LuogoComuneMagazine - Numero 6

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“codice d’onore”. E basterebbe ripensare alla piccola Angelica, di soli due anni, uccisa barbaramente.

Alle ore 8.40 i furgoni sono in strada quando arrivano le prime notizie. “C’è stata una bomba” - ci dicono al telefono , è scoppiata nella scuola Falcone Morvillo, il cui nome evoca immediatamente scenari spaventosi. Ma la notizia più triste arriva quasi subito, c’è una ragazza morta e altre ferite. Corriamo lungo la strada in un silenzio interrotto solo dalle telefonate, tante, troppe per chi vuole riflettere e provare a capire. A Brindisi, proprio di fronte alla Camera del lavoro, dove la tappa brindisina è stata costruita, c’è la scuola Morvillo, c’è lo scenario di una distruzione e per terra pagine di quaderni che per prime ci raccontano l’orrore di ciò che è accaduto. I giornalisti, tanti, anche loro forse troppi, cercano noi di Carovana perché la prima idea è quella di un attentato mafioso. In quella scuola, nel giorno di carovana e a pochi metri dal Tribunale. Non ci sembra un delitto da criminalità organizzata; ma ugualmente appare terribile sentire che non può essere un delitto di mafia perché la mafia non uccide i ragazzi, perché ha un suo

Le giornate successive si alterneranno fra ipotesi e manifestazioni, ci sono i ragazzi da abbracciare nelle tante assemblee studentesche organizzate all’improvviso. C’è anche la volontà di affrontare le facili confusioni, per cui può apparire un cartello con scritto “Nella guerra fra lo Stato e la mafia, noi siamo le vittime”, e si vorrebbe spiegare a quei ragazzi che lo Stato siamo noi, che non è quella la direzione giusta, ma è piuttosto quella di un altro cartello che denuncia come la città di Brindisi si sia svegliata solo dinanzi ad un fatto cruento, altrimenti avrebbe continuato nell’acquiescenza quotidiana che nasconde mille atteggiamenti mafiosi legati al racket, allo spaccio, all’usura. Dopo circa 48 ore tutto cambia. Lo scenario che si delinea è quello del folle, del mostro. E l’inquietudine sembra essere moderata da questa ipotesi. Un folle non è la mafia, forse fa paura lo stesso ma non è la stessa cosa, sembrano dire commentatori e gente comune. Perché in fondo un delitto di mafia, in qualche modo ci richiama alle nostre responsabilità, persino l’ordinaria indifferenza ne viene scossa. Ma contro un folle, sembrano dirci in tanti, “cosa si può fare?”. Come se quella spirale di violenza ci fosse estranea, come se l’odio che porta un uomo a far scoppiare una bomba nei pressi di una scuola e dilaniare le vite innocenti di sei ragazze non sia qualcosa che ci deve riguardare. Come se le modalità utilizzate non provengano da un mondo che con l’atteggiamento mafioso ha molto a che fare. Scrive bene Tonio Dell’Olio, quel mostro è nostro, è cresciuto nella stessa società in cui siamo cresciuti noi, si è alimentato della stessa barbarie che troppo spesso distratti come siamo non vogliamo guardare. Alessandro Cobianchi

coordinatore nazionale della Carovana Antimafia, Responsabile area legalità democratica e antimafie Arci


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