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Una truffa contrattuale

Nulla di nuovo nella Milano del Sud

Aaron Pettinari

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Una vicenda che si trascina da decenni, senza pensare che si tratta della vita delle persone. Una vicenda scandalosa, possibili speculazioni, opportunismi che mettono in evidenza un sistema di malagiustizia, un perverso ingranaggio che ha già fatto una vittima che però non si arrende. La signora Maria Pia Abramo non ci sta, querela e chiede aiuto.

Una condanna civile per il pagamento di una parcella per un progetto su un terreno di cinque ettari a Gravina di Catania, «non vidimato, improponibile e mai approvato». Il passare degli anni che farebbe lievitare il suddetto “onere” con il rischio concreto di rimanere senza casa e vedere dilapidato un intero patrimonio. Sullo sfondo, l'ombra di possibili speculazioni ed alti interessi imprenditoriali. Una richiesta di giustizia che viene disattesa da tempo, nonostante gli esposti e le proteste pubbliche compiute nel corso degli anni. È la storia di Maria Pia Abramo, ultrasettantenne ex collaboratrice del giornale La Sicilia, la quale si batte per una vicenda che rischia davvero di mettere in ginocchio la sua famiglia. «Sono indignata – dice oggi – non ho nulla da perdere e ciò che mi interessa è far conoscere questa vicenda scandalosa, di silenzi ed opportunismi, che mettono in evidenza un sistema di malagiustizia, nonché gli interessi di certi sistemi di potere». È da questi presupposti che la signora, nell'aprile 2018, ha presentato una denuncia querela in Procura, attraverso l'avvocato Antonio Ingroia, come possibile vittima di una «truffa contrattuale» al fine di ottenere una sospensione della procedura esecutiva, «frutto di un perverso ingranaggio giudiziario». Allo stato, però, tutto sarebbe fermo. Nel maggio 2019, un esposto è stato presentato dall'avvocato Antonino Pastore all'allora Prefetto di Catania Claudio Sammartino «per garantire la legalità e la salvaguardia della propria assistita, la cui vita rischia di essere definitivamente sconvolta, insieme a quella del fratello, dalle spregiudicate manovre politiche e affaristiche, purtroppo avallate dalle sentenze della magistratura civile». Un documento in cui vengono messi in evidenza alcuni elementi che quantomeno dovrebbero indurre le autorità competenti ad approfondire alcuni aspetti che, al di là delle sentenze, restano opachi. Ma procediamo con ordine in questo calvario giudiziario che è iniziato nel lontano 1993. Uno dei protagonisti della vicenda è l'ingegnere Armando Laudani, volto noto della politica. in quanto nel 1994 ricoprì il ruolo di Assessore all'Urbanistica nella Provincia di Catania al tempo retta da Nello Musumeci (oggi Governatore), descritto dal legale come «presunto creditore», legato alla politica e portatore di voti e contiguo a un comitato d'affari. Nel corso del tempo, i legali della signora Abramo hanno cercato di evidenziare le note dolenti di alcune sentenze, definite come “scandalose”, che non solo legittimano una parcella all'ingegnere per un progetto mai approvato, ma si avvia una procedura esecutiva che sottopone alla vendita forzata il patrimonio, nonché la casa di abitazione della donna in cui, tra l'altro, vive da oltre cinquant'anni anche il fratello, con il rischio di far diventare i due come dei senza tetto.

PRESSIONI PER VENDERE

Spiega l'avvocato nell'esposto che la famiglia Abramo ha due proprietà, quella di 5 ettari a Gravina, ed un immobile in via De Felice, a Catania. Entrambe, nel corso del tempo, hanno assunto un grandissimo valore, attirando l'interesse di imprenditori, speculatori e non solo. Infatti l'area interna dello stabile in via De Felice per anni era stato utilizzato come uscita di emergenza dei locali del cinema Excelsior. E la donna ha denunziato una serie di pressioni ricevute per la vendita di quell'immobile.

Pressioni a cui ha sempre resistito. Adesso però, senza l'intervento delle autorità preposte, è costretta a vendere tutto. «La situazione è grave - dice oggi la signora Abramo – perché per pagare il debito con gli eredi del Laudani, che nel frattempo è cresciuto per gli interessi, mi viene imposta la vendita delle proprietà a cifre assai modeste rispetto il reale valore. Non solo. Qui vive mio fratello, Michele Abramo, del tutto estraneo ai fatti. E un'eventuale vendita lo danneggerà in maniera grave, non gli garantirà alcuna sopravvivenza. Fermo restando che io contesto formalmente la decisione del giudice, nel momento in cui si parla di un progetto ritenuto improponibile e mai approvato, essendo in contrasto con le normative urbanistiche del tempo e rimaste tali fino al luglio 2005». A tal proposito vale la pena ricordare come, nel 2002, il Consiglio Comunale di Gravina, alla cui guida vi era il primo cittadino Fabrizio Donzelli, aveva approvato uno schema di Massima del Prg con diverse opere di riqualificazione. In tale progettazione il terreno di 5 ettari della signora Abramo era destinato ad edilizia scolastica, essendo, da svariati anni, in zona F, soggetta ad esproprio. Con il successivo sindaco Bonfiglio non si tennero in nessun conto le già approvate disposizioni e nell'adozione del Prg, nel 2005, si è arrivati ad un progetto per nuove lottizzazioni. Ed è in questo contesto che si svilupperebbero gli interessi di ulteriori comitati d'affari in un intreccio tra politica ed imprenditoria senza scrupoli. Una storia che nella «Milano del Sud» (così è considerata Catania), sembra ripetersi in un infinito loop. A tal proposito viene in mente l'intervento in Commissione Parlamentare antimafia, nel dicembre del 2000, del mai dimenticato Presidente del tribunale per minorenni di Catania, Giovambattista Scidà. In quell'audizione, desegretata solo nel 2005, denunciava proprio l’intreccio tra poteri, nonché la poca trasparenza all'interno del Palazzo di giustizia. Nelle sue parole veniva tratteggiato il volto di una città in cui sgomita una borghesia affarista che si muove nell'ottica del profitto e che vuole raggiungere gli obiettivi economici più importanti. Una diapositiva che, evidentemente, non si è affatto sbiadita nel tempo e che trova sempre nuovi dettagli.