Hi-Tech Ambiente n.5.2017

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MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVIII GIUGNO 2017

LINEE GUIDA ISPRA

IL PROGETTO HYTIME

Il trattamento ante-discarica

H22 dalla fermentazione di bioresidui

a pagina 24

a pagina 42

MOLTEPLICI LE TECNOLOGIE NECESSARIE

LA DEPURAZIONE DEI REFLUI DI CARTIERA

a pagina 10

SPECIALE

a pag. 29

NOLEGGIO DI IMPIANTI E ACCESSORI

N5



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA

Le preziose microalghe

APPROFONDIMENTI

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Il nuovo decreto sui sottoprodotti Il D.M. 264/2016 stabilisce i requisiti per qualificare i residui di produzione non come rifiuti

Il fenomeno del biogas da discarica

L’acceleratore di biogas 10

Richiede trattamenti spinti, essendo gli inquinanti molto concentrati, e diversificati: meccanici, chimico-fisici e biologici

La bonifica dei punti vendita di carburanti

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Un problema attuale: aggiornamenti normativi, casi interessanti e principali tecnologie di intervento

La geolana mangia petrolio

ENERGIA

Un progetto di microturbina 18

RIFIUTI 21

Tipologia di impianti e loro classificazione, necessarie autorizzazioni e possibili incentivi, idoneità di un sito e potenziale produttivo

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SPECIALE “NOLEGGIO DI IMPIANTI E ACCESSORI”

La fotochimica oggi

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TECNOLOGIE

Silicio puro dalla sua polvere

Le mebrane in grafene 28

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Sviluppato un sistema per riciclare i preziosi scarti della produzione dei wafer

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Indicazioni utili a capire come gestire i rifiuti per consentirne lo smaltimento nel rispetto delle leggi in materia

WTE in crescita

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Efficienza e cinetica aumentate usando innovativi catalizzatori inorganici a base di ossidi di semiconduttori attivati da radiazioni UV

Elevata facilità d’uso e di manutenzione, dimensioni compatte ed omologazione per il trasporto su strade pubbliche senza permessi speciali

Il trattamento ante-discarica

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LABORATORI

Produzione di biogas, upgrading a biometano, trasformazione a bassa temperatura mediante un reattore al plasma a microonde

Il riciclo è semplice

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Una soluzione che, aumentando la capacità digestiva dei batteri, ne potenzia l’azione e ne ottimizza i consumi

Il caseificio sostenibile

H2 e grafene da scarti di cibo

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I processi alla base della decomposizione dei rifiuti, i fattori che influenzano la produzione e l’analisi finale

DEPURAZIONE La depurazione dei reflui di cartiera

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Messo a punto un processo e relativo impianto pilota che sfrutta organismi fotosintetici che producono un’ampia varietà di molecole ricche di energia

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La combinazione con fibre cave inorganiche per un’elevata superficie filtrante e un facile assemblaggio entro i moduli di filtrazione

ECOTIME

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MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente

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panorama PROSPEttIvE POSItIvE

Le Utilities sotto la lente Utili quasi raddoppiati e scenario favorevole solo se coglieranno i vantaggi della trasformazione digitale

Il 2016 ha rappresentato un anno record per le multiutility in Italia, durante il quale gli utili netti dei principali player del settore sono quasi raddoppiati: da 560 milioni di euro nel 2015 a 910 milioni di euro nel 2016. Le politiche di riduzione dei costi, di sfruttamento delle sinergie derivanti dalle acquisizioni e le dismissioni degli asset non strategici finalmente iniziano a dare risultati concreti. Il 2016 non è stato un anno isolato di utili record, ma l’avvio di un percorso virtuoso: i principali analisti finanziari stimano che i livelli di utile non caleranno ma inizieranno a crescere almeno per i prossimi due anni. Dopo una rapida discesa del debito aggregato, il 2016 ha fatto registrare un assestamento della tendenza. Ora la posizione finanziaria netta, ora le aziende hanno

una posizione finanziaria ottimale, che dovrebbe mantenersi su livelli stabili almeno fino al 2018. Sono quindi pronte per le sfide energetiche del futuro, in un contesto potenzialmente favorevole sia a livello di sistema paese (con una nuova Strategia Elettrica Nazionale) sia nel contesto dei cambiamenti che si possono cogliere in termini di trasformazione digitale del settore. Queste le principali indicazioni che emergono dagli studi sulle utilities presentati di recente da Agici e Accenture. Altra evidenza significativa è che continuano gli investimenti nelle rinnovabili: capacità addizionale pianificata è circa 5 GW per le utility italiane e circa 32 GW per le utility europee (investimenti per circa 60 miliardi di euro). <<Il settore delle utility continua

a essere attraversato da un profondo processo di trasformazione - commenta Andrea Gilardoni, Presidente di Agici – ma gli operatori sembrano essere pronti ad affrontare le sfide portate dal contesto di mercato e dall’innovazione tecnologica. Alcune tematiche come la rilevanza degli investimenti nelle rinnovabili e la riconversione/gestione dei grandi impianti fossili e nucleari sono priorità strategiche per le utility ormai da anni e continueranno ancora a esserlo. Mobilità elettrica, Iot, Big Data e cyber security sono stati affrontati solo da

OLI RIGENERATI: ITALIA DA RECORD! In Europa, nell’ambito della raccolta e riciclo di oli lubrificanti usati l’Italia non ha rivali: più del 95% degli oli usati raccolti vengono inviati a rigenerazione per la creazione di nuove basi lubrificanti, così da trasformare un rifiuto pericoloso in una risorsa. Il nostro Paese, a questo proposito, è in assoluta controtendenza rispetto agli altri Stati UE che, invece, privilegiano ancora la strada della combustione per la creazione di energia termica. La Spagna, ad esempio, rigenera il 68% degli oli, la Francia il 60%, la Germania il 50% ed il Regno Unito solo il 14%. La scelta della rigenerazione ha

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qualche anno, ma è stata compresa la loro centralità nella definizione delle linee strategiche>>. <<La nuova Strategia Energetica Nazionale - afferma Pierfederico Pelotti – re-sponsabile Utilities di Accenture – costituisce un’opportunità per il rilancio della competitività del Paese e per la crescita delle Utilities. Bisogna puntare con determinazione sul digitale e facilitare l’adozione di nuove tecnologie per trasformare l’attuale modello energetico, in un sistema più efficiente, sicuro, sostenibile e flessibile. Per cogliere questa opportunità le aziende del settore devono definire una chiara agenda di trasformazione digitale, definendo con urgenza responsabilità e tempi>>.

consentito all'Italia, dal 1984 a oggi, di risparmiare 3 miliardi di euro sulla bilancia petrolifera. Oltre il 25% dell'olio che permette ai motori e alle macchine utensili di funzionare è realizzato impiegando una base rigenerata.


tAvOLO INtERASSOCIAtIvO RECUPERO E RICICLO

Nasce il TAIRR Un tavolo permanente di consultazione e confronto tra le imprese del recupero e riciclo dei rifiuti sui temi di importanza strategica per il settore, per la messa in opera dei principi dell’economia circolare, con l’obiettivo dichiarato di meglio rappresentare e far conoscere ai decisori tecnico-politici e all’opinione pubblica il ruolo strategico che questi soggetti rivestono nel mercato nazionale. Con queste finalità, Assorecuperi, Assorimap, Assosele, Fise-Assoambiente e FISE Unire, hanno sottoscritto il Protocollo d’intesa per la costituzione del “tAvolo Interassociativo Recupero e Riciclo” (tAIRR). L’intesa, aperta all’adesione di altre Associazioni di imprese del settore, si concentrerà da subito sull’efficienza e concorrenza nel mercato del recupero e riciclo, eccessivamente condizionato da fenomeni di monopolio a causa della posizione dominante degli operatori pubblici, favorita dall’indiscriminata as-

similazione dei rifiuti speciali agli urbani, attraverso cui ingenti quantitativi di rifiuti di provenienza commerciale e industriale vengono sottratti al libero mercato per essere gestiti in regime di esclusiva da pubbliche amministrazioni e loro partecipate. Situazione, questa, che impedisce di fatto il corretto, trasparente ed effettivo contenimento dei costi della gestione dei rifiuti, che ricadono immancabilmente su imprese e cittadini. <<Un’efficace gestione dei rifiuti e un’effettiva valorizzazione degli stessi - sostengono i firmatari del Protocollo - passano attraverso il ricorso al mercato. Dopo la raccolta, operazione per la quale il soggetto che la effettua è già remunerato, i rifiuti urbani devono essere messi a disposizione del mercato tramite gare con regole trasparenti e accessibili a tutti gli operatori per essere aggiudicati al soggetto che possa meglio valorizzarli nel rispetto della gerarchia del trattamento rifiuti e ricavare dagli stessi le maggiori risorse possibili, a vantaggio dei cittadini, sotto forma di risparmio sulle tariffe, e della società, sotto forma di risorse produttive>>.

@AMBIENTE ON-LINE@AMBIENTE ON-LINE@

“CambioPulito” per la legalità E’ partita la piattaforma “CambioPulito” (www.cambiopulito. it), la prima di whistleblowing in Italia per la segnalazione riservata e anonima di situazioni di irregolarità e illegalità (dalla vendita “in nero” all’evasione del contributo ambientale per il riciclo degli PFU) lungo un’intera filiera, che raccoglie su tutto il territorio nazionale oltre 50.000 aziende. Si tratta di uno strumento innovativo, per la segnalazione di situazioni illecite, sviluppato in linea con la vigente normativa in materia, a tutela di quella economia sana e onesta rappresentata dalla maggioranza delle aziende del settore. Alla piattaforma, gestita da Legambiente, hanno accesso le aziende che effettuano i servizi per conto dei consorzi Ecopneus,

Ecotyre e Greentire, i soci Airp e Federpneus e gli operatori del mercato del ricambio aderenti a Confartigianato e CNA. Attraverso password di accesso dedicate alle diverse categorie, ciascun operatore ha la possibilità, in forma anonima e sicura, di ef-

fettuare una segnalazione di situazioni di irregolarità e illegalità di cui è stato testimone. Inoltre, il sistema consente di seguire l’iter di ciascuna segnalazione, presa in carico da Legambiente, che come unico gestore le filtra, le classifica e ne valuta l’attendi-

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bilità, con possibilità di richiedere ulteriori informazioni e chiarimenti ed eventualmente arrivare alla segnalazione alle Forze dell’Ordine in casi di particolare evidenza e gravità. Con pratiche illegali è stimata la gestione, su tutto il territorio nazionale, di circa 20/30mila tonnellate di pneumatici immessi illegalmente nel mercato del ricambio, equivalenti al peso di 2/3 milioni di singoli pneumatici per autovettura, che negli ultimi anni è emersa con sempre maggiore evidenza. Un ammanco di contributi ambientali per 12 milioni di euro ogni anno, che si accompagna a un’evasione iva stimata in 80 milioni di euro, a cui vanno aggiunti anche i costi di eventuali interventi per ripulire il territorio dai possibili abbandoni.

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approfondimenti

Il nuovo decreto sui sottoprodotti Nuove disposizioni e alcune perplessità

Il D.M. 264/2016 stabilisce i requisiti per qualificare i residui di produzione non come rifiuti

Carbonato di calcio

Nella G.U. n.38/2017 è stato pubblicato il D.M. 264/2016, che stabilisce i criteri indicativi che si possono utilizzare per dimostrare la sussistenza dei requisiti per qualificare i residui di produzione come sottoprodotti, e non come rifiuti. Questi requisiti erano già previsti dall’art.184-bis del D.Lgs 152/2006 (tU Ambientale); il D.M. 264/2016 costituisce in pratica il “regolamento applicativo”, che è entrato in vigore il 2 marzo di quest’anno.

Rifiuto organico

tecnica - Residuo di produzione: ogni materiale o sostanza che non è deliberatamente prodotto in un processo di produzione e che può essere o meno un rifiuto (sono comunque esclusi dall’applicazione della disciplina i residui derivanti dall’attività di consumo, cioè derivanti dall’utilizzo finale da parte dei consumatori) - Sottoprodotto: un residuo di pro-

duzione che non costituisce rifiuto ai sensi dell’art.184-bis tU Ambientale. Ogni processo di produzione genera di solito uno o più residui, che possono essere classificati come sottoprodotto (e non come rifiuto) solo se viene dimostrato il rispetto delle condizioni dettate dall’art.184-bis tU Ambientale, cioè: - la sostanza o l’oggetto è originato

DEFINIZIONI E AMBITO DI APPLICAZIONE

Al fine di favorire e agevolare l’utilizzo dei sottoprodotti, fornendo a produttori e utilizzatori la possibilità di dimostrare il soddisfacimento delle condizioni previste dall’art.184-bis del tU Ambientale, il D.M. fornisce preliminarmente (art.2) alcune definizioni: - Prodotto: ogni materiale o sostanza che è ottenuta deliberatamente nell’ambito di un processo di produzione o risultato di una scelta

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Vinacce Hi-Tech Ambiente

da un processo di produzione, di cui costituisce parte integrante; il produttore deve però dimostrare che essi non sono stati prodotti volontariamente e come obiettivo primario del ciclo produttivo - la sostanza o l’oggetto saranno sicuramente utilizzati nel corso dello stesso processo di produzione o in un successivo processo di produzione o di utilizzazione da parte del produttore o di terzi - la sostanza o l’oggetto devono poter essere utilizzati direttamente, senza alcun trattamento diverso dalla normale pratica industriale - l’utilizzo della sostanza o oggetto è legale, nel senso che esso soddisfa tutti i requisiti pertinenti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente, e non porterà a impatti complessivi negativi sull’ambiente o sulla salute umana. Il D.M. riporta alcune modalità per dimostrare il rispetto di questi requisiti, ferma restando la possibilità di utilizzare altri metodi, anche

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Il nuovo decreto sui sottoprodotti con riferimento a sostanze e oggetti diversi da quelli indicati nel D.M. Sorgono però alcuni dubbi circa l’ambito di applicazione del D.M. 264/2016: infatti, mentre il c.2 dell’art.184-bis del tU Ambientale (che è la “base giuridica” per l’emanazione del D.M. in oggetto) stabilisce la possibilità di adottare, con lo strumento del decreto ministeriale, criteri quantitativi e qualitativi per poter considerare sottoprodotti (e non rifiuti) “specifiche tipologie di sostanze o oggetti”, il D.M. 264/2016 prevede (all’All.1) che solo le biomasse residuali sono destinate ad impieghi energetici (produzione di biogas o combustione). Non è quindi chiaro se le disposizioni del D.M. si applichino obbligatoriamente solo alle biomasse residuali destinate alla produzione di biogas e alla produzione di energia mediante combustione, o anche ad altre sostanze; è comunque da ritenere che l’osservanza delle prescrizioni del D.M sia in ogni caso opportuna, dato che dal 2/3/17 gli organi di controllo faranno senz’altro riferimento a tali prescrizioni nella loro attività di verifica. In ogni caso, il D.M. 264/2016 non si applica a specifiche tipologie e categorie di residui già disciplinate da disposizioni speciali (ad esempio terre e rocce da scavo, cui si applica la disciplina di cui al D.M. 161/2012). Ulteriori perplessità sorgono dalla definizione di “residuo di produzione”, la quale conferma che il sottoprodotto deve scaturire da un processo produttivo (con conseguente esclusione, quindi, del fresato d’asfaltoe dei materiali derivanti da operazioni di selezione di rifiuti).

Scarti di falegnameria

I REQUISITI DEI SOTTOPRODOTTI E ALCUNI DUBBI INTERPRETATIVI

Scarti inerti

OBBLIGHI DI ISCRIZIONE E DOCUMENTAZIONE

In base all’art.4, c.3, del D.M. 264/2016, il produttore e l’utilizzatore del sottoprodotto “si iscrivono in un apposito elenco pubblico istituito presso le Camere di Commercio territorialmente competenti”, anche al fine di favorire lo scambio e la cessione dei sottoprodotti (art.10, c.1). Sussistono dubbi sulla capacità delle Camere di Commercio di

gestire l’elenco, che d’altra parte (come opportunamente chiarito da una successiva circolare in data 3/3/17) non ha carattere obbligatorio nè “abilitante” a qualificare un residuo come sottoprodotto. Le stesse considerazioni sono applicabili all’Elenco regionale dei sottoprodotti, stabilito dalla Regione Emilia-Romagna con Delib. 2260/2016, in aperto contrasto con il disposto dell’art.184-bis (che si riferisce in astratto potenzialmente a tutte le sostanze/ scarti di produzione). E’ invece chiara la previsione dell’ultimo comma dell’art.4, che prevede l’obbligo di conservazione della documentazione per 3 anni, e di metterla a disposizione dell’autorità di controllo.

Trucioli di legno Hi-Tech Ambiente

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La certezza dell’utilizzo. Ai sensi dell’art.5, il requisito della certezza dell’utilizzo deve essere dimostrato dal momento della produzione del residuo fino al momento del suo impiego. A tal fine il produttore e il detentore (ma chi è quest’ultimo, dato che la sua figura non è specificata nelle definizioni di cui all’art.2?) devono assicurare l’organizzazione e la continuità di un “sistema di gestione” (anche in questo caso non si capisce bene cosa intenda la norma per “sistema di gestione”, data l’assenza di definizioni o rinvii ad altre fonti normative). A parte l’accertamento, caso per caso, di specifiche circostanze, la certezza dell’utilizzo viene dimostrata analizzando le modalità organizzative del ciclo di produzione, le caratteristiche delle attività da cui originano i residui e il processo di destinazione. In particolare, la certezza del riutilizzo presuppone che l’impianto o l’attività in cui utilizzare i residui sia già individuato, o individuabile, al momento della loro produzione; ciò può essere dimostrato mediante l’esistenza di rapporti o impegni contrattuali tra il produttore del residuo, eventuali intermediari e l’utilizzatore. In mancanza della prova di questi rapporti, il requisito della certezza dell’utilizzo e l’intenzione di non disfarsi del residuo possono essere dimostrati tramite una scheda tecnica conforme all’All.2 al D.M.


Lana di pecora

Anche sotto questo profilo si segnala (oltre all’estrema genericità dell’All.2), che la scheda tecnica deve essere numerata, vidimata e gestita con le modalità dei registri IvA dalle Camere di Commercio territorialmente competenti, con ciò contraddicendo lo spirito del D.M., che tra le sue finalità include la “libertà di gestire i sottoprodotti”. Utilizzo diretto. Secondo l’art.6, non costituiscono normale pratica industriale i processi e le operazioni necessari per rendere le caratteristiche del residuo idonee per soddisfare i requisiti riguardanti i prodotti e la protezione della salute e dell’ambiente, salvi i casi in cui tali operazioni sono effettuate nel medesimo ciclo produttivo che genera il residuo. Rientrano invece nella normale pratica industriale le attività e le operazioni costituenti parte integrante del ciclo di produzione del residuo, anche se progettate e realizzate allo specifico fine di rendere le caratteristiche ambientali o sanitarie del residuo idonee a soddisfare i requisiti cui devono rispondere i prodotti per la cui produzione si intende utilizzare il residuo stesso. Anche in questo caso, non possiamo evitare di notare quanto la formulazione della norma sia ancora poco chiara; anche se dovrebbe chiarire, una volta per tutte, che le operazioni di triturazione o compattazione di sfridi e residui di lavorazione rientrano nella normale pratica industriale. Requisiti di impiego e di qualità ambientale. L’art.7 del D.M. ri-

Raspi d’uva

manda alla scheda tecnica descritta nel già citato All.2, la quale riporta anche le informazioni necessarie a consentire la verifica delle caratteristiche del residuo e la sua conformità rispetto al processo di destinazione e all’impiego previsto. Lo stesso All.2 riporta anche il modello di dichiarazione di conformità del sottoprodotto, da utilizzare in caso di sua cessione. DEPOSITO E GESTIONE DEI RESIDUI

L’art.8 del D.M. stabilisce che, fi-

no al suo utilizzo, il sottoprodotto deve essere depositato e movimentato evitando spandimenti accidentali e la contaminazione delle matrici ambientali, oltre a prevenire e minimizzare la formazione di emissioni diffuse e odori. Nelle fasi di deposito e trasporto devono poi essere osservate alcune precauzioni, quali: - garantire la separazione dei sottoprodotti da rifiuti, prodotti, oggetti o stanze con diverse caratteristiche chimico-fisiche o destinati a diversi utilizzi

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- adozione di misure dirette a prevenire l’insorgenza di problematiche ambientali o sanitarie, compresi rischi di combustione o esplosione - adozione di cautele dirette ad evitare l’alterazione delle proprietà chimico-fisiche - adozione di tempistiche e modalità di gestione congrue rispetto ai requisiti previsti nella scheda tecnica, che consente di effettuare il deposito e il trasporto di sottoprodotti con le stesse caratteristiche ma derivanti da impianti o attività diverse.


DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

La depurazione dei reflui di cartiera Molteplici le tecnologie necessarie

Richiede trattamenti spinti, essendo gli inquinanti molto concentrati, e diversificati: meccanici, chimico-fisici e biologici L’acqua svolge un ruolo di primaria importanza nel processo di produzione della carta, e rappresenta un’importante voce di costo. Per questo motivo l’industria cartaria da tempo rivolge grande attenzione alla razionalizzazione dei consumi idrici: la quantità di acqua utilizzata dalle cartiere italiane si è pressochè dimezzata rispetto a 10 anni fa. Questo risultato è stato ottenuto grazie al riciclo delle acque di processo; tuttavia, utilizzando una quantità ridotta di acqua si ha inevitabilmente una maggior concentrazione di sostanze inquinanti nei reflui in uscita, che richiederanno quindi trattamenti più spinti. Esistono diverse tecnologie di trattamento delle acque reflue di cartiera, in dipendenza dalle materie prime lavorate e dai prodotti finiti ottenuti; in linea generale, le fasi del processo depurativo prevedono: - eliminazione dei materiali grossolani galleggianti e dei materiali in sospensione, mediante processi meccanici - eliminazione degli inquinanti sospesi, mediante processi chimicofisici - abbattimento delle sostanze biodegradabili in soluzione, mediante processi biologici - disinfezione finale, per eliminare i microorganismi. TRATTAMENTI MECCANICI

Vengono eseguiti mediante le stes-

Reattore UASB

se apparecchiature utilizzate per il trattamento delle normali acque reflue fognarie. Per l’eliminazione dei solidi galleggianti si usano sistemi di grigliatura, e le cui griglie devono essere molto fini, per trattenere i pezzetti di plastica che sono spesso associati alla carta da riciclo. Dopo la grigliatura si incontrano di solito una o più vasche di equalizzazione, che hanno la funzione di rendere il più possibile costante nel tempo la concentrazione degli inquinanti. Il trattamento meccanico è completato dalla sedimentazione dei materiali pesanti più grossolani, come ad esempio i punti metallici e le spirali di rilegatura, e le sabbie de-

rivanti da sporcizia raccolta lungo la catena del recupero. La separazione dei solidi più fini, come quelli derivanti dalle cariche minerali inerti, richiede l’aggiunta di reattivi chimici e viene pertanto più correttamente inquadrata tra i trattamenti chimico-fisici. TRATTAMENTI CHIMICO-FISICI

Il normale processo di sedimentazione non riesce a rimuovere le sostanze colloidali, perché queste hanno di solito una carica elettrica negativa, e quindi non riescono ad aggregarsi tra loro perché le cariche dello stesso segno si respingono. Per superare questo inconveniente si aggiungono sostanze coa-

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gulanti (di solito sali di alluminio o di ferro), che producono ioni con cariche positive; in questo modo le cariche negative vengono neutralizzate e si introducono forze di attrazione elettrostatica tra le diverse particelle. Tuttavia, l’aggiunta di additivi coagulanti è spesso insufficiente ad ottenere una sedimentazione rapida e completa; a questo scopo si aggiungono specifici agenti flocculanti, costituiti da polielettroliti. Queste sostanze sono costituite da lunghe molecole organiche, aventi gruppi con cariche negative o positive che facilitano l’aggregazione dei fiocchi piccoli (formati dai coagulanti) in fiocchi di maggiori dimensioni, che sedimentano rapidamente. Un trattamento chimico-fisico molto importante quando la materia prima è costituita da carta di recupero è la disinchiostrazione, che viene realizzata soprattutto mediante flottazione. La flottazione consiste nel portare in superficie le particelle che (come i residui di inchiostri e di adesivi) hanno una densità intorno a 1, cioè simile a quella dell’acqua. Queste particelle non sedimentano, neppure usando agenti coagulanti o flocculanti; si ricorre allora all’insufflazione di aria sotto pressione, che forma microbolle, le quali risalendo verso la superficie si attaccano alle particelle sospese e le trasportano sul pelo del liquido, dove


formano una schiuma che viene progressivamente rimossa. Il processo di flottazione viene facilitato da speciali additivi, come i tensioattivi (che staccano le particelle di inchiostro dal substrato fibroso), gli acidi grassi (che facilitano l’adesione delle particelle alle microbolle d’aria) e i cosiddetti “displectors” (grosse molecole idrofobiche, usate per raccogliere le particelle del toner delle fotocopiatrici). Vengono spesso aggiunti anche agenti flocculanti che favoriscono l’adesione tra le particelle, creando agglomerati dove più facilmente di incastrano le bollicine d’aria. Infine, viene considerata tra i trattamenti chimico-fisici anche la filtrazione, che è particolarmente importante come stadio di riutilizzo delle acque di scarico, a valle della chiarificazione finale. Si usano prevalentemente filtri a letti di sabbia, costituiti da vari strati con densità differenti: gli strati più grossolani, a densità maggiore, vengono posti in basso, mentre quelli più fini e leggeri si trovano nella parte alta. Questa disposizione fa sì che dopo il controlavaggio venga nuovamente ricostituita la struttura del filtro,

innescata la rotazione del disco e la partenza del ciclo di controlavaggio, che utilizza una parte dell’acqua già filtrata, convogliandola in un sistema a tubi oscillanti. Infine, è stato proposto (brevetto Enea-Lucart) un trattamento di filtrazione su membrane ceramiche e successivamente di osmosi inversa, effettuata su una parte dell’acqua in uscita dal trattamento di flottazione. All’uscita del trattamento di osmosi inversa si ottiene acqua ultrapura, utilizzabile in tutti i processi della cartiera e, particolarmente, nella preparazione dei reattivi chimici di processo. PROCESSI BIOLOGICI

Biodischi

semplicemente grazie alla gravità. Oltre ai filtri a sabbia, nell’industria cartaria si utilizzano frequentemente i filtri a dischi, costituiti da una serie di dischi filtranti, montati su un tubo centrale dal quale entra l’acqua da filtrare. I dischi sono immersi per circa il 60% del loro diametro; i solidi sono trattenuti

sulla superficie interna dei pannelli filtranti, costituiti da maglie metalliche fini (luce di passaggio da 10 a 40 micron). Durante il funzionamento i solidi si accumulano sui pannelli, provocando un aumento del livello di acqua interno del disco; quando il livello arriva a contattare un apposito sensore, viene

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Mentre i processi meccanici e chimico-fisici agiscono sulle particelle in sospensione, i processi biologici abbattono gli inquinanti organici disciolti (più gli eventuali inquinanti in sospensione che sono sfuggiti ai passaggi precedenti, e la maggior parte dei batteri). I processi biologici richiedono l’intervento di microorganismi, che trasformaContinua a pag. 12


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La depurazione dei reflui di cartiera no le sostanze inquinanti in prodotti innocui o persino utili (come nel caso dei processi anaerobici, che producono metano); si distinguono in processi aerobici (che richiedono immissione di ossigeno) e processi anaerobici (che si svolgono in assenza di ossigeno). Il classico processo aerobico è l’ossidazione a fanghi attivi, che si compie in vasche rettangolari di cemento, dove il refluo viene mantenuto in agitazione mentre si insuffla aria mediante turbine sommerse o diffusori a setto poroso. Le vasche contengono la biomassa depuratrice, che si nutre delle sostanze organiche inquinanti, trasformandole in CO2 e acqua. L’industria cartaria utilizza spesso l’ossidazione su biodischi, costituiti da pannelli circolari in polietilene alta densità (HDPE), suddivisi in spicchi e montati su un asse orizzontale. Di solito si impiegano da 3 fino a 9 biodischi, collegati in serie; i biodischi sono immersi per il 40% nell’acqua da depurare e ruotano lentamente (da 1 a 5 giri/min). Sulla superficie dei dischi si forma un biofilm aerobico, che utilizza come nutrienti le sostanze organiche presenti nel refluo. Durante il periodo di immersione la biomassa assorbe le sostanze organiche da demolire, mentre durante il periodo di emersione la biomassa fa rifornimento di ossigeno dall’atmosfera, in modo da mantenere le condizioni di aerobiosi. La massa batterica in eccesso si distacca automaticamente e passa nel

Flottatore

liquido, per cui è necessaria una camera di sedimentazione a valle. Rispetto alle vasche a fanghi attivi i biodischi presentano diversi vantaggi: ridotto consumo di spazio a terra, bassi consumi energetici (circa il 40% in meno), gestione automatica e poco impegnativa del processo, bassi livelli di rumore, nessun problema di odori o aerosol (i biodischi sono coperti, per evitare lo sviluppo di alghe), minimo impatto visivo e ambientale. Il trattamento anaerobico, invece, comporta di solito costi operativi più bassi rispetto ai trattamenti aerobici, in quanto produce meno fanghi e fornisce energia termica, attraverso la combustione del metano che viene prodotto. Il tipo di processo più diffuso è quello UARBD (Rotori biologici a dischi) di Allegri Ecologia

SB (Upflow Anaerobic Sludge Blanket). Il trattamento anaerobico non è ancora molto diffuso a causa della maggiore complessità dell’impianto, dell’esigenza di un carico biologico elevato (BOD >2000 mg/l) e della difficoltà di smaltimento dei fanghi. Nelle cartiere che utilizzano processi aerobici, può essere presente uno stadio anaerobico per il trattamento dei fanghi in uscita dai sedimentatori. IL TRATTAMENTO DEI FANGHI Sistema di grigliatura

I fanghi derivanti dalla depurazioHi-Tech Ambiente

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ne delle acque reflue di cartiera hanno di solito un contenuto in sostanza organica di circa il 20% del peso secco; la componente inorganica è costituita da silice, allumina e silicati di calcio e magnesio. Il trattamento di questi fanghi può avvenire per digestione anaerobica, disidratazione su nastropresse o essiccamento termico. Oltre allo smaltimento in discarica, i fanghi da cartiera possono essere utilizzati per la produzione di laterizi, nei cementifici, per opere di ripristino ambientale, per la copertura delle discariche, nei rilevati e sottofondi stradali.



semplificati per la caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica dei punti vendita carburanti. L’attualità del problema è testimoniata dai numerosi casi studio e dalle tecnologie proposte. SOIL VAPOUR EXTRACTION

La bonifica dei punti vendita di carburanti Siti contaminati

Un problema attuale: aggiornamenti normativi, casi interessanti e principali tecnologie di intervento In Italia esistono attualmente circa 24.000 distributori di carburanti; un numero decisamente eccessivo rispetto a quello degli altri Paesi europei, tanto che il volume erogato mediamente da un impianto italiano è circa metà rispetto a quello medio europeo. Negli ultimi 10 anni sono stati chiusi oltre 5.00 distributori, ed è prevedibile che questa tendenza continuerà nei prossimi anni, aumentando notevolmente se le auto elettriche cominceranno a

diffondersi. È frequente riscontrare che la chiusura di un punto vendita carburanti lascia dietro di sé una pesante eredità di inquinamento del terreno; questo avviene soprattutto con gli impianti più vecchi, che non erano dotati di vasche impermeabili di contenimento intorno ai serbatoi, e che per molti anni hanno immagazzinato e distribuito benzina additivata con piombo tetraetile. Il problema è da tempo all’attenzione del legislatore, tanto che fin

dal 2013 è stato istituito un “Fondo per la razionalizzazione della rete di distribuzione dei carburanti”, che concede contributi a chi volesse chiudere il suo impianto, anche a copertura dei costi ambientali di ripristino dei luoghi. Il fondo è finanziato dai proprietari e dai gestori degli impianti che restano in attività, mediante quote proporzionali ai quantitativi di carburanti erogati. Inoltre, nel 2015 è stato emanato un apposito regolamento che prevede criteri

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Questa tipologia di intervento è stata applicata ad un vecchio punto vendita situato in area urbanizzata, con falda acquifera a 2,5 m. La prima bonifica è stata realizzata aspirando aria da pozzi e trincee appositamente scavate; la portata era intorno a 15 mc/ora per i pozzi e 50 mc/ora per le trincee. La corrente d’aria ha rimosso gli idrocarburi dal terreno; nell’aria estratta in meno di 3 mesi la concentrazione totale di sostanze volatili è scesa da 80 ppm a poco più di zero. Questo trattamento è però scarsamente efficace per gli idrocarburi pesanti (con più di 12 atomi di carbonio), la cui concentrazione viene ridotta solo del 39%; inoltre, gli idrocarburi presenti nella zona di oscillazione della falda vengono rimossi solo parzialmente. AIR SPARGING + SOIL VAPOUR EXTRACTION

La combinazione del trattamento di aspirazione con quello dei “air sparging”, cioè pompaggio di aria nel terreno, si è dimostrata fin troppo efficace in un particolare caso: nelle cantine degli edifici confinanti alla stazione di servizio si avvertiva un forte odore di idrocarburi, tanto che il trattamento ha dovuto essere interrotto. Un’analisi più approfondita ha rivelato che le trincee erano troppo superficiali e insufficienti a raccogliere i vapori prodotti dal trattamento di air sparging, per cui parte di questi vapori riuscivano a raggiungere gli interrati degli edifici attigui attraverso fratture e vie preferenziali di migrazione. INIEZIONE DI OSSIGENO PURO

La bioremediation mediante lento rilascio di ossigeno nella falda acquifera si è rivelata una tecnologia efficace, adeguata anche a situazioni in cui si desideri mantenere l’operatività del punto vendita. In un particolare sito era presente


LA DISTILLAZIONE SOTTOVUOTO Un trattamento “ex situ” innovativo e decisamente radicale è proposto dalla società tedesca Econ Industries, con il nome di VacuDry. Il terreno scavato durante la bonifica viene messo in un contenitore a tenuta stagna, nel quale viene fatto il vuoto mentre lo si riscalda gradualmente fino a 400 °C. Nel con-

tenitore è predisposto un sistema di miscelazione, in modo che tutto il terreno venga esposto uniformemente al calore. In queste condizioni gli idrocarburi e gli atri inquinanti vaporizzano e vengono estratti, condensandoli successivamente in forma liquida mediante raffreddamento. Nel contenitore sotto vuoto rimane il terreno decontaminato, che può essere riutilizzato per il ripristino del sito stesso.

VacuDry mobile

una contaminazione della falda acquifera da idrocarburi totali (fino a 25 mg/l), MtBE e ETBE (fino a 0,5 mg/l). Sono stati predisposti 20 punti di iniezione dell’ossigeno (erogato da un pacco bombole, con quadro di regolazione); in ogni punto è stato immesso un flusso di 0,1-0,2 ml/min, tale da ottenere la saturazione dell’acqua di falda. L’uniformità di distribuzione dell’ossigeno è assicurata da una membrana ceramica, che suddivide il gas in microbolle. Il trattamento si è rivelato altamente efficace: dopo due mesi è stato raggiunto il rispetto dei limiti di accettabilità per gli idrocarburi totali in tutti i punti di monitoraggio. Tuttavia, in alcuni punti è stato osservato un contenuto di benzene residuo (da 2 a 30 microgrammi/litro), per cui è stato necessario prolungare il trattamento; anche la degradazione di MtBE ed ETBE ha richiesto tempi più lunghi. Nel complesso i livelli di accettabilità sono stati raggiunti dopo 1 anno, anche se per sicurezza il trattamento è proseguito per 36 mesi complessivi. Le analisi microbiologiche e l’andamento del potenziale redox hanno poi confermato che l’iniezione di ossigeno ha consentito la creazione di una microflora autoctona, in grado di svolgere un’efficace azione di bioremediation. Il costo dell’intervento è stato di circa 20.000 euro per l’installazione del sistema, più da 3.000 a 4.000 euro per ogni mese di attività. LA STRATEGIA MISO

Per le attività in esercizio è spesso preferibile eseguire interventi Continua a pag. 16 Hi-Tech Ambiente

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Il gruppo Ideco, sulla base di esperienze acquisite in 40 anni di attività e supportato dai propri laboratori di ricerca, sviluppo e controllo, realizza apparecchiature di varie tipologie, modalità e capacità depurative. Inoltre, elabora soluzioni personalizzate e specifiche, senza esimersi dal collaborare con i studi tecnici e di engineering incaricati alla progettazione impiantistica e definizione della scelta più adeguata al bisogno del cliente. Una costruzione oramai standard ed ampiamente collaudata è rappresentata dai flottatori ad aria disciolta Ideflot a funzionamento verticale. L'apparecchiatura si differenzia notevolmente dai flottatori tradizionalmente presenti in commercio. generalmente in versione orizzontale. Il sistema di immissione dell'aria, posto sul fondo del flottatore, si sviluppa in una colonna d'acqua (ovvero verticalmente) e l'apparecchiatura assume la forma di un tronco-cono rovesciato, equiparato e confondibile ad un classico sedimentatore. L'aria viene immessa da un compressore, si miscela con l'acqua da trattare immediatamente prima dell'immissione nel flottatore for-

IDEFLOT DI IDECO

Il flottatore verticale

mando una vera e propria nebbia d'acqua. Le microparticelle d'aria diffusa sollevano i grassi, i fiocchi di fango, gli oli, etc., e li trasportano in superficie dove si addensano e vengono scolmati e trasferiti su uno scivolo, che li conduce a dei contenitori dotati di sacchi di drenaggio oppure a dei sistemi di

compattazione. A tutto questo si aggiunge anche un’elettropompa che provvede a riciclare le acque interne del flottatore per migliorare ulteriormente la resa, la quale raggiunge facilmente il 80-90% a seconda del pretrattamento adottato. La costruzione è sempre e solo in

L’intervento è stato realizzato mediante: - completamento della barriera idraulica, con installazione di diaframma verticale impermeabile lungo tutto il perimetro del sito, approfondito fino all’interno della tavola d’acqua - stesa, sotto il piano di campagna, di copertura impermeabile

(capping) atta a impedire la percolazione in falda e la diffusione di vapori dal sottosuolo - installazione di dispositivo automatico di aspirazione, atto a prevenire la diffusione di aria interstiziale verso l’esterno attraverso eventuali imperfezioni dell’impermeabilizzazione; il sistema è dotato di trappola di con-

acciaio inox aisi 304 (a richiesta aisi 316). La serie standard propone modelli e portate da 1.000 l/h e fino a 10.000 l/h, ma sono realizzabili su richiesta anche portate più elevate. Tra i vantaggi indiscutibili del flottatore Idefloc, l'ingombro ridotto ed il consumo d'aria, produzione interamente made in Italy con realizzazione certificata di conformità CE.

Continua da pag. 15

La bonifica dei punti vendita carburanti di Messa in Sicurezza Operativa (MISO), rinviando la bonifica alla fine dell’attività. Gli interventi MISO devono garantire un adeguato livello di sicurezza per le persone e per l’ambiente, e realizzare il contenimento della contaminazione. Un caso concreto di MISO è stato eseguito in un punto vendita carburanti tuttora attivo e situato all’interno dell’ex SIN di Massa Carrara. Nel periodo dal 1997 al 2015 erano state realizzate varie indagini ed avviato un intervento di messa in sicurezza di emergenza delle acque di falda, comprendente l’attivazione di uno sbarramento idraulico. All’interno del sito sono tuttora presenti elevate concentrazioni di metalli pesanti e di idrocarburi, per cui l’obiettivo dell’intervento è stato quello di impedire la migrazione dei contaminanti verso l’esterno del sito.

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densa e trattamento a carboni attivi. Il costo di realizzazione è stato di circa 400.000 euro, mentre il costo di gestione (monitoraggi, campionamenti, manutenzioni) è di circa 40.000 euro/anno. I monitoraggi hanno dimostrato il pieno conseguimento degli obiettivi di salvaguardia dell’uomo e dell’ambiente.


ZOOM

Market

Un processo di concia innovativo Progetto LIGHTAN

Nuovi sistemi di recupero risorse e di trattamento reflui per una sostenibilità integrata di filiera L’obiettivo del progetto LIGHTAN è innovare la filiera del comparto conciario toscano dai punti di vista della qualità del prodotto, della competitività sul mercato e della mitigazione degli impatti ambientali attraverso un approccio integrato innovativo tra tutti gli attori che ne gestiscono le singole fasi. In particolare il progetto intende sviluppare, nella logica individuata nel documento di Smart Specialisation, un processo ecosostenibile, operando attraverso soluzioni integrate per la gestione delle acque reflue, efficienza dei processi produttivi, minor consumo dei prodotti chimici. L’impatto potenziale del progetto comprende in primo luogo importanti benefici per l’industria toscana del cuoio, attraverso la riduzione del consumo di reagenti e la riduzione dei costi per la gestione dei rifiuti e degli effluenti liquidi, ribadendo il ruolo di leadership a livello internazionale nell’innovazione del settore per il distretto. PROCESSO DI CONCIA E COMPOSIZIONE DEI REFLUI

Grazie alla collaborazione con le due concerie partner (Conceria Tempesti e Artigiano del Cuoio) e al PO.TE.CO (Polo Tecnologico Conciario) è stato possibile

stilare una ricetta di concia standardizzata rappresentativa dei processi di lavorazione della pelle e del cuoio utilizzati al giorno d’oggi. Da questa ricetta sono stati individuati quindi, gli scoli relativi alle differenti fasi di lavorazione. Su questi reflui è stata fatta una caratterizzazione ad ampio spettro sui parametri chimici inquinanti: COD (tal quale e filtrato), TOC, TN, azoto ammoniacale, azoto nitroso e nitrico, solfati, solfuri, cloruri, salinità, metalli, cromo, solidi sospe-

si totali, pH e alcalinità, così da individuare gli scarichi più impattanti sui quali è necessario fare ulteriori test. FRAZIONAMENTO DEI REFLUI E INIBIZIONE ALLA NITRIFICAZIONE

Una volta terminata la caratterizzazione dei reflui, questi sono stati sottoposti a test batch, respirometrici e titrimetrici con l’obiettivo di valutare il loro impatto sulla biomassa dell’impianto

CONSORZIO CUOIO-DEPUR Spa Via Arginale Ovest 81, San Romano (PI) Tel 0571.44871 - Fax 0571.450538 E-mail info@cuoiodepur.it

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Market di depurazione responsabile della degradazione dei composti inquinanti. Il COD è stato suddiviso nelle due componenti principali: biodegradabile e non biodegradabile. L’attività dei batteri nitrificanti è stata valutata confrontando il rateo di nitrificazione di questi microrganismi per un substrato facilmente assimilabile con un rateo relativo alla degradazione di substrati complessi quali quelli di conceria. Infine, è stata misurata attraverso test batch la capacità adsorbente del fango su certi composti come ad esempio i tannini. RECUPERO DI MATERIE PRIME E SVILUPPO DI NUOVI REAGENTI

Le nuove metodologie di pickel oggetto della sperimentazione hanno portato degli ottimi risultati analitici in termini di riduzione di cloruri e solfati nel refluo di fine processo. Attraverso l’esecuzione di prove in scala di laboratorio e pilota è stato sviluppato, attraverso l’utilizzo di nuovi reagenti, un processo di concia innovativo. Dalle operazioni di recupero del bagno di concia al vegetale sono stati ottenuti risultati interessanti: riduzione di circa il 70% del carico organico non biodegradabile da inviare in fase di depurazione; concentrazione della sostanza tannica conciante all’interno della fase solida di recupero; possibilità di riutilizzo nel ciclo conciario del materiale recuperato. TRATTAMENTO DEI REFLUI CON BIOMASSE FUNGINE

I risultati della sperimentazione hanno confermato le ipotesi proposte (degradazione dei composti tannici superiore al 30%) e sono stati raggiunti gli obiettivi fissati: il fungo (Aspergillus Tubingensis) è riuscito a rimanere attivo all’interno del sistema con buone capacità di rimozione, nonostante l’elevata concentrazione di tannini. Nei primi giorni di avvio del sistema il principale fenomeno che ha avuto luogo è stato l’adsorbimento dei tannini nel micelio, mentre in una seconda fase è stata la degradazione ad essere il fenomeno prevalente.


La geolana mangia petrolio Oleoassorbitore e disinquinante Da un progetto tra l’Università di Cagliari ed Edilana è nato un geotessile intelligente in lana di pecora, le cui microcelle sono capaci di catturare e trattenere gli idrocarburi petrolchimici. Si chiama Geolana ed è un oleoassorbitore disinquinante specifico sia per le emergenze occasionali (sversamenti visibili di idrocarburi petrolchimici in mare, laghi, fiumi, corsi d’acqua, acque aperte, canali e zone paludose), sia per la gestione sostenibile di porti aree industriali, cantieri nautici. Risulta ideale, infatti, sia per un’azione disinquinante mediante degradazione naturale di molteplici inquinanti, a tutela degli ecosistemi aria-acqua-terra, sia come forma di prevenzione mangiapetrolio nei microsversamenti invisibili di idrocarburi e composti azotati causati dalle attività operative acquatiche di pesca, trasporto, turismo, bunkeraggio, reflui di agricoltura e industria. A seconda dell’impiego viene proposto sia come booms oleoassorbitore di idrocarburi petrolchimici che come banner mangiapetrolio. I booms sono geotessili in feltro crudo 100% pura lana vergine italiana (di Sardegna) e sugherone, ossia il primo taglio della corteccia del sughero. Si usano ponendoli in acqua a delimitare l’area contaminata, dove agiscono come assorbente selettivo dei soli idrocarburi. È possibile collegare più booms circoscrivendo lo sversamento e facilitando le operazioni di recupero dei prodotti saturi grazie alla presenza, all’interno dei booms, di una cima nautica e della specifica ferramenta con moschettone che consente l’unione delle barriere tra loro. Le barriere formano un resistente modulo contenitivo, ideale anche in ambiente asciutto o umido.

Vantaggi e benefini possono essere così riassunti: alta capacità e velocità di assorbimento degli inquinanti petroliferi; costituito al 100% da risorse rinnovabili tracciabili; il colore è 100% naturale bianco panna (il medesimo della lana della pecora), a differenza dei comuni oleoassorbitori rivestiti e colorati; elevatissima as-

sorbenza-resilienza che consente di effettuare la spremitura-pressatura, permettendo il recupero degli idrocarburi petroliferi (nei luoghi dotati di pressa e di sistema di raccolta di oli usati) mantenendo integra la fibra assorbente. in modo artificiale o sbiancati con trattamenti ad elevato impatto ambientale.

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I banner mangiapetrolio sono stati ideati per la prevenzione giornaliera dei microsversamenti quotidiani, non visibili, in ambiente acquatico. I banner, infatti, svolgono la duplice funzione di catturare-assorbire e biodegradare (senza alcun additivo aggiunto) gli idrocarburi petrolchimici e altri inquinanti come i composti azotati, svolgendo un'azione costante nel tempo. Sono specifici per la gestione sostenibile di porti, porticcioli turistici con annesse zone di balneazione, aree costiere, zone di pesca e di acquacoltura, mitilicoltura, cantieri nautici e di rimessaggio, siti di lavorazione e trattamento di acque di reflui di lavorazione in acque contaminate da oli e derivati petroliferi nelle condense residuali da aria compressa, ecc. Si tratta di geotessili in feltro crudo 100% pura lana vergine italiana, che si applicano alle banchine fisse di porti e cantieri navali o alle cime galleggianti delle corsie di lancio degli stabilimenti balneari. Svolgono un’azione costante di biodegradazione in modo naturale (senza additivi), prevenendo i i danni causati dai microsversamenti quotidiani di idrocarburi petrolchimici. Inoltre, limita il fenomeno di iridescenza ed anche la qualità dell’aria trae giovamento, considerato che una parte di questi inquinanti volatilizzano. Si tratta di prodotti la cui ingegneria tessile è studiata per essere habitat ideale di microorganismi utili che in questo contesto per loro ottimale, trovano il cibo di cui si nutrono, ossia gli idrocarburi derivati dal petrolio ed i composti azotati. Con 1 kg di geolana si possono assorbire da 7 a 14 kg di idrocarburi ed il prodotto può anche essere riutilizzato.


SAVI

La griglia a barre GVL Nuovi standard ad un costo ridotto per un evergreen nella grigliatura grossolana delle acque reflue Le griglie meccaniche sub-verticali a barre GVB–GVF di Savi sono da anni un classico nel campo della grigliatura grossolana e media, sia in impianti di depurazione civili che industriali. Da oltre 25 anni prodotte in più di mille esemplari e vendute in tutto il mondo, queste particolari griglie sono riconosciute dal mercato come estremamente affidabili e robuste. Oggi, la famiglia si allarga con la nuova GVL, sviluppata con l’obiettivo di ottenere un prodotto altamente industrializzato con nuovi standard che combinano la nota affidabilità a bassi costi di acquisto, di gestione e di manutenzione. Questo nuovo modello è disponibile in diverse taglie, con spazia-

ture da 10 a 40 mm. Le catene ad alta resistenza e la sezione filtrante con barre sostituibili singolarmente rendono la griglia GVL una macchina efficiente, competitiva nel costo e al contempo “user-friendly”. A corredo di tutte le griglie Savi sono da oggi disponibili anche diversi optional e quadri elettrici di nuova generazione, facili da gestire, sicuri ed a basso costo. Rivolgersi a Savi significa contare su un team di esperti in grado di elaborare soluzioni progettuali grazie alla competenza sviluppata in oltre 30 anni di attività a costi competitivi.

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Market

Market

La pulizia delle vasche non è più un problema Si può intervenire senza fermata Compatta e leggera può essere può operare in spazi poco accessibili. Il sistema DRY BOX®Oltre, sviluppato in container scarrabile, permette la sedimentazione e la riduzione del volume in loco,(si riducono i costi di smaltimento) l’impianto Filtrodinamico a bordo, consente dopo circa 12h la movimentazione a smaltimento. L’abbinamento TARUA e DRY BOX® permette di lavorare a vasca piena, questa è la vera rivoluzione, perché il personale non entra nella vasca, si evitano le problematiche di sicurezza dettate dall’operare in spazi confinati, non è necessario spostare grandi volumi di acque spesso contaminate e difficili da gestire, la vasca non è in fermata, l’azienda può continuare con le proprie attività. Il cantiere è semplice, compatto e facile da gestire. Sulla base della ns. esperienza, per un calcolo orientativo, finalizzato ad un primo confronto di fattibilità, partiamo dalla stima del volume di fango contenuto sul fondo della vasca per calcolare il volume di fango a smaltimento. Ad esempio se nella vasca ci sono 100 mc. di fango, per estrarlo si movimenterà un volume complessivo di 300-500 mc. e si smaltiranno circa 33 mc. di fango palabile. Lavorando con l’autospurgo il volume a smaltimento sarebbe 300-500mc. contro i 33 mc. dopo la disidratazione. Ogni caso è unico e richiede un percorso di verifiche personalizzato, dal sopralluogo alle prove di filtrabilità, dalla valutazione di tutti i dati si otterrà il piano gestionale e d economico finale.

Dalle Vasche di lagunaggio di aziende chimiche, alle vasche di decantazione primaria o di prima pioggia, alle vasche di omogeneizzazione o ossidazione degli impianti di depurazione, l’esigenza è di eliminare i sedimenti depositati sul fondo sia per mantenere l’efficienza sia per verifiche di impermeabilizzazione. Le vasche hanno normalmente dimensioni importanti, con profondità di almeno 5m e il più delle volte presentano difficoltà di viabi-

lità, i volumi di acqua contenuti sono nella maggior parte dei casi di qualche centinaio di metri cubi. Le aziende sono particolarmente attente ai seguenti aspetti: sicurezza, costi, incidenza dell’intervento sui propri cicli gestionali. La soluzione IEP racchiude tutta l’esperienza maturata e tutta la tecnologia progettata negli ultimi 30 anni. La pompa TARUA sostituisce l’auto-spurgo, permette in un solo passaggio di aspirare, controllare il volume in alimentazione al sistema di riduzione del volume, dosare e miscelare in linea l’additivo per implementare la filtrabilità, con continuità, semplicità e pulizia.

IDEE&PRODOTTI Srl P.zza Alessandro Volta, 6 20873 Cavenago Brianza (MB) Tel 02.95335134 E-mail info@ideeeprodotti.it

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RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

H2 e grafene da scarti di cibo Il progetto PLASCARB

Produzione di biogas, upgrading a biometano, trasformazione a bassa temperatura mediante un reattore al plasma a microonde PlasCarb è un progetto finanziato con fondi UE che ha lo scopo di trasformare il biogas (costituito principalmente da metano e CO2) prodotto dalla digestione anaerobica di scarti alimentari, in carbonio grafitico e idrogeno rinnovabile. Il biogas viene prima trasformato in biometano ad elevata purezza e successivamente immesso in un innovativo reattore al plasma a microonde, operante a bassa temperatura, nel quale il biometano viene trasformato in particelle di carbonio grafitico e idrogeno. Il progetto è stato condotto da un consorzio formato da 5 PMI, un istituto di ricerca e un centro di ricerca tecnologica; esso è stato suddiviso in dieci settori, ognuno dei quali rappresenta una fase cruciale del processo. I quattro punti principali sono: - perfezionare la separazione del biogas mediante la tecnologia del plasma a microonde - testare e verificare la qualità delle particelle di carbonio grafitico per quanto riguarda conduttività, resistenza e purezza chimica - verificare la sostenibilità della tecnologia - analizzare il potenziale commerciale della nuova tecnologia.

RIFIUTI ALIMENTARI: DA PROBLEMI A RISORSA

Si stima che ogni anno in Europa si producono 89 milioni di tonnellate di scarti alimentari (pari a 179 kg/persona) e si prevede che il quantitativo salirà a 126 milioni di tonnellate entro il 2020. Questi rifiuti producono 170 milioni di tonnellate di CO2, pari al 3% delle emissioni europee complessive di gas serra; per questo motivo i rifiu-

ti alimentari sono considerati materiale non ecosostenibile, anche a causa delle difficoltà connesse al loro trattamento (elevata umidità, putrescibilità, presenza di insetti e altri animali). Il progetto PlasCarb si propone di impiegare questi rifiuti come materia prima per la produzione di prodotti ad elevato valore aggiunto: carbonio grafitico e idrogeno rinnovabile, che oggi vengono in gran parte ottenuti da fonti fossili e

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quindi importati da regioni politicamente instabili o in concorrenza economica con le nazioni europee. Attualmente, la digestione anaerobica dei rifiuti biologici viene impiegata per produrre biogas (utilizzato per la produzione di biocarburanti, elettricità e calore) e digestato, che viene commercializzato come ammendante e fertilizzante. Il progetto PlasCarb vuole fare un ulteriore passo in avanti, impiegando il biogas per produrre carbonio grafitico con proprietà simili a quello attualmente in commercio, che però viene ottenuto da fonti fossili. Grazie alla sua conduttività, capacità lubrificanti e resistenza, questo materiale rappresenta un componente essenziale per lo sviluppo futuro di apparecchiature elettroniche, inchiostri conduttori, membrane e rivestimenti; inoltre, dal carbonio grafitico si può ottenere il grafene, un “supermateriale” che è considerato la chiave per lo sviluppo futuro di prodotti di alta tecnologia. In base alle analisi di mercato, si stima che in futuro la domanda di grafene crescerà annualmente del Continua a pag. 23


Ecotec Solution ha di recente organizzato un roadshow con dimostrazioni sul campo di due macchine Pronar, di cui è distributore in esclusiva per l’Italia. Si tratta del vaglio mobile su rimorchio MPB 18.47 e del trituratore mobile su rimorchio MRW 2.85. Il vaglio mobile a tamburo Pronar MPB 18.47 è un mezzo per effettuare la separazione dimensionale di materiali diversi, quali terra e terreni contaminati, compost e torba, rifiuti solidi urbani, macerie da costruzione e scavi, sfridi legnosi, cippato e corteccia, inerti (sabbia, ghiaia, ghiaino) e materiale spiaggiato. Ha un solido design, un semplice principio di funzionamento e compatte dimensioni di trasporto, tant’è che è progettato come rimorchio dotato di omologazione europea e può viaggiare senza permessi speciali. Il tamburo intercambiabile può essere fabbricato a secondo delle esigenze del cliente per dimensioni del foro, per spessore e per forma del foro rotonda o quadrata. Altri vantaggi di questo particolare vagli sono: regolazione velocità nastro per l'adattamento della velocità al materiale da trattare; facile accesso al motore e al gruppo di comando, alla tramoggia di carico e all'impianto idraulico grazie alle porte laterali che si aprono; il motore e l'impianto idraulico sono montati su un telaio estraibile che garantisce un facile accesso per la manutenzione; il giunto sferico permette lo spostamento del vaglio con veicoli di costruzione; lampade a 3 punti per l'ambito di lavoro. Ulteriori caratteristiche che ne connotano l’alta qualità sono: spazzola per pulizia tamburo a comando idraulico, nastro di tra-

Il riciclo è semplice Vagli e trituratori Pronar

Elevata facilità d’uso e di manutenzione, dimensioni compatte ed omologazione per il trasporto su strade pubbliche senza permessi speciali

moggia rinforzato, facile sostituzione del tamburo, alta stabilità della macchina su terreni irrego-

lari grazie alle staffe di sostegno idrauliche, motore affidabile (Caterpillar, Deutz oppure elettrico),

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sistema di lubrificazione centralizzato, panello di controllo con funzioni di facile utilizzo, telecomando per funzioni principali della macchina. Da segnalare anche il sistema cleanfix per la pulizia automatica del radiatore del motore e del radiatore idraulico, così da diminuire il dispendio di manutenzione, ed il fatto che è stata studiata una facile regolazione della velocità del nastro per addattare la velocità del materiale da trattare. Opzionali, invece, sono: motore elettrico, nastro laterale, separatore ad aria per la rimozione di carta e parti leggere di plastica, rulli magnetici per la rimozione di parti ferrose e metalliche montati sul nastro di scarico posteriore o laterale, griglia sassi azionata con telecomando per proteggere il tamburo e la tramoggia, serbatoio acqua con dispenser per sapone liquido. Il trituratore mobile su rimorchio Pronar MRW 2.85, invece, è un trituratore a rotazione lenta progettato per la prefrantumazione di tutti i tipi di materiali: inerti, rifiuti urbani, pallets, scarti di potatura, radici, materiali ingombranti. Un importante vantaggio della macchina è la sua mobilità, ossia la possibilità di essere facilmente trasportata in qualsiasi luogo. La macchina è dotata di un motore diesel e di una camera a due alberi che lavorano in modalità sincrona. Inoltre, in base al tipo di materiale da triturare, è possibile scegliere il programma di lavoro. Tutte le parti di taglio sono comunque in acciaio, particolarmente resistenti all'usura, a garanzia di lunga durata.Da evidenziare che sia i vagli a tamburo che i trituratori sono disponibili in versione gommata oppure su cingoli.


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H2 e grafene da scarti di cibo 5,8%, con un incremento particolare nella produzione di batterie al litio: si prevede che entro il 2020 questo settore da solo causerà un incremento della domanda di grafene del 25%, pari a quasi 30.000 ton/anno. Attualmente, la Cina è il principale produttore di grafene, coprendo da sola il 68% della produzione mondiale; e l’UE importa dalla Cina il 57% del proprio fabbisogno. Se oltre a ciò si considera che il grafene naturale è difficilmente sostituibile, le industrie che lo impiegano dovranno poter contare in futuro su fonti stabili e sicure (oltre che ecologicamente sostenibili ed econo-

miche) di grafene e materiali similari. In questo senso, il progetto PlasCarb rappresenta un’occasione per rendere l’industria europea maggiormente indipendente e competitiva, oltre a creare nuove opportunità per le PMI e migliorare la gestione efficiente dei rifiuti biodegradabili, consentendo di produrre grafene in modo sostenibile e creando un perfetto esempio di “economia circolare”: secondo uno studio condotto da Fusions, con la quantità di rifiuti alimentari prodotti in Europa ogni anno, la tecnologia sviluppata con il progetto PlasCarb potrebbe produrre fino a 41.000 ton di grafene, pari al 53% delle importazioni annuali dell’intera UE.

Unità a membrana in scala di laboratorio (50 Nlph)

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Il trattamento ante-discarica

to sufficiente per consentire lo smaltimento in discarica. Dalla lettura coordinata degli art. 1 e 2 del D.Lgs 36/2003, emerge che il trattamento dei rifiuti ha lo scopo di ridurre il volume e la pericolosità, facilitare il trasporto ed il recupero, e consentire lo smaltimento in condizioni di sicurezza. TRATTAMENTO SECONDO NORME SPECIFICHE

Linee guida Ispra

Indicazioni utili a capire come gestire i rifiuti per consentirne lo smaltimento nel rispetto delle leggi in materia

Nel luglio 2016 Ispra ha pubblicato una Linea Guida finalizzata a fornire criteri tecnici di supporto all’implementazione dell’art.7, c.1, let.b del D.Lgs 36/2003 relativo al pretrattamento dei rifiuti da allocare in discarica. Queste Linee Guida distinguono i rifiuti in base alle specifiche caratteristiche nelle seguenti tipologie principali: rifiuti che possono richiedere un trattamento di disidratazione (in funzione del loro stato fisico), rifiuti biodegradabili e putrescibili, rifiuti a matrice organi-

ca, rifiuti a base di amianto o contenenti amianto. Per i rifiuti non direttamente riconducibili a una delle suddette tipologie, la valutazione andrà effettuata caso per caso. L’emanazione delle Linee Guida si è resa necessaria in seguito all’entrata in vigore della legge 221/2015 (pubblicata in G.U. n.13/2016), il cui art.48 modifica l’art.7 del D.Lgs 36/2003, stabilendo il principio generale secondo il quale “i rifiuti possono essere collocati in discarica

solo dopo trattamento”. Si fa eccezione per i rifiuti inerti (il cui trattamento non sia tecnicamente fattibile), e per i rifiuti il cui trattamento non contribuisce a ridurne la quantità o i rischi per la salute umana e l’ambiente, e non risulta indispensabile ai fini del rispetto dei limiti fissati dalla normativa vigente. Il termine “trattamento” include tutte le diverse tipologie, dalla cernita al trattamento biologico; si pone quindi la questione di quale tipo di trattamento possa essere considera-

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Per alcuni tipi di rifiuti il D.Lgs 36/2003 e le normative di settore vietano lo smaltimento in discarica; non è pertanto necessario individuare criteri di trattamento. Altri rifiuti hanno modalità di trattamento già previste da norme specifiche; in particolare: veicoli fuori uso, raee, rifiuti di imballaggio. I veicoli fuori uso devono essere obbligatoriamente sottoposti alle operazioni di messa in sicurezza, allo scopo di evitare danni per l’ambiente. Inoltre, la Direttiva 2000/53/CE impone specifici obiettivi di reimpiego, recupero e riciclaggio; a partire dal 1/1/2015 per tutti i veicoli fuori uso la percentuale di reimpiego e recupero dovrà essere pari ad almeno il 95% del peso medio per veicolo e per anno, e la percentuale di reimpiego e riciclaggio dovrà essere almeno pari all’85% del peso medio per veicolo e per anno. Risulta pertanto evidente che i veicoli fuori uso non possono andare in discarica, neppure dopo trattamento. Per quanto riguarda invece la gestione dei raee, essa deve essere diretta al loro riutilizzo, e solo ove il riutilizzo non sia possibile i raee possono essere avviati al recupero. Ogni anno, inoltre, devono essere raggiunti determinati obiettivi di raccolta; ai sensi dell’art.17 del D.Lgs 49/2014, c.3, è vietato lo smaltimento dei raee raccolti che non sono ancora stati sottoposti a trattamento adeguato. Pertanto, i raee tal quali non possono essere smaltiti in discarica. Lo smaltimento può essere ammesso solo dopo la rimozione dei componenti pericolosi e una volta accertata l’impossibilità di recupero. Riguardo, infine, ai rifiuti di imballaggio, l’art. 226, c.1, del D.Lgs 152/2006 vieta lo smaltimento in discarica di imballaggi e contenitori recuperati, ad eccezione degli scarti derivanti dalle operazioni di selezione, riciclo e recupero dei rifiuti di imballaggio; questi rifiuti devono Continua a pag. 26


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H2 e grafene da scarti di cibo IL FORNO A PLASMA

La parte più innovativa del progetto PlasCarb è stata lo sviluppo del forno a plasma, che impiega una tecnologia basata sulle microonde. Il cracking del metano in forno a plasma è stato finora impiegato per produrre carbonio cristallino (diamante), in forma di film sottilissimo, utilizzato per conferire caratteristiche di barriera all’ossigeno agli imballaggi in plastica. L’apparecchiatura sviluppata nel corso di PlasCarb punta invece ad ottenere carbonio nella forma meno pregiata, cioè la grafite, e da questa ricavare il grafene, che è strutturalmente molto simile. Durante la prima fase del progetto, è stato condotto uno studio di durata annuale sulle variabili stagionali, la composizione e la qualità del biogas originato dalla digestione anaerobica. S uccessivamente, la tecnologia GasPlasma è stata ottimizzata per poter essere applicata a un’ampia gamma di biogas di varia composizione, ad esempio modificando la

conformazione degli ugelli da cui viene immesso il plasma. Sono stati quindi prodotti numerosi materiali ad alta concentrazione di carbonio, e sono tuttora in corso analisi per valutare le loro potenziali applicazioni in diversi settori industriali. Si spera che la tecnologia GasPlasma consentirà agli impianti che effettuano la digestione anaero-

bica di incrementare il valore dei gas prodotti: infatti, mentre attualmente il ritorno economico di questi impianti dipende dal prezzo di mercato di gas naturale e/o elettricità, la possibilità di trasformare i gas prodotti dalla digestione anaerobica in idrogeno rinnovabile e materiali con elevata percentuale di carbonio porterà a un significativo

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incremento della resa economica. I POSSIBILI MERCATI

Nel quadro del progetto, è stata svolta un’analisi di mercato circa le potenziali applicazioni per il materiale carbonioso ottenuto (denominato Renewable PlasCarbon). Successivamente, con questo materiale sono stati realizzati su scala pilota diversi prodotti, poi caratterizzati nelle loro proprietà strutturali: si tratta di inchiostri conduttivi, gomme, strutture in lattice stampate in 3D, supercondensatori, materiali fotoluminescenti, catalizzatori. Sono state inoltre studiate le potenzialità di impiego nel campo delle fuel cells. Uno dei più recenti risultati di PlasCarb è uno studio scientifico sul valore e utilità di Renewable PlasCarbon, e i partners del progetto stanno ora lavorando a una fase post-progettuale chiamata “PlasCarb Viability Assessment”, un portale telematico che include informazioni commerciali e casi studio condotti in Germania, Ungheria e Norvegia. È in corso la ricerca di partners per portare la tecnologia alla fase commerciale.


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Il trattamento ante-discarica essere invece avviati a trattamenti di riciclo o recupero, a meno che non si tratti di imballaggi con un contenuto di impurezze tali da impedirne il riciclaggio/recupero. A maggior ragione, non possono andare in discarica i rifiuti di imballaggi che hanno contenuto sostanze pericolose. In linea con tale impostazione, ferma restando la possibilità di altre forme di gestione (recupero energetico, incenerimento), potrebbero essere ammesse in discarica soltanto quelle partite di imballaggi aventi qualità tali da non consentirne il ritiro. In questo caso, dovrebbe essere opportunamente valutata la necessità di effettuare un pretrattamento. I RIFIUTI URBANI

In generale, tutte le frazioni rifiuti urbani oggetto di raccolta differenziata devono essere prioritariamente destinate al riciclaggio o al recupero; solo gli scarti derivanti dal loro trattamento possono essere ammessi in discarica. Il trattamento dei rifiuti urbani indifferenziati e dei rifiuti da spazzamento deve essere diretto a ridurne il volume o la natura pericolosa, allo scopo di facilitarne il trasporto, agevolarne il recupero o favorirne lo smaltimento in condizioni di sicurezza; in particolare, occorre ridurre il contenuto della sostanza organica attraverso processi di biostabilizzazione (mineralizzazione delle componenti organiche mediante processi di tipo aerobico) o attraverso i processi di idrolisi, metanogenesi e acidogenesi (come nel caso di trattamento anaerobico). Per quanto riguarda i diversi tipi di trattamento, la normativa evidenzia che: - la trito-vagliatura da sola non è sufficiente, ma deve essere affiancata da un’adeguata selezione delle diverse frazioni dei rifiuti e dalla stabilizzazione della frazione organica - i requisiti minimi per il conferimento in discarica possono essere ottenuti mediante bioessiccazione e digestione anaerobica previa selezione, trattamento meccanico biologico e l’incenerimento con recupero di calore e/o energia - la sola raccolta differenziata spinta non è di per sé sufficiente a escludere la necessità di pretrattamento dei rifiuti indifferenziati residuali; si può ritenere che non sia necessario

pretrattamento quando il contenuto percentuale di materiale organico putrescibile nel rifiuto urbano indifferenziato da destinare allo smaltimento non sia superiore al 15% (incluso il quantitativo presente nel sottovaglio oltre i 20 mm). Per i rifiuti da spazzamento stradale, invece, la valutazione della necessità di ricorrere a pretrattamento potrebbe essere limitata alla sola effettuazione di analisi merceologiche

finalizzate alla determinazione del contenuto percentuale di materiale organico putrescibile, che dovrebbe essere anche in questo caso minimo e comunque non superiore al 15% (incluso il quantitativo presente nel sottovaglio oltre i 20 mm). RIFIUTI STABILI E NON REATTIVI

Rientrano in questa categoria i “ri-

fiuti stabilizzati/solidificati” e i “rifiuti vetrificati e rifiuti di vetrificazione”, e sono ammissibili nelle discariche per rifiuti non pericolosi se: sottoposti a test di cessione secondo le metodiche di cui alla norma UNI 10802, presentano un eluato conforme alle concentrazioni fissate in tabella 5° del DM 27/9/2010; hanno una concentrazione in carbonio organico totale (TOC) non superiore al 5%; hanno un pH non inferiore a 6 e una concentrazione di sostanza secca non inferiore al 25%. Tali rifiuti non devono essere comunque smaltiti in aree destinate ai rifiuti non pericolosi biodegradabili. RIFIUTI DI AMIANTO E CONTENENTI AMIANTO

Nell’ambito del D.M. 29/1/2007 sono state emanate delle Linee Guida circa le tipologie di trattamento a cui sottoporre questi tipi di rifiuto; il trattamento può essere finalizzato alla riduzione del rilascio di fibre ovvero alla completa trasformazione della struttura cristallochimica dell’amianto. I materiali da costruzione contenenti amianto (cioè i materiali edili contenenti amianto legato in matrici cementizie o resinoidi) possono essere smaltiti in discarica, nel rispetto dei requisiti e delle prescrizioni stabilite dal suddetto D.M. RIFIUTI DA VALUTARE CASO PER CASO

Esiste un’ampia gamma di rifiuti (ad esempio i rifiuti da trattamenti di minerali, filtri di argilla e carbone Hi-Tech Ambiente

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attivo esauriti, residui di inchiostri e vernici, ceneri, scorie e polveri da trattamento dei fumi e gas di combustione, rifiuti da trattamenti delle acque, scorie di fusione, scarti di ceramica, mattoni e mattonelle, metalli vari) per i quali l’Autorità competente, in sede di rilascio di autorizzazione, dovrà valutare caso per caso la necessità e il tipo di trattamento necessario per prevenire l’inquinamento ambientale e i rischi per la salute umana. Al fine di stabilire il tipo di pretrattamento più adatto è necessario conoscere i processi produttivi da cui i rifiuti originano e se questi sono generati regolarmente da tale processo. Nel caso di rifiuti non regolarmente generati (cioè quelli che non fanno parte di un flusso di rifiuti ben caratterizzato) è necessario determinare le caratteristiche di ciascun lotto.

zione per uso industriale. Questi rifiuti possono risultare ancora putrescibili/fermentescibili e la necessità di ricorrere a trattamenti di biostabilizzazione dovrà essere decisa tramite la valutazione del suddetto parametro. Ciò vale anche per altri rifiuti di matrice organica non rapidamente biodegradabile (come fibre tessili, cuoio, residui di filtrazione, cere, grassi e simili) per i quali si considera come limite la concentrazione di TOC non superiore al 5%.

I DIVERSI PRETRATTAMENTI

Tra i possibili pretrattamenti vi sono: riduzione volumetrica, disidratazione, riduzione del contenuto o immobilizzazione delle sostanze pericolose, riduzione del contenuto di sostanze biodegradabili/organiche. La riduzione volumetrica ha lo scopo di prolungare la vita utile della discarica e si applica per rifiuti particolarmente ingombranti. Per quanto riguarda la disidratazione, ai fini dello smaltimento in discarica, è sempre necessario procedere alla disidratazione dei rifiuti prodotti allo stato liquido o con un contenuto di sostanza secca inferiore al 25%. Nel caso di rifiuti biodegradabili, la sola disidratazione non è sufficiente: se dopo il trattamento il rifiuto presenta un valore di IRDP (Indice di Respirazione Dinamico Potenziale) superiore a 1.000, il rifiuto dovrà essere sottoposto ad un trattamento che consenta di ridurne le caratteristiche di biodegradabilità o che ne alteri le caratteristiche chimico-fisiche. Parimenti, la sola disidratazione non è sufficiente per i rifiuti liquidi non biodegradabili a matrice organica aventi un contenuto di TOC superiore al 5%; per i rifiuti liquidi inorganici, infine, la necessità di trattamenti ulteriori dovrà essere valutata caso per caso. Lo stesso parametro IRDP si applica ai rifiuti prodotti da impianti di trattamento di rifiuti e acque reflue, nonché dalla potabilizzazione delle acque e della loro preparaHi-Tech Ambiente

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WTE in crescita Frost & Sullivan

L’economia circolare creerà opportunità di crescita per l’estrazione di energia dai rifiuti difficili da riciclare Il mercato europeo della valorizzazione energetica dei rifiuti (WTE, Waste-to-Energy) sta assistendo ad una crescita costante. Un’economia circolare, gli obiettivi per le energie rinnovabili fissati dall’Unione Europea per il 2020, le normative specifiche dei diversi paesi e gli incentivi per aumentare l'efficienza energetica favoriscono questa tendenza verso gli impianti di valorizzazione dei rifiuti. Di conseguenza, la gestione dei rifiuti, la modernizzazione degli impianti WTE, la ricerca e lo sviluppo in nuove tecnologie di valorizzazione energetica e i partenariati pubblicoprivato (PPP) stanno attirando l'attenzione. “European Waste to Energy Plant Market, Forecast to 2020”, la nuova analisi di Frost & Sullivan, offre un dettagliato approfondimento sul mercato degli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti in Scandinavia, Benelux, Germania, Francia, Regno Unito e regione alpina. Lo studio analizza fattori trainanti, ostacoli e prospettive regionali. Valuta i rifiuti solidi urbani dal punto di vista della valorizzazione energetica e le tecnologie di incenerimento più diffuse, come forni a griglia, a letto fluido e gassificazione. <<Gli impianti di valorizzazione energetica dei rifiuti sono un fattore chiave per il riciclaggio di qualità afferma Akshaya Gomatam Ramachandran, analista di F&S - e spianeranno la strada a un’economia circolare che porterà maggiori opportunità di impiego, specialmente nell’ambito di professioni semiqualificate ed entry-level. Per cogliere le nuove opportunità, le principali municipalità e le grandi aziende dovrebbero sviluppare nuovi Hi-Tech Ambiente

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modelli circolari per la propria catena di approvvigionamento, puntare a materiali difficili da riciclare, tra le diverse tipologie di rifiuti, per raggiungere l’obiettivo di azzerare i rifiuti (“zero waste”) e seguire l’approccio dell’efficienza ecologica per generare un flusso di materiale ciclico, cradle-to-cradle>>. Gli inceneritori a griglia sono destinati a dominare il mercato in termini di entrate e numero di impianti installati. Ciò è dovuto all’elevata maturità, solidità, flessibilità e convenienza di questa tecnologia. Altri sviluppi nell’ambito della valorizzazione energetica dei rifiuti sono: - aumento della domanda con il passaggio di diversi paesi dal carbone e dal nucleare verso le energie rinnovabili - recupero efficiente dei rifiuti e produzione di energia elettrica, che ridurranno al minimo l’impatto ambientale dei moderni impianti di valorizzazione energetica e offriranno un notevole risparmio di CO2 In Scandinavia, si prevede che il numero di impianti WTE aumenterà gradualmente fino al 2020, poiché il consumo di energia dipende in gran parte dalle energie rinnovabili. Si prevede che il segmento dell’incenerimento sarà redditizio grazie alle attività di modernizzazione o ristrutturazione dei vecchi impianti di valorizzazione energetica, che sono tenuti a rispettare gli attuali standard ambientali. La Polonia è attualmente considerata uno dei mercati più attraenti in Europa per le tecnologie di termovalorizzazione. Circa cinque nuovi progetti con una capacità di oltre 1 milione di tonnellate all’anno sono in fase di preparazione e faranno probabilmente ingresso nel mercato. Le aziende private potrebbero costruire profili di proprietà con partner all’interno e all’esterno dell’Europa, poiché gli impianti di valorizzazione dei rifiuti stanno diventando investimenti redditizi. <<Per migliorare la qualità dei servizi di valorizzazione energetica esistenti e sfruttarne le capacità aggiuntive - osserva Ramachandran sono necessari notevoli investimenti. Le aziende innovative e le piccole e medie imprese dovrebbero guardare ai partenariati pubblicoprivato come un modo per ottenere un forte sostegno finanziario. Il PPP porterà a investimenti diretti stranieri e produrrà impianti di termovalorizzazione di prossima generazione, che probabilmente porteranno entrate significative.”


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Gasmet ha contribuito in maniera determinante allo sviluppo ed al consolidamento della tecnica di misura FTIR (Fourier Transform Infra Red) applicata all’analisi contemporanea di più gas in una matrice complessa. Oggi rappresentata in Italia da Ital Control Meters l’intera gamma degli analizzatori Gasmet fornisce un importante contributo sia al controllo delle emissioni gassose dagli impianti che anche alla ricerca per lo sviluppo di nuove tecniche di abbattimento volte a migliorare la qualità dell’aria. Un analizzatore FTIR è uno spettrometro nel campo infrarosso in grado di riconoscere e quantificare contemporaneamente la presenza di un numero elevatissimo di gas nell’ambiente sottoposto all’analisi. Gasmet ha sviluppato questa tecnologia per renderla facilmente fruibile in diversi ambiti: dal laboratorio di ricerca, al tecnico che deve andare in

campo ad effettuare le misure all’installazione permanente negli impianti industriali. In particolare da segnalare è il portatile della serie DX, disponibile anche a noleggio sia per analisi ambientali (DX4040) che per gas caldi, umidi e aggressivi nell’industria (DX4000). In una piccola valigetta (circa 13 kg) c’è un analizzatore che in pochi secondi analizzerà accuratamente 50 gas diversi. L’impiego è semplice e consente sia la visualizzazione in tempo reale che la memorizzazione dello spettro di assorbimento del gas in esame per una successiva analisi o l’archiviazione dei risultati. La qualità ed affidabilità è garantita dalla certificazione QAL1 secondo EN15267-3 che consente l’impiego dello FTIR portatile DX4000 per il controllo delle emissioni nell’ambito della normativa comunitaria EN14181.

www.italcontrol.it

KOMPLET zioni che renda più fluida la gestione della logistica e la movimentazione delle macchine a noleggio sia a breve che a lungo termine. Tutti gli aderenti a NolOk sono uniti dall’obiettivo di proporre un qualificato e sinergico servizio di noleggio, con 35 soci e oltre 80 punti in Italia e circa 700 macchine disponibili, tra terne ed escavatori. Da segnalare Komtrax, il sistema di gestione delle flotte e di monitoraggio delle machine basato sulla tecnologia GPS, che offre gli strumenti e i dati necessari a dare un vero valore aggiunto all’attività del cliente.

www.komatsu.eu/it

Komplet produce, vende e noleggia macchine frantumatrici e di vagliatura ed impianti modulari di trattamento e riciclaggio dei rifiuti. Si tratta di sistemi avanzati di alta affidabilità, versatili e di facile utilizzo che, ottimizzati per il trasporto, facilitano e migliorano la qualità del lavoro. Grazie alle proprie peculiarità, queste macchine consentono di soddisfare le esigenze di mercato di ogni tipo. La gamma offerta è costituita da: impianti mobili di frantumazione, dai frantumatori a mascelle ai tri-

turatori a doppio albero, fino ai mulini a martelli; impianti mobili di vagliatura, ossia vagli vibranti e vagli sgrossatori, vagli a tamburo e vagli rotanti; nastri trasportatori; impianti di riciclaggio; impianti di lavaggio ruote. Ad esempio, l’impianto per il lavaggio delle parti inferiori dei mezzi d’opera non cingolati è particolarmente adatto nelle discariche, ma anche nelle cave, negli impianti di betonaggio e nei cantieri edili. Un rapido passaggio nel washing system lava perfettamente le ruote del mezzo consentendo allo stesso di reimmetersi sulla strada senza problemi di inquinamento, incidenti, denunce. Il BT 2400, per esempio, dispone di 2 pompe d’acqua e 10 ugelli, opera ad una pressione di 3 bar con un flusso d’acqua di 3.600 l/min, ed è in grado di lavare dai 15 ai 25 veicoli/ora.

www.komplet.it


SPECIALE NOLEGGIO DI IMPIANTI E ACCESSORI MULTIRENT Multirent nasce nel 2007 con lo scopo di curare il mercato dei veicoli commerciali ed industriali a noleggio sia a breve che a lungo termine nel settore dell'igiene urbana e non solo, su tutto il territorio nazionale. Rivolge i suoi servizi principalmente ad Enti pubblici ed Aziende municipalizzate. Grazie all’assistenza diretta a domicilio effettuata dalle proprie officine mobili, ad una rete capillare di officine autorizzate, al magazzino ricambi e veicoli sempre in pronta consegna, Multirent è in grado di offrire: veicoli in pronta consegna già allestiti per avviamenti di cantieri e servizi in tempi brevissimi; contenuti fermi

PROTECNO macchina grazie a veicoli sostitutivi a noleggio a breve termine; veicoli a noleggio ad integrazione di esigenze stagionali o temporanee; noleggio a lungo termine per poter fruire di veicoli senza dover prevedere budget elevati per l'acquisto; dilazione di pagamento nel tempo senza segnalazione in “centrale dei rischi”. Il parco mezzi è costituito da veicoli fino a 35 quintali, sia a trazione endotermica che elettrica (solo per alcuni modelli e versioni), allestiti con: vasche per rsu (con volumetrie tra 2 e 5 mc) con dispositivo volta bidoni a pettine; mini compattatori (costipatori con rapporto di compattazione 2:1) da 5 mc con pala carrello, dispositivo volta bidoni, rastrelliera larga e attacchi DIN; pianali fissi e ribaltabili (anche con sovrasponde); furgoni, da 2 a 6 posti, con vano di carico posteriore e portelloni di carico scorrevoli; spazzatrici stradali aspiranti e meccanico-aspiranti (omologate come macchine Patente B).

www.multirent.it

SCAI La macchina o l’impianto giusto al momento giusto, questo è il servizio di noleggio che propone Scai. Una flotta completa, versatile e, soprattutto, personalizzabile. Grazie alla 70ennale esperienza nel settore, l’azienda è in grado di “costruire” insieme al cliente la struttura esatta per un lavoro preciso e volto soprattutto al risparmio! Come è facile intuire, quello proposto non è semplicemente un noleggio, ma una vera consulenza, un lavorare insieme al cliente: dalla scelta del macchinario giusto, alla consegna in cantiere, alle molteplici formule di contratto di noleggio, a breve o lungo termine. Nei noleggi a lungo termine si possono tenere sotto controllo i costi di produzione da mobile; mentre nei noleggi a breve termine si può usufruire dei programmi flessibili, contenendo i costi. Per il settore del riciclaggio,

interessante è la gamma Compact di Kiverco, concepita per l’azienda di trattamento rifiuti medio-piccola o per quelle che lavorano in diversi siti. Questa soluzione consente di scegliere e allestire determinati componenti modulari in poche ore, offrendo i vantaggi di un impianto statico ad alte prestazioni. L’allestimento include un vaglio a tamburo di alimentazione, una stazione di prelievo e un separatore di densità. Tutti i componenti sono dotati di varie opzioni e configurazioni, e offrono al cliente la massima flessibilità per ottenere una soluzione personalizzata per le loro necessità di gestione dei rifiuti. Tutti i modelli della gamma Compact sono combinabili per formare un impianto di riciclaggio completo.

www.scaispa.com

Protecno è attrezzata per fornire impianti di trattamento a noleggio a quei clienti che hanno necessità temporanee o che vogliono verificare operativamente sul campo l’efficacia degli impianti proposti prima di definirne l’acquisto. Gli impianti normalmente noleggiati sono quelli di dissalazione e di demineralizzazione (principalmente per centrali termiche o per consorzi idrici), laddove l’imprevista e temporanea messa fuori servizio di impianti esistenti, o l’inquinamento occasionale di falde idriche, rendono convenien-

te il noleggio rispetto l’acquisto. Protecno è in grado anche di fornire impianti con contratti di noleggio a lungo termine, con il servizio di gestione incluso e con la vendita finale dell’impianto (outsourcing). Questa forma, sempre più diffusa, procura parecchi vantaggi al cliente, che potrà delegare a Protecno l’onere della gestione e della manutenzione e rateizzare il costo del sistema di trattamento. I sistemi fornibili a noleggio sono: impianti di filtrazione in genere, di potabilizzazione, ad osmosi inversa per acqua salmastra, ad osmosi inversa per acqua di mare, di demineralizzazione a scambio ionico, di polishing a letto misto, di addolcimento, di trattamento di acque reflue, di pompaggio, di dosaggio e gruppi elettrogeni. Professionalità e tecnologia sono le due parole che racchiudono la strategia aziendale di Protecno, grazie è oggi una importante realtà italiana nel settore specifico del trattamento delle acque.

www.protecnosrl.it


SPECIALE NOLEGGIO DI IMPIANTI E ACCESSORI SIMA Sima offre un servizio a 360° nel campo del noleggio attrezzature per il trattamento di legno e rifiuti. Competenza, professionalità, passione e anni di esperienza ne fanno una realtà consolidata nel settore e punto di riferimento privilegiato sia per le piccole e medie imprese sia per le grandi realtà industriali e commerciali. Per valutare esigenze specifiche, i tecnici della Sima sono a disposizione per consigliare le migliori soluzioni con le migliori tecnologie. Da segnalare la partnership con la società Lindner Mobile Shredder e il recente incremento del parco mezzi e attrezzature, che si carat-

T&C ANALYZERS terizzano per le loro elevate prestazioni e per la loro versatilità. Ad esempio, Urraco 75 ed Urraco 95 sono due versatili trituratori mobili a due alberi e bassa velocità per la triturazione primaria di materiali non trattati con oggetti estranei; entrambi incarnano qualità, potenza ed affidabilità. Per l'utilizzatore finale questo significa: presa aggressiva; elevata capacità operativa fino a 60 e 1.400 ton/ora, rispettivamente, con basso consumo energetico; elevata tolleranza ai corpi estranei; bassi costi dovuti all'usura grazie alla elevata durevolezza e all'alta qualità dei componenti; facile manutenzione e assistenza e scarsa formazione di polvere; protezione dalle rotture con la funzione di inversione; alta efficienza operativa e qualità di triturazione; efficace sistema di raffreddamento; dimensioni di uscita definibili grazie alle configurazioni degli alberi adattabili; arresto ad alta efficienza energetica per il risparmio di carburante diesel.

www.sima-srl.it

AreaRae Steel è un sistema di monitoraggio ambientale per grandi aree di lavoro particolarmente a rischio come le raffinerie ed altre industrie altrettanto esposte a rischio di fughe di gas tossici-esplosivi. Questa apparecchiatura, grazie alla tecnologia wirless (col software ProRea Guardian), permette il monitoraggio h24 dei valori dei gas, degli allarmi e soprattutto individua, grazie alla versione con GPS, l'esatto punto dell'impianto in cui si è verificato l'allarme gas, così da poter attivare il pronto soccorso e gli operatori competenti. Prodotto da Rae Systems (appartenente a Honeywell), lo strumento viene commercializzato e noleggiato da T&C Analyzers. La nuova versione del software consente inoltre di scaricare l'applicazione su smartphone o tablet e poter essere aggiornati in tempo reale sugli allarmi e sui valori dei gas monitorati in impianto. Il rilevatore a fotoionizzazione (PID, Photo Ionization Detector) presente nell’AreaRae Steel monitora, fi-

no a una distanza massima di 3 km, ppm di VOC. Inoltre, può essere dotato di un sensore del limite di esplosione inferiore (LEL), di un sensore per ossigeno e di uno o due sensori per gas tossici elettrochimici progettati per la misurazione di sostanze specifiche quali acido solforico solfidrico o cloro. Un modem senza fili integrato trasmette i dati a una stazione base, che utilizza un PC standard basato su Windows su cui è in esecuzione il software ProRae Remote, e può controllare e visualizzare contemporaneamente le letture di un massimo di 8 risponditori AreaRae e/o gamme di risponditori AreaRae; in questo modo è possibile creare una rete di rilevamento di più minacce, in grado di monitorare una vasta area geografica. Grazie all‘uso di funzionalità di rete Mesh, lo strumento è progettato per prestazioni ad ampio raggio in ambienti radio difficoltosi.

www.tec-analyzers.com

VEDANI RENT Vedani Rent, divisione autonoma di Vedani, offre un vasto parco di attrezzature a noleggio per la bonifica ambientale. Il parco attrezzature ha ormai raggiunto dimensioni considerevoli: oltre 100 estrattori d’aria Pascal con portate tra 500 e 5.000 mc/h, 40 unità di decontaminazione per il personale sia in versione assemblabile che pronta all’uso, numerosi airless, aspiratori, generatori, frese, elettroutensili e sistemi di filtrazione acqua, indispensabili per adempiere alle prescrizioni del D.M. 6/9/94. La soluzione del noleggio evita dispendiosi immobilizzi di capitale e propone attrezzature e macchine aggiornate a costi contenuti. Le macchine noleggiabili, infatti, sono sempre in per-

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fetto stato di efficienza, completamente revisionate ad ogni rientro con il servizio di sostituzione filtri e la pulizia in aree appositamente attrezzate. Molto apprezzata è la formula economica che tende ad incentivare l’utilizzo del noleggio a medio e lungo termine, con sconti che possono arrivare al 60% della tariffa base per noleggi di durata superiore a 60 giorni. Per andare incontro alle esigenze dei clienti, Vedani Rent garantisce assistenza alle attrezzature e macchine noleggiate, in taluni casi assicura anche l’installazione direttamente in cantiere a cura di personale specializzato e abilitato.

www.vedani.it


ZOOM

Market

Market

Gli impianti MBBR a noleggio Saluber ‘04

Biodepuratori modulari SA-MBBR per reflui civili, dai ridotti tempi di installazione e costi contenuti

La Saluber ‘04 ha messo a punto una gamma di impianti di depurazione biologici, idonei per il trattamento delle acque reflue urbane, che si basano su tecnologia MBBR. Ma il punto di svolta consiste nel servizio di noleggio! Infatti Saluber, oltre a vendere i sistemi modulari, offre anche il servizio di noleggio a medio e lungo termine che potrebbe permettere agli enti pubblici di dotarsi di un valido sistema di depurazione senza affrontare costi troppo elevati, spesso non sostenibili, con possibilità di saggiare la funzionalità e l’efficacia dell’impianto e, nel caso, procedere al riscatto finale dello stesso. Il noleggio di sistemi modulari trova grande applicazione come sistema di trattamento per piccole

comunità, nel potenziamento degli impianti in esercizio e offre un valido aiuto per la prosecuzione del servizio durante le fasi di adeguamento/riqualificazione di impianti già esistenti. Il processo MBBR garantisce alti

rendimenti depurativi rispetto ai sistemi di trattamento tradizionali, consente di ridurre fino ad un terzo l’area coinvolta nell’installazione e richiede meno di dieci giorni per la messa in marcia. Infatti, i moduli sono stati proget-

tati con l’obiettivo di semplificare la gestione operativa, di ridurre al minimo gli interventi manutentivi e di garantire bassi consumi energetici, tutto nel rispetto dei limiti tabellari fissati dal D. Lgs 152/06. La potenzialità di trattamento di ogni modulo (fino a 1.000 abitanti equivalenti) può inoltre essere potenziata in qualsiasi momento con la semplice aggiunta di moduli integrativi perfettamente componibili fra loro. Il sistema di depurazione MBBR a noleggio è una novità sotto il profilo tecnico ed economico per la soluzione ai problemi di inquinamento che si trovano ad affrontare le amministrazioni locali, anche molto piccole e dislocate in contesti poco agevoli per la costruzione di impianti di depurazione tradizionali.

SaluBeR ‘04 Srl Via Marconi, 3 - 04012 Cisterna di latina (lT) Tel/Fax 06.96881434 - email commerciale@saluber04.it www.saluber04.it

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SPECIALE NOLEGGIO DI IMPIANTI E ACCESSORI VEOLIA WATER TECHNOLOGIES

XYLEM WATER SOLUTION

Veolia Water Technologies offre ai suoi clienti soluzioni a noleggio, modulari e complete, per il trattamento delle acque, permettendo così di reagire in modo rapido ed efficace alle specifiche esigenze. E’ nato così il servizio Aquamove, che risponde a necessità di trattamento temporanee o ad emergenze in caso di fermo impianto, variazioni non previste della portata e della qualità dell'acqua. Ad esempio, gli impianti Actiflo sono ideali per il riciclo di qualunque tipo di acqua di processo e per la maggior parte dei reflui industriali, oltre che per il pretrattamento di acque per l'alimentazione di caldaie o di torri di raffred-

Con il sistema di noleggio delle pompe e delle attrezzature Xylem Water Solutions non vi sono problemi di manutenzione e si ha la certezza di avere sempre a disposizione la pompa giusta e tutti i suoi accessori, per la soluzione di ogni problema specifico. Il noleggio, infatti, è una reale alternativa all’acquisto e vuol dire disporre di una macchina solo quando serve, sfruttando il vasto patrimonio tecnologico e applicativo, con la garanzia del servizio garantito dall’azienda. Ampia è la gamma delle soluzioni proposte, che consentono di fronteggiare situazioni di emergenza o necessità di dewatering non previsti, fermi macchina improvvisi che costringerebbero al fermo di un impianto, bypass fognari per la realizzazione di

damento. Tutto si basa su microsabbia (Actisand) che funge da nucleo per la formazione dei fiocchi i quali, così appesantiti, presentano caratteristiche di sedimentazione uniche che permettono la progettazione di chiarificatori dalle grandi portate e dai tempi di ritenzione molto brevi. Il tutto si traduce in impianti in grado di occupare spazi fino a 5 volte più contenuti rispetto ai classici chiarificatori a lamella o a flottatori ad aria disciolta (DAF) e fino a 20 volte più piccoli dei sistemi di chiarificazione convenzionali. Gli impianti Actiflo disponibili per il noleggio hanno capacità (mc/hr) da 30 a 120 o da 80 a 300. Tuttavia, prima ancora del noleggio è possibile installare temporaneamente un impianto pilota, montato su container, per testare le varie configurazioni come i tipi di polimero, i livelli del pH, il dosaggio dei coagulanti e dei polimeri, etc., così da noleggiare la soluzione Actiflo più adatta alle specifiche esigenze.

www.veoliawatertechnologies.it

EUROPEAN RENTAL ASSOCIATION

Il noleggio dà sostenibilità Come l’affitto di attrezzature può aiutare le aziende a diventare più ecologiche, efficienti e sicure Una recente ricerca a cura di ERA - European Rental Association, disponibile anche in italiano, ha messo in evidenza i vantaggi del noleggio di attrezzature a supporto della sostenibilità. I risultati evidenziano che le imprese di noleggio stanno migliorando le loro performance perseguendo politiche attente alla sostenibilità, che possono fornire anche ai clienti servizi a maggior valore. Per questo, molti noleggiatori introducono una serie di iniziative sia per migliorare l’offerta al cliente, sia per distinguersi sul mercato. Dalla ricerca emerge, ad esempio, che i noleggiatori: insistono affinchè i produttori diventino fornitori a loro volta attenti alla

sostenibilità in maniera costante; utilizzano tecnologie per il monitoraggio dei consumi, motori e generatori ibridi per ridurre il consumo energetico; scelgono

veicoli a basse emissioni e introducono misure per ridurre il consumo di carburante; migliorano il processo di riciclaggio di prodotti di scarto e attrezzature. ERA ha realizzato anche un opuscolo, pensato per offrire alle società di noleggio e ai loro clienti, alle associazioni nazionali e agli enti europei, informazioni e consigli sulle politiche di sostenibilità e per contribuire alla promozione di pratiche sostenibili per il settore del noleggio di attrezzature. <<Il noleggio di attrezzature offre molti vantaggi in termini di sostenibilità per diversi settori industriali - osserva Michel Petitjean, segretario generale dell’ERA - e, ora, i noleggiatori

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lavori di ripristino o modifica, svuotamenti di vasche, abbassamenti di falda in scavi, cave e cantieri edili, miscelazione e ossigenazione in impianti di depurazione. La flotta di noleggio include moltissimi prodotti, disponibili anche per noleggi di lunga durata. Tra i vantaggi della formula di noleggio: niente immobilizzi di capitale, pompe sempre idonee al servizio.

www.xylemwatersolutions.com/it

si rendono conto di quanto sia importante aiutare le aziende a migliorare le prestazioni in termini di sostenibilità. Il nostro opuscolo sulla sostenibilità mostra le migliori prassi che aiutano società e ambiente, offrendo, al contempo, vantaggi tangibili alle aziende>>. Il noleggio delle attrezzature, in sostituzione all’acquisto, offre alle aziende un’ottima opportunità per migliorare le proprie credenziali ambientali, sebbene questi vantaggi siano spesso sottostimati. Tra i principali vantaggi da sottolineare: le attrezzature noleggiate vengono utilizzate più frequentemente e quindi sono più efficienti; le aziende di noleggio di attrezzature professionali raggiungono migliori prestazioni in aree che includono le manutenzioni, l’efficienza energetica, la gestione dei rifiuti e la salute e sicurezza, attraverso servizi di elevata qualità e standard operativi migliori; il dialogo tra produttori e società di noleggio incoraggia la progettazione di attrezzature attente alla sostenibilità.


Biomasse & Biogas B i o m a s s a

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B i o g a s

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B i o m e ta n o

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C o g e n e r a z i o n e

Le preziose microalghe Biocarburante sostenibile

Messo a punto un processo e relativo impianto pilota che sfrutta organismi fotosintetici che producono un’ampia varietà di molecole ricche di energia Nella nuova bioeconomia, una delle fonti sostenibili più promettenti di sostanze chimiche e biocarburanti per prodotti alimentari e non alimentari sono le microalghe. Tuttavia, per realizzare il loro pieno potenziale è necessario far corrispondere un incremento nella portata della produzione delle microalghe con una simultanea diminuzione dei costi di produzione. Attualmente, la tecnologia necessaria per sfruttare pienamente le microalghe è ancora agli inizi. Il progetto europeo FUEL4ME (Future European league 4 microalgal energy) è stato creato per sviluppare una filiera produttiva sostenibile che consenta ai biocarburanti di seconda generazione di competere con i carburanti fossili. L’obiettivo era quello di sfruttare la capacità unica delle alghe di produrre lipidi usando l’energia ricavata dalla fotosintesi. Questi lipidi rappresentano degli eccellenti materiali di partenza per biocarburanti e altri prodotti, come ad esempio il mangime per gli animali. Per di più, l’alga di riferimento usata nel progetto non è in competizione con le colture alimentari per quanto riguarda suolo e acqua dolce, visto che viene fatta crescere in acqua salata. “Gli scienziati del progetto hanno studiato in dettaglio i meccanismi molecolari e metabolici che controllano l’accumulo di lipidi in due specie di microalghe e hanno dimo-

strato un aumentato accumulo di lipidi mediante ingegneria metabolica. Inoltre, hanno confrontato l’attuale processo di produzione a blocchi in due fasi per i lipidi microalgali con un processo continuo in una sola fase sviluppato recentemente, e hanno ottimizzato la produzione di lipidi in differenti condizioni di crescita. Hanno poi sviluppato le varie fasi della catena di trasformazione a valle, che coinvolge raccolta, rottura della cellula, estrazione e frazionamento dei lipidi e loro idrotrattamento, per creare biocombustibile. <<E’ stato dimostrato che i lipidi possono essere applicati con successo alle microalghe – afferma Dorinde Kleinegris, coordinatrice del progetto - e che sono adesso pronti per essere usati in procedimenti commerciali, che non sono limitati solo alla produzione di biocombustibili>>. Anche se con un minore contenuto

di lipidi, il procedimento in una fase possiede una produttività di lipidi paragonabile a quella della tradizionale lavorazione a blocchi, ma necessita di verifiche su scala più ampia. Il consorzio ha progettato un impianto pilota per la produzione all’aperto e ha organizzato la produzione di microalghe in tre impianti pilota con sede rispettivamente in Italia, Paesi Bassi e Israele, e una struttura dimostrativa in Spagna. Per determinare lo stato attuale della tecnologia e anche il modo in cui parametri chiave influenzano la sostenibilità del processo integrato di Fuel4Me è stata effettuata una valutazione del ciclo di vita. Le principali criticità sulla sostenibilità sono rappresentate da coltivazione e raccolta, domanda di elettricità, fonte di acqua dolce e di anidride carbonica, terreno idoneo. La ricerca ha affrontato alcuni di questi problemi, riuscendo a migliorare

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la produttività della coltivazione e l’efficienza della raccolta, incluso il riutilizzo di acqua e risorse in economici terreni desertici. Sono tuttavia necessari ulteriori miglioramenti per rendere il procedimento della produzione di biocombustibile con le microalghe pienamente sostenibile dal punto di vista economico e ambientale. Attualmente, il processo è più adatto alla produzione di prodotti di alto valore, come ad esempio gli acidi grassi polinsaturi; mentre, è stato esserito che un promettente approccio di bioraffineria migliora molto la stabilità economica. <<Crediamo che la strategia di innovazione a lungo termine di Fuel4Me, che si concentra maggiormente su prodotti ad alto valore, porterà a prodotti basati sulle microalghe economicamente fattibili e sostenibili dal punto di vista ambientale – spiega Kleinegris – e questo garantirà un ulteriore calo dei costi di produzione e un aumento nella portata della produzione. Il biocombustibile ottenuto dalle microalghe può quindi diventare una possibilità concreta>>. Il progetto ha fornito un’opportunità eccellente ai partner industriali per effettuare test pilota delle loro tecnologie al fine di ottenere soluzioni industriali più affidabili e scalabili per la coltivazione delle microalghe e per la lavorazione a valle.


il fenomeno del biogas da discarica aspetti vari e complessi

I processi alla base della decomposizione dei rifiuti, i fattori che influenzano la produzione e l’analisi finale La decomposizione dei rifiuti solidi in uno scarico controllato assume spesso aspetti vari e complessi: principalmente processi fisici, chimici e biologici, che agiscono simultaneamente alla degradazione della componente organica dei rifiuti stessi. Per degradazione fisica si intende la trasformazione delle componenti del rifiuto che comporta il mutamento delle caratteristiche fisiche del rifiuto stesso, fra cui la riduzione del volume. Fra i fenomeni fisici si possono inoltre ricordare la precipitazione di sostanze, nonché i fenomeni di assorbimento e di rilascio di sostanze. Per degradazione chimica, invece, s’intende il complesso delle reazioni che avvengono tra le diverse sostanze componenti il rifiuto; ha riflessi anche nella qualità dei percolati, con variazione della solubilità, del potenziale redox e del pH. Il principale meccanismo di decomposizione dei rifiuti in discarica è però la degradazione biologica, cioè la trasformazione della materia per opera dei batteri, e si svolge in varie fasi, le principali delle quali sono: fase aerobica, fase facoltativa anaerobica, fase metanigena anaerobica. LA FASE AEROBICA

La degradazione aerobica avviene subito dopo il deposito dei rifiuti nello scarico controllato a seguito dell’impiego, da parte dei microrganismi, dell'ossigeno libero: questo viene prelevato dall'aria inglobata nella discarica durante la deposizione del rifiuto o penetrata dopo la chiusura. Il processo utilizza an-

Gli organismi presenti, definiti facoltativi, prediligono l’ossigeno libero ma, se esso è assente, possono utilizzare l'ossigeno “legato”. Caratteristiche di questa fase sono la produzione di anidride carbonica, una minore generazione di energia termica rispetto al processo aerobico e una notevole produzione di sostanza organica parzialmente degradata, la maggior parte della quale è costituita da acidi organici. Detti acidi, con l'anidride carbonica disciolta, si ritrovano inoltre nel percolato a cui conferiscono un certo livello di acidità. LA FASE METANIGENA ANAEROBICA

Analizzatore di processo ETG 6500 per l’analisi in continuo del biogas

che l'ossigeno disciolto nell’acqua meteorica infiltrata dal capping di chiusura della discarica. La degradazione aerobica è legata alla disponibilità di ossigeno (ed è quindi normalmente di breve durata, da qualche ora ad alcuni mesi) e alla tipologia di rifiuti. Nella prima fase il fenomeno è favorito dalla presenza nel rifiuto di sostanze facilmente e rapidamente degradabili. Questa fase è fortemente esotermica (il calore prodotto può raggiun-

gere temperature di 70 °C) ed è caratterizzato da emissioni di anidride carbonica, acqua e sostanze organiche parzialmente degradate. LA FASE FACOLTATIVA ANAEROBICA

La decomposizione facoltativa anaerobica avviene quando la disponibilità di ossigeno è ridotta al punto in cui non è più possibile un processo aerobico.

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Lo stadio finale della decomposizione dei rifiuti solidi urbani consiste nella decomposizione metanigena anaerobica. In questa fase gli organismi convertono la sostanza organica, parzialmente degradata dagli organismi aerobici facoltativi, in metano ed anidride carbonica. Le caratteristiche di questa fase sono sempre la produzione di energia termica (comunque inferiore rispetto alla fase aerobica), l'uso di materia organica disciolta, la produzione di metano ed anidride carbonica, nonché l’aumento del pH con valori vicini alla neutralità. Numerosi studi hanno accertato che di norma questa fase si instaura dopo un periodo variabile tra i 3 e i 9 mesi dalla deposizione del rifiuto. Una volta avviata la fase metanigena, la produzione di biogas si manifesta, normalmente, per parecchi anni (anche oltre 40), secondo un andamento che evidenzia la massima produzione nei primi anni e un


progressivo esaurimento asintotico fino alla completa degradazione della sostanza organica o fino a quando esistono le condizioni ambientali idonee al processo. I FATTORI CHE INFLUENZANO LA PRODUZIONE DI BIOGAS

Numerosi fattori sono in grado di influenzare positivamente o negativamente il fenomeno di produzione del biogas, ossia: caratteristiche dei rifiuti, umidità, temperature, caratteristiche ambientali, caratteristiche gestionali e costruttive. Sicuramente la tipologia di rifiuti, e quindi la loro composizione, è determinante nel processo, specialmente la presenza di sostanza organica biogassificabile. Ma anche la pezzatura, e quindi le dimensioni delle particelle dei rifiuti, ha effetti contrastanti sulla metanogenesi. Da una parte la riduzione della pezzatura aumenta sensibilmente la superficie reattiva e di conseguenza il processo di idrolisi, con effetti rilevanti sulla produzione di biogas; dall’altra parte, l’esposizione di un’ampia superficie al processo di idrolisi può condurre alla rapida formazione di acidi grassi volatili (tali acidi possono rendere l’ambiente inadatto ai batteri metanigeni). Ed infine, anche la densità ha effetti contrastanti sulla produzione di biogas. Diminuendo la capacità di campo dei rifiuti si tende ad aumentare la diffusione e la distribuzione nella massa dei rifiuti dell’umidità e di tutti gli elementi presenti nella fase acquosa, ma allo stesso tempo la superficie totale reattiva diminuisce (facendo diminuire la velocità di idrolisi della sostanza organica). Per quanto riguarda l’umidità, la sua funzione nel processo di metanogenesi è triplice: consentire l’attività dei microrganismi, creazione di un’interfaccia solido-liquido, diffusione ottimale nell’ammasso dei microrganismi e dei nutrienti nel substrato idrolizzato. Numerose esperienze hanno mostrato un aumento consistente della produzione di biogas all’aumentare dell’umidità. Sul fronte temperature, la produzione di biogas è influenzata dalle temperature all’interno dello scarico controllato e dalle variazioni di queste nel tempo. In condizioni anaerobiche ed in presenza di un adeguato isolamento termico, le temperature dentro la massa dei rifiuti possono raggiungere anche i 30-50

°C. E’ stato calcolato, sulla base dell’energia di attivazione necessaria alla produzione di metano, che la temperatura ottimale di tale processo è di circa 40 °C. E’ importante notare che la temperatura all’interno dello scarico controllato è influenzata sia dalle condizioni termiche dell’ambiente esterno che dalla natura esotermica dei fenomeni di fermentazione dei rifiuti. Veniamo ora alle caratteristiche ambientali, che influiscono sul fenomeno di produzione di biogas in funzione della morfologia della discarica. Infatti, tanto più una discarica presenta spessori e volumi consistenti, tanto minore sarà l’influenza ambientale esterna. I principali fattori influenzanti sono: temperatura ambientale, umidità dell’aria, precipitazioni, ventosità e insolazione (evapotraspirazione). LE CARATTERISTICHE DEL BIOGAS

I gas macrocomponenti caratteristici del biogas sono il metano (CH4) e l’anidride carbonica (CO 2). In proporzione dell’incidenza della fase aerobica oppure dell’intrusione di aria durante la captazione è possibile la presenza di aria nella miscela e pertanto tra i macrocomponenti del biogas vanno considerati l’ossigeno (O2) e l’azoto (N2). In alcuni casi è riscontrabile la presenza di idrogeno (H2) gas tipico della fase di transizione acetogenica, tale presenza è comunque limitata nel tempo e nella quantità. La presenza di acqua (H2O), allo stato di vapore, è quasi costante mentre la presenza di idrogeno solforato (H2S) e ammoniaca (NH3), pur essendo ricorrente difficilmente, raggiunge valori vicino al punto percentuale. Anche la presenza di monossido di carbonio (CO) è poco rilevante. Solo il metano, l’anidride carbonica e l’aria caratterizzano consistentemente il biogas; gli altri gas, pur con incidenze minori, forniscono alla miscela particolari caratteristiche di pericolosità, aggressività e odore. L’ANALISI DEL BIOGAS

L’analisi della qualità del biogas è piuttosto complessa, sia per le procedure di campionamento che per quelle di analisi. Innanzitutto è necessario definire quale componente chimica occorre Continua a pag. 41


L’acceleratore di biogas efficientamento energetico

Una soluzione che, aumentando la capacità digestiva dei batteri, ne potenzia l’azione e ne ottimizza i consumi Biovalene si definisce come una start up innovativa, operante nel settore della ricerca biotecnologica, della depurazione delle acque e delle soluzioni più innovative per l’efficientamento energetico. Attualmente impegnata nella prima mappatura genomica dei ceppi batterici ad alta resa presenti negli impianti di produzione del biogas, è anche già presente sul mercato con un prodotto capace di ottimizzare i processi degli im-

pianti esistenti. Questa soluzione, denominata Bioreval, è un acceleratore di processo adattabile a qualsiasi tipo di impianto, per tecnologia e dimensione, che si applica senza alterazioni o modifiche della struttura. <<L’innovazione rappresentata da Bioreval - dichiara Fabio Messinese, amministratore delegato di Biovalene - è il fatto che, mentre le altre tecnologie vanno a lavorare direttamente sul digesto

centrale e, spesso, introducono materiale liofilizzato, la nostra soluzione opera direttamente sui materiali presenti, senza introdurre sostanze estranee. La nostra idea di fondo è che un impianto funzioni meglio quando i batteri sono più affamati, e questo riduce i costi, ottimizza i consumi e migliora la produzione>>. Ma qual è il processo di funzionamento di questa soluzione quindi? In pratica, Bioreval pre-

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leva una quota di biomassa dal digestore centrale, la potenzia alimentandola con macroelementi e con batteri selezionati dai laboratori di Biovalene. All’interno degli ambienti della macchina i batteri hanno modo e tempo di moltiplicarsi, aumentando la loro capacità digestiva; a questo punto vengono immessi di nuovo nel digestore principale per coinvolgere tutte le masse presenti in questo processo di accelerazione. <<A seconda della propria immaginazione – aggiunge Messinese potremmo definire Bioreval come l’equivalente di un turbocompressore oppure come una palestra per affamare i batteri>>. I processi precedentemente descritti garantiscono la stabilità dei processi digestivi, una importante discontinuità della carica batterica naturale che diminuisce il rischio di blocco e il conseguente calo della produttività. <<Bioreval - continua Messinese - è già stato testato dal 2014 su impianti da 1MWe. Messo a regime nel 2015 e tutt’ora in funzione, ha svolto positivamente il suo lavoro confermandone tutta l’innovatività>>. L’installazione e la gestione di questo prodotto sono completamente a cura di Biovalene che per gestirne le attività ha anche creato un’applicazione per operare da remoto sulla soluzione. Grazie alla piattaforma Gelso, infatti, l’azienda può tenere sotto costante monitoraggio l’andamento dei processi, con un controllo totale dell’evoluzione di pressione, gas, pH, ecc. Grazie ad algoritmi studiati ad hoc, è possibile intervenire in tempo reale sulla macchina per ottimizzare i flussi di efficienza. Come anticipato, Bioreval si applica esternamente a qualsiasi impianto già esistente, senza procedere a modifiche strutturali: il modello standard lavora su impianti da 700 kW a 1 MW. Si tratta di una soluzione non energivora, non invasiva, totalmente autosufficiente, che riduce l’alimentazione degli impianti almeno del 10% e quindi libera porzioni coltivate per altri usi aumentando la rendita agraria. Da sottolineare che le fasi di progettazione dell’impianto coinvolgono interamente la centrale con una ripianificazione dei materiali utilizzati.


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Il fenomeno del biogas da discarica analizzare, a seconda dell’utilizzo finale del dato qualitativo. Nel caso di una regolazione manuale della rete di captazione, il dato qualitativo potrebbe essere limitato alla sola concentrazione di metano. Il tenore di ossigeno potrebbe fornire utili indicazioni circa la diluzione del biogas con aria e, quindi, informazioni sulle infiltrazioni dalla copertura dei rifiuti. La conoscenza della concentrazione di anidride carbonica potrebbe fornire informazioni sul livello della fermentazioni dei rifiuti. Nel caso di una regolazione automatica per il recupero energetico la percentuale di metano è essenziale. Nel caso di un monitoraggio orientato alla sicurezza, la valutazione della concentrazione di ossigeno è determinante per il controllo delle perdite della rete. E’ necessario dunque analizzare le seguenti componenti, in ordine di importanza: metano, ossigeno, anidride carbonica. Esistono poi altre componenti che possono essere ricercate per valuta-

Analizzatore portatile ETG MCA 100 BIO P per l’analisi del biogas

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re l’aggressività del biogas, come ad esempio l’idrogeno solforato (H2S), oppure elementi indicanti situazioni a rischio, quali ad esempio la valutazione del monossido di carbonio per indicare potenziali combustioni interne alla massa di rifiuti. In funzione del tipo di gas da analizzare esistono diversi sistemi di analisi. Per il metano il sistema maggiormente utilizzato è quello mediante analizzatore ad infrarosso (IR); tale sistema è utilizzato sia per i portatili che per le dotazioni di processo. Esistono anche analizzatori di tipo catalitico ma tali sistemi richiedono una minima parte di aria per consentire la reazione analizzata e l’aria non sempre è presente nel biogas. Lo stesso tipo di analizzatore (IR) è comunemente utilizzato anche per la lettura dell’anidride carbonica. Per l’ossigeno viene normalmente utilizzata una cella elettrochimica per gli strumenti portatili ed un analizzatore paramagnetico per gli strumenti fissi di processo. I punti di analisi vengono posti prima della centrale di aspirazione per l’analisi in continuo e su ogni testa di pozzo e sottostazione per l’analisi con strumentazione portatile.


H2 dalla fermentazione di bioresidui il progetto HYtime

Impianti di digestione anaerobica bistadio, in cui si produce idrogeno, estratto e purificato, e metano dagli acidi grassi volatili È noto che l’idrogeno sia l’unico combustibile che non produce CO2 e, quindi, non contribuisce direttamente all’effetto serra. L’idrogeno però non si trova libero in natura: bisogna produrlo, e se questa produzione avviene (come si è fatto finora) per reforming degli idrocarburi, il carbonio di questi viene convertito in CO2 ed il vantaggio ambientale dell’idrogeno viene in gran parte vanificato. Affinchè l’uso dell’idrogeno porti un reale beneficio ambientale è indispensabile che esso sia ottenuto partendo da energie rinnovabili (ad esempio elettrolizzando l’acqua mediante l’energia elettrica fornita da generatori eolici o da pannelli fotovoltaici); oppure che sia ottenuto per trasformazione chimica o biochimica di biomasse vegetali. In quest’ultimo caso verrà sempre emessa CO2, ma sarà la stessa che i vegetali hanno assorbito (mediante la fotosintesi) nel loro processo di crescita e, pertanto, non ci sarà nessuna emissione incrementale di gas serra nell’atmosfera. Il progetto europeo HyTime si propone di sviluppare un processo per produrre idrogeno da biomasse, utilizzando microorganismi naturali. La tecnologia si basa sulla digestione anerobica; in questa l’idrogeno viene prodotto all’inizio, ma viene subito consumato da batteri che lo trasformano in metano e acqua. L’dea di base è quindi la conversione degli attuali impianti di digestione anaerobica monostadio in impianti bistadio: nel primo stadio si produce idrogeno, che viene immediatamente estratto e purificato; nel secondo stadio gli acidi grassi volatili vengono con-

vertiti in metano da batteri metanogeni acetotrofi. OBIETTIVI

Il principale obiettivo del progetto è stato quello di realizzare un impianto pilota per la produzione di idrogeno da biomasse, con una produttività di almeno 1 kg di idrogeno al giorno. Obiettivi tecnologici secondari sono stati: lo sviluppo di efficienti metodi di pretrattamento delle biomasse; la massimizzazione della produzione di idrogeno attraverso la realizzazione di bioreattori adeguati; lo sviluppo di processi di purificazione dell’idrogeno operanti a bassa pressione e bassa temperatura; la realizzazione di sistemi efficienti di misura e controllo del processo; la costruzione di un modello matematico del pro-

cesso, che consentirebbe di simulare l’effetto delle diverse variabili; la valutazione tecnico-economica relativa alla costruzione di un impianto da 400 kg di idrogeno al giorno. MATERIE PRIME E PRETRATTAMENTI

In Europa si producono ogni anno oltre 120 milioni di tonnellate di biomasse di rifiuto, non utilizzabili per usi alimentari: sottoprodotti di raccolti, sfalci e potature, scarti di giardinaggio e di cucina, scarti delle industrie agroalimentari. Teoricamente da queste biomasse si potrebbero ricavare 0,34 milioni di tonnellate di idrogeno ogni anno; una quantità minoritaria rispetto all’attuale produzione per usi industriali (circa 4 milioni di ton/anno), ma che porterebbe un

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contributo significativo al raggiungimento dell’obiettivo europeo 20/20/20, e allevierebbe i problemi connessi allo smaltimento dei rifiuti. Come elementi rappresentativi delle diverse biomasse utilizzabili per la produzione di idrogeno sono stati scelti paglia di grano, scarti ortofrutticoli (che si sono però rivelati inadatti) e sfalci di erba, potature e melasse derivanti dalla lavorazione della canna da zucchero. In particolare, per quanto riguarda l’analisi completa del potenziale di fermentescibilità della paglia di grano e degli scarti ortofrutticoli ai fini della produzione combinata di idrogeno e metano, il piano di attività ha previsto la realizzazione di test per la valutazione dell’efficacia di pretrattamenti di natura fisica (quali steam explosion), chimica (in particolare idrolisi acida) in combinazione con successivi pretrattamenti di natura enzimatica, ai fini dell’ottenimento di zuccheri semplici e facilmente fermentescibili, quali glucosio e xilosio. Nel caso della paglia di grano, il contenuto di fibre insolubili, in particolare di lignina, che inficiano i processi di fermentazione anaerobica, risulta molto elevato. I pretrattamenti chimici ed enzimatici favoriscono processi di rimozione della lignina e dell’emicellulosa, l’idrolisi e l’aumento della porosità del materiale, con conseguente riduzione della cristallinità della cellulosa; in questo modo si favorisce la depolimerizzazione della cellulosa composti in unità oligomeriche o monometriche, utilizzabili direttamente dai microor-


ganismi nel metabolismo fermentativo. Il pretrattamento degli sfalci d’erba è stato compiuto per via meccanica, utilizzando un estrusore bivite ed una pressa monovite. La frazione liquida risultante da questi trattamenti va direttamente allo stadio di fermentazione, mentre la frazione solida richiede un trattamento alcalino a 85-100 °C. L’identificazione della combinazione di protocolli di pretrattamento specifici ha permesso di ottenere fino al 70% di zuccheri semplici rispetto al teorico ottenibile considerando il quantitativo di cellulosa ed emicellulosa presente nella biomassa di partenza. LA FERMENTAZIONE

Per bloccare il consumo di idrogeno da parte dei batteri produttori di metano è necessario creare un ambiente sfavorevole a questi ultimi. La soluzione sviluppata nel corso del progetto HyTime è basata sull’impiego di batteri termofili, che sono attivi a 70 °C; a questa temperatura i batteri metanigeni vengono inattivati. La specie batterica con la massima resa in idrogeno è risultata essere il Calcicellulosiaptor Saccharoliticus, che viene fatto crescere in forma di biofilm su un supporto in polietilene. È stato costruito un reattore cilindrico in acciaio inox, della capacità di 225 litri, nel quale i corpi in polietilene con il biofilm batterico sono contenuti nella parte interna e vengono continuamente bagnati dal liquido di coltura, che viene ricircolato con una pompa e immesso nella parte alta del reattore. Per ottenere una buona resa è necessario allontanare l’idrogeno dal reattore via via che si forma; a tale scopo è stata usata una corrente di azoto. Sono stati compiuti diversi esperimenti, alcuni dei quali non hanno dato l’esito sperato a causa di problemi di contaminazione da parte di altre specie batteriche. I risultati migliori sono stati una produzione di idrogeno di 2 litri/ora, con purezza del 49%. Il digestato ottenuto dal processo di produzione di bioidrogeno è stato ulteriormente valorizzato in un processo secondario di digestione anaerobica per la produzione di biogas. In particolare, si è operato utilizzando come inoculo un consorzio batterico misto proveniente da un impianto industria-

le di produzione di biogas a partire da forsu e operando in mesofilia a 50 °C, ricreando pertanto le condizioni operative di un digestore classico. Il biogas ottenuto ha una percentuale in metano paragonabile a una produttività leggermente superiore a quella ottenuta durante il processo monostadio di produzione di biogas; è previsto che venga utilizzato per fornire l’energia termica ed elettrica necessaria per il processo. Il vantaggio del processo di fermentazione bistadio, pertanto, risulta dato dalla possibilità di dividere il processo fermentativo in due fasi, ottenendo due diversi gas, idrogeno e metano, e un unico digestato a valle del processo (ulteriormente valorizzabile per la produzione di compost o utilizzato per la fertirrigazione). LA PURIFICAZIONE

La purificazione del gas in uscita può essere convenientemente fatta su unità a membrana, che forniscono prestazioni migliori rispetto al sistema PSA (Pressure Swing Adsorption). Partendo da un gas in uscita dal bioreattore composto da 20% idrogeno, 10% CO2 e 70% azoto, l’unità a membrana consente di ottenere idrogeno puro al 98%, con un consumo di energia di 28,8 kWh per ogni kg di idrogeno prodotto; la resa del processo di purificazione è stata del’89%. VALUTAZIONE TECNICO-ECONOMICA DELL’IMPIANTO INDUSTRIALE

La più importante voce di costo dell’intero processo è quella relativa agli enzimi usati per la fase di pretrattamento. Questo costo potrebbe essere dimezzato producendo gli enzimi entro l’impianto stesso; con questa assunzione, e supponendo di dimezzare le fasi di scambio termico e di strippaggio con azoto, il costo di produzione di un ipotetico impianto da 400 kg/giorno di idrogeno, alimentato con sfalci d’erba, risulterebbe intorno a 50 euro/kg di idrogeno prodotto. Questo costo non è attualmente competitivo con quello dell’idrogeno prodotto per “steam cracking” del metano, ma si devono considerare i benefici ambientali (riduzione delle emissioni di CO2) e le economie derivanti dalla riduzione dei costi d smaltimento dei “rifiuti verdi”. Hi-Tech Ambiente

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energia

Un progetto di microturbina Cosa è necessario sapere

Tipologia di impianti e loro classificazione, necessarie autorizzazioni e possibili incentivi, idoneità di un sito e potenziale produttivo

Mentre in Europa le energie rinnovabili sono associate prevalentemente con il solare e l’eolico, in Ontario (Canada) il 25% dell’energia è di natura idroelettrica: ci sono oltre 200 impianti funzionanti e altri 2.000 bacini artificiali che attualmente non producono energia ma sono stati costituiti per regolare il flusso dei fiumi, costituire riserve per uso agricolo, rendere navigabili i fiumi, ecc. Per sfruttare questi bacini, che sono di solito gestiti a livello di comunità locali, la Ontario Water Power Association ha pubblicato un piccolo manuale, dal titolo “A Community Guide to Small Waterpower Development”. Considerato che in Italia il mini-idroelettrico è ancora lontano dal suo potenziale sviluppo, la guida citata può dare interessante consigli.

TIPI DI IMPIANTI

Dal punto di vista della classificazione, si distingue in: mini-idroelettrico, con potenza compresa tra 100 kW e 1.000 kW; micro-idroelettrico, con potenza tra 5 kW e 99 kW; pico-idroelettrico, con potenza tra 0 e 4,9 kW. Al di sotto di 100 kW gli impianti non prevedono in genere la costruzioni di dighe. Un altro tipo di classificazione si basa sulla presenza o meno di sistemi di stoccaggio dell’acqua. Si distinguono tre tipologie di impianto: - ad acqua fluente, che impiegano solo le correnti dei fiumi per produrre energia elettrica, e l’eventuale flusso in eccesso rispetto alle esigenze produttive viene semplicemente by-passato e reimmesso nel fiume

- ad acqua fluente con vasca di accumulo. Questi impianti consentono di accumulare limitate quantità di acqua durante i periodi in cui la domanda di elettricità è minore (ad esempio di notte), per impiegarle nei momenti di picco della domanda. - bacini artificiali con dighe, ossia impianti che raccolgono l’acqua nei periodi di piogge intense, impiegandola poi per produrre elettricità nei periodi in cui cala la disponibilità di risorse idriche (inverno e estate). Di particolare interesse sono le seguenti tipologie di impianti ad acqua fluente: - impianti su canale, che sfruttano la rete idrica artificiale di pianura, gestita dai consorzi di bonifica e irrigazione. Si tratta in genere di piccoli impian-

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ti ad acqua fluente a basso salto, ma possono essere anche a deflusso regolato - impianti su acquedotto, che sfruttano le potenzialità energetiche insite nei dislivelli di quota, presenti soprattutto degli acquedotti montani. Consistono nell’installazione, all’interno del sistema di condotte idrauliche, di una piccola turbina che permette il recupero di una certa quantità di energia, che altrimenti verrebbe dissipata meccanicamente per evitare il generarsi di pressioni troppo elevate al momento della distribuzione dell’acqua nelle abitazioni. VALUTAZIONE DEL SITO E CALCOLO DELLA POTENZA

Per valutare l’idoneità di un sito, i fattori principali da considerare sono: il potenziale produttivo (ossia quanta elettricità è in grado di generare), il valore ambientale e sociale del fiume, la quantità e tipologia delle connessioni con le reti di distribuzione e trasmissione dell’energia elettrica. Per determinare quanta elettricità un sito può generare, occorre considerare: - il salto, ossia l’altezza da cui cade il flusso dell’acqua (più essa è maggiore, meno acqua occorre per produrre la stessa quantità di elettricità). - la portata dell’acqua, ossia la quantità d’acqua che passa attraverso le turbine e che è un elemento altrettanto importante, in quanto maggiore è la portata maggiore è l’elettricità prodotta. La quantità di acqua disponibile per la produzione elettrica deve essere attentamente valutata con un approccio che consideri non solo la capacità idrica dei corsi d’acqua, ma anche gli altri “centri di domanda” (fauna e flora, attività economiche e sociali) - le tecnologie disponibili e i relativi costi . La potenza ricavabile in watt si ottiene moltiplicando la portata (in litri/sec) per il salto in metri, e per il fattore 9,81 (accelerazione di gravità). Il valore ottenuto deve poi essere moltiplicato per il rendimento della turbina (tra 50% e 70%, cioè per un fattore da 0,5 a 0,7); si ottiene così la potenza meccanica. Per ottenere la potenza elettrica effettivamente ricavabile, la potenza meccanica va moltiplicata per il fattore di rendimento del generatore elettrico (in media 0,85).


I COSTI

donati), che possono essere riconvertiti in micro centrali; inoltre, grazie ai sistemi di automazione e controllo a distanza, le microcentrali non necessitano di personale a tempo pieno (sono però necessari interventi di manutenzione e controllo, con costi crescenti nel tempo). Indicativamente, il costo per il microelettrico varia da 1.500 a 3.000 euro/kW installato, con tempi di ammortamento di 15-20 anni per impianti di potenza compresa tra 10 e 100 kW (per impianti di taglia inferiore i tempi di ammortamento possono scendere anche sotto i 10 anni). Si tratta di risultati economici molto interessanti, ottenibili anche grazie a una lunga vita utile dell’impianto (almeno 25-30 anni, ma che in molti casi può superare i 50 anni) e un elevato fattore di utilizzo, cioè un elevato numero di ore all’anno di funzionamento dell’impianto alla potenza nominale (3.000-5.000 ore/anno).

Tra tutte le fonti rinnovabili, l’energia idroelettrica è una di quelle che presenta le maggiori difficoltà nel momento in cui si tenta di ipotizzare un costo di investimento medio per kW installato. Questo perché bisogna tenere conto delle eventuali opere civili (canali di presa, opere di sbarramento, ecc.), che spesso finiscono per incidere per il 50% sul costo complessivo (ben più della parte meccanica ed elettrica). In generale, per il microelettrico valgono le economie di scala: ossia, i costi per kW installato diminuiscono all’aumentare della taglia. Questo non vale per gli impianti picoelettrici, caratterizzati da un’elevata semplicità impiantistica e da turbine con potenze non superiori a 5 kW: la semplicità di questi impianti consente spesso di risparmiare sulle opere civili necessarie negli impianti di taglia superiore e di avere costi specifici molto convenienti. Altri elementi importanti sono la natura e la conformazione del terreno e del corso d’acqua, e l’eventuale preesistenza di sistemi idraulici (ad esempio vecchi mulini abban-

AUTORIZZAZIONI E INCENTIVI

In Italia, per gli impianti con potenza superiore a 20 kW l’iter autorizContinua a pag. 46

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Un progetto di microturbina zativo è piuttosto complesso, e comprende: - concessione per la derivazione delle acque a scopo idroelettrico e relativo disciplinare, la cui domanda va inoltrata alla Provincia, corredata dal progetto dell’impianto. Il D.M. 10/9/2010, in cui venivano tracciate le Linee Guida nazionali, prevede una serie di semplificazioni autorizzative per la realizzazione di impianti idroelettrici di piccola taglia. In linea di massima, le Province richiedono che nella domanda di concessione siano contenuti tutti i principali dati relativi sia al corpo idrico interessato che al progetto previsto, e cioè relazioni idrauliche, geologiche ed idrogeologiche, elaborati grafici e relazioni tecniche del progetto preliminare, garanzie finanziarie ed economiche per l’attuazione del progetto, valutazione di incidenza, richiesta di esclusione dalla procedura di VIA (solo se in possesso dei requisiti richiesti). Al di sotto dei 100 kW è possibile optare per la cosiddetta PAS (Procedura abilitativa semplificata) - presentazione di una copia del progetto alla Sovrintendenza per i Beni Ambientali nel caso in cui l’impianto venga installato in una zona soggetta a vincoli ambientali - comunicazione di intenti al Ministero delle Attività Produttive - comunicazione di intenti al Distributore Elettrico Locale - comunicazione di intenti all’Ufficio Tecnico di Finanza (UTF) - domanda al Corpo Forestale dello Stato, nel caso in cui il progetto preveda lavori interferenti con aree

I PROGETTI SHERPA E HYDROACTION Il progetto europeo SHERPA (Small Hydro Energy Efficient Promotion Action), coordinato dalla ESHA (European Small Hydropower Association) si è posto come obiettivo la promozione dello sviluppo del piccolo idroelettrico in Europa. Tra i risultati di questo progetto da citare la “Guida alla realizzazione di un piccolo impianto idroelettrico” e due reports che analizzano le possibili producibilità idroelettriche su scala di

bacino, tenendo conto degli strumenti di pianificazione territoriale. Il progetto HYDROACTION (Development and laboratory testing of improved action and Matrix hydro turbines designed by advanced analysis and optimization tools) ha sviluppato una metodologia per la realizzazione di turbine idrauliche a basso costo, di potenza fino a 5 MW, utilizzando sofisticate tecnologie di ottimizzazione numerica, secondo il modello dell’idrodinamica lagrangiana delle particelle.

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di competenza dello stesso - domanda di rilascio della Concessione Edilizia da parte del Comune di competenza. Ultimato l’impianto si dovrà procedere a: istruzione della pratica di denuncia per apertura di officina elettrica (la licenza UTF contiene le dichiarazioni bimestrali dell’energia prodotta ai fini della corresponsione delle relative imposte); certificato di collaudo dell’opera. La realizzazione di un impianto di potenza inferiore ai 20 kW risulta molto più semplice rispetto a taglie maggiori: per questi impianti la Legge 133/99 (art.10, c.7-8) prevede l’assenza di imposizione fiscale; d’altronde, essendo destinati al solo autoconsumo, questi impianti non hanno diritto alla vendita dell’energia prodotta. E’ preferibile chiedere informazioni ai costruttori di opere elettromeccaniche o ai professionisti del luogo, che conoscono per esperienza le effettive realtà locali. Per gli impianti di potenza compresa tra 20 e 100 kW entrati in esercizio in seguito al 1/1/2013, il D.M. 6/7/2012 prevede in alternativa due meccanismi incentivanti: la tariffa onnicomprensiva (0,257 euro per ogni kW di elettricità netta prodotto e immesso nella rete da impianti inferiori a 20 kW, e 0,219 euro da impianti di potenza compresa tra 20 e 500 kW, per un periodo di 20 anni) e il servizio di scambio sul posto (fino a una potenza massima di 200 kW). Quest’ultimo altro non è che un meccanismo regolato dall’Autorità per l’Energia e attuato dal GSE, che consente di compensare l’energia elettrica immessa in rete in una certa ora con quella prelevata dalle rete in un’ora diversa.


L’industria casearia rappresenta il 13% dell’industria europea alimentare e delle bevande. Per garantire la sua futura competitività e ridurre i suoi impatti ambientali, il settore deve ridurre al minimo l’utilizzo di energia e acqua ed incrementare l’impiego delle energie rinnovabili. Un consorzio europeo di ricerca riunito nel progetto SUSMILK (Redesign of the dairy industry for sustainable milk processing) ha approfondito la problematica e si è concentrato su quattro differenti tecnologie. Queste comprendono pompe di calore, refrigeratori ad assorbimento, unità per la concentrazione del latte e collettori solari termici in combinazione con una caldaia a biomassa a pellet per la fornitura di calore nelle 24 ore. I prototipi sono stati costruiti e testati in condizioni reali nei caseifici partner di Susmilk e sono stati esaminati valutandone il ciclo vitale, l’analisi energetica e l’analisi economica. La pompa di calore e il refrigeratore ad assorbimento sviluppati utilizzano il calore di scarto disponibile all’interno del caseificio per ridurre il consumo energetico complessivo. I ricercatori hanno inoltre studiato una tecnologia per recuperare sostanze chimiche e acqua dai processi CIP (clean-in-place) di pulizia automatica in loco. Questa è una tecnica che pulisce le parti interne delle tubature e delle attrezzature di lavorazione senza dover effettuare il loro disassemblaggio. Inoltre, è stato studiato l’uso delle acque di scarico provenienti dai caseifici quale materia prima per la produzione di biogas, bioetanolo e acido lattico. <<Tutte queste innovazioni - afferma Christoph Glasner, responsabile di Susmilk - possono contribuire a una riduzione del consumo di energia primaria e delle emissioni di gas a effetto serra. Esse sono state valutate ed inserite in un modello di ecocaseificio, che aiuterà i caseifici a mettere in campo tecnologie più efficienti sotto il profilo delle risorse. Il modello ha dimostrato un grande potenziale nel perfezionamento persino delle migliori aziende casearie, ed il suo utilizzo su ampia scala porterà considerevoli benefici in tutta Europa>>.

il caseificio sostenibile Progetto sUsmiLK

Sviluppate tecnologie innovative per la fornitura di calore e freddo al fine di rendere questa industria più efficiente

MAGGIORE SOSTENIBILITA’ GRAZIE ALL’INNOVAZIONE

Un tipico caseificio utilizza molto calore durante la lavorazione, spesHi-Tech Ambiente

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so con perdita del calore di scarto. Il progetto Susmilk, quindi, ha creato una pompa di calore con una temperatura di uscita massima di 120 °C, che è in grado di recuperare l’80% del calore di scarto. Per le esigenze di raffreddamento del caseificio è stato anche sviluppato un refrigeratore ad assorbimento che sfrutta il calore di scarto eventualmente disponibile. La pre-concentrazione del latte utilizzando unità di ultrafiltrazione e nanofiltrazione ha consentito la sua lavorazione senza il bisogno di grandi quantità di energia. Questo aiuta anche a ridurre i costi legati al trasporto e le dimensioni dei serbatoi e delle attrezzature nel caseificio, aumentando allo stesso tempo l’efficienza dei processi di produzione per formaggio, yogurt e altri prodotti. <<I risultati chiave sono stati i prototipi stessi e il modello di ecocaseificio che hanno portato alle linee guida per l’industria casearia - spiega Glasner - inoltre, è stato sviluppato un calcolatore online per dare ai caseifici l’opportunità di stimare il proprio potenziale riguardante risparmi energetici, concentrazione del latte e miglioramenti al loro sistema CIP. Un altro risultato di successo del progetto è la GreenDairyNet, una piattaforma di innovazione aperta che riunisce ricercatori in campo alimentare, fornitori di tecnologia e produttori di latticini. Con l’aiuto di Susmilk, si prevede che l’industria casearia in Europa risparmi energia ed acqua grazie all’integrazione di tecnologie ottimizzate. Ripensando ai risultati del progetto, posso dire che ogni tecnologia sviluppata è stata un tassello nel puzzle verso un settore della lavorazione casearia più sostenibile>>.


laboratori

La fotochimica oggi innovazioni applicative ambientali

Efficienza e cinetica aumentate usando innovativi catalizzatori inorganici a base di ossidi di semiconduttori attivati da radiazioni UV Dove e chi è in grado di utilizzare le conoscenze fotochimiche di Giacomo Ciamician, uno dei padri della “fotochimica” e della “chimica” delle sostanze naturali, per realizzare processi innovativi di economia circolare? Ebbene, la risposta è presso l’innovativa start-up Bio Eco Active. Il tradizionale modello di economia lineare si sviluppa nelle tre fasi: produzione, consumo e smaltimento, con una elevata quantità di risorse prime utilizzate e di rifiuti da

smaltire. Diversamente, in un sistema di economia circolare tutte le risorse prime che vengono inserite nel processo produttivo non hanno mai una reale fine e mantengono il loro valore il più a lungo possibile, venendo riutilizzate e rimesse nel processo riducendo in questo modo drasticamente scarti e rifiuti. Numerosissime sono le aziende che per i loro processi produttivi oltre ad utilizzare materie prime non rinnovabili necessitano di ingenti quantità Lampade UV commerciali attivate da biossido di titanio sintetizzato da Bio Eco Active all’interno di un tubo di vetro in cui scorre di continuo l’acqua del pozzo

di acqua pura da falda o da fiumi (100-500 mc/h), che viene ridata all’ambiente parzialmente inquinata comportando costi notevoli di purificazione. L’economia circolare prevede che si dovrebbe usare la stessa acqua iniziale di processo, purificarla e riutilizzarla in continuo nel processo produttivo. Questo obiettivo spesso non può essere raggiunto per la limitata efficienza (cinetica e costi) dei processi di purificazione, nel caso di ingenti quantità di acqua utilizzata. Sulla base delle conoscenze di fotochimica viene utilizzata la radiazione UV, altamente energetica. Le lampade UV distruggono i microorganismi, virus, batteri e decompongono le sostanze chimiche disperse nell’acqua, ad esempio decolorandola o diminuendo i valori di COD. Oggi, tuttavia, è possibile aumentare l’efficienza e la cinetica di questo processo fotochimico utilizzando innovativi catalizzatori inorganici a base di ossidi di semiconduttori, ricercati, sintetizzati e brevettati da Bio Eco Active, che Hi-Tech Ambiente

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vengono attivati dalle radiazioni UV. Gli studi condotti hanno permesso di brevettare una tecnologia specifica, sintetizzando in laboratorio un biossido di titanio ad alte prestazioni, in grado di aumentare la sua azione foto-catalitica, valorizzando i principi della “green chemistry” e caratterizzato da elevati valori di reattività. Il prodotto, ottenuto nella forma di una sospensione stabilizzata di nano cristalli con dimensionalità media di 110 nm, dimostra da misurazioni con analisi strumentale BET aree superficiali imponenti, dell’ordine di 200-220 mc/gr di materiale solido. Attivando la superficie del semiconduttore con semplice illuminazione di opportuna lunghezza d’onda (UV), questo genera sia superficialmente che per diffusione di radicali a cascata, un potenziale ossidante capace di aggredire e disgregare un’ampia gamma di agenti inquinanti, organici e inorganici, sia in aria che in soluzione. Continua a pag. 50


aLs-Leochimica: garanzia del risultato analisi e consulenze ambientali

Strumentazione all’avanguardia e una squadra di campionatori e analisti altamente specializzata

Leochimica è un laboratorio presente da oltre 37 anni sul mercato, e da marzo di quest’anno è divenuto parte del gruppo ALS, una multinazionale australiana specializzata nel settore del testing. Con 270 laboratori di analisi (di cui 58 in Europa), è presente in 65 paesi del mondo con 350 sedi e oltre 13.000 collaboratori (di cui 3.000 in Europa). Fornisce servizi tecnici professionali per il settore “life sciences” (ambientale, alimentare e farmaceutico), per il settore energetico e minerario (esplorazione, estrazione, lavorazione e commercio) e per i settori industriali. Con l’acquisizione di Leochimica,

ALS entra nel mercato italiano offrendo alle aziende una gamma di servizi ancora più ampia e una professionalità consolidata. I laboratori Leochimica-ALS, infatti, offrono una significativa gamma di analisi chimiche, microbiologiche e biomolecolari sulle principali matrici: acque (superficiali, reflue, sotterranee, minerali, potabili), emissioni ed immissioni (in atmosfera, ambiente esterno, interno e di lavoro), rifiuti (solidi, liquidi, acquosi, eluati, fanghi), terreni (terre e rocce da scavo, terreni da siti di bonifica, sedimenti). Come già detto, anche la tipologia di analisi è molto varia. Nell’ambito delle analisi microbiologiche, vengono effettuate: determinazione dei parametri di routine; verifica dei parametri tossicologici; controllo dell’efficienza degli impianti di depurazione biologici; controllo degli impianti di condizionamento e condotte d’acqua per la ricerca della Legio-

nella; valutazione della qualità ecologica sui corsi d’acqua (IBE, STAR_ICMi, ICMi, IBMR). Per quanto attiene le analisi chimico/fisiche, invece, esse annoverano: determinazioni di analisi chimiche di base, dei componenti organici e inorganici; determinazioni gas–cromatiche (COV, IPA,

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22005, ISO 14001 e Sistemi di Gestione Integrati. Da segnalare che, a tutela dell’analisi eseguita, vengono utilizzate solo metodiche ufficiali e/o accreditate realizzate ad opera di una squadra di campionatori e di analisti altamente specializzata, per garantire al cliente la massima correttezza dei dati in tempi brevi. Recente è l’accreditamento per i PFAS e per l’IBE su matrici ambientali. Tra le prove accreditate, tuttavia, da ricordare i composti organo-stannici, le analisi della fitotossicità per rifiuti e fanghi, ecc. Qui di seguito le autorizzazioni ed i riconoscimenti del laboratorio: UNI CEI ISO 17025:2000 con il numero 0157; UNI EN ISO 9001:2008 per la progettazione ed erogazione di servizi di campionamento con esecuzione di prove di laboratorio chimiche, fisiche e microbiologiche (Schema di Accreditamento SGQ); iscrizione all'albo dei laboratori di ricerca. Ex art.4 L.46 -82; riconoscimento per analisi su emissioni, scarichi, rifiuti e residui riutilizzabili. L.R. n.33/1985; autorizzazione ad eseguire analisi su fertilizzanti (D.Lgs. n. 217/2006).

Leochimica: garanzia del risultato PCB e PCT, idrocarburi); determinazione di fenoli, aldeidi, isocianati, pesticidi; determinazione di amianto, silice, fibre di vetro e ceramica; PCDD/PCDF, PCB in HR; POPs; PFAS e PFOAS. Oltre alla parte analitica, Leochimica-ALS offre anche consulenza al settore ambientale. Difatti, affianca le aziende con una gamma di servizi quali: gestione tecnicoanalitica di discariche e impianti di recupero/trattamento rifiuti; implementazione della documentazione per la domanda di A.U.A. e A.I.A., per la previsione dell’impatto acustico ambientale, per l’autorizzazione all’attività di recupero rifiuti, per l’autorizzazione all’installazione o modifica degli impianti che generano emissioni in atmosfera; monitoraggio degli agenti fisici (rumore, vibrazione, campi elettromagnetici); predisposizione di pratiche per le certificazioni antincendio; consulenza per l’implementazione dei sistemi di gestione ISO 9001, BRC/ISF, ISO Continua da pag. 48

La fotochimica oggi L’ABBATTIMENTO DI INQUINANTI

Grazie agli studi condotti da Bio Eco Active ecco alcuni esempi relativi a prove di abbattimento di inquinanti: Prove eseguite in aria Ottimizzando le condizioni di attivazione superficiale del foto-catalizzatore, e non limitandosi quindi al suo funzionamento tramite illuminazione solare, è stato possibile spingere le capacità anti inquinanti del biossido di titanio a lavorare su matrici molto complesse e cariche di contaminanti pericolosi. Sono stati progettati e realizzati sistemi catalitici capaci di lavorare su flussi gassosi, quali ad esempio fumi di emissione di impianti industriali caratterizzati da picchi di concentrazione di inquinanti di varia natura. I sistemi si sono dimostrati efficaci verso una vasta gamma di analiti (NOx, SOx, H2S, VOC, ecc.) producendo abbattimenti rilevanti con costi di gestione della tecnologia limitati alla manutenzione del catalizza-

tore fotocatalitico e del sistema di illuminazione ultravioletta, con la necessità di richiedere intensità di lavoro e consumi energetici contenuti. Prove eseguite in soluzione Una seconda prova realizzata in laboratorio per abbattere i COD è stata sviluppata su un’acqua di un pozzo, normalmente utilizzata per l’irrigazione di alberi da frutto, attraverso delle lampade UV attivate da biossido di titanio sintetizzato da Bio Eco Active all’interno di un tubo di vetro dove scorre l’acqua. In

Grafico relativo all’abbattimento di H 2 S in fumi di emissione continua di impianto operato da prototipo lavorante a due esercizi di potenza

partenza i COD dell’acqua erano di 0,21 g/L di ossigeno; applicando il trattamento con il biossido di titanio seguito da irraggiamento di luce UV per 180 minuti, il tenore di COD è diminuito arrivando a 0,011 g/L di ossigeno, con una percentuale di abbattimento del 94,76%. CONCLUSIONI

La possibilità di applicazione di queste tecnologie a sistemi a flusso anche in soluzione acquosa, permette di accoppiare la generazione a bassi costi di radicali ossidanti, alla capacità di depurare acque e fumi industriali. Bio Eco Active utilizza queste innovazioni di illuminazione UV di nanocristalli di ossidi inorganici di sua produzione, accoppiandola all’uso di una fase inorganica biomimetica sintetizzata in proprio, in grado di abbattere metalli pesanti, molecole organiche e solidi sospesi. L’utilizzo sinergico di queste due innovazioni permette di intervenire anche su matrici particolarmente complesse contenenti, ad esempio, molecole cromofore e pigmenti organici, che rendono inutilizzabili trattamenti convenzionali che utilizzano esclusivamente radiazione ul-

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travioletta ionizzante. Al termine del processo, la rimozione di questi nano cristalli attivi, risulta particolarmente facile con metodi tradizionali di sedimentazione e filtrazione, non lasciando traccia di sé nelle acque di post trattamento. I processi fotochimici e le sostanze inorganiche fotocatalitiche aprono importanti possibilità di realizzazione in processi industriali di passaggio, dalla tradizionale economia lineare all’innovativa e moderna economia circolare. Le prime riflessioni del 1973, quando la crisi petrolifera impose all’occidente di valutare i propri consumi energetici, misero in dubbio il modello di civiltà industriale del tempo non in linea con la natura limitata delle risorse. Successivamente, grazie al rapporto “Brundtland” del 1987, fu definito lo sviluppo sostenibile imponendo di soddisfare il fabbisogno alimentare dell’intera popolazione, estendendo a tutti la possibilità di attuare le proprie aspirazioni ad una vita migliore. Tutto ciò impose un cambiamento fondamentale, aprendo la strada alla “green economy” e alla “circular economy”. E. D’ Amen, V. Tessore, A. Turchiarulo, N. Roveri


tecnologie Per la realizzazione dei pannelli solari vengono utilizzati semiconduttori ultrasottili di silicio, detti wafer, prodotti mediante il taglio di grandi blocchi di silicio. Durante questa fase viene perso fino al 50 % del prezioso materiale originale sotto forma di polvere di silicio. Si tratta di un inutile ed antieconomico spreco, che potrebbe essere evitato riuscendo a riciclare questa costosa polvere. Un team di ricercatori impegnati nel progetto europeo Sikelor hanno studiato come compattare e fondere in un unico processo gli scarti di silicio e contemporaneamente separare le impurità, così da poterli riutilizzare nella fabbricazione di nuovi pannelli solari. Le impurità, infatti, riducono l’efficienza dei pannelli, per cui è essenziale che alla fine del processo di riciclaggio i materiali siano molto puliti. Il primo step è stato lo sviluppo di un processo sicuro per compattare la polvere fine in palline, cosa di per se già non facile dato che le minuscole particelle presentano un rischio di pericolose esplosioni, e non sono così facili da compattare. Inoltre, le particelle di carbonio nella polvere producono piccole particelle solide di carburo di silicio come prodotto di scarto durante il processo di fusione che devono essere rimosse, mantenendo allo stesso tempo il tasso di ossidazione sulla superficie della polvere di silicio il più basso possibile così da prevenire la formazione di biossido di silicio. Allo scopo è stato utilizzato il riscaldamento a induzione per fondere le palline e rimuovere le impurità. Il campo magnetico ad alta frequenza applicato attiva la fusione con conduzione elettrica, “mescolando” in modo efficace la miscela, e questo riduce il contenuto di ossigeno nella fusione. Il silicio così lavorato da questo particolare forno, detto forno di solidificazione direzionale (Dss, Directional solidification systems), fa sì che le impurezze si concentrino solo nelle zone dei bordi e in superficie; è sufficiente, quindi, tagliarne i primi centimetri per ottenere un lingotto di materiale puro, anche se il materiale di partenza è proprio uno scarto di lavorazione. Come è facile intuire, il forno Dss ha caratteristiche uniche in quanto il riscaldamento elettromagnetico consente anche di sviluppare il cosiddetto "stirring elettromagnetico" ovvero il rimescolamento del fuso

Silicio puro dalla sua polvere Forno di solidificazione direzionale

Sviluppato un sistema per riciclare i preziosi scarti della produzione dei wafer senza contatto, sfruttando cioè solo le forze magnetiche prodotte dagli stessi induttori che servono anche per riscaldare il silicio. Due brevetti internazionali sono già stati attivati : uno per il sistema di riscaldamento del fondo, che funge anche da raffreddatore, ed uno per il sistema di riscaldamento delle pareti laterali del forno, che consente di accompagnare con precisione il fronte di solidificazione durante la fase di raffreddamento. Il forno Dss dopo la fase di laboratorio è stato prodotto e testato in scala industriale ed ora è pronto per essere proposto sul mercato.

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Le membrane in grafene Progetto GRAPHENEHF

La combinazione con fibre cave inorganiche per un’elevata superficie filtrante e un facile assemblaggio entro i moduli di filtrazione Le tecnologie di filtrazione e separazione su membrane sono largamente utilizzate per il trattamento delle acque, nell’industria alimentare, in quella farmaceutica, ecc. Uno dei principali problemi che si incontrano nella realizzazione delle membrane è la necessità di combinare la capacità di separazione (cioè la selettività nei confronti delle particelle estranee, che dipende dal diametro dei pori) con la permeabilità (cioè il massimo flusso che può attraversare la membrana stessa, che è inversamente proporzionale allo spessore della membrana). I produttori di membrane sono quindi alla ricerca di membrane con pori piccoli ma con spessori ultrasottili; spessori molto bassi comportano necessariamente una bassa resistenza meccanica, per cui le membrane filtranti vere e proprie vengono unite ad uno strato di supporto di tipo macroporoso. Le ricerche da tempo in corso sul grafene indicano che questo materiale è il più sottile possibile, essendo costituito da un singolo strato di atomi di carbonio collegati tra loro in modo da formare celle esagonali bidimensionali. Il progetto europeo GrapheneHF si è proposto di realizzare membrane in grafene supportato su fibre cave inorganiche; questa combinazione dovrebbe assicurare un’elevata superficie filtrante in rapporto al volume, consentendo al contempo un facile assemblaggio entro i moduli di filtrazione normalmente usati per le acque industriali. Sono state esplorate due diverse modalità di costruzione delle membrane: la deposizione chimica da vapore (CVD, cioè Chemical Vapour Deposition) e la dispersione-filtrazione.

IL METODO CVD

IL GRAFENE IN NANOTUBI Oltre che in forma di membrane, il grafene può essere formato in nanotubi, arrotolando un singolo strato di grafene in modo da ottenere un diametro 50.000 volte più piccolo di quello di un capello umano. Questi nanotubi lasciano passa-

re l’acqua, ma trattengono i contaminanti; l‘effetto è simile a quello dei carboni attivi, ma il rendimento (secondo ricerche attualmente in corso presso il Rochester Institute of Technology) promette di essere superiore. Inoltre, i nanotubi di grafene possono facilmente essere rigenerati per riscaldamento in un forno a microonde.

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La deposizione chimica da vapore è un metodo ben noto, utilizzato industrialmente da Samsung e Sony, con il quale è possibile produrre film di grafene di area fino a decine di metri quadri, e con spessore di uno o di pochi atomi di carbonio. Il metodo si basa sulla decomposizione termica sotto vuoto di idrocarburi (di solito una miscela di metano e idrogeno), catalizzata dalla superficie di un foglio metallico; ma il supporto metallico è privo di porosità, e quindi inadatto a fare da supporto per una membrana filtrante. Occorre pertanto rimuovere il film di grafene dal metallo di supporto, e trasferirlo su un supporto poroso; con le normali tecnologie questo è possibile per supporti piani, ma non per le fibre cave di uso comune. È stata pertanto realizzata una fibra cava costituita da due metalli (ad esempio, rame su uno strato di ferro); il grafene viene fatto depositare sul lato del ferro e successivamente il lato del rame viene attaccato con uno speciale reattivo chimico, che crea dei pori nello strato di rame. Il film di grafene viene infine ossidato selettivamente, in modo da creare pori sia entro di esso che nello strato di ferro. Nel quadro del progetto sono state preparate fibre cave bimetalliche di rame/acciaio e rame/ferro; in particolare, è risultato possibile depositare uno strato di grafene di pochi atomi di spessore sul lato esterno in rame di una fibra con struttura rame/lega rame+ferro. Risultati analoghi sono stati ottenuti su fibre ceramiche in zirconio/ittrio, sulle quali era stato depositato elettroliticamente uno strato di nichel. In entrambi i casi, tuttavia,


non è stato possibile trovare un metodo di attacco chimico che creasse la porosità voluta nelle fibre di supporto, senza distruggerne la struttura. IL METODO PER DISPERSIONE-FILTRAZIONE

Questo metodo è meno innovativo ma più collaudato: si tratta di preparare una dispersione di scaglie di ossido di grafene, ottenuti a partire dalla grafite. Per filtrazione della dispersione attraverso le consuete membrane a

fibra cava si ottiene la deposizione dell’ossido di grafene sulle membrane stesse. Il metodo richiede alcuni accorgimenti, come la creazione di un “strato sacrificale” per evitare l’alterazione in aria delle membrane, ma riesce a creare una membrana stabile. Il flusso di permeazione risulta molto basso, ma può essere aumentato con un trattamento a raggi UV, che introduce elementi di disordine nella struttura laminare dell’ossido di grafene: membrane così trattate consentono un flusso

di acqua di 2,8 litri/mq e un flusso di acetone di 7,54 litri/mq, con una capacità di reiezione di oltre il 90% (misurata su una soluzione del colorante rosso metile, avente un peso molecolare 269,3). CONCLUSIONI

Anche se non si è riusciti a risolvere il problema dell’attacco chimico selettivo, la preparazione delle membrane con il metodo CVD ha posto le premesse per futuri sviluppi in questa area. Le membrane preparata con il me-

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todo per dispersione–filtrazione hanno dimostrato che è possibile ottenere membrane in ossido di grafene aventi buona permeabilità ai liquida e totale impermeabilità ai gas.


ECOTIME A T T U A L I T A ’

E

C R O N A C A

E C O L O G I C A

La CO2 sottoterra Progetti in corso

Interessanti i risultati emersi grazie a UltimateCO2 condotto in Francia ed a CarbFix in Islanda Il 4 novembre 2016 è entrato in vigore l’accordo di Parigi sui cambiamenti climatici, che prevede una serie di azioni per contenere il surriscaldamento globale entro 2 °C, e possibilmente limitarlo a 1,5 °C entro il 2100. I Paesi firmatari dell’accordo si sono impegnati a ridurre drasticamente le emissioni di gas serra tra il 2018 e il 2020, per arrivare nella seconda

metà del secolo ad un livello di emissioni così basso da essere assorbito dall’ecosistema, bloccando così a livello di circa 450 ppm la concentrazione di CO2 nell’atmosfera. Sulla base dei dati ottenuti eseguendo carotaggi nei ghiacci dell’Antartide è stato possibile stabilire che la concentrazione di CO2 nell’atmosfera è rimasta pres-

sochè costante intorno a 280 ppm dalla caduta dell’Impero Romano fino al 1800 (inizio della Rivoluzione Industriale), per poi impennarsi con andamento esponenziale e raggiungere 400 ppm a fine 2016. Parallelamente (anche se con un andamento meno chiaro) sta aumentando la temperatura media nell’atmosfera; per cui è oggi generalmente riconosciuto

La centrale termoelettrica di Hellisheidi in Islanda (progetto CarboFix)

che se non vogliamo disastrosi aumenti nel livello dei mari, allargamento delle aree desertiche ed eventi atmosferici sempre più estremi, dobbiamo bloccare l’aumento della CO2 atmosferica. Le misure di contenimento dei consumi energetici e di promozione delle energie rinnovabili avranno certamente un ruolo importante, ma non saranno sufficienti su scala mondiale a fronteggiare la sempre crescente “fame di ener-

gia” di interi continenti (come Asia e Africa), che puntano a raggiungere i livelli di benessere (e quindi di consumi) che in Europa sono dati per acquisiti. Per ridurre le emissioni di CO2 in atmosfera occorre allora puntare su soluzioni che siano già sperimentate e presentino costi ragionevoli. Le tecnologie CCS (Carbon dioxide Capture and Storage) possono avere un ruolo importante, in quanto sono ormai collaudate dal punto di vista delle tecnologie e della sicurezza, e consentirebbero una “transizione morbida” verso il 100% di energie rinnovabili. InHi-Tech Ambiente

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fatti, mediante queste tecnologie la CO2 prodotta dai combustibili fossili sarà catturata e successivamente stoccata in formazioni geologiche sicure, dove potrà rimanere per centinaia di anni, venendo in molti casi assorbita dalle rocce stesse. In realtà lo stoccaggio sotterraneo dei gas è già operativo e viene usato da tempo per un gas molto più pericoloso della CO2: il metano. In molte parti del mondo, e anche in Italia, dalla fine degli anni ’70 vengono utilizzati giacimenti di petrolio e metano ormai esauriti, che si trovano a oltre 1.000 m di profondità e sono costituiti da rocce porose di origine sedimentaria; questi siti sono utilizzati per accumulare il gas durante l’estate, in modo da fronteggiare i picchi di domanda nella stagione invernale. In Italia sono attualmente autorizzati 17 siti di stoccaggio sotterraneo del metano, che nei periodi di punta arrivano ad erogare oltre 180 mln di mc/giorno; non c’è mai stato nessun incidente e non ci sono perdite di gas in atmosfera. Carota di basalto contenente carbonati (progetto CarboFix)

I PROGETTI IN CORSO

Un importante progetto, mirante a comprendere in modo approfondito gli effetti a lungo termine dello stoccaggio geologico della CO2, è stato finanziato dalla Commissione Europea nel quadro del programma FP-7 Energia. Il progetto è denominato UltimateCO2, e si è concluso da poco; in particolare, è stata studiata la possibilità di immagazzinare CO2, iniettata in fase supercritica, conservandola sottoterra nell’arco di 10.000 anni. L’area in questione ha un diametro di 600 km, è situata sotto l’area metropolitana di Parigi ed è composta da sedimenti che risalgono al Triassico o al Terziario, che hanno

una profondità massima di 3 km. Secondo i risultati emersi dal progetto, almeno il 50% della CO2 iniettata rimane per decenni in forma supercritica e tende a risalire verso l’alto. I rischi di fuga in superficie sono però molto bassi: è vero che la CO2 può attaccare chimicamente le rocce calcaree, ma negli strati geologici si instaurano meccanismi di auto-riparazione. Mentre i risultati del progetto UltimateCO 2 non evidenziano un ruolo importante nella diminuzione della CO2 dovuta a reazioni con le rocce profonde, i risultati di un altro progetto, denominato CarbFix e condotto in Islanda presso la centrale termoelettrica di Hellishe-

lol, mostrano risultati sorprendentemente diversi. Nel corso del progetto CarbFix la centrale ha iniettato nel sottosuolo del più grande parco geotermico del mondo 250 tonnellate di acqua contenenti CO2 e acido solforico, ad una profondità compresa tra 400 e 800 metri; si pensava che le reazioni chimiche tra il sottosuolo basaltico e la CO2 richiedessero centinaia di anni, mentre si è ottenuta una conversione del 95% in appena due anni. Sulla base di questi risultati, il progetto verrà ampliato iniettando ogni anno 5.000 tonnellate di CO2. I risultati del progetto islandese sono stati confermati da un esperi-

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mento compiuto in una zona dello Stato di Washington, che fa parte di un grande bacino basaltico naturale (Columbia River Basalt Group). Sono state iniettate 1.000 ton di CO2 liquefatta ad alta pressione, e nel giro di 2 anni la CO2 si è trasformata in ankerite (un minerale appartenente al gruppo della dolomite). I luoghi con sottosuoli basaltici sono molto numerosi: il basalto rappresenta il 10% delle rocce continentali. In futuro le centrali termoelettriche e le industrie pesanti potrebbero essere localizzate in queste aree, e la CO 2 direttamente iniettata “in loco”, eliminando i costi di trasporto.


L’imballaggio innovativo Progetto DIBBIOPACK

Sviluppati dei particolari contenitori multifunzionali, biocompatibili, compostabili e biodegradabili Attualmente, in Europa, ogni persona consuma una media di 200 sacchetti di plastica ogni anno. La maggior parte di queste buste rientrano nella categoria plastica leggera, che viene poco riutilizzata ed è molto di difficile da riciclare. Lo stesso vale per migliaia di bottiglie e confezioni di ogni tipo ricavate dal petrolio, la metà delle quali finiranno in discarica e avranno bisogno di secoli per essere degradate. Per soddisfare l’esigenza di ridurre l’uso di tali prodotti di così alto impatto ambientale, il progetto Dibbiopack ha sviluppato una serie di imballaggi multifunzionali, che sono biocompatibili, compostabili e biodegradabili, e che contribuiranno alla crescita di un’economia effettivamente circolare. I ricercatori del progetto hanno inizialmente focalizzato l’attenzione su imballaggi per tre settori specifici: farmaceutico, cosmetico e alimentare. Tuttavia, nel lungo termine, potrebbero beneficiare dei nuovi imballaggi proposti dal progetto anche altri settori, come ad esempio la raccolta e lo smaltimento dei rifiuti.

niscono agli imballaggi durabilità e proprietà meccaniche simili a quelle delle plastiche tradizionali. Queste nanofibre non vengono tuttavia a contatto diretto con i prodotti confezionati. Per tenere separati i contenuti vengono utilizzate etichette biodegradabili. Inoltre, queste etichette contengono agenti antimicrobici che vengono rilasciati nel caso di umidità, monitorando quindi la presenza batterica. L’imballaggio contiene anche sensori che cambiano colore a seconda della quantità di ossigeno presente all’interno della confezione. Ciò allo scopo di fornire maggiori infor-

mazioni sui prodotti e i processi della catena del valore degli imballaggi, aumentando la sicurezza e la qualità dei prodotti nell’intera catena di distribuzione. In definitiva, questo migliora la conservabilità dei prodotti confezionati e quindi riduce il rischio che vengano gettati nella pattumiera diventando rifiuti. Grazie ai sensori incorporati, le informazioni utili sulle condizioni del contenuto sono immediatamente disponibili, escludendo il bisogno di qualsiasi contatto, come ad esempio nell’uso di antenne RFID integrate nei cellulari o tablet. E ciò agevola anche la tracciabilità e l’ac-

cesso ai registri di informazioni. Infine, l’imballaggio utilizza anche pellicole biodegradabili con proprietà di barriera potenziate, grazie a una soluzione a tre strati che combina materiali di rivestimento biodegradabili con altri materiali inorganici applicati al plasma. I materiali usati per realizzare i nuovi imballaggi sono quindi polimeri “intelligenti” perché i materiali bioplastici presentano nuove caratteristiche che li rendono molto interessanti per la conservazione dei prodotti. Essi aumentano la durata dei prodotti, conservandone la qualità e segnalando ai consumatori le condizioni di conservazione del contenuto. PROSSIMI PASSI

Il consorzio Dibbiopack si trova ora nella fase di definire non solo le regole necessarie per valorizzare i suoi risultati a livello commerciale, ma anche la necessaria protezione della proprietà intellettuale per i processi implicati. I partner del progetto ritengono che alcuni dei loro prodotti hanno raggiunto il livello di sviluppo necessario che permetterebbe alle industrie di introdurli nel mercato; altri, invece, richiederanno ulteriori ricerche e sviluppo.

INNOVAZIONI DI ECO-DESIGN

Nel progettare i suoi prodotti, il progetto ha appositamente utilizzato le nanofibre, in quanto esse forHi-Tech Ambiente

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A Napoli c’è Ci.Ro. Con veicoli elettrici Renault

Un progetto di nuova mobilità urbana che integra servizi di infomobilità e di gestione di pratiche amministrative E’ stato sperimentato con successo a Napoli Ci.Ro., acronimo di City Roaming, un progetto di car e van sharing che si avvale di veicoli 100% elettrici Renault, per testare un sistema inedito di ottimizzazione del traffico cittadino, e più in generale di mobilità urbana. In Ci.Ro., una soluzione di mobilità in condivisione, si integra, infatti, per la prima volta, con ulteriori e innovativi servizi al cittadino di info-mobilità e amministrazione a km zero. Ne nasce un sistema senza precedenti sul mercato, in quanto basato sullo sviluppo di nuovi software e di

un nuovo hardware a bordo veicolo, che rappresenta una significativa innovazione nella gestione dei sistemi di condivisione di veicoli elettrici e della gestione della mobilità. Ci.Ro., ideato e sviluppato da Napoli Città Intelligente ente no profit, per il periodo di sperimentazione, conta su una flotta complessiva di 12 veicoli, utili a rispondere alle esigenze di mobilità sia della cittadinanza che dei turisti. Vi sono: otto Renault ZOE a disposizione degli utenti iContinua a pag. 58 Hi-Tech Ambiente

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Continua da pag. 57

A Napoli c’è Ci.Ro. scritti al servizio; una Renault Fluence Z.E. destinata agli enti pubblici locali, fra i quali il Comune di Napoli stesso; tre Renault Kangoo Z.E. Furgonetta per il servizio di van sharing. Una delle innovazioni sviluppate nell’ambito della ricerca portata avanti da Napoli Città Intelligente è visibile sui veicoli della flotta Ci.Ro. e consiste in un software di navigazione e di infomobilità progettato su architettura semantica, capace di razionalizzare la circolazione in città, abbinando alle classiche funzioni di navigazione un inedito sistema di esplorazione, ricco di informazioni sul territorio (luoghi turistici e culturali, shopping, ristoranti, ecc.), che ha lo scopo di ottimizzare i tempi di viaggio e di permettere

l’individuazione immediata di una destinazione anche da parte di turisti ed utenti occasionali. Quattro Ci.Ro. Point sono dislocati in diversi quartieri della città partenopea, tutti dotati di totem interattivi ove è possibile optare per l’iscrizione in real time al servizio di sharing (la registrazione avviene al totem con assistenza di operatore in streaming con produzione del badge in tempo reale), per l’accesso all’utilizzo dei veicoli elettrici Renault, ed anche per l’espletamento di pratiche amministrative a km zero. Quest’ultima sperimentazione parte con il rilascio dei permessi di sosta per i residenti in aree con parcheggi a striscia blu, eliminando l'onere di recarsi fisicamente presso l'Ufficio dell'Ente, e semplificando le procedure di rilascio e pagamento. La prenotazione del veicolo potrà essere effettuata sull’apposito si-

to web www.cityroaming.org oppure tramite la specifica app per smartphone. Il servizio non necessita di abbonamento, elemento questo molto importante per consentire anche ai turisti di usufruire del sistema. Dopo la prenotazione, il veicolo Renault potrà essere prelevato presso uno dei Ci.Ro. Point e riconsegnato in uno qualsiasi dei punti, anche diverso da quello di partenza. Il sistema è gestito dall’utente con un solo badge, senza uso di chiavi. Il progetto Ci.Ro. è stasto patrocinato dal Comune di Napoli e finanziato dal MIUR (Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca) nell’ambito del Programma Operativo Nazionale Ricerca e Competitività. <<Il progetto Ci.Ro. – afferma Francesco Fontana Giusti, Direttore Comunicazione di Renault Italia – ha rappresentato per Renault un’importante occasione

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per fornire con i nostri modelli a zero emissioni una risposta concreta e versatile alla domanda di sostenibilità e innovazione nei trasporti urbani. I veicoli elettrici sono una tecnologia matura e ideale per soluzioni di mobilità alternative, come il car sharing ed il van sharing>>. <<La ricerca è stata eseguita ai massimi livelli di competenza interdisciplinare – commenta Giambattista Pignataro, Project Manager di Ci.Ro - con l’obiettivo di mettere a punto uno strumento integrato di gestione della mobilità urbana che andasse oltre le funzionalità degli attuali sistemi di gestione di condivisione di veicoli elettrici. Tutto ciò è stato realizzato grazie anche ad un’efficace azione strategica del Comune di Napoli ed alla collaborazione di partner di rilievo quali Renault, ABB e Vodafone>>.


Le tempeste costiere, gli innalzamenti del livello del mare e le inondazioni rappresentano una minaccia fisica ed economica molto reale che deve essere affrontata nell’UE. In quest’ottica, il progetto Risc-Kit, finanziato dal 7°PQ (vi partecipa per l’Italia il CFR-Consorzio Futuro in Ricerca e la Fondazione Cima), si è posto come principali obbiettivi di prevedere in modo accurato le tempeste costiere e di ottimizzare le misure necessarie a prevenire i disastri. Ora, allo scopo di divulgare quanto più possibile il messaggio, sono state rese disponibili nuove versioni più brevi di un documento di sintesi relativo al Risc-Kit in diverse lingue. Questi documenti delineano quanto sia importante sviluppare delle strategie di riduzione del rischio di disastri come strumenti per aumentare la capacità di recupero delle coste. Essi contengono informazioni su scala nazionale e locale e forniscono degli esempi concreti di aree costiere dove le scoperte del progetto sono ora in fase di applicazione. I documenti dovrebbero portare dei reali benefici ad agenzie che si occupano di previsioni meteo e di protezione civile, amministratori delle aree costiere, governi locali, membri della comunità, Ong, pubblico e scienziati. Un terzo della popolazione dell’UE vive a meno di 50 km dalla costa, dove si stima venga generato il 30 % del pil dell’UE. Si stima che il valore economico delle sole aree costiere entro i 500 m di distanza dai mari europei si attesti tra i 500 e i 1.000 miliardi di euro. Infatti, il costo dell’inazione di fronte a tempeste costiere, aumenti del livello del mare e inondazioni è stato stimato in 6 miliardi di euro entro il 2020, una cifra che è significativamente più alta del costo annuale delle misure precauzionali e di adattamento. Al contrario, adottando dei provvedimenti si potrebbero creare fino a 4,2 miliardi di euro di benefici netti. Ed è qui che entra in scena il progetto Risc-Kit, destinato a concludersi entro la fine del 2017, il quale fornirà un kit di attrezzi open-source e ad accesso libero, che include metodi e approcci di gestione per ridurre il rischio e aumentare la capacità di recupero relativi a eventi meteorologici ad alto impatto nelle regioni costiere. Questo kit comprenderà lo strumento Craf (Coastal Risk Assessment Framework), capace di valutare velocemente su scala regionale

Il progetto Risc-Kit In sviluppo da ricercatori UE

Strumenti online per aiutare le regioni costiere a prevedere inondazioni e tempeste, ed a prepararsi a tali eventi le principali aree di rischio presenti e future dovute a molteplici pericoli sulle coste, oltre a una banca dati del rischio costiero di dati socio-economici e naturali attuali e del passato. Insieme, questi prodotti aiuteranno a potenziare le capacità di previsione, predizione e allarme anticipato, a migliorare la valutazione del rischio costiero a lungo termine e ad ottimizzare le misure di prevenzione, attenuazione e prontezza.

Il progetto, inoltre, si sta concentrando sulla componente sociale del cambiamento climatico nelle zone costiere, valutando i diversi modi in cui le comunità percepiscono e reagiscono agli eventi pericolosi. Per questo obbiettivo, Risc-Kit ha sviluppato un report che raccoglie dati socio-economici, culturali e fisici provenienti da dieci siti costieri europei oggetti di studio e un sito in Bangladesh. Le scoperte iniziali sottolineano l’influenza delle diver-

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sità socio-economiche, culturali e politiche sui provvedimenti adottati per ridurre il rischio e prevenire i disastri. Riuscendo ad ottenere una migliore comprensione di questa diversità, Risc-Kit sarà in grado di migliorare il successo della gestione del pericolo e di aumentare la capacità di recupero legata al rischio nelle zone costiere lavorando in più stretta collaborazione con gli utenti finali e i portatori di interesse locali.


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ECOTECH

a cura di ASSITA Biopoliuretani da risorse naturali

I polioli sono un’importante classe di molecole nella chimica dei polimeri, gli elementi costituenti di importanti composti, inclusi i poliuretani. I biopolioli derivati da oli vegetali vengono sempre più spesso modificati per ottenere un’alternativa derivata dalla biomassa ai poliuretani basati sui combustibili fossili. Visto che i polioli sono uno dei componenti principali delle formulazioni del poliuretano, l’incorporazione di polioli basati su risorse naturali aumenta il contenuto di carbonio rinnovabile nel materiale finale. L’uso di questi polioli sta perciò giocando un ruolo sempre più rilevante nella bioeconomia globale. Il progetto europeo BIOPURFIL (Bio-based polyurethane composites with natural fillers) ha usato tecnologie all’avanguardia per produrre compositi derivati da biomassa formati da matrici di poliuretano rinforzate con filler naturali. I partner del progetto hanno sintetizzato un’ampia varietà di polioli naturali a base di olio di colza, olio di palma e tall oil. Il tall oil (noto anche come tallolo) è un liquido resinoso, abbondante sottoprodotto della produzione della pasta di legno e nelle cartiere. Sono stati utilizzati anche polioli derivati da olio di ricino, olio di lino e olio di semi di soia. Con microcellulosa e sisal quali filler naturali disponibili in commercio e il glicerolo quale modificatore reattivo per facilitare le reazioni chimiche, i polioli derivati da biomassa sono stati usati per produrre una varietà di schiume porose e rigide in aggiunta a biopoliuretani non in schiuma. Le schiume rigide in poliuretano

sono uno dei materiali più importanti usati nell’industria globale dell’edilizia e degli elettrodomestici, come ad esempio in frigoriferi e congelatori. Esse possiedono un’ampia gamma di caratteristiche utili, come ad esempio isolamento dal calore, assorbimento acustico, oltre al fatto di essere leggere e a prova di urto. Gli scienziati hanno inoltre esaminato gli effetti di biopolioli, filler naturali e glicerolo sulla densità della schiuma e anche su proprietà fisico-chimiche e meccaniche, e sulla morfologia. Questo ha fornito delle preziose conoscenze sulla loro idoneità per sistemi a spruzzatura, stampaggio e colata. I ricercatori hanno inoltre ottimizzato le formulazioni per produrre una gamma di compositi derivati da biomassa. Inoltre, i processi di preparazione dei biocompositi sono stati effettuati quasi sempre senza solventi e con quantità ridotte di catalizzatori.

Dal gas di sintesi al biodiesel

La conversione del gas di sintesi (miscela di ossido di carbonio, CO2 e idrogeno) in idrocarburi può essere ottenuta con la sintesi Fischer-Tropsch, che richiede però l’eliminazione della CO2 e condizioni spinte di temperatura e pressione. Una via biologica, che si svolge a pressione e temperatura prossime alle normali condizioni ambiente e che consentirebbe di utilizzare anche la CO 2, è attualmente allo studio da parte dei ricercatori del MIT.

Il processo si compie in due stadi: nel primo il gas di sintesi viene alimentato ad un reattore ananerobico, contenente il batterio Moorella Thermoacetica; da questo reattore si ottiene acido acetico, che viene alimentato al secondo reattore. Questo contiene un lievito oleaginoso ingegnerizzato (Yarrowia lipolitica), che opera in condizioni anaerobiche e trasforma l’acido acetico in grassi, da cui si può ottenere biodiesel con il consueto processo di transesterificazione. Al momento il processo è stato collaudato in un reattore continuo su scala di laboratorio, che ha prodotto 18 g/l di esteri della glicerina con numero di atomi di carbonio da 16 a 18, partendo direttamente dal gas di sintesi.

Idrogeno per cracking del metano Già oggi, la maggior parte dell’idrogeno utilizzato industrialmente viene prodotto a partire dal metano; ma il processo utilizzato (steam reforming) produce come sottoprodotto CO 2, per cui questo metodo di produzione non può essere considerato sostenibile dal punto di vista ambientale. Per questo motivo, da tempo si stanno facendo ricerche per scindere il metano nei suoi atomi costituenti, cioè idrogeno e carbonio; quest’ultimo dovrebbe però essere ottenuto in una forma che sia facilmente separabile e utilizzabile industrialmente. Recentemente sono stati presentati due diversi processi che sembrano aver raggiunto questo obiettivo. Il primo si deve a Carlo Rubbia, che lo ha sviluppato insieme all’Istituto per gli Studi di Sostenibilità Avanzata di Postdam ed al Karlsruhe Institute of Technology; il secondo al Laboratorio Sistemi di Tecnologia Sostenibile della Università di Sidney ed alla società australiana Hazer Group. Entrambi i processi utilizzano

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temperature elevate; nel processo tedesco queste vengono ottenute da un bagno di stagno fuso ad oltre 750 °C; mentre nel processo australiano si ottengono riscaldando un catalizzatore a base di minerali di ferro, dal costo minimo. Il carbonio viene ottenuto in forma di nerofumo nel processo tedesco e in forma di grafite nanostrutturata nel processo australiano (la grafite si deposita sulla superficie del catalizzatore fino ad incapsularlo completamente). Il processo tedesco è stato testa-

to su scala pilota nel Laboratorio Metalli Liquidi dell’Istituto di Karlsruhe: durante una marcia ininterrotta di 14 giorni è stato prodotto idrogeno con una efficienza di conversione del 78%. Una valutazione dell’impatto ambientale di questo processo, eseguita dall’Università di Aachen, indica che le emissioni di CO2 sono paragonabili a quelle della produzione di idrogeno per elettrolisi dell’acqua, e circa metà di quelle dei processi attuali, calcolate in base al rapporto tra le emissioni di CO2 e la quantità di idrogeno prodotta. Al prezzo attuale del metano, l’idrogeno costerebbe da 1,9 a 3,3 euro per kg di idrogeno prodotto, senza considerare il possibile ricavo ottenibile dalla vendita del carbonio stesso.

Scambiatore di calore super efficiente L’Ente giapponese per lo Sviluppo industriale delle energie e delle tecnologie (Nedo), insieme con la società Mino Ceramics e la Thermal Management Materials and Technology Research


Association (TherMAT), ha realizzato uno scambiatore di calore adatto a funzionare fino a 1.300 °C, con efficienza tre volte superiore a quella degli scambiatori realizzati con le tecnologie attuali. La struttura del nuovo scambiatore comprende materiali capaci di resistere per lungo tempo alle alte temperature, e presenta una configurazione ibrida costituita da tubazioni a parete doppia ed a parete multipla. In questo modo è possibile ottenere recuperi termici del 18-24%, contro il 5-7% degli scambiatori attuali. La Mino Ceramics ha già iniziato la produzione industriale dei nuovi scambiatori, e sta lavorando ad una nuova versione, capace di resistere fino a 1.500 °C.

Idrocarburi aromatici da biomasse La dita americana Anellotech ha sviluppato, in collaborazione con l’azienda francese IFP Energies Nouvelles, con l’istituto di ricerca francese Axens e la britannica Johnson-Matthey Catalysts, un nuovo processo biologico per la produzione di benzene, toluene e xilene (BTX). Il processo, denominato Bio-TCat, è basato su una tecnologia di conversione termica-catalitica delle biomasse legnose, e verrà messo a punto presso un impianto sperimentale (denominato TCat-8). Questo impianto diventerà operativo entro la fine del 2016 presso il polo chimico della South Hampton Resources (società sussidiaria della dita statunitense Trecora Resources), situato nelle vicinanze della città di Silsbee, Texas. Esso avrà una capacità di tratta-

Cella solare ibrida Scienziati dell’Università di Yonsei (Sud Corea) hanno realizzato una cella solare ibrida, che produce energia elettrica sfruttando contemporaneamente sia la luce che il calore del Sole. La nuova cella è costituita da un film fotovoltaico del tipo a coloranti organici, abbinato ad un altro film costituito dal polimero trasparente ed elettroconduttivo PEDOT (Poly 3-4 EtilenDiOssiTiofene). Il film a coloranti organici assorbe parte delle radiazioni nella parte UV e visibile allo spettro solare; le altre frequenze, che non vengono assorbite, passano al film in PEDOT, che le converte in energia elettrica combinando gli effetti fototermico e piroelettrico. Questa combinazione produce oltre il 20% in più di energia elettrica rispetto a una cella FV del tipo convenzionale.

mento di circa 500 kg/giorno di biomasse e consentirà di produrre BTX a costi competitivi, impiegando un sistema a reattore singolo alimentato con biomasse non alimentari. La Anellotech sta effettuando ricerche sulle tecnologie di conversione delle biomasse già dai tempi in cui venne costituita per la commercializzazione del processo di pirolisi catalitica rapida, sviluppato presso il laboratorio George Huber dell’Università del Massachussets; attualmente, l’azienda sta lavorando con gli altri partners per mettere a punto una nuova versione del processo catalitico e una nuova tecnologia basata su un reattore a letto fluido. L’attività di ricerca e sviluppo condotta dalla Anellotech si è tradotta nel corso dello scorso

anno in numerosi investimenti, tra cui quello della ditta Suntory che opera nel settore delle bibite gassate, e che è interessata ai processi biochimici per la produzione di bottiglie in PET ricavato da risorse rinnovabili.

Stop alla corrosione di Al senza CrVI

L’alluminio è il secondo metallo più comunemente usato dopo il ferro. Le applicazioni abbondano nei settori aerospaziale, architettonico e marino, nonché nei prodotti per uso domestico. È tipicamente anodizzato (rivestito con uno strato di ossido protettivo tramite un processo elettrolitico) e poi i pori sono sigillati con una soluzione di acqua calda e cromo esavalente (CrVI) per migliorare la resistenza alla corrosione. Anche se questo metodo è stato utilizzato per decenni con grande successo, il CrVI ora è un noto cancerogeno e l’industria deve trovare un’alternativa rispettosa dell’ambiente. Con questo fine, il progetto europeo CHROMFREE (Chromium free surface pre-treatments and sealing of tartaric sulphuric anodizing) ha sviluppato un nuovo processo nel quale cui tutti i passaggi utilizzano soluzioni prive di composti di cromo esavalente. Tale processo, che comprende fasi di pretrattamento, anodizzazione TSAA, sigillatura e successiva verniciatura, è stato convalidato attraverso numerosi test per verificare che le parti rivestite soddisfacessero tutti i requisiti richiesti da uno dei partner del progetto, ossia il costruttore di aerei Airbus. ChromeFree ridurrà l’impronta ecologica generata dalla fabbricazione dei velivoli e i costi per lo smaltimento dei rifiuti chimici pericolosi. La realizzazione del

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processo su scala industriale ridurrà i costi di smaltimento e/o il riciclo dei materiali durante i processi di riparazione, nonché i costi di riciclo alla fine della durata della vita utile di tali parti. Inoltre, il nuovo processo comporterà benefici in termini di salute e sicurezza per i lavoratori occupati nei rispettivi processi galvanici e nella riparazione. La tecnologia sviluppata da ChromFree supporterà anche l’utilizzo di leghe leggere di alluminio leggere nell’ambiente difficile delle applicazioni aerospaziali, consentendo significative riduzioni di peso, di consumi di carburante ed emissioni. Consentirà inoltre ai partner del progetto di espandersi in nuovi mercati per l’Al anodizzato, tra cui il settore dell’elettronica high-end e automobilistico.

La depurazione con ciclodestrine Le ciclodestrine sono prodotti di degradazione enzimatica dell’amido, che negli ultimi anni suscitano molto interesse per la loro capacità di “catturare” altre molecole. Vengono utilizzate nei deodoranti, per mascherare cattivi odori o sapori nei prodotti farmaceutici da assumere per via orale, nelle formulazioni alimentari, e per la produzione di tessuti con caratteristiche anti-odore. In tutte queste applicazioni sono avvantaggiate dall’assoluta assenza di tossicità e dal costo relativamente basso. Una nuova applicazione per le ciclodestrine è stata recentemente proposta dai ricercatori statunitensi della Cornell University (New York): la purificazione delle acque di scarico e, in particolare, degli effluenti industriali. In questo caso le ciclodestrine si sono rivelate 200 volte più efficaci del carbone attivo; inoltre, la loro rigenerazione è meno costosa e possono essere utilizzate più volte.


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AMBIENTE LE AZIENDE CITATE

Accenture Tel 02.77758931 Fax 02.777699999 E-mail giulia.marcolli@accenture.com

DIBBIOPACK project Tel +34.976.464544 Fax+34.976.476187 E-mail berta.gonzalvo@aitiip.com

HYTIME project Tel +31.317.480221 Fax +31.317.483011 E-mail pieternel.claassen@wur.nl

Agici Tel 02.5455801 Fax 02.54118532 E-mail valeria.mazzanti@agici.it

Econ Industries Gmbh Tel +49.8151.4463770 Fax +49.8151.44637799 E-mail info@econindustries.com

Ideco Srl Tel 0823.459383 Fax 0823 421048 E-mail info@idecodepura.it

Anellotech, Inc. Tel +1.845.7357700 Fax +1.845.7357799 E-mail dsudolsky@anellotech.com

Ecotec Solution Srl Tel/Fax 0473.562437 E-mail info@ecotecsolution.com

Leochimica Srl Tel 0434.638200 Fax 0434.638210 E-mail info@leochimica.it

Associazione Napoli CittĂ Intelligente Tel 081.18995459 E-mail giannipignataro@cityroaming.org Bio Eco Active Srl Tel/fax 051.916667 E-mail info@bioecoactive.it BIOPURFIL project Tel +48.12.6283016 Fax +48.12.6282035 E-mail prociak@pk.edu.pl Biovalene Srl Tel 0434.28197 E-mail fabio.messinese@biovalene.it CarbFix project Tel +354.591.2700 E-mail carbfix@or.is

Edilana Tel 070.9371808 E-mail info@geolana.com

NEDO Tel +81.44.5205281 E-mail thermal-energy@ml.nedo.go.jp

European Patent Office Tel +49.89.23991820 E-mail rosterwalder@epo.org

PLASCARB project Tel +44.1642.442474 E-mail neville.slack@uk-cpi.com

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Renault Italia Spa Tel 06.4156486 Fax 06.41566486 E-mail gabriella.favuzza@renault.it

ETG Risorse e Tecnologia Srl Tel 0141.994905 Fax 0141.994971 E-mail infoetg@etgrisorse.com

Savi Srl Tel 0376.663721 Fax 0376.664256 E-mail silvio.banzi@wamgroup.com

Fondazione Cima Tel 019.230271 Fax 019.23027240 E-mail nicola.rebora@cimafoundation.org

CFR-Consorzio Futuro in Ricerca Tel 0532.762404 Fax 0532.767347 E-mail cvp@unife.it

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CHROMFREE project Tel +43.2622.2226618 Fax +43.2622.222665 E-mail norica.godja@cest.at

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SHERPA project Tel +32.2.5461945 Fax +32.2.5461947 E-mail maria.laguna@esha.be SIKELOR project Tel 049.8277708 Fax 049.8277599 E-mail fabrizio.dughiero@dii.unipd.it Susmilk project Tel +49.208.85981133 Fax +49.208.85981295 E-mail christoph.glasner@umsicht.fraunhofer.de UltimateCO2 project Tel +49.511.6430 Fax +49.511.6432304 E-mail r.stead@brgm.fr




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