BACKSTAGE PRESS - Gennaio 2019

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Anno VII n.1 - Gennaio 2019 - Poste italiane s.p.a. sped in abb. postale D.L. 353/2003 (conv. in L. n. 46 del 27/02/2004) art. 1 comma 1 - DCB - Caserta


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In cerca di umanità Sono trascorsi settantaquattro annida quando i Russi il 27 Gennaio del ‘45 scoprirono ad Auschwitz e dintorni il più grande luogo di sterminio nazista spalancando le porte di un orrore indicibile. Recinzioni di filo spinato, un cancello con sopra una scritta tortuosa tra due cornici di ferro

Arbeit match frei (il lavoro fa liberi). dapprima i dissidenti polacchi. Gli intellettuali e gli oppositori. Poi i prigionieri di guerra. I criminali comuni. Infine tantissimi ebrei e zingari. Poi i cosidetti asociali. Prostitute e omosessuali. Deportati e internati nei campi. I malati, i vecchi, i bambini. Primo Levi, scrittore e poeta

Copertina ph: Oliviero Toscani

torinese, sopravvissuto alla detenzione, ci lascò - tra le altre - queste parole: “ L’ Olocausto è una pagina del libro dell’Umanità da cui non dovremmo mai togliere il segnalibro della memoria. Auschwitz è fuori di noi ma è intorno a noi. E’ nell’aria. La peste si è spenta ma l’infezione serpeggia. Se comprendere è impossibile conocere è necessario”.

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ROBERTO VECCHIONI

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TUTTI I DIRITTI SONO RISERVATI Backstage Press è edito dall’associazione culturale “Il Sogno è Sempre Onlus”. Tutti i diritti sono riservati. Manoscritti, dattiloscritti, articoli, disegni e fotografie non si restituiscono anche se non pubblicati. Nessuna parte di questa pubblicazione può essere riprodotta in alcun modo senza l’autorizzazione scritta preventiva da parte dell’editore. Gli autori e l’editore non potranno in alcun caso essere responsabili per incidenti o conseguenti danni che derivino o siano causati dall’uso improprio delle informazioni contenute. La collaborazione è a titolo gratuito. Foto e manoscritti, anche se non pubblicati, non si restituiscono.

REDAZIONE Alfonso Morgillo, Margherita Zotti, Michela Campana, Alfonso Papa, Marica Crisci, Domenico Ruggiero, HANNO COLLABORATO: Michela Drago, Alessandro Tocco, Francesco Ruoppolo, Alfonso Papa (To), Giuseppe Maffia, Ambra De Vincenzi, Tonia Cestari, Carmela Bove. REGISTRAZIONE n. 815 del 03.07.2013 presso il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere (CE). Comunicazione EDITORE: Il Sogno è Sempre Onlus Sede Legale: Via Botteghino, 92 – 81027 San Felice a Cancello (CE) Sede Operativa: Via Giacomo Matteotti, 20 – 81027 San Felice a Cancello (CE) – Fax. 0823.806289 – info@backstagepress.it – www.backstagepress.it Distribuzione: Gratuita Stampa: Pieffe Industria Grafica. Tiratura 7.000.

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WALTER SAVELLI

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DANILO SACCO

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FRANCESCO PELLEGRINO

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MALDESTRO

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GIORGIO GABER

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ARTE

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EMERGIAMO

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CINEMA

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TEATRO



ph Oliviero Toscani

Roberto Vecchioni L’Infinito

tx Michela Campana tx Alfonso Papa

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I

l tuo ultimo lavoro “L’Infinito”, dodici tracce, quasi un’unica canzone a voler rimarcare il simbolo o il concetto stesso dell’infinito che si muove in uno spazio non ben definito?

in cui l’uomo sarà padrone del mondo attraverso le macchine e attraverso le tecniche non riuscire a capire che l’umanità è una cosa molto più grande del proprio pezzo di terra o dei propri interessi.

Molto bella questa idea, non c’è un inizio o una fine, il tema dell’album è unico. Un tema di amore straripante per la vita e di quello che si fa per vivere, per restare al mondo e per dimostrarlo agli altri.

Quando si riuscirà a risolvere questo enigma, forse vivremmo meglio, non perfettamente perché la perfezione non sarà mai raggiunta dalla società, ma vivremmo sicuramente meglio.

Ciò è presente in tutte le canzoni e quasi non contano nemmeno le storie ma conta il concetto fondamentale che in ognuno di questi personaggi è espresso. Facendolo vedere nel caso del Papa o di Regeni o lasciandolo velato nel caso di Leopardi che l’ha sempre tenuto nascosto anche se il suo sogno era che la vita lo capisse.

Nel brano “Ti insegnerò a volare” sei riuscito a coinvolgere Francesco Guccini, come è nata l’idea e soprattutto è stato difficile ottenere il suo si?

Nell’ album c’è molto di sociale: Regeni, la Guerra Curda, il Papa. Tutte tematiche che negli ultimi tempi ci portano a riflettere sul fatto che sempre più spesso mentre ci troviamo da un lato a chiederci e pretendere risposte dall’altro – magari sulle stesse tematiche – ci mostriamo distratti e indifferenti. Si è vero, però c’è anche una grande fetta di umanità che queste domande se le pone con grande serietà. A qualcuno interessano e cerca di dare delle risposte, non soltanto in Italia ma anche in Europa. Anche se è da dire che stiamo andando verso un mondo che tende a chiudersi in se stesso, ogni nazione, ogni regione pensa al proprio orticello. E questo è fastidiosissimo. Nel gli anni duemila, in un periodo

Lo avrei ammazzato se non lo avesse fatto, non poteva perdere questa occasione. Non è un fatto commerciale tanto è vero -come ben sapete- che il disco, per una mia scelta, è presente solo nei negozi e non sui vari portali digitali. Questo, ovviamente ha portato delle perdite sulle vendite, ma nonostante ciò l’album è già disco d’oro. Francesco doveva esserci, perché questo è un disco d’autore come quelli degli anni settanta, come abbiamo cominciato a farli noi, con tematiche, con eroi, con passione. E’ un tornare indietro, essere giovani ancora. E questo gliel’ho detto, siamo giovani, siamo come due ragazzi degli anni settanta. Il brano che facciamo assieme è una piccola canzone in cui si dice ai ragazzi che non conta arrivare primi ma conta vivere. Come mai proprio Francesco Guccini?

Perché Francesco ed io siamo amici da cinquant’anni e lui era la persona giusta per questo progetto. Secondo te la canzone d’autore esiste ancora o come accenni nella presentazione dell’album si sta un po’ estinguendo? Per fortuna esiste ancora, anche se ha preso altre forme, altre funzioni. Non posso considerare canzone d’autore certi rock, per me la canzone d’autore è un’altra cosa. I migliori non ci sono più. Non c’è più De André, Dalla, Ivano Fossati, Battiato è stanco, tutti quelli che portavano avanti questo discorso non ci sono…C’è rimasto De Gregori, lui è ancora un grande. “Parola”, l’ultima traccia dell’album, a prima vista sembra un po’ fuori tema rispetto le altre. E’ veramente così? La volevo assolutamente quella canzone, la volevo perché è una preghiera, una sorta di considerazione amara, triste ma assolutamente non definitiva. Spero che qualcuno la raccolga e la parola sia difesa. La parola non è solo un modo di comunicazione ma contiene molto di più di un segno, c’è dentro intelligenza, umiltà e soprattutto sentimento. In questo disco ci voleva, perché la parola è una guerrigliera alla pari di Regeni, alla pari del Papa. La musica per te è uno strumento per diffondere la parola. Non hai studiato musica, vero? La musica è fondamentale,


ph Oliviero Toscani

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“Come è lunga la notte”, brano autobiografico? Autobiografia perfetta, molto auto ironica, ho scritto anche i miei difetti e non nascondo che sono tanti. Questo pezzo lo canto con Morgan. Anche lui mio amico da tanto che stimo tantissimo, ha una grande conoscenza della musica ed è una persona geniale. In precedenza è stato citato Papa Francesco, anche lui

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un guerrigliero? Direi di si. E’ uno che non le manda a dire le cose, le dice direttamente, personalmente. E’ la parte chiara e bella del messaggio evangelico. Ho immaginato che avesse sul volto l’immagine di Gesù ed effettivamente è così. Quando lo guardo mi sento bene, sento di non esser solo, che c’è la possibilità che esista un altro mondo, mentre prima non ci pensavo. “Ma Tu”, una canzone d’amore. Chi sono le due donne di cui parli? La storia è questa, sto leggendo un libro e mi viene sonno, quando mi addormento sogno la mia prima ragazza, quella di “Luci a San Siro” di tanto tempo fa. Sogno di dirle che

il nostro amore è stato bellissimo, ma è stato un amore da ragazzi. L’amore, invece, è una cosa lunga, dolce non una tempesta, ma un viaggio a due ed è quello che sto facendo con la mia compagna adesso. Sono due amori concentrati nella stessa canzone. L’idea dell’infinito viene da lontano, c’era già in due romanzi e in una canzone: bisogna amare ciò che si vive, non solo la vita in se, che è un’astrazione, ma gli atti, i gesti, le scelte, gli entusiasmi, i tonfi, i progetti che ci costruisci dentro e amarli incondizionatamente, che siano gioia o dolore, vittoria o sconfitta, pietre sparse o monumenti. Ogni cosa che viviamo è unica. Rivissuta non è la stessa di prima. © Riproduzione riservata

ph Oliviero Toscani

non è importante studiarla. Ho ascoltato, l’avevo nell’anima da tanto, prima di scrivere per me ho trascorso dieci anni a scrivere canzoni per altri. La musica racconta l’amore per il mondo, la parola sulla musica racconta di chi sei innamorato.



Walter Savelli

un talento carismatico

M

usicista, compositore, autore, docente. Quale definizione senti più tua e come riesci a farle convivere tra loro? Sono un musicista a tempo pieno a 360°. Ho cominciato come pianista nelle band rockettare agli inizi degli anni 70. Subito dopo ho iniziato a fare didattica musicale moderna, forse il primo in Italia a credere nella didattica moderna. Poi con la riforma Franceschini, per fortuna, la musica che prima chiamavano leggera ha preso il nome di musica popolare moderna. Intuii subito che bisognava insegnarla perché difficile. Far convivere tra loro la professione di musicista, di pianista e d’insegnante è un qualcosa di assolutamente normale, semplice e molto divertente. Pensa che lo sto ancora facendo a distanza di cinquant’anni. Riguardo all’insegnamento, ti limiti alla tecnica o spazi anche sulla tua esperienza? Spazio su tutto ciò che è la musica moderna, come si suona una canzone, come la si compone, come si fa un assolo. Il primo libro di didattica che ho scritto ha venduto quasi 60.000 copie nell’arco degli anni. E’ un libro che ha riempito le case di coloro che in qualche modo volevano approcciarsi alla musica moderna, si spiegano cosa sono gli accordi, gli accompagnamenti, si fa cultura generale, si racconta perché nasce una certa cosa. Analizza tutto ciò che va dagli anni 50 in poi, il fenomeno dei The Beatels che rappresentano la scintilla da cui è nato tutto il resto. Possiamo dire che la musica

moderna rientra nella Beet Generation? Parte da lì, dal rock degli anni 50 fino ad arrivare ad oggi attraversando ovviamente tutta l’evoluzione. Affermare: “io vengo dalla musica classica, sono diplomato in pianoforte ed allora so suonare tutto”, non serve a nulla. La maggior parte dei miei allievi è formata da neo diplomati in pianoforte che di fronte ad uno spartito di Baglioni o di Battisti non sanno dove mettere le mani. Sono due modi diversi tra loro, dico sempre che è come paragonare uno psichiatra ad un cardiologo. Sono entrambi laureati in medicina ma i due argomenti sono tra loro diversi. La musica classica e quella moderna hanno ancora più differenze. Ti sei diplomato al conservatorio? Assolutamente no, io sono fuggito ti spiego questo perché è molto bello. Facevo pianoforte classico cominciato all’età di sei anni e dopo 6-7 anni di lezioni private con la solita professoressa dissi voglio andare al conservatorio perché da grande voglio fare il musicista. Già suonavo nelle mie rock band, avevo già fatto un disco e mi divertivo. Mi sono iscritto nel corso di composizione pensando che potessi perfezionarmi nel mio modo di far musica. Dopo due anni mi sono accorto che gli studi classici di composizione, difficilissimi, erano tutt’altro e non mi avrebbero portato a quello che realmente avrei voluto fare. Mi dovevo addirittura nascondere, perché se i professori del conservatorio avessero saputo che la sera andavo a suonare

tx Alfonso Papa tx Michela Campana

nelle rock band mi avrebbero buttato fuori a calci. Ero un po Dr Jekyll e Mr Hyde, la sera mi vestivo con i giubbotti di pelle e andavo a fare il rockettaro e la mattina con il mio abito grigio, la camicia e la cravatta andavo in classe. Apro una parentesi, ma voi sapete che la maggior parte degli artisti nel mondo non è diplomata in nessun conservatorio? Paul McCartney che è un mio amico non sa neanche dove sta un “DO” sul pentagramma ed è l’autore del secolo. Battisti non ha fatto il conservatorio, Baglioni non ha fatto il conservatorio, Vasco Rossi non ha fatto il conservatorio… Qualche settimana fa, nel fare una sorta di bilancio di fine anno hai citato quattro momenti fondamentali. Esattamente, per cominciare in Aprile è uscito il mio ultimo brano strumentale dal titolo Then and now brano che si trova in vendita on-line. I brani strumentali hanno la fortuna di non avere il limite della lingua per cui stanno avendo un certo successo in America, Sudamerica e Giappone. Subito dopo è stato molto bello ricevere il Premio Lorenzo il Magnifico arrivato la metà di Giugno. Altro momento bellissimo, con grande soddisfazione e grande emozione ricevere da Baglioni l’invito per essere la guest star nei suoi tre concerti all’Arena di Verona. Claudio mi ha detto: “Walter non passerai in televisione ma sarà comunque un evento” gli ho subito risposto: “Vengo volentieri”. Ti ritrovi su quel palco all’Arena di Verona al centro con 20.000 persone intorno. Insomma non avrei potuto chiedere altro. Infine il 16 Novembre l’uscita del mio brano


ph Alfonso Papa

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(I lived it) by myself, questa volta non solo strumentale ma anche cantato. Molti mi hanno detto ma perché cantato? Semplicemente perché io ho sempre cantato da quando ho cominciato a suonare nelle mie rock band fino ai concerti con Baglioni nei quali facevo la sua doppia voce e scusate se è poco. Poi il mio caro amico Paul McCartney. Una sera, eravamo a cena insieme ed abbiamo suonato fino all’alba ad un certo punto mi fa: “Scusa Walter ma tu canti?” Ed io ho detto: “certo che canto” e lui: “allora fallo, fai il tuo disco cantato”. Ci penserò. Sono trascorsi 18 anni, ho pensato un po’ troppo, mi son detto vabbè adesso è il momento e mi sono divertito a fare questo brano che sta andando benissimo. Tu sei molto social, segui tutto quello che è il mondo di internet. Addirittura qualche tempo fa hai proposto un concerto privato, attraverso il quale grazie al web entravi nelle case delle

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persone. Sono in Internet dal 1996. Il mio primo sito è nato nel ‘96 quando di Internet nessuno sapeva niente. Da allora ho sempre seguito ed approfondito le varie novità, perché la cosa mi incuriosiva ed entusiasmava. Nel 2005 sono stato il primo artista italiano a firmare un contratto come artista indipendente con la Apple. Anche se all’epoca la gente ancora non sapeva molto di I-Tunes, mi ero accorto che la tecnologia andava velocissima e ti dava delle possibilità in più ed allora perché non provare a sfruttarla?. Nel 2004 ho iniziato per primo le mie lezioni on-line utilizzando skype. Quindi allievi che per venire da me di solito prendevano il treno o addirittura l’aereo con enormi spese ora potevano seguire le mie lezioni comodamente da casa. Oggi salto da Londra a Ginevra, da Berna a Palermo a Napoli. Ed è bellissimo finire una lezione a Palermo e due minuti dopo essere con Londra. Il concerto privato è nato sulla

stessa idea, dal mio studio posso fare un concerto per te. Che si festeggi un matrimonio, un compleanno o altro, faccio in diretta un concerto per te. Alla fine il tutto viene registrato su un file e spedito a coloro che hanno acquistato questo concerto un po’ come se fosse l’album di fotografie di una volta. I brani che suoni come vengono scelti? I brani che io suono durante il concerto sono miei, se però durante il concerto c’è una richiesta specifica è chiaro che la faccio ben volentieri. Continua a leggere l’articolo su www.backstagepress.it © Riproduzione riservata



Danilo Sacco

la musica è condivisione

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ardè il tuo ultimo lavoro, un invito a restare umani?

Assolutamente si, un invito a essere curiosi e a informarsi, perché una delle pecche maggiori che abbiamo in questo periodo è non informarci abbastanza e la cattiva informazione da parte di se stessi ci porta a non essere obiettivi e questo è pericolosissimo. Soprattutto in una situazione difficile come la nostra, la disinformazione personale è un attentato alla libertà di pensiero ed alla democrazia. Il brano dal quale prende il titolo l’album Gardè è dedicato al Sindaco di Riace Mimmo Lucano, esempio positivo di umanità. Il brano mi è stato proposto da Silvio D’Alessandro uno psicologo molto bravo, calabrese ma umbro di adozione. Mi è piaciuto molto perché tratta il tema della migrazione in modo molto politico ma al contempo molto crudo. Mi interessava fare un disco piuttosto scomodo, anzi mi auguro che sia un disco scomodo. Il Sindaco di Riace ha proposto una soluzione e questo è importantissimo perché è inutile sollevare solo polemiche e problematiche ma c’è bisogno di qualcuno che dia una mano e proponga delle soluzioni. Ultimamente le soluzioni provengono sempre dal singolo caso?

Eh si, singolo caso che spesso viene anche soffocato. Il problema è sempre lo stesso, deleghiamo agli altri quelle che sono le nostre responsabilità. Cadiamo sempre nello stesso tranello: “cosa posso fare io che sono da solo”? Possiamo fare tantissimo, partendo da noi stessi, anzitutto con una corretta informazione. E’ come forse accade in musica? E’ sempre il singolo ad ascoltare buona musica? Sicuramente in musica come in tante altre cose. Noi musicisti siamo sempre chiamati in causa. La musica non deve essere una guerra ma deve essere condivisione. Come nello sport? I tuoi brani fanno riferimento a grandi campioni dello sport. “Amico Mio” dedicato a Joost Van Der Vethuizen grande campione sudafricano di rugby e il neozelandese Jonah Lomu entrambi colpiti da una malattia molto seria, si giurarono amicizia fraterna e di tener duro fino alla fine. La natura ha deciso purtroppo di portarli via in fretta. Poi nel brano “Jasse e Lutz”, racconto dell’amicizia epocale tra Jasse Owens e Lutz Long ove Lutz ariano aiutò Jasse afroamericano a vincere la medaglia d’oro nel salto in lungo alle olimpiadi del ‘36 a Berlino. In un certo senso ti sei ispirato a questi personaggi per

tx Alfonso Papa tx Michela Campana

descrivere l’attuale situazione italiana dell’immigrazione? Certo. Dalla condivisione e dalla voglia di confrontarsi nasce sicuramente sempre qualcosa di buono, ma se ci chiudiamo a riccio siamo sicuramente destinati a restare immobili. Poi la paura, la paura del diverso, dell’ignoto. La paura è contagiosa. Quindi l’Italia è uno Stato, un Popolo che ha paura? In questo momento si, mi vengono in mente le parole della “Locomotiva” di Guccini che dice: la guerra Santa dei pezzenti, tutti contro tutti a spartirci le briciole di libertà, di democrazia, di libero pensiero. In una Italia come la nostra il tuo album potrebbe essere facilmente boicottato? Se succede non è un problema, si parlava prima di un disco scomodo. Noi musicisti dobbiamo avere la possibilità di dire la nostra senza pretendere di far cambiare idea a nessuno. Se possiamo fare musica, in primis per divertire e in secundis per far riflettere, allora abbiamo ottenuto un bel risultato. “Sarò qui per te” e “Un vecchio amore mio”, due tracce più autobiografiche, come riescono ad inserirsi nelle diverse tematiche importanti che affronti? Sono due brani un po’ legge-


ri e parlano di situazioni che chiunque può aver vissuto, sono storie normalissime di vita quotidiana, storie di amore e di amicizia. In “New York 1911” torniamo a parlare di sociale, i diritti delle donne. E’ una canzone che parla forse del più grande disastro industriale di New York dove persero la vita 246 persone in maggioranza donne e in gran parte emigranti. Nell’album tante belle collaborazioni, una su tutte Neil Zaza.

ph Mirta Lispi

Con me nell’album ci sono: Andrea Mei (piano, tastiere, hammond fisarmonica, programmazioni), Marco Mattei (batteria, percussioni, programmazioni), Ermanno Antonelli (mandolino in “Marzo

1911, chitarra slide in “Spazza via”), Elisa “Ellis” Tartabini (voce in “Marzo 1911” e cori in “Sarò qui per te” e “Io vivo ancora”). Neil è stato una scoperta, avevo postato su Facebook un suo video dicendo: ascoltate questi musicisti che non fanno della velocità un arma ma che suonano col cuore. La cosa curiosa fu che dopo un paio di giorni Neil mi inviò un messaggio ringraziandomi e dicendo che magari un giorno poteva nascere una collaborazione. Risposi casualmente che stavo lavorando al mio nuovo disco. Ci trovammo ad Avezzano e facemmo questa cosa. Da allora siamo rimasti ottimi amici.

tutt’oggi attualissimi.

Guccini nel 2013 ti lascia in eredità i suoi brani.

Sicuramente si, ma bisogna andarci con il pezzo giusto, con quello che spacca le assi del palco.

Durante i miei concerti propongo sempre alcuni dei suoi brani e devo dire che sono

Stai già lavorando ad un nuovo album? Si abbiamo tantissimo materiale già pronto e delle belle collaborazioni che si stanno concretizzando. Nomadi e Sanremo? Con i Nomadi 20 anni di vita musicale bellissima, tanta esperienza e tanta scuola. A Sanremo ci sono stato tre volte, mi sono divertito molto e sono molto contento di averlo fatto. Ci torneresti?

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Francesco Pellegrino La mia musica è la mia terra

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isto che non vivi in Italia da molti anni Com’ è il rapporto con le tue origini? E’ un concetto che riassumo con una frase: mi sono semplicemente allontanato fisicamente dalla mia terra. Tengo a chiarire ciò, visto che spesso mi viene rimproverato, anche da amici di essermene “andato”. Mi sono solo allontanato. Se poteste vedere il mio studio, potreste notare che sono circondato da libri della nostra cultura, di maschere, di foto di Maddaloni, quadri di Artisti locali. A me non manca la mia terra perché la vivo spiritualmente e la porto in giro Musicalmente. E’ sempre con me nei concerti.

ph Karen E. Reeves

Il tuo pubblico è formato

tx Michela Campana

principalmente da emigranti italiani o ci sono anche persone del posto? Circa l’ottanta per cento del pubblico è anglo, un dieci per cento è misto e un dieci per cento sono italiani. Ad ogni concerto offriamo sempre un libretto di sala con il testo originale ed il testo tradotto in inglese e ogni singolo brano, anche quelli semi sconosciuti sono spiegati dettagliatamente, almeno per quello che si può ritrovare. Non solo musica tradizionale napoletana, ma di tutto il sud. Giusto? Il nostro repertorio comprende parte di canti tradizionali di quasi tutto il sud, non a caso uno dei prossimi progetti sarà sui canti della terra e del mare

di Sicilia. Canti tradizionali siciliani, quindi ti devi spesso confrontare anche con i vari dialetti del sud? Lo sto già facendo anche con buoni risultati, almeno stando a quello che mi dicono alcuni amici siculi. Frequenti degli studi appositi o sei autodidatta? Riesco ad assorbire molto bene le inflessioni e poi ovviamente c’è un discorso legato alla dizione. Per cui da cantante lirico la dizione in qualche modo mi e` familiare. Possiamo dire che hai la musica nel sangue? Posso raccontarvi un aneddoto: ero piccolissimo 6-7

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anni e già cantavo sempre per casa ed una volta mio padre, mi disse: ma allora tu vuoi fare il cantante? Ed io, senza esitazione, risposi: io non voglio fare il cantante, io sono cantante.

Purtroppo oggi c’è una situazione un pochettino diversa da quando io ero giovane studente, perché con l’uso del computer e di internet, tutti pensiamo di saper tutto ma alla fine non sappiamo niente.

Avevi già le idee chiare?

Ci sono delle discipline per le quali non ti puoi improvvisare. La musica è una di queste ed in particolare lo è ancor di più la musica antica.

Nel fare musica, lo studio è una cosa fondamentale? Per fare la musica bisogna avere talento e il talento senza studio è un talento inutile. Quindi talento in primis e poi studio? Lo studio come disciplina è fondamentale. Ma lo studio inteso come scuola o anche da autodidatta?

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Non si finisce mai di studiare? Assolutamente, lo studio in qualsiasi disciplina d’arte è infinito. A volte quando mi capita di essere in alcune biblioteche tipo i Girolamini a Napoli, o la biblioteca del Conservatorio San Pietro a Maiella che sono gli scrigni della musica napoletana barocca del ‘700 sono felice, però subito dopo mi avvolge un velo di tristezza perché penso che non potrò mai avere accesso, in questa vita, alla conoscenza di una benché minima parte di quello che è contenuto li dentro.

Nel mondo ci sono tantissimi scritti di musica conservati in importanti centri o biblioteche, che probabilmente non verranno mai eseguiti, si pensi ad esempio alle tantissime Chiese che ci sono in Italia all’interno delle quali vi erano i maestri di cappella che scrivevano le musiche per i vari cori. Anche la Real Cappella del Tesoro di San Gennaro era una di queste dove tantissimi compositori napoletani eseguivano i loro brani. Ho avuto la fortuna di cantarci in quella cappella, abbiamo fatto dei concerti nel 2013, suonando anche nelle catacombe di San Gennaro e a Capodimonte, grazie al caro Giuseppe Balsamo che organizzò il tutto. Continua a leggere l’articolo su www.backstagepress.it © Riproduzione riservata

La musica antica necessita

ph Karen E. Reeves

Su questo mi ritengo fortunato, sono nato per cantare e per interpretare. Questa è una grande fortuna perché ci sono tante persone che spendono una vita intera nel capire cosa vogliono fare, mentre io l’ho sempre saputo.

di uno studio meticoloso che richiede grande competenza per riconoscerne le differenze.


Maldestro

senza il dolore non puoi arrivare alla felicità tx Michela Campana tx Alfonso Papa

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l tuo terzo album “Mia madre odia tutti gli uomini”, in cosa si differenzia dai precedenti? Sicuramente nel modo di raccontarlo e nel suono. E’ stato un lavoro bellissimo, ricercato con Taketo Gohara che mi ha permesso di fare di ognuna delle mie canzoni esattamente ciò che volevo. Un lavoro di due anni che mi ha permesso e dato la consapevolezza di poter raccontare un pezzo della mia vita senza più maschere. “Mia madre odia tutti gli uomini” titolo che non trova riscontro in nessuna delle dieci tracce. Come mai questa scelta?

E’ una frase di una delle canzoni del disco “Come una canzone” Ho scelto questa frase perché credo che rappresenti a pieno quello che ho cercato di raccontare.

attraversato. Bisogna cooperare con lui perché solo così riesci a comprendere quei momenti che ti portano alla felicità. Questo dolore è rivolto anche alla tua terra di origine che è Napoli?

Dieci storie che raccontano dei momenti cruciali della mia vita e ho pensato che quel titolo potesse essere l’anello di congiunzione di tutte le canzoni.

Sono diversi i dolori, come diversa è la felicità. Chiaro che alcuni dolori partono dal posto dove nasci, da quello che hai vissuto.

Nei brani parti dal dolore per raggiungere la felicità. Ritieni che il dolore sia una tappa obbligata per raggiungere la felicità?

Allora Napoli ti ha portato qualche dolore?

Assolutamente, il dolore non va rimosso, ma va tenuto per mano, va guardato in faccia, va

Ritengo che ogni città porti dolore a chi la vive. Io con Napoli sono incazzato perché la amo. L’album ha dieci tracce, se ne dovessi scegliere una che lo

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rappresenta di più? Credo “La felicità” come storia, perché prende un po’ in mano tutte le altre storie ed è proprio quello che dicevamo prima, partire dal dolore per poi raggiungere la felicità. Quella, invece, alla quale sono più legato è “Spine”, perché se qualcuno mi dicesse di raccontare un qualcosa lo racconterei esattamente come ho fatto in questo brano. E’ prossima la partenza del tour. Com’è il tuo rapporto con il pubblico? E come sarà lo spettacolo che porterai in scena? Il rapporto col pubblico è sempre stato bellissimo, un rapporto di affetto e soprattutto di condivisione perché è anche grazie a lui che si cresce. Un teatro vuoto, senza pubblico, non avrebbe alcun senso. Puoi fare anche la cosa più bella del mondo. In tour porteremo questo nuovo disco riarrangiato perché mi piace fare cose nuove. Le persone che pagano un biglietto hanno diritto ad assistere a cose nuove, se devono ascoltare esattamente quello che c’è sul disco sembrerebbe quasi una rapina. Ho riarrangiato anche alcuni brani vecchi degli album precedenti, più vicini a questo. Abbiamo messo assieme una band corposa con la quale non vedo l’ora di girare l’Italia. Fino ad oggi tre album ed il famoso brano “Canzone per Federica” con il quale hai vinto quasi tutti i premi di Sanremo. Quanto ha influito l’esperienza sanremese sul tuo modo di far musica? Nessuna influenza, Sanremo è

stato un bellissimo percorso, un bellissimo momento. L’ho vissuto come un gioco ma Sanremo è una vetrina importante ove si conoscono tantissime persone. Il bello inizia dopo. Se non hai idee chiare e collaboratori che credono in te anche Sanremo serve a ben poco. Non mi ha influenzato, perché ho sempre saputo quale sarebbe stata la mia strada o almeno quale strada volevo percorrere. Allora un’esperienza che si ferma lì? Per adesso si, perché ho altre cose a cui pensare. Progetti a cui voglio dedicarmi. Se un giorno dovesse ricapitare, sicuramente mi presenterò con un pezzo giusto, che possa essere ascoltato in quel contesto. Qualcosa allora che va al di là di “Canzone per Federica” che è piaciuta a tutti? Non penso di portare un pezzo che possa piacere a tutti, ma ce ne sono alcuni che potrebbero sicuramente andare in quella vetrina per tanti motivi. Diverse collaborazioni nel tuo album, tra cui James Senese. I tuoi rapporti con lui? Il grande James. Ha collaborato nella canzone “Come due pugili”, credo che James rappresenti qualcosa di grandioso non solo per i napoletani ma per tutto il paese. Quando ho cominciato, quattro anni fa, a fare il cantautore aprivo i suoi concerti. James è uno tosto che non fa aprire i suoi concerti a nessuno, a me ha dato questa possibilità e ricordo che in una cena a margine di un concerto mi disse: uaglione o’ saje pecché apri

e’ mie concert? pecché tieni a’ verìtà. Ed io sono profondamente legato a questa cosa. Cantautore, dei tuoi brani scrivi testi e musica, sei considerato uno dei più promettenti giovani cantautori italiani. Senti il peso di questa eredità? Non capiscono niente! Non voglio responsabilità, cerco solo di portare avanti quello che ho dentro, ovviamente dopo aver attinto dai maestri che mi hanno permesso di fare quello che faccio. Su tutti Ivano Fossati, ce l’ho tatuato è il mio padre putativo. Nella presentazione dell’album dici: libero di amare. E’ un disco senza armature. Ti senti più indifeso o vulnerabile? Una volta che decidi di togliere l’armatura, sai che puoi arrivare ovunque. Quindi non hai paura? No, anche se la paura è uno stato d’animo, anche bello a volte, perché ti permette di capire molte cose e ti da la possibilità di essere coraggioso. Spesso si ha paura di aver coraggio. Antonio Prestieri. Perché Maldestro? Perché lo sono, inciampo e faccio danni, se senti un rumore o qualcosa che cade è stato Antonio. Anche in musica? Ogni tanto è bello far danni anche in musica. Un bel danno. © Riproduzione riservata


Giorgio Gaber

una targa speciale per ricordare il Signor G i è svolta venerdì 25 gennaio 2019, alle ore 18.00 la cerimonia in cui è stata scoperta una targa posta sulla facciata della casa di via Londonio 28, in ricordo degli ottant’anni della nascita del Signor G.

Gaber, allora Gaberscik, ha vissuto in via Londonio con il padre Guido, la madre Carla e il fratello Marcello fino al 1963, quando era già un affermato protagonista dello spettacolo italiano soprattutto televisivo e discografico.

Infatti, esattamente il 25 gennaio del 1939, al civico 28 di via Londonio a Milano nasceva Giorgio

L’iniziativa, nata da una proposta del condominio, ha subito incontrato l’entusiastico favore della Fondazione Gaber che si è immediatamente adoperata per la realizzazione e la posa della targa di cui riportiamo di seguito il testo:

Gaber, proprio a pochi passi dalla sede milanese della RAI che, solo vent’anni dopo, giovanissimo, l’avrebbe reso popolare a livello nazionale come interprete di Rock’n’Roll assieme a Mina e Celentano con la trasmissione “Il Musichiere”.

“Qui nacque nel 1939 GIORGIO GABER. Inventore del Teatro – Canzone. La sua opera accompagna vecchie e nuove generazioni

sulla strada della libertà di pensiero e dell’onestà intellettuale.” All’evento, hammo partecipato Ombretta Colli, la figlia Dalia e i suoi figli Lorenzo e Luca. Presenti anche tanti milanesi ed estimatori dell’artista, che certamente ricorderanno via Londonio perché citata in un divertente monologo.A 16 anni dalla prematura scomparsa, Milano continua a tenere viva la memoria dell’artista che tanto ha dato e ricevuto dalla sua città natale: ad aprile, con la rassegna “Milano per Gaber”, con la collaborazione del Piccolo Teatro di Milano e la futura titolazione del Teatro Lirico. © Riproduzione riservata

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Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere tx Marica Crisci

La mostra Depositi di Capodimonte. Storie ancora da scrivere (21 dicembre 2018 - 15 maggio 2019), organizzata dal Museo insieme alla casa editrice Electa, è il secondo capitolo di una trilogia di esposizioni che sfida il principio costitutivo del museo, proponendolo non più come entità statica e immobile, presunta lezione magistrale, ma come luogo di libertà, di creatività, di potenziale espressivo. In questa mostra saranno esposte 1220 opere tra dipinti, statue, arazzi, porcellane, armi, e oggetti di arti decorative provenienti unicamente dai cinque depositi di Capodimonte - Palazzotto, Deposito 131, Deposito 85, Farnesiano e GDS (Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) - per raccontarne il ruolo e la storia tra scelte imposte dai dettami del gusto, dalla natura della collezione del museo o dallo stato conservativo delle opere. Preceduta dalla mostra Carta Bianca. Capodimonte Imaginaire (12 dicembre 2017 – 11 novembre

2018), che ha coinvolto dieci personalità diverse, provenienti, per formazione e professionalità, da ambiti eterogenei dello scibile umano, col compito di reinterpretare le collezioni del Museo attraverso la propria visione personale, sarà seguita da C’era una volta. Storia di una grande bellezza (15 giugno 2019 – 15 Aprile 2020): 150 personaggi delle grandi opere musicali del secolo d’oro napoletano incontreranno, nelle 19 sale dell’appartamento reale di Capodimonte, la storia visuale, la collezione di arti decorative del Museo (oltre 1000 oggetti), con particolare accento sulle porcellane, e

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l’alto artigianato sartoriale delle grandi produzioni del Teatro di San Carlo, reinterpretando in modo interdisciplinare il temperamento, le eccellenze, la creatività, la curiosità e il bonheur del secolo dei lumi. Per raggiungere agevolmente il museo dal centro storico, è disponibile il servizio Shuttle Capodimonte, la navetta dell’arte che accompagna turisti e cittadini fino all’antico palazzo reale.

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ercalli è la scala di valutazione degli effetti di un terremoto su persone e cose, come le canzoni che misurano gli smottamenti e le crepe della quotidianità. Il progetto nasce nel 2013 sulle colline irpine dell’entroterra campano, un tratto di Appennino a metà strada tra Adriatico e Tirreno che influenza la scrittura intima della band, sospesa tra una sorta di atmosfera cantautorale e reminiscenze alternative dei primi anni 2000. Nel 2016 l’incontro con il batterista Francesco Margherita coincide con l’inizio dell’attività live del gruppo, fino a quel momento dedito alla ricerca di una precisa cifra stilistica. Il sound dei Mercalli intreccia il cantautorato italiano con suggestioni pop-rock naïf ed atmosfere stranianti dando vita

a qualcosa di unico nel suo genere. Dopo una serie di autoproduzioni, nel 2018 entrano a far parte della famiglia I Make Records di Francesco Tedesco, con il quale co-producono il disco d’esordio “Una casa stregata”, in uscita a Gennaio 2019. Per le registrazioni, l’album vede alla batteria Jonathan Maurano. Un’ anteprima è stata presentata dal vivo sui palchi del People Involvement Festival e dell’Ariano Folkfestival nell’agosto 2018. Il video de “La sedia in bilico”, primo singolo estratto, è frutto della collaborazione con la fotografa concettuale Alessia Rollo, anche autrice delle foto del disco. “Una casa stregata” è il racconto di situazioni spiate alla finestra con uno sguardo quasi carveriano. Una serie di storie narrate in prima persona, sol-

tanto parzialmente autobiografiche. Canzoni d’amore senza cuore che hanno la pretesa, o forse la modestia, di raccontare i sentimenti degli altri. Gli undici brani si muovono negli ambienti stregati della quotidianità, in bilico tra stanze claustrofobiche ed un posto per nascondersi. Le storie sono raccontate con un vivido contrasto tra testi in bianco e nero ed arrangiamenti colorati creando così una tensione musicale moderna e personale. Le canzoni hanno fondamenta scarne, composte al pianoforte o alla chitarra, si edificano su ritmiche semplici e linee pulsanti di basso, chitarre cicliche, synth melodici, voci misurate, ed una produzione artistica trasparente. © Riproduzione riservata


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La musica classica deve diventare popolare

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ilm scritto e diretto da Ludovic Bernard con Lambert Wilson, Kristin Scott Thomas, Jules Benchetrit in sala dal 27 dicembre, distribuito da Cinema di Valerio De Paolis. «L’idea – dice il regista Bernard - mi è venuta in modo molto semplice: mentre mi trovavo alla stazione di Bercy e mi accingevo a prendere un treno, ho sentito un giovane suonare il pianoforte. Era un ragazzo che, a prima vista, non possedeva assolutamente i codici del la musica classica, ma che interpretava divinamente bene un valzer di Chopin. È stato un momento

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magico: attorno a me c’erano poche persone. Sono salito sul treno e mi sono messo a immaginare e a scrivere il passato e il futuro di quel giovane, chiedendomi come avesse potuto imparare a suonare così bene. E questo è stato il punto di partenza della mia storia che in seguito ho ambientato nella stazione ferroviaria parigina Gare du Nord». Protagonista del film è Mathieu Malinski (Jules Benchetrit, Il condominio dei cuori infranti). Un giorno nella confusione di una stazione di Pa-

rigi Mathieu inizia a suonare un pianoforte a disposizione del pubblico. Il mondo sembra fermarsi, soprattutto per il direttore del Conservatorio Pierre Geithner (Lambert Wilson), che ne riconosce l’eccezionale talento. Ma la sua proposta di frequentare il Conservatorio non interessa il giovane, che vive di piccoli furti messi a segno insieme a due suoi amici. Quando finisce in arresto per un colpo andato storto, Pierre gli propone uno scambio: gli eviterà la prigione in cambio di qualche ora di lavoro socialmente utile.


Il suo vero scopo, però, è prepararlo a un concorso nazionale di pianoforte. Sotto la guida dell’intransigente “Contessa” (Kristin Scott Thomas), Mathieu affronta una sfida che non riguarda soltanto lui, ma il futuro stesso del Conservatorio. Questo film contiene un atto di fede e una dichiarazione d’amore nei confronti della musica classica. È un’arte che l’appassiona? Sì, tantissimo. Ascolto spesso a ripetizione le opere liriche, in particolare “La Tosca”. Amo anche immensamente le sinfonie di Mozart e ascolto frequentemente esecuzioni al pianoforte perché adoro Chopin. Quando lavoro a casa, mi piace mettere in sottofondo della musica classica: mi colma, mi pervade e mi procura delle emozioni che non provo in nessun altro modo e luogo. Se ho bisogno di scrivere delle sceneggiature, cerco i brani musicali giusti e spesso sono strumentali perché ricerco l’e-

mozione più pura, più integra, più intensa. La musica classica mi trascina: del resto può essere definita l’altra protagonista del film, tanto è centrale e presente. Tuttavia, durante il montaggio, è stato necessario trovare la giusta dose tra la colonna sonora e le esecuzioni al pianoforte. Non è stato un lavoro facile. Nelle prime versioni, era troppo presente e schiacciava il film, poi abbiamo trovato la giusta misura. Possiamo dire che Mathieu è nato nel posto sbagliato? Assolutamente! In tutta sincerità io credo che oggi la musica classica sia considerata un po’ polverosa, in particolare nei quartieri poveri o negli ambienti popolari ed è questo l’aspetto che mi ha spinto a riflettere ascoltando quel giovane suonare nella stazione. Con questo film, ho tentato di avvicinare ai gusti attuali la musica classica e di mostrare che chiunque può conoscere Rachmaninov, Mozart e altri. La musica classica è conside-

rata troppo elitaria, ma in realtà migliaia di canzoni moderne si ispirano ad essa. Deve diventare popolare. A tratti viene in mente BILLY ELLIOT... È stato una fonte di ispirazione, ma il mio film di riferimento durante la scrittura è stato soprattutto WILL HUNTING – GENIO RIBELLE. Anche quella è una storia sulla trasmissione in cui tre personaggi si aiutano e si salvano reciprocamente. Ma, ancora una volta, sono rimasto folgorato quando alla stazione ho visto quel giovane che suonava Chopin. L’universo della musica classica e quello delle periferie sono talmente distanti che per Mathieu è una vera fortuna incontrare Pierre sul suo cammino. Pierre capisce subito che ha un talento straordinario, per lui diventa un pensiero fisso e torna alla stazione per ritrovare le sue tracce. © Riproduzione riservata


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Ho perso il filo Du

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na commedia, una danza, un gioco, una festa, questo è Ho perso il filo.

In scena un’ Angela Finocchiaro inedita, che si mette alla prova in modo sorprendente con linguaggi espressivi mai affrontati prima, per raccontarci con la sua stralunata comicità e ironia un’avventura straordinaria, emozionante e divertente al tempo stesso: quella di un’eroina pasticciona e anticonvenzionale che parte per un viaggio, si perde, tentenna ma poi combatte fino all’ultimo il suo spaventoso Minotauro. Angela si presenta in scena come un’attrice stufa dei soliti ruoli: oggi sarà Teseo, il mitico eroe che si infila nei meandri del Labirinto per combattere il terribile Minotauro. Affida agli spettatori un gomitolo enorme da cui dipende la sua vita e parte.

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Una volta entrata nel Labirinto, però, niente va come previsto. Viene assalita da strane Creature, un misto tra acrobati, danzatori e spiriti dispettosi, che la circondano, la disarmano, la frullano come fosse un frappè, e soprattutto tagliano il filo che le assicurava la via del ritorno. Disorientata, isolata, impaurita, Angela scopre di essere finita in un luogo magico ed eccentrico, un Labirinto, che si esprime con scritte e disegni: ora che ha perso il filo, il Labirinto le lancia un gioco, allegro e crudele per farglielo ritrovare. Passo dopo passo, una tappa dopo l’altra, superando trabocchetti e prove di coraggio, con il pericolo incombente di un Minotauro affamato di carne umana, Angela viene costretta a svelare ansie, paure, ipocrisie che sono sue come del mondo di oggi e a

riscoprire il senso di parole come coraggio e altruismo. Alla sua maniera naturalmente, come quando - di fronte ai ragazzi ateniesi che la implorano di salvarli dal Mostro che li sta già sgranocchiando promette firme e impegno sui social; o come quando è sottoposta a una sfida paradossale dal vero Teseo, sceso di corsa dalle vette del mito, indignato perché la sua interprete difetta delle necessarie qualità eroiche; o quando deve fare del bene a una mendicante rom e decide di darle non una semplice elemosina ma di regalarle un’intera spesa: se la porta dietro al supermercato ma, siccome la mendicante la irrita ignorando i prodotti bio per fiondarsi invece su merendine industriali e insaccati carichi di conservanti, finisce per farla arrestare. © Riproduzione riservata




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