckenliebe AKA AKA &THALSTROEM - Springtide UNKNOWN - Dont Believe a Hype 2 MAX COOPER - Heresy (Matthys Remix) DJ PUK - 6 AM (Renton Remix)

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Clubbing Corner ep.14 di Phil Delcorso

Spaghetti disco con Robotnick e Beppe Loda Trovarsi a cena con Alexander Robotnick e Beppe Loda per un dj appassionato di musica elettronica è un po’ come per i nati dell’80 andare alla prima de “La Storia Infinita” con Atreyu seduto in prima fila. L’occasione per farci due chiacchere è davvero imperdibile. Questi due giovanotti (115 anni in coppia), sono sicuramente due mostri sacri per la dance music, ma in particolare per l’Italo disco, quel fenomeno musicale nato nei primi anni ’80, grazie ad artisti e compositori italiani. “Il periodo migliore fu dal ’78 all’83, quando nessuno aveva ancora etichettato questa musica - spiega Loda con fiero accento bresciano -. Il termine Italo disco fu introdotto per la prima volta nell’84, ma ormai era troppo tardi: le ambizioni commerciali stavano già uccidendo l’unicità di questa musica”. Il classico sound “Italo” era prodotto solo con tastiere, anche le parti ritmiche erano totalmente elettroniche. Le voci, quasi sempre date in pasto al vocoder, erano usate come uno strumento, per arricchire le melodie. Il carattere robotico-malinconico dei suoni era veramente innovativo per quegli anni, così come i synth utilizzati (Minimoog, Roland Jx-8, Oberheim per dirne alcuni) e rappresentava qualcosa di unico nella disco music. All’inizio degli anni 80 l’Italo disco veniva suonata nei club gay americani, come il Warehouse di Chicago ed ebbe un ruolo fondamentale per la nascita dell’house music. I pionieri come Frankie Knuckles o Ron Hardy suonavano infatti molti dischi importati dall’Italia e ascoltando le cassettine “old school” di questi dj non è difficile trovare classici Italodisco come “Cybernetic Love” di Casco, “Spacer Woman” di Charlie o “Dirty Talk” dei Klein & Mbo. Questo fenomeno è rimasto comunque sotterraneo, anche in Italia: i compositori di quel periodo sono scomparsi e i loro dischi sono finiti nelle cantine dei collezionisti di mezzo mondo (dal nord Europa al Giappone). 14

Robotnick rivela che ai tempi di “Problèmes d’amour”, la sua creazione più celebre, lui stesso non era a conoscenza di questo fenomeno underground tutto italiano: “per me l’Italodisco erano i pezzi di Sandy Marton o roba simile, che non mi interessava molto; solo negli ultimi anni, quando questo sound è tornato in voga , ho capito che non ero da solo e ho scoperto altri artisti interessanti di quel periodo”. Sono stati infatti alcuni dj olandesi (I-F, Serge, Legowelt) a riscoprire l’Italo disco a fine anni ’90 e a riproporlo nei club dandogli nuova vita. “Tutti hanno imparato da noi - conclude Beppe Loda orgoglioso-. Quando vado a suonare in Olanda o in Germania i dj mi chiamano Maestro, hanno addirittura le mie cassette dell’83; però quando questi dj vengono in Italia noi li paghiamo il triplo...siamo i soliti furbi, noi italiani!”.


Patty Music Consultant SOMENFEST

ven 1/7: A TOYS ORCHESTRA + ULAN BATOR sab 2/7: PINK HOLY DAYS + TYING TIFFANY - VISUAL: GLAMNOISE dom 3/7: OPAC + CASINO ROYALE

LOW ROCK FESTIVAL

ven 8/7: DALLE 21.00 OVO + MORKOBOT sab 9/7: APERITIVO DALLE 19.00 CON EDIPO, DALLE 21.00: APPALOOSA + THREE IN ONE GENTLEMAN SUIT dom 10/7: DALL’APERITIVO DELLE 19.00 LE MAN AVEC LES LUNETTES + JULES NOT JUDE + THE CHURCHILL OUTFIT + DEAD CANDIES

MUSICAL ZOO (CASTELLO BRESCIA)

gio 21/7: ALTICA + CALIBRO35 ven 22/7: AUCAN + KABI LIVE DUB sab 23/7: MAGICABULA + BRASSBAND + BABYLON CIRCUS dom 24/7: KAUFMAN + THE RECORD’S + PAOLO BENVEGNU

2-7 AGOSTO 2011 ARENASONICA XI ED.

mar 2/8: THE THERMALS (SUB POP) + ANNIE HALL mer 3/8: POLVO (TOUCH & GO/MERGE) + OVLOV gio 4/8: PAOLO CATTANEO + MARTI ven 5/8: BRUNORI SAS + CINEMAVOLTA sab 6/8: ETTORE GIURADEI + FRAULEIN ROTTENMEIER dom 7/8: THE BASEBALL PROJECT + GUEST FEATURING: STEVE WYNN (DREAM SYNDICATE) PETER BUCK (REM) SCOTT MCCAUGHEY LINDA PITMON

FESTA RADIO ONDA D’URTO

gio 11/8: SUBSONICA (ALTERNATIVE, ITALIA) ven 12/8: ASSALTI FRONTALI + INOKI (HIP HOP, ITALIA) dom 14/8: PETER PAN SPEEDROCK (PUNK ‘N ROLL STILE MOTORHEAD DALL’OLANDA) + HOT WATER MUSIC (PUNK-ROCK DALLA FLORIDA, IL GRUPPO DI CHUCK RAGAN) lun 15/8: FRANK TURNER (FOLK-ROCK SINGER, DALL’INGHILTERRA) mer 17/8: SUICIDAL TENDENCIES (LA STORIA DEL PUNK HARDCORE DAGLI USA) gio 18/8: VERDENA (ROCK, ITALIA) sab 20/8: CAPAREZZA (RAP, MA NON SOLO, ITALIA) lun 22/8: I MINISTRI (ROCK, ITALIA) mer 24/8: DANIELE SILVESTRI (CANTAUTORE, ITALIA) gio 25/8: TOOTS AND THE MAYTALS (REGGAE, JAMAICA) ven 26/8: MARLENE KUNTZ (ROCK, ITALIA) sab 27/8: MODENA CITY RAMBLERS (FOLK MA NON SOLO, ITALIA)

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Books from boxes FRICTION - Joe Strectch Nella vita capita di avere sbandamenti per cose all’APPARENZA rilucenti. Bingo! Ci siamo. Analizziamo per gradi. 1) Specchietti di copertina. Vorrei sapere quale smistatore di patatine abbia messo sulla prima di sto coso la frase “Un’arancia meccanica del XX secolo”. O tu stronzetto non hai mai letto Burgess oppure avevi appena fatto indigestione pesante di cozze andate a male. 2) Quarta di copertina. Tal Nicholas Royale(Chi cazzo sei? Perché hai fatto il giornalista? Raccoglitore di pomodori probono no?) scrive “Joe Stretch è un’autore così originale che è inutile paragonarlo ad altri, ma il suo humor, il tono sardonico suggeriscono che Burgess è vivo e in ottima forma”. Fossi in B. un salto fuori dalla tomba lo farei. Per ammazzare sia Royale con formaggio sia Banana Joe. 3) L’autore. Il coglione pensa che fare l’occhio a Bret Easton Ellis e a Don DeLillo sia il miglior modo per fare un’opera prima. Sii minimalista fino in fondo e risparmiami. No eh? Troppo semplice. 4)Trama. C’è tutto il companatico: il flusso in terza persona così da “impersonificare lo straniarsi dai sentimenti da parte di giovani allucinati da sesso, droga e alcool”; l’ambizione di scalare vette sociali grazie a investimenti in borsa, la noia. Morale? Gli anni novanta sono finiti. Anche in letteratura. In fede Clark F.Nova DELTA BLUES - Kai Zen “Questo libro è una cover..”. Una cover!? Per “suonare” una cover come dio comanda ci vogliono gli strumenti. In questo caso, una scrittura decisa, di un certo stile. Idee ben chiare, capacità di tenere il lettore incollato alla pagina, sul pezzo. Quello che, per inciso, riesce a fare il buon Conrad in “Cuore di tenebra”. Qui seguiamo le vicende di Klein, esperto geologo assoldato dall’Ente, azienda petrolifera senza scrupoli che ha grossi interessi nel delta del fiume Niger. Il buon Klein ha l’animo nobile, lotta per le energie rinnovabili; l’Ente ne approfitta, lo invia suol posto apparentemente per approfondire il discorso, cercando di farlo eliminare dai ribelli locali, che sabotano i pozzi petroliferi. Klein si salva e scompare nel ventre della foresta. Sulle sue tracce si piazza Ivo Andriç, il tipico agente speciale stile cane da tartufi che deve scovare il geologo. Risalendo il fiume, Ivo toccherà con mano gli orrori ambientali causati dell’avidità, arrivando nel cuore della foresta. Sinceramente l’idea iniziale era buona, l’ambientazione e la struttura portante interessanti. Ma qui non si parla di classici, si parla di eco-thriller, noir di eco-mafia. Meno paroloni e più materia grigia avrebbero prodotto un buon libro. Ma loro l’hanno detto, “Questo libro è una cover..”.. Montblanc IL CIMITERO DI PRAGA - Umberto Eco E se la storia non fosse altro che una balla colossale? Se fosse poco più di un inganno? Che ne sarebbe delle nostre certezze? Il sesto romanzo di Eco è un biglietto di sola andata verso le infami conseguenze del pregiudizio e delle (finte) convinzioni dell’uomo. Un diario che, nelle sue turpi vicende, farà mostra del rancore quale ingegnoso e perverso strumento politico del potere. Sarà il sordido Simonini, diabolico protagonista mezzo falsario e mezza spia, ad architettare (e vendere) inverosimili complotti in un’Europa di fine Ottocento quanto mai travagliata. Dall’Italia, confusa nel farsi nazione, fino ai quartieri di Parigi, putrescenti e ricolmi di rivoluzionari, massoni, satanisti e poveri pazzi, saranno le infinite lotte di palazzo a fronteggiare, mentre lo strambo protagonista, assoldato e pagato, fingerà congiure e ordirà per sempre contro il prossimo. Con una narrazione implacabile nell’esibire la follia e la violenza del “sentito dire” l’autore saprà condurci là dove odio, politica e false credenze si fondono: nel buio pesto di ogni società, passata e futura. MG 17


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I cornuti (?)

della vecchia arte moderna Tony Oursler: Open obscura Immense bocche clownesche che sussurrano monologhi schizofrenici. Foreste di sigarette che si consumano tra la cenere. Microcosmi orwelliani in cui si muovono fantasmi ellenizzanti. Le video-sculture di Tony Oursler, ibridi tra l’arte plastica e i new media, si servono dei labili mezzi postmoderni per denunciare la vacuità della società contemporanea. Adorato da David Bowie e i Sonic Youth, con i quali ha collaborato in più occasioni, l’artista ha presentato una personale al Pac di Milano. Il tuo lavoro è fondato sulla contaminazione di due linguaggi antitetici, la scultura e il video: non è una contraddizione? “Sono discipline diverse, l’una solida e imperitura, l’altra effimera e illusionistica, ma si integrano perfettamente: la scultura conferisce un’aura di solennità ai contenuti trasmessi dal video. L’arte della tradizione s’innesta nel linguaggio contemporaneo e lo sabota denunciandone la fragilità”. In passato hai affermato di voler “creare un guasto nella cultura estetica”… “Sin dagli esordi ho tentato di creare qualcosa di nuovo, di eversivo, che lasciasse attonito il pubblico e al contempo lo stimolasse a riflettere su temi quali la violenza, le compulsioni, l’inquinamento, la prevaricazione della tecnica. Il video mi è parso lo strumento ideale per veicolare questi messaggi: è universale, efficace, sortisce un coinvolgimento immediato con il fruitore”. Nei tuoi lavori preconscio e inconscio si fronteggiano portando alla luce fantasmi, pulsioni e tensioni recondite che si annidano nella psiche. “L’attenzione per gli elementi malati della mente è alla base del processo di guarigione: per esempio, un paziente cerca di superare un trauma infantile rimosso che gli sta rovinando la vita da adulto. In questo “campo di battaglia” si collocano molti dei miei personaggi, benché spesso essi rappresentino un conflitto più diretto con le loro azioni: andando a sbattere contro un muro, dando martellate, tormen- tandosi a vicenda. Sono in contrasto tra loro. Attingo a Jung, che considerava l’inconscio una potente forza creativa, capace di aiutarci a sfruttare la nostra immaginazione. L’arte consente di equilibrare il gesto incontrollabile del delirio e la negazione di un processo mentale razionale”. Qual è la tua posizione rispetto a Internet? “La nuova tecnologia dovrebbe spesso essere valutata al livello più banale. Forse la gente passa troppo tempo a far nulla. E’ una sorta di stato esistenziale contemporaneo: credere che si stia facendo qualcosa quando in realtà non si sta facendo niente. Potrebbe essere lo stadio finale del capitalismo. D’altra parte, il compito che mi sono prefissato consiste nel cercare di scoprire come fare qualcosa con Internet, come trarne arte. Valuto il web come una sorta di specchio universale, che continuerà a delineare la mente umana in modi singolari, come solo la tecnologia può fare, creando una sorta di costruzione esterna, parallela, dell’umanità. Possiamo navigare sulla rete, addentrarci nei suoi meandri, ma ne abbiamo raramente una visione d’insieme; pertanto volevo meglio definire questo progetto, farne un tema per il mio lavoro”.

Alessandra Troncana 20


Lo potevo fare anch’io Guerra al tappeto I tappeti tradizionali delle nonne sono affascinanti solo quando fanno un bel pendant trash con i salotti delle nostre ave, puntato al pavimento dai pesanti tavoli di rovere e circondato da una collezione di mille stili e stilemi dalle assonanze rococò. Ma in una vostra sala qualsiasi no! Non fatelo mai! Pena l’appellativo di cafone, sempre non ci teniate a questa onorificenza. In una casa intelligente ci vuole il tappeto giusto, si sa che dà un bel tono all’ambiente. E attualmente il più bello è il War Rug, il tappeto di guerra. Le immagini belliche ormai si vedono dappertutto: telegiornali, film, youtube fino al precedente Luzer n. 19(14), fra non molto anche sul caffé mattutino e nel Camogli dell’Autogrill. Mancavano solo drappi e scendiletto: gli afgani, prontamente, hanno esaudito tale mio desiderio. Realizzati con lane e cotoni più grezzi rispetto a quelli presenti sui nostri mercati e preparati rigorosamente a mano, di fronte ad un tradizionale tappeto afgano lo sguardo viene solitamente attratto dalla forza dei suoi colori e l’osservatore si avvicina per scoprire complessi intrecci geometrici di simbologie antiche, un universo paradisiaco di flora e fauna di un mondo mitico e lontano. Con il War Rug (per gli indigeni Narche Jangi) si è dato un bello strappo alla banalità, basta col paradiso e lunga vita a: elicotteri, carri armati, missili, proiettili, pistole, fucili e mitragliatori. Il fenomeno nasce con l’invasione e l’occupazione sovietica dell’Afghanistan nel 1980, quando le tribù con i loro turbanti, capre e coltelli si vedono arrivare truppe militari straniere con moderni equipaggiamenti e mezzi pesanti blindati. Un assedio che ha addirittura sconvolto l’iconografia tradizionale locale, includendo forme e raffigurazioni con-

temporanee. Al di là di un certo naivismo da disegno infantile, vi è una perfezione a livello iconografico assai singolare, fino al punto di permettere la distinzione tra un Kalashnikov AK-47 e il più recente AK-74. Il messaggio? non facile da decifrare, deriva da esperienze personali e da immaginari intimi e soggettivi. Molti di essi sono stati intrecciati con motivi antisovietici e raffigurazioni patriottiche: iconografia inizialmente concepita come un talismano augurale affinché la vita e la luce risorgessero dalla morte e dal buio dell’invasione. Per noi che siamo più terra-terra, vi dico che ci starebbe benissimo persino nella nostra sala Ikea.

Ludovico 21


Garage Filosofico Ovvero i FINALI ALTERNATIVI

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Dopo aver visto un film o una serie, aver letto un libro di storia od un romanzo, alle volte mi chiedo: se non fosse andata a finire così? Se, per esempio, Reth non avesse lasciato Rossella, oppure se Penelope avesse riconosciuto Odisseo al primo sguardo o se non ci fosse stata la “reconquista”, cosa sarebbe successo? Mi lascio allora trascinare dalle suggestioni e se un’Europa dominata dalla cultura araba ancora ancora posso immaginarmela, un mondo senza “Domani è un altro giorno” è qualcosa che lo potrebbe privare di ogni senso. Del resto se Dorian Gray non avesse pugnalato il suo quadro, allora forse vivrebbe qui ancora fra noi e sarebbe una specie di Pete Doherty o Luke Perry. E se Goethe non avesse deciso per la morte di Werther molti suicidi ai suoi tempi si sarebbero risparmiati, insieme a molti lamenti. I finali da sempre condizionano il nostro modo di vedere le cose, creano degli schemi di riferimento, delle citazioni ineludibili e delle metafore del vivere da cui non si può prescindere. Definire l’uomo e il suo agire risulta essere infatti impossibile e da qui deriva la fallibilità e limitazione di ogni tentativo che voglia rinchiudere l’uomo in un sistema predefinito. L’unica cosa che possiamo fare è affidarci a quelli che Aristotele genericamente denominava “typos”, ovvero degli esempi di azioni che possono essere considerate come rappresentative dell’agire umano. Ogni personaggio e la sua storia è quindi esemplificativo di un mondo, una prospettiva, un modo di essere e traccia una linea guida che influenza il nostro modo di vedere le cose. Nell’antichità l’intreccio tra una concezione del mondo e la vita era evidente, per esempio, nei dialoghi di Platone, o nei miti e nelle leggende. Oggi sono fiction e soap operas ciò da cui maggiormente si attinge. Diversi autori hanno compreso il ruolo di questo intreccio e pertanto vi hanno giocato mostrando un ribaltamento del mondo, come per esempio ha fatto Dürrenmatt ne “La morte della Pizia” rispetto alla storia di Edipo oppure Groening, che nei Simpson in una puntata fa ritrovare da Bart e Lisa un finale alternativo di “Casablanca”. Queste rimanipolazioni da un lato mettono in luce il valore di una storia, con i suoi personaggi e la sua trama, ma dall’altro mostrano la labilità delle descrizioni umane e la loro versatilità. Ogni stile, ogni modello, ogni racconto non si impone di fronte a noi come uno spazio in cui dobbiamo incastrarci, ma come un luogo da cui trarre riferimenti, idee, mosse per affermare la nostra personale via e libertà. Abbiamo il compito di costruire le nostre storie e le nostre frasi d’impatto anche se non saremo mai né Starsky o Hutch, né Juliette o Justine: noi siamo liberi di crearci i nostri finali alternativi. Intanto possiamo continuare a giocare con le storie e abbandonarci a nuove suggestioni e chiederci, per esempio, cosa sarebbe successo se invece di Anna Karenina sotto un treno si fosse buttata Hannah Montana. Fo Elettrica 22




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