HI-TECH AMBIENTE 8.2016

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVII NOVEMBRE 2016

N8



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA APPROFONDIMENTI

Un impianto completo 8

Un decreto sui piccoli raee I distributori devono prevedere contenitori separati per raee pericolosi e non pericolosi e tenere distinti registri di carico, scarico e trasporto

Il progetto Bio2Energy

DEPURAZIONE 10

Oggi vengono impiegati i bioreattori a membrana (MBR) e a letto mobile (MBBR), i biofiltri aerati (SAB) e le membrane di osmosi inversa

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Questione di efficienza

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LABORATORI

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Sistemi specifici per la depurazione delle emissioni in atmosfera in ambito sia civile sia industriale

I nuovi ecofiltri per VOC

Le misure con gli ultrasuoni L’applicazione di questi strumenti, a effetto Doppler o a tempo di transito, per il controllo della portata o del livello

Gli effluenti delle industrie galvaniche, prevalentemente acidi, spesso contengono cromo e richiedono diversi passaggi

Il trattamento dell’aria

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MACCHINE & STRUMENTAZIONE

Il riutilizzo industriale dei reflui

Via i metalli dalle acque reflue

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Una linea impiantistica con pretrattamento, digestione anaerobica, produzione di energia e compostaggio aerobico del digestato

I nuovi composti fotocatalitici

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Sviluppati nanocristalli di specifici ossidi a base di metalli di transizione che, attivati dalla luce, reagiscono con l’ossigeno dell’aria e con l’acqua

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Un carbone attivo a struttura porosa per l’abbattimento degli inquinanti in fase vapore o gas

I bioinquinanti difficili

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SICUREZZA

Aflatossine: un rischio trascurato

RIFIUTI Sottoprodotto o rifiuto?

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L'indeterminatezza induce contrasti interpretativi che possono provocare ricadute in termini di costi e oneri amministrativi

Il rischio radioattività

TECNOLOGIE

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Fondamentale l’adozione di misure di prevenzione e protezione da un’eventuale contaminazione per gli addetti a raccolta e lavorazione e per l’ambiente

Untha e Pronar in bella mostra

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Le ultime innovazioni in materia di trituratori e l’annuncio della distribuzione esclusiva di una nuova gamma di riciclaggio

Al servizio del recupero dei materiali

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Coinvolto principalmente il comparto agroalimentare, ma anche laboratori di analisi, impianti per la produzione di biogas e inceneritori

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Eco-tecnologie per i cementifici

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Maggiore efficienza energetica, cementi a basse emissioni, uso di combustibili alternativi, sostituzione parziale del clinker, cattura della CO2

MARKET DIRECTORY

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ENTERPRISE EUROPE NETWORK

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 82 Hi-Tech Ambiente

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panorama RiCRea

CoReVe

Acciaio: riciclo a go-go Vetro: ottimi risultati

Secondo gli ultimi dati del Consorzio Ricrea, cresce ancora la quantità di imballaggi in acciaio immessi al consumo in italia (+2,3%) e migliorano i tassi di raccolta (+3,2%) e di riciclo (+3,5%). Dalle scatolette ai barattoli per alimenti, dalle bombolette aerosol ai grandi fusti industriali, fino ai tappi corona e alle lattine, i contenitori in acciaio sono sempre più diffusi e amici dell’ambiente: nel 2015 in italia è stato riciclato il 73,4% dell'immesso al consumo, per un totale di 347.687 tonnellate, sufficienti per realizzare quattro copie del Golden Gate, il celebre ponte in acciaio di San Francisco. <<il 2014 ha visto il rinnovo dell’accordo quadro anci-Conai e dei vari allegati tecnici - spiega maurizio amadei, presidente di Ricrea - ma è stato il 2015 l’anno in cui si è entrati nel merito dei rinnovi delle convenzioni e delle deleghe rilasciate ai gestori o soggetti terzi. Come Consorzio abbiamo intensificato i nostri sforzi con l’obiettivo di migliorare i risultati di raccolta, soprattutto nel Centro e Sud italia. Due

scommesse in questo senso arrivano da Catania e Bari, dove si sta introducendo un nuovo modello di raccolta differenziata>>. Grazie all’attenzione dedicata allo sviluppo della copertura territoriale attraverso le convenzioni con Ricrea, nel 2015 sono stati raggiunti oltre 48,8 milioni di abitanti pari all’80,3% della popolazione italiana, con un +1% rispetto all’anno precedente. ma se la popolazione servita al nord si attesta al 90%, al Centro scende all’80% e al Sud è del 73%. Delle 127.899 tonnellate raccolte grazie alle convenzioni, il 66% proviene dal nord, il 13% dal Centro e il 21% dal Sud italia.

la raccolta differenziata e il riciclo dei rifiuti di imballaggio in vetro in italia sono aumentati anche nel 2015, secondo i dati forniti di recente dal consorzio CoReVe. la raccolta differenziata, infatti, cresciuta del 3,5% rispetto al 2014, raggiungendo 1,825 mln di ton, con punte di maggior crescita al Centro (+10,9%) e al Sud (+5,3%). le quantità riciclate a livello nazionale, invece, sono state 1,661 mln di ton (+2,9%); però, quelle raccolte ma mandate in discarica, per effetto di conferimenti imprecisi, sono state 164.000 ton (+10%). l’immesso al consumo degli imballaggi in vetro è stato di 2,343 mln di ton, con un aumento dell’1,9%, probabile segno di una ripresa dei consumi alimentari. in aumento anche il tasso di riciclo, cioè il rapporto fra quanto riciclato e l’immesso al

consumo, che sale al 70,9% (era 70,3% nel 2014). i risultati ottenuti nel 2015 hanno consentito anche enormi benefici, sia in termini economici sia ambientali: ricavo dei Comuni, pari a circa 68 mln di euro; risparmio per lo smaltimento in discarica, pari a circa 194 mln di euro; risparmio di materie prime estratte, pari a circa 3,05 mln di ton; risparmio di energia, pari a circa 318 mln di mc di metano; minor emissione di Co 2, pari a 1,875 mln di ton.

Comuni RiCiCloni 2016

I “Rifiuti free” d’Italia Quest’anno il Premio Comuni Ricicloni 2016 di legambiente riserva una bella e inaspettata sorpresa: crescono in italia i comuni “Rifiuti free”, ossia quelli che oltre ad essere ricicloni hanno puntato sulla riduzione del residuo non riciclabile da avviare a smaltimento. Sono ben 525, contro i 356 dello scorso anno, le realtà che producono meno di 75 kg/anno per abitante di rifiuto secco indifferenziato, (pari al 7% del totale nazionale), per una popolazione che sfiora i 3 milioni di cittadini. Ri-

sultati ottenuti con ricette diverse ma con un denominatore comune: la responsabilizzazione dei cittadini attraverso una raccolta domiciliare, una comunicazione efficace e con politiche anche tariffarie che premiano il cittadino virtuoso. non è un caso che 255 comuni “Rifiuti free” hanno un sistema di tariffazione puntuale e 136 uno normalizzato. a livello geografico, il nord ha 413 comuni “Rifiuti free” (79%), il Sud a 87 (17%) e il Centro 25 (5%), ed è il Veneto la regione che più delle altre supera la me-

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dia nazionale del 7% di “Rifiuti free” rispetto al totale (con il 35%).


RaCColta e tRattamento

Raee: ieri, oggi, domani

nel 2015 sul territorio nazionale hanno operato un totale di 957 impianti che si occupano di raee iscritti all’elenco gestito dal Centro di Coordinamento, di cui ben 473 situati nelle regioni del nord ovest, 196 nelle regioni del nord est, 149 nelle regioni del Centro,

101 nelle regioni del Sud e 38 nelle isole. a fronte di 883.882 tonnellate di apparecchiature elettriche ed elettroniche immesse sul mercato, nel 2015 gli impianti autorizzati hanno trattato 329.460 tonnellate di raee, suddivise nei cinque Rag-

gruppamenti, di cui il 79% (pari a 259.574 ton) provenienti da raee domestici e il 21% (pari a 69.886 ton) da raee professionali. in particolare, ben 259.582 tonnellate dei raee di origine domestica sono state trasportate dai Sistemi Collettivi associati al CdC agli impianti di trattamento in italia e all’estero, con una predominanza delle tipologie di rifiuti appartenenti al R1 freddo e clima (73.332 ton) e al R2 grandi bianchi (72.434 ton). Particolarmente importante la recente entrata in vigore del decreto 121 del 31/5/2016, che impone ai negozi con una superficie di vendita di almeno 400 mq il ritiro gratuito dei raee con dimensioni fino a 25 cm, senza alcun obbligo di acquisto (1 contro 0). «Già previsto nella normativa generale sui Raee entrata in vigore due anni fa, con questo decreto l’uno contro Zero è diventato a

tutti gli effetti operativo - osserva Giancarlo Dezio direttore generale di ecolight – e lo scopo è incrementare la raccolta di questi rifiuti in vista degli obiettivi europei, poichè entro la fine di quest’anno dovremo arrivare a raccogliere il 45% di quanto immesso al consumo>>. Di questi piccoli raee (cellulari, tablet, piccoli elettrodomestici ed elettroutensili di ridotte dimensioni) solo il 14% segue un corretto iter di raccolta, trattamento e recupero, sebbene rappresentino una vera risorsa di materie prime seconde, poiché ben il 95% può essere riciclato.

@AMBIENTE ON-LINE@AMBIENTE ON-LINE@ Col fine di segnalare la presenza di cattivi odori nel territorio valdarnese, il Comune di terranuova Bracciolini (aR), in collaborazione con arpat e il Comune di San Giovanni Valdarno (aR), hanno lanciato un’applicazione per smartphone e tablet che mira a coinvolgere e informare il più possibile i cittadini nella gestione del disagio, segnalandolo direttamente alle autorità competenti. il servizio, completamente gratuito, si chiama Claim-app e può essere attivato da tutti i possessori di dispositivi portatili che utilizzano il sistema operativo ios o android. l’applicazione può essere scaricata da apple store o da Google play e permette, previa registrazione, di inviare una segnalazione in tempo reale sulla presenza di molestie olfattive di vario genere e con diverse gradazioni di percezione. l’utente sarà georeferenziato e quindi alle autorità competenti sarà possibile individuare tempestivamente l’ora, il luogo preciso, la tipologia di o-

Claim-app antiodori

dore segnalato e la sua intensità, limitando in questo modo il problema, riscontrato con le precedenti modalità di segnalazione, di gestire comunicazioni non sufficientemente complete e/o imprecise. la segnalazione viene registrata e archiviata in uno specifico data-base, nel pieno e rigoroso rispetto della normativa in materia di trattamento dei dati personali e le informazioni potranno essere agevolmente confrontate e analizzate, in quanto rese omogenee e funzionali anche per le ge-

stione informatizzata. l’altro aspetto particolarmente importante che questa applicazione consente, è il fatto che tutte le segnalazioni vengono restituite al pubblico entro le 24 ore, attraverso un’interfaccia grafica visitabile via web sul sito www.claimapp.it ai fini della massima trasparenza e pubblicità dell’iniziativa. il servizio, testato e collaudato, è pienamente operativo. Per circoscrivere l’area di segnalazione ed impedire invii non pertinenti (afferenti, ad esempio, a disturbi olfattivi percepiti al di fuori dei comuni interessati) è

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stato fissato un raggio d’azione di 5 km di copertura del servizio, che avrà il suo fulcro presso il polo impiantistico di Podere Rota. ma oltre ai cattivi odori legati al ciclo dei rifiuti, l’app consente anche di evidenziare molestie olfattive legate ai cicli industriali o alla combustione, al fine di avere un quadro più completo dei disagi eventualmente percepiti nel territorio interessato.

www.claimapp.it

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approfondimenti

Un decreto sui piccoli raee I nuovi obblighi

i distributori devono prevedere contenitori separati per raee pericolosi e non pericolosi e tenere distinti registri di carico, scarico e trasporto il ministero dell’ambiente ha recentemente emanato il decreto che disciplina il ritiro gratuito dei rifiuti da apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) di piccolissime dimensioni. il decreto, emanato in conformità a quanto previsto dall’art.11, c.4, del D.lgs n.49/2014 (che costituisce la normativa di attuazione della Direttiva 2012/19/ue sui raee), introduce una serie di importanti novità per quanto riguarda il ritiro dei raee da parte dei distributori, tra cui il criterio dell’ ”1 contro 0” per i raee di piccolissime dimensioni, e semplifica (almeno in teoria) alcune procedure tra cui il ritiro dei rifiuti, che può essere fatto anche in un luogo che si trova “in prossimità immediata” del punto vendita. NUOVI OBBLIGHI PER I DISTRIBUTORI

dedicata alle apparecchiature elettriche ed elettroniche di almeno 400 mq. Viene comunque lasciata la facoltà di applicare il criterio “1 contro 0” ai distributori che hanno una superficie di vendita inferiore, o a quelli che effettuano vendite

mediante tecniche di comunicazione a distanza (ad esempio vendite on line). il nuovo D.m. introduce una serie di nuovi obblighi per i distributori, che devono: - mettere a disposizione dei clienti

oltre al noto ritiro “1 contro 1” già previsto dalla normativa attuale in caso di acquisto di un nuovo apparecchio, il D.m. introduce anche il ritiro “1 contro 0”, ossia l’obbligo per i distributori di ritirare i raee indipendentemente dalla vendita di un nuovo prodotto, a due condizioni: - deve trattarsi di un raee “di piccolissime dimensioni”. Rientrano in questa categoria i raee identificati dal D.lgs 49/2014 come “raee di dimensioni esterne inferiori a 25 cm” provenienti dai nuclei familiari e conferiti dagli utilizzatori finali. - l’obbligo riguarda solo i distributori con una superficie di vendita

due diversi tipi di contenitori, uno per i raee di piccolissime dimensioni pericolosi e uno per quelli non pericolosi - contrassegnare i due contenitori con cartelli o pittogrammi che spieghino ai clienti le differenze tra le due diverse tipologie - tenere due registri di carico e scarico (per raee pericolosi e non pericolosi), da compilare quando i contenitori di raccolta vengono vuotati entro i contenitori destinati al deposito preliminare - compilare, al momento dello svuotamento, un nuovo “modulo di annotazione”, che dovrà essere allegato al documento di trasporto - mantenere separati i raee di piccolissime dimensioni dagli altri, sia per quanto riguarda il deposito preliminare che per quanto riguarda il trasporto - compilare un apposito documento di trasporto per i raee di piccolissime dimensioni, che si va ad aggiungere agli altri due documenti di trasporto già previsti (documento di trasporto raee e formulario identificativo del rifiuto). naturalmente questi obblighi si aggiungono a quelli già in vigore per i raee "normali", cioè quelli che vengono ritirati in base al criterio "1 contro 1", con conseguenze al limite del paradossale: ad esempio, un negoziante che ha raccolto un certo quantitativo di lampade a ridotto consumo energetico dovrà tenere distinte le provenienze, e quando dovrà organizzare il trasporto al centro di raccolta comunale o all'impianto di trattamento autorizzato dovrà compilare tre distinti documenti di trasporto, secondo che le lampade siano state dismesse dal suo punto vendita, consegnate da consumatori che hanno acquistato una lampada nuova, oppure infine consegnate da consumatori che non hanno acquistato nulla. TRASPORTO E SEPARAZIONE

la nuova normativa non risolve alcune incongruenze del D.lgs. n.49/2014, e in particolare: - non sono state recepite le semplificazioni relative al trasporto dei raee in quantitativi superiori ai 3.500 kg, previste dal D.m. 65/2010. in questo caso, quindi, i trasportatori utilizzati dovranno essere necessariamente iscritti all’albo Gestori ambientali ai sensi dell’art.212, n.5, del D.lgs 152/2006 Hi-Tech Ambiente

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- i gestori dei centri di raccolta devono suddividere e allocare materialmente, in aree appositamente individuate e adibite al deposito preliminare alla raccolta, i raee destinati alla preparazione per il riutilizzo; i centri di raccolta, però, non sono autorizzati ad effettuare tale attività, che spetta ai centri di trattamento o ai centri di preparazione. IL SISTEMA RAEE IN ITALIA

attualmente sono attivi 5 diversi tipi di Centri di Conferimento Raee, secondo il seguente schema: - Centri di Raccolta (CdR). Sono realizzati e gestiti dai Comuni e dalle aziende abilitate alla gestione dei raee, e sono aperti a tutti i cittadini che possono consegnare gratuitamente i raee domestici. i CdR possono effettuare il servizio di ritiro dei raee da uno o più Comuni ed accogliere i raee provenienti dalla Distribuzione; ad oggi, si contano oltre 3800 CdR, per lo più gestiti dai Comuni - luoghi di Raggruppamento (ldR). Sono i luoghi presso cui, ai sensi del D.m. 65/2010, il distributore effettua il raggruppamento dei raee conferiti dai consumatori; essi possono essere ubicati presso il punto vendita del distributore o in altro luogo, e possono essere serviti direttamente dai Sistemi Collettivi, se iscritti al portale del Centro di Coordinamento Raee - Grandi utilizzatori. Si tratta di soggetti pubblici o privati (aeroporti, aziende, ospedali, caserme, ecc.) che producono quantitativi significativi di raee della categoria di illuminazione (R5 e R5) e, di conseguenza, possono ottenere un

ritiro in loco da parte dei Sistemi Collettivi - Centri di Raccolta Privati (CrP). Sono centri di raccolta di raee realizzati prevalentemente dagli stessi Sistemi Collettivi, in cui sono stoccati i rifiuti provenienti da attività di raccolta volontaria, e sono prevalentemente legati alle sorgenti luminose - installatori. Sono luoghi di raccolta gestiti da installatori di sorgenti luminose (R5), presso i quali sono stoccati i rifiuti provenienti da abitazioni private a seguito dell’installazione di nuove lampade o lampadine; essi sono serviti in modo diretto dai Sistemi Collettivi. la gestione dei raee domestici viene eseguita dai Sistemi Collettivi, che attualmente sono 17. tutti i Sistemi Collettivi sono associati al CdC Raee, e si differenziano tra loro per tipologia di raee trattati, forma giuridica e quota di mercato rappresentata. Gli ultimi dati sulla raccolta raee, pubblicati dal CdC, indicano un aumento rispetto agli anni precedenti, con un quantitativo totale raccolto di quasi 232.000 tonnellate, equivalenti a 3,8 kg per abitante. Siamo però ancora lontani dall'obiettivo di 500.000 ton/anno (corrispondenti al 45% delle apparecchiature nuove immesse sul mercato), che dovrà essere raggiunto alla fine di quest'anno, in base alla Direttiva 2012/19/ue. ancora più difficile sarà raggiungere l'obiettivo di 720.000 ton/anno (12 kg/ab, corrispondenti al 65% delle apparecchiature nuove), che la stessa Direttiva ha fissato per il 2019. Hi-Tech Ambiente

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DEPURAZIONE A C Q U A   -   A R I A   -   S U O L O

Il riutilizzo industriale dei reflui Preferiti i biotrattamenti

oggi vengono impiegati i bioreattori a membrana (mBR) e a letto mobile (mBBR), i biofiltri aerati (SaB) e le membrane di osmosi inversa Membrane BWXFR

la disponibilità di risorse idriche rappresenta oggi un fattore critico in molte lavorazioni industriali. Per risolvere questo problema, oltre a cercare di massimizzare il riutilizzo interno, ed a ridurre il fabbisogno mediante modifiche di processo, una possibilità sempre più sfruttata è il riutilizzo delle acque in uscita dai depuratori delle acque fognarie. esempi si trovano in tutto il mondo. in italia un’esperienza pionieristica è stata

compiuta nel comprensorio tessile di Prato e l’esempio è stato poi seguito nel comprensorio toscano del cuoio. altri impianti di depurazione che compiono trattamenti per rendere le acque in uscita idonee all’uso industriale si trovano a Rosignano (dove vengono utilizzate dallo stabilimento chimico della Solvay) e nella zona industriale di Gissi, in provincia di Chieti. i trattamenti utilizzati per rendere

le acque adatte all’uso industriale erano inizialmente di tipo chimico-fisico: flocculazione, filtrazione su sabbia, antracite e carboni attivi, disinfezione con raggi uV, acqua ossigenata o ipoclorito. Questi trattamenti sono attraenti per il loro basso costo di investimento, ma nel lungo termine risultano antieconomici a causa delle rilevanti spese di acquisto dei prodotti chimici, ed a causa dello sviluppo di contaminazioni biologi-

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che, che costringono ogni anno a fermare l’impianto per procedere alla sua completa pulizia. Per questo motivo sono oggi preferiti i trattamenti biologici, e in particolare i processi a membrana (mBR), quelli a letto mobile (mBBR) ed i filtri biologici aerati (indicati spesso con la sigla SaB, cioè Submerged aerated Biofilters). a questi trattamenti biologici si sono recentemente aggiunti anche i trattamenti su membrane di osmosi inversa, che spesso costituiscono un successivo stadio di affinamento. I REATTORI MBR

nella sua configurazione più semplice, un impianto mBR è costituito da una vasca aerata analoga a quella di un impianto a fanghi attivi seguito, anziché dal consueto stadio di decantazione, da uno stadio di microfiltrazione su membrana. invece che in uno stadio separato, le membrane possono anche essere immerse entro la vasca di ossidazione. i vantaggi di questi impianti rispetto a quelli tradizionali sono la capacità di sopportare meglio le variazioni nelle caratteristiche dell’acqua in ingresso, l’ottima qualità dell’acqua, l’ingombro ridotto e il basso tempo di ritenzione idraulico; gli svantaggi sono i costi (sia di investimento che di funzionamento), il consumo di energia elettrica (per la pulizia delle membrane con aria compresa) ed i problemi di gestione delle membrane (intasamento, sporcamento e simili). Per le industrie che hanno esigenze di qualità delle acque particolarmente spinte (come la produzione di semiconduttori e la produzione di vapore per le centrali termoelettriche), dopo la microfiltrazione si inseriscono uno o più stradi di trattamenti per osmosi inversa. I REATTORI A LETTO MOBILE

in questi impianti la biomassa da depurare si sviluppa su elementi in materiale plastico posti in sospensione nella vasca di ossidazione; gli elementi hanno forme molto varie, come rotelle, cilindretti ca-


vi, cubetti e simili. tra i processi di questo tipo che hanno avuto le maggiori applicazioni sicuramente il linpor, della società tedesca linde, e il Kaldnes della Veolia Water technologies. il tipo di biomassa che viene fatto aderire agli elementi in plastica può essere selezionato secondo il tipo di contaminanti da rimuovere: ad esempio, il processo linpor esiste in 3 varianti, secondo che debbano essere rimossi soprattutto i composti a base di carbonio, quelli azotati o quelli a bassa biodegradabilità. a valle della vasca di ossidazione è di solito posto un classico sedimentatore; ma possono essere usate anche membrane o filtri a sabbia. Rispetto ai sistemi mBR, i reattori mBBR sono più facili da gestire e presentano minori consumi energetici, ma hanno consumi più alti di prodotti chimici, necessari per mantenere vitale la biomassa.

Filmtec di Dow

I FILTRI BIOLOGICI AERATI

Questi sistemi sono costruttivamente molto semplici, essendo costituiti da vasche contenenti un materiale granulare, appoggiato su

una griglia di supporto. il biofilm batterico che compie la depurazione si sviluppa sulla superficie dei granuli; il refluo da depurare scorre di solito dall’alto verso il basso, mantenendo il letto di granuli completamente sommerso. l’aria necessaria per le reazioni aerobiche di depurazione viene insufflata dal basso. il vantaggio dei filtri biologici aerati consiste nell’esecuzione contemporanea dell’ossidazione e della filtrazione, per cui in uscita si ottiene un contenuto di solidi sospesi da 10 a 20 mg/l, senza bisogno di sedimentatore secondario; è però necessario prevedere un controlavaggio periodico, ed un dispositivo a sifone per il ricircolo delle acque di lavaggio e dei fanghi. Se il contenuto in solidi sospesi è troppo elevato per le applicazioni cui l’acqua è destinata, può essere ridotto con sistemi di filtrazione su dischi o su cartucce. Rispetto agli altri tipi di depuratori aerobici, il grande vantaggio dei filtri biologici aerati è il loro ingombro molto ridotto; i consumi energetici sono anch’essi ridotti, Continua a pag. 13

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COVER STORY

I piccoli depuratori Trattamento reflui fino a 50 PT

altri sforzi europei per garantire l’idoneità e la qualità dei sistemi di depurazione di modeste dimensioni una vera e propria “prima” per l’italia: a fine settembre scorso, nella sede dell’uni (ente nazionale italiano di unificazione) a milano, si è tenuta una seduta del Gruppo di lavoro europeo sui piccoli sistemi di trattamento delle acque reflue (WG 41). le nuove esigenze dalla Commissione europea sulle norme en nonché una sentenza della Corte di Giustizia dell’ue hanno reso molto urgenti i lavori per la nuova versione della norma en-12566. all’incontro hanno partecipato i rappresentanti degli stati membri italia, Germania, Francia, austria, irlanda, Svezia, Danimarca e lituania, che hanno collaborato per rendere possibile la pubblicazione della nuova versione l’anno prossimo. Questa versione aggiornata della norma comporterà un nuovo modello della Dichiarazione di Prestazione (DoP) per la marcatura Ce secondo la parte 3 della norma en-12566 valida per tutti i piccoli depuratori. tale dichiarazione elencherà non soltanto i risultati di trattamento ottenuti nelle prove di tipo iniziale, ma anche la frequenza di svuotamento dei fanghi e il consumo di corrente elettrica dei sistemi. Si tratta di dati fondamentali per utenti, clienti ed enti pubblici perché forniscono informazioni importanti sui costi di gestione di ogni prodotto testato. il motivo del cambiamento nasce da una denuncia, presentata da irlanda e Finlandia pres-

so la Commissione europea. la denuncia segnalava alcuni impianti troppo piccoli che, durante le prove, dovevano essere svuotati fino a 5 volte o consumavano molta energia elettrica. a partire dall’anno prossimo, quindi, queste informazioni faranno parte della Dichiarazione di Prestazione (DoP). una volta inserita come criterio nella dichiarazione Ce, sarà possibile per gli stati membri

definire i valori limite per la frequenza di svuotamento dei fanghi. l’irlanda ha già individuato per il suo territorio un limite di uno svuotamento durante le prove. un elenco dei sistemi abilitati per l’irlanda si trova sul sito www.pia-gmbh.com. Per l’anno prossimo, Francia e Germania progettano perfino di introdurre un valore limite di zero svuotamenti. un altro aggiornamento riguar-

PIA - Prüfinstitut für Abwassertechnik GmbH Hergenrather Weg 30 - 52074 Aachen - Deutschland Tel +49.241.7508220 - Fax +49241.7508229 E-mail info@pia-gmbh.com

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derà la parte 1 della norma en12566 che disciplina le fosse biologiche settiche. in particolare, la norma comprenderà anche le fosse biologiche tipo imhoff, un sistema di trattamento quasi sconosciuto fuori dall’italia che, per ottenere la marcatura Ce, dovranno essere testate secondo gli stessi criteri usati per le fosse settiche. Viene indicato, inoltre che il volume utile delle fosse settiche deve essere almeno pari a 2 mc, sistemi più piccoli non saranno idonei. le fosse biologiche tipo imhoff marcate Ce e certificate secondo la parte 3 della norma en12566, saranno sempre valide e conformi, in quanto vengono sottoposte ai test di rendimento come dei veri e propri impianti di depurazione con abbattimenti maggiori delle tradizionali fosse settiche e possono così essere installate anche come sistema integrale, cioè senza depuratori a valle, dove previsto dai regolamenti locali vigenti in materia. Per incrementare l’influenza e la partecipazione dell’italia, verranno coinvolti esperti italiani per lavorare permanentemente nel Gruppo di lavoro WG41 e per creare un nuovo gruppo di lavoro uni sul tema. alla fiera ecomondo 2016 di Rimini, produttori omologati a livello europeo, esperti ed enti di certificazione saranno presenti per ulteriori chiarimenti sui piccoli sistemi di trattamento delle acque reflue (Stand 027 - Padiglione D1).


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Il riutilizzo industriale dei reflui in quanto non ci sono parti in movimento Gli svantaggi sono la maggiore sensibilità alle variazioni qualitative del refluo in ingresso, e la necessità di gestire le acque di controlavaggio ed i fanghi che da queste derivano. I TRATTAMENTI DI OSMOSI INVERSA

È noto che le membrane di osmosi inversa sono in grado di ottenere acqua ad alta purezza da qualsiasi tipo di corpo idrico; è però necessario combinare queste membrane con sistemi di pretrattamento che eliminino i contaminanti grossolani e prevengano l’intasamento delle membrane stesse. un programma europeo di ricerca in questo settore, chiamato Demoware, sta esplorando questo tipo di trattamento, insieme ad altri trattamenti innovativi di riutilizzo delle acque di scarico urbano. un’importante sperimentazione attualmente in corso nell’ambito di questo progetto studia l’utilizzo di

acque reflue provenienti dal depuratore di tarragona come acque di raffreddamento e di processo per l’adiacente sito petrolchimico. il pretrattamento viene eseguito con il processo di chiarificazione actiflo (Veolia Water technologies),

mentre le membrane di osmosi inversa sono le Filmtec (Dow Water Process Solutions). il trattamento a membrana prevede due stadi, il primo con le membrane BWXFR (Brackish Water extra Fouling Resistance), e il secondo con

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membrane BWle (Brackish Water low energy). i risultati finora ottenuti dimostrano la possibilità di utilizzare il 40% di acqua depurata, ma si spera di arrivare al 90% entro la fine del 2016.


duzione è rappresentata dallo scambio ionico dell’adsorbimento e dall’evaporazione sotto vuoto. NEUTRALIZZAZIONE E PRECIPITAZIONE

Via i metalli dalle acque reflue Diverse possibilità di trattamento

Gli effluenti delle industrie galvaniche, prevalentemente acidi, spesso contengono cromo e richiedono diversi passaggi molti processi industriali producono scarichi contenenti metalli, di solito in presenza di acidi. il caso tipico è costituito dalle industrie galvaniche: gli effluenti di queste industrie possono essere suddivisi in due categorie, cioè acque alcaline (che spesso contengono cianuri) e acque acide, che contengono cromo e altri metalli. la presenza di cianuri richiede un trattamento di “svelenamento” mediante ossidazione, generalmente effettuato con ipoclorito di sodio, in quanto è un reagente economico, che presenta rischi limitati nel suo impiego.

il caso più frequente è quello delle acque acide, che richiedono diversi percorsi di trattamento secondo che sia o meno presente cromo in forma esavalente.

RIDUZIONE DEL CROMO ESAVALENTE

il cromo esavalente, che è tossico e cancerogeno, deve essere ridotto a cromo trivalente: in questa forma è molto meno nocivo e può essere sottoposto agli stessi trattamenti degli altri ioni metallici. Come agente riducente si può usare il solfato ferroso (che però comporta la formazione di un notevole volume di fanghi) oppure l’anidride solforosa; è possibile anche eseguire la riduzione per via elettrolitica. una alternativa ai trattamenti di ri-

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Poiché lo scarico di acque con pH acido non è consentito, è necessario un trattamento di neutralizzazione, che serve anche a salvaguardare la sopravvivenza dei microorganismi del trattamento biologico (quindi sempre presente come stadio finale). l’agente neutralizzante più usato è la calce, per motivi economici; ma possono essere usati anche la soda caustica (idrossido di sodio) in soluzione o la “soda Solvay” (carbonato di sodio). Spingendo l’aggiunta di calce (o di altri reagenti alcalini) oltre il valore di pH 7 (corrispondente alla neutralità), e passando quindi nel campo alcalino, si ha la precipitazione di quasi tutti i metalli sotto forma di idrossidi. il campo ottimale di pH va da 8,5 a 10: a questi valori di pH precipitano gli idrossidi di rame, zinco, nichel, ferro, piombo e cromo trivalente, mentre cadmio e cobalto richiedono un ulteriore innalzamento del pH, a valori intorno ad 11. un caso particolare è quello dell’alluminio, che inizia a precipitare come idrossido già a pH 5, e quando il pH supera 8,5 ritorna in soluzione. Per alcuni metalli (rame, cadmio, piombo, mercurio) è preferibile la precipitazione come solfuri, anzichè come idrossidi: si ottiene una rimozione più completa degli ioni metallici, perché i solfuri sono molto meno solubili degli idrossidi, ed un minor volume dei fanghi. il reattivo impiegato è generalmente solfuro di sodio, che presenta però problemi di scarsa stabilità all’immagazzinamento, corrosività e cattivo odore. Recentemente è stato reso disponibile un solfuro organico (trimercapto-s-triazina-sale trisodico), commercializzato con la sigla tmt 15, che precipita i metalli come solfuri senza presentare gli inconvenienti del solfuro di sodio. Se è presente un solo metallo, i trattamenti di precipitazione consentono (almeno in teoria) il suo recupero: l’idrossido o il solfuro possono essere rivenduti come tali o ridotti a metallo. il loro principale inconveniente è la produzione di rilevanti quantità di fanghi: inoltre, soprattutto quando i Continua a pag. 16



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cupero, come l’evaporazione sotto vuoto.

Via i metalli dalle acque reflue

PROCESSI A MEMBRANA

metalli vengono rimossi come idrossidi, i precipitati sono spesso gelatinosi e difficili da filtrare, per cui i trattamenti di disidratazione dei fanghi hanno efficacia limitata.

i processi a membrana consentono (almeno in teoria) di minimizzare gli scarichi, arrivando (specialmente se abbinati alla evaporazione sottovuoto) fino allo “scarico zero”. i processi utilizzati per il trattamento delle acque reflue dell’industria galvanica sono l’ultrafiltrazione (utilizzata in particolare per il recupero dei bagni di sgrassaggio), l’osmosi inversa e l’elettrodialisi. Quest’ultimo processo è particolarmente interessante: consiste in una cella elettrolitica contenente una serie di membrane permeabili ai cationi, ed una seconda serie permeabile agli ioni, disposte alternativamente. applicando una tensione alle piastre anodica e catodica poste alle estremità della cella, si hanno contemporaneamente fenomeni di arricchimento nella concentrazione dei metalli e di distruzione delle sostanze tossiche (come i cianuri) per ossidazione anodica; si ottiene così un’acqua depurata riutilizzabile nel processo e una soluzione salina ad

SCAMBIO IONICO

il trattamento con resine selettive a scambio ionico è oggi considerato come il miglior metodo per ottenere i metalli in forma recuperabile, con un limitato volume di fanghi. È pertanto utilizzato soprattutto in presenza di metalli preziosi (oro, argento, platino, palladio), ma può essere impiegato anche per lavorazioni meno nobili, come ottonatura e ramatura, e per il recupero del cromo esavalente. nelle versioni più moderne, che comprendono il recupero dell’effluente, questo ha una purezza adeguata ad essere riutilizzato nella stessa lavorazione; mentre gli eluati di rigenerazione, che contengono i metalli in forma concentrata, vengono inviati a successivi stadi di re-

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alta concentrazione di metalli, che può essere inviata a successivi trattamento di recupero. TRATTAMENTI DI ADSORBIMENTO

l’adsorbimento su carbone attivo è in grado di rimuovere praticamente tutti i metalli da soluzioni diluite. l’inconveniente è costituito dalla difficoltà di rigenerazione, e conseguentemente dal costo di smaltimento. la selettività del carbone attivo nei confronti di alcuni metalli può essere incrementato mediante “drogaggio” con agenti chelanti, o per aggiunta di resine scambiatrici di ioni. Questi carboni attivi modificati vengono chiamati maC (modified activated Carbon) e possono essere formulati “su misura” per il recupero di metalli pregiati, come nichel, rame e argento. un particolare maC è formulato per assorbire e successivamente ridurre il cromo esavalente, grazie ad uno speciale catalizzatore. un nuovo approccio ai trattamenti di adsorbimento, mediante l’uso di sostanze minerali a basso costo, è stato intrapreso grazie al progetto europeo SoRPmet (Sorption of metals by lows cost natural materials). Sono stati identificati diversi minerali aventi buona capacità di adsorbimento nei confronti di cromo, rame, nichel e zinco: è possibile rimuovere fino a 200 mg di metalli per ogni grammo di adsorbente usato. alcuni impianti che utilizzano processi derivati da questo progetto sono già stati installati presso fabbriche italiane. TRATTAMENTI BIOLOGICI

i trattamenti biologici sono in realtà una variante del processo di precipitazione degli ioni metallici, come solfuri: anziché aggiungere un reattivo precipitante, si favorisce la formazione di ioni solfuro mediante la riduzione biologica anaerobica dei solfati, che sono di solito abbondantemente presenti nei reflui acidi, ad opera di batteri solfato-riduttori. la riduzione biologica richiede l’aggiunta di sostanze donatrici di elettroni, come amido, siero di latte in polvere, etanolo, sali o esteri dell’acido acetico o di altri acidi organici. il processo di riduzione biologica Continua a pag. 18 Hi-Tech Ambiente

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Via i metalli dalle acque reflue può essere realizzato in un reattore uaSB o in altri reattori anaerobici. l’eccesso di ioni solfuro può essere trasformato in zolfo mediante un successivo reattore aerobico; lo zolfo viene infine separato per sedimentazione o filtrazione. la rimozione degli ioni metallici supera il 99%; contemporaneamente, viene diminuita di circa il 95% la concentrazioni degli ioni solfato e si ottiene anche l’abbattimento degli inquinanti ossidabili (CoD e nitrati).

EVAPORAZIONE SOTTO VUOTO

il trattamento di evaporazione sotto vuoto utilizza un sistema combinato di pompe di calore e di pompe a vuoto, in modo da ottenere l’evaporazione dei liquidi (nel nostro caso, dell’acqua contenuta nei reflui) a temperature sensibilmente inferiori al normale punto di ebollizione dell’acqua: invece di 100 °C l’ebollizione si ottiene intorno a 80 °C per gli impianti che operano a pressione circa metà di quella atmosferica, ma aumentando il vuoto si può scendere fino a 25 °C se sono presenti sostanze termolabili che si desidera recuperare.

l’applicazione della distillazione sottovuoto ai reflui acidi richiede l’uso di speciali tecnologie costruttive, come l’uso di materiali speciali (titanio, carburo di silicio, grafite) e di rivestimenti anticorrosive. Per il trattamento di soluzioni incrostanti sono disponibili evaporatori dotati di raschiatori automatici che consentono il recupero di solidi cristallini. È possibile, ad esempio, recuperare il carbonato di sodio dalle soluzioni alcaline residue dopo il trattamento di ossidazione dei cianuri, oppure recuperare il solfato ferroso dai bagni di decapaggio dell’acciaio al carbonio. l’evaporazione sottovuoto costituisce in genere lo stadio finale dei

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trattamenti a membrane o con resine scambiatrici: le soluzioni concentrate ottenute da questi processi, sottoposte ad evaporazione sotto vuoto, forniscono acqua distillata di elevata purezza, che può essere riutilizzata nel processo o direttamente immessa nelle reti fognarie; resta una piccola quantità di residuo, che contiene in forma concentrata tutte le sostanze inquinanti, e può essere inviato a successivi trattamenti di recupero, inertizzazione o smaltimento, ad opera di ditte specializzate. in alcuni casi anche il residuo può essere riutilizzato nel processo, come ad esempio nel caso del recupero dell’acido cromico del lavaggio dei bagni di cromatura.


Market le restrittive leggi anti inquinamento e una coscienza ambientale sempre più diffusa impongono un nuovo modo di affrontare le tematiche inerenti l’uso delle risorse naturali e il relativo smaltimento. il riciclaggio delle materie prime e la riduzione pressoché totale dei residui da trattare sono l’ultima conquista della ricerca industriale per la salvaguardia ambientale. l’evaporazione sottovuoto può essere efficacemente utilizzata per un’ampia varietà di acque reflue provenienti da diversi processi industriali. l’ampia gamma di apparecchi standard Formeco, così come quelli progettati a misura su specifica richiesta dell’utente, garantisce una soluzione per ogni tipo di esigenza. la distillazione risolve efficacemente il problema dello smaltimento delle acque reflue industriali, concentrando per quanto possibile i prodotti contaminanti in esse presenti, come vernici e metalli pesanti, e permettendo allo stesso tempo il loro riutilizzo nel ciclo di produzione. il principio di funzionamento consiste nell’ebollizione del refluo; l’acqua, così distillata, sarà rimessa nel ciclo produttivo, mentre l’inquinante concentrato potrà essere smaltito a costi notevolmente ridotti. il prodotto da distillare viene aspirato nell’evaporatore sfruttando la depressione esistente nel bollitore creata dal circuito del vuoto. il ciclo frigorifero a pompa di calore effettua il riscaldamento del liquido in trattamento e il raffreddamento dei vapori prodotti nella fase di ebollizione. liquido distillato e residuo di processo vengono così scaricati a fine ciclo. Prerogativa di questa tecno-

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Evaporatori per reflui di processo l’acqua così distillata torna nel ciclo produttivo, mentre l’inquinante concentrato viene smaltito a costi molto ridotti

Evaporatore Formeco a triplo effetto

logia è il basso costo di esercizio della sua applicazione. la distillazione sottovuoto, abbinata alla pompa di calore, permette infatti la separazione dell’acqua dai componenti inqui-

nanti in essa contenuti con un consumo energetico estremamente ridotto. un’alternativa ai modelli a pompa di calore sono gli evaporatori alimentati da una fonte esterna di riscaldamento,

FORMECO Srl Evaporatore Formeco a doppio effetto

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particolarmente indicati per trattare grandi quantità giornaliere. una fonte di calore esterna, normalmente acqua calda o vapore, effettua il riscaldamento del liquido in trattamento; la condensazione dei vapori avviene con l’ausilio di una torre di raffreddamento o di un dry cooler. Disponibili in versione a singolo effetto o multi effetto, permettono di sfruttare fonti di calore e di refrigerazione esistenti.


air Clean è un’azienda con esperienza ultra trentennale specifica nella progettazione, costruzione e installazione di impianti di trattamento e risanamento dell'aria, per applicazioni sia civili sia industriali. Punto di forza dell’azienda sono le tecnologie specifiche per la biofiltrazione e per il controllo delle emissioni in atmosfera quali biofiltri, biotrickling, bioscrubber. i biofiltri si basano principalmente sulla tecnologia brevettata mónaFil (letto filtrante a torba granulare), i biotrickling filter si basano sulla tecnologia brevettata mónaShell (letto filtrante a gusci di conchiglie) e da adesso anche sulla nuovissima tecnologia brevettata CrumRubber (materiale filtrante ricavato riciclando i pneumatici usati delle auto). mónaFil e mónaShell utilizzano entrambi materiale di origine organica e sono basati sul principio di ossidare i composti inquinanti mediante l'uso di batteri dedicati. la soluzione mónaShell, è maggiormente indicata per le applicazioni più complesse come il trattamento dell’aria in campo industriale o per le deodorizzazioni delle emissioni dei depuratori di acque reflue (abbattimento gas depurazione acque reflue urbane). il nuovissimo CrumRubber, invece, utilizza come supporto la gomma esausta dei pneumatici usati, materiale che ha la capacità di rimuovere cataliticamente e convertire l’idrogeno solforato in solfato. tutte e tre le tecnologie della società irlandese anua Clean air international sono brevettate e sono distribuite da air Clean in italia, nei paesi del mediterraneo e in medio oriente. le esperienze accumulate nella realizzazione di quasi 800 impianti localizzati in tutto il mondo garantiscono l’efficacia e l’efficienza delle soluzioni adottate. la continua e costante attività di ricerca nel campo della biofiltrazione, mantengono air Clean da sempre in linea con la crescente importanza della “green economy”, ovvero l'attenzione per l'ambiente e al suo mantenimento. Da lungo periodo, inoltre, anche in collaborazione con le principali università, realizza studi su specifiche applicazioni mediante impianti di biofiltrazione pilota; ma l'offerta impiantistica proposta è completata dalle soluzioni “tradizionali”, quali ad esempio scrubber chimici, carboni attivi, filtri a maniche e cicloni, oltre a quelle di tipo “biologico di nuova

Il trattamento dell’aria Air Clean

Sistemi specifici per la depurazione delle emissioni in atmosfera in ambito sia civile sia industriale

Impianto di biofiltrazione

generazione”, che la portano ad avere realizzato oltre 1.000 impianti. la completa operatività e autonomia dell'intero iter progettuale e produttivo ne fanno un'azienda in grado di elaborare la migliore soluzione tecnologica ed impiantistica con un'attenzione alla realizzazione strettamente “su misura” per ogni singolo impianto. i propri re-

parti interni progettano e personalizzano il sistema selezionando la tecnologia o la combinazione di più tecnologie che risultano idonee e risolutive per il trattamento dell’aria richiesto. la gestione dei progetti prevede che essi siano completati per tempo rispettando budget e specifiche. il progetto ingegneristico comprende: la stesura

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dei disegni esecutivi, la scelta delle apparecchiature, il collaudo e la finale stesura del manuale d’uso e manutenzione. air Clean, inoltre, produce internamente gli accessori (canalizzazioni, cappe e linee di aspirazione aria), così da fornire impianti adatti alle specifiche esigenze della clientela. air Clean, oltre a effettuare i montaggi in opera degli impianti progettati e prodotti, garantisce un servizio post vendita che comprende: l’analisi e il monitoraggio delle emissioni, i ricambi dei diversi materiali filtranti, l’assistenza, la manutenzione, la riparazione e il revamping dei sistemi di trattamento aria. l’impegno air Clean acquista, così, sempre più valenza internazionale, grazie alle richieste dall’estero che la vedono protagonista ed esportatrice della propria vasta esperienza impiantistica made in italy. una novità dettata dall’internazionalizzazione dell’azienda e delle sue installazioni è la scelta di utilizzo dei mezzi di identificazione di ultima generazine, quale il QR code: ogni impianto sarà fornito con un codice identifiativo unico, che gli permetterà di scaricare il proprio manuale e di attivare in tempo reale l’assistenza specifica per l’impianto stesso, eliminando le barriere di distanza e fuso orario. ultima, ma non meno importante, la tecnologia denominata KPC-system, specifica per la deodorizzazione delle cucine professionali e per l’industria alimentare in genere. l’uso di idonee cappe a uV-C & ozono offre molteplici vantaggi ovvero: garantisce l’abbattimento degli odori e dei germi, riduce il deposito di grassi, la possibilità di incendi, i costi di pulizia e infine migliora complessivamente l'aria e l'ambiente delle zone di produzione dei generi alimentari. Basati sulla medesima tecnologia, sono disponibili i seguenti sistemi, studiati e realizzati per la disinfezione di specifici ambienti alimentari e che potrebbero essere utili a beneficio della catena produttiva: - disinfezione automatica delle superfici (automatic disinfection of surfaces) nelle cucine professonali: ad esempio disinfezione e sterilizzazione banconi di lavorazione del cibo. - disinfezione e rimozione odori (surface disinfection & odour removal) in: industria alimentare, containers frigoriferi, aree delimitate; disinfezione automatica celle frigorifere; disinfezione specifica per celle del freddo frutta e verdura.


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Il progetto BIOCLOC Dicea-UniFi, West Systems e Gida

migliorare la rimozione di nutrienti e composti scarsamente biodegradabili negli impianti di trattamento delle acque reflue la rimozione dei nutrienti dai reflui civili e industriali rappresenta una delle principali sfide per i moderni processi di trattamento delle acque di scarico: infatti, sebbene sia essenziale per evitare l'eutrofizzazione dei corpi idrici e gli effetti tossici su ambiente e uomo, spesso richiede un elevato consumo energetico. l’ottimizzazione del processo di nitrificazione biologica nei depuratori è di primaria importanza per ottenere, anche in condizioni di forte variabilità dell’influente, elevate e stabili efficienze di trattamento dei reflui a fronte di significative riduzioni dei consumi energetici. i processi a fanghi attivi richiedono ossigeno come accettore di elettroni per l’ossidazione della sostanza organica ed azotata. Dato che negli impianti di depurazione gran parte dei consumi energetici sono legati alla fase di areazione delle vasche, ultimamente l’attenzione della comunità scientifica e dei gestori si è rivolta a sviluppo e utilizzo di nuove tecnologie, configurazioni di processo e strategie operative volte alla riduzione dei consumi energetici legati al trasferimento dell’ossigeno. il controllo dell’aerazione nei depuratori è basato sulla selezione di un set-point costante della con-

Strumento pilota realizzato da West Systems

centrazione di o2 disciolto in vasca, in molti casi sovrabbondante. in questo contesto è fondamentale il controllo di processo per la riduzione dei consumi energetici, di sensori e di tecniche di monitoraggio del processo di bionitrifi-

cazione. Recentemente sono stati sviluppati sensori in grado di misurare la concentrazione di azoto ammoniacale, nitrito e nitrato che, sebbene abbiano dimostrato elevati potenziali come strumenti di monitoraggio dei processi, hanno palesato significativi limiti, legati ad interferenze chimiche, che ne hanno limitato l’applicabilità al solo trattamento di reflui domestici. il progetto life+ BioCloC (Bioprocess Control through online titrimetry to reduce Carbon footprint in wastewater treatment) 12/enV/it/000120, i cui partner sono West Systems Srl, il Dipartimento di ingegneria Civile ed ambientale dell’università di Firenze (DiCea) e GiDa Spa, ha lo scopo di dimostrare l'applicabilità e sostenibilità di uno strumento di monitoraggio innovativo per il controllo dei processi a fanghi attivi e di una strategia di controllo automatico basato sulla misurazione on-line del rateo di nitrificazione. la stima del rateo di nitrificazione si basa sulla possibilità di utilizzare inibitori della nitrificazione e di comparare, in continuo, il consumo di alcalinità in presenza ed in assenza di inibitore rica-

Per informazioni: www.bioclocproject.eu - g.barni@westsystems.com

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Market vando, quindi, una grandezza proporzionale al rateo di ossidazione dell’azoto ammoniacale da parte del fango attivo. la nuova tecnologia, basata su analisi titrimetriche in continuo, consentirà di risparmiare energia e di migliorare la qualità degli effluenti attraverso il controllo della concentrazione di ossigeno e/o dell’età del fango (SRt) nei reattori aerobici degli impianti a fanghi attivi. una maggiore età del fango e una più elevata concentrazione di ossigeno sono spesso adottati come semplice soluzione per aumentare la rimozione dei nutrienti ma limitano l’applicabilità di processi economicamente convenienti, come la digestione anaerobica dei fanghi, e aumentano il consumo energetico dell’intero processo. il monitoraggio in continuo del rateo di nitrificazione permetterà di ridurre sia il consumo energetico che la carbon footprint dell’impianto attraverso l'ottimizzazione dell’età del fango e della concentrazione di ossigeno disciolto. inoltre, l’innovativa strategia di controllo permetterà di identificare subito i fenomeni di inibizione della nitrificazione minimizzando il loro effetto sulla qualità dell’effluente. attualmente è in corso la sperimentazione sul campo con uno strumento pilota realizzato da West Systems, presso l’impianto di depurazione di Calice (Po), gestito da Gida. l’impianto tratta reflui industriali provenienti dal distretto tessile di Prato. le analisi energetiche finora svolte hanno confermato l’importanza di intervenire sul comparto biologico per ridurne i consumi, indicando le soffianti di aerazione come i macchinari più energivori. la diffusione dei risultati sarà efficace grazie alla natura e alla sinergia dei partner e raggiungerà un vasto pubblico sia nel settore industriale che della ricerca nell’ue. Sarà, infine, valutata la sostenibilità economica ed ambientale del sistema nonché la trasferibilità ad altri depuratori di reflui. la fase dimostrativa, che si svolge in uno dei più grandi distretti tessili europei, faciliterà la diffusione dei risultati a livello industriale, istituzionale e di ricerca sia nazionale che internazionale.


I nuovi ecofiltri per VOC  Con residui di canapa

un carbone attivo a struttura porosa per l’abbattimento degli inquinanti in fase vapore o gas a seconda della loro struttura chimica, i CoV possono essere carcinogeni, mutageni o interferire sui sistemi ormonali (interferenti endocrini). l’esposizione a lungo termine può causare danni a fegato, reni e sistema nervoso centrale. Questi composti sono dannosi per l’ambiente poiché contengono i precursori per lo smog fotochimico. i CoV entrano nell’ambiente dopo la vaporizzazione dei solventi organici presenti in inchiostri, pitture e vernici. il progetto europeo CaRVoC (innovative eco-friendly activated carbon filters for harmful vapours and gases VoC purification) ha affrontato il problema dei CoV attraverso lo sviluppo di un filtro d’aria industriale e di un leggero dispositivo portatile. la loro applicazione può contribuire a mitigare gli effetti dei gas industriali rilasciati in atmosfera. il carbone attivo (Ca), il componente attivo di entrambi i sistemi, è stato prodotto da residui di canapa provenienti da processi industriali e agricoli. Sono stati usati diversi metodi per l’attivazione dei residui per preparare il carbone attivo con una struttura porosa adeguata che assicurasse l’abbattimento degli inquinati nella fase vapore o gas. il team Carvoc ha selezionato il precursore lignocellulosico più appropriato e ha ottimizzato un me-

todo di preparazione utilizzando l’acido fosforico per ottenere carboni attivi a temperature più basse e con rendimenti più elevati rispetto ai metodi convenzionali. inoltre, i carboni attivi possono essere ottimizzati a seconda delle esigenze, variando la porosità e la chimica di superficie. Si tratta di una proposta valida per la produzione industriale grazie alla buona resa finale e alla possibilità di riutilizzare l’acido fosforico. l’espansione iniziale su scala industriale della produzione di carbone attivo è stata eseguita con successo utilizzando attrezzature e strategie industriali, dimostrando la fattibilità tecnica e la riproducibilità

dei risultati ottenuti in laboratorio. i ricercatori hanno prodotto un’innovazione brevettabile sotto forma di materiali di carbonio monolitici ad alto valore, ricavati dalla lignina. Questa innovazione ha offerto prestazioni di protezione chimica eccellenti, addirittura superiori a quelle dei carboni attivi granulari disponibili in commercio. il prodotto può essere usato anche in contenitori per la protezione personale. i sistemi di filtraggio hanno rappresentato una soluzione economica ed ecologica al pressante problema dell’inquinamento da CoV causato dalle

ERRATA CORRIGE Sul numero di ottobre di Hi-tech ambiente a pag.14, nell'articolo relativo alla Depur Padana acque la didascalia della foto in basso è inesatta. la spiegazione corretta è la seguente: "modulo serie ecoblock attrezzato con membrane di ultrafiltrazione, abbinato a impianto biologico, per trattamento reflui da industria alimentare - installazione presso Surgital Spa – lavezzola (Ra)". Ci scusiamo con le aziende e con i lettori

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IL KNOW-HOW DI DCL NEL CONTROLLO DELLE EMISSIONI la nuova normativa ta-luft attesa entro fine 2017 pone degli obiettivi ancora più stringenti sulle emissioni gassose in atmosfera nei motori a combustione interna. Da più di 30 anni DCl è uno specialista a livello mondiale nello sviluppo, produzione e implementazione di sistemi di controllo delle emissioni. DCl europe ha una vasta esperienza nella

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attività industriali e in situazioni di emergenza. la riduzione delle emissioni di CoV è oggetto di numerose direttive comunitarie volte a combattere la diffusione delle sostanze chimiche nell’aria e nell’acqua. i carboni attivi con chimica superficiale personalizzata possono essere utilizzati per l’assorbimento di metalli o coloranti in acque contaminate. inoltre, possono essere utilizzati nell’industria alimentare per la separazione e il recupero di biomolecole di grandi dimensioni. Dal momento che la domanda di carbone attivo continua a crescere, i risultati del progetto Carvoc offrono alle piccole e medie imprese l’opportunità straordinaria di produrre un carbone attivo competitivo, realizzato con i rifiuti di canapa, oltre a contribuire a ridurre la percentuale di carbone attivo importato nell’ue. fornitura di soluzioni di controllo delle emissioni, attenuazione sonora e scambiatori di calore per una varietà di applicazioni, come ad esempio applicazioni a biogas, gas di discarico e gas naturale, generazione di energia e cogenerazione in tutta europa.



ogni progetto e impianto è un bisogno unico, perché diverse sono le situazioni di contorno, il territorio con le sue caratteristiche idrogeologiche, le normative regionali ed i regolamenti locali. la necessità e gli obiettivi da raggiungere cambiano in funzione dei bisogni del cliente, dell’approccio al problema e del grado di soddisfazione che si intende raggiungere. il gruppo ideco, sulla base di esperienze acquisite e coadiuvato dai propri laboratori di ricerca, sviluppo e controllo, elabora soluzioni personalizzate e specifiche, senza esimersi dal collaborare con i tecnici incaricati alla definizione della scelta più adeguata al bisogno del cliente. Presente dal 1977 con crescente successo sul mercato nazionale ed internazionale, il gruppo ideco è nato per operare nel settore del trattamento e depurazione delle acque, acquisendo tecnologie e differenziando accuratamente le attività per ogni branca intrapresa, al fine di offrire innovazioni e miglioramenti tecnologici. il marchio registrato è ampiamente diffuso grazie ad oltre

GRuPPo iDeCo

Ogni progetto è unico Soluzioni personalizzate per il trattamento e depurazione delle acque

10.000 apparecchiature ed impianti forniti e/o realizzati in tutta europa, sia per quanto concerne la depurazione delle acque di sca-

rico industriali/biologiche che per la depurazione acque primarie (osmosi, ultrafiltrazione, sterilizzazione uV-biossido-potabilizzato-

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ri). Con uno stabilimento produttivo nel Sud italia di circa 3.000 mq, di un magazzino ricambi computerizzato e di due sedi nel Centro e nord italia, il gruppo ideco è in grado di assistere i propri clienti per ogni necessità. l'azienda opera già dal 2008 in regime di qualità, disponendo della certificazione uni en iSo 9001:2008. tutte le procedure di progettazione, esecuzione, assistenza gestione e collaudo sono rigorosamente controllate. le tecnologie sviluppate in oltre 38 anni di attività le hanno consentito di esportare impianti compatti e in container pronti per essere messi in funzione, anche per situazioni di emergenza. un’ascesa costruita nei minimi dettagli con impegno e costanza, supportata da un’organizzazione efficiente grazie ad un valido team di collaboratori accuratamente selezionati e aggiornati. il sito aziendale, inoltre, in continuo aggiornamento ed evoluzione, costituisce un valido riferimento per consulenti, tecnici, progettisti, impiantisti ed utilizzatori.


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I trituratori Vogelsang XRipper e RotaCut rappresentano la risposta a ogni esigenza di sminuzzamento, grossolano o raffinato, dei corpi estranei presenti nelle acque fognarie o nei fanghi industriali la gestione delle acque reflue in un impianto di depurazione, sia esso civile o industriale, presenta sempre un elevato numero di incognite, non essendo mai certo cosa può arrivare insieme ai liquami dagli scarichi fognari. Rami, salviette igieniche, buste di plastica, tappi di cosmetici, spazzolini da denti, vecchie scarpe, stracci, forcine per capelli sono soltanto alcuni esempi di quel che si trova quotidianamente in un depuratore. Per evitare il rischio che questi corpi estranei impropri danneggino gli impianti, a cominciare dalle pompe, solitamente si usa un trituratore, macchina in grado di distruggere i materiali più grossolani, riducendoli a una pezzatura di dimensioni mediopiccole. Vogelsang, tuttavia, sa che non sempre ciò è sufficiente, perché lo sminuzzamento assicurato dal trituratore non è regolare né così accurato come talvolta necessario. Per questo motivo, nel suo catalogo ha due soluzioni ben distinte, che possono essere impiegate singolarmente o in serie, realizzando un pre-trattamento completo e sicuro delle acque. IL FRANTUMATORE MONOLITICO

il primo dispositivo è XRipper, un trituratore a due alberi monoblocco caratterizzato da un'estrema solidità e affidabilità, che lo rendono in grado di distruggere anche oggetti particolarmente compatti e resistenti. Collocato a monte dell'impianto, macina imballaggi, pezzi di pallet, rami e qualsiasi altro materiale contenuto nelle condotte di scolo o nei bottini, riducendolo a

XRipper modello XRP per condotte chiuse

XRipper modello XRL-SIK per condotte aperte

dimensione non critica. in particolare, la struttura a monoblocco in acciaio di elevata qualità (o anche in acciaio inox, a richiesta) assicura lunga durata, ridotte manutenzioni e una triturazione efficiente. inoltre, grazie al sistema QuickService, tutte le parti soggette a usura come i rotori, i componenti della carcassa e le tenute possono essere sostituite in pochi minuti, senza dover smontare il complesso dalla tubazione. Per adattarsi a ogni situazione operativa, Vogelsang realizza due modelli XRipper: XRP e XRC-SiK. il primo, grazie alle dimensioni compatte, è adatto a installazioni in spazi ristretti ed è disponibile anche in versione in-line, con la flangia in uscita opposta a quella in ingresso.

la manutenzione avviene estraendo l'intera unità dall'alto. la versione XRC-SiK, invece, è pensata per condotti di acque reflue aperti. la sigla SiK si riferisce al sistema di guide di introduzione o "Sewer integration Kit", grazie al quale diventa semplicissimo sia collocare XRipper sia estrarlo per la manutenzione. ROTACUT, PER UN TAGLIO FINE

non sempre, tuttavia, una frantumazione grossolana è sufficiente a evitare problemi. Vi sono inoltre alcuni materiali (spaghi, capelli e tutti i filamenti più sottili) che possono attraversare quasi indenni XRipper. la soluzione, in questo caso, è il RotaCut, installabile sia all'ingresso del materiale nell'impianto sia sulla linea di trasferimento fanghi o svuotamento delle vasche. RotaCut è un trituratore a crivello che lavora sul principio di taglio, in cui una serie di lame taglia a dimensione prestabilita tutto quanto attraversa il cor-

VOGELSANG ITALIA Srl Via Bertolino, 9° - 26025 Pandino (CR) Tel 0373.970699 - Fax 0373.91087 E-mail info@vogelsang-srl.it

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po macchina. Queste ultime sono montate su un rotore asimmetrico a quattro alette, sviluppato appositamente da Vogelsang per offrire costante efficienza di funzionamento e usure ridotte. Contribuisce allo scopo il sistema auto Cut Control, che garantisce la massima efficienza di taglio mediante il contatto perfetto tra lama e crivello, studiato per assicurare sempre la massima aderenza tra i due componenti fondamentali del RotaCut. È infine disponibile il sistema di affilatura automatica delle lame, funzione che riduce ulteriormente la necessità di manutenzione, e un sistema di monitoraggio continuo della percentuale di usura dei coltelli. SINGOLI O COMBINATI

XRipper e RotaCut possono essere impiegati individualmente, in diversi punti dell'impianto, ma è anche possibile montarli in serie, per assicurarsi una triturazione efficiente e precisa di ogni corpo estraneo presente nei liquidi da trattare. Questa soluzione, particolarmente sfruttata in ambito industriale, prevede la posa di XRipper a monte, per effettuare un primo vaglio delle acque, e di RotaCut più a valle, così da sminuzzare ulteriormente i residui. assieme, XRipper e RotaCut rappresentano un sistema integrato di pre-trattamento delle acque in grado di migliorare l'efficienza dell'impianto, ridurre i tempi morti per pulizia o riparazione delle pompe e assicurare, in genere, un alto livello di produttività.

Vogelsang  è presente a Ecomondo Pad D1 - Stand 69


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Il reattore esterno

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(EP patent)

innovativo sistema di ossigenazione/ossidazione avanzata ad aria/o2 puro/o3 per trattamenti biologici e/o chimici Da oltre tre anni la Ciem impianti applica con successo il reattore eoX per ossigenare ed ossidare in modo avanzato (con aria, ossigeno puro, ozono), grazie agli effetti di cavitazione innescati nel reattore stesso, acque reflue di diversa origine in trattamenti chimico-fisici e/o in vasche biologiche (associato oppure in alternativa ai sistemi convenzionali) riducendo di conseguenza i costi di manutenzione ed il consumo energetico, incrementando così le performance di impianti civili, industriali e zootecnici. DETTAGLI TECNICI

il processo di trattamento BioloGiCo o CHimiCo si svolge all’interno della vasca/serbatoio di processo/reazione che viene mantenuta ossigenata/ossidata grazie al reattore modulare esterno eoX. una pompa centrifuga aspira il refluo dal fondo della vasca e lo distribuisce sotto pressione tramite un collettore di mandata, nel reattore di ossigenazione. all’interno del reattore eoX è installato un circuito idraulico di “iniezione” aria/acqua per un “completo” trasferimento dell’ossigeno nel refluo. il circuito può essere sovralimentato con una soffiante od alimentato indifferentemente e contemporaneamente con miscele di aria e/o o2 e/o o3 al fine di ottimizzare i consumi energetici o di aumentare le prestazioni di trattamento. la miscela ossigenata nel reattore eoX viene immessa, tramite tubazione di impulsione, in uno o più punti sul fondo della vasca di trattamento dove è istantanea-

Reattori EOX trattamento reflui industriali

mente distribuita e miscelata nel volume liquido in essa contenuto. tutto il sistema è realizzato in acciai inossidabili e nobili. VANTAGGI DEL REATTORE EOX

un impianto di trattamento strutturato con il sistema di ossigenazione esterna Ciem impianti, offre i seguenti vantaggi: - Risparmio energetico per vasche biologiche grazie alla elevata efficienza del trasferimento dell’ossi-

geno fino al 50% rispetto ad aeratori meccanici superficiali, fino al 35% rispetto ad aeratori meccanici di fondo e fino al 25% con sistemi sommersi a bolle fini. - no svuotamento vasche per manutenzione straordinaria; - minima manutenzione ordinaria (2-4 ore), programmabile ogni 36 mesi senza fermo impianto e perdita di efficienza del sistema; - nessun ricambio a medio/lungo termine (minimo 8 anni) della componentistica del reattore di ossigenazione;

Gruppo modulare di reattori esterni EOX per impianto biologico da 2.000 CMD in industria tessile

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- indipendenza delle funzioni di ossigenazione e miscelazione; - Riduzione della produzione dei fanghi di supero fino al 30%; - elasticità e flessibilità del trattamento poiché il sistema può assorbire ampie variazioni del carico inquinante in ingresso ottimizzandone performance e consumi energetici; - elevate prestazioni di trattamento su reflui ad alto carico organico, azotato e sostanze biorefrattarie; - Riduzione delle emissioni: alla luce dell’efficienza di trasferimento dell’ossigeno i volumi d’aria necessari sono ridotti, la miscelazione aria/acqua avviene in serbatoio chiuso e la diffusione della miscela nel volume liquido avviene in condizioni di minima turbolenza con eliminazione di odori ed aerosol; - Rapidi e minimi interventi per revamping di impianti esistenti; - il sistema eoX è utilizzabile indifferentemente con ossigeno puro o aria arricchita (o2, o3), ed anche in sistemi di ossigenazione chimico-fisica avanzata aoP (advanced oxidation process).


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WWW.SEDIMENTATORILAMELLARI.IT– CIEM IMPIANTI SRL

SEDIMENTATORI LAMELLARI CIRCOLARI A FLUSSO RADIALE Il pacco lamellare circolare a lamelle ondulate, può essere utilizzato con diverse modalità di flusso radiale. Questo permette di incrementare le potenzialità del sedimentatore e migliorarne i rendimenti, nonché i campi di utilizzo dello stesso. A seguire esempi di sedimentatori con i relativi flussi. DECANTATORE CON RASCHIATORE

DECANTATORE CIRCOLARE FONDO CONICO

Modello SLC.IF a flusso ascensionale, permette la sedimentazione dei fanghi. Grazie alla camera dei fanghi maggiorata e grazie all’utilizzo di una raschia con dei picchetti verticali, è possibile separare ulteriormente l’aria dal fango, favorendone l’ispessimento.

Modello SLC a flusso ascensionale, permette di sfruttare tutta la superficie equivalente per la sedimentazione. E’ disponibile anche con tramoggia a 70°.

DISOLEATORE A FONDO CONICO

DECANTATORE DISOLEATORE COMBINATO

Modello DLC a flusso discensionale che permette lo sfruttamento di tutta la superficie equivalente per la fase di disoleazione o flottazione. La tramoggia aiuta a separare la frazione solida grossolana. Disponibile con Oil skimmer o raschia per flottati.

Modello SDLC a flusso orizzontale che permette l’uso della superficie equivalente totale sia per la sedimentazione che per la disoleazione. Le sostanze flottate vengono raccolte da un apposito Oil skimmer o raschiatore, mentre le sostanze sedimentabili vengono raccolte nella tramoggia conica a 60°

DECANTATORE FLOTTATORE COMBINATO

DECANTATORE CON CAMERA DI FLOCCULAZIONE MAGGIORATA

Modello SLC.FL a flusso ascensionale e discensionale in serie che permette la rimozione di fanghi flottabili e sedimentabili. Le due camere e la sequenza delle stesse sono sviluppabili in base alla funzioni del processo. Disponibile anche con aria disciolta.

Modello SLC.F a flusso ascensionale disponibile anche con miscelatore per incrementare il tempo di contatto tra prodotto chimico e refluo da trattare.

IMPIANTO PER DISOLEAZIONE ACQUE DI PRIMA PIOGGIA

SEDIMENTATORE A FLUSSO COMBINATO

Revamping di una vecchia vasca per disoleazione, installata presso uno svincolo autostradale in Svizzera. la vasca interrata è stata munita di pacchi lamellari lineari per aumentare la superficie equivalente e sfruttare la piccola vasca in muratura per disoleare grosse volumetrie d’acqua. • Portata: 180 lt/sec (650 mc/h) • materiale telaio: aiSi 304

Sedimentatore lamellare circolare con flusso combinato grazie a due pacchi concentrici, uno per la flottazione e uno per la sedimentazione installato presso impianto di trattamento rifiuti in Veneto. nella prima camera vi è la sezione a flusso discensionale, dove il fango flottabile viene separato dalle lamelle e raccolto in una tramoggia superficiale da un apposito raschiatore. nella seconda camera vi è la sezione con flusso ascensionale che fa precipitare il fango separato dalle lamelle il quale viene raccolto all’interno di una tramoggia per l’evacuazione. • materiale lamelle: PRFV • Dimensioni: d. 2.000 x 4.500 mm. • Superficie disponibile per installazione dei pacchi lamellari: 10,5 • materiale vasca: aiSi 316 l mq • materiale lamelle: aiSi 316 l • Superficie equivalente totale • Superficie disponibile: 3,14 mq CIEM IMPIANTI Srl sviluppata dai pacchi: 300 mq • Superficie equivalente totale Via Torquato Tasso, 39 - 21100 Varese • installazione in vasca esistensviluppata dai pacchi lamellari: te con minime modifiche strut12 mq per la sedimentazione, 6 Tel 0332.831776 - Fax 0332.319278 turali mq per la flottazione E-mail info@ciemimpianti.com - www.ciemimpianti.com

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RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

Sottoprodotto o rifiuto? Una distinzione spesso sottile ma sempre importante

L'indeterminatezza induce contrasti interpretativi che possono provocare ricadute in termini di costi e oneri amministrativi ha provocato (e provoca tuttora) numerosi contrasti interpretativi, rilevabili anche nella giurisprudenza degli ultimi 5 anni. Dal punto di vista economico, la questione non è di poco conto, in quanto dalla qualifica o meno di una sostanza come sottoprodotto dipende la possibilità di sottrarla al regime della gestione dei rifiuti, con ricadute immediate in termini di costi e oneri amministrativi. E’ nozione comune che un “sottoprodotto” è qualcosa che si origina da un processo industriale, il cui fine è la produzione di una diversa sostanza. Ad esempio, nel processo Solvay per la produzione della soda si ottiene inevitabilmente anche cloruro di calcio; nel processo di transesterificazione per la produzione di biodiesel si ottiene inevitabilmente glicerina. Il cloruro di calcio e la glicerina vengono poi immessi sul mercato, cioè sono sottoprodotti e non rifiuti.

La nozione di “sottoprodotto” è attualmente definita nel nostro ordinamento dall’art.184-bis del D.Lgs 152/2006 (“TU ambientale”), che è stato introdotto dal D.Lgs 205/2010 (il quale ha recepito nella legislazione italiana l’art.5 della Direttiva 2008/98/ CE). Tuttavia, l'indeterminatezza di alcune delle condizioni che a norma di legge devono essere rispettate per poter qualificare e gestire una sostanza come sottoprodotto,

LA NOZIONE DI SOTTOPRODOTTO

Quando un ciclo produttivo genera un residuo, questo o rientra nella categoria dei sottoprodotti, oppure è da considerarsi un rifiuto; per poterlo qualificare come sottoprodotto occorre che siano rispettate una serie di condizioni fissate dall’art.184-bis del D.Lgs 152/2006: - la sostanza o l’oggetto è origiHi-Tech Ambiente

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nato da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante, e il cui scopo primario non è la produzione di tale sostanza od oggetto. Ciò significa che il sottoprodotto non può essere lo “scopo primario” del ciclo produttivo, ma solo una conseguenza inevitabile e non ricercata (ossia uno scarto o un residuo). In base a questa indicazione, la Cassazione ha negato la qualifica di sottoprodotto ai residui di demolizioni utilizzati per sottofondi stradali, in quanto non provengono da un processo produttivo, ma da un’operazione di selezione di un rifiuto - è certo che la sostanza o l’oggetto sarà utilizzato, nel corso dello stesso o di un successivo processo di produzione o di utilizzazione, da parte del produttore o di terzi. Questa condizione è chiaramente diretta ad evitare che un residuo, non qualificato come rifiuto, venga alla fine smaltito in modo “selvaggio” o ancor più verosimilmente abbandonato, con evidenti pericoli per l’ambiente e la salute umana. Il produttore è quindi tenuto ad assicurare in modo oggettivo che questa sostanza venga utilizzata (o ri-utilizzata) come “materia prima” nell’ambito del medesimo ciclo produttivo da cui esso è originato, oppure presso un diverso ciclo di produzione o utilizzazione gestito da terzi (anche assolutamente diverso da quello di origine). Ma come può il produttore garantire un impiego certo del sottoprodotto? Un utile suggerimento può essere ricavato dalla prima definizione di sottoprodotto, di cui alla versione originaria dell’art.183 del D.Lgs 152/2006 (non più in vigore), secondo cui doveva essere verificata la rispondenza del sottoprodotto agli standard merceologici, alle norme tecniche, di sicurezza e di settore, e occorreva una dichiarazione del produttore o del detentore, controfirmata dal titolare dell’impianto dove avviene l’effettivo utilizzo, che attestasse la destinazione del sottoprodotto all’effettivo utilizzo. Un altro utile elemento di supporto è l’esistenza documentabile di quotazioni di mercato per la sostanza che si intende qualificare come sottoprodotto - la sostanza o l’oggetto può essere utilizzato direttamente senza alcun ulteriore trattamento diverso dalla normale pratica indu-

striale. È chiaro che il concettocardine di questa condizione è quello di “normale pratica industriale”; questo è anche uno degli aspetti più controversi della disciplina del sottoprodotto. Per poter considerare un trattamento come “normale pratica industriale” il produttore può fare ricorso a documenti tecnici ufficiali, come le BAT (Best Available Techniques) o le norme UNI; ma questo Continua a pag. 30

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Sottoprodotto o rifiuto? punto è oggetto di diverse interpretazioni - l’ulteriore utilizzo è legale, ossia la sostanza o l’oggetto soddisfa, per l’utilizzo specifico, tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e l’ambiente e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o la salute umana. Questa condizione richiede di dimostrare che l’utilizzo del sottoprodotto in alternativa alla materia prima non determini, da un lato, una violazione delle prescrizioni autorizzatorie o delle altre condizioni che il processo deve rispettare per legge, e dall’altro non comporti un peggioramento, sotto il profilo della tutela dell’ambiente o della salute, del ciclo produttivo presso cui viene impiegato il sottoprodotto. Naturalmente, in questa valutazione si dovrà tener conto anche dei benefici ambientali derivanti dall’impiego del sottoprodotto (ad esempio la riduzione del volume dei rifiuti e del consumo di risorse naturali).

Da ricordare, inoltre, che non è possibile considerare sempre (ossia a priori) una sostanza in quanto tale come sottoprodotto o rifiuto; occorre valutare caso per caso, perché la qualificazione di una sostanza come sottoprodotto dipende in larga misura dalle peculiarità del ciclo produttivo che l’ha generata e dalle caratteristiche del ciclo di riutilizzo. Per tornare all’esempio della glicerina ottenuta come sottoprodotto della

produzione di biodiesel, questa potrà essere o meno qualificata come sottoprodotto a seconda della sua purezza, in quanto la glicerina sufficientemente pura trova facilmente impiego nell'industria farmaceutica e cosmetica. LA “NORMALE PRATICA INDUSTRIALE”

Come già detto, il concetto di “normale pratica industriale” non

è affatto chiaro: non solo non è definito dalla legge, ma può variare a seconda della presenza o meno di norme tecniche che descrivano i trattamenti abitualmente usati in determinati cicli produttivi. Sull’argomento esistono sentenze contrastanti, alcune delle quali appaiono criticabili per un’impostazione eccessivamente restrittiva e formalistica, in quanto si è arrivati a escludere anche trattamenti di carattere unicamente fisico-meccanico: ad esempio, è stata negata la qualifica di sottoprodotto a ritagli di film plastico che venivano reimmessi nel processo produttivo, in quanto occorreva un’operazione di macinazione, estrusione e granulazione. Altre sentenze hanno addirittura escluso dalla “normale pratica industriale” operazioni che invece vi erano state espressamente incluse dalle Linee Guida della Commissione UE sulla Direttiva 2008/98/CE (ad esempio, lavaggio ed essiccazione). Fortunatamente, la Cassazione penale ha recentemente aperto Continua a pag. 32

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Sottoprodotto o rifiuto? uno “spiraglio” in questa situazione: con la sentenza 40109/2015 la Suprema Corte ha affermato che la “normale pratica industriale” comprende tutti quei trattamenti che non incidono su identità, caratteristiche merceologiche o qualità ambientale, ma che si rendono utili o funzionali per il suo ulteriore e specifico utilizzo (facendovi quindi rientrare non solo trattamenti di lavaggio, essiccazione o macinazione e frantumazione, ma anche vaglia-

tura, selezione e cernita). Sulla stessa linea si trova anche una recente sentenza del Consiglio di Stato, che ha riconosciuto la qualifica di sottoprodotto al “fresato di asfalto”, ossia al materiale ottenuto dalla rimozione dell’asfalto prima della ripavimentazione, in quanto questo materiale viene integralmente riutilizzato nella produzione di nuovo conglomerato bituminoso. È tuttavia possibile che queste nuove interpretazioni rimangano isolate e che nelle future pronunce la Corte si riavvicini al precedente e più restrittivo orientamento.

CHI DIMOSTRA LA NATURA DEL SOTTOPRODOTTO?

Dato che le disposizioni sui sottoprodotti hanno natura derogatoria rispetto alla disciplina generale sulla gestione dei rifiuti, l’onere di dimostrare la sussistenza di tutte le condizioni che legittimano l’applicazione del regime speciale grava su colui che ha interesse a beneficiare del regime derogatorio (ossia produttore e/o utilizzatore). Ciò è stato ribadito anche dalla sentenza della Corte di Cassazione 5504/2016, secondo cui “…incombe sull’interessato l’onere di

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fornire la prova che un determinato materiale sia destinato con certezza ed effettività, e non come mera eventualità, ad un ulteriore utilizzo”. Come già accennato, sarà opportuno che chi cede un residuo qualificandolo come sottoprodotto si faccia rilasciare dall'acquirente una dichiarazione che ne attesti il riutilizzo; senza la quale il produttore del sottoprodotto potrebbe essere accusato di violazione delle norme sullo smaltimento dei rifiuti, e l'utilizzatore potrebbe essere accusato di aver gestito un rifiuto senza avere le necessarie autorizzazioni.



Il rischio radioattività Rifiuti industriali e rottami metallici

Fondamentale l’adozione di misure di prevenzione e protezione da un’eventuale contaminazione per gli addetti a raccolta e lavorazione e per l’ambiente È noto che i rifiuti industriali, e in particolare i rottami metallici, possono presentare un rischio radioattività. Per questo motivo, fin dal 1996 l’Agenzia delle Dogane ha stabilito che i “prodotti semilavorati metallici” (spesso originati dal riciclo dei rifiuti metallici) debbano essere accompagnati dalla documentazione di avvenuto controllo radiometrico. Il potenziale rischio radiologico connesso con i rifiuti industriali è confermato da vari incidenti avvenuti in passato. Limitandosi ai casi italiani più recenti, si sono verificati eventi di fusione di sorgenti radioattive dal 2004 al 2011, in alcune acciaierie in Veneto, Piemonte e Lombardia. Alla luce di ciò, è chiara l’importanza dell’adozione di misure di prevenzione e protezione dal rischio derivante dall’esposizione a radiazioni ionizzanti per gli addetti presso le strutture che rac-

colgono e lavorano rifiuti industriali e rottami metallici; a ciò deve accompagnarsi l’adozione delle necessarie misure per la protezione dell’ambiente. Una delle misure adottate in questo senso è stata l’adozione di strumenti di controllo altamente sensibili, che consentono di rilevare piccole quantità di materiali radioattivi contenuti in cumuli di rifiuti anche abbastanza densi; le strumentazioni di tipo fisso, piazzate all’ingresso degli stabilimenti di raccolta, sono denominate “portali” e danno un segnale d’allarme all’ingresso di carichi contaminati da sostanze radioattive. Spesso però gli allarmi si attivano per “falsi positivi” o a causa della presenza di materiale contenente un’elevata radioattività naturale e, quindi, sono necessarie rilevazioni successive condotte con strumentazioni portatili ad alta sensibilità, che possono richiedere an-

che alcuni giorni. Anche i rifiuti non metallici (rifiuti urbani, speciali e sanitari) possono presentare radionuclidi, soprattutto a causa di residui derivanti da attività sanitarie di tipo terapeutico o diagnostico; pertanto, molti impianti per la raccolta e trattamento di questi rifiuti hanno installato portali per il controllo della radioattività del materiale in ingresso. In alcuni casi sono state emanate norme che impongono il controllo della radioattività su materiali specifici, come i raee, per i quali è previsto il controllo radiometrico in ingresso degli impianti di trattamento e gestione. Particolare attenzione deve infine essere rivolta ai rifiuti derivanti da materiali da costruzione, che possono contenere significative quantità di radioattività naturale; anche questa radioattività è nociva e, quindi, le precauzioni da adottare sono molto simili a quelle

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riservate alle sorgenti artificiali di radioattività. LE SORGENTI ORFANE

Le “sorgenti orfane” sono definite dal D.Lgs n.52/2007 come quelle sorgenti sigillate il cui livello di attività al momento della scoperta è superiore ai valori stabiliti nella Tab.VII-1 dell’All. VII al D.Lgs n.230/1995; è piuttosto frequente rinvenire “sorgenti orfane” disperse nei carichi di rifiuti (ad es. nei carichi di rottami metallici destinati alla fusione). In particolare, la presenza di sorgenti orfane proprio nei rottami ferrosi è di rilevante interesse per l’Italia, considerata la forte importazione di questi rottami da parte del nostro Paese; sebbene nei casi noti le conseguenze sanitarie siano state finora contenute, l’impatto econoContinua a pag. 36



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essere spostato in prossimità della superficie del carico, a una velocità non superiore a 30 cm/sec; il percorso deve permettere di coprire tutta l’area di misura secondo le fasce di larghezza non maggiore di 50 cm, con lo strumento mantenuto ad una distanza non maggiore di 20 cm dalla superficie. L’alta sensibilità di questi strumenti comporta il rischio di falsi segnali: per questo è necessario imparare a interpretare correttamente le misure identificando i possibili falsi allarmi.

Il rischio radioattività mico e sociale è stato talvolta rilevante, a causa della necessità di chiudere gli impianti per tutto il tempo necessario ad eseguire le operazioni di decontaminazione. Occorre quindi poter riconoscere, anche a vista, un oggetto che potenzialmente contiene materie radioattive; per questo è opportuno avvalersi di manuali e cataloghi in cui le sorgenti sono rappresentate anche in forma fotografica. PORTALI DI CONTROLLO

Sebbene non sia obbligatorio per legge, l’installazione di portali all’ingresso degli stabilimenti destinati alla raccolta e al deposito di materiali di rifiuto può garantire efficacemente la protezione del personale e dell’ambiente. I portali si basano in genere su rivelatori ad alta efficienza, collegati ad un’unità elettronica di controllo con un programma di analisi che gestisce le misure, gli allarmi e la registrazione dei risultati. Se la rilevazione viene eseguita in modo “dinamico” (ossia mentre il veicolo attraversa il portale) il veicolo non deve transitare a una velocità superiore a 8 km/ora. Occorre stabilire delle procedure ben definite e snelle, che evitino “ingorghi” di veicoli in ingresso allo stabilimento e soste indebite nelle vicinanze dei portali (soprattutto nelle ore di punta), con una distanza tra i veicoli in attesa e quello sottoposto a misura non inferiore a 5 metri, al fine di assicurare la veridicità delle rilevazioni. È necessario che il personale non si avvicini oltre il necessario ai veicoli in attesa di control-

PROTEZIONE DI LAVORATORI E POPOLAZIONE

lo, al fine di evitare esposizioni inutili. In caso di allarme, il carico sospetto deve essere immediatamente isolato in un’area apposita, dove saranno effettuati ulteriori e più approfonditi controlli (ad esempio con strumentazione portatile), mentre proseguirà l’afflusso dei carichi che non presentano anomalie radiometriche. Infine, è necessario che il sistema permetta di conservare in modo automatico tutte le registrazioni delle rilevazioni effettuate, su supporto cartaceo o informatico, e in caso di allarme fornire opportuna segnalazione con rapporto stampato. STRUMENTAZIONE PORTATILE

Molti rivelatori portatili sono basati su sonde a scintillazione con materiali inorganici (ad esempio

ioduro di sodio “drogato” con tallio); questa tecnologia consente di trasformare in impulsi luminosi l’energia cinetica delle radiazioni ionizzanti. Prima di ogni utilizzo giornaliero, occorre effettuare verifiche di buon funzionamento mediante una sorgente sigillata di normale approvvigionamento commerciale (preferibilmente 137Cs, oppure una matrice omogenea di isotopi naturali, come i materiali refrattari). La procedura di misurazione da impiegare con la strumentazione portatile è notevolmente più complessa rispetto a quella relativa all’impiego dei portali: in particolare, con i sistemi portatili diventa molto delicato il modo in cui ci si avvicina al carico e come si intende misurare la radioattività di fondo. La rilevazione richiede di solito una scansione continua, che copra tutto il carico. Il rivelatore deve

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In tutte le attività di raccolta e gestione dei rifiuti è necessario predisporre azioni di prevenzione dell’esposizione indebita alle radiazioni ionizzanti; è indispensabile la formazione del personale e la dotazione di adeguati dispositivi di protezione e intervento, quali indumenti e guanti monouso, maschere antiparticolato, sistemi di recinzione temporanea, cartelli e segnali specifici. L’incorporazione di materiale radioattivo può avvenire per ingestione, inalazione o attraverso la cute; occorre quindi limitare la diffusione e rimuovere i radioisotopi diffusi nell’ambiente lavorativo intervenendo su superfici, atmosfera e effluenti liquidi, effettuando gli opportuni interventi di monitoraggio e decontaminazione. Nel caso di contaminazione dell’aria di locali chiusi, è necessario filtrare l’atmosfera delle aree interessate, mentre nel caso di contaminazioni di sostanze liquide sarà necessario rimuoverle; nel caso generale delle contaminazio-


ni delle superfici si dovrà procedere alla loro accurata pulizia. In tutti i casi i materiali impiegati per filtrare, rimuovere o pulire dovranno essere trattati come rifiuti radioattivi e smaltiti nel rispetto delle prescrizioni di legge. La sorveglianza radiometrica deve essere documentata da attestazione rilasciata da esperti qualificati, compresi negli elenchi istituiti ai sensi dell’art. 78 del D.Lgs n.100/2011. Nell’ambito delle procedure di intervento, il sistema di misura impiegato deve prevedere fino a tre soglie crescenti: soglia di attenzione, soglia di controllo, soglia di pericolo. In seguito al superamento confermato di una soglia di misura, occorre attuare i necessari interventi, quali: isolamento e segnalazione del carico; informazione agli organi preposti (tra cui le Autorità di P.S., ai sensi dell’art.25, 3 co., D.Lgs n.230/1995); localizzazione circostanziata del rifiuto che ha provocato l’anomalia; identificazione del/dei radionuclidi responsabili; quantificazione della radioattività; raccolta del minimo quantitativo di rifiuto contenente

il materiale radioattivo; sistemazione in un contenitore adeguato (anche per il trasporto successivo); verifica del superamento dell’anomalia radiometrica sul carico residuo; alienazione del materiale radioattivo tramite ditta autorizzata alla raccolta dei rifiuti radioattivi. In genere, nel caso di un’anomalia radiometrica di un carico in in-

gresso (segnalata dal sistema a portale) il mezzo di trasporto viene spostato dalla zona di ingresso ad un’altra area, appositamente individuata, dove sia possibile svolgere in sicurezza le ulteriori operazioni di accertamento sul carico. Si procede poi a scaricare il mezzo, per ricercare il materiale che ha generato l’anomalia; il personale che compie le operazio-

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ni di scarico deve essere dotato di indumenti protettivi (tute, guanti, cuffie, maschere antipolvere, scarpe da cantiere e sovrascarpe). Occorre inoltre adottare le misure necessarie ad impedire eventuali dispersioni (in primis, lo scarico deve essere effettuato su superfici idonee, quali pavimentazioni impermeabili), e la ricerca del materiale contaminato deve avvenire secondo le disposizioni impartite dall’esperto qualificato. Una volta identificato e isolato il materiale origine della radioattività, il resto del carico deve essere sottoposto a ulteriore verifica per mezzo di strumentazione portatile e/o fissa, prima di essere avviato a smaltimento (incenerimento, conferimento in discarica, ecc.). In seguito all’identificazione e isolamento della parte del carico che ha generato l’anomalia, è possibile effettuare lo stoccaggio temporaneo della parte residua del carico, in attesa di un decadimento a livelli tali da poter procedere allo smaltimento in esenzione previsto dall’art.154, 2 co., D.Lgs 230/1995; lo stoccaggio temporaneo non richiede specifiche autorizzazioni.


Trituratore Untha XR3000C mobil-e

Untha e Pronar in bella mostra Ecotec Solution

Le ultime innovazioni in materia di trituratori e l’annuncio della distribuzione esclusiva di una nuova gamma di riciclaggio Vaglio a tamburo mobile cingolato Pronar MPB 20.55g

Separare rifiuti in modo che possano intraprendere la via del riutilizzo ormai da anni fa parte della quotidianità di Ecotec Solution. Un elemento chiave nei processi di riciclaggio sta nella tecnica di triturazione, ed Ecotec Solution, distributore esclusivo per l’Italia dei trituratori Untha, ben sa quali rifiuti possono essere trasformati in modo affidabile ed economico in materiale riciclabile. Una delle novità presentate a Ecomondo sono gli innovativi trituratori monorotore Untha serie QR, ideati per la triturazione di materiale riciclabile, soprattutto plastico. La serie QR è stata sviluppata e realizzata con clienti industriali durante un periodo di progetto di circa 2 anni. Il risultato è una linea di trituratori ad alta prestazione, affidabili anche con condizioni estreme, che non lasciano nulla a desiderare. Il solido sistema di taglio universale, il telaio macchina indistruttibile, la tecnologia a spintore che non richiede alcuna manutenzione, il sistema di azionamento resistente a carichi molto pesanti e l’accoppiamento di sicurezza sono alcuni degli highlight della serie QR. Questa gamma di trituratori esiste con motorizzazione da 22 fino a 180 kW e una larghezza della camera di taglio da 800 fino a 2.100 mm. L'altra novità della casa Untha shredding tecnology è il trituratore per rifiuti Untha XR mobil-e, il primo trituratore mobile elettromeccanico. In questo concetto rivoluzionario si incontrano i vantaggi dell’azionamento meccanico ai vantaggi di un macchinario mobile. Come tutti i prodotti XR, anche l’XR mobil-e è dotato del sistema Untha Eco Drive ad alta efficienza energetica, il quale garantisce che i costi di gestione siano minimizzati e le potenzialità e la qualità del materiale massimizzati. Tramite il telecomando l’XR mobile-e può essere manovrato in modo comodo e in piena sicurezza. Attraverso l’ampia selezione di diverse griglie forate e strumenti di taglio, la configurazione della macchina può essere adattata alle diverse esigenze del cliente riguardante la pezzatura del materiale in uscita. Sono disponibili due diversi sistemi di taglio, in Continua a pag. 40

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Untha e Pronar in mostra base al materiale e alla pezzatura che si vuole ottenere: il sistema lacerante Ripper e il sistema tagliante Cutter con spintore interno. Con entrambi i sistemi di taglio si possono ottenere pezzature da 400 mm fino a 30 mm. La potenzialità variabile in funzione della qualità del materiale in ingresso e del diametro delle griglie forate va dalle 10 t/h fino a 70 t/h. L’XR mobile-e tritura con facilità rifiuti ingombranti, solidi urbani, industriali, da demolizioni edili e rifiuto legnoso di ogni genere, per produrre un CDR/CSS omogeneo idoneo per inceneritori, cementifici e impianti di gassificazione o biomassa. E le novità non finiscono qui. Da maggio 2016 la famiglia dei macchinari distribuiti da Ecotec Solution si è allargata. Con la firma del contratto con l’azienda polacca Pronar, molto conosciuta in Europa e nel mondo per la produzione di macchinari agricoli, comunali e di riciclo, Ecotec Solution ha acquisito la distribuzione esclusiva per l’Italia per la linea di riciclaggio. La produzione di oltre 1.500 prodotti viene eseguita in 6 stabilimenti con circa 2.000 dipendenti che fanno parte di questa ditta con successo internazionale. I vagli a tamburo mobili Pronar hanno vinto la medaglia d’oro del premio più prestigioso e apprezzato sul mercato polacco. Grazie a un solido design e un semplice

Vaglio a tamburo mobile Pronar MPB18.47

principio di funzionamento, i vagli sono perfettamente adatti per lavorare diversi materiali come: terra e terreni contaminati, compost e torba, rifiuti solidi urbani, macerie da costruzione e scavi, sfridi legnosi, cippato e corteccia, inerti (sabbia, ghiaia, ghiaino) e materiale spiaggiato. I tamburi intercambiabili possono essere fabbricati a secondo delle esigenze del cliente, per dimensioni del foro, per spessore e per forma del foro tonda o quadrata. Grazie alla spazzola di pulizia tamburo, i fori rimangono liberi e in questo modo si sfrutta tutta l’area di settaccio, anche con materiale difficilmente vagliabile. I vagli a tamburo mobili Pronar hanno compatte dimensioni di tra-

sporto, sono progettati come rimorchio dotato di omologazione europea e possono viaggiare senza permessi speciali su strade pubbliche. Il motore e l’impianto idraulico sono montati su un telaio estraibile che garantisce un facile accesso per la manutenzione. Tutti i vagli mobili Pronar vengono forniti con motore Diesel Caterpillar o Deutz, o a scelta con motore elettrico a zero emissioni. La gamma può essere configurata con un’ampia serie di optionals come, per esempio: separatore ad aria per la rimozione carta e parti leggere di plastica, griglia sassi azionata tramite telecomando, rulli magnetici per la rimozione di parti ferrose e metalliche, che posso-

Trituratore Untha XR3000C mobil-e

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no essere montati sia sopra che sotto i nastri di scarico. L’ultima innovazione per i vagli mobili a tamburo Pronar è rappresentata dalla versione cingolata. Un autotelaio completamente autonomo permette di lavorare senza disturbi e ulteriori macchine a traino. Il vaglio mobile si può spostare comodamente con un telecomando. Due velocità di cingoli garantiscono un’alta effettività. <<Siamo molto contenti di poter introdurre nel mercato italiano la gamma di vagli Pronar - affermano Martin Mairhofer e Alex Raich, titolari della Ecotec Solution i macchinari si differenziano per l’elevatissima qualità e l’ottimo rapporto qualità prezzo. Possibile soltanto grazie al fatto che la maggior parte delle componenti vengono prodotte direttamente negli stabilimenti di produzione Pronar, con tecnologie all’avanguardia ed economie di scala derivanti dalla produzione elevata per altri segmenti. Per dimostrare la valenza dei macchinari mettiamo a disposizione macchine dimostrative da provare sull’impianto e applichiamo una garanzia per 24 mesi>>. <<La fiera Ecomondo - conclude Mairhofer - è per noi una piattaforma importante per raggiungere un ampio pubblico e poter presentare le soluzioni e innovazioni di Untha e Pronar, di cui siamo fieri di essere distributori esclusivi. Ogni visitatore potrà informarsi al nostro stand e coordinarsi oltretutto per una prova del macchinario di suo interesse, direttamente sul suo impianto>>.


ZOOM

Market

In poltiglia grazie a RedUnit Tecnologia modulare Vogelsang

Uno o due stadi di triturazione più pompa volumetrica per soddisfare le richieste dei settori agro-industriale, alimentare e del trattamento rifiuti

RedUnit 1: versione composta da XRipper XRL e pompa Serie CC

RedUnit è uno skid modulare, unico nel suo genere, che combina le collaudate tecnologie di triturazione e pompaggio Vogelsang in un'unica macchina, in grado di trattare grandi quantità di materiale solido e trasformarlo in una poltiglia facilmente pompabile alle successive fasi di lavorazione. RedUnit è un sistema completo, assemblato in officina e non richiede macchinari o coclee supplementari tra i diversi stadi di lavorazione. Si riducono pertanto gli ingombri e il consumo di energia elettrica. Un impianto RedUnit può essere impiegato per il trattamento e la triturazione di vari materiali ideali. Vediamo di seguito qualche dettaglio sui componenti, che possono esse-

RedUnit 2: versione composta da XRipper XRL, RotaCut RCX e pompa Serie CC

re utilizzati singolarmente oppure in combinazione. XRipper XRL. Trituratore a due alberi controrotanti impiegato come primo stadio di frantumazione. Permette di trattare efficacemente i materiali solidi e voluminosi, ne riduce le dimensioni e, se necessario, miscela gli stessi con eventuale liquido di ricircolo, ottenendo una sospensione fluida e omogenea. RotaCut RCX. Trituratore che lavora sul principio di taglio ed è im-

piegato come secondo stadio a valle dell’XRipper, per l’ulteriore sminuzzamento di solidi e fibre. Il materiale è ridotto in poltiglia passando attraverso una griglia di taglio con fori calibrati, sulla quale agiscono quattro coltelli. Permette di ottenere una triturazione particolarmente fine dei materiali solidi. Serie CC. Pompe monovite CavityComfort sviluppate per il convogliamento di fluidi a elevata viscosità, abrasivi e con forte con-

VOgELSANg ITALIA Srl Via Bertolino, 9° - 26025 Pandino (CR) Tel 0373.970699 - Fax 0373.91087 E-mail info@vogelsang-srl.it

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Market centrazione di corpi estranei. Rappresenta la soluzione ideale in diverse situazioni come pompa di scarico del materiale trattato. Serie VX. Pompe volumetriche a lobi rotativi caratterizzate da lunga durata utile, forma costruttiva compatta e facile manutenzione. Sono impiegate negli impianti RedUnit come pompe di alimentazione, quando serve un surplus di liquido. DUE COMBINAZIONI VINCENTI

Tra le possibili combinazione di RedUnit, particolarmente interessante quella composta da triturazione + miscelazione o quella con doppia triturazione + miscelazione, qui di seguito presentate: - XRipper XRL + Serie CC: una soluzione che offre triturazione di materiali grossolani e possibilità di miscelazione con aggiunta di fluidi in un solo passaggio (foto RedUnit 1). Il materiale solido è introdotto nella tramoggia (A). XRipper (1) tritura il solido trasformandolo in una poltiglia pompabile. Durante questo processo (B) è possibile aggiungere liquido al sistema di triturazione. Il prodotto finale è quindi pompato dalla pompa monovite serie CC (CavityComfort) (2) verso la linea di scarico (C) - XRipper XRL + RotaCut RCX + Serie CC rappresentano invece una configurazione a doppio stadio di triturazione, con possibilità di miscelazione con liquidi per fasi di lavorazione successive (foto RedUnit 2). In questo caso, il materiale solido è introdotto nella tramoggia (A). XRipper (1) tritura il solido trasformandolo in una poltiglia pompabile. Durante questo processo (B) è possibile aggiungere liquido al sistema di triturazione. Nell’area di miscelazione (C) del RotaCut (2), i materiali solidi in uscita da Xripper sono mescolati al liquido e ulteriormente sminuzzati dal rotore del RotaCut (D), fino a creare una sospensione omogenea di pezzatura ben definita. Il prodotto finale è quindi pompato dalla pompa monovite CC (CavityComfort) (3) verso la linea di scarico (E).

Vogelsang è presente a Ecomondo Pad D1 - Stand 69


PeLLeNc SeLective tecHNoLoGieS

Mistral plus, tutta d’un pezzo! Nella vita delle persone come in quella delle aziende avvengono dei fatti che sono pietre miliari, momenti che segnano il percorso di crescita di ognuno. Per la Pellenc S.t. la somma delle esperienze che nel corso degli anni sono state acquisite ed assimilate, hanno consentito di ottenere una sintesi perfetta, nella concezione di un selettore ottico in grado di offrire il meglio tecnologico di ogni suo componente. il nome della realizzazione di questo ambizioso progetto è all in one, vale a dire tutto in uno, ovvero la composizione unica e conseguenziale del tappeto veloce di carico, del selettore ottico e del cassone di uscita. Nella declinazione di tutte le possibilità di selezione, binaria, ternaria, multicanale, nonché la più ampia facoltà di impiego su ogni sorta di flusso. mistral Plus è il selettore ottico di riferimento per ogni azienda, che nella valorizzazione di ogni componente di qualsivoglia flusso di rifiuto, urbano, commerciale o industriale, abbia l’esigenza di un macchinario in grado L’aggiornamento motoristico della propria gamma non è mai cosa agevole e merlo ha voluto approfittare di questa occasione per introdurre novità importanti nella propria gamma di sollevatori telescopici. Dato che le parole d’ordine sono sicurezza, semplicità d’uso e praticità, l’azienda ha adottato, per ottemperare allo Stage iv, l’Scr con Doc che ha una gestione molto più semplice e smart rispetto alla soluzione con DPF. una scelta strategica che vede l’adozione del Deutz tcD 3,6 da 100 kW con Doc/Scr. Le versioni con il “vecchio” motore da 120 cv passano quindi a 136 cv (100 kW) con un sensibile aumento di potenza. un motore che equipaggerà i tF ii 38.10 e 42.7 e che viene accompagnata anche da un nuovo disegno del cofano motore di grande visibilità che fa spazio al dispositivo Scr/Doc, e prevede un nuovo punto di aspirazione dell’aria protetto dalla polvere e consente di montare internamente

di garantire oltre che la qualità e quantità del selezionato, la perfetta assonanza di tutti i suoi componenti, in grado di assolvere ai diversi compiti della selezione utilizzando il meglio che un gruppo di oltre 30 ingegneri della Pellenc S.t., utilizzando i consigli dei numerosi clienti, le esperienze dei team di assistenza e dei dipendenti, hanno consentito di progettare questo macchinario, unico nel suo genere. i punti salienti di arrivo di questo nuovo selettore ottico sono la sua estrema semplicità di acces-

so, sia all’esterno che all’interno del sistema, che ne facilitano la gestione e la manutenzione, abbattendo tempi e costi, la versatilità per la possibilità di variare la posizione delle barre divisorie nel cassone di uscita, nonché l’integrazione dei diversi optional: Stat Pack, turbo Sorter, Sensore induttivo, l’affidabilità, mediante un Pc industriale e l’architettura 2G integrata in un armadio robusto, l’impiego di un nuovo sistema di tubi di raffreddamento esente da manutenzione, un nuovo blocco di elet-

Nuove cabiNe e Nuovi motori

Il Turbofarmer Merlo

il prefiltro a ciclone. La velocità massima della trasmissione idrostatica è di 40 km/h. L’ePD è stato ottimizzato grazie all’implementazione elettronica che presenta, nella versione standard

Plus, la modalità eco, la funzione Speed control e la nuova funzione Heavy Load. È disponibile anche la versione ePD top che ha anche l’ecceleratore automatico. tutta la catena cinematica è stata ottimizzata in funzione delle aumentate prestazioni per garantire una durabilità adeguata. La cabina fino ad ora adottata per tutti i nuovi modulari merlo sarà affiancata da una versione eco semplificata senza monitor per il controllo del cDc e interni più facilmente pulibili. La struttura di base rimane sempre la stessa con le omologazioni roPS-FoPS Livello ii di serie, una superficie vetrata e un volume interno al top. il cDc ha il riconoscimento automatico delle attrezzature di serie, l’abilitazione automatica della zona franca di lavoro quando si

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trovalvole retrattile, impermeabile, antipolvere, dotato di accesso ergonomico, di deumidificatore dell’aria compressa e di una protezione dello scanner robusto e pressurizzato. Le prestazioni vedono raddoppiato il sistema di rilevamento, dimezzata la potenza delle lampade mantenendo la stessa qualità del segnale ed un tempo di risposta delle elettrovalvole migliorato del 50%, per un’espulsione più rapida ed efficiente. La flessibilità delle applicazioni di mistral Plus è altamente versatile nei confronti delle esigenze più complesse di qualsiasi centro di selezione o di riciclo, con la possibilità di impiego di una o più tecnologie: Nir, vision, induzione, raggi X, con scelta di entrata in versione multicanale e di uscita con espulsione binaria (una espulsione in positivo ed una in negativo) o ternaria (due espulsioni in positivo, tramite due barre di eiezione, una verso l’alto ed una verso il basso ed il restante flusso in negativo). Numerose invenzioni Pellenc S.t. sono in attesa di brevetto a tutela delle proprie innovazioni, che continuano a venire studiate e migliorate nell’ottica dell’impegno a costruire sempre i migliori selettori ottici disponibili sul mercato. installa una benna da scavo semplificando le operazioni. aggiornamento che va nella stessa direzione dei tF ii anche per i modelli tF medium Duty e compact Duty con l’aggiunta della nuova cabina eco, motori Stage iv Deutz 3,6 che erogano una potenza di 85 kW e adottano il sistema Scr/Doc senza DPF. il cofano motore è lo stesso dei tF ii. La gestione elettronica di idraulica e motore è identica a quella dei fratelli maggiori. Nel power-train sono presenti nuovi assali con riduttori epicloidali che equipaggiano sia i modelli medium (tF3 e tF33.9) che quelli compact (tF33.7 e tF30.9) con l’unica differenza della larghezza: 2,1 m per i modelli più piccoli e 2,24 m per quelli più grandi. anche per la gamma medium Duty è disponibile la sospesa cS; mentre per la compact c’è la versione L (Low Profile) che, con la stessa cabina ma montata più in basso, arriva all’altezza di 2,02 m.



Al servizio del recupero dei materiali Tomra Sorting Recycling

L’ecocentrale Granada, da 450.000 t/y, è costituita da 4 linee di processo e 10 separatori automatici autosort L’ecocentrale Granada si trova nel comune di alhendín, a 15 km dal capoluogo Granada, nel sud della Spagna. e’ un complesso di 890.500 mq, formato da un impianto di trattamento meccanico biologico, un impianto di selezione imballaggi leggeri, un impianto di trattamento percolato e un impianto di raffinazione compost. Dà lavoro a circa 190 impiegati e tratta i rifiuti rSu di 144 comuni (812.000 abitanti), oltre agli imballaggi raccolti in maniera selettiva in tutta la provincia (923.000 abitanti). Nel 2015, il recupero di rSu è stato del 10,80%, equivalente a 38.525 t di materiale salvato dalla discarica. a questa quantità vanno aggiunte altre 5.670 t di imballaggi recuperati, con una resa di questo materiale del 72,5%. L’impianto possiede 4 linee di trattamento accoppiate (con capacità di processare 30 t/h), in modo lavori in maniera simmetrica e simultaneamente con diversi tipi di materiale, così da aumentare la stabilità del prodotto in uscita e la versatilità del processo. Le ultime migliorie portate a termine all’ecocentrale Granada l’hanno portata ad essere un punto di riferimento a livello nazionale, un ottimo esempio di come l’automatizzazione dei processi e l’inclusione delle tecnologie di trattamento più avanzate siano determinanti nell’efficienza e nel miglioramento della gestione dei rifiuti. tra le tecnologie introdotte figurano i macchinari di selezione a sensori autosort di tomra Sorting recycling.

<<con l’introduzione degli autosort – spiega ricardo alonso Pérez, ingegnere del Servizio ambientale di Granada - il recupero di carta e cartone nella frazione rotolante è aumentato dello 0,8-1% sul totale di materiale conferito nello stabilimento. al momento si recuperano, per ogni turno di lavoro da 7h20min, tra le 5 e le 8 t di carta e cartone di buona qualità. Quanto al recupero di altro materiale mediante il ricircolo della frazione rotolante, come il Pet, il Pe-HD, il cartone per le bibite (brik), etc., il vantaggio non incide tanto sull’aumento del materiale recuperato, ma piuttosto sulla riduzione del personale addetto alla separazione sul flusso di rifiuti rotolanti nella cabina di controllo qualità, il che ha portato a poter prescindere da 3 operatori per turno, ricollocati in altre zone produttive dell’installazione, come la cabina di separazione primaria e secondaria>>. IL CIRCUITO DI RICIRCOLO NEL FLUSSO DI ROTOLANTI

MAGGIOR RECUPERO E MENO PERSONALE ADDETTO

attualmente l’impianto dispone di 10 unità autosort: 4 nella selezione a caduta libera della frazione rotolante per due linee di processo, altre

4 nella selezione a caduta libera della frazione rotolante per le altre due linee di lavorazione, oltre a due impianti ottici per il ricircolo e l’estrazione di carta e cartone dallo scarto della frazione rotolante delle 4 linee.

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Dopo due selezioni ottiche in caduta libera in cui si separano Pet, Pe-HD, plastica mista e brik e dopo il passaggio nella cabina di controllo qualità, tutto lo scarto della frazione rotolante viene condotto a una selezione ottica di ricircolo (sempre in caduta libera), in cui si soffia, tramite un autosort largo 2 m, tutto il materiale recuperabile restante in questo flusso (Pet, PeHD, brik, alluminio, metalli ferrosi e carta/cartone). Da qui nascono due flussi: Continua a pag. 46



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Al servizio del recupero dei materiali - la frazione non sottoposta a getti d’aria compressa cade sul nastro di scarto generale dell’impianto, il quale passa per una piccola cabina di controllo in cui si recuperano oltre al cartone scappato alla selezione, i rotolanti difficili o non recuperabili tramite il separatore automatico (le bottiglie con liquido, le bottiglie piene d’aria che potevano rotolare sul nastro trasportatore e i materiali neri che non vengono individuati dal sensore di vicino infrarosso Nir). Questo flusso senza materiale recuperabile viene conferito in discarica tramite l’impianto di trasferimento - la frazione sottoposta a getti d’aria compressa passa per il secondo impianto autosort largo 1 m, da cui nascono due nuovi flussi, una frazione sottoposta a getto d’aria di carta cartone, che passa per un controllo di qualità prima di essere immagazzinato in un bunker, e una frazione non sottoposta a getto d’aria compressa (riciclabili meno carta e cartone) che viene inviata un’altra volta alla sezione balistica per un nuovo passaggio per i separatori automatici in caduta libera. <<L’ecocentrale Granada racconta Pérez - è un’installazione ibrida, preparata per processare sia rSu, sia imballaggi leggeri, e l’altro pun-

to da sottolineare è il funzionamento di questo circuito di ricircolo durante la lavorazione dei rifiuti di imballaggi leggeri. in questo caso, si sostituisce il materiale soffiato di carta cartone con quello della frazione di plastica mista (o mix), producendo da una parte un ricircolo di materiale recuperabile (soffiato dal primo selettore ottico di ricircolo e non soffiato nel secondo). Dall’altra, si genera un nuovo punto di selezione della frazione mix (materiale soffiato del primo selettore ottico di ricircolo e soffiato della frazione mix nel secondo), dato che l’esistenza di carta/cartone

nella frazione rotolante degli imballaggi leggeri è tanto piccola che si seleziona tramite separazione manuale nella cabina di controllo qualità prima del passaggio nella caduta di ricircolo>>. I VANTAGGI DELLA TECNOLOGIA A SENSORI

Numerosi i vantaggi che l’installazione degli autosort di tomra ha portato al rendimento e al lavoro dello stabilimento. <<innazitutto i costi di manutenzione ridotti – dice Pérez - poi la gran-

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de facilità di pulizia e di funzionamento delle macchine. inoltre, la disponibilità dell’attrezzatura molto alta, rese di separazione elevate e stabili, versatilità per poter separare prodotti nuovi richiesti dal mercato, la possibilità di cambiare i prodotti da selezionare o riconfigurare la selezione in caduta libera dei materiali, facilità di configurazione di diversi materiali in uno stesso selettore ottico nel caso del trattamento di distinti flussi (rSu, imballaggi leggeri) o svuotamento dello stabilimento dopo il turno di pulizia, configurando “non soffiare nulla” in tutti i separatori ottici, o per svuotare il circuito di ricircolo, configurando "non soffiare nulla" nel primo separatore ottico del circuito di ricircolo>>. resta ancora margine per migliorare l’efficienza di ecocentrale Granada con altre macchine all’avanguardia di tomra. <<Sono stati scoperti altri flussi con quantità di materiale recuperabile sufficiente per scegliere l’installazione di separatori automatici a sensori – chiarisce Pérez - che sarebbero: il recupero di carta cartone e il ricircolo di materiale recuperabile (principalmente brik) nel flusso di materiale leggero; macchine per la pulizia della frazione organica prima che venga compostata, consistente nella selezione di materiale recuperabile (compresi metalli e materiale plastico) nella frazione granulometrica da 50-80 mm di diametro per la sua successiva incorporazione nel flusso di selezione automatica di rotolanti nell’installazione già esistente, e il recupero di vetro nella raffinazione>>.



Biomasse & Biogas B i o m a s s a

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B i o g a s

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B i o m e ta n o

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C o g e n e r a z i o n e

Un impianto completo Biogas e compost

Una linea impiantistica con pretrattamento, digestione anaerobica, produzione di energia e compostaggio aerobico del digestato L’applicazione della tecnologia di digestione ad umido risulta essere, ad oggi, un’opportunità ed un’esigenza: conciliare le necessità di trattare quantitativi sempre maggiori di frazione organica con quella di aumentare la redditività degli impianti per il compostaggio tradizionale. E’ risaputo, infatti, che questi ultimi (compostaggio aerobico) soffrono sovente della difficoltà di produrre margini di profitto, a causa talvolta dell’arretratezza delle tecnologie utilizzate o di limiti impiantistici intrinseci. L’introduzione della digestione anerobica ha il pregio di condurre ad un obiettivo importante: la valorizzazione del rifiuto attraverso la produzione di biogas e la sua trasformazione in energia elettrica e termica. Ma andiamo con ordine e descriviamo brevemente le caratteristiche principali di un impianto di digestione anerobica. Le fasi principali del processo, rappresentate da altrettante sezioni impiantistiche, sono costituite dal pretrattamento, dalla digestione anaerobica in senso stretto cui è collegata la sottofase di generazione elettrica, e dalla fase di compostaggio aerobico del digestato. PRETRATTAMENTO

Il pre-trattamento rappresenta per un impianto di digestione anaerobica uno step di primaria importanza. Esso risponde a due esi-

genze specifiche: la creazione di una soluzione pompabile all’interno dei digestori (il substrato) e l’eliminazione del quantitativo maggiore possibile di sostanze non fermentescibili, le quali possono essere avviate a discarica. Naturalmente, in un regime di raccolta differenziato, tali sostanze rappresentano una quantità limitata di materiale che è bene rimuovere ai fini di una corretta gestione del processo anaerobico. Al fine del raggiungimento di questi obbiettivi, la soluzione tecnologica prevalente è quella di predisporre una linea di triturazione e vagliatura del rifiuto in ingresso, direttamente posiziona-

ta all’interno del capannone di conferimento e stoccaggio iniziale. Ciò permette il massimo contenimento dell’impatto odorigeno legato all’attività di trattamento. PRODUZIONE DI BIOGAS ED ENERGIA

Il processo di produzione di biogas avviene in ambiente mesofilo, a circa 37 °C. I vantaggi di tale impostazione tecnologica possono essere riassunti nei seguenti punti: tecnologia di processo semplice, elevata decomposizione dei componenti organici, sicurezza di funzionamento grazie alla stabilità del

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processo biologico, costanza di rendimento, ambiente mesofilo, basso fabbisogno di energia termica, costi di esercizio favorevoli. La zona di digestione è costituita essenzialmente dai digestori anaerobici e dai serbatoi di servizio. In particolare, il digestore è un serbatoio in acciaio con un rivestimento protettivo delle superfici che vanno a contatto con il gas. L’alimentazione al digestore viene costantemente misurata e tenuta sotto controllo con appositi strumenti. Poiché sotto il profilo del processo biologico è opportuno che l’alimentazione sia il più possibile uniforme, è previsto che ogni reattore venga alimentato più volte al giorno. Il processo biochimico anaerobico si sviluppa in diverse fasi. In particolare i batteri metanigeni, in quanto strettamente anaerobi, reagiscono in modo sensibile alle variazioni di pH e di carico. Per questo processo di degradazione vengono impiegati dei digestori in cui avviene un continuo rimescolamento. Durante questo periodo si può avere un abbattimento del 5090% della sostanza secca organica introdotta. Il gas prodotto viene mandato in un serbatoio a secco (gasometro), mentre i resti di fermentazione passano al serbatoio di post-fermentazione. Lo sfruttamento energetico del biogas avviene tramite combustione in un motore a gas, diretta-


mente accoppiato al generatore di corrente. L’impianto di cogenerazione è così detto in quanto sfrutta il biogas per produrre sia corrente elettrica che calore. La centrale di cogenerazione è una centrale compatta i cui i componenti necessari per l’utilizzo del biogas sono alloggiati all’interno di una unità-container. L’energia termica viene prelevata sotto forma di acqua di raffreddamento del motore e di gas di scarico ed utilizzata per scopi di riscaldamento. L’energia elettrica prodotta dal generatore viene sincronizzata con la rete e può quindi essere immessa nella rete pubblica, oppure essere utilizzata per i consumi interni dell’impianto. L’impianto di cogenerazione è concepito per un esercizio completamente automatico con biogas e funzionamento in parallelo alla rete. COMPOSTAGGIO DEL DIGESTATO

Il materiale digerito all’interno dei digestori, viene condotto ai

disidratatori del tipo decanter per la separazione della fase liquida che viene immessa nuovamente nel circolo della digestione ad umido. Il materiale residuo, il cosiddetto digestato, subisce in questa fase un ulteriore processo di degradazione aerobica, al fine di produrre un ammendante compostato misto. Tale fase viene condotta generalmente all’interno di biocelle statiche, a tenuta stagna, a ciclo chiu-

so, ove tutti i sottoprodotti derivanti dal processo di compostaggio non necessitano di attività di smaltimento separato, poiché vengono automaticamente reintegrati nel processo stesso o adeguatamente depurati. La produzione del cosiddetto compost fresco avviene generalmente in un lasso di tempo di circa 7-10 giorni, a differenza dei sistemi tradizionali che necessitano di tempistiche maggiori.

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Le principali caratteristiche e vantaggi di questi particolari impianti di compostaggio sono: emissioni estremamente ridotte, igiene sul posto di lavoro, ridotta quantità di acque reflue con carichi molto modesti, bassi costi di esercizio, assenza di parti meccaniche soggette a corrosione nelle zone di ossidazione, modularità impiantistica. Volendo fare un bilancio generale di quella che è l’applicazione della digestione anaerobica al trattamento della frazione organica possiamo dire che: - il bilancio energetico dell’impianto è positivo, in quanto nella fase anaerobica si ha la produzione di un surplus di energia rispetto al fabbisogno dell’intero impianto, che viene ceduta determinando un introito; - si possono controllare meglio e con costi minori i problemi olfattivi, in quanto le fasi maggiormente odorigene sono gestite in reattore chiuso e le “arie esauste” sono rappresentate dal biogas; il digestato è già un materiale semistabilizzato e, quindi, il controllo Continua a pag. 50


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ne della zona di pretrattamento, la zona di digestione in senso stretto con i digestori e le vasche accessorie e la zona di generazione elettrica. Non necessita di norma di grandi modifiche la zona ACT dell’impianto, poiché le necessità di bioossidazione del materiale digestato, sebbene molto meno spinte, sono in massima parte adattabili a quelle di compostaggio tradizionale. Nello specifico, nella progettazione esecutiva dell’intervento sull’impianto di Albairate è stato tenuto conto di numerosi aspetti sia tecnici che ambientali. Oggi, infatti, è possibile prevedere soluzioni in grado di massimizzare la generazione di biogas e di conseguenza di metano, favorendo la generazione di energia elettrica. Fra le varie soluzioni tecniche adottate, il sistema di pretrattamento consente il recupero di materiale potenzialmente biologico anche nei casi in cui il flusso di raccolta differenziata non è estremamente “pulito”. Ciò significa maggiore resa in biogas e minor scarto da conferire a smaltimento definitivo.

Un impianto completo degli impatti olfattivi durante il post-compostaggio aerobico risulta più agevole; - si riduce l’emissione di CO2 in atmosfera da un minimo del 25% sino al 67% (nel caso di completo utilizzo dell’energia termica prodotta in cogenerazione). REVAMPING DI IMPIANTI ESISTENTI

Sovente è conveniente convertire un impianto tradizionale in un vero e proprio polo energetico. Ne è un esempio l’impianto per il compostaggio di Albairate (MI), ove i lavori di revamping hanno consentito di trasformarlo in una struttura per la produzione di energia elettrica e termica. Da un punto di vista tecnico, il revamping è un’attività complessa e legata a molteplici variabili, in virtù della necessità di adeguare l’innesto tecnologico all’impianto esistente. Generalmente, le principali modifiche da adottare sono la creazio-

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il progetto Bio2energy sea risorse, Publiambiente, UniFi, Cnr, Pin, Cavalzani

Il primo impianto regionale sperimentale di codigestione anaerobica da fanghi e forsu, che produce bioidrogeno e biometano Sea Risorse e Regione Toscana hanno firmato un contratto di finanziamento per 1,5 milioni di euro destinati alla realizzazione del primo impianto sperimentale regionale di codigestione anaerobica di fanghi e frazione organica da rifiuto urbano (forsu), sul territorio di Viareggio (Lucca). È così che la Regione Toscana ha riconosciuto la best practice innovativa nella gestione dei rifiuti contenuta nel progetto che migliora l’efficienza di impianti di pubblica utilità recuperando l’organico proveniente dalla raccolta differenziata, annullando i consumi energetici del processo di stabilizzazione dei fanghi e i costi di trasporto su gomma, e producendo energia elettrica da mettere in rete e un fertilizzante organico che può sostituire quelli chimici. Bio2Energy è il primo progetto a livello internazionale che esporta a scala preindustriale il trattamento di rifiuti organici e la conseguente produzione di biocombustibili (in particolare il bioidrogeno) sfruttando gli impianti già esistenti dell’area del depuratore. Il progetto ha un costo complessivo di 3 milioni di euro, di cui la metà finanziato dalla Regione Toscana con determinante contributo regionale a valere sul Programma Attuativo Regionale PAR FAS 2007-2013 - Linea d'azione 1.1 Bando per il finanziamento di progetti di ricerca fondamentale, ricerca industriale e sviluppo sperimentale realizzati congiuntamente da imprese e organismi di ricerca in materia di nuove tecnologie del settore energetico, fotonica, ICT, robotica e altre tecnologie abilitanti connesse Bando FAR-FAS 2014. Ideatrice e capofila del progetto è la Sea Risorse, che lo ha condiviso con partner pubblici e privati quali Publiambiente, Cavalzani Inox, ICCOM-CNR, Dipartimento di Ingegneria Industriale dell’Università di

Fertilizzanti organici da sfalci e potature

Firenze, PIN. Si tratta di un progetto che la Regione Toscana ha adottato come progetto regionale di circular economy da presentare a Bruxelles. GLI OBIETTIVI DEL PROGETTO

Gli obiettivi del progetto possono essere così riassunti: - studiare i meccanismi di gassificazione dei rifiuti organici e la conseguente produzione di bioidrogeno; - produrre energia rinnovabile sotto forma di bioidrogeno e biometano da rifiuti organici; - codigerire anaerobicamente scarti provenienti da impianti di pubblica utilità; - recuperare materia dai rifiuti; - applicare per la prima volta il processo di produzione di bioidrogeno e biometano a scala preindustriale e valutare i fenomeni e le sinergie con la linea acque di un depuratore; - portare le risultanze dello studio all’attenzione degli enti di programmazione regionale e scrivere delle linee guida per l’esportazione del processo in altre realtà territoriali. I RISULTATI ATTESI

I risultati che dal progetto si attendono sono i seguenti:

- introdurre termini di guadagno derivanti nelle filiere di trattamento fanghi e forsu, quali la produzione di energia rinnovabile, la riduzione dei consumi e i mancati smaltimenti a discarica; - sfruttamento di una unità impiantistica già ammortizzata e già esistente in un impianto di pubblica utilità; - inserire digestato quale fonte di nutrienti sul mercato dei fertilizzanti, con recupero di materia e produzione di fertilizzanti organici rinnovabili nell’ottica del “regolamento end-of-waste” relativo ai materiali di scarto biodegradabili stabilizzati per il recupero; - riduzione reale dei costi sia in termini economici sia ambientali, rispetto all’attuale sistema di gestione integrata dei rifiuti. GLI STEP DI REALIZZAZIONE

Nel novembre 2015 la Regione Toscana ha rilasciato l’autorizzazione alla sperimentazione (ai sensi dell’art.211 - D.Lgs.152/06), in seguito al piazzamento del progetto tra i vincitori del bando di finanziamento per il settore (5° su circa 50 domande); nel febbraio 2016 il Consiglio Comunale di Viareggio ha autorizzato la realizzazione di un piccolo edificio (circa 400 mq)

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all’interno dell’area del depuratore di Viareggio (senza, quindi, consumo di territorio) destinato alla preselezione della frazione organica, che completa l’impiantistica necessaria al processo, la maggior parte della quale è già esistente e va solo sottoposta a ristrutturazione per obsolescenza delle strutture. In attuazione del progetto di ricerca industriale e a completamento della dotazione impiantistica per il trattamento della frazione organica, Sea Risorse ha intenzione di realizzare, nel medesimo sito, un impianto di codigestione anaerobica per il quale ad oggi ha ottenuto parere positivo per la valutazione di impatto ambientale. Dopo l’avvio dell’iter di gestione del progetto sperimentale con l’implementazione delle attrezzature e l’allestimento del pilota presso l’Università di Firenze, prende il via la prima fase dei lavori che è in scala pilota, e che precede la scala pre-industriale collocata nel sito del codigestore di Viareggio. La produzione di bioidrogeno e biometano sarà monitorata in entrambe le fasi, al fine di ottimizzarla. È previsto una disseminazione dei risultati anche sotto forma di linee guida, per rendere replicabile il progetto in altri siti.


GM-GREEN METHANE

La storia di un successo La tecnologia basata su soluzione attivata di K2CO3 da ottimi risultati nell’upgrading a biometano

GM-Green Methane è una New-Co tutta italiana, il cui scopo è la fornitura di impianti chiavi in mano di upgrading di biogas a biometano. Benché costituita nel 2013, i due soci fondatori hanno una lunga storia: il gruppo Marchi Industriale opera da oltre 100 anni nel campo della chimica di base e più recentemente nel campo delle energie rinnovabili, mentre il gruppo Giammarco-Vetrocoke detiene una tecnologia per l’assorbimento di CO2 mediante soluzioni attivate di carbonato di potassio, che applica da oltre 60 anni in ambito industriale con oltre 350 applicazioni in tutto il mondo. Sulle basi di questa forte esperienza, GM-Green Methane può offrire un pacchetto completo di upgrading del biogas a biometano, dal pretrattamento all’iniezione in rete o alla compressione per stazioni di servizio.Tra la fine del 2015 e l’inizio del 2016 l’azienda ha realizzato ed avviato il più grande impianto di biometano in Italia: tratta 200 Nmc/h di biogas grezzo, proveniente da digestione anaerobica di Forsu, per produrre circa 125 Smc/h di biometano di elevata purezza, in accordo ai limiti previsti dal codice di rete Snam ed alla normativa UNI TR 11537/2016. L’impianto è stato installato presso Hi-Tech Ambiente

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un’importante piattaforma di raccolta e riciclo di rifiuti del Nord Italia, ed è in esercizio da inizio 2016. L’impianto è composto essenzialmente da tre unità: - Pretrattamento, che è effettuato in due step ossia un lavaggio chimico ed un affinamento su carboni attivi. Questa fase è critica per la rimozione di tutti gli inquinanti tipici che si riscontrano nei biogas (H2S, NH3, COV, siloxani, mercaptani, ecc.) e che devono essere eliminati al fine di rispettare i criteri di qualità stabiliti per il biometano e gli off-gas - Upgrading, ossia il cuore dell’impianto. Si tratta di un lavaggio chimico altamente selettivo per la rimozione della CO2. Esso consente di raggiungere prestazioni di livello assoluto in termini di qualità di biometano ed off-gas (quest’ultimo contenente 99.95% di CO2 e 0.05% di CH4, scaricato in atmosfera), consumi elettrici al minimo della categoria e dimensioni d’impianto molto compatte. Inoltre, l’impiego di una soluzione a base inorganica, non volatile e non soggetta a degradazione permette di azzerare l’impronta ambientale dell’intero processo di upgrading. L’energia termica necessaria (circa 0.4 kWh/Nmc biogas) al processo è prelevata da un cogeneratore pre-


sente nel sito e può essere restituita pressochè totalmente per le necessità termiche di quest’ultimo (riscaldamento digestore, trattamento digestato, teleriscaldamento, ecc.) - Riconsegna, che è la fase finale di trattamento del biometano prodotto, dove quest’ultimo viene deumidificato, analizzato con gascromatografo e consegnato alla pressione desiderata. Fanno parte dell’impianto anche alcune unità di servizio necessarie a garantire una continuità operativa al sistema. Sono presenti tre strumenti di misura per monitorare e certificare la qualità del processo: un gascromatografo conforme a quanto prescritto per il biometano da specifica Snam, un analizzatore IR-EC multipoint ed uno strumento portatile per monitorare tutte le correnti gassose (biogas, biometano, off-gas). Il controllo dell’impianto è effettuato con PLC ed accesso mediante sim, che rende il sistema completamente controllabile da remoto. Le sequenze di avviamento e di spegnimento impianto sono completamente automatizzate ed in effetti l’impianto è stato gestito, per la maggior parte del tempo, mediante

il solo monitoraggio da remoto. Tutti i test effettuati sull’impianto hanno confermato i parametri di progetto, spesso con risultati migliori dei valori attesi. Dal test-run d’impianto effettuato a giugno 2016 possiamo riassumere quanto segue: portata media biogas grezzo 190 Nmc/h (su base secca); produzione media biometano 128 Smc/h; CO2 media nel biometano 0,5% mol (su base secca); perdite di metano 0,029%. Le conclusioni che si possono trarre dai dati di marcia dell'impianto indicano che la tecnologia GM-Green Methane, basata su soluzione attivata di carbonato di potassio, consente di ottenere risultati di primissimo livello, difficilmente eguagliabili da qualsiasi delle altre tecnologie disponibili, sotto tutti gli aspetti considerati: purezza di biometano e di off-gas, perdita di biometano, efficienza energetica, robustezza della soluzione assorbente e compatibilità ambientale. Nessun nuovo progetto di impianto di produzione di biogas potrà prescindere dalla considerazione di GM-Green Methane quale possibile tecnologia per l'upgrading a biometano.

BIOMETANO DA CA’ DEL BUE Appena fuori Verona vi è il grande termovalorizzazione di Cà del Bue, gestito da Agsm, l’utility energetica della città scaligera. Secondo il progetto in fase di attuazione di Agsm, presso l’impianto non solo continuerà la selezione dei rifiuti come trattamento meccanicobiologico, ma verrà riattivato il trattamento del rifiuto organico, che prevede di recuperare biogas da circa 40.000 tonnellate di rifiuto umi-

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do. Allo scopo saranno potenziati i digestori anaerobici, ed il biogas prodotto verrà riutilizzato come combustibile per la produzione di energia o trasformato in biometano (circa 400 mc al giorno) che sarà impiegato come carburante per gli automezzi di Amia (Gruppo Agsm).


Il quadro normativo italiano ha introdotto elementi di ulteriore tutela nell’ambito del biometano, che si applicano per le reti di trasporto e di distribuzione del gas naturale, introducendo una complessità maggiore nella gestione e produzione del biometano che deve considerare anche l’odorizzabilità, affinché il suo utilizzo possa avvenire in modo sicuro. Dal punto di vista gestionale questo passaggio risulta critico. Il requisito di odorizzabilità del biometano è definito dalla UNI TR 11537, la quale prevede che, prima di poter essere immesso in rete, il biometano prodotto deve dimostrare di non interferire con l’odorizzazione del gas naturale convenzionale e, nell’eventualità di fughe, presentare una percezione olfattiva paragonabile a quella associata alle fughe di gas naturale. Ciò comporta che il biometano debba essere in qualche modo disponibile, ovvero che l’impianto di biometano sia costruito e operativo, in modo da poter prelevarne un campione sul quale fare le verifiche richieste di odorizzazione. Soltanto a valle dell’esito positivo delle verifiche il biometano

HYSYTECH

L’odore del biometano

Impianto di biometano a partire da FORSU all’interno del Polo Ecologico di ACEA Pinerolese Industriale a Pinerolo (TO)

oggetto di verifica potrà essere immesso in rete. Si avrà così la certezza che il biometano sarà immesso in rete solo dopo che l’impianto sia stato costruito, messo in funzione e completate le verifiche di odorizzazione. Hysytech, dopo aver realizzato i primi impianti a scopo produttivo e continuando ad essere pioniere in Italia nel campo della realizzazione e dell’implementazione di

impianti di biometano, ha completato con successo le verifiche di odorizzazione fatte su biometano prodotto in Italia. Lo scorso luglio il biometano prodotto presso l’impianto di Pinerolo (TO) è stato prelevato direttamente dal Servizio ed Assistenza per le Analisi dei Siad. I campioni così ottenuti sono stati sottoposti alle verifiche previste dalla UNI 7133 presso il laboratorio Italgas di Asti, ente specializzato e di riferimento a livello nazionale nell’esecuzione di prove olfattive sul gas distribuito. Entrando nel dettaglio di quanto previsto dalla UNI TR 11537, essa prevede che un campione di biometano, prodotto presso l’impianto oggetto di verifica, venga addizionato di odorizzante nelle concentrazioni previste dalla UNI 7133 e che su tale campione vengano effettuate due prove, una per verificare l’intensità di odore ottenuta, una per valutare il tipo di

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odore risultante. In particolare, devono essere verificati i due seguenti requisiti: il valore di intensità di odore del campione, addizionato dell’incertezza di determinazione, deve essere almeno uguale a due gradi olfattivi della scala di Sales; il giudizio sul tipo di odore del campione, in confronto all’odore fornito dall’odorizzante, deve essere di similitudine in almeno l’85% delle singole prove condotte. I campioni prelevati dall’impianto Hysytech presso Acea Pinerolese Industriale (Pinerolo - TO) sono risultati conformi sia riguardo l’intensità di odore, sia il tipo di odore conferito al gas combustibile. Tutti i risultati ottenuti sono positivi. Hysytech ha un ruolo strategico per le aziende nel settore produttivo da oltre 15 anni. Le verifiche fatte le consentono di offrire maggiore tutela e serenità agli investitori che desiderano realizzare impianti di biometano, dimostrando ancora una volta di produrre biometano in pieno rispetto delle specifiche e all’avanguardia nell’evoluzione e nelle dinamiche normative.


macchine & strumentazione L’acqua è indispensabile in quasi tutti i processi industriali: il vapore serve come fluido per trasmettere il calore a distanza, l’acqua in forma liquida serve per i circuiti di raffreddamento e per le operazioni di lavaggio e, inoltre, l’acqua rimane il solvente migliore (e più economico) per moltissime sostanze. L’acqua è sempre più richiesta e c’è ormai una forte competizione tra i diversi comprati che ne fanno uso: agricoltura, industria, forniture al pubblico. Gli operatori industriali, da sempre attenti ai costi, necessitano quindi di sistemi affidabili e non troppo costosi per le misure di portata entro le tubazioni, e di livello entro i serbatoi. I misuratori ad ultrasuoni possono dare una risposta ad entrambe le esigenze.

Le misure con gli ultrasuoni gestione di acque industriali

L’applicazione di questi strumenti, a effetto Doppler o a tempo di transito, per il controllo della portata o del livello

GLI ULTRASUONI NELLE MISURE DI PORTATA

Abbiamo tutti in casa un contatore per misurare il consumo di acqua potabile: questi semplici dispositivi meccanici possono essere impiegati quando l’acqua è pura, ma si intasano e si usurano quando l’acqua trasporta materiali solidi. Inoltre, devono essere frequentemente revisionati e ritarati, se si vuole che forniscano misure attendibili; e queste operazioni possono essere fatte solo rimuovendo l’apparecchiatura dalla tubazione, che deve pertanto essere chiusa fino al termine dell’intervento. I misuratori ad ultrasuoni, al contrario, vengono montati all’esterno delle tubazioni, mediante semplici fissaggi a ganasce o fascette; si installano subito, senza bisogno di interrompere il flusso nella tubazione, e non richiedono la predisposizione di valvole di blocco e di sistemi di bypass. Un altro notevole vantaggio di questi misuratori è che non hanno parti meccaniche in movimento, né parti immerse nel liquido, per cui non sono soggetti a fenomeni di bloccaggio o di usura, e possono essere impiegati anche con fluidi altamente corrosivi o ad elevata temperatura. Esistono due categorie di misuratori di flusso a ultrasuoni: quelli a effetto Doppler e quelli a tempo di transito. In entrambi i casi, il principio di funzionamento si basa sulla modalità di propagazione della variazione di pressione che

Misuratore a ultrasuoni

gli ultrasuoni provocano attraverso il fluido. Misuratori Doppler L’effetto Doppler è il ben noto fenomeno per cui il fischio di un treno o la sirena di un’ambulanza cambiano di tonalità quando, dopo esserci venuti incontro, ci oltrepassano nella direzione opposta. In termini fisici, la frequenza con cui viene ricevuta un’emissione sonora aumenta quando

questa si avvicina a noi, e diminuisce quando si allontana; la variazione di frequenza è direttamente proporzionale alla velocità di avvicinamento o di allontanamento. I misuratori a effetto Doppler hanno bisogno di particelle che riflettano le onde sonore, cioè funzionino bene con i liquidi sporchi. In pratica, all’esterno del tubo viene fissata una sorgente di ul-

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trasuoni: generalmente si tratta di un trasduttore a cristalli piezoelettrici, costituiti da un cristallo che si mette in vibrazione quando riceve energia elettrica, sotto forma di brevi impulsi di tensione ad alta frequenza. Il cristallo emette brevi sequenze di onde sonore da 1.000 a 5.000 kHz (per confronto, il nostro orecchio non percepisce Continua a pag. 56


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Le misure con gli ultrasuoni le frequenze superiori a 20 kHz, mentre i cani arrivano a 50 kHz). Le onde sonore vengono riflesse dalle particelle che si allontanano, e captate dal ricevitore, che è un apposito trasduttore posto generalmente all’esterno del tubo, ma dalla parte opposta; per tubi di grande diametro può essere posto anche dalla stessa parte. Il ricevitore è anch’esso di tipo piezoelettrico, e genera un segnale elettrico quando viene colpito da un’onda sonora. In base alla frequenza del segnale elettrico generato si risale alla frequenza dell’onda sonora incidente, e in base alla differenza tra la frequenza ricevuta e quella emessa il sistema elettronico calcola la velocità del flusso; da questa si risale immediatamente alla portata, tenendo conto della sezione del tubo e della densità del fluido. Gli inconvenienti dei misuratori Doppler sono: ci deve essere un numero sufficiente di particelle riflettenti; le particelle devono a-

Misuratore a ultrasuoni

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vere dimensioni adeguate a dare una buona riflessione delle onde sonore, ma non devono essere troppo grandi, altrimenti risulteranno rallentate rispetto al fluido; quella che viene misurata è la velocità delle particelle, non quella del fluido, per cui il flusso non deve essere turbolento; tra l’emettitore e il ricevitore ci deve essere una distanza di almeno 20 volte il diametro del tubo, senza curve o variazioni di pendenza. Misuratori a tempo di transito A differenza dei misuratori a effetto Doppler, questi misuratori sono particolarmente adatti ai liquidi “puliti”, privi cioè di particelle in sospensione: Tuttavia, grazie ai progressi nell’elaborazione elettronica dei dati, questi misuratori sono oggi largamente usati per una grande varietà di fluidi. Il principio di funzionamento si basa sul fatto che la velocità delle onde sonore varia se il mezzo in cui si propagano si muove. Infatti, le onde sonore sono una vibrazione della materia, per cui se questa si sposta la velocità dell’onda si somma algebricamente alla velocità della materia (al contrario, la luce e le onde elettromagnetiche hanno velocità costante). Il misuratore ha due coppie di trasduttori, che agiscono sia da emettitori che da ricercatori; il traduttore a monte genera un segnale ultrasonico, che viaggia “cavalcando il flusso”, e viene ricevuto dal traduttore a valle; questo misura il tempo impiegato dal segnale, e subito genera un nuovo segnale, che viaggia “controcorrente” ed è quindi rallentato. Questo secondo segnale viene ricevuto dal trasduttore a monte, che calcola il tempo impiegato; la differenza tra il tempo di andata e quello di ritorno risulterà proporzionale alla velocità del fluido. I misuratori a tempo di transito sono più precisi di quelli Doppler (l’accuratezza tipica e da 1 a 2% della lettura) e sono indipendenti dalla presenza di particelle nel fluido; sono meno sensibili alle turbolenze del flusso, anche se con flussi turbolenti la loro precisione diminuisce notevolmente. Recentemente sono stati sviluppati misuratori con più coppie di trasduttori, distribuite lungo il diametro della tubazione; questa configurazione consente una buona precisione anche in condizioni di flusso turbolento.

GLI ULTRASUONI NELLE MISURE DI LIVELLO

Anche nelle misure di livello, il principale vantaggio degli strumenti a ultrasuoni è l’assenza di contatto con il liquido da misurare. Il sensore contiene sia l’emettitore che il ricevitore, ed è montato nella parte alta del serbatoio; da qui, l’emettitore invia un impulso sonoro che viene riflesso Continua a pag. 58

Misuratore Doppler di portata

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UN SIMBOLO DI QUALITA’

Le sfide di F.i.P.s.

Misuratore di portata ad effetto Doppler per reflui e fango

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Le misure con gli ultrasuoni dalla superficie del liquido e rispedito al ricevitore. Il sistema misura il tempo impiegato per il viaggio di andata e ritorno dall’impulso sonoro; questo tempo è proporzionale alla distanza del livello del liquido dall’apparecchiatura. Il principio è molto semplice e funziona benissimo se non ci sono elementi che possono

riflettere l’impulso sonoro lungo il suo percorso; purtroppo, nei serbatoi industriali sono spesso presenti tubazioni di ingresso e di uscita, agitatori, serpentine per la regolazione della temperatura, e simili strutture che generano falsi “echi”, disturbando il segnale di livello. Questi problemi sono stati superati negli strumenti di ultima generazione, che consentono di regolare la sensibilità in modo da “ignorare” gli echi delle strutture estranee.

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F.I.P.S Fabbrica Italiana Pompe Sommergibili da oltre 40 anni produce elettropompe per il trattamento dei reflui. L’azienda si è saputa distinguere sul mercato nazionale ed internazionale per l’affidabilità dei propri prodotti: interamente “Made in Italy”, duraturi, performanti ed indistruttibili. La fiducia dimostrata dai clienti nel lungo periodo ha permesso alla società di sviluppare un’ampia gamma di prodotti, quali: elettropompe sommergibili Vortex, elettropompe sommergibili monocanali e bicanali, elettropompe sommergibili monocanali aperte ed a spirale, elettropompe sommergibili trituratrici, agitatori e miscelatori. Recentemente, l’azienda è stata acquisita dal gruppo CRI Pumps, tra i più grandi produttori indiani di elettropompe. Presente sul mercato locale da oltre 50 anni, il gruppo oggi conta filiali in Europa, Brasile, Sud Africa, Emirati Arabi e Cina. Grazie al nuovo assetto, F.I.P.S. sta affrontando nuove sfide di mercato,

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come la recente presentazione delle nuove linee di prodotti per le acque chiare, e più precisamente delle elettropompe multistadio verticali ed orizzontali e delle elettropompe sommerse da pozzo. Ad oggi l’azienda sta ultimando la messa in opera delle linee di produzione per questi nuovi prodotti e sarà presto in grado di fornire al mercato un’ampia gamma a prezzi competitivi, pur mantenendo l’elevato standard qualitativo che da sempre la contraddistingue. Grazie a nuovi investimenti, inoltre, F.I.P.S. ha incrementato anche la propria forza vendite approdando in modo massiccio ed efficace su mercati emergenti, quali Africa subsahariana e Asia. Forte è la volontà da parte del nuovo management di entrare sul mercato cinese, da troppi visto esclusivamente come fucina di competitors a basso prezzo, senza invece considerare la grande fetta di mercato che chiede prodotti di alta qualità e contraddistinti dal marchio “Made in Italy”.



dimentazione dei fanghi che vengono trattati fisicamente e inviati in discarica. UNA SITUAZIONE PARTICOLARE

Esterno dell’impianto di depurazione Dimaro (TN)

Questione di efficienza robox energy

Estrema flessibilità sull'impianto civile di depurazione acque di Dimaro (TN), dove Robuschi ha testato il WS65, che ha di gran lunga superato le aspettative Nata per prova, l'installazione del nuovo compressore a vite con motore a magneti permanenti Robox Energy WS65 di Robuschi si è poi rivelata la soluzione ideale per un impianto di depurazione della Provincia Autonoma di Trento. Attivo da dicembre 2011, l'impianto ad ossidazione totale per il trattamento biologico delle acque di fognatura civica serve la zona dei comuni di Dimaro e Commezzadura, nell'Alta Val di Sole. Prevede un trattamento supplementare di denitrificazione biologica e di defosfatazione delle acque per ridurre l'impatto ambientale, necessario in quanto l'effluente viene scaricato direttamente nel vicino fiume Noce. Inoltre, la struttura è provvista di un sistema di se-

Giovanni Stancher, responsabile del magazzino officina per il servizio gestione impianti di depurazione della Provincia Autonoma di Trento. Hi-Tech Ambiente

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L'impianto presenta dunque una struttura standard con però una particolarità, che ha reso interessante l'applicazione del nuovo compressore Robox Energy di Robuschi. L'impianto di Dimaro è dotato, infatti, di vasche di ossidazione profonde 7 m, a dispetto dei canonici 4,5 m che caratterizzano invece tutti gli altri impianti del territorio. <<Questo aspetto, unitamente alla pressione atmosferica più bassa rispetto agli altri siti, dato che l'impianto si trova a un'altitudine di circa 800 m slm - spiega Giovanni Stancher, responsabile del magazzino officina per il servizio gestione impianti di depurazione della Provincia Autonoma di Trento costringe i macchinari installati a lavorare in condizioni non ottimali, con una contropressione portata al limite>>. Inizialmente furono installati gruppi soffianti con motori convenzionali, sempre di tecnologia Robuschi, che avevano il compito di garantire la quantità di ossigeno necessaria per l'ossidazione e l'abbattimento dei COD, le sostanze organiche presenti nelle acque. CONFIGURAZIONE OTTIMALE

La prima svolta per l'impianto trentino avvenne quando Robuschi presentò il compressore Robox Screw a vite a bassa pressione con motore convenzionale. <<Ce lo proposero in prova - ricorda Stancher - e fu quindi installato su altri nostri impianti. In un secondo momento lo portammo a Dimaro convinti che qui, proprio per le caratteristiche del sito, questa tecnologia avrebbe potuto essere utilizzata al meglio>>. Era il 2012 e il nuovo compressore non solo fu in grado di sostituire uno dei Robox Evolution a lobi già installati, ma addirittura si dimostrò sufficiente per supplire da solo all'intera necessità dell'impianto. La nuova sfida si presentò a fine 2015, quando Robuschi propose alla Provincia di Trento di mettere alla prova le capacità del suo ultimo innovativo modello di


compressore, il nuovo compressore Robox Energy. <<Una prospettiva allettante che accettammo di buon grado - continua Stancher - sempre felici di provare nuove tecnologie. Per di più con questa occasione ci si era prospettava l'opportunità di confrontare due modelli della stessa macchina dotati però di motori differenti. A quel punto sullo stesso impianto avevamo installato il modello di soffiatore Robox Evolution a tre lobi con motore convenzionale, un Robox Screw a vite a bassa pressione, sempre con motore standard e trasmissione a cinghie, e il nuovo Robox Energy a vite con motore a magneti permanenti, che fu poi acquistato definitivamente a luglio 2016>>. Il confronto, ancora una volta, riuscì a stupire e soddisfare completamente i gestori e la proprietà dell'impianto. IN EQUILIBRIO PERFETTO

Da dicembre dello scorso anno, quindi, l'impianto di depurazione di Dimaro non solo continua ad essere perfettamente funzionante,

Vasche di depurazione dell’impianto Dimaro (TN)

ma ha anche una conformazione che gli assicura la più completa flessibilità. In particolare, Robox Energy risulta essere la macchina principale dell’impianto e ad essa è stato affiancato il gruppo Robox Screw tradizionale, destinato ora a supplire alle eventuali maggiorazioni del carico estivo, che si verificano durante la stagione turistica, o in caso di eventuali sovraccarichi e, contemporaneamente, funge da macchina di scorta qualora vi sia bisogno di effettuare

manutenzioni, sostituzione di parti, revisioni o altri interventi sul compressore principale. <<In questo modo – aggiunge Stancher - abbiamo un sistema completo formato da solo due unità, che possono funzionare anche in alternanza e che sono in grado di garantirci tutta la flessibilità possibile>>. Una delle caratteristiche più interessanti, infatti, è la versatilità di Robox Energy, il quale, grazie a “Smart Process Control” analizza

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i dati ricevuti dal processo e modula il proprio funzionamento in base al sempre differente rapporto di fornitura dell’ossigeno richiesto durante la giornata. <<La necessità di acqua non è mai costante – chiarisce Stancher - vi possono essere momenti di picco seguiti da abbassamenti e da successive riprese. La macchina ha proprio il compito di mantenere costante l'ossigeno secondo il valore impostato, modulando il proprio funzionamento. Questa capacità, resa possibile anche grazie all'inverter integrato, da un lato, permette di evitare l'alternanza acceso-spento che renderebbe meno efficiente l'impianto e, dall'altro, evita picchi nell'apporto di ossigeno migliorando così anche la depurazione. In tal modo si ottiene contemporaneamente un risparmio energetico e un'ottimizzazione della quantità dell'ossigeno, senza sprechi>>. In sostanza, il nuovo compressore assicura meno costi all'interno dell'impianto, meno problemi e di conseguenza un maggiore risparmio. Continua a pag. 62


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Questione di efficienza UN RAPPORTO PLURIENNALE

HITE CH

L'impianto funziona a questo regime ormai da qualche mese e i 5 soffiatori di modello convenzionale ora inutilizzati saranno probabilmente spostati altrove o tenuti di scorta qualora ci fosse necessità su altri siti. Intanto a Dimaro i dati che si sono potuti rilevare sinora sull'impianto mostrano la validità della nuova tecnologia. <<Abbiamo registrato una differenza di efficienza di rendimento tra il nuovo Robox Energy e il soffiatore a lobi Robox Evolution che arriva fino al 25% - dice Stancher - mentre nel raffronto con il compressore a vite Robox Screw, il delta di rendimento raggiunge il 9%>>. Tali risultati derivano dalla maggiore efficienza del motore della nuova macchina, così come dalla sua conformazione priva di trasmissione e cinghia, quindi con perdite meccaniche decisamente ridotte rispetto agli altri modelli. Inoltre, proprio l'assenza di parti meccaniche di solito facilmente soggette a rotture e guasti rende questo modello non solo tecnologicamente più avanzato dei precedenti, ma anche più duraturo e più semplice da installare e gestire. Infatti, l'efficienza generale del

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Parco macchine installate con Robox Energy

compressore ha un rimando positivo anche sul fattore gestione e manutenzione. <<L'intero impianto è controllato in remoto attraverso un sistema di nostra proprietà – specifica Stancher - che ci permette semplicemente di monitorare a distanza il funzionamento di tutte le macchine presenti ed in questa ottica “Smart Process Control” presente in Robox Energy dialoga direttamente tra il nostro sistema e l’unità di controllo della macchina. Per interventi diretti e di manutenzione è necessaria invece una gestione in loco>>. In caso di difficoltà, però, il punto di riferimento è sempre Robuschi. <<Con l'azienda abbiamo instaurato un rapporto pluriennale e ci affidiamo ai suoi tecnici per qualsiasi problema - sottolinea Stancher - da sempre c'è stata un'ottima collaborazione e sono convinto che un rapporto di questo tipo con un fornitore sia fondamentale. La qualità della tecnologia e il risparmio sono importanti, ma lo è senza dubbio anche il post vendita>>. La conformazione di Robox Energy, che al suo interno integra sia l'inverter sia il quadro elettrico, ha inoltre permesso di rendere agevole e semplice anche il momento dell'installazione. <<Grazie al suo design estremamente compatto – afferma Stancher - la macchina si è integrata perfettamente nella sala compressori preesistente, con un ingombro

molto ridotto rispetto alle altre tecnologie installate o a possibili soluzioni analoghe. Non abbiamo avuto alcuna difficoltà e non abbiamo dovuto fare altro che portare sino alla macchina l'alimentazione elettrica ed il segnale del misuratore dell'ossigeno per poterla calibrare in funzione dell'ossigeno disciolto in vasca. È stata un'operazione semplice, Robox Energy è realmente pronto per essere installato, come si dice “Plug & Play”. Il tutto si è svolto sempre a stretto contatto con i tecnici di Robuschi; infatti, grazie al loro supporto, le caratteristiche del gruppo sono state sfruttate al meglio per valorizzare il processo del nostro impianto. È stato ed è tuttora un rapporto di grande collaborazione, volto ad ottenere un risultato comune>>. RISPARMIO ENERGETICO: PRIMO OBIETTIVO

L'esperienza di Dimaro sarà sicuramente un modello per altre realtà impiantistiche del territorio trentino, soprattutto laddove per esigenze progettuali la realizzazione di vasche con maggiori profondità e quindi con la necessità di avere macchine con contropressioni più elevate, renderanno ideale il ricorso a un compressore come il nuovo Robox Energy. <<Da parte nostra cercheremo di riproporre questa tecnologia – commenta Stancher - e, senza

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dubbio, i risultati ottenuti su questo impianto saranno un esempio da seguire>>. Del resto, in strutture di questo tipo i costi maggiori sono dovuti allo smaltimento fanghi e all'energia, ottenere dunque un risparmio su quest'ultimo aspetto è sempre un risultato molto importante. Tanto più se si considera che la propensione al risparmio energetico fa parte della filosofia della Provincia Autonoma di Trento. <<Miriamo all'autosufficienza energetica dei nostri impianti – conclude Stancher - e, proprio seguendo questa politica, abbiamo realizzato nel comune di Folgaria un impianto di depurazione completamente autosufficiente dal punto di vista energetico, alimentato da pannelli fotovoltaici e da una turbina che produce energia elettrica grazie all'effluente. L'attenzione posta a questi aspetti, tra l'altro, non è motivata esclusivamente da una ricerca di ottimizzazione energetica in quanto eticamente interessante, ma punta anche a un reale vantaggio economico>>. Il risparmio in denaro sui costi dell'energia permette infatti all'amministrazione di destinare un budget maggiore ad altri aspetti della gestione degli impianti e in questa prospettiva la strutturazione dell'impianto di Dimaro dimostra che una tecnologia come quella proposta da Robuschi può assumere un ruolo da protagonista.



laboratori

I nuovi composti fotocatalitici A base di semiconduttori

Sviluppati nanocristalli di specifici ossidi a base di metalli di transizione che, attivati dalla luce, reagiscono con l’ossigeno dell’aria e con l’acqua Negli ultimi decenni sono stati svolti molti studi e compiuti molti passi avanti per il trattamento delle acque reflue e per l’abbattimento degli inquinanti presenti all’interno di fumi provenienti da processi industriali. Tuttavia, sono presenti una serie di proble-

matiche non ancora risolte utilizzando gli attuali sistemi di abbattimento. Ad esempio, molte sostanze chimiche utilizzate all’interno dei processi attuali lasciano tracce nei campioni trattati, il che implica l’uso di ulteriori tecnologie per la loro successiva rimo-

Immagine al microscopio elettronico a trasmissione (TEM) di ossidi altamente fotocatalitici sviluppati e sintetizzati da Bio Eco Active

zione. Molti reagenti sono infatti dannosi per l’ecosistema, ma vengono comunque impiegati per i vantaggiosi rapporti costo/effetto. Per risolvere queste problematiche, la società BioEcoActive ha sviluppato, sintetizzato e caratterizzato nanocristalli di specifici ossidi altamente fotocatalitici a base di metalli di transizione che, attivati da apposito irraggiamento luminoso, reagiscono fortemente con l’ossigeno dell’aria e con l’acqua. S’innesca quindi un processo simile alla fotosintesi clorofilliana che produce un effetto ossidativo capace di aggredire e degradare un’ampia gamma di agenti inquinanti, sia organici sia inorganici che batterici presenti Hi-Tech Ambiente

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nei fumi e nelle acque reflue. Nella figura è riportata l’immagine al Microscopio Elettronico a Trasmissione del Le nanoparticelle inorganiche altamente fotocatalitiche così realizzate hanno dimensioni nanometriche (circa 20 nm) ed area superficiale (220 mq/g) così elevata che ne determina l’alta reattività. Test effettuati su differenti matrici (acque reflue, fumi industriali e pannelli fotovoltaici) hanno dimostrato come i principali inquinanti e microorganismi presenti vengono notevolmente abbattuti. Gli stessi ossidi semiconduttori fotocatalitici sintetizzati da BioEcoActive sono in grado di svolgere anche un effetto di potenzia-


mento dell’attività dei pannelli fotovoltaici, rendendoli di fatto autopulenti. Per ottenere questo risultato occorre applicare questi nuovi materiali omogeneamente in soluzione acquosa a 10 ml/mq sui pannelli fotovoltaici. In questo modo gli ossidi semiconduttori fotocatalitici svolgono la loro azione fotocatalitica con l’effetto di degradare lo sporco organicobiologico e particellare che si adagia sui pannelli a causa dell’inquinamento atmosferico. I pannelli fotovoltaici, dunque, si mantengono in efficienza con un netto incremento dell’energia raccolta. La superficie del pannello, infatti, viene resa completamente idrofila sotto l’illuminazione solare e completamente idrofobica in con i nuovi ossidi semiconduttori fotocatalitici sintetizzati permette di ottenere un aumento di efficienza mediamente del 3,5 % su base annua. TRATTAMENTO REFLUI INDUSTRIALI E DI PROCESSO

assenza di illuminazione durante la notte: di giorno le gocce d’acqua e di umidità atmosferica si adagiano con altissima bagnabilità sul pannello reso idrofilo, formando su di esso un film omogeneo di acqua che bagna e incorpora lo sporco; mentre di notte i composti di sintesi rendono il pannello completamente idrofobico, ovvero le gocce d’acqua diventano sferiche e rotolano via a causa della inclinazione del pannello, portandosi con se residui di sporco organico e le particelle inorganiche polverulenti dell’inquinamento. Questo trattamento

BioEcoActive sviluppa delle metodologie per la depurazione ed il trattamento di acque reflue derivanti da processi produttivi diversificati, impiegando sostanze inorganiche non tossiche. Nel caso degli scarti agro-zootecnici, ad esempio, quali insilati, letame, stallatico, liquami suini e frazioni solida e liquida di digestato proveniente da impianti di produzione di biogas e da allevamenti intensivi, sono scarti ad alto potenziale fertilizzante ed ammendante. La recente normativa italiana ed europea incentiva la valorizzazione e l’utilizzo di que-

sti scarti, così da migliorare i ricavi economici e diminuire gli impatti ambientali legati alla produzione e all’impiego di fertilizzanti di sintesi. Le fasi di trattamento BioEcoActive del digestato e dei liquami, attraverso metodi chimico-fisici, permettono il recupero dei nutrienti allo stato solido, sotto for-

Processo di applicazione sui pannelli fotovoltaici per potenziarne il rendimento Hi-Tech Ambiente

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ma di fosfati e solfati che possono essere raccolti in prodotti venduti come granulati e usati come fertilizzanti. In una fase successiva la presenza di ossidi attivati da radiazione luminosa rende possibile la diminuzione della carica inquinante del refluo rendendone semplice il trattamento.


I bioinquinanti difficili Il laboratorio Neotes

Un sistema Purge&Trap Atomx può rilevare i COV in concentrazione di 1/10 del limite di legge di Ernesto Soldovieri e Aniello Carrafiello

Le acque sotterranee e destinate al consumo umano sono considerate di rilevanza cruciale per gli equilibri ecologici del nostro pianeta in relazione al bilancio delle acque dolci, agli equilibri globali degli ecosistemi, alla salute. La conoscenza dei livelli e degli andamenti di contaminanti tossici e persistenti può migliorare la comprensione dei rischi per l’uomo ed è importante per la valutazione della salute ambientale e per le

possibili conseguenze su scala globale. Di particolare rilevanza nella contaminazione delle acque sotterranee sono i contaminanti organici persistenti, (Persistent Organic Pollulants, POPs), idrocarburi alogenati prodotti sinteticamente in laboratorio dall’uomo. Non essendo molecole naturali, una volta immesse nell’ambiente sono difficilmente degradabili e gli organismi non sono in grado di metabolizzarli. Per tale ragione possono inquinare l’ambiente ed essere tossici per gli organismi,

compreso l’uomo. Molti di essi sono prodotti industrialmente e largamente utilizzati nell’industria, nelle attività agricole e da tutti nella vita quotidiana. Alcuni di questi POP possono formarsi durante i processi produttivi di tali sostanze come prodotti indesiderati o secondari di produzione e presentare caratteristiche di pericolosità e tossicità simili. I POP includono diversi gruppi di composti chimici con struttura e proprietà fisico-chimiche simili, che provocano gli stessi effetti tossici. Sono stati e sono largamente usati in agricoltura (pesticidi, aldrina, clordani, DDT, dieldina endrina, esaclorobenzene, toxafenil), nell’industria (PCB) e come presidi sanitari (DDT o PFOS). Tutte queste sostanze sono sintetiche, ubiquitarie e presentano un potenziale di trasporto a lungo raggio. Sono persistenti nel suolo e nei sedimenti e hanno un tempo di dimezzamento nell’ambiente che può essere misurato in anni o molte decadi. A causa della loro resistenza alla biodegradazione sono anche chiamati xenobiotici (dal greco xenos=straniero, bios=vita, quindi estraneo alla vita). Le normative che regolamentano i controlli ed i limiti di legge per le analisi dei composti organici specifici in acqua sono sempre più stringenti. In particolare, il D.Lgs. 152/2006 Testo Unico Ambientale

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e successive modifiche, indicano per alcuni composti limiti nell’ordine di ppt. 
Tipicamente, queste analisi vengono eseguite adottando come linee guida le metodiche EPA (Environmental Protection Agency), ed in particolare il metodo EPA 8260, che prevede la tecnica GC-MS per la separazione rilevazione, ed il metodo EPA 5030, che prevede l’utilizzo della tecnica Purge & Trap per le modalità estrattive. Il laboratorio Neotes con la recente acquisizione di un sistema Purge & Trap Atomx, interfacciato ad un sistema GC-MS, è in grado di rilevare i composti organici volatili facenti parte del gruppo di cui sopra, in concentrazioni tali da garantire un limite di quantificazione inferiori o pari a 1/10 del limite o parametro di legge. Nello specifico il sistema Atomx consente di concentrare gli analiti presenti in tracce nel campione. Il campione viene sottoposto ad una azione di strippaggio degli analiti presenti mediante azoto e il flusso di gas viene inviato ad una trappola sulla quale gli analiti sono concentrati. Nella fase successiva gli analiti vengono desorbiti termicamente dalla trappola ed inviati al sistema gascromatografico per la necessaria separazione degli stessi. Il rilevatore spettrometro di massa, infine, permette la determinazione quali-quantitativa dei diversi inquinanti presenti nel campione sottoposto al processo di prova. Si conferma, quindi, la missione del laboratorio Neotes, ovvero offrire ai propri clienti un’ottima professionalità per la qualità delle prove. Qualità che non può prescindere, fra l’altro, dall’eseguire l’attività di prova in accordo con le metodologie dichiarate nei riferimenti normativi, nel rispetto dei requisiti del committente.


sicurezza

Aflatossine: un rischio trascurato Un pericolo anche per i lavoratori dell’industria

Coinvolto principalmente il comparto agroalimentare, ma anche laboratori di analisi, impianti per la produzione di biogas e inceneritori Da oltre 10 anni è nota l’esistenza di un rischio associato al consumo di prodotti alimentari contenenti aflatossine; è sempre più frequente leggere notizie di sequestri di prodotti (specialmente latte e derivati) contaminati da queste pericolose sostanze. Le aflatossine appartengono alla categoria delle “micotossine”, cioè sostanze ad azione tossica prodotte da contaminanti fungini. Questa categorie comprende numerosi composti metabolici secondari di diverse specie di muffe (più di 300), per lo più appartenenti ai generi Aspergillus, Penicillum e Fusarium; queste sostanze possono contaminare gli alimenti destinati al consumo umano o animale, determinando gravissime azioni tossiche e possibili azioni mutagene. In questo modo si provocano enor-

mi perdite negli allevamenti (si stima che, per effetto delle aflatossine, nell’ottobre 2002 sia stata distrutta nella sola Lombardia una quantità di latte bovino pari al 20% dell’intera produzione), e rischi altrettanto gravi per la salute umana attraverso la catena alimentare. In base ai loro effetti tossici (quasi sempre cronici) ed agli organi maggiormente colpiti, è stata effettuata una classificazione delle micotossine in 5 categorie: Aflatossine (epatossiche), Ocratossine (nefrotossiche), Tricoteceni (dermatossiche), Zearalomeni (ad effetto estrogeno) e Deossinilvalenolo (dermatossico). Tra le micotossine, le più note e più studiate sono indubbiamente le aflatossine; sono prodotte dalle muffe Aspergillus flavus e Aspergillus parastiticus, che sono in gra-

do di colonizzare le produzioni sia sul campo sia nelle successive fasi di lavorazione e stoccaggio, in presenza di particolari condizioni ambientali, come elevata umidità (almeno il 70%), media temperatura (25 °C) e modesta presenza di ossigeno (almeno 1-2%). Le specie vegetali maggiormente colpite sono i cereali (mais in particolare), arachidi, pistacchi e altra frutta secca, semi di cotone, soia e legumi. QUALI SONO I LORO EFFETTI?

Le aflatossine finora conosciute sono 18, tra le quali le più importanti dal punto di vista tossicologico sono le tossine B1, B2, G1 e G2 (prodotte direttamente dalle muffe sviluppatesi sui vegetali), e quelle M1 e M2, riscontrabili soprattutto

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nel latte animale come metaboliti delle aflatossine B1 e B2 trasformate attraverso un processo di idrossilazione nel fegato e nei reni. Quando il bestiame (e in particolare le mucche) si alimenta con piante o semi contaminanti da aflatossine, le forme M1 e M2 prodotte da fegato e reni passano nel sangue e da questo nel latte, che diviene così il veicolo di pericolose intossicazioni per il consumatore. Queste intossicazioni colpiscono prevalentemente il fegato ed in seguito polmoni, cuore e reni. Le aflatossine rappresentano quindi un problema di grande rilevanza per la salute pubblica, che richiede l’adozione di rigorose misure di controllo; misure che sono rese tanto più necessarie dal fatto che, Continua a pag. 68


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Aflatossine: un rischio trascurato nella maggior parte dei casi, le intossicazioni degli animali sono quasi asintomatiche e, quindi, impediscono di individuare in tempo reale la contaminazione del latte, che diviene così veicolo di involontaria intossicazione per gli umani. La pericolosità delle micotossine è tanto maggiore se si considera che talvolta possono essere attive a concentrazioni incredibilmente basse. Per fare un esempio, è noto che il tetracloruro di carbonio (CCl4, un tempo usato come solvente nell’estrazione di oli per uso alimentare) è un potente cancerogeno, che per questo è stato proibito. In esperimenti di laboratorio, il CCl4 ha prodotto tumori nel 50% dei ratti esposti quotidianamente a 0,2 grammi per kg di peso corporeo; mentre, una ben nota micotossina come l’aflatossina B1 è risultata 33 milioni di volte più pericolosa, in quanto i suoi valori di tossicità ai aggirano all’incirca su 0,000001

grammi/kg per giorno. Il problema è aggravato dall’impressionante stabilità mostrata da alcune di queste sostanze: esse resistono alle alte temperature e non vengono di solito neutralizzate dai normali processi industriali di preparazione degli alimenti. La cottura non fornisce alcuna protezione, e le tossine possono restare attive anche dopo che il fungo è stato distrutto. L’assenza di muffa visibile, in ogni caso, non è una garanzia della qualità dell’alimento. Il problema delle aflatossine è stato finora affrontato soprattutto nell’ottica della protezione dei consumatori; tuttavia, anche i lavoratori dell’industria agroalimentare sono esposti a queste sostanze. Fino ad oggi questo problema è stato del tutto trascurato, tanto che le aflatossine non sono comprese nella lista europea dei cancerogeni professionali. QUALI LAVORAZIONI SONO INTERESSATE?

La contaminazione da aflatossine riguarda soprattutto il comparto agroalimentare (raccolta delle derra-


te, operazione di carico e scarico, deposito e insilamento, trattamenti meccanici, essiccazione, produzione di mangimi e loro distribuzione agli animali negli allevamenti), ma anche altre attività (laboratori di analisi, impianti per la produzione di biogas, inceneritori, ecc.). Frequenti fonti di esposizione sono le polveri depositate sugli impianti e sul pavimento dei silos, mangimifici e impianti di trasferimento dei cereali. Infatti, i cereali nei quali si è riscontrata contaminazione da aflatossine non possono essere impiegati per l’alimentazione, ma possono essere utilizzati per la produzione di biogas in impianti di digestione anaerobica; è frequente che la macinazione di cereali inquinanti e il loro trasferimento su autocarri vengano eseguite senza rispettare le più elementari pratiche relative al contenimento delle emissioni di polveri. Una stima della Ausl di Reggio Emilia, relativa a quasi 20.000 aziende, con 123.000 lavoratori occupati, ha rilevato concentrazioni di aflatossine aerodisperse fino a 421 ng/mc; per confronto, si consideri che il Regolamento 1525/98/UE fissa come limite massimo nel latte e negli alimenti per l’infanzia 50 ng/mc.

venire la condensazione, può essere assai utile per tenere sotto controllo l’umidità. Per quanto ovvio, i tetti del silos vanno scrupolosamente ispezionati per assicurarsi che non ci siano ingressi di acqua quando piove: si è infatti osservato che le contaminazioni risultano più frequenti nella parte alta dei silos. Un aiuto importante nella verifica delle buone condizioni di stoccaggio può essere fornito da sonde termometriche opportunamente posizionate. Sono stati esplorati anche altri possibili mezzi di prevenzione: alcuni antiossidanti, in particolare gli oli essenziali, sono in grado di prevenire la formazione di micotossine, e la possibilità di un loro impiego

su vasta scala è attualmente in fase di studio, sia sotto gli aspetti finanziari che tecnici. Un’altra opzione interessante è la “lotta biologica”, condotta favorendo la presenza di varietà di funghi “non tossici” in grado di impedire la proliferazione di specie tossiche; ad esempio, all’interno della famiglia Fusarium, che cresce su tutti i cereali, i ricercatori hanno identificato varietà non tossiche la cui presenza è in grado di ridurre la quantità di tossine dal 60 al 70%. Per la disinfezione/decontaminazione dei locali, è utile l’impiego di fumiganti, cioè sostanze che liberano sostanze fungicide nell’ambiente. Recentemente, il progetto europeo MYCOHUNT ha consen-

COSA SI PUO’ FARE?

Per evitare che si formino le aflatossine, occorre evitare tutte le condizioni che possono favorire la formazione di muffe e scartare gli alimenti che appaiono anche solo marginalmente contaminati da muffe. Inoltre, anche il design e la manutenzione dei silos hanno la loro importanza: un adeguato sistema di ventilazione, se è in grado di preHi-Tech Ambiente

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tito di mettere a punto un sistema di campionamento e analisi automatica delle polveri di cereali nei silos e nei sistemi di trasporto, che in meno di mezz’ora fornisce la concentrazione di una micotossina (denominata DON, cioè disossidivalenolo), il cui sviluppo può essere correlato a quello delle aflatossine. Infine, poiché le aflatossine sono cancerogeni riconosciuti, i datori di lavoro di industrie nelle quali può verificarsi l’esposizione dei lavoratori a queste sostanze sono tenuti ad eseguire una valutazione del rischio, informando i lavoratori e consultando il medico competente per definire le opportune misure di prevenzione e protezione.


tecnologie

Eco-tecnologie per i cementifici Come ridurre l’impatto ambientale

Maggiore efficienza energetica, cementi a basse emissioni, uso di combustibili alternativi, sostituzione parziale del clinker, cattura della CO2 Nonostante i notevoli progressi compiuti negli ultimi decenni, l’industria del cemento ha ancora un pesante impatto ambientale, soprattutto per quanto riguarda le emissioni di CO2 nell’atmosfera. Lo sviluppo di tecnologie più pulite per i cementifici segue diversi percorsi: maggiore efficienza energetica, formulazioni a basse emissioni di CO2, utilizzo di combustibili alternativi, sostituzione parziale del clinker, cattura della CO2 prodotta nel processo. Altre possibilità di miglioramento della compatibilità ambientale sono ottenibili dall’uso di aggregati riciclati nella formulazione del calcestruzzo e nello sviluppo di formulazioni speciali ad alta resistenza, che consentirebbero un alleggerimento delle strutture e quindi minori consumi di materiali e di energia.

EFFICIENZA ENERGETICA DELLA PRODUZIONE

La riduzione dei consumi di energia elettrica si ottiene con i sistemi automatici di gestione delle apparecchiature (in particolare, con azionamenti a velocità variabile per i ventilatori ed i mulini) e con la scelta di apparecchiature ad alto rendimento. L’efficienza energetica

nel forno di produzione del clinker viene massimizzata scegliendo forni a via secca, con preriscaldatore multistadio e precalcinatore, alimentati con calore recuperato dal clinker in uscita e dai gas esausti. FORMULAZIONI A BASSE EMISSIONI DI CO2

Queste nuove formulazioni non

sono ancora equivalenti come prestazioni al classico “Cemento Portland”, ma possono essere utilizzate in miscela con questo, oppure per produrre elementi non strutturali, come pavimentazioni, tamponature e simili. Il più noto di questi “cementi a basse emissioni” è quello prodotto dalla ditta inglese Novacem, basato su silicati di magnesio; questi vengono riscaldati a 700 °C formando ossido di magnesio, che nella fase di presa assorbe la CO2 atmosferica. Un altro cemento che assorbe CO 2 durante la fase di presa è proposto dall’americana Solidia Technologies: viene prodotto con un nuovo processo, chiamato “densificazione reattiva idrotermica in fase liquida”, che Continua a pag. 72

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Eco-tecnologie per i cementifici prevede una fase iniziale di formazione di metasilicato di calcio e, successivo, contatto con CO 2 gassosa per formare carbonato di calcio. Un meccanismo analogo è alla base anche del cemento “CarbonCure”, sviluppato dall’omonima società canadese. La società californiana Calera propone di ridurre le emissioni di CO2 utilizzando i fumi caldi delle centrali termoelettriche, che vengono fatti gorgogliare in acqua di mare; si ottiene una miscela di carbonati di calcio e di magnesio, che possono sostituire la roccia calcarea usata nella produzione del clinker. La CO 2 prodotta nella calcinazione di questa miscela è uguale a quella che è stata “catturata” dai fumi, e quindi si evita di produrre "nuova CO2 " ( a parte quella necessaria per il riscaldamento del forno). UTILIZZO DI COMBUSTIBILI ALTERNATIVI

Il forno di cottura del clinker si comporta come un vero e proprio reattore chimico, caratterizzato da altissime temperature e lunghi tempi di contatto dei gas con materiali solidi a carattere basico; per cui, non sono necessari sistemi di neutralizzazione dei fumi e sono escluse, almeno in condizioni normali, le emissioni di diossine. La natura del cemento consente inoltre di incorporare le ceneri leggere entro il cemento stesso,

per cui in pratica può essere usato qualsiasi materiale combustibile, a condizione che non contenga cloro e che non lasci residui grossolani di combustione. È possibile utilizzare sottoprodotti (come il Pet-coke), vecchi pneumatici triturati, oli, solventi, residui di colle e vernici, materiali plastici non clorurati e, in genere, il cosiddetto CSS (Combustibile Solido Secondario) ottenuto dalla frazione secca dei rsu. L’uso di questi combustibili alternativi non riduce direttamente le emissioni di CO2, ma consente di limitare l’uso dei combustibili fossili e sottrae allo

smaltimento in discarica o all’incenerimento quantità considerevoli di rifiuti. Si stima che nel mondo ogni anno i cementifici smaltiscano oltre 100 milioni di ton di rifiuti o residui vari, e questo quantitativo potrebbe teoricamente essere quintuplicato.

riso, il “fumo di silice” (sottoprodotto della produzione al forno elettrico del silicio metallico e delle leghe ferro-silicio). Attualmente, vengono usati nel mondo oltre 500 milioni di ton/anno di questi materiali sostituitivi.

SOSTITUZIONE PARZIALE DEL CLINKER

CATTURA DELLA CO2

Il clinker, cioè il materiale prodotto per calcinazione di una miscela tra roccia calcarea e argilla, è il costituente principale del cemento, in quanto ne rappresenta oltre il 90%; l’altro componente è il gesso, che viene aggiunto alla fine del processo per controllare la velocità di presa. Da tempo si sa che è possibile inserire nella composizione del cemento altri materiali, che in alcuni casi ne migliorano le prestazioni, e comunque costituiscono un valido mezzo di smaltimento di alcuni tipi di scarti industriali, riducendo inoltre il prelievo di materiali naturali dalle cave. L’uso di scorie di altoforno è ben noto; altri materiali sono (oltre alle polveri captate dai filtri dei cementifici stessi), le ceneri da centrali termoelettriche e forni industriali, le scaglie di laminazione, le polveri di allumina, i residui di gesso, i fanghi di depurazione essiccati, le ceneri vulcaniche, le ceneri della lolla di

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Teoricamente, le emissioni dei forni per la produzione di cemento dovrebbero prestarsi molto bene alla cattura della CO2, perché la concentrazione di questo gas è più elevata rispetto a quella dei normali processi di combustione. Oltre ai processi già noti (come l’assorbimento con soluzioni di ammine e la separazione su membrane), esistono processi in cui la CO2 viene incorporata nel cemento stesso, come nei già citati processi Solidia e Carbon Cure. Un altro processo è il “carbon looping”: i gas in uscita dal forno del clinker vengono fatti passare su ossido di calcio, che viene così trasformato in carbonato e può essere miscelato con le materie prime in ingresso. Il problema è che per produrre l’ossido di calcio occorre riscaldare il carbonato di calcio a 900 °C, per cui la convenienza del processo in termini energetici appare molto dubbia. Continua a pag. 74


Il calcestruzzo sostenibile Progetto SUS-CON

Prodotto con materie prime seconde, migliora le prestazioni ambientali del settore edile e contribuisce a ridurre gli sprechi I nuovi prodotti di calcestruzzo sviluppati dal progetto europeo SUSCON (SUStainable, innovative and energy-efficient CONcrete, based on the integration of allwaste materials) si propongono di dare risposta alle esigenze competitive e di riduzione dei costi del settore delle costruzioni, diminuendo al contempo il loro impatto ambientale. <<Abbiamo sviluppato concetti e tecnologie completamente nuovi spiega il coordinatore del progetto Alessandro Largo di Cetma Italia per integrare le materie prime secondarie nella produzione del calcestruzzo e ottenere prodotti più sostenibili ed energeticamente efficienti per applicazioni premiscelate e prefabbricate>>. L’iniziativa, inoltre, promuove la conoscenza dei vantaggi legati ai nuovi prodotti più ecologici per superare le barriere, non solo tecniche, di un settore ancora molto legato alla tradizione come quello edile. Al momento, i principali risultati sfruttabili riguardano vari nuovi tipi di aggregati e di leganti ottenuti esclusivamente da materie prime secondarie (tra cui rifiuti plastici, elettrici e di apparecchi elettronici, schiume poliuretaniche e rifiuti solidi urbani), la combinazione di questi nuovi prodotti in un calcestruzzo leggero ed energeticamente efficiente prodotto con tutti i materiali secondari e uno strumento di supporto decisionale per la gestione e la condivisione dei dati del flusso di rifiuti dell’UE. <<I prodotti di calcestruzzo leggeri, ecologici, economici e completamente derivanti dai rifiuti che abbiamo sviluppato – spiega Largo - sono utilizzabili sia per i prodotti premiscelati (sottofondi per pavimenti e relativi supporti) sia per applicazioni prefabbricate, come blocchi e pannelli. Questi prototipi prefabbricati e premiscelati sono stati prodotti da vari fabbricanti europei del set-

tore che partecipano al progetto e la loro compatibilità con i processi di produzione esistenti è stata dimostrata in prove sul campo>>. Alcuni numeri sui prodotti prototipali realizzati a conclusione del progetto: - 1.000 blocchi e 50 pannelli SusCon realizzati a livello industriale (presso gli impianti dei partner industriali del progetto), dimostrando che la loro produzione è compatibile con i processi esistenti (si riducono così i costi per l’adeguamento delle attrezzature); - costruzione (con pannelli e blocchi Sus-Con) di 3 demo building in scala reale in Spagna, Turchia e Romania per portare a termine la fase di dimostrazione; - monitoraggio delle performance d’isolamento termico in differenti condizioni climatiche dei demo building, da cui è emerso che i prodotti Sus-Con presentano capacità d’isolamento termico superiori rispetto ai prodotti commerciali utilizzati come riferimento; - in termini di resistenza al fuoco, i pannelli Sus-Con sono stati classificati EI 240 (dimostrandosi 4 volte più performanti degli analoghi pannelli commerciali attualmente prodotti dai partner industriali, classificati EI 60); - alto livello di replicabilità dei risultati del progetto Sus-Con, dimostrato utilizzando, per la produzione dei prototipi in Turchia, prodotti locali (diversi da quelli precedentemente utilizzati nella fase di sperimentazione in laboratorio), che hanno dato risultati invariati. Il team del progetto ha sviluppato un piano di sfruttamento dei concetti per i quali si intravedono potenzialità commerciali. <<Il piano contiene un elenco di risultati sfruttabili – chiarisce Largo con relative descrizioni, spiegazioni e un breve piano di sfruttamento Per Continua a pag. 70 Hi-Tech Ambiente

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Eco-tecnologie per i cementifici Alcune industrie leaders nella produzione del cemento (Carbon Trust, Heidelberg Cement, Cemex, Tarmac e altri) hanno recentemente formato un consorzio per sviluppare su scala industriale un nuovo processo di calcinazione rapida della frazione calcarea in reattore chiuso, riscaldato con vapore surriscaldato circolante in una camicia esterna. In questo modo, la CO2 emessa nel processo di calcinazione risulta molto pura e può essere facilmente catturata con i normali processi di assorbimento. Il consorzio, denominato LEILAC (Low Emission Intensity Lime And Cement) ha ottenuto un finanziamento di 12 milioni di euro dalla Commissione Europea. IMPIEGO DI AGGREGATI RICICLATI

La maggior parte del cemento viene utilizzato per la produzione di calcestruzzo, che è una miscela composta approssimativamente da 40% di ghiaia, 25% di sabbia, 15% di acqua e 20% di cemento. Da tempo si cerca di sostituire (almeno parzialmente) la ghiaia e la sabbia con materiali inerti ottenuti dalla selezione dei rifiuti C&D. Alcuni paesi, come Giappone e Stati Uniti, consentono tale sostituzione purchè vengano seguite apposite Linee Guida; in Europa l’orientamento prevalente è di escludere l’uso dei materiali di riciclo nelle applicazioni strutturali, permettendolo solo per pavimen-

tazioni e sottofondi stradali. Questo orientamento è attualmente condiviso dalla legislazione italiana, anche se le più recenti Norme Tecniche per le Costruzioni, pubblicate dal Ministero di Infrastrutture e Trasporti, consentendo l’uso del 30% massimo di aggregati riciclati di solo calcestruzzo per la realizzazione di calcestruzzi strutturali con classe di resistenza fino a 35 MPa. Il progetto europeo SUS-CON (SUStainable CONcrete), ad esempio, ha realizzato diversi tipi di pannelli isolanti ed elementi di

pavimentazione utilizzando materiali leggeri di rifiuto (residui di plastica, rifiuti da apparecchiature elettriche, schiume poliuretaniche, pneumatici usati e simili). Questi prodotti sono realizzabili con i processi esistenti e, attualmente, sono in fase di sperimentazione sul campo. FORMULAZIONI SPECIALI

Un modo per ridurre l’impatto ambientale del cemento può essere l’aumento della sua resistenza, che consentirebbe di ridurre la se-

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zione dei pilastri e quindi di usare quantità minori di calcestruzzo. Da una decina d’anni è sul mercato il cosiddetto UHPC (Ultra High Performance Concrete), ottenuto incorporando nel cemento Portland vari componenti, come fumo di silice, quarzo macinato, sabbia fine, fibre di rinforzo in materiali plastici o in acciaio, e additivi superplastificanti. Oltre ad una maggiore resistenza alla compressione ed alla trazione, l’UHPC mostra proprietà duttili del tutto inusuali per il cemento, come la capacità di flettersi, deformarsi e bloccare la propagazione di crepe. Formulazioni di cemento rinforzate con fibre ad alte prestazioni sono state sviluppate nell’ambito del progetto europeo FIBCEM. I prodotti ottenuti hanno basso impatto ambientale grazie all’uso di componenti come ceneri leggere e fumi di silice; risultano molto leggeri, grazie all’incorporazione di aria ottenuta con polimeri super-assorbenti e agenti schiumogeni. Un particolare tipo di cemento ad alta resistenza alla fessurazione è stato ottenuto incorporando aria nella struttura, grazie all’impiego di tensioattivi. Lo stesso risultato può essere ottenuto incorporando microsfere di vetro, con diametro intorno a 100 micron. Infine, l’Università olandese di Delft ha in corso un progetto di ricerca su batteri particolari, resistenti all’ambiente alcalino del cemento, che sarebbero in grado di riparare le incrinature formando “in loco” cristalli di calcite. I manufatti di cemento risulterebbero così "auto-cicatrizzanti", consentendo di rinviare nel tempo la loro sostituzione.

ottenere prestazioni più elevate dai progetti e dalle realizzazioni. “Il settore edile è tra i principali consumatori di energia e di materie prime - sottolinea Largo - e uno dei più importanti produttori di emissioni di gas serra. Per raggiungere una maggiore sostenibilità è necessario limitarne l’impatto ambientale e, in particolare, l’utilizzo di materie prime ed energia. Crediamo che sviluppare nuove tecnologie che integrano materiali secondari nel ciclo di produzione del calcestruzzo leggero sia una soluzione completa che può migliorare sia la sostenibilità sia l’efficienza economica del comparto>>.

Il calcestruzzo sostenibile portare questi prodotti sul mercato è prima necessario sviluppare sistemi promettenti su scala pilota>>. In ultima analisi, i risultati di questa iniziativa contribuiranno a ridurre il consumo energetico e l’impatto di CO2 del cemento grazie alla sostituzione dei leganti tradizionali con nuovi prodotti derivanti da materiali secondari. Le nuove tipologie di calcestruzzo sviluppate grazie alla combinazione di questi nuovi aggregati e leganti offrono proprietà d’isolamento termico migliori e consentono ad architetti e costruttori di Hi-Tech Ambiente

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MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

a cura di ASSITA Le batterie del futuro a CO2

che un’alternativa a zero emissioni agli attuali processi dell'industria e dei trasporti basati sui combustibili fossili>>.

Nuovo catalizzatore per il biodiesel

Un team composto da ricercatori statunitensi delle università George Washington e Vaderbilt hanno sperimentato una nuova tecnologia, chiamata Step, che impiega l'energia solare per separare gli atomi di carbonio e di ossigeno della CO2, col fine di creare nanofibre di carbonio a partire dall'anidride carbonica naturalmente presente nell'aria. Il processo è stato adattato per produrre nanotubi di carbonio, da incorporare sia nelle batterie agli ioni di litio, impiegate per automobili e apparecchi elettronici, sia nelle batterie agli ioni di sodio, in fase di sviluppo per diverse applicazioni su larga scala, ad esempio nella rete elettrica. In buona sostanza, gli scienziati stanno dimostrando che è possibile sostituire gli elettrodi di grafite, usati nelle batterie dei veicoli, con il carbonio recuperato dall'atmosfera attraverso un procedimento alimentato da energie rinnovabili. <<Questa metodica non solo produce batterie migliori - spiega Cary Pin, della Vanderbilt University – ma stabilisce anche un valore per la CO2 recuperata dall'aria, valore che è associato al costo della batteria per l'utente finale>>. <<Con la nostra soluzione non solo si trasforma la CO 2 in un prodotto di valore – chiarisce Stuart Licht della Washington University - ma si fornisce an-

È noto da tempo che gli acidi carbon-solfonici possono catalizzare con buone rese le reazioni di transesterificazione con le quali viene prodotto il biodiesel, senza bisogno di pretrattamenti della carica. Tuttavia, finora questi catalizzatori non sono stati sfruttati perché la loro separazione dalla miscela di reazione richiede filtrazione o centrifugazione, che sono passaggi dispendiosi in termini di tempo e di consumo di energia. Ricercatori cinesi dell’Accademia delle Scienze di Menglun (provincia dello Yunan) sono riusciti a superare queste difficoltà fissando il catalizzatore su particelle magnetiche, che consentono una agevole separazione. Le particelle di supporto sono preparate per doppia precipitazione idrotermica a 180 °C e, successivamente, sottoposte a pirolisi a 600 °C e solfonazione a 150 °C. In questo modo si ottiene un catalizzatore ad alta densità di siti acidi (2,79 mmol/g) e fortemente magnetico (14,4 Amq/Kg). Il catalizzatore così ottenuto consente la produzione di biodiesel a partire dall’olio grezzo

di Jatropha, senza bisogno di pretrattamenti e con una resa del 90,5% a 200 °C, dopo 3 cicli. Il catalizzatore è stato poi facilmente recuperato con resa del 96,3%, con una modesta riduzione della sua acidità.

Cattura selettiva dei microinquinanti È ormai riconosciuto che la presenza nelle acque di microinquinanti di origine antropogenica, come residui di principi attivi farmaceutici e loro metaboliti, tracce di ritardanti di fiamma e altri additivi, è estremamente nociva anche in concentrazioni molto basse. I normali processi di depurazione delle acque reflue non riescono a rimuovere questi microinquinanti; è possibile ricorrere all’adsorbimento su carbone attivo, che però è costoso perché occorrono grossi quantitativi di adsorbente (che poi devono essere smaltiti). Un altro metodo è il trattamento con ozono, che in effetti distrugge i microinquinanti per ossidazione, ma può produrre sostanze altrettanto nocive (come la formaldeide). L’università cinese di Dalian propone di risolvere il problema con una combinazione di 2 metodi, cioè adsorbimento+ossidazione. Nella prima fase i microinquinanti vengono adsorbiti facendo passare l’acqua da depurare su polimeri insolubili, ottenuti dalla reazione di ciclodestrine con epicloridrina: le ciclodestrine sono derivati dall’amido che presentano una struttura molecolare “a gabbia”, che intrappola selettivamente i microinquinanti senza farsi intasare dalle grosse molecole organiche, che al contrario sono le principali responsabili dell’esaurimento dei carboni attivi. Nel secondo stadio, i microinquinanti adsorbiti vengono ossidati con permanganato di potassio, che li

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trasforma in anidride carbonica, acqua ed acidi organici. Il metodo è stato collaudato con un campione di acqua contenente 50 ng/litro di tetrabromobisfenolo A (un ritardante di fiamma bromurato) e 50 microgr/L di una miscela costituita da 13 diversi antibiotici. In un tempo di 4 ore la ciclodestrina ha assorbito il 94% del ritardante di fiamma e percentuali dal 12 al 79% di ciascuno degli antibiotici; il successivo trattamento con permanganato distrugge oltre il 91% dei microinquinanti adsorbiti, nel giro di 2 ore. Il metodo è potenzialmente applicabile ad una grande varietà di microinquinanti, poiché il permanganato è in grado di distruggere per ossidazione molti pesticidi, prodotti farmaceutici, prodotti per l’igiene personale e solventi organici.

Stop a incrostazioni e corrosione senza fosforo Gli additivi a base di fosforo, come fosfati e fosfonati, sono spesso utilizzati nei circuiti industriali di raffreddamento come anti-incrostanti e anti-corrosione. Tuttavia, è noto che la presenza di fosforo nelle acque reflue è la principale responsabile dei fenomeni di eutrofizzazione, con le note conseguenze di “fioriture” di alghe e sviluppo incontrollato di piante acquatiche; per questo motivo i limiti di contenuto di fosforo delle acque di scarico sono diventati sempre più restrittivi, e nelle cosiddette “aree sensibili” possono essere


inferiori alle ppm. Una soluzione è offerta dalla società americana U.S. Water Service, che ha recentemente presentato un suo prodotto, chiamato PhosZero, completamente privo di composti di fosforo. Il PhosZero contiene una miscela di acidi carbossilici e polimeri organici che impedisce la formazione delle incrostazioni intervenendo sia sul prodotto di solubilità che sulla struttura cristallina dei depositi, e blocca la corrosione fa-

vorendo la formazione di uno strato protettivo di ossido di ferro. Grazie al PhosZero non è più necessario inserire uno stadio di defosfatazione nell’impianto di trattamento delle acque di scarico, e si evita lo stoccaggio di soluzioni acide corrosive e pericolose. Il nuovo inibitore è attualmente in fase di prova su scala industriale in alcuni impianti negli Stati Uniti; i risultati sono positivi, anche se occorrono ulteriori ricerche per comprendere bene il suo meccanismo di funzionamento. È inoltre previsto lo sviluppo di una famiglia di prodotti PhosZero, in modo da ottenere non solo la protezione delle tubazioni in ferro, ma anche di tubazioni e impianti costituiti da altri metalli.

Depurazione senza consumi energetici I sistemi a membrana per il trattamento delle acque di scarico non sono una novità, ma il siste-

ma MABR (Membrane Aerated Biofilm Reactor) promette di essere “energeticamente neutro”, cioè di ridurre di un fattore 4 il consumo energetico degli impianti di depurazione. L’innovazione consiste nel sostituire il tradizionale sistema di immissione dell’aria mediante microbolle con una membrana a trasferimento di gas, che canalizza l’ossigeno ad un biofilm adeso alla superficie della membrana stessa. Le membrane sono del tipo a fibra cava, e vengono raggruppate in “trecce” simili come struttura ai cavi di acciaio che sostengono i ponti e le funivie. Queste trecce vengono affiancate in cassette, nelle quali l’aria entro dall’alto e viene aspirata dal basso. Il sistema è stato sviluppato dalla GE Power & Water, e viene commercializzato con il marchio “Zeelung”. Attualmente, è in corso un progetto dimostrativo in uno degli impianti del distretto di Chicago, che ha una capacità depurativa di 2.000 mc/giorno; al termine del pro-

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getto, verso giugno 2016, inizierà la commercializzazione del sistema, che potrà trovare applicazioni non solo negli impianti di depurazione dei reflui urbani, ma anche in quelli industriali di tipo aerobico.


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AMBIENTE LE AZIENDE CITATE

Air Clean Srl Tel 02.9311989 Fax 02.93504303 E-mail info@aircleansrl.com

F.I.P.S. Srl Tel 02.8258923 Fax 02.57512095 E-mail info@fips-pumps.it

Neotes Srl Tel 0828.370195 Fax 0828.679811 E-mail info@neotes.it

BioEcoActive Srl Tel 051.916667 Fax 051.0285392 E-mail info@bioecoactive.it

Frost & Sullivan Tel 02.48516133 Fax 02.48027054 E-mail anna.zanchi@frost.com

Novacem Ltd. Tel +44.20.75943580 E-mail stuart.evans@novacem.com

Calera Corp. Tel +1.408.3404600 Fax +1.408.3404650

Gardner Denver – Div. Robuschi Spa Tel 0521.274911 Fax 0521.771242 E-mail cristina.cavazzini@gardnerdenver.com

CARVOC project Tel +34.91.5056873 Fax +34.91.5056873 E-mail carvoc@contactica.es CarbonCure Technologies Inc. Tel +1.902.4424020 E-mail info@carboncure.com CoReVe Tel 02.48012961 Fax 02.48012946 E-mail info@coreve.it DEMOWARE project Tel +34.93.8777373 Fax +34.93.8777374 E-mail info@demoware.eu Dicea-Università Firenze Tel 055.2758811 Fax 055.2758800 E-mail protocollo@dicea.unifi.it DCL Europe GmbH Tel 02.87034466 E-mail mfogato@dcl-inc.com Ecolight Tel 02.33600732 Fax 02.3315870 E-mail ecolight@ecolightitaly.it Ecotec Solution Srl Tel/Fax 0473.562437 E-mail martin.mairhofer@ecotecsolution.com FIBCEM project Tel +45.99372237 Fax +45.99372322 E-mail henrik.petersen@cembrit.com

Orion Srl Tel 348.7613039 E-mail orionsrl1@virgilio.it

Gida Spa Tel 0574.646511 Fax 0574.542530 E-mail gida@gida-spa.it GM Green Methane Srl Tel 041.5674260 Fax 041.479710 E-mail info@gm-greenmethane.it Hysytech Srl Tel 011.3970273 Fax 011.3273394 E-mail hysytech@hysytech.com

Pellenc S.T. Tel 349.6161359 E-mail contact.italy@pellencst.com Ricrea Tel 02.3980081 Fax 02.40708219 E-mail iascone@consorzioricrea.org Sea Risorse Spa Tel 0584.38601 Fax 0584.3860244 E-mail info@searisorse.it

Ideco Srl Tel 0823.459383 Fax 0823.421048 E-mail info@idecodepura.it Legambiente Tel 06.862681 Fax 06.86218474 E-mail legambiente@legambiente.it LEILAC project Tel +61.2.81997400 Fax +61.2.81997444 E-mail press@leilac.org.uk MYCOHUNT project Tel +36.1.7874024 Fax +36.1.7874024 E-mail mycohunt@ateknea.com Merlo Spa Tel 0171.614168 Fax 0171.684101 E-mail costantino.radis@merlo.com

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OLI-PHA project Tel +34.93.5542500 Fax +34.93.5542511 E-mail ebugnicourt@iris.cat

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SUS-CON project Tel 0831.449406 Fax 0831.449120 E-mail alessandro.largo@cetma.it Tomra Sorting Recycling Tel +47.66.799100 Fax +47.66.799111 E-mail info@tomra.com U.S. Water Service Tel +1.866.6637633 Fax +1.763.5530613 E-mail info@uswaterservices.com West Systems Srl Tel 055.461429 Fax 055.6580564 E-mail info@westgroup.eu




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