Artribune #62

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SETTEMBRE L OTTOBRE 2021

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COSA MANCA A MILANO? CINQUE SFIDE CULTURALI BERTRAM NIESSEN [ direttore scientifico di cheFare ]

C

osa manca nella cultura a Milano? Provare a rivolgere questa domanda ai pubblici e agli addetti ai lavori fa emergere la densità e la stratificazione di significati, pratiche e linguaggi che cerchiamo di ricondurre a un termine dai confini spesso troppo angusti, quello di cultura. Tra le tante risposte che si potrebbero raccogliere: “un Museo del Contemporaneo”, “un nuovo Grande Progetto di Arte Relazionale”, “un Auditorium come quello del Parco della Musica”, “un Centro per l’Arte e la Scienza”. L’elencazione potrebbe continuare per pagine e pagine, ma sarebbe un esercizio futile. Sono tutte risposte legittime che guardano però alla realizzazione di singoli elementi isolati in un contesto che negli ultimi dieci anni ha attraversato enormi trasformazioni, nel quale la cultura è passata dal ruolo di ancella delle cose “serie” a quello (a volte reale, altre solo annunciato) di motore urbano. In parte persino durante la pandemia, l’agenda culturale cittadina è stata costantemente affollata di inaugurazioni, aperture di nuovi spazi, lanci di nuove istituzioni, annunci e comunicati. Più che guardare alla “next big thing”, allora, per capire come si può trasformare la cultura a Milano è interessante confrontarsi con la complessità, provando a cogliere alcuni grandi movimenti necessari con cui la città nel suo complesso dovrà confrontarsi in futuro.

OTTIMISTI VS ESTRATTIVISTI

Certo, parlare di come è cambiata Milano negli anni recenti non è facile. Perché le trasformazioni dell’ultimo decennio hanno segnato una discontinuità enorme rispetto al passato, costruendo su alcuni temi delle distanze con il resto del Paese e favorendo, su altri, prese di posizione ideologiche

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Milano nell'ultimo decennio ha avuto uno sviluppo insperato che su tanti aspetti l'ha posta vicina o addirittura sopra ai migliori standard europei. Restano dei dubbi però sul fronte culturale, visto che la città fa tanto ma potrebbe fare di più, sfruttando ancora meglio il suo essere florida economicamente e dinamica socialmente. In che direzione si doverebbe andare? In quali settori? In che zone della città ci sarebbe bisogno di attrattori culturali? Come dovrebbero essere concepiti i nuovi sviluppi immobiliari e i nuovi quartieri? Sono queste le domande che abbiamo rivolto a una serie di operatori attivi in città. all’interno della stessa città. La nascita di una nuova forma di governance, il fiume di risorse mobilitato anche grazie a Expo 2015 e la proliferazione di grandi interventi di architettura iconica hanno contribuito a produrre un’immagine a volte un po’ piatta di un tessuto urbano che – come è inevitabile – vive di contraddizioni, di ambiguità e di disallineamenti. Se oltre i confini comunali a volte sembra quasi che tutto luccichi sotto la Madonnina, al suo interno la città è divisa fra “ottimisti” ed “estrattivisti”. I primi mettono l’accento su una rete di mezzi pubblici efficiente, sul potere inclusivo della tradizione filantropica meneghina, sull’attrazione di capitale umano, sulla generazione di ricchezza economica e sulla capacità di competere in alcune grandi sfide internazionali. I secondi guardano invece alle disuguaglianze crescenti,

allo scollamento tra redditi e costo della vita, alla povertà abitativa, alla turistificazione e alla gentrification. È una polarizzazione che sconfina spesso nell’agiografia da un lato e nella critica un po’ autocompiaciuta dall’altro, e che rischia di dare sguardi su Milano tutt’altro che approfonditi. E non è certo possibile dimenticare che la vita della città è stata segnata in modo brutale dall’ultimo anno e mezzo di pandemia. Alle chiusure portate dal lockdown e dalle zone di vari colori ha corrisposto un blocco o una forte contrazione del lavoro per decine di migliaia di professionisti e organizzazioni, sia nell’ambito strettamente culturale che in tutti quei settori dell’economia creativa che qui più che altrove in Italia con la cultura si fondono, a partire da quelli degli eventi e della comunicazione. Chi ha potuto ha lasciato la città per


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