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Il nostro Pippo Fava

pubblicato sul n.72 de leSiciliane

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5 gennaio 1994 – 5 gennaio 2022

Fabio Tracuzzi

Per raccontare una persona cara ci vuole un amico. L’amico. Il complice delle risate. La condivisione dell’ironia. Le battute anche sciocche tanto per ridere anche se si fa quel lavoraccio di raccontare le cose tristi e truci. Giuseppe Fava, Pippo, sarebbe felice di essere raccontato con tanta leggerezza e allegria.

Squilla la suoneria del cellullare e sul display appare il nome di chi chiama: Graziella Proto. E come si fa a non rispondere a Graziella. Ci sentiamo di rado e ci vediamo ancora meno. Tutte e due, però, abbiamo in comune i cuori capricciosi e ci lega un filo invisibile e che non può essere tagliato da niente e da nessuno. E quando ci sentiamo o vediamo è come se fosse successo anche il giorno prima. Perché? Forse per i mesi passati nella redazione (un enorme garage in verità) a Sant’Agata Li Battiati de I Siciliani a quando c’era ancora Pippo? Si certo, ma soprattutto per i mesi passati dopo la morte di Pippo quando lei, insieme al povero Lillo Venezia, si prese sulle spalle tutto il fardello, pesante fardello (e non era tenuta a farlo) di carte e pratiche della cooperativa Radar, editrice de I Siciliani, con enormi sacrifici personali e non solo in termini di tempo. E senza che nessuno, quasi nessuno, si preoccupasse di quanto stava facendo per la cooperativa, il giornale e la memoria del suo direttore. Ma questa è un’altra storia e chissà, magari un giorno ci andrà di raccontarla. “Fabio, gioia, come stai?”. E io: “tutto bene, dimmi”. “Mi devi scrivere un articolo su Pippo”. Quasi un ordine. Non chiedo per chi e per come ma presumo sia per il numero di gennaio della sua rivista on line “Le siciliane Casablanca” nel mese dell’anniversario della morte di Pippo Fava ucciso dalla mafia il 5 gennaio del 1984 di fronte al Teatro Stabile di Catania, quella strada chiamata oggi via Fava. Una lapide, anzi due (una istituzionale, una meno ufficiale ma più significativa) ricordano il vigliacco gesto dei mafiosi, uomini da niente che sanno sparare solo alle spalle contro uomini disarmati. Non ho mai capito perché li hanno sempre chiamati uomini di panza o peggio ancora uomini d’onore. Cosa c’è di onorevole nell’ammazzare un altro umo sparando a tradimento e per giunta disarmato. Esecuzioni mafiose le chiamano. Direi solo esecuzioni di uomini vigliacchi appartenenti a organizzazioni di vigliacchi. La mafia è vigliaccheria. E non vuole essere riduttivo. E lì in quell’angolo di via Fava dove Pippo è stato colpito nella sua auto mentre aspettava la nipotina (oggi donna fatta) che usciva dal teatro, fa bella mostra di sé un pornoshop con tutta la sua singolare mercanzia in bella mostra. Ci pensi bene chi ha conosciuto davvero Pippo: sarebbe il primo a ridere di questa situazione. E soprattutto nel giorno dell’anniversario della sua morte quando due vigili urbani in alta uniforme pongono una corona d’alloro sotto la lapide istituzionale ma sembra che la posino accanto all’ingresso del pornoshop. Lo vedo Pippo col suo mozzicone di esportazione senza filtro, mai una sigaretta diversa (chissà cosa fumerebbe oggi che non esistono più, certo non una sigaretta elettronica) che guarda e ride. Ma torniamo alla telefonata di Graziella. Chiedo solo quanto deve essere lungo l’articolo. E, spiazzandomi ancora di più, mi dice: “Fabio quanto vuoi tu, non ti preoccupare”. Chiusa la telefonata mi scappa subito, nel pensiero, una imprecazione: cazzo, ma cosa si può scrivere su Pippo Fava 37 anni dopo la sua morte. Tutto è stato detto di lui, cose vere e cose non vere e cose parzialmente vere alle quali hanno contribuito, e non poco, le due fiction realizzate una su La 7 e una su Rai uno. Gli autori? Lasciamo stare non è questo l’articolo che vuole fare polemiche. La disperazione, i pianti davanti all’ospedale la notte dell’agguato, la notte in redazione per mettere a punto il numero speciale con Riccardo Orioles, grande Riccardo dal cuore grande grande, che saltellava di tavolo in tavolo con la sua pipa cercando di organizzare ma facendo più confusone, lui direbbe casino, che altro. Ma quella notte nessuno avrebbe potuto fare meglio di lui. La notte del 5 gennaio 1984 e la mattina seguente.

RADAR- LA COOPERATIVA DELLA LIBERTA’

Sulla scrivania di Pippo la sua macchina da scrivere una stecca delle sue esportazioni e un mazzo di fiori messo chissà da chi e chissà quando E un via vai gente la maggior parte con facce di circostanza e inviati delle varie televisioni nazionali. Io e Antonio Roccuzzo dovemmo rispondere alle interviste. Cazzo: cosa si può dire di Pippo Fava che non sia stato già detto in tutti questi anni? Quando fu licenziato dal Giornale del Sud ci fu uno solo dei suoi redattori che si dimise e andò via insieme al lui. Uno solo. Io, Fabio Tracuzzi. Tutti gli altri restarono sotto la direzione di un certo Umberto Basso (O Bassi non ricordo ma ha poca importanza) a far continuare la vita di un quotidiano ormai inutile tant’è che dopo pochi mesi fermò per le sempre la rotativa. E cominciammo a vederci quasi ogni giorno io e Pippo. La sua idea, la sua grande idea, ere di fare una cooperativa di giornalisti che potesse editare un giornale tutto suo senza padroni e senza censure. Ma bisognava fare in fretta. Cominciammo a cercare il locale giusto, anche Lillo Venezia partecipò alla ricerca, ma soprattutto c’era da mettere in piedi la cooperativa. Sarebbero passato mesi. Ma Pippo ebbe una grande idea: esisteva già una cooperativa della quale lui era anche socio insieme ad altri uomini di spettacolo e che, nello statuto, prevedeva anche le iniziative editoriali. Presto fatto: tutti tranne Pippo si dimisero e subentrammo i nuovi soci: quelli che diventarono i carusi di Pippo Fava che è bene sottolineare non erano solo quattro. E per Pippo erano tutti uguali. Nessun preferito. Orioles, durante una delle tante riunioni notturne, con un pennarello verde chiaro abbozzò il logo che, tra l’altro, non è mai cambiato. Il più era fatto. Avevamo la nostra cooperativa, la nostra redazione e con i contributi dell’Istituto regionale delle Cooperative comprammo macchine da stampa che a noi sembravano bellissime ma in verità erano rottami. Eravamo pronti. La prova generale fu un giornale tutto in inglese “WT (walkie talkie) che veniva distribuito gratuitamente alla base di Sigonella. Anche questa idea fu di Pippo. Del resto la cooperativa doveva mantenersi con i lavori di tipografia normale ma chissà perché ogni commessa che prendevamo alla fine era un disastro economico. Ecco, la matematica non ea proprio il punto forte di Pippo. Sbagliava tutti i conti e non c’era modo di contraddirlo. Ma poi Pippo decise: facciamo il mensile. E il primo numero de I Siciliani fu in edicola il 1 gennaio del 1983. In copertina la fotografia di Graci, Finocchiaro e Rendo che brindano sorridenti e il titolo: I cavalieri di Catania e la mafia. E l’artico all’interno firmato Giuseppe Fava, aveva per titolo “I quattro cavalieri dell’apocalisse mafiosa”. Fu un grande successo e furono necessarie tre ristampe. Un anno dopo, il 5 gennaio 1984 Pippo Fava, il direttore, veniva ucciso.

Graziella, scusa, ma cosa posso dire di Pippo Fava che già non si conosce?