Luzer!#12

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INDEX

03Idle of the Month04Retro-Spektiva05Pro-spektiva06Movie The Most07Cyberwars08Make Love & Listen to the Music10Luzertube!11Hits in the Box12Zoom on14Clubbing Corner15Patty Music Consultant17Books from Boxes18Morte al Fescion20I Cornuti(?)21Lo potevo fare anch’io22Garage Filosofico LUZER! { free press } E’ REPERIBILE PRESSO: Brescia random: Pride bar, Arte in te, Fabbrica del cacao, OnlyOne vintage shop, Bodeguita, Frisco, Viselli’s, Bazaar wear, Kandinski records, Lio bar, Boys loft, Ivan bar, Oslo, La Bicicletta, Latteria Molloy, Le Tits, Wardrobe, Bar da Franco, Minoia store, Bookstop, atenei universitari & many more..Maybe {Travagliato}, Romano {Villachiara}.. Orzinuovi: Barbel, Forbice shop, Pacorock cafè, La Crisalide, Libri a Merenda. Bergamo: Bazaar Wear, Coffee’n’television ....certi negozi, certi clubs, certi atenei...a seconda delle nostre gite…Milano LUZER! meets&loves OndeQuadre.it: web site of Emerging Contemporary Art Exhposition

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Idle of the Month Califano Pensi a Franco Califano e pensi a un vecchio porcello vizioso: le belle donne millantate come trofei di carne, i bordelli in velluto dei Parioli, qualche love story “stupefacente” e un amore eterno con la Vodka secca. Poi pensi alla Roma di fine anni ’70 - quella violenta e mitologica, profumata di calibri Beretta, sesso e galera facile – cui ha dato voce popolana raccontandola dal basso periferico ai tetti occulti della Magliana, diventandone l’effigie abbronzata. Poi, in fondo (ma solo in fondo), pensi che sia anche un cantante e un autore: buono o cattivo non è dato sapersi, che tanto conta poco o niente. Un artista…? Macchè, troppo grottesco. Un attore…? Naaaaa, troppo grasso. Un amante straordinario…? Impossibile, troppo vecchio. Eppure il Califfo è stato ed è tutte queste cose assieme, finendo - suo malgrado - vittima ingenua della parabola iperbolica del “troppo”: sorte inevitabile dei puri che giocano a fare gli impuri, col sorriso romantico di chi un po’ la vita la sprezza disincantato, mentre in realtà la ama come un bambino lo zucchero filato. La notizia: Califano chiede la legge Bacchelli. Eco mediatico di rito: tutti dentro come i polli a vendere moraline - “na vita a trombà e mò vuole pure à mortazza!?” -, urlando lo scandalo del cattivo costume di un Paese che crepa di fame e dovrebbe ingrassare un cinghiale rugoso per la sua arte (?) che fu. Misfatto! Miseria! Vergogna! Furbo e latino com’è, non stupirebbe fosse una mossa ordita a tavolino con mestiere per un po’ di sano prezzemolismo. Un genio, in questo caso. Ma anche nel caso in cui avesse chiesto quattro lire per ripagarsi le vertebre spezzate, una pensione più comoda e magari qualche arretratino di quelli scottanti. Cosa c’è di male? Legittimo, basta chiederlo con gentilezza alle persone giuste. Poco da fare, c’è chi può e chi non può. Questione di stile: coatto, con l’occhialetto fumé e la tunica bianca, ma comunque stile. Buono per nascondere i menti in eccesso e un cuore grande così. In TV per chiarire lo scandalino nei salotti dabbene – lui che è nato per caso sopra ai cieli di Tripoli più di 70 anni fa – è apparso meno a suo agio del solito, un po’ ingolfato, invecchiato, ma sempre sagace e a cazzo duro. Certo, nella rehab di “Music Farm” con la Ventura dominava in lungo e (soprattutto) in largo al cospetto del branco di cariatidi fallite, del quale faceva parte solo idealmente: guai a paragonare la carriera del Maestro a quella di gente come Pago o Alessandro Safina. Perché con una mano Califano reggeva il vino rosso, con l’altra impugnava una stilo illuminando le voci di Mimì e della Vanoni; facendo il pippone con la narice sinistra, e inspirando i sospiri affannosi di una vita in bilico, per soffocare il dolore “in un tempo piccolo”. Capodanni inutili e stralunati, estati nostomaniache che volano via e lo spettro cinico della noia a pervaderne i versi degni di poesia cristallina. Morale della favola, atto secondo: nonno Franco, nonno di pathos, vieni qua, cantaci le più belle filastrocche sghembe di sempre che i soldi per crepare felice te li diamo noi. Elia Z. 03


retro-spektiva Werner Herzog: il silenzio della Natura e la conquista dell’Inutile Nel 2004 Werner Herzog pubblica i pensieri del periodo “Fitzcarraldo” col titolo: “La conquista dell’inutile”. È un titolo più che significativo: per Herzog l’oggetto che dà motivo d’essere (lo scopo delle azioni) è “inutile”. Cosa significa affannarsi per conquistare ciò che non-serve? A ben vedere è già tutto in “Lektionen in Finsternis” (’92): un operaio lancia inspiegabilmente una fiaccola su un pozzo petrolifero, da lui stesso spento con enorme fatica, riaccendendolo. Si tratta semplicemente di un gesto insensato o c’è qualcosa di più? È necessaria una doppia lettura: da una parte c’è una conquista, dall’altra una sconfitta (l’inutile come risultato della ricerca). Io credo che Herzog tenda a scindere le due componenti: la conquista è “ciò che sta nel mezzo”, è l’azione, la passione; l’obiettivo, per dirla con Hitchcock, è un McGuffin: l’espediente che dà senso al divenire. La sconfitta, invece, è la tragica grandezza dell’esistenza: “il crollo delle galassie avverrà con la stessa, grandiosa bellezza della creazione”. Quasi sempre nel cinema di Herzog ciò che trafigge le illusioni dell’uomo è la Natura; una Natura il cui comun denominatore è orrore, oscenità, decomposizione. Indifferenza. È armonia di un “travolgente omicidio collettivo”. Se l’opera di Bergman denuncia il Silenzio di Dio, con Herzog la ricerca artistica si concentra sul Silenzio della Natura. Sul regista grava il peso di quella bellezza silenziosa che avvolge le cose naturali; è ciò che lui stesso chiama “verità estatica”. L’indifferenza della Natura e l’emancipazione dell’uomo tecnologico lo spingono ad una ricerca disperata, oltre i propri limiti. In un certo senso, come Pasolini, Herzog è un intellettuale senza speranza. Entrambi, per sopravvivere, devono ricercare frammenti di verità attraverso l’arte; in questo, il senso del loro produrre è esistenzialistico. Sloterdijk ebbe a dire che se il mondo non può essere trasformato, va sopportato: credo che Herzog si inserisca a cavallo tra questa condizione postmoderna di abbandono ed una diversa, di contemplazione metafisica. Come per molti altri artisti, il suo pensiero si nutre di contraddizioni di natura dialettica; l’atteggiamento nei confronti dei soggetti cinematografici è sempre duplice: da un lato, presta loro confidenza, dimostra un’irrefrenabile curiosità, empatia, quasi; dall’altro, li piazza al centro del palcoscenico per metterne a nudo l’assurdità, l’illusione, la vanità delle azioni (come in “Grizzly Man”, dove passione e com-passione si compenetrano). Cinismo/passione, distacco/partecipazione, azione/disillusione. Tutto ciò, però, unito da quel sentimento che dà forma alla contraddizione: la consapevolezza. Herzog non è sopraffatto dalla vacuità perché, con distanza critica, si dà consapevolezza, controlla il vuoto e dà forma all’inutile. Si dice che coltivi le difficoltà. Di certo sa che affrontarle conta più che superarle.

Giovanni Mensi 04


pro-spektiva “Des hommes et des dieux” : una storia al plurale Gran Premio della giuria all’ultimo festival di Cannes, il film di Beauvois racconta, senza compiacimenti e senza retorica, un fatto realmente accaduto. Il 26 marzo 1996, sette monaci francesi del monastero di Tibhirine, in Algeria, vengono rapiti da un gruppo di estremisti islamici. Il 30 maggio dello stesso anno verranno ritrovati i loro cadaveri. Dopo l’inaspettato successo ottenuto nella sale d’oltralpe, arriva anche in Italia il film di Xavier Beauvois, il cui titolo è stato malamente tradotto in “Uomini di Dio”, eliminando così il riferimento importante alla molteplicità di fedi e religioni rappresentato da quel “dieux” del titolo originale. “Des hommes et des dieux” si sofferma sul periodo precedente al rapimento dei monaci e racconta la loro vita all’interno del monastero, circondati da un ambiente ostile, dove il pericolo del terrorismo è tale da mettere in dubbio persino la loro permanenza a Tibhirine. “Des hommes et des dieux” avrebbe meritato, secondo qualcuno, addirittura la Palma d’Oro. Qualcun altro, esagerando, ha persino tirato in ballo Robert Bresson, per il pudore col quale il regista ha affrontato l’argomento. Niente di tutto questo, perché Des hommes et des dieux non è un film d’autore e soprattutto non vuole esserlo. Non particolarmente originale sul piano visivo, ad eccezione di alcune inquadrature particolarmente riuscite, come quella finale in cui si scorgono i sette monaci allontanarsi nella nebbia fino a scomparire, e dallo stile abbastanza anonimo, Des hommes et des dieux è un film secco, asciutto, forse più importante che bello, ma con il grande merito di non cadere nella retorica facile o nel sentimentalismo di maniera. Una regia che punta alla sottrazione e che, un po’ come la vita dei protagonisti, si sofferma solo su ciò che conta veramente, abbandonando ogni facile estetismo. Un linguaggio la cui asciuttezza si ritrova appieno anche nelle recitazioni, uno dei punti di forza del film, tra cui spiccano per misura e convinzione quelle di Lambert Wilson (padre Christian) e Michael Lonsdale (padre Luc). In un cinema come quello di oggi, dove la stranezza è spesso scambiata per genialità e dove la voglia di sorprendere a tutti i costi maschera un’incapacità cronica di raccontare storie, un film senza vezzi autorali, che sappia coinvolgere e far pensare con una storia così semplice, rappresenta certamente qualcosa di positivo. Alla faccia dei tanti autori che autori non sono, Xavier Beauvois mette umilmente il cinema davanti a tutto per raccontare una storia piccola e intima, ma dal significato universale. Una storia di uomini. Una storia di “dei”. Al plurale, beninteso. Michele Boselli 05


movieThemost The Social Network, di David Fincher (2010) Immagino che molti avranno sbrigativamente etichettato “The Social Network” come “il film su Facebook”, ergo: “Sarà un’americanata per ragazzini lobotomizzati da computer e televisione“. Niente di più sbagliato. Diversi indizi raccontano altro: tanto per cominciare, il regista (che proprio nato ieri non è - “The Game”, “Seven”, “Fight Club”), in secondo luogo, il titolo (il film non è tanto su Facebook, quanto sulle relazioni e i conflitti inter-personali tra i fondatori). A Fincher, più che l’oggetto in questione (Facebook), interessano le menti che lo hanno creato e la loro interrelazione sociale. Il film è intelligentemente costruito intorno agli scontri legali tra il fondatore Zuckerberg e i geni satellite che han partecipato alla creazione: tra gli altri, Saverin e Sean Parker (l’inventore di Napster). Tutti insieme costituiscono una piccola rete sociale fatta di genialità, di doppi-giochi, di compromessi e, soprattutto, di ambizioni. Come si trasformano i rapporti di un gruppo sociale costituito da singolarità (potentissime, ognuna a suo modo) quando i giochi si fanno seri? Il film è anche una lucida riflessione sulla figura del (giovane!) Genio contemporaneo; Facebook è un’idea semplice (a posteriori), ma proprio nell’estrema semplicità sta la difficoltà: spesso le cose più difficili da pensare e da elaborare son quelle più evidenti (perché, date per scontate, vengono assimilate al comune modo di fare). Zuckerberg ha “semplicemente” decostruito le macro-“necessità” del giovane d’oggi e le ha ricomposte fornendo uno strumento per sfogarle. “The Social Network” è uno spaccato dell’America d’oggi: quella che, nel valorizzare i giovani talenti, ci fa mangiare la polvere. In attesa dell’Oriente, si intende. Giovanni Mensi -------------------------------------------

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cyberwars

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Libero sfogo elettro-cibernetico anti bufala L’idea di partenza era quella di studiarmi Google Chrome OS, il sistema operativo della grande G in “creazione” e che sarà totalmente cloud: non esiste ancora una beta ufficiale, ma essendo basato su Linux è open source. In rete trovai un torrent di una versione più che beta, praticamente anoressica, tirata fuori dal cilindro di qualche smanettone che ne fece un disco virtuale per VirtualBox, la avviai... La pagina di accesso è totalmente minimale e già noto l’obbligo di avere un account Gmail per poter accedere. Avviato il sistema - velocissimo, non c’è che dire - il “desktop” è praticamente identico a Chrome (il browser), se si esclude qualche piccola sottigliezza: una scheda perennemente aperta su Gmail, un collegamento alla cartella-scheda applicazioni con un rettangolino grigio che in divenire sarà l’app store marchiato G, applicazioni già presenti in rete (Google Docs al posto di Office o simili, una calcolatrice, link a picasa, facebook e altre boiate), tutte senza possibilità di salvare i file su disco. Si possono lasciare solo in rete. Utilissimo se ti trovi a piedi col pc: basta il tuo account e riesci ad accedere al tuo “sistema virtuale” da qualsiasi postazione, ma a livello di privacy inizia a venirmi qualche formicolio allo stomaco. Guardandomi in giro e vedendo come saranno i prossimi Windows e MacOS - come per il progetto MeeGo di Nokia e Intel (uscito lo scorso 25 maggio) - noto subito che la tendenza, oltre che spostarsi tutti in Cloud, è quella di delegare ad un app store che funge da magazzino per scaricare le applicazioni del produttore del sistema; cosa assai utile a livello di organizzazione del software, ma che potrebbe limitare la libertà di pubblicazione, come già successo con iOS, symbian e (fortunatamente una sola volta) Android: se al produttore non va bene un’applicazione, ha totale libertà di eliminarlo dal market e dai dispositivi. Ora, non vorrei gridare subito al 1984 orwelliano, però con una visione d’insieme abbiamo delle software house che ci danno sistema operativo, disco fisso virtuale dove lasciargli i nostri dati (seppur crittografati e con password) e ci dicono quali applicazioni possiamo usare e quali no. Poi abbiamo la TCG che sui nostri pc, smartphone, tablet, netbook e forni a microonde ci piazza un chip che permette di installare solo determinati sistemi operativi e determinati software. Beh, sotto il punto di vista della sicurezza siamo a cavallo, i terroristi troveranno nuovi metodi per scavalcare queste restrizioni, mentre i piratucoli da strapazzo che commettono il terribile crimine di scaricare musica gratis da eMule si troveranno a dover acquistare i loro brani su iTunes. Chissà se un giorno riusciranno anche a mettere i bastoni tra le ruote dei Creative Commons (CC) in modo da aiutare anche la SIAE e i suoi compagni di merenda gambizzando sempre più i piccoli artisti… G4r85 07


Make l ve & listen to the music ROBYN - Body Talk Pt.3 L’ultima parte della trilogia di Robyn ci regala 5 nuove perle per dance-floor colorati, ma con tanto cuore come solo lei sa fare. Qui colpisce non solo la qualità del sound - dance-pop elegante con sfumature retro ‘80 e ‘90 (“Stars 4-ever” e “Get Myself Together”) -, ma anche l’intensità delle emozioni che Robyn riesce a trasmettere: vedi pezzi come “Indestructible”, primo singolo estratto, o la splendida “Call Your Girlfriend”… un testo che al liceo avresti copiato con cura sul diario.

SUEDE – The Best of Suede Può capitare a tutti di commettere degli errori: ad esempio essersi persi l’epopea più bella dei 90’s albionici. Ecco dunque il vademecum per aggiornare il detto “sbagliando…si sbaglia. Poi s’impara”. Brett Anderson e Bernarnd Butler (roba da Morrissey-Marr) ai raggi x dentro una doppia antologia in cui manifesti Melody Maker tipo “Trash” e “Beautiful Ones” amoreggiano con riesumazioni melodrammatiche minori - “She” -, nel segno di un ciuffo epocale. Manna per i pigroni poi la soluzione “best of”: dato che la britpop era fa da sempre rima con hit-single, quale modo migliore per riabbracciarli tutti insieme…?

WEEZER - Hurley Per i Weezer la sindrome di Peter Pan in salsa festaiola non è una patologia. Neanche all’alba dei 40 anni, quando le “Memories” da raccontare diventano tante: basta farlo con adorabile spensieratezza power-pop (“Ruling Me”), ironia pseudofilosofica (“All My Friends Are Insects”) e pathos urlato da grande festival (“Hang On”). Ottimo per rivivere emozioni teen, se sai vivere la nostalgia senza retrogusto amaro. THOC! - Nicolao Partiamo da un presupposto: i Thoc! sanno come si costruisce una melodia pop perfettamente funzionante. Detto questo, non sempre le cose funzionano a dovere (abuso si synth-2007 e aria di già sentito), ma quando funzionano sono sprazzi stupendi, anche nei dettagli: l’ascesi finale - dark e binarica - di “1000reasons”, il pausone New Order (“Patty Party”) e il combo melanconie albioniche vs “famolo basico et emotivo”(“The Dove” e “Happiness will come in summer”). Divertimento rateizzato, coscientemente zarro : “Garda Deutsch” è la stessa identica cosa che andare al Paradiso a ballare euro-disco ubriachi e in approccio femmineo (Sin With Sebastian dice sì). Ma c’è ironia, merce rara, e allora tutto...funziona bene. Appunto.

KINGS OF LEON - Come Around Sundown I KOL hanno trovato la ricetta alchemica del successo cinque dischi fa. Perché cambiare? Il nuovo lavoro, 13 tracce southern-rock con richiami ai primi U2, darà gioia ai fan di sempre, ma rischia di annoiare l’ascoltatore attento. Se poi il singolo “Radioactive” ti sembra l’unico pezzo d’impatto, potresti pensare che - citando la seconda traccia – “This could be the end”. BRIAN ENO - Small Craft On A Milk Sea Eno regala un biglietto per l’outer space, ovviamente a chi sa ascoltare e chiudere gli occhi nella maniera giusta. L’elettronica ambient di Dio Brian trasporta in mondi lontani e deserti, alcuni appena accennati dal pianoforte romantico di “Emerald And Stone”, altri sognanti e da capogiro in pezzi come “Paleosonic”. Un viaggio magico o una camomilla dormiveglia, a seconda del palato.che Topolino era un papero.

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FABRIZIO TAVERNELLI - Oggetti del desiderio L’errante prezzemolino della scena alternativa pre-giubileo sfoggia l’esordio solista all’insegna di un cantautorato diagonale che cita tanto gli archetipi wave - “Benvenuti tra i rifiuti”, omaggio al culto di Faust’O - quanto le disillusioni di Seattle (“Aspettando il vip”: critica medio borghese che profuma un po’ troppo di “spirito giovane”…). Nel complesso comunque un discreto lavoro: catchy quanto basta, sonicamente eterogeneo e coi testi che non le mandano a dire. All’uopo per funky-rivoluzionari annoiati. KULA SHAKER - Pilgrims Progress Un disco che potrebbe avere 50 anni, ma che è uscito ieri. Dodici pezzi impregnati di fumi psichedelici, che ora ti emozionano con voce Dylaniana e chitarre à la Byrds (“Modern Blues”), ora ti rilassano con dolci caramelle sixties (“Barbara Ella”, “Only Love”). Perfetto quando vuoi far pausa dalla big thing del momento e fumare una sigaretta sulle rive di un placido fiume blues. ALCOL ETILICO - Alcol Etilico Un nome del genere e pensi a quattro mastodonti trashoni che suonano metallo arrogante. Invece la band sicula si dedica con piacevolezza ad agrodolci melodismi easy-rock di derivazione, schivando l’effetto “plagio-a-spregio”: sontuosa la nostomania pop di “Anni 70”, “Dentro casa” è psico-Doors, mentre le sperimentazioni tango di “Nala” fanno un buco nell’acqua. Traccia numero 6, “In vino veritas”: innocui, ma definirli memorabili è un po’ come dire che Topolino era un papero. SALEM - King Night Disco d’esordio per questi tre americani appassionati di drum-machines e situazioni oscure, manifesto di un genere nuovo definito witch house. Di fatto è musica intrisa di bellezza malata, tenebre e inquietudine. Basi rallentate e voce femminile che ti sfiora con freddezza, sussurrandoti chissà cosa da chissà quali mondi (“Redlights”), memorie del più glaciale trip hop (“Hound”) e synth apocalittici nella title track. I Salem ritraggono il terrore primitivo e deserti dove ulula solo il vento: ascoltato di notte, fa più paura dell’esorcista.

Einstürzende Neubauten @ Estragon (BO), sabato 13 Novembre 2010 In occasione dei trent’anni di onorata carriera il monumentale gruppo industrial tedesco ha intrapreso un lungo tour (forse l’ultimo?) che sta toccando le più importanti città europee e nord americane. La band capitanata da Blixa Bargeld ha sempre avuto un rapporto speciale con Bologna, non stupisce quindi che il luogo designato per la doppia serata sia un Estragon immerso in una leggera nebbia autunnale. Nella serata di sabato lo show “classico”, mentre il giorno seguente un repertorio più singolare: pezzi mai eseguiti e side projects dei vari componenti. Alle ore 22 il languido basso di “The Garden” da il via allo spettacolo, che si rivela straordinariamente appagante. Non solo per la durata (i nostri hanno suonato ampiamente oltre le due ore), ma anche per un piacevole equilibrio tra i brani più melodici e teatrali (“Silence Is Sexy”, “Dead Friends”) e quelli più seminali e aggressivi (“Die Interimsliebenden”, “Haus Der Luege”, “Redukt”) nei quali il geniale percussionista N. U. Unruh pesta come un indiavolato su tubi, bidoni e lamiere. Un caos organizzato, rumori del ventesimo secolo sapientemente imbrigliati e animati con la poesia di cui solo loro sono capaci.

Paul BHN 09


LuzerTube! 2001

SUPER FURRY ANIMALS (2001) - Juxtaposed to you Dici Galles e pensi a una manica di ragazzi carotini con le palle d’acciaio che giocano a rugby. Ecco, gli Animali Super Pelosi non si discostano molto dal clichè, ma in più sbarcano il lunario divertendosi a fare musica sfottò-retroattiva che se nessuno capisce “siamo ancora più fieri”. Guai però a pensarli visionarie pappemolli snobiste, perché gli ex-galoppini di casa Creation sanno che il grimaldello per la felicità si chiama semplicità: “felicità è mangiare un panino la felicità”…e innamorarsi tra neon, pruderié notturne e un vocoderino aggrazziatissimo che ti manda a nanna con la gioia della tristezza nelle budella kinkycasanova.

POPPY FACTORY - Stars (1991) “Really ecstatic pop remember wanting to be 8 years older and rave to this‍ at the Hac ‍90’s children unite”. Ovvero la perfetta catarsi britannica in cui crogiolarsi sciogliendo i corpi e toccare soffici nubi galattiche, leggeri nell’assecondarne le dilatazioni lisergiche post-shoegaze (con più melodia e una romantica cassa in 4). Come il pugno di sognatori debosciati dentro all’Hacienda mancuniana vent’anni fa: la chimica-chimera di un mondo nuovo nel cuore…il grigio suburbano ad aspettarli all’alba là fuori. Cieli liquidi da (ri)accarezzare in domeniche pomeriggio piovose forever.

2010

BEST COAST - Happy (2010) Se ti stai chiedendo “che diavolo ci fai bevendo a L.A.”, c’è solo una risposta…sfocata, surf-garage e a bassa fedeltà: consumi Singapore Sling tra palme e tramonto, in attesa del contrappasso notturno 60’s (ideogrammi di Whiskey a Go-Go e sabbie di Venice). In altre parole, la più bella sensazione naif-pop a stelle e strisce dell’anno.

ROXY MUSIC - Lover (1980) Il seducente glamodrama veste lo smoking impeccabile di Bryan Ferry. E si contrappunta con i piumaggi tanto ambigui quanto luccicanti, e - se possibile - ancora “oltre” il sigillo androgino del Brian Eno più in forma di fine secolo. 45 RPM screpitanti di poesia basica e arpeggini ruffiani per microclub fumè & luci purpuree: perché romanticismo fa rima con edonismo, coscienti che per onorare il verbo rock non serve bucare le carene degli amplificatori e mostrare il culo ai dirimpettai.

2010

1991

1980

RIGONONDORME - In my life (2010) Ovvero quando uno “ye-ye” vale più di mille subordinate d’impegno poetico (con buona pace del cantautorato tutto). Febbre del sabato sera che si aggiorna in sale da ballo nu-disco, dinoccolata in punta di piedi su chitarrino french più vocalità perfezione. Insomma: gli orli non sono più a zampa ma il senso è quello: se in più ci aggiungi che dietro non c’è gente tipo Thomas Bangalter o Ben Diamond, ma un uomo riccio e magro che ribolle dalla “scena”, la pillola funky memorabilia assume i connotati del miracolo natalizio.

Elia Z. 10


HitsintheBOX PASSENGER - Placid Haze A GUY CALLED GERALD - Just Soul Freelance (intelligent techno/dubstep) MARTYN - All I Have Is Memories SPACE DIMENSION CONTROLLER - Transatlantic Landing Bay THE FOUR TOPS - Reach Out I’ll Be There UNDERGROUND RESISTANCE - Sometimes I Feel THE GODSON & DJ RAYBONE - Nova 2 LUKE HESS - The Problem Of Decay LEGOWELT - Colorado Snow Music RHYTHM AND SOUND - Poor People Must Work (C2 Rmx)

PAUL BHN

PHIL DELCORSO From His Kitchen (electro/techno/pop)

SUSI THUNDERS

TELEFON TEL AVIV - Lengthening Shadows FAIRMONT - 3 cities GESAFFELSTEIN: Variations ep APPARAT - Circles Dj PUK - Tox OMAR - Feeling you (Henrik Schwarz rmx) GINO FELINO - Spend the night with you ART DEPARTMENT - Without you DAVID HOFMANN - Infrasonic LOW FREQUENCY CLUB - Honfluer

From Plastic, ()MI) (Post punk/shoegaze/’77)

CHEAP SEX - Fuck Emo FLIPPER - Ha Ha Ha UN DEAD - Let Go ANDREW WK - She Is Beautiful COCKNEY REJECTS - Fighting In The Street CRISIS - Afraid DEAD BOYS - Caught With The Meat In Your Mouth MISFITS - Ghouls Night Out FAITH NO MORE - Digging The Grave THE DICKIES - Banana Split

EZIOZ

CHILLY GONZALES - Never Stop (Erol Alkan Rework) REDIAL - 45 Overdrive From Revolver (electro/pogoparty muzak) DAISY DAISY - Michelle Plays Ping Pong (Vicarious Bliss Match Point Rmx) TOMMY SPARKS - Miracle (Grum Remix) DIGITALISM - Blitz PAUL CHAMBERS - Yeah, Techno (Soulwax Rmx) DJ HELL - Friday, Saturday, Sunday GOLDHAWKS - Keep The Fire (Reset! Remix) LATE OF THE PIER - Best In The Class (Soulwax Rmx) BOYS NOIZE - Yeah

DONUT

PANTHA DU PRINCE - Stick to My Side From Razzputin @ Atomic (MI) THE WHITEST BOY ALIVE - Golden FISCHERSPOONER - All we Are (indie pop/punk-funk/wonky) MGMT - Flash Delirium THE CHARLATANS – Weirdo BECK - Cellphone’s Dead YO LA TENGO - Autumn Sweater !!! - AM/AF BLACK STROBE - Me and Madonna BRYAN FERRY – Shameless 11


Zoom On MISS KITTIN

di Elia Z.

Lineamenti teutonici, look fetish e sguardo da mistress, maxitatuaggio orientale sul braccione: alzi la mano chi direbbe che la reginetta planetaria delle dj-ettes è nata a Grenoble e che all’anagrafe fa Caroline Hervé. Dall’infanzia spesa sui dischi dei Supertramp al fenomeno electroclash, passando per “Moskow-Discow” nel walkman del papi e i grandi festival internazionali… toccare il vinile per emozionare, sognando di morire ascoltando Lou Reed: il mistero dell’essere disc-jockey & altri archetipi notturni raccontati da sua maestà sintetica “1982” Lady Kittin. Un clic su Wikipedia e si legge “electronic music dj, vocalist and songwriter”: quale di queste attitudini senti più tua oggi? Mmm…devo dire che è piuttosto corretto, anche in ordine cronologico. Ho iniziato come dj, poi sono diventata vocalist e infine songwriter. Vorrei diventare una “scrittrice di canzoni” completa in futuro, e magari produrre altri artisti. A ottobre Technics ha annunciato di pensionare la produzione del mitico giradischi analogico SL 1200…un’epoca che si chiude o solo una naturale evoluzione “della specie”? Verso quali direzioni sta andando la nuova club culture? Già…è il momento di comprare gli ultimi SL 1200 rimasti nei negozi o trovare qualche bel pezzo usato! Sicuramente suonerò sempre vinili a casa, ma bisogna ammettere che purtroppo è diventato difficile suonare vinili nei locali, e ancora più difficile ai festival. E’ successo a causa dei cd e dei formati digitali. Una parte di me ha nostalgia del tocco del vinile, ma dopotutto, è giusto seguire la tecnologia, e la musica digitale è senza dubbio più economica. Quindi sì, è un’epoca che si chiude, ma “it doesn’t stop the music”! Non mi importa se un DJ suona vinili o cd o usa un computer, basta che sia profondo, che sappia raccontare una storia, che sappia raccontare se stesso. Tuttavia trovo che il sia vinile sia comunque molto più elegante.

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Anche la sbornia “massimale” sembra al capolinea (finalmente): a livello sonoro cosa si fiuta girando attraverso l’Europa? Come costruisci oggi il tuo mix dietro la consolle? E’ una domanda che non mi pongo mai. Non mi interessa. Preferisco essere attenta alle cose che mi circondano. Tutto quello che cerco di creare viene dal cuore, non dalla mente. Ascolto altri dj, ma non per forza mi influenzano. Passo molto tempo ad ascoltare musica, vecchia e nuova, prima di un concerto seleziono attentamente i pezzi che corrispondono al mio umore, al locale e alla gente. Nel mio computer ci sono abbastanza canzoni per fare tutto quello che voglio in qualunque situazione. E’ una libertà che amo. Ma è il mio lavoro! L’anno scorso sei tornata a lavorare in studio con The Hacker (l’album “Two”, ndr): cosa resta dei giorni electroclash di primi anni zero? Ciò che resta, ciò che poteva essere chiamato “electroclash” dalle masse, per noi è semplicemente il desiderio di scrivere canzoni usando sintetizzatori. Molto semplice. Restiamo fedeli a questo formato di canzoni: strofa e ritornello, tutto qui. Raccontaci qualcosa del tuo party “Republique”… E’ un progetto che ho avviato a Parigi perché ero stanca di suonare da sola nel momento “picco” della serata. Volevo far conoscere dei dj che io amo molto - ma che non si sentono mai a Parigi - e offrire loro una festa bella in città. Il concetto era quello di suonare insieme per tutta la notte, dandoci il cambio ogni ora. In questo modo le persone ci avrebbero ascoltato all’inizio, in mezzo e alla fine. Ogni ora arriva l’emozione del cambio in consolle, le persone e chi mette musica condividono un’intera notte insieme. Tutti i dj hanno lo stesso tempo e importanza: è un bellissimo modo per dire “vaffanculo” a certi ego. Quali artisti hanno maggiormente influenzato il tuo gusto musicale e con chi ti piacerebbe collaborare a un progetto? Mmm..difficile da dire. Davvero non saprei. Certamente gente come Aphex Twin o Dopplereffekt ha davvero cambiato la mia vita, ma non vuol dire che stia morendo dalla voglia di lavorare con loro. Semplicemente è un momento in cui mi piace lavorare da sola, e tenere aperta la finestra per far entrare le sorprese che passano per strada. E’ questione di incontrare la persona giusta al momento giusto. Il 7 dicembre tornerai da queste parti, al “Muretto” di Jesolo… che aria respiri nei clubs italiani e in generale quali sono le situazioni internazionali in cui preferisci esibirti? Adoro il Muretto, è un posto splendido per un Dj, molto caldo ed educato. La scena italiana è diventata molto importante negli ultimi anni. Per quanto mi riguarda, so che ogni volta che suono in Italia, la gente si aspetta molto da me, e devo sempre lavorare molto, anche meglio del solito, per riuscire a trasmettere qualcosa. E’ una grande sfida per me. Non mi potrei certo annoiare! Ed è quello che mi spinge a continuare a suonare. Cosa vedi (e cosa invece immagini) al tuo orizzonte professionale? Penso che farò un album da solista, con un tour subito dopo, e poi forse un altro disco con The Hacker. Come ho già detto, poter produrre un giorno altri artisti rimane uno dei miei più grandi sogni. Il mondo sta finendo... Che disco suoni? Lou Reed, “Perfect Day”. Prima di ieri non ho mai pensato a questo pezzo, pensavo ai miei amici e volevo mandargliela per dire quanto li amo! Sarebbe un pezzo perfetto per morire circondato dalle persone che ami.

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Clubbing Corner ep.12 di Phil Delcorso

Gentil sesso in cabina regia

Eravamo abituati a vederle al guardaroba, sui cubi, qualche volta dietro al bancone bar. Altre venivano schierate all’ingresso per sorridere alla gente, oppure arruolate come Pr. Ora sono salite in consolle, sono diventate dj e senza timore dirigono le danze nei club e nei festival più altisonanti. La presenza di donne, nei panni del dj, negli ultimi anni è aumentata floridamente come anche i dischi prodotti dal gentil sesso: basta dare un’occhiata ai vari negozi online specializzati nella vendita o “condivisione” musicale per accorgersi che dietro a certi alias ammiccanti ci sono delle vere Miss dj. Cominciando da Ellen Allien, arcinota sia per i suoi set sia per la Bpitch Control, l’etichetta berlinese da lei fondata e punto di riferimento nel mondo techno; oppure Dinky, Magda, Tania Vulcano, Monika Kruse fino a Miss Kittin, reginetta del compianto fenomeno electroclash. Tutte paladine della musica dance contemporanea ed esempi da seguire per le aspiranti dj. Ad un’analisi macroscopica del fenomeno sembrerebbe quindi raggiunta la parità tanto auspicata (almeno in consolle). La realtà dei club non è proprio così, soprattutto in Italia e a maggior ragione nelle situazioni provinciali dove le dj vengono spesso utilizzate come attrazione per il pubblico maschile, anziché per le loro capacità tecniche, aspetto che dovrebbe essere in primo piano. Alcuni gestori o proprietari di locali (gli impresari notturni) ricorrono invece a questo stratagemma per ovviare alla mancanza di professionalità, di idee, di sensibilità (“Know How” diceva un noto art director bresciano, la chiave di tutto). Affidano quindi alla donna dietro al mixer la responsabilità di incuriosire il pubblico piuttosto che variare l’entertainment del proprio locale. Forse l’ideale a cui aspirano (da piccoli talent scout) è quello rappresentato dalla pomposa Niki Belucci: modella, ex pornostar e dj, che deve la sua notorietà principalmente al topless da 10 e lode con cui si esibisce nei club di mezzo mondo. Così a Brescia, come nelle cittadine adiacenti, si vedono ancora flyer con in bella mostra la faccia di attrici o modelle sottotitolate come “superguest dj”; oppure l’ennesima reclusa del GF, appena uscita da La Casa e trasformata in fretta e furia in Djessa. La colpa di questa mentalità è però da attribuire anche alle aspiranti dj: alcune si presentano in consolle inciampando tra le borse dei dischi (causa tacco 12), con trucco e parrucco impeccabile e poi quando si tratta di manipolare vinili o cd non ne azzeccano una. Ci sono delle eccezioni, ovviamente. Io conservo ancora le cassettine di Miss Babayaga, la dj che per una decina d’anni ha dettato legge nei club house della penisola, ma sono soprattutto le nuove leve a non convincere molto. Sembra si siano dimenticate di quel tocco sensibile, di quella capacità di emozionarsi ed emozionare che è tipica dell’animo femminile, oltre ad un rapporto psicologico col pubblico che a volte i dj maschi hanno perso...o forse non hanno mai avuto.

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Patty Music Consultant LIO BAR

ven 17/12: MOVIE STAR JUNKIES dirty blues n’roll + NOT DISCO DJ SET By Marco Obertini ven 24/12: ROBERTA & I NEGRONI 50 & 60’s rock n’roll+ THE FOG SURFER dj set ven 07/1: HORRIBLE PORNO STUNTMAN rock’a‘billy ven 14/1: IAN FAYS indie pop ven 21/1: BOLOGNA VIOLENTA ven 28/1: RAY DAYTONA & GOO GOO BOMBOOS

VINILE 45

sab 18/12: EX OTAGO pop italiano+NOT DISCO Dj Set by Marco Obertini sab 25/12: BUD SPENCER BLUES EXPLOSIONS + ALESSANDRO BERTALLOT + SATURNINO+ PEAK NICK NICK DJ SET ven 31/12: 15 YEARS IN ONE NIGHT /THE NEW YEAR’S DAY by VINILE45” APERTURA ORE 24.00 INGRESSO LIBERO CON TESSERA ARCI 2011 sab 08/1: IL PAN DEL DIAVOLO Feat. Criminal Jokers sab 15/1: LN RIPLEY (Ninja dei Subsonica) sab 22/1: DAMO SUZUKI NETWORK con MANUEL AGNELLI (Afterhours), ENRICO GABRIELLI (Calibro 35), XAVIER IRONDO sab 29/1: MINISTRI

LATTERIA ARTIGIANALE MOLLOY

ven 17/12: MOKA sab 18/12: presentazione disco Let me in + Wotton & Gray dj set ven 01/11: MARTI sab 22/01: OTTO OHM sab 28/01: NO GURU (Ex Ritmo Tribale)

LATTE PIù

ven 17/12: PETERPAN SPEEDROCK(OLANDA) sab 18/12: AFRICA UNITE giov 23/12: NEW YORK SKA JAZZ ENSEMBLE(USA) sab 25/12: FANTAZAMPA sab 22/1: MARRACASH sab 12/2: MARLENE KUNTZ Dopo i concerti del sabato si balla con il DJ set rock di DJ Joao e indie-electro di DJ Pilvio.

ENOSTERIA

mer 15/12: I GNARI sab 22/12: 4 AXID BUTCHERS

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Books from boxes Viaggi e altri viaggi - di Antonio Tabucchi “Viaggio in Portogallo” di Josè Saramago insegna. La sua presenza aleggia su questo libro, nitida. Ma lo si scorda subito. Sdraiato nel letto, seduto in poltrona, sulla panchina del parco sotto casa: in tutti questi luoghi io ho viaggiato, leggendo queste pagine. Ho sentito i profumi di mille spezie, assaggiato mille prelibatezze, servitemi da gentili camerieri creoli vestiti irrimediabilmente da occidentali. Mi sono perso fra le tele di un museo e mi sono ritrovato qualche migliaio di km più in là, senza il minimo jetlag. Il Portogallo io lo amo, ma Tabucchi mi ha legato profondamente al mondo intero, quella Terra dove ogni sasso racconta una storia, dove il mito può essere la pietra d’angolo. Il viaggio è solo se stesso, non ha bisogno di nessuno. Siamo noi ad aver bisogno di lui, per sentirci vivi. Altra grande caratteristica di questo libro: apre un ventaglio di letture pressoché infinito. Dai grandi libri che hanno tentato di scoprire i segreti più intimi dell’India, agli indimenticabili poeti brasiliani che hanno cantato lo sfruttamento dell’uomo e dell’Amazzonia. Una lettura non certo semplice, ma davvero interessante, coinvolgente. E sapete dove sta la bellezza di tutto questo? Che ogni volta che aprirò questo libro, le sue pagine profumeranno di ogni luogo in esse contenuto. Piccola parentesi: vien voglia di leggere (o rileggere) tutti i libri di Tabucchi, cosa caldamente consigliata. Il passato è una terra straniera - di Gianrico Carofiglio Questo è un libro che Pinketts avrebbe definito una “piaga d’autunno” personalissima. Una serie di meccanismi che si incastrano e che portano dove non c’è né coraggio né volontà, solo lo srotolarsi di un destino che si complica e si arrotola. Non voglio scrivere nulla sulla trama, tutte le particolarità dello scritto le lascio a te, perché non è quello che succede al protagonista, credimi, è l’impasto perfetto che Carofiglio riesce a dare alle parole ad essere vivo. Lo si potrebbe paragonare a qualcosa di sessuale. Le parole vengono plasmate, fluttuano verso gli occhi, avvolgono il cervello e sostengono il piacere, esse stesse creandolo. Questo libro, questo libro fa male, questo libro fa male da quanto entra. Non è il suo migliore, ma nel non esserlo prende una strada diversa. E’ come una canzone di Bruce Springsteen. Quella di cui non ti ricordi il nome, non ti ricordi dove l’hai sentita e Bruce ti sta pure un po’ sulle palle, ma ti parte una fitta al cuore, uno spasmo che rimani fermo a fissare il cruscotto dell’auto a respirare piano. Non ti fidi ancora, eh? Se, per farti smuovere il portafoglio, il lirismo non è proprio una tattica da 6 al Superenalotto ti dirò che l’autore fa anche chic bonton. E’ stato dalla Bignardi, ha fatto le sue interviste su Io Donna, D e altri settimanali con nomi intelligentissimi. Puoi anche usarlo per sembrare più brillante di quello che sei mostrandolo per accalappiare qualche proto lettore/rice davanti allo scaffale tra un Vespa e una Sveva Casati Modigliani. Attenzione, se li trovi proprio lì davanti un motivo ci sarà. Dopo tutta questa logorrea l’unica cosa che ti devi ricordare, l’unica è questa: TI PREGO, tenta TENTA tenta di leggerlo. Un piccolo sforzo. Minimo. Fammi felice, dammi una speranza sul genere umano. O anche solo su di te. Ti prego. Saluti cari a tutta la famiglia. in fede Clark F. Nova.

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I cornuti (?)

della vecchia arte moderna L’Arte ha cessato di essere il luogo di un sapere al modo in cui lo era nel Rinascimento, campo privilegiato, ad esempio, nell’esercizio della prospettiva o nella ricerca delle proporzioni di un corpo umano. Non costituisce più nemmeno la sintesi di conoscenza intellettuale e piacere dei sensi. La scienza, ossia la messa in questione del falso e del vero, l’ha abbandonata per travalicare altri confini. Gli unici ambiti dello scibile in cui oggi è possibile ravvisare questioni metafisiche sono la fisica e la biologia. La smania creatrice delle botteghe ora abita i laboratori in cui si sviluppano quelle nuove tecniche dell’immagine virtuale che hanno sostituito l’indagine pittorica. Preconizzava Ernst Gombrich: “I progressi della scienza moderna sono così sbalorditivi che mi sento un po’ infastidito quando vedo i miei colleghi all’università discutere di codici genetici mentre gli storici dell’arte discutono del fatto che Duchamp ha messo un orinatoio in mostra”. Il dominio planetario del mondo tecnico, che mira ad abolire le frontiere nazionali e assicurare un’agevole e uniformata comunicazione fra i popoli, si è insinuato, anzi, ha travolto, ogni disciplina artistica – musica e cinema compresi -, causando una proliferazione indiscriminata di artisti o presunti tali e assoggettando l’uomo a subire opere più o meno artistiche; i mezzi meccanizzati (tv, internet, radio etc) propinano determinati tipi di suoni, immagini, figurazioni, per cui la fruizione diventa involontaria. L’avanguardia, sino alla Grande Guerra, si schierava per l’uomo universale contro la nazione, per il progresso contro l’oscurantismo, trovando i propri modelli nella scienza, con Seurat e i suoi seguaci, o nella perfezione del mondo tecnico con Duchamp, Malevic, Léger e molti altri. Mirava a costruire una città nuova con Mondrian, Mies van der Rohe e Tatlin e si lasciava affascinare dall’occulto e dall’inconscio, come mostra il simbolismo. Ora che resta? La fede nelle utopie politiche, di sinistra come di destra, dal bolscevismo al nazismo, che l’avanguardia artistica ha condiviso, è caduta. Oggi, l’avanguardia estetica è sospesa in aria. Resa più fanatica e intollerante dal fatto di dover ormai predicare nel vuoto. E il pubblico accetta qualsiasi cosa, non esiste forma di eccentricità che possa esasperare o stupire i critici, i direttori di musei si affrettano a fornire etichette esplicative prima ancora che il colore si sia asciugato sulla tela…Il ritorno ai più decotti luoghi comuni già sviscerati nei decenni scorsi, la provocazione vacua e sterile, l’attacco troppo facile alla Chiesa (e scrive un’anticlericale convinta), la volgare e scontata esposizione di sesso, sono ben lungi dall’esprimere la necessità di un sovvertimento di valori e sistemi. “Gott ist Form”, Dio è Forma, aveva scritto Gottfried Benn. E’ la sola risposta possibile al sarcasmo di un’arte contemporanea che ha non solo scordato i propri doveri, ma anche i propri poteri. Alessandra Troncana 20


Lo potevo fare anch’io Ma buttati via! Io non getto via niente, persino gli scontri-

con allegato un testo che spieghi la loro scelta.

ni mi gonfiano il portafogli e soffro al pen-

Risultati ovviamente eccentrici ed interessanti,

siero di buttarli. So di non essere l’unico.

tutti da vedere sul flickr di Ana Cardim:

Siamo un po’ come quelle ragazzine degli

www.flickr.com/photos/anacardim.

anni ’90 che riempivano la Smemoranda di ricordi, poi legavano il tutto con imbragature di elastici e scotch glitterati. La designer portoghese Ana Cardim ci è venuta incontro, rivoluzionando il modo di guardare il cesto dello sporco: da contenitore di nefandezze a raccoglitore di memorie. E lo rende una piccola spilla: la “Garbage Pin”, un semplice anello metallico con pin a cui legare dei sacchetti di plastica trasparente. Quasi un accessorio fashion da appuntarsi alla giacca. L’idea è che chi la indossa vi raccolga tutti i pezzi della propria vita urbana: quei piccoli oggetti nei quali ci s’imbatte per caso e magari attirano l’attenzione oppure, molto più semplicemente, i mini-rifiuti che si producono durante la giornata: scontrini, mozziconi di sigarette, chewingums masticate, tappi di bottiglia, fili che escono dagli abiti. Tutte cose che parlano di noi perché se siamo la società dei consumi, i rifiuti sono una lucida descrizione della nostra contemporaneità. Proprio per questo la Cardim ha coinvolto più di 100 artisti nell’usare cinque sacchetti di “Garbage Pin” ciascuno, invitandoli a spedire le immagini dei contenuti Ludovico 21


Garage Filosofico Ovvero La Solitudine

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Era passato tanto tempo da quando aveva detto al pittore: “No, tu sei un coglione, non è vero che siamo soli al mondo”. Bastarono pochi anni per ravvedersi. Ma in effetti, perché dovremmo essere soli? Nei cliché esistenziali siamo circondati dalla famiglia, anche con cane o gatto, gli amici, il ragazzo/a: il problema forse è l’opposto, ovvero che non ci sono mai abbastanza occasioni per restare da soli, per avere i propri spazi, i quali devono essere ritagliati nel veloce tran tran della routine quotidiana. Eppure, come scrive Pascal, “on mourra seul”, il che significa che nessuno morirà con noi, che la nostra morte sarà un evento strettamente personale, incondivisibile. Un fatto che evidenzia come sia la pura e netta solitudine a caratterizzare la nostra condizione ontologica. In questo senso anche Lévinas è perentorio: “tutte le relazioni sono transitive: io tocco un oggetto, io vedo l’Altro. Ma io non sono l’Altro. Sono da solo”: è proprio il mio esistere a essere intransitivo. Paradossalmente è dunque ciò che mi cala nel mondo, ciò che mi immette in esso e mi permette con esso di istituire legami, ovvero la mia esistenza, ciò che infine mi separa dagli altri, che mi rende impossibile il contatto finale, la condivisione ultima. Ma allora cosa rappresentano “gli altri”, coloro che costituiscono il nostro mondo e con cui molte volte “condividiamo” esperienze? Per Schopenhauer è facile: “Ciò che rende gli uomini socievoli è la loro incapacità di sopportare la solitudine e, in questa, se stessi”. L’uomo che resta solo con se stesso non può far altro che cadere nella vertigine del non-senso, nella disperata consapevolezza della propria piccolezza e del fatto che per quanto ami, non sarà mai in grado di andare al di là di se stesso verso l’altro, che resterà sempre un varco aperto causato dal suo stesso esistere, dal suo corpo, non dal suo dover morire, ma dal “senso” del suo dover morire. Nella solitudine l’uomo si sveglia dalle illusioni che gli regala questo mondo colorato e si rende conto che amare è amare invano. Ma si può vivere dopo una simile presa di coscienza? “E se torniamo a parlare della solitudine, si chiarisce sempre di più che non è cosa che sia data scegliere o lasciare. Noi siamo soli. Ci si può ingannare su questo e fare come se non fosse così. È tutto. Ma quanto meglio è comprendere che noi lo siamo, soli, e anzi muovere da lì”. Se decidiamo di seguire la seconda strada che Rilke ci indica, allora prendiamo la nostra solitudine, facciamone un’amica, una compagna fedele, una confidente, perché, paradossalmente, la solitudine è l’unica cosa che non ci abbandonerà mai.

Fo Elettrica 22




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