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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVII MAGGIO 2016

DM 5046/2016

L’uso agronomico dei reflui

a pagina 8

PROGETTO ADAW

Il pretrattamento ultrasonico

NUOVI MATERIALI

a pagina 36

I LIQUIDI IONICI a pagina 56 SPECIALE

a pag. 49

MISURATORI DI OSSIGENO DISCOLTO

N4



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA APPROFONDIMENTI

L’energia da biogas povero 8

L’uso agronomico dei reflui Normativa di riferimento in materia di acque di scarico, effluenti di allevamento, materiali solidi e digestato

Il pretrattamento ultrasonico

11 ENERGIA

In ambito industriale: filtrazione, chiarificazione, addolcimento chimico, scambio ionico, dissalazione, carbone attivo

Depurare in economia

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Tecnologia che consente gestione e valorizzazione degli scarti di macellazione con trattamenti avanzati di digestione anaerobica

DEPURAZIONE Per ogni acqua il suo metodo

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Basato sul motore Stirling, il sistema GasBox è un’alternativa alla combustione in torcia

L’efficienza nelle industrie

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Tecnologie adottabili, normativa attuale, valutazione economica ed impatto ambientale, caratteristiche dei consumi energetici

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Importanti risparmi energetici, minori costi di gestione e maggiore efficienza dei processi depurativi

MACCHINE & STRUMENTAZIONE GREEN FASHION

Meno consumi migliori performance

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Il controllo online di acqua e gas

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Soluzioni tecnologiche che consentono un considerevole risparmio economico e di spazio

Tra i tanti interventi realizzati, la centrale di cogenerazione e l’impianto di fitodepurazione del percolato

Le scarpe eco-alternative

La pompa per autocisterna

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Dal recupero di vecchie calzature per produrne di nuove, all’impiego di gusci di noce, fondi di caffè o reti da pesca

SICUREZZA

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TECNOLOGIE

RIFIUTI L’alluminio da vecchie auto

I liquidi ionici 24

Nell’ambito del progetto ShredderSort è in sperimentazione un processo integrato di selezione/separazione semplice e veloce

Il trattamento dei rifiuti organici

Navi: SOS biofouling 29

Dai disidratatori ai compostatori di comunità, dalla biotriturazione al trasporto pneumatico: pro e contro

SPECIALE “MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO”

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SMART & GREEN

L’automazione frena i consumi

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Una promettente risorsa per rendere più sostenibili i processi chimici, ossia a minore dispendio energetico e minori emissioni inquinanti

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MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente

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Panorama DA FIsE-AssOAMbIEnTE

Linee Guida contro eco-reati

Fise-Assoambiente  ha  elaborato  e di  recente  presentato  le  Linee Guida “Modelli organizzativi e sistemi  di  gestione  ambientale”  per l’applicazione  del  D.Lgs

231/2001  nel  settore della  gestione  rifiuti  e attività  di  igiene  urbana.  Tale  documento, approvato dal Ministero  di  Giustizia,  costituisce  un  approfondimento rispetto a quello elaborate da Confindustria, e rappresenta per le  imprese  del  settore uno strumento operativo per definire un adeguato  sistema  di  prevenzione  e  controllo  dei  reati. perno  centrale  delle  nuove  Linee Guida  sono  i  MOG  (Modelli  Organizzativi),  un  sistema  di  controllo  preventivo,  che  parte  da

un’analisi  dei  rischi,  individua  le fattispecie di reato cui è potenzialmente sottoposta l’organizzazione e definisce un adeguato sistema di prevenzione  e  controllo.  Tra  i principali  obiettivi  dei  MOG  c’è l’individuazione  delle  attività  nel cui  ambito  possono  essere  commessi reati, la previsione di specifici  protocolli  diretti  a  programmare  la  formazione,  l’attuazione delle  decisioni  dell’azienda  in  relazione ai reati da prevenire e l’introduzione  di  un  sistema  disciplinare  idoneo  a  sanzionare  il  mancato rispetto delle misure indicate nel modello. Con  queste  Linee  Guida,  quindi, Fise-Assoambiente  vuole  proprio

supportare,  attraverso  indicazioni e misure tratte dalla pratica aziendale, le imprese nell’identificazione  delle  attività  “sensibili”  potenzialmente  in  grado  di  condurre  i soggetti  apicali  ad  assumere  una condotta  colposa;  tra  queste:  pianificazione  dei  conferimenti/trasporti,  gestione  flussi  in  ingresso e in uscita, monitoraggi ambientali  (suolo,  acqua  e  aria),  gestione gare e manutenzione impianti. <<Le nuove Linee Guida - dichiara  Giulio  Manzini,  presidente  di Fise-Assoambiente -  sono finalizzate  a  promuovere  concretamente la  legalità  nel  mercato  della  gestione  rifiuti,  ad  alimentare  la  fiducia e a tutelare il capitale reputazionale e di immagine delle imprese  del  comparto,  rendendo  verificabile  la  loro  affidabilità  nelle gare,  nei  bandi  e  in  generale  nei rapporti con altri soggetti pubblici e privati>>.

DuE AnnI DI TEMpO

FIRMATO IL DECRETO

+ vetro - ceramica

Il digestato nei campi

CoReVe,  accogliendo  le  richieste di  Anci,  ha  deciso  di  modificare per  il  solo  biennio  2016/2017  le specifiche  tecniche,  previste dall’Accordo Quadro, relativamente alla quota di inerti presenti nella raccolta  differenziata  del  vetro, rendendole meno severe.  Infatti  è  emersa  la  necessità  di  organizzare  meglio  la  raccolta  differenziata,  con  particolare  riguardo ai conferimenti della ceramica, anche  in  seguito  a  recenti  studi  che CoReVe  ha  sviluppato  insieme  ad Hera (Rimini) ed Amia (Verona), i quali  hanno  evidenziato  come  il principale  flusso  di  ceramica  presente  nei  rifiuti  d’imballaggio  in vetro derivi dal canale dei bar e ristoranti  con  un’incidenza,  sulla

raccolta  differenziata,  di  circa  tre volte quella delle famiglie. Intervenendo su questo fronte si potranno ottenere  significativi  miglioramenti. parallelamente, CoReVe intende avviare specifiche campagne rivolte ai pubblici esercizi per informarli  e  sensibilizzarli  sull’importanza di  differenziare  il  vetro  con  cura, conferendo  la  ceramica  nei  rifiuti indifferenziati, anche per evitare di incorrere  nelle  sanzioni  previste dalla legge.  La  specifica  sarà  quindi  articolata, per  la  parte  riguardante  gli  inerti, in  subfasce  con  differenti  percentuali  e  corrispettivi,  che  saranno applicate  ai  quantitativi  conferiti dai  convenzionati  a  partire  dal  1 gennaio 2016.

Il  Ministero  dell’Agricoltura  ha comunicato  a  fine  febbraio  che  è stato adottato il decreto interministeriale che prevede sia la revisione  delle  norme  relative  all'uso  agronomico  degli  effluenti  di  allevamento,  sinora  disciplinate  dal DM  7/4/2006,  sia  nuove  norme sull'impiego agronomico del digestato prodotto dagli impianti di digestione anaerobica. Le novità introdotte dal nuovo decreto riguardano in particolare uso agronomico  del  digestato  frutto della  digestione  anaerobica  degli effluenti  di  allevamento  e  di  una serie  di  materie  tra  cui  scarti  ve-

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getali  ed  alcuni  scarti  dell'agroindustria;  bipartizione  del  digestato in  agrozootecnico  ed  agroindustriale;    divieto  all’uso  agronomico del digestato prodotto da colture che provengano da siti inquinati;  possibilità  per  le  Regioni  di modificare il periodo obbligatorio di  60  giorni  di  divieto  di  spandimento  degli  effluenti,  a  seconda delle  diverse  condizioni  climatico-ambientali; introduzione di una graduale  limitazione  all'uso  di colture  no-food  alternative  all'uso agricolo  dei  terreni  coltivati;  calcolo  dell'azoto  tramite  l'effettivo fabbisogno delle colture.


un MODELLO DI ECCELLEnzA

La raccolta di Al a bordo “Message in a can” è un progetto di  promozione  e  sviluppo  di  raccolta differenziata e riciclo di lattine  per  bevande  in  alluminio  a bordo  della  navi  Costa  Crociere che fanno scalo a savona, realizzato  con  il  patrocinio  del  Ministero  dell’Ambiente  in  collaborazione con CiAl.  Raccolta  e  riciclo  sono  iniziate nel  2007  e  rappresentano  un  modello  di  eccellenza  nel  settore marittimo. In 9 anni sono state riciclate circa 334 ton di alluminio, passando da 23,2 ton per il primo anno a 48,6 ton nel 2015.  Oltre agli importanti benefici ambientali,  “Message  in  a  can”  garantisce  benefici  di  carattere  so-

ciale:  il  corrispettivo  economico riconosciuto da CiAl per il materiale  raccolto  viene  ridistribuito al  personale  Costa  che,  a  bordo delle  navi,  si  adopera  per  le  operazioni di raccolta e compattazione dell’alluminio. Dal  canto  suo,  invece,  l’Autorità portuale  di  savona  ha  realizzato nel  lontano  2007  un’isola  ecologica  autorizzata  allo  stoccaggio

OTTIMIsMO nEL MERCATO

Acque: impianti oggi

@AMBIENTE ON-LINE@

Da progetto a realtà Irena,  l’Agenzia  internazionale delle  rinnovabili,  ha  di  recente lanciato  navigator,  una  piattaforma online creata con l’obiettivo di facilitare  lo  sviluppo  di  progetti basati sulla green energy (www.irena.org/navigator).  Questo  tool offre  a  progettisti  e  investitori  un ricco database costituito da knowhow,  strumenti  di  pianificazione, casi studio e buone pratiche. La piattaforma, infatti, nasce dalla precisa  esigenza  di  fornire  informazioni  ed  esperienze  affinchè molte idee promettenti nel campo delle  energie  rinnovabili  possano essere  concretamente  realizzate. Troppo spesso, oggi, il più grosso ostacolo è rappresentato solamente  dal  non  saper  “come  fare”  per implementare  una  buona  idea.  I

di  79  diverse  tipologie  di  rifiuti, realizzando una raccolta differenziata sul totale dei rifiuti prodotti che  negli  ultimi  anni  è  stata  del 87%.  per  quel  che  riguarda  in particolare  la  città  di  ligure,  “savona, Message in a can” prevede: una  campagna  di  sensibilizzazione  diretta  ai  cittadini,  realizzata in collaborazione con il Comune, per donare alla città arredi urbani realizzati  in  alluminio  riciclato; una  campagna  di  sensibilizzazione sui social media, che premierà con  una  crociera  Costa  e  alcune Riciclette di CiAl i migliori scatti fotografici.

progetti di “successo” sono caratterizzati da una tecnologia solida, proposte convincenti, strumenti di finanziamento  ad  hoc  e  informazioni dettagliate per l’analisi degli investimenti.    Ed  è  proprio  su questi  campi  che  il  navigator  intende informare gli utenti, aumentando  di  conseguenza  la  percentuale  di  successo  delle  proposte progettuali.  Questo  significa,  ad esempio,  che  attraverso  la  piattaforma  ogni  utente  potrà  cercare su  scala  globale  tutti  i  finanziamenti messi a disposizione per tipologia  di  fonte  alternativa  o  per regione.

www.irena.org/navigator

secondo  Aqua  Italia, l’associazione  costruttori  impianti  e componenti  per  il trattamento  delle  acque primarie, il settore  degli  “impianti, apparecchiature  e prodotti  per  acque primarie  industriali” ha  concluso  l'anno 2015  con  un  crescita moderata:  il  mercato interno  cresce  del 2,5%  e  le  esportazioni  del  1,5%, una  crescita  contenuta  per  essere considerata una vera e propria inversione  di  tendenza  rispetto  agli ultimi  anni.  Inoltre,  la  leggera crescita  è  dovuta  in  gran  parte dall’aumento  dei  prezzi  causato dall’incremento  del  costo  delle materie  prime  sommato  al  calo del  valore  del  dollaro,  più  che  a un reale aumento della domanda.  Il  comparto  industriale  interno conferma  quindi  la  sua  generale sofferenza  e  le  esportazioni,  che restano  essenziali  per  il  settore occupando circa il 50% della produzione,  risentono  delle  tensioni internazionali  e  non  permettono di  sperare  in  un  miglioramento per il 2016.  L’occupazione si conferma sui livelli  del  2014  e  le  previsioni  per l’anno appena iniziato sono di sostanziale  riconferma  dell’attuale quadro generale.  Decisivi  segnali  di  ripresa  per  il settore “impianti e apparecchiature  per  le  acque  primarie  civili”, sia  nei  numeri  della  produzione

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che  nell’ottimismo  del  mercato; riflettendo,  e  in  alcuni  casi  superando, l’andamento dei settori affini.  produzione  in  aumento (+6,6%)  e  crescita  delle  esportazioni  (+5,6%)  decretano  il  primo anno  in  cui  la  crescita  interna  è stata trainante rispetto alle esportazioni;  complici  di  tale  situazione  positiva  sono  sicuramente  gli incentivi  all’efficienza  energetica, la ripresa del comparto edile e le  nuove  norme  specifiche  che rendono obbligatorio il trattamento acqua.  Anche gli investimenti registrano una crescita del 4%, mentre l’occupazione  rimane  invariata  rispetto all’anno precedente.  per  il  2016  il  settore  prevede  un sostanziale  consolidamento  della crescita, la cui aspettativa è legata in gran parte alla conferma degli incentivi per l’efficienza energetica,  senza  i  quali  il  trend  diventerà più difficile da confermare. sempre relativamente all’anno appena  cominciato,  si  prevedono un +5,8% degli investimenti.


CREsCITA In TuTTA ITALIA

Raee: la raccolta sale Dall’analisi dei dati elaborati dal Centro  di  Coordinamento  Raee, il  2015  segna  un  anno  di  grande ripresa  per  il  sistema  Raee,  con un  incremento  sia  della  raccolta complessiva  (+8%)  gestita  dai sistemi  Collettivi,  sia  dei  Centri di  Conferimento  (+2,76%)  a  disposizione dei cittadini.  I  risultati  sono  molto  positivi, nonostante  le  differenze  che  permangono  tra  le  diverse  aree  del paese.  <<I  dati  di  quest’anno  possono indurre  tutti  ad  un  certo  ottimismo  -  dichiara  Fabrizio  D’Amico,  presidente  del  CdC  Raee  -  i tempi  del  crollo  drammatico  dei flussi  di  rifiuti  sembrano  essere alle  spalle  e  si  nota  un  vento  di ripresa  anche  nel  nostro  settore, dopo le consistenti perdite di volumi  registrate  negli  ultimi  tre anni.  Vogliamo pensare che la raccolta dei raee in Italia stia recuperando il  tempo  perduto  e  si  prepari  a decollare  verso  gli  obiettivi  che le Direttive europee assegnano al nostro paese>>. nel 2015 la raccolta complessiva dei  raee  è  stata  pari  a 249.253.916  kg,  con  un  incremento  di  oltre  17  mln  di  kg  rispetto  all’anno  precedente  e  un dato  medio  pro  capite  pari  a  4,1 kg di raee raccolti per abitante.  In crescita come già visto anche i Centri  di  Conferimento  attivi  sul territorio  nazionale,  che  arrivano a  quota  3.906,  con  un  miglioramento del servizio a disposizione dei  cittadini  che  desiderano  conferire correttamente i propri raee. Questi  risultati,  oltre  alla  ripresa del mercato delle aee, sono anche il  frutto  di  una  costante  diffusione della cultura della raccolta dei raee,  dell’effetto  positivo  di  due Accordi di programma di recente siglati  dal  CdC  Raee  e  di  una leggera riduzione della dispersione  originata  dal  calo  del  valore delle materie prime. I dati di raccolta dei 5 Raggruppamenti sono i  seguenti:  R1  (freddo  e  clima) con  70.415.437  kg  pari  a +9,98%, R2 (grandi bianchi) con 68.767.964  kg  pari  a  +18,67%, R4  (piccoli  elettrodomestici)  con 43.439.076 kg pari a +8,71%, R5 (sorgenti  luminose)  con

1.449.714 kg pari a + 13,74% rispetto  al  2014,  R3  (TV  e  monitor) a -4,86%. Da  un  punto  di  vista  territoriale, è la Valle d'Aosta la più virtuosa d'Italia, con una media pro capite di 8,24 kg/ab.

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Approfondimenti

L’uso agronomico dei reflui DM 5046/2016

normativa di riferimento in materia di acque  di scarico, effluenti di allevamento, materiali solidi e digestato 1^ parte

Tra  gli  aspetti  negativi  della  moderna agricoltura è senz’altro da includere  la  separazione  dell’attività zootecnica  da  quella  di  coltivazione:  nei  campi  vengono  utilizzati fertilizzanti inorganici di produzione  industriale,  mentre  gli  effluenti di allevamento, che costituirebbero un  valido  fertilizzante,  vengono sversati  nei  corsi  d’acqua  oppure, se  distribuiti  sul  terreno  mediante fertirrigazione,  apportano  sostanze nutrienti  in  quantità  spesso  eccedenti  le  esigenze  delle  colture.  Le quantità in eccesso vengono prima o  poi  dilavate  dalle  piogge  o dall’innaffiamento,  tanto  che  l’Agenzia Europea per l’Ambiente stima  che  il  50-80%  dell’input  totale di  sostanze  azotate  nelle  acque  sia di  origine  agricola;  oppure  vengono  trasformate,  mediante  processi biochimici  di  diversa  natura,  in ammoniaca e altre sostanze volatili, che vanno ad accrescere l’inquinamento atmosferico.  D’altra parte, l’apporto di sostanza organica  ottenibile  dalle  deiezioni animali è indispensabile per evitare il  depauperamento  dei  suoli,  che porta  (sia  pure  a  lungo  termine)  a perdita di fertilità ed accelerazione di  processi  di  erosione;  è  quindi necessario  regolamentare  l’uso  degli  effluenti  zootecnici,  e  questo problema  è  stato  affrontato  dalla Comunità  Europea  fin  dal  1991, con  la  “Direttiva  nitrati” (91/676/CEE).  A  livello  nazionale la  direttiva  è  stata  recepita  con  il D.Lgs  152/2006,  e  più  specificamente con il D.M. 4/4/2006; questi

provvedimenti  stabiliscono  due  distinti limiti: -  per  le  “zone  vulnerabili  da  nitrati”,  la  quantità  di  azoto  derivante da effluenti di allevamento non può superare 170 kg/anno per ettaro - per altre zone, il limite suddetto è di 340 kg/anno per ettaro  La normativa prevede, inoltre, delle  limitazioni  all’utilizzo  di  azoto minerale  (cioè  derivante  da  concimi chimici), in base ad un piano di coltivazione  che  prevede  l’utilizzo da  parte  delle  piante  del  100% dell’azoto distribuito sul terreno.  Come illustrato anche nelle “Linee guida  per  l’individuazione  e  l’utilizzazione  delle  migliori  tecniche disponibili  per  gli  allevamenti” (D.M. 29/1/2007), una gestione efficiente ed ambientalmente sostenibile  dell’attività  agricola  e  zootecnica deve puntare ai seguenti obiettivi: - aumentare la quantità di azoto utilizzato nelle colture

-  ridurre  le  emissioni  in  atmosfera di  ammoniaca  e  di  altre  sostanze maleodoranti o comunque dannose per il loro contributo all’effetto serra (come il protossido di azoto) -  evitare  che  le  quantità  di  azoto eccedenti  rispetto  ai  limiti  della normativa  vengano  trasferite  nei corsi  d’acqua,  senza  però  gravare eccessivamente  sui  costi  di  gestione. Le  modalità  per  conseguire  questi obiettivi  erano  finora  lasciate  alle suddette “Linee Guida” ed alla normativa regionale. La  situazione  è  cambiata  con  l’emanazione  da  parte  del  Ministero dell’Agricoltura  del  DM 5046/2016,  il  quale  detta  criteri  e norme  tecniche  generali  per  la  disciplina  regionale  dell’uso  agronomico degli effluenti di allevamento e  delle  acque  reflue,  nonché  della produzione,  delle  caratteristiche  di qualità  e  dell’uso  agronomico  del digestato, al fine di garantire la tu-

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tela  delle  matrici  ambientali  coinvolte.  Questo  decreto  è  estremamente  dettagliato,  e  costituisce  un vero  “Testo  unico”  sulla  materia dei reflui e residui solidi di origine agricola,  oltre  che  del  digestato.  Il provvedimento si integra con l’applicazione  delle  disposizioni  della parte III del T.u.A. (norme in materia di difesa del suolo e della lotta alla desertificazione, di tutela delle acque  dall’inquinamento  e  di  gestione delle risorse idriche) e fa salva  la  possibilità  per  le  Regioni  di prevedere discipline più restrittive.  LA STRUTTURA DEL DECRETO

Dopo  aver  passato  in  rassegna  le principali  definizioni,  il  provvedimento stabilisce al Capo I, Titolo I, gli  adempimenti  di  utilizzatori  e produttori, in particolare prevedendo  che  l’uso  agronomico  degli  effluenti  di  allevamento,  delle  acque reflue e del digestato sia subordinato  alla  presentazione  all’autorità competente  di  una  comunicazione (art.4).  Da questo obbligo sono esenti solo le  aziende  che  producono  o  utilizzano  ogni  anno  un  massimo  di 1000 kg di azoto sul campo, se situate in zone vulnerabili da nitrati, o di 3000 kg se situate in zone non vulnerabili. Le aziende di maggiori dimensioni sono inoltre tenute alla presentazione di un piano di utilizzazione  agronomica  in  base  alle modalità di cui al successivo art.5.  I  successivi  articoli  espongono  in dettaglio:  le  aree  in  cui  è  vietato l’utilizzo  agronomico  del  letame (art.8)  e  dei  liquami  (art.9);  criteri generali per il trattamento e lo stoccaggio  degli  effluenti  di  allevamento  (art.10);  stoccaggio  e  accumulo dei letami (art.11) e stoccaggio dei liquami (art.12); tecniche di distribuzione degli effluenti di allevamento  (art.13);  dosi  di  applicazione degli effluenti di allevamento (art.14); criteri generali per l’utilizzazione agronomica delle acque reflue (art.15) e divieti per la loro utilizzazione agronomica (art.16); criteri generali per il trattamento e lo stoccaggio  delle  acque  reflue (art.17); stoccaggio delle acque reflue  (art.18);  tecniche  di  distribuzione  delle  acque  reflue  (art.19); dosi di applicazione (art.20). Il Tit. IV (art. da 21 a 34) è dedicato  all’uso  agronomico  del  digestato; mentre il Tit. V (art. da 35 a 44) è  poi  dedicato  alle  prescrizioni  da osservare nelle zone vulnerabili da nitrati.


QUALI TRATTAMENTI?

La  formulazione  del  D.M. 5046/2016  è  ingannevolmente semplice:  l’art.4  prescrive  che  la “comunicazione”  debba  contenere “le informazioni di cui all’All. IV, parte A”. Andando a questo allegato, si trova che, oltre alle informazioni di carattere generale, occorre, per le attività di stoccaggio, indicare “il volume degli effluenti assoggettati, oltre allo stoccaggio, ad altre forme di trattamento”, precisando “i valori dell’azoto al campo nel

liquame  e  nel  letame,  nel  caso  del solo  stoccaggio  e  nel  caso  di  altro trattamento”. È  evidente  che  l’azienda  agricola dovrà  verificare  che  i  quantitativi di  “azoto  al  campo”  rientrino  nei limiti  previsti  dal  D.M.  4/4/2006 (170  kg/ettaro  nelle  zone  vulnerabili  da  nitrati,  340  kg/ettaro  nelle altre zone). se questi limiti vengono superati, l’azienda deve scegliere tra: adottare forme di trattamento più spinto; rinunciare allo spandimento  sul  terreno,  ricorrendo  al conferimento  (ovviamente  a  paga-

mento)  ad  aziende  autorizzate  a smaltire questo tipo di rifiuti. per  stabilire  quali  forme  di  trattamento  sia  opportuno  adottare, l’art.10 del D.M. 5046/2016 rinvia a 3 complicatissime tabelle, incluse nell’All.  I.  In  queste  tabelle  sono minuziosamente  elencati,  per  i  diversi tipi di liquami (avicoli, bovini, bufali, equini, ovicaprini, suini) le  quantità  di  azoto  contenute  nel letame  e  nei  liquami  stessi,  e  l’effetto dei diversi trattamenti “di base”, così elencati in Tab.3:  -  stoccaggio  a  120-180  gg.  del  li-

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quame “tal quale” - separazione delle frazioni grossolane  (vagliatura),  seguita  da  stoccaggio - separazione delle frazioni grossolane (vagliatura), seguita da ossigenazione del liquame e stoccaggio -  separazione  delle  frazioni  solide mediante  apparecchiatura  a  compressione elicoidale + ossigenazione + stoccaggio -  separazione  meccanica  delle  frazioni  solide  (centrifuga  o  nastropressa) + stoccaggio -  separazione  meccanica  delle  frazioni  solide  (centrifuga  o  nastropressa)  +  ossigenazione  della  frazione liquida -  separazione  meccanica  delle  frazioni  solide  (centrifuga  o  nastropressa)  +  trattamento  aerobico  a fanghi  attivi  della  frazione  liquida chiarificata + stoccaggio. si rileva che il trattamento più conveniente,  in  termini  di  riduzione dell’azoto, è la separazione meccanica  delle  frazioni  solide,  seguita dal  trattamento  aerobico  a  fanghi attivi della frazione liquida chiarificata;  tuttavia,  con  questo  trattamento oltre il 70% dell’azoto viene Continua a pag. 10


Continua da pag. 9

L’uso agronomico dei reflui perso dal punto di vista agronomico,  in  quanto  convertito  in  azoto gassoso  nell’impianto  di  depurazione.  Le  tabelle  di  cui  sopra  non  esauriscono  il  problema  del  trattamento, in  quanto  all’inizio  dell’All.  III, nella “parte Generale”, si riportano “Le  modalità  di  trattamento  riportate  nella  Tab.  3  dell’All.  I  al  presente decreto, in particolari contesti territoriali  caratterizzati  da  elevata vulnerabilità da nitrati e a rischio di eutrofizzazione  delle  acque  superficiali,  possono  rivelarsi  insufficienti”. In tali situazioni viene consigliato di procedere a: -  trattamenti  aziendali  di  liquami zootecnici e gestione interaziendale dei prodotti di risulta.   -  trattamenti  consortili  di  liquami zootecnici,  consistenti  in  impianti interaziendali  con  utilizzo  agronomico dei liquami trattati ed in trattamento  dei  liquami  zootecnici  in eccedenza  in  depuratori  di  acque reflue urbane. I quest’ultimo caso i fanghi  o  il  digestato  prodotto  non rientrano  nel  campo  di  applicazione del presente decreto e rimangono sottoposti alle disposizioni della parte IV del D.Lgs 152/2006. per quanto riguarda i trattamenti aziendali, le linee di gestione consigliate sono in primo luogo la separazione  solido/liquido  con  dispositivi ad alta efficienza (ad es. centrifughe  o  flottatori)  da  effettuarsi  in ambito  aziendale,  e  successivamente: - compostaggio del solido separato in platee aziendali o inter-aziendali -  ritiro  del  compost  da  parte  della struttura interaziendale -  commercializzazione  o  trasporto del  compost  verso  aree  agricole  di

utilizzo  facenti  parte  della  medesima  struttura  interaziendale,  a  forte richiesta  di  sostanza  organica  per ristabilire la fertilità dei suoli - utilizzo in ambito aziendale della frazione chiarificata, alleggerita dei nutrienti, a fini agronomici. In  alternativa,  dopo  la  separazione solido/liquido con dispostivi ad alta efficienza ed il compostaggio del solido separato in platee aziendali: -  ritiro  del  compost  da  parte  della struttura interaziendale, -  trasporto  del  compost  verso  aree agricole  di  utilizzo  facenti  parte della  medesima  struttura  interaziendale, a forte richiesta di sostanza  organica  per  ristabilire  la  fertilità dei suoli -  depurazione  in  ambito  aziendale della  frazione  chiarificata,  alleggerita  dei  nutrienti,  e  scarico  della medesima  in  pubblica  fognatura per il trattamento finale in depuratore di acque reflue urbane -  in  alternativa,  depurazione  della frazione chiarificata in centri interaziendali. L'altro percorso prevede:  - la digestione anaerobica del fango addensato,  con  recupero  di  biogas in un centro interaziendale - la depurazione in ambito aziendale  della  frazione  chiarificata,  con scarico della medesima in pubblica fognatura  per  il  trattamento  finale

in depuratore di acque reflue urbane e/o utilizzo fertirriguo sul suolo aziendale. Questi trattamenti sono “raccomandati”  nelle  zone  non  vulnerabili,  e “obbligatori”  (anche  in  sinergia con i trattamenti consortili) nelle aree  ad  elevata  densità  di  allevamenti zootecnici, in cui è necessario riequilibrare il rapporto tra carico  di  bestiame  e  suolo  disponibile per lo spandimento dei liquami. nei  trattamenti  consortili,  l’opzione  consigliata  prevede  in  testa  la digestione anaerobica, per sfruttare al  meglio  il  potenziale  energetico dei liquami (produzione di biogas). Dopo la digestione anaerobica (che consente il recupero di energia rinnovabile,  la  stabilizzazione  e  la deodorizzante dei liquami, ma non la riduzione dei nutrienti), i liquami vengono  sottoposti  a  separazione solido/liquido:  la  frazione  solida viene  sottoposta  ad  un  trattamento aerobico  per  ridurre  il  tenore  di  azoto  e,  dopo  stoccaggio  di  alcuni mesi,  alla  fertirrigazione  su  suolo agricolo.  La frazione solida del digestato che viene compostata può essere utilizzata  a  fini  agronomici  sui  terreni facenti parte del consorzio, ovvero commercializzata  se  rispetta  i  requisiti  del  D.Lgs  75/2010.  La  frazione  liquida  può  essere  utilizzata

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agronomicamente  sui  terreni  delle aziende  consorziate.  In  alternativa, può essere sfruttata la digestione anaerobica  già  presente  in  impianti di depurazione dei reflui urbani. Il collettamento separato dei liquami zootecnici dalle acque reflue urbane ed il loro invio diretto alla digestione anaerobica, in miscela con i  fanghi  di  supero  dell’impianti  di depurazione  aerobico,  permettono di sfruttarne al meglio il potenziale energetico.  ne  consegue  la  produzione di una’levata quantità di biogas, la cui combustione in impianti di  cogenerazione  consente  di  ottenere  energia  da  fonti  rinnovabili.  I fanghi  disidratati  possono  essere destinati  all’uso  agronomico  ai sensi del D.Lgs 99/1992.  Gli  impianti  di  depurazione  di  acque  reflue  urbane  dotati  di  una  linea  di  stabilizzazione  fanghi  con digestione  anaerobica  possono  essere adeguati per effettuare la codigestione  di  liquami  zootecnici  e/o altri  scarti  agroindustriali,  con  un importante  beneficio  energetico (aumento del biogas prodotto), e in alcuni casi anche con un miglioramento dell’efficienza del comparto di  denitrificazione,  che  spesso  richiede,  per  un  buon  funzionamento,  una  fonte  aggiuntiva  di  carbonio. Inoltre,  per  una  maggiore  stabilizzazione  dei  fanghi  di  depurazione destinati  all’utilizzo  in  agricoltura, risulta  vantaggioso,  nei  depuratori di  acque  reflue  urbane,  affiancare alla  linea  fanghi  con  digestione  anaerobica  una  linea  di  stabilizzazione  e  valorizzazione  agronomica mediante  compostaggio  dei  fanghi stessi.  nella linea di compostaggio trovano  una  maggior  valorizzazione (produzione  di  un  fertilizzante  organico  di  miglior  qualità)  anche  i liquami  zootecnici  e  gli  scarti  agroindustriali,  oltre  ad  eventuali frazioni  organiche  da  raccolta  differenziata dei rifiuti urbani e scarti verdi  (manutenzione  verde  pubblico e privato).


DEPURAZIONE A C Q U A   -   A R I A   -   S U O L O

Per ogni acqua il suo metodo Trattamenti primari

In ambito industriale: filtrazione,  chiarificazione, addolcimento chimico,  scambio ionico, dissalazione, carbone attivo

poi  l’utilizzo  di  acqua  salata  o  salmastra; in questi casi sono necessari processi di dissalazione.  FILTRAZIONE

I classici filtri a letto solido (sabbia o  antracite,  spesso  combinati  in strati  successivi  nella  stessa  apparecchiatura)  sono  adatti  per  contenuto di solidi sospesi inferiore a 40 ppm;  contenuti  leggermente  superiori (fino a 60 ppm) possono essere trattati con filtri in cui il liquido da  filtrare  scorre  dal  basso  verso l’alto.  Questa configurazione rinuncia deliberatamente  all’azione  della  gravità  come  aiuto  nella  deposizione del  pannello  di  filtrazione;  ma  ha meno  problemi  di  intasamento,  in quanto la gravità agisce allontanando dal filtro il materiale che tenderebbe a depositarvisi. un tipo particolare di filtri a letto solido viene usato per ridurre il contenuto in ferro e  manganese  da  alcune  acque  di pozzo  che  ne  contengono  quantità eccessive.  un  eccessivo  contenuto di  questi  metalli  può  provocare  la formazione  di  depositi  che  bloccano  valvole  e  tubazioni,  e  possono causare  macchie  scure  sulle  parti che vengono a contatto con l’acqua; la  rimozione  di  questi  metalli  avviene  mediante  il  passaggio  attraverso  un  letto  di  sabbia  sintetica, formulata in modo da fissare chimicamente  gli  ioni  di  ferro  e  manganese.  CHIARIFICAZIONE

1a parte

Le industrie che utilizzano rilevanti quantitativi  di  acqua  nei  loro  processi ricorrono in genere a risorse idriche  diverse  dalla  rete  pubblica dell’acqua  potabile,  e  questo  per ovvie ragioni economiche. Dove esistono  acque  superficiali  naturali, come fiumi e laghi, queste costituiscono la scelta più immediata; altrimenti  si  ricorre  a  pozzi  privati  o  a bacini  di  accumulo.  Esistono  molti diversi  trattamenti  per  le  acque  in-

dustriali, secondo il tipo di industria che  li  utilizza  e  secondo  la  provenienza  dell’acqua;  con  il  nome  di “trattamenti  primari”  si  designano di solito quei trattamenti di uso generale (come la filtrazione e la chiarificazione),  ed  i  trattamenti  necessari  per  i  due  impieghi  principali dell’acqua  nelle  industrie:  il  raffreddamento e la produzione di vapore. nella  scelta  del  tipo  di  trattamento da eseguire si deve anzitutto considerare  la  provenienza  dell’acqua.  I

fiumi  contengono  di  solito  un  elevato  contenuto  di  solidi  sospesi, mentre  i  corpi  idrici  più  “tranquilli”, come laghi e bacini di accumulo,  sono  quasi  sempre  contaminati da alghe e altre sostanze organiche. L’acqua  dei  pozzi  è  di  solito  più pulita (essendo priva di sostanze organiche,  e  con  meno  di  10  ppm  di solidi  sospesi),  ma  spesso  contiene ioni metallici, come ferro e manganese,  a  causa  del  passaggio  attraverso strati sotterranei ricchi di questi  metalli.  un  caso  particolare  è

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Il processo di chiarificazione è noto da secoli: il trattamento delle acque potabili  con  allume  veniva  usato già  nell’antica  Roma.  Il  processo consiste  nel  favorire  l’agglomerazione delle particelle presenti in sospensione,  in  modo  da  formare  dei “fiocchi”; i chiarificatori sono configurati in modo da favorire l’accrescimento dei fiocchi e la loro separazione per gravità.  La formazione dei fiocchi viene favorita dall’aggiunta dei reattivi coagulanti (in genere sali di ferro e alluminio, ma anche polielettroliti cationici): queste sostanze hanno cariche  elettriche  positive,  che  neutraContinua a pag. 12


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Per ogni acqua il suo metodo lizzano  le  cariche  negative  delle particelle  in  sospensione.  La  successiva  aggiunta  di  reattivi  flocculanti  (in  genere  polielettroliti  anionici)  favorisce  l’ingrossamento  dei fiocchi e la loro rapida decantazione.  Durante  l’ingrossamento  e  la decantazione,  i  fiocchi  “catturano” una grande quantità di contaminanti: non solo i solidi in sospensione, ma  anche  le  sostanze  organiche,  le proteine  e  le  sostanze  grasse  ed  oleose (purchè in quantità non eccessiva). La configurazione più efficiente per le  apparecchiature  di  flocculazione è quella a piastre parallele inclinate; all’uscita  di  questo  tipo  di  chiarificatori si ottiene in genere un contenuto in solidi sospesi di 10-20 ppm. ulteriori  riduzioni  vengono  ottenute per passaggio su filtri a letto solido;  l’installazione  di  questi  filtri  a valle  dei  chiarificatori  è  comunque raccomandabile  come  protezione contro  eventuali  trascinamenti  di fiocchi non decantati.    un altro processo largamente utilizzato  per  il  trattamento  delle  acque industriali è l’addolcimento, cioè la riduzione  del  contenuto  di  calcio  e magnesio (che danno luogo alla cosiddetta  “durezza”).  Le  acque  dure provocano  la  formazione  di  incrostazioni negli scambiatori di calore e nelle caldaie; nelle industrie tessili ostacolano i passaggi di lavaggio e di tintura, e nei trattamenti galvanici  provocano  macchie  e  irregolarità sullo strato depositato. L’addolcimento  può  essere  ottenuto  per precipitazione chimica o per scambio ionico. ADDOLCIMENTO CHIMICO

si basa sull’impiego di reattivi chimici  (di  solito  calce  e  soda)  che provocano la precipitazione del calcio come carbonato e del magnesio come idrossido.  L’addolcimento  chimico  è  noto  da molti anni, ed è una tecnologia economica  e  largamente  sperimentata; oltre alla durezza, rimuove (per effetto  di  co-precipitazione)  anche ferro,  silice,  CO2 libera  e  torbidità. Gli svantaggi sono la formazione di fanghi (che devono essere rimossi e smaltiti), la complessità delle apparecchiature  e  l’efficacia  soltanto parziale,  in  quanto  rimane  una  durezza  residua  corrispondente  a  1525 ppm CaCO3.

SCAMBIO IONICO

Le  prime  applicazioni  dello  scambio ionico utilizzavano le zeoliti naturali,  che  sono  speciali  argille  capaci di “catturare” gli ioni di calcio e di magnesio, sostituendoli con ioni sodio o potassio. successivamente,  vennero  preparate  zeoliti  artificiali  e,  infine,  resine  sintetiche.  se si  desidera  sostituire  calcio  e  magnesio  (responsabili  della  durezza) con  sodio,  è  sufficiente  un  solo scambiatore; ma più spesso si ricorre  al  doppio  passaggio,  prima  su una colonna di resina cationica (che cattura  tutti  gli  ioni  positivi,  sostituendoli  con  ioni  H+)  e  poi  su un’altra colonna contenente una resina  anionica  (che  cattura  gli  ioni negativi sostituendoli con ioni OH). All’interno della seconda colonna gli ioni H+ e OH- si combinano tra loro  formando  acqua,  per  cui  in  uscita si ha un’acqua completamente priva di sali, migliore dell’acqua distillata. Il processo di scambio ionico non produce fanghi; ma, quando le  resine  hanno  perso  la  loro  capacità di scambio, devono essere rigenerate,  facendo  passare  una  soluzione di acido (solforico o cloridrico)  nel  letto  di  resina  cationica  e una  soluzione  di  soda  nel  letto  di resina anionica. Queste soluzioni di rigenerazione  devono  poi  essere neutralizzate e smaltite.  DISSALAZIONE

Lo stesso risultato che viene ottenuto con le resine scambiatrici di ioni (cioè un’acqua del tutto priva di sali) si può ottenere con tecnologie di dissalazione, partendo sia da acqua dolce che da acqua di mare. Le tec-

nologie di dissalazione si distinguono tra termiche ed a membrana. Tecnologie termiche La  scoperta  che  i  vapori  ottenuti dall’ebollizione dell’acqua salata erano  privi  di  sali  risale  probabilmente  alla  preistoria;  la  distillazione  divenne  poi  una  delle  tecniche favorite  dagli  alchimisti,  ma  l’uso dell’acqua  distillata  rimase  circoscritta  ad  applicazioni  nel  campo delle  preparazioni  farmaceutiche  e dei  laboratori  scientifici.  successivamente, la tecnologia delle caldaie a vapore per uso ferroviario e navale,  sviluppata  nel  19°  secolo,  ha consentito  notevoli  perfezionamenti, che sono divenuti particolarmente  rilevanti  nel  20°  secolo  con  lo sviluppo  della  distillazione  multiflash  (MsF,  cioè  “multi  stage  flash”)  ed  a  effetto  multiplo  (MED, cioè  “multiple  effect  distillation”). La  tecnologia  MsF,  nella  quale l’acqua  marina  riscaldata  sotto pressione  è  introdotta  in  una  serie di  stadi  nei  quali  la  pressione  e  la temperatura  decrescono  via  via,  è soprattutto diffusa nei paesi petroliferi del medio oriente, in quanto risulta particolarmente adatta per acque di elevata salinità (come quelle del Golfo persico e del Mar Rosso); importanza  minore  hanno  le  altre due  tecnologie  termiche  (effetto multiplo e compressione meccanica del vapore), che richiedono impianti di maggiore complessità. Le tecnologie  termiche  risultano  particolarmente convenienti nei casi in cui sia  disponibile  calore  derivante  da stadi di raffreddamento di industrie chimiche  o  petrolchimiche,  o  da produzione di energia elettrica, e in genere  sono  adatte  a  impianti  di grandi dimensioni; sono stati realiz-

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zati impianti con capacità di quasi 1 milione di metri cubi al giorno.  Tecnologie a membrana È  noto  che  le  membrane  con  dimensioni dei pori molto piccole (inferiore a 1 nanometro) sono in grado  di  trattenere  le  particelle  elettricamente  cariche  (ioni)  che  sono  i costituenti dei sali. su questo principio  sono  basati  gli  impianti  a  osmosi inversa; mentre quelli di elettrodialisi  si  basano  su  membrane poste in una cella compartimentata, dove  avviene  la  migrazione  a  permeabilità selettiva degli ioni secondo la loro carica elettrica.  Ad  oggi,  l’osmosi  inversa  (RO, cioè Reverse Osmosis) viene considerata la tecnologia più promettente e flessibile; mentre, l’elettrodialisi è ritenuta particolarmente adatta per i piccoli  impianti,  destinati  ad  acque salmastre  (cioè  con  salinità  mediobassa,  inferiore  a  quella  dell’acqua di  mare).  I  progressi  nella  tecnologia  delle  membrane  hanno  puntato soprattutto in due direzioni:  -  aumento  della  vita  utile  delle membrane  RO,  mediante  l’inserimento  di  stadi  di  pre-trattamento (in genere realizzati con membrane di ultrafiltrazione) - recupero dell’energia spesa per incrementare  la  pressione  dell’acqua in circolazione, mediante turbine. Le  tecnologie  termiche  e  quelle  osmotiche  possono  essere  combinate, sfruttando la flessibilità dell’impianto a membrana per utilizzare energia  elettrica  in  periodi  di  bassa richiesta,  e  utilizzando  l’acqua  di raffreddamento  dell’impianto  termico  come  alimentazione  all’impianto osmotico.        Continua a pag. 15



Depurare in economia Per impianti medio-piccoli

Importanti risparmi energetici, minori costi di gestione e maggiore efficienza dei processi depurativi L’Enea ha di recente presentato un innovativo  sistema  per  la  gestione automatizzata  degli  impianti  di  depurazione  delle  acque  reflue  che consente risparmi del 36% circa sui consumi energetici totali e del 15% sui costi di gestione, oltre a garantire una maggiore efficienza dei processi  biologici  di  rimozione  degli inquinanti. prima  di  essere  scaricate  nei  corpi idrici  recettori,  le  acque  reflue  devono essere depurate in quanto contengono spesso concentrazioni molto  elevate  di  inquinanti  quali  ammoniaca, azoto e fosforo. Attraverso l’uso di sonde, il sistema brevettato dall’Enea consente un controllo automatizzato efficiente ed a costi  contenuti  dei  processi  di  completa  rimozione  dell’azoto.  Il  brevetto, che verrà presto applicato su un impianto in piena scala, consente inoltre una gestione semplificata dei  sistemi  di  aerazione  (responsabili del 75% dei consumi), riducendo fino al 60% l’aria utilizzata nelle vasche di trattamento delle acque.  L’invenzione,  messa  a  punto  nel Centro  Ricerche  Enea  di  bologna, si  colloca  nel  più  ampio  contesto della ricerca di soluzioni per ridurre i consumi energetici e i relativi costi  di  smaltimento  delle  acque  reflue. secondo l’EpA, l’Agenzia statunitense per la protezione dell'ambiente, il 3% dell’intero consumo di energia  elettrica  degli  stati  uniti  è legato al trattamento delle acque reflue. In Italia, l’Autorità per l’Energia Elettrica il Gas e il sistema Idrico  (AEEGsI)  valuta  in  circa  7,5 miliardi di kWh/anno i consumi del servizio  idrico  integrato,  circa  il 2,3%  dell’intero  fabbisogno  nazionale annuo di energia elettrica, con trend in aumento.  <<I consumi di energia connessi alla gestione dei servizi idrici - sottolinea  Luca  Luccarini,  il  ricercatore Enea  autore  del  brevetto  -  sono  in

continuo  aumento.  per  ridurre  i consumi relativi alla depurazione è indispensabile migliorare l'efficienza  delle  apparecchiature,  risultati più efficaci derivano dalla gestione ottimizzata  dei  processi  di  trattamento ed in particolare di aerazione dei reflui>>.  Ma  si  può  andare  anche  oltre,  trasformando l’impianto di depurazione in un sistema di produzione di energia.  <<L’Enea  è  attiva  da  anni  anche nella ricerca sulle nuove tecnologie per  la  produzione  di  energia  dagli impianti di depurazione delle acque -  sottolinea  Maurizio  Coronidi,  responsabile  del  Laboratorio  Tecnologie per la gestione integrata rifiuti,  reflui  e  materie  prime/seconde dell’Enea Casaccia – ed è stata tra i primi in Italia a sostituire i processi depurativi  aerobici  delle  acque  reflue  con  processi  anaerobici  che,  a seguito  di  una  profonda  revisione del ciclo di trattamento, immettono energia elettrica in rete>>.  L’Enea  è  attualmente  impegnata nell’integrazione di tecnologie consolidate per il trattamento anaerobico  della  acque  reflue  (come  l’upflow  Anaerobic  sludge  blanket)

con  processi  di  filtrazione  a  membrana e sistemi di rimozione biologica  dell’azoto  (ad  esempio  il  processo Anammox, di cui oggi ci sono almeno 25 impianti in piena scala operanti nel mondo, ma nessuno in Italia). sono allo studio altre opzioni  tecnologiche  per  il  recupero di energia dai reflui come la produzione di idrogeno, celle a combustibile  microbiche,  celle  elettrolitiche microbiche. Il  settore  del  trattamento  delle  acque  offre  ulteriori  margini  di  miglioramento  che  vanno  ben  oltre  il recupero di energia, a patto di adottare  approcci  innovativi  tali  da  superare  l’attuale  utilizzo  “lineare” delle acque, che prevede il prelievo dall’ambiente,  l’utilizzo  (una  sola volta)  e  la  reimmissione  nell’ambiente  con  caratteristiche  qualitative solitamente peggiori di quelle di origine. In effetti, oggi la parola “acqua” si lega  indissolubilmente  alla  parola “scarsità”.  A  causa  della  crescita demografica e degli effetti dei cambiamenti  climatici,  l’acqua  dolce, accessibile e di buona qualità è una risorsa limitata e molto variabile. In molte zone del globo l'acqua è con-

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tesa  tra  aree  urbane,  agricoltura  e industria; inoltre, il settore energetico  si  sta  evolvendo  verso  tecnologie  sempre  più  idro-esigenti  (come ad  esempio  per  l’estrazione  di  petrolio da sabbie bituminose o per la produzione  di  bio-combustibili), rendendo più forte la consapevolezza del nesso che lega l’acqua all’energia,  il  cosiddetto  “water-energy nexus”.  secondo  gli  ultimi  dati  del  Water Exploitation Index (WEI) della European  Environment  Agency,  l’indice che fornisce la più ampia rappresentazione  dell’utilizzo  dell’acqua  in  rapporto  alla  sua  disponibilità a lungo termine, oggi la scarsità di  acqua  affligge  anche  l’Europa, persino quella settentrionale.  A livello globale si riscontra la stessa  tendenza:  secondo  il  rapporto dell’OCsE  “principi  sulla  governance dell’acqua” del giugno 2015, sono 2,8 miliardi le persone che vivono in aree sottoposte a stress idrico,  con  una  proiezione  di  3,9  miliardi  al  2030.  Lo  studio,  inoltre, stima  al  2050  un  incremento  del 55% della domanda di risorse idriche, a fronte di 240 milioni di persone senza acqua potabile. Il passaggio ad una logica di economia circolare richiede di fissare l'attenzione  su  tutte  le  risorse  potenzialmente  recuperabili  dai  reflui, rappresentate  in  primis  dall’acqua stessa, ma anche dai nutrienti (azoto  e  fosforo)  da  impiegare  come fertilizzanti  in  agricoltura  o  ancora la  produzione  di  biopolimeri  per l’utilizzo  come  plastiche  biodegradabili  quali,  ad  esempio,  i  poliidrossialcanoati (pHA). Esistono già numerosi  e  significativi  esempi  di pratiche  di  riutilizzo  e  recupero  idrico  tali  da  massimizzare  l’uso della risorsa e, allo stesso tempo, ridurre la richiesta tecnologica per il trattamento  in  un’ottica  fit-for(re)use.


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Per ogni acqua il suo metodo FILTRAZIONE SU CARBONE ATTIVO

Le resine scambiatrici e le membrane richiedono di solito un pretrattamento,  per  rimuovere  materiali  sospesi e colloidali, batteri e altri materiali organici, oli e grassi. I trattamenti  con  sostanze  ossidanti  sono sconsigliati,  perché  possono  causare alterazioni chimiche delle resine e  delle  membrane,  abbreviando  la loro vita utile. Il trattamento più efficace  è  quello  con  carbone  attivo granulare (GAC), condotto di solito in  due  assorbitori  paralleli  (uno  in esercizio,  l’altro  in  rigenerazione), nei quali è presente un letto di circa 1  m  di  altezza,  attraversato  da  un flusso intorno a 100 l/ora/mq. La rigenerazione si effettua di solito  “in  loco”,  eseguendo  un  controlavaggio  per  eliminare  le  particelle solide,  e  facendo  passare  vapore surriscaldato  per  rimuovere  le  sostanze organiche adsorbite. Il trattamento  su  carbone  attivo  è  vantaggioso anche per le acque di raffreddamento, in quanto riduce la forma-

zione  di  biofilm  sulle  superfici  degli scambiatori di calore e nelle torri di raffreddamento.  TRATTAMENTI PER LE ACQUE DI CALDAIA

L’uso  più  frequente  dell’acqua

nell’industria,  dopo  il  raffreddamento,  è  la  produzione  di  vapore mediante  caldaie.  I  trattamenti  per le  acque  di  caldaia  sono  anzitutto finalizzati  all’eliminazione  dei  materiali  estranei  e  delle  sostanze  incrostanti, attraverso i processi di filtrazione e addolcimento già trattati.

È necessario inoltre eliminare i gas in soluzione, e in particolare l’ossigeno  e  l’anidride  carbonica.  L’eliminazione dei gas si effettua per riscaldamento, sfruttando il fatto che la  solubilità  dei  gas  nell’acqua  diminuisce  con  l’aumento  della  temperatura, fino ad azzerarsi a temperature  vicine  all’ebollizione.  Il  degasaggio termico si realizza di solito  in  una  torre,  nella  quale  l’acqua da  degasare  cade  dall’alto  lungo piani  sovrapposti,  incontrando  vapore che sale dal basso; gli impianti di  maggiori  dimensioni  operano sotto pressione, ed il contatto con il vapore  viene  ottenuto  mediante  un iniettore immerso nell’acqua da degasare.  un  altro  contaminante  che  occorre tenere  sotto  controllo  è  la  silice  in forma  colloidale,  particolarmente dannosa  negli  impianti  che  producono vapore ad alta pressione per azionare  le  turbine.  I  trattamenti  di addolcimento  chimico  riducono  di circa  il  50%  il  contenuto  in  silice, mentre  le  resine  scambiatrici  non sempre  sono  efficaci.  Recentemente  sono  state  immesse  sul  mercato speciali  membrane  per  ultrafiltrazione, che riescono ad eliminare fino al 99,8% della silice colloidale.


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Il reattore esterno

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(EP patent)

Innovativo sistema di ossigenazione/ossidazione avanzata ad aria/O2 puro/O3 per trattamenti biologici e/o chimici Ormai  da  due  anni  la  Ciem  Impianti  applica  con  successo  il  sistema EOX per ossigenare ed ossidare  in  modo  avanzato  (con  aria, ossigeno puro, ozono), grazie agli effetti di cavitazione innescati  nell’  EOX,  acque  reflue  di  diversa origine in trattamenti chimico-fisici  e/o  in  vasche  biologiche (associato  od  in  alternativa  ai  sistemi  convenzionali)  riducendo  i costi  di  manutenzione  ed  energetici, incrementando le performance  di  impianti  civili,  industriali  e zootecnici. DETTAGLI TECNICI

Il  processo  di  trattamento  bIOLOGICO  o  CHIMICO  si  svolge all’interno  della  vasca/serbatoio Reattori EOX trattamento reflui industriali

Reattori EOX trattamento liquami zootecnici

di  processo/reazione  che  viene mantenuta  ossigenata/ossidata grazie  al  reattore  modulare  esterno  EOX.  una  pompa  centrifuga aspira il refluo dal fondo della vasca e lo distribuisce sotto pressione tramite un collettore di mandata,  nel  reattore  di  ossigenazione. All’interno  del  reattore  EOX  di ossigenazione, è installato un circuito  idraulico  di  “iniezione”  aria/acqua  per  un  “completo”  trasferimento  dell’ossigeno  nel  refluo.  Il circuito può essere sovralimentato con una soffiante od alimentato  indifferentemente  e  contemporaneamente con miscele di aria e/o  O2  e/o  O3  al  fine  di  ottimizzare i consumi energetici o di aumentare  le  prestazioni  di  tratta-

mento. La miscela ossigenata nel reattore EOX viene immessa, tramite  tubazione  di  impulsione,  in uno  o  più  punti  sul  fondo  della vasca di trattamento dove è istantaneamente distribuita e miscelata nel volume liquido in essa contenuto. CARATTERISTICHE DELL’OSSIGENAZIONE

All’interno del reattore di ossigenazione, grazie alla strutturazione impiantistica  ed  alle  particolari condizioni  di  lavoro  basate sull’effetto  Venturi,  il  refluo  da trattare si espande e si polverizza (dimensioni delle particelle da 6 a 20 μm), miscelandosi intimamente, in regime turbolento, con l'aria

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aspirata  per  effetto  dell'espansione stessa. ne consegue che l'ossigeno, a contatto per lungo tempo (nel reattore e sul fondo della vasca)  con  le  particelle  di  refluo  in "polvere" ed in stato di forte agitazione cinetica, si discioglie nelle particelle stesse in maniera più intensa ed efficiente in quanto le superfici ed i film di interfaccia ossigeno-refluo  sono  notevolmente estese  (dell'ordine  da  3.000  a 10.000 cm2/gr d'acqua in funzione della pressione di lavoro) e di spessore  molto  ridotto,  in  continuo  ricambio  per  l'agitazione  cinetica (turbolenza) in essere.  La  forte  turbolenza,  oltre  ad  incrementare le efficienze di trasferimento, genera fenomeni di cavitazione con associati ultrasuoni in


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I SEDIMENTATORI LAMELLARI CIRCOLARI A FLUSSO RADIALE CIEM IMPIANTI

Pacchi lamellari circolari per la sedimentazione, disoleazione e da oggi per sedimentazione e flottazione combinata a piena superficie equivalente. Grazie al know-how maturato in 25 anni di esperienza, Ciem Impianti ha sviluppato un chiarificatore lamellare a flusso orizzontale per la combinazione delle fasi di sedimentazione e flottazione, utile per trattare acque con sostanze solide e flottanti sfruttando contemporaneamente la totalità della superficie equivalente per entrambe le fasi. Vantaggi del pacco lamellare circolare: - combinazione di sedimentazione e disoleazione in un unico sistema - facile installazione anche su serbatoi cilindrici esistenti o su sedimentatori circolari sottodimensionati - scalabilità e graduabilità del chiarificatore Ciem Impianti, che consente di avere una macchina upscalabile nel tempo - incremento di superficie equivalente disponibile fino a 20 volte rispetto ai sistemi tradizionali e fino a 5 volte rispetto agli altri sistemi lagrado di aumentare le capacità ossidative  e  di  craking  molecolare del refluo (miglioramento rapporto  COD/bOD)  migliorando  così le  performance  complessive  di trattamento. L'ossigeno  disciolto  nel  refluo  in tali  condizioni  ossida  completamente  le  sostanze  inorganiche  riducenti  eventualmente  presenti (solfiti,  solfuri,  ecc.,  con  abbattimento  della  tossicità  per  la  biomassa,  misurata  in  equitox,  fino al 99%) ed innesca un processo di bio-ossidazione dell’azoto e delle sostanze organiche, incluse, almeno in parte per effetto della cavitazione, quelle refrattarie ai trattamenti biologici tradizionali.  VANTAGGI DEL REATTORE EOX

un  impianto  di  trattamento  strutturato  con  il  sistema  di  ossigenazione  esterna  Ciem  Impianti,  offre i seguenti vantaggi: -  Risparmio  energetico  per  vasche biologiche grazie all’elevata

Schema di un separatore a pacchi lamellari a flusso orizzontale

mellari - esecuzioni speciali studiate ad hoc per il singolo caso (forma, trattamento, materiali) - durabilità nel tempo grazie alla qualità dei materiali ed alla robustezza dell’installazione (Lamelle in PRFV ad alta densità o in AISI 316L supportate da telaio rinforzato in AISI316L) - Intercambiabilità della singola lamella in caso di rotture accidentali, senza la necessità di sostituire il efficienza  del  trasferimento dell’ossigeno fino al 50% rispetto ad aeratori meccanici superficiali, fino  al  35%  rispetto  ad  aeratori meccanici di fondo e fino al 25% con sistemi sommersi a bolle fini

Sedimentatore circolare brevettato - www.sedimentatorilamellari.it

pacco completo - facilità di manutenzione e di pulizia a differenza dei pacchi alveolari, grazie alla loro conformazione geometrica che non richiede l’estrazione del pacco - possibilità di installazione raschia fanghi come pre-ispessimento - alto peso specifico del separatore lamellare che permette di evitare -  NO  svuotamento vasche  per manutenzione straordinaria -  minima  manutenzione ordinaria (2-4 ore), programmabile ogni 3-6  mesi  senza  fermo  impianto  e perdita di efficienza del sistema

Diagramma di flusso del sistema di ossigenazione esterno EOX

CIEM IMPIANTI Srl Via Torquato Tasso, 39 - 21100 Varese Tel 0332.831776 - Fax 0332.319278 E-mail info@ciemimpianti.com - www.ciemimpianti.com

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problemi di sollevamento o rottura a causa del movimento del liquido che, trovando resistenza, scarica l’energia sullo stesso pacco lamellare. Esempio di utilizzo: sedimentazione e flottazione combinata per acque di sentina, industria petrolchimica, officine galvaniche, trattamento completo per acque prima pioggia e bonifiche. - nessun ricambio a medio/lungo termine  (minimo  10  anni)  della componentistica  del  reattore  di ossigenazione - indipendenza delle funzioni di ossigenazione e miscelazione - riduzione della produzione dei fanghi di supero fino al 30% - elasticità e flessibilità del trattamento  poiché  il  sistema  può  assorbire ampie variazioni del carico inquinante in ingresso ottimizzandone  performance  e  consumi energetici -  elevate  prestazioni di  trattamento su reflui ad alto carico organico,  azotato  e  sostanze  biorefrattarie -  nessuna  turbolenza superficiale  con  eliminazione  di  odori  ed aerosol - rapidi e minimi interventi per revamping di impianti esistenti -  il  sistema  EOX  è  utilizzabile anche con ossigeno puro o aria arricchita (O2, O3), ed anche in sistemi  di  ossigenazione  chimicofisica  avanzata  AOp  (Advanced oxidation process).


GREEN FASHION L A  P R O D U Z I O N E   " M O D A "   T U T E L A  L’ A M B I E N T E

Meno consumi migliori performance Alcantara

Tra i tanti interventi realizzati, la centrale di cogenerazione  e l’impianto di fitodepurazione del percolato Alcantara  è  l’azienda  produttrice dell’omonimo  materiale  composito di rivestimento senza trama e ordito,  un  materiale  di  avanguardia  che  garantisce  prestazioni  estetiche e tecniche ideali per l'interior  design,  interni  di  auto,  aerei, yacht e per la moda. L’azienda, che ha a nera Montoro  (Terni)  il  proprio  impianto produttivo e il centro ricerche, su una  superficie  complessiva  di 450.000  mq,  è  impegnata  in  una costante riduzione dei consumi energetici  e  nel  miglioramento delle  proprie  performance  ambientali.  <<non  a  caso  –  afferma  Andrea boragno,  presidente  di  Alcantara -  a  fronte  di  un  incremento  nei volumi  produttivi  superiore  al 12%, il consumo di energia ha registrato  una  diminuzione  del 11%>>. DETTO….FATTO!

Alcantara  si  era  innanzitutto  riproposta di migliorare la gestione dei  rifiuti,  aumentando  la  quota dei  fanghi  destinata  al  recupero. Ed  a  questo  proposito,  sono  stati individuati due nuovi partner che recuperano  il  fango.  Ad  oggi,  la quota  di  fanghi  recuperati  è  pari

al 20,6%. pienamente in atto è anche il costante  monitoraggio  per  la  salvaguardia delle falde acquifere presenti nella zona dello stabilimento;  ed  in  corso  di  ottimizzazione la  regolazione  degli  impianti  di condizionamento  sia  per  migliorare il microclima interno sia per ridurre i consumi. Quindi, migliorare l’uso di acqua dall’impianto  “pump  and  Treat”, che  oggi  viene  utilizzata  unicamente a fini produttivi all’interno dello stabilimento. Infine, ma non ultimo, aumentare

l’applicazione  di  “steam  booster”,  ossia  recuperatori  di  condensa che rilanciano la stessa con la  pressione  del  vapore,  con  incrementi  di  efficienza  e  senza l’utilizzo  di  energia  elettrica  per le pompe di rilancio. MATERIE PRIME E RICICLO

Il processo produttivo di Alcantara inizia da due polimeri da cui si ottiene, attraverso fasi successive di lavorazione, il prodotto finito. Il  materiale  subisce  dei  trattamenti  finali  di  trasformazione  in

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base  al  tipo  di  utilizzo  al  quale  è destinato. Il processo, assieme alle  principali  tipologie  di  impatti ambientali,  può  essere  sinteticamente descritto come segue: filatura, feltro, greggio (da cui si ottengono  due  sottoprodotti),  tintura  (con  conseguenti  emissioni  in atmosfera, scarichi idrici, rifiuti), finissaggio  (con  produzione  finale di alcantara). A valle del processo di produzione,  quindi,  si  ottengono  due  materiali  (sottoprodotti),  la  cui  qualità  non  è  sufficiente  per  la  produzione  di  Alcantara;  vengono, quindi,  collocati  sul  mercato  come  materie  prime  e  impiegati  in altri processi produttivi di società terze che ottengono un equivalente  risparmio  netto  di  materia  prima.  si  tratta,  in  particolare,  di: Alcarene,  un  polimero  termoplastico  per  stampaggio  ad  iniezione;  Alcanol,  un  collante  vinilico per l’industria cartaria. Anche altri sottoprodotti generati nelle  diverse  fasi  del  processo, denominati Alk-Fill FI e Alk-Fill FE  (cascami  tessili)  e  Alk-Fill buf  (polvere  di  buffing)  trovano impiego in altri settori industriali in  sostituzione  di  materie  prime vergini. Ma l’attenzione alla riduzione de-


gli  impatti  si  rivolge  anche  alle sostanze  non  utilizzate  nel  processo  produttivo  ma  presenti  in altri  impianti  tecnologici  (come ad esempio CFC negli impianti di condizionamento  e  di  produzione di acqua refrigerata). Tutte  le  materie  prime  ausiliarie, come ad esempio alcuni dei polimeri  termoplastici  e  delle  bozzime usate, vengono trattate in sito, recuperate  e  riutilizzate  nel  ciclo produttivo o destinate ad altri usi industriali. Inoltre, i solventi usati  per  la  produzione  vengono  rigenerati e riutilizzati più volte nel processo produttivo. Dai  dati  più  recenti  emerge  un generale  e  lieve  decremento  nei consumi  specifici  di  materie  prime, dovuto ad una maggiore produzione  ed  a  maggiori  rese;  ne sono  eccezione  gli  imballaggi, che  sono  aumentati  in  ragione delle  minori  dimensioni  medie

per le spedizioni.  Da  evidenziare  anche  che  nel portafoglio  prodotti  dell’azienda è  presente  una  variante  del  prodotto  Alcantara  per  sedute  auto, realizzata con materie prime provenienti,  per  il  25%  in  peso,  da riciclo  post-consumo.  Tale  variante  incide  per  lo  0,313%  sui metri  del  totale  produzione,  portando  la  percentuale  del  riciclato (sul totale prodotto) a 0,099% sul totale. FABBISOGNO E RISPARMIO ENERGETICO

A  seguito  della  chiusura  dell’adiacente  centrale  termoelettrica, l’energia  di  Alcantara  è  stata  acquisita  interamente  da  fonti  rinnovabili, e ciò è garantito dall’acquisto di certificazioni RECs. Continua a pag. 20


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delle acque. prima dell’immissione  nel  fiume  nera  è  presente  il punto di immissione della centrale  di  cogenerazione,  autorizzato dalla provincia di Terni.

Meno consumi, migliori performance La  maggior  parte  dell’energia  elettrica  proviene  dalla  centrale turbogas  interna  allo  stabilimento,  riconosciuta  dal  GsE  come Centrale di Cogenerazione ad Alto Rendimento (CAR). In  generale,  nel  sito  produttivo vengono  utilizzati:  gas  naturale per  riscaldamenti  diretti  e  per  la produzione di vapore a 6 bar, oltre che per il locale mensa; vapore  garantita  dalla  centrale  di  cogenerazione  turbogas  interna  allo stabilimento;  elettricità,  principalmente  utilizzata  per  il  processo  produttivo,  quasi  interamente assicurata  dalla  nuova  centrale turbogas. I picchi di energia eccedenti la capacità della nuova centrale vengono forniti dalla rete esterna. La riduzione del fabbisogno energetico  in  Alcantara  è  dovuta  al costante  impegno  nell’ottimizzazione  di  processi  e  impianti  produttivi,  che  si  è  compiuta  anche attraverso:  l’installazione  di  nuove linee di tintura e laminazione a minor  consumo  energetico,  e  la sostituzione  dei  compressori  aria e  dei  gruppi  frigo  per  la  generazione  di  acqua  refrigerata  con macchine di nuova generazione a basso consumo. L’IMPIANTO DI COGENERAZIONE

Dal  nuovo  impianto  di  cogenerazione  è  stato  fornito  l’86,6%  del fabbisogno  totale  di  elettricità dello  stabilimento  di  nera  Montoro. Gli  effetti  dovuti  al  cogeneratore ad  alto  rendimento  sono  vantaggiosi  da  più  punti  di  vista:  energetico,  ambientale,  economico. Rispetto ad una produzione separata di energia elettrica e termica, il  nuovo  impianto  CAR  riduce  il consumo di energia di circa 4.200 ton eq. di petrolio l’anno, per una produzione  di  210.000  ton/anno di vapore e 45.000 MWh/anno di energia elettrica. I fattori principali che hanno consentito  un  risparmio  economico, oltre  alla  riduzione  di  consumi, sono i seguenti: •  elevata  efficienza  energetica grazie  agli  impianti  di  nuova  generazione; • cogenerazione di circa 13 t/h in

IMPIANTO DI FITOTRATTAMENTO

recupero  semplice  (vapore  a  costo zero prodotto dai fumi caldi); •  benefici  grazie  all’ottenimento dei Certificati bianchi; •  defiscalizzazione  del  metano per centrali qualificate CAR; • sgravi sulla bolletta dell’energia elettrica  grazie  alla  qualifica  di sEu (sistema Efficiente di utenza),  reso  possibile  perché  tutta  la rete di distribuzione di energia elettrica  prodotta  dalla  turbogas  è interna allo stabilimento. In  estrema  sintesi,  i  vantaggi  di questo  progetto  sono:  una  riduzione significativa in termini economici  della  bolletta  energetica; l’indipendenza  energetica  e  una maggiore  sicurezza  di  approvvigionamento;  non  avere  impegnato  capitali  per  la  realizzazione dell’impianto,  lasciandoli  disponibili per il core business; evitata l’emissione di circa 13.000 ton di CO2 in atmosfera. FABBISOGNO IDRICO

La  fonte  di  approvvigionamento

idrico  primario  per  le  attività  industriali svolte nello stabilimento e  centro  ricerche  di  nera  Montoro  è  rappresentata  dal  fiume  nera. una  piccola  quota  dei  consumi  è prelevata  direttamente,  mentre  la quota  più  significativa  è  approvvigionata da un’azienda terza che preleva  dal  fiume  ed  effettua  i primi  trattamenti  delle  acque stesse. L’acqua  è  utilizzata  per  usi  sanitari, antincendio e irrigui, per usi industriali  nei  diversi  impianti produttivi e, in particolare, per la tintura  del  prodotto  finito.  Tutte le  acque  reflue  vengono  inviate ad un impianto di trattamento interno. Quasi 272.300 mc di acqua servono  poi  per  la  produzione  di vapore. Le  altre  fonti  di  approvvigionamento minore sono i pozzi da falda e l’acquedotto comunale.  nel sito produttivo esiste un solo punto  di  scarico  finale,  debitamente autorizzato e controllato, a valle dell’impianto di trattamento

Hi-Tech Ambiente

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una  delle  più  importanti  attività di  miglioramento  della  gestione della  produzione  è  legata  al  fitotrattamento,  cioè  l’impiego  di  sistemi  vegetali  per  ridurre  o  annullare il trasferimento dei percolati  dei  fanghi  biologici  della  discarica  interna  all’esterno  dello stabilimento.  La  funzione  delle piante  è  quella  di  consumare  il percolato direttamente in loco, evitando  costosi  trasferimenti  e  la produzione  di  rifiuti  dopo  il  trattamento  del  percolato.  non  solo, consente anche nuove destinazioni ai fanghi biologici prodotti dal sistema  di  trattamento  delle  acque reflue. solo  nell’ultimo  anno,  sono  stati inviati  all’impianto  di  fitotrattamento 1.074 mc di percolato.  L’impianto di fitodepurazione, ha consentito i seguenti risultati: -  copertura  delle  vasche  della vecchia  discarica  su  un’area  di 7.000  mq  circa,  riambientata  con la  piantumazione  di  oltre  2.500 piante  arbustive  irrigate  dal  refluo  industriale  ricco  di  elementi nutritivi; -  riduzione  del  carico  di  inquinanti  trattato  dall’impianto  di trattamento  acque,  con  conseguente  riduzione  dei  prodotti  di trattamento,  dei  fanghi  prodotti  e miglioramento  delle  caratteristiche delle acque di scarico. L’impianto  vegetale  è  costituito da tre vasche coperte e una vasca in  fase  di  coltivazione.  sulle  tre vasche  sono  state  realizzate  delle piantagioni  con  specie  sempreverdi adatte al clima dell’area. si tratta di legno in grado di garantire  anche  nel  periodo  invernale una  discreta  capacità  di  consumo dei flussi di percolato. Tali  fanghi,  che  rappresentano  il principale  rifiuto  derivanti dall’attività  produttiva  di  Alcantara, sono in parte conferiti in discarica esterna e in parte inviati a recupero in cementifici autorizzati,  come  materiale  per  la  carica calcica.  Tali fanghi, comunque, hanno subito  un  decremento  da  oltre 3.100.000  kg  a  2.956.600  kg, malgrado l’aumento produttivo.


sCARTI DI LAnA

Il tessile sostenibile Ogni  anno  in  Toscana  vengono prodotte circa 500 tonnellate di lana grezza, di queste solo una parte è  destinata  alla  produzione  di  tappeti  rustici,  filati  per  maglieria grossolani,  riempitivi  di  materassi, mentre  una  significativa  quantità  è considerata  materiale  di  scarto  e viene smaltita come rifiuto speciale o  indirizzata  verso  filiere  non  nazionali.  Con  l’obiettivo  di  dare  un nuovo  valore  a  questa  risorsa  e  di verificare  una  nuova  politica  produttiva sostenibile di tessuti ottenuti da lane provenienti da razze ovine  locali,  il  CnR  ha  condotto  il progetto “Filiera del tessile sostenibile”.  L'iniziativa  ha  puntato  verso la ricerca di nuove soluzioni di recupero  della  lana  locale,  a  partire dalla  costituzione  di  una  filiera  locale  “tessile  sostenibile”,  in  grado di coniugare tutela ambientale, valorizzazione  del  territorio  e  sostegno al mestiere artigiano. Il progetto,  recentemente  concluso,  è  stato coordinato  dall’Istituto  di  biometeorologia (Ibimet) del CnR di Firenze <<Da onere per gli allevatori in termini  di  smaltimento  e  ingombro  spiega  Francesca  Camilli  dell’Ibimet-CnR  -  la  lana  può  diventare una risorsa con risvolti economicosociali e culturali per i territori. Infatti,  si  sviluppano  filiere  che  possono generare indotto e occupazione  e  che,  nello  stesso  tempo,  contribuiscono a preservare il bagaglio di competenze e know-how del settore tessile, oggi a rischio di scomparsa,  complice  la  crisi.  Oltre  al tessile per l’abbigliamento e l'arredamento, sono stati individuati altri settori  di  applicazione  interessanti, come l’agrotessile, nel quale abbiamo sperimentato il possibile utilizzo di dispositivi pacciamanti per il florovivaismo e di ammendanti  del terreno  a  base  di  lana  in  fiocco  e triturata>>.  Ma il concetto di “tessile sostenibile”  deve  essere  compreso  e  condiviso anche dai consumatori. Lo studio, infatti, ha permesso di appurare  che  solo  una  minima  parte  di quanti  acquistano  capi  di  abbigliamento in lana considera la sostenibilità un elemento determinante. E’ opportuno, quindi, lavorare per aumentare la consapevolezza e la conoscenza  dei  marchi  legati  al  ri-

spetto  ambientale.  Il  progetto  “Filiera  tessile  sostenibile”  ha  rappresentato  l’ideale  prosecuzione  delle precedenti  iniziative  progettuali che dal 2004 vedono l’Ibimet-CnR impegnato nella rivalorizzazione di risorse  tessili  locali  come  lino,  canapa, ginestra e ortica.

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Le scarpe eco-alternative  Riciclo e materiali

Dal recupero di vecchie calzature per produrne di nuove, all’impiego di gusci di noce, fondi di caffè o reti da pesca Ogni  anno  in  Europa  si  vendono 2,6 miliardi di paia tra scarpe e stivali, e un quantitativo di poco inferiore viene gettato. Le vecchie calzature finiscono prevalentemente in discarica,  dove  si  degradano  molto lentamente; d’altra parte il loro riciclo  è  complicato,  perché  oggi  le calzature  sono  composte  di  materiali  diversi  (pelle,  plastica,  tessuti, metallo) difficili da separare tra loro.  La ricerca di una maggiore eco-sostenibilità  delle  calzature  si  muove oggi  in  due  direzioni:  lo  sviluppo del riciclo e la scelta dei materiali.  LO SVILUPPO DEL RICICLO

Il  produttore  spagnolo  di  calzature sportive “El naturalista” ha lanciato un progetto europeo, denominato naturalista,  che  prevede  l’installazione  di  bidoni  in  cui  gettare  le scarpe  vecchie  direttamente  nei punti vendita; le calzature usate sono  quindi  raggruppate,  tagliate  e macinate. In maggior dettaglio, il processo di riciclo  prevede  il  taglio  in  pezzetti di 12 mm, che vengono fatti scorrere su un nastro trasportatore fornito di magneti, che ne separano le parti metalliche. Il materiale rimanente è

ulteriormente frantumato in granuli di 3-4 mm, che costituisce la “materia  grezza”  per  il  prossimo  passaggio. Questi granuli, infatti, sono utilizzati per tutta una serie di nuovi prodotti,  come  parti  di  scarpe  nuove (suole, plantari e calzature ortopediche), oppure per la costruzione di superfici rigide come dossi artificiali anti-velocità per le strade, dove  questi  granuli,  combinati  con  la gomma, rappresentano addirittura il 66%  del  prodotto  finale.  L’obiettivo  principale  del  progetto  è  di  dimostrare che i rifiuti a base di polimeri,  come  le  calzature,  possano essere  utilizzati  per  nuovi  prodotti

vendibili sul mercato, evitandone in questo modo il conferimento in discarica  e  riducendo  il  bisogno  di nuovi polimeri, che sono prodotti a partire  dal  petrolio  attraverso    processi  chimici  non  privi  di  impatti ambientali.  Il  progetto  è  considerato  a  tutti  gli effetti come un successo, visto che ha  prima  di  tutto  dimostrato  l’apprezzamento  per  le  calzature  prodotte con materiali riciclati da parte dei consumatori finali. Infatti, sono state vendute più di 12.000 paia di scarpe  riciclate,  e  i  promotori  del progetto si dicono fiduciosi che per questo  mercato  ci  siano  altri  am-

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plissimi margini addirittura a livello mondiale. Il progetto naturalista ha coinvolto partner di spagna, portogallo, polonia e Repubblica Ceca. In  Italia,  è  da  segnalare  l’iniziativa dell’assessorato  a  scuola,  sport  e politiche  Giovanili  di  Roma  Capitale, della Federazione italiana di atletica leggera (Fidal) e di GoGreen Onlus per il Golden Gala di atletica che  si  terrà  a  Roma  nel  giugno 2016: un pacchetto di riduzioni fino al 30% del costo del biglietto di ingresso  per  tutti  gli  sportivi,  o  semplici  appassionati  di  atletica,  che porteranno  un  paio  di  scarpe  da ginnastica usate alla Runfest, il villaggio  del  Golden  Gala,  con  l’obiettivo di incentivare la cultura del riciclo e far tornare in pista le vecchia calzature. Grazie a un particolare processo di recupero della suola di gomma delle sneakers, infatti, sarà possibile ottenere materiale per la realizzazione di nuove piste di atletica destinate alle scuole di Roma nell’ambito  del  progetto  “La  pista di pietro”, ispirato a pietro Mennea e realizzato da Roma Capitale, GoGreen e Acea.  una  particolare  forma  di  riciclo  è alla  base  di  un  progetto  di  Adidas, che  ha  recentemente  presentato  un prototipo  di  sneakers  la  cui  tomaia


è  costituita  da  un  tessuto  ottenuto dalle  vecchie  reti  da  pesca  illegalmente scaricate in mare, recuperate dalla  società  no-profit  sea shepherd.  La  Adidas  ha  utilizzato un  innovativo  processo  di  tessitura a maglia che non dà luogo a scarti di produzione: la tessitura a maglia, già utilizzata per la produzione delle scarpe primekit (un tipo di scarpe da  football  con  tomaia  flessibile), consente  infatti  di  tessere  direttamente la tela della scarpe, invece di ritagliare la stoffa dai campioni come avviene nei processi tradizionali, evitando la produzione di scarti e residui non utilizzabili. I NUOVI MATERIALI

La catena inglese Marks & spencer ha recentemente lanciato sul mercato  la  nuova  linea  di  scarpe  “Foot-

untha e la società di produzione di materiali  da  costruzione  Holcim hanno  creato  una  partnership  per convertire  i  rifiuti  di  produzione della più grande fabbrica di scarpe del Vietna m  in  un  materiale  combustibile. Questi  rifiuti  si  sono  dimostrati particolarmente difficili da triturare, a causa della varietà e durezza dei diversi materiali che li costituiscono:  la  untha  ha  dovuto  riprogettare  il  trituratore,  e  ha  quindi costruito un impianto pilota in Austria,  che  è  stato  poi  trasferito  in Vietnam al termine della fase sperimentale.  L’impianto  è  in  grado  di  trasformare 10 ton/ora di rifiuti in materiale  combustibile,  che  sostituirà in parte i combustibili fossili presso il locale cementificio della Holcim.

COn pLAsTICA OCEAnICA

Un rifiuto di scarpa Contribuire  ad  eliminare  i  rifiuti in plastica che finiscono in mare, unendo  però  all’ecosostenibilità la  tecnologia  nell'ambito  della produzione industriale di calzature. E’ questo lo scopo del progetto  portato  avanti  da  Adidas  con la  collaborazione  dell'associazione “parley for the Oceans”, e che ha  visto  la  realizzazione  di  una scarpa  composta  interamente  da rifiuti  recuperati  dall'oceano, quali  reti  da  pesca  e  poliestere. Al  momento,  però,  si  tratta  solo

glove  Earth”,  prodotta  a  partire  da una varietà di rifiuti diversi: la metà dei rinforzi sono costituiti da plastica  ottenuta  da  bottiglie  riciclate,  il 57% delle suolette sono prodotte da fondi di caffè, e le suole sono costituite al 35% da gomma naturale e al 10%  da  gusci  di  riso;  sono  inoltre impiegati  adesivi  a  base  acquosa. Tutti i componenti delle scarpe derivano da rifiuti, o vengono prodotti in modo sostenibile: la pelle proviene  esclusivamente  da  concerie  certificate,  mentre  il  100%  del  poliestere e il 70% dell’imbottitura sono ottenuti da materiali riciclati. Anche  la  stilista  stella  McCartney, famosa per il suo impegno a favore della causa animalista, ha iniziato a dotare le sue scarpe di una suola in materiale  termoplastico  biodegradabile  (denominato  Apinat),  prodotto dall’industria italiana Api.  ULTIMA RISORSA: IL RECUPERO ENERGETICO

La  società  di  trattamento  rifiuti Hi-Tech Ambiente

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di  un  prototipo,  di  cui  è  difficile prevedere  una  commercializzazione in tempi relativamente brevi.  Questa  calzatura,  per  di  più,  è stata  stampata  in  3D,  analogamente  alla  personalizzatissima Adidas  Futureconcept  la  quale, grazie  proprio  alla  stampa  3D, viene  realizzata  direttamente  in negozio dopo che al cliente è stata scannerizzata la pianta del piede  e  rilevato  lo  stile  di  corsa  o camminata.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

L’alluminio da vecchie auto Il recupero di leghe di Al

Nell’ambito del progetto ShredderSort è in sperimentazione un processo integrato di selezione/separazione semplice e veloce Attualmente, in Europa vengono prodotti ogni anno oltre 10 milioni di tonnellate di rifiuti provenienti da veicoli fuori uso. Questi rifiuti vengono smaltiti in impianti specializzati, in cui i veicoli vengono smantellati con una serie di processi meccanici e fisici per separare i diversi materiali in frazione metallica ferrosa e non ferrosa, rifiuti non metallici e “fluff” (plastica, gomma, ecc.). I materiali ferrosi (che costituiscono oltre il 60% in peso del totale) sono inviati alle acciaierie, mentre la frazione metallica non ferrosa (che rappresenta poco meno del 10% in peso ed è ricca di alluminio) viene ulteriormente lavorata per separare le varie leghe in essa presenti, ciascuna delle quali ha una diversa composizione chimica e specifiche proprietà. Dopo una separazione preliminare, finalizzata all’eliminazione delle leghe di rame (isolate per separazione manuale, con sistemi di separazione basati sul peso o anche sul colore), il passaggio successivo dovrebbe essere la separazione delle diverse leghe a base di alluminio; si tratta però di un’operazione piuttosto complessa e costosa, in quanto richiede azioni preliminari di pulizia e trattamento con agenti chimici, con un impiego intensivo anche di acqua ed energia. Di conseguenza, oggi le leghe di alluminio non vengono recuperate in maniera diversificata, ma

semplicemente trattate per ottenere leghe per fonderie, rinunciando al riciclaggio dell’alluminio in leghe di maggior pregio, come quelle per lavorazioni plastiche; oppure, dato che la selezione tra le diverse leghe viene effettuata prevalentemente con sistemi manuali, si preferisce inviare i rifiuti a base di alluminio nei Paesi extraeuropei in cui la manodopera è a basso costo, aumentando così la dipendenza dei Paesi UE dall’importazione di materie prime. Diventa quindi importante migliorare il riciclaggio della frazione metallica non ferrosa, in quanto ciò porterebbe evidenti vantaggi dal punto di vista economico e ambientale e per lo sfruttamento sostenibile delle risorse.

IL PROCESSO SHREDDERSORT

Negli ultimi decenni sono state create varie tecnologie per la separazione dei materiali, sia metallici che plastici: esse si basano in genere sul passaggio dei frammenti, posti su un nastro trasportatore, sotto dei sensori che distinguono i diversi materiali in base alle loro proprietà. La separazione viene effettuata con eiettori a getti d’aria, che rimuovono i materiali da separare dal flusso degli altri rifiuti. Anche queste tecnologie, però, presentano dei limiti: attualmente, infatti, non esistono tecnologie con efficacia dimostrata in grado di separare le diverse leghe in base alla concentrazione di alluminio o in base a-

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gli altri metalli presenti: le leghe per fusione sono prevalentemente a base di alluminio/manganese e alluminio/silicio, mentre quelle per lavorazioni plastiche hanno in genere una composizione più complessa, con presenza di magnesio, associato o meno al silicio. Per risolvere questo problema, è stato varato il progetto europeo ShredderSort, che si propone di migliorare il recupero delle diverse frazioni di alluminio, potenziando le tecnologie di separazione esistenti basate sull’analisi elettromagnetica e spettroscopica. Nel quadro di questo progetto, è stato messo a punto un processo integrato di selezione, che prevede diversi passaggi. Innanzitutto, una fase preliminare di frantumazione e separazione magnetica dei metalli ferrosi, dopo la quale il flusso di metalli non ferrosi risultante viene inviato a un separatore a correnti parassite, che elimina i frammenti a base di acciaio. Successivamente, si procede alla separazione dei metalli pesanti (rame e leghe di rame, tra cui ottone e bronzo) mediante l’impiego combinato di sensori ad analisi di immagine (VIA, cioè Vision Image Analysis) e sensori a spettroscopia del tensore elettromagnetico (EMTS): un sistema visivo ad alta velocità consente di determinare posizione, dimensioni e orientamento dei frammenti, e i sensori EMTS eseguono la separazione in base alla


caratteristiche del tensore di conduttività. I frammenti contenenti rame vengono identificati e separati e, a questo punto del processo, tutto ciò che rimane nel flusso sono metalli leggeri, che vengono sottoposti ad una ulteriore cernita mediante un sistema LIBS (Laser Induced Breaking Spectroscopy, cioè separatore ad alta resa basato su spettroscopia a rottura in-

dotta da laser), che separa le diverse leghe di alluminio in base alle loro caratteristiche chimiche, cioè in base alla presenza nella lega dei metalli aggiunti oltre all'alluminio. Questa tecnica consiste nell’esporre la superficie dei frammenti a un raggio laser ad alta potenza, che crea un plasma il quale, una volta raffreddato, emette lo spettro atomico degli elementi costitutivi dei diversi ma-

teriali che compongono il flusso: in questo modo diventa possibile distinguere e separare le diverse leghe di alluminio (alluminio per fusione e alluminio per lavorazioni plastiche, oltre a leghe alluminio/manganese per fusione e alluminio/magnesio per lavorazioni plastiche). Il sistema ShredderSort (e in particolare la separazione EMTSVIA e LIBS) elimina la necessità

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di complessi e costosi pre-trattamenti o di separazione manuale, e rappresenta un metodo di selezione/separazione semplice e veloce; esso è attualmente nella fase di sviluppo in laboratorio, ma i risultati ottenuti sono promettenti ed è prevista a breve la realizzazione di un impianto pilota. Al progetto partecipano 11 diversi partners da 5 Paesi UE, tra cui anche l'Italia.


Benché i responsabili delle decisioni di tutto il mondo stiano ancora discutendo su quanto sia importante il ruolo della biomassa in futuro, ne sono state usate circa 78,4 milioni di tonnellate per il riscaldamento e il bioriscaldamento nel 2015. Un quantitativo che è appena la metà dei livelli di uso del carbone e del gas naturale, e un po’ di più di quello del petrolio. E non è che l’inizio, visto che la biomassa continua a penetrare in nuovi mercati con nuove innovazione frutto della ricerca. Le potenzialità della biomassa sono illimitate e nuove idee emergono in continuazione. Il progetto europeo UpCyclingTheOceans, per esempio, si propone di trasformare i rifiuti marini in abbigliamento di lusso. Nextkoat consente la produzione di vernici non tossiche con le alghe, mentre altri progetti come D-Factory e Leguval stanno studiando modi di traformare rispettivamente le microalghe in prodotti utili e le proteine in sostituti della plastica.

La biomassa da riciclo Progetti ambiziosi

Abiti dai rifiuti marini, vernici atossiche dalle alghe, bioraffineria di microalghe e plastica dai legumi

organizzazioni che si occupano di pesca. Di conseguenza, Ecoalf ha stipulato accordi specifici in tal senso. <<L’intenzione di Ecoalf adesso è collaborare con le organizzazioni che si occupano di pesca - chiarisce Oñate - per raccogliere la plastica dai mari e per introdurre nuovi processi industriali come la gestione dei rifiuti, la produzione di pellet e la filatura di stoffe a partire da materiali riciclati>>. Lo studio, inoltre, ha scoperto che la mancanza di punti di raccolta dei rifiuti nei porti ha ostacolato pesantemente in passato i tentativi di riciclo dei rifiuti in mare. <<Necessario, quindi, è allestire in ogni porto - dice Oñate - un sistema integrale di gestione dei rifiuti>>. Un’altra questione fondamentale identificata dallo studio è il bisogno di un piano di formazione per promuovere la cultura della rac-

IL PROGETTO UPCYCLINGTHEOCEANS

Ecoalf, un’azienda spagnola che disegna e commercializza prodotti tessili e accessori di alta qualità fatti con materiali riciclati (come bottiglie in PET, reti da pesca, pneumatici usati, caffè post-consumo e cotone post-industriale), si propone di ampliare la propria gamma a catalogo per includere tessuti e vestiti realizzati con rifiuti marini in plastica. Grazie al progetto europeo UpCyclingTheOceans, è stata analizzata la fattibilità economica di questa iniziativa, identificate le sfide logistiche per ottenere i rifiuti marini in plastica ed anche fatto un sondaggio tra clienti e distributori per valutare la reazione del mercato. <<Il nostro obiettivo è sviluppare tecnologie di produzione usando sofisticati processi di R&S per riciclare i detriti che si trovano in fondo all’oceano - spiega la coordinatrice del progetto Paloma Oñate, di Ecoalf - vogliamo creare la prima generazione di prodotti riciclati a partire da detriti marini ma con proprietà qualitative, di design e tecniche pari ai migliori prodotti non riciclati>>. Lo studio ha sottolineato l’importanza del coordinamento con le

colta dei rifiuti tra i pescatori. <<I pescatori tirano su un’enorme quantità di plastica – afferma Oñate - ma la ributtano in mare, semplicemente perché è così che si fa da generazioni. Con l’aiuto di questi pescatori però, possiamo dare una nuova vita a questi rifiuti>>. Il riutilizzo dei rifiuti del mare creerà nuove opportunità per le PMI, oltre che naturalmente avere un impatto positivo sull’ambiente. Continua a pag. 28 Hi-Tech Ambiente

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ZOOM

Market

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La biofermentazione di RSU SBM–IRFI Environmental Department

Specialisti nella costruzione di impianti BRS “chiavi in mano” per il trattamento dei rifiuti solidi urbani La SBM – IRFI ha la sede legale ed operativa in Pian Camuno in provincia di Brescia. Da alcuni anni l’azienda è attiva nel campo del trattamento dei rifiuti solidi urbani e il suo core business si identifica nella fornitura “chiavi in mano” dei reattori di prefermentazione (BRS). Il reattore di prefermentazione è una robusta costruzione di forma cilindrica che ruota attorno al proprio asse orizzontale, per mezzo di apposite piste in acciaio forgiato appoggiate su adeguati supporti a rulli. Il sistema di alimentazione è realizzato con testata fissa sostenuta da rulli pressori. La portata di scarico è regolabile tramite una portella a serranda azionata da servocomando elettrico. Il sistema di trasmissione realizzato prevede l’adozione di un gruppo motore – riduttore ad assi paralleli e giunto che impegna direttamente sul pignone che trasmette a sua volta il moto ad una corona dentata. Il motore di azionamento del cilindro è comandato tramite inverter. Il sistema di immissione dell’aria è costituito da 3 ventilatori installati a bordo del cilindro con portata unitaria di circa 5.000 mc/h con prevalenza di 140 mm di H2O. Il trattamento dei rifiuti RSU all’interno del reattore consente di ottenere i seguenti risultati: - omogeneizzazione dei diversi componenti per effetto della sua rotazione; - frammentazione dei rifiuti per contrasto del materiale sulle pareti, munite all'interno del mantello di profilati antiusura e di opportuni rostri; - ossigenazione dell'intera massa per mezzo di un opportuno sistema di circolazione di aria prelevata dall'ambiente esterno;

- igienizzazione della massa in lavorazione con conseguenti vantaggi per la salute degli operatori addetti alla conduzione dell'impianto. L'adozione di un reattore a prefermentazione accelerata comporta rispetto ad altri sistemi similari innegabili vantaggi dal punto di vista tecnico gestionale come la possibilità di un sicuro controllo e di una efficace regolazione dei principali parametri di processo, cioè temperatura, contenuto di ossigeno, umidità.

L'apparecchiatura, infatti, si presta per la disposizione di sensori in campo di difficile installazione e manutenzione su altri tipi di reattori. L'elevata temperatura sviluppatasi per effetto del metabolismo microbico consente, inoltre, la distruzione di germi patogeni e semi di piante infestanti, eliminando così inconvenienti igienici sul prodotto da destinare alle successive fasi di trattamento. Il cilindro deve permanere in rotazione ventiquattro ore su ventiquattro, assumendo velocità mag-

SBM - IRFI Spa Via Predalva n. 14 - 25050 Pian Camuno (BS) Tel 0364.590810 - Fax 0364.590822 E-mail segreteria@sbm-irfi.com - www.sbm-irfi.com

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giore durante la fase di alimentazione e scarico al fine di aumentare la portata e di favorire le suddette operazioni. Da verifiche sperimentali e da opportune analisi dell'andamento del processo si è potuto constatare come i rifiuti raggiungano rapidamente, dopo il loro ingresso nel cilindro mediamente alla fine del primo tronco, una temperatura di 55-60 °C. Tale temperatura, con il tempo di permanenza mediamente assegnato, pari a circa 36-70 ore, risulta ampiamente sufficiente a garantire la inattivazione degli agenti patogeni con conseguente immediata igienizzazione del prodotto. Le migliori condizioni di funzionamento della macchina sono quelle riconducibili ad un grado di riempimento tra 60 e 70% come testimoniato da numerose prove sperimentali condotte su impianti dotati di reattore di prefermentazione. In queste condizioni si ottiene il duplice risultato di un’efficace ossigenazione della massa dei rifiuti unitamente ad una efficace azione di riduzione del loro volume dovuto alla presenza di una serie di rostri in acciaio saldati internamente al mantello del cilindro nella sua parte iniziale. La SBM-IRFI ha costruito negli ultimi otto anni n. 12 impianti di biofermentazione, provvedendo ad installarli nelle seguenti località: - n. 4 impianti a Barcellona (Spagna) - n. 4 impianti in Qatar - n. 1 impianto a Chalosse Caupenne (Francia) - n. 1 impianto a Chateau d’Olonne (Francia) - n. 1 impianto a Bourgneuf en Mauges (Francia) - n. 1 impianto a Sainte Severe (Francia)


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alga affinché produca questi prodotti in diverse proporzioni prima della loro estrazione e preparazione, per rispondere alle esigenze del mercato. Allo scopo, cellule di Dunaliella a densità elevata vengono coltivate in vasche comunicanti e fotobioreattori, e poi raccolte con la massima delicatezza utilizzando tecnologie a piastre a spirale ed a membrana. Una gamma di tecnologie di lavorazione attentamente selezionate viene integrata ed ottimizzata utilizzando sofisticate tecniche di modellizzazione. I materiali ottenuti sono al vaglio

La biomassa da riciclo La produzione di fili di PET a partire dai materiali riciclati, piuttosto che da materie prime non rinnovabili, significa il 20% in meno di rifiuti in mare, una riduzione del 50% del consumo di energia e una riduzione del 60% dell’inquinamento dell’aria durante il processo di produzione. IL PROGETTO NEXT1KOAT

Attualmente, vengono utilizzate soprattutto le vernici a base di solvente piuttosto che quelle a base d’acqua, perché le prime hanno una durata superiore. I rivestimenti a base di solvente, però, sono associati ai composti organici volatili (VOC), che come noto sono nocivi. Il progetto europeo Next1Koat (Novel high performance, waterbased “high solids” and bio-based industrial wood coating) rappresenta un tentativo per sviluppare rivestimenti ecologici a base d’acqua a partire dalle alghe. Le ricerche finora condotte nell’ambito del progetto si sono incentrate sulle reazioni chimiche e sui processi che riguardano queste vernici atossiche e sostenibili e testata la loro compatibilità con altri composti. IL PROGETTO D-FACTORY

L’obiettivo del progetto D-Factory (The micro algae biorefinery) è fissare un parametro di riferimento globale per una bioraffineria sostenibile che utilizzi bio-

massa dalla microalga Dunaliella salina, in grado di crescere in ambienti salini. La coltivazione di Dunaliella è la più estesa rispetto a qualsiasi altra microalga ed occupa centinaia di ettari. Si tratta di una microalga che cresce in tutto il mondo nelle acque saline non potabili, catturando il biossido di carbonio (CO 2 ) e sfruttando l’energia solare. Produce, inoltre, in modo naturale carotenoidi e altri composti di valore commerciale come sostanze bioattive, emulsionanti, polimeri e glicerolo. La bioraffineria DFactory mira a perfezionare tale

per la produzione di una nuova serie di prodotti. Ad oggi, è in corso di sviluppo, infatti, il prototipo di questa bioraffineria. Una volta terminate le ricerche e le sperimentazioni, sarà possibile realizzare un business plane per investimenti globali in bioraffinerie sostenibili e su larga scala di alghe concimate con CO2 attraverso una piattaforma innovativa. E’ in corso anche la creazione di progetti, schemi quantificati e integrati con valutazioni di sostenibilità da utilizzare come riferimento per un’ampia gamma di prodotti e percorsi.

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IL PROGETTO LEGUVAL

Ogni anno vengono prodotti milioni di tonnellate di plastica. La plastica è dannosa all’ambiente perché non è biodegradabile e la sua produzione si basa abbondantemente su combustibili fossili. I residui di derivazione vegetale contengono composti potenzialmente in grado di essere utilizzati come materiale rinnovabile e, in definitiva, si presentano come un’alternativa praticabile alla plastica. Il progetto europeo LEGUVAL (Valorisation of legumes co-products and by-products for package application and energy production from biomass) mira a produrre materiali rinnovabili ricavati da sottoprodotti dei legumi. Finora, sono stati studiati i metodi per processare i materiali e sono stati identificati vari sottoprodotti, prendendo in considerazione criteri come i volumi di produzione e la stagionalità. Quali fonti di proteine possibili, sono stati selezionati sottoprodotti da piselli, fagioli e lenticchie (tutti legumi). I ricercatori hanno ottimizzato il processo di estrazione per produrre proteine al 95%, al 67% e al 64% in relazione, rispettivamente, a piselli, fagioli e lenticchie. Hanno anche indagato sulle proprietà termiche e meccaniche di tali proteine. Inoltre, la biomassa costituita dai residui derivanti dal processo di estrazione delle proteine è utilizzabile anche come fonte di biogas, per contribuire all’efficienza del processo complessivo.


Il trattamento dei rifiuti organici

ELIMINAZIONE DELLA RACCOLTA

Filiera in cerca d’innovazione

Dai disidratatori ai compostatori di comunità, dalla biotriturazione al trasporto pneumatico: pro e contro Secondo i dati dell’ultimo rapporto Ispra su produzione e gestione dei rifiuti urbani in Italia, la raccolta differenziata della frazione organica copre 5,7 milioni di ton/anno, corrispondenti a oltre il 19% del totale dei rifiuti urbani prodotti. La frazione organica rappresenta più del 40% in peso del totale dei rifiuti raccolti in maniera differenziata; la sua destinazione prevalente è il compostaggio, in quanto gli impianti per la produzione di compost hanno lavorato 5,3 milioni di ton di rifiuti. A prima vista la filiera dei rifiuti organici sembra ormai consolidata: la raccolta differenziata si fa con i “cassonetti verdi” o con sistemi porta a porta, e quello che si raccoglie va principalmente al compostaggio e in parte minore a digestione anaerobica. Tutto quello che si può fare è incrementare

la raccolta nelle regioni del Centro e del Sud, dove i quantitativi raccolti e compostati sono circa la metà rispetto alle regioni del Nord. Tuttavia, questo schema presenta

vo varia secondo le regioni sebbene si possa considerare mediamente da 80 a 100 euro/ton - la raccolta comporta spese non indifferenti, in quanto è necessaria una frequenza ravvicinata per evitare cattivi odori e proliferazione di insetti; in media il costo può andare da 90 euro/ton per un bacino di raccolta piccolo (150.000 ton/anno di rsu) fino a 130 euro/ton per un bacino grande (750.000 ton/anno di rsu). D’altra parte, per raggiungere gli obiettivi fissati dalle Direttive Europee deve essere evitato il conferimento in discarica di questo tipo di rifiuti, che sono i maggiori responsabili della produzione di maleodoranze, biogas e percolato. Le possibili soluzioni sono di due tipi: eliminazione della raccolta, mediante il trasferimento del trattamento agli stessi produttori; riduzione dei costi, mediante sistemi di trattamento e trasferimento innovativi.

alcune criticità, soprattutto di tipo economico: - i rifiuti organici non sono valorizzabili ma, al contrario, bisogna pagare per conferirli all’impianto di compostaggio, ed il corrispetti-

La raccolta dei rifiuti organici può essere eliminata in due modi: attraverso sistemi di triturazione (i cosiddetti “dissipatori”) che convogliano i rifiuti organici nella rete fognaria, trasferendo l’onere della loro degradazione agli impianti di depurazione; attraverso il “compostaggio domestico di prossimità”, incentivando l’autoproduzione e l’autoconsumo del compost. Entrambe le proposte hanno vantaggi e svantaggi. Il dissipatore di rifiuti alimentari (DRA) è un elettrodomestico di costo modesto (da 150 a 500 euro), che si installa sotto il lavello di cucina e contiene un disco a elementi mobili, che ruota a 12.000 giri/min entro un cilindro con la faccia interna a grattugia. I residui di cibo vengono sfibrati dagli elementi mobili e triturati dall’attrito contro le pareti a grattugia; la massa viene diluita con acqua in modo che scorra senza problemi e non provochi intasamenti. L’uso di dissipatori è diffuso soprattutto negli Stati Uniti (la città di Philadelphia, ad esempio, lo ha reso obbligatorio per tutti i nuovi insediamenti residenziali). In Italia è poco utilizzato (lo ha solo 1 famiglia su 100), anche perché oContinua a pag. 30

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Il trattamento dei rifiuti organici stacolato dall’attuale normativa (D.Lgs 172/2008, art.107, comma3), che lo consente solo previa approvazione dell’Ente gestore del Servizio Idrico Integrato. Questa disposizione ha lo scopo di impedire che un’eccessiva immissione di rifiuti organici nei depuratori possa sovraccaricarli e comprometterne la funzionalità, ma risulta penalizzante perchè ben pochi sono i gestori di servizi idrici disposti ad accollarsi la responsabilità di autorizzare l’uso di una apparecchiatura che aumenta i loro costi di gestione e che potrebbe creare problemi di sovraccarico. Dal punto di vista ambientale, l’uso dei dissipatori non può essere considerato del tutto positivo: è certamente preferibile all’invio dei rifiuti organici in discarica, ma non consente alcun recupero o valorizzazione; mentre il compostaggio consente un certo grado di recupero come materia adatta a fertilizzare il terreno, e la digestione anaerobica consente il recupero come energia. Quanto al compostaggio domestico, però, esso ha un’applicabilità limitata in un Paese densamente popolato e urbanizzato come l’Italia; è stato molto incentivato negli anni passati, ma con ri-

sultati modesti in termini di riduzione del rifiuto prodotto. L’esperienza ha dimostrato che occorre fornire agli utenti maggiore assistenza, come sta avvenendo ad esempio nella città metropolitana di Roma Capitale, con il programma “CompostTiAmo!”. Il compostaggio di prossimità (o di comunità) è rivolto ad un numero di utenti che vanno da poche decine a qualche centinaio: condomini, alberghi, mense o altre attività di ristorazione collettiva. Si tratta di un’attività che richiede l’acquisto e la gestione di apparecchiature elettromeccaniche, e necessita quindi di una redditività economica. Una speri-

mentazione condotta nel 2011 presso un’utenza di ristorazione collettiva in Piemonte indica che le spese di gestione di un compostatore da 800-1.000 kg/giorno sono intorno a 2.600 e/anno, che devono essere recuperati con un adeguato sconto sulla tassa di smaltimento dei rifiuti. Il Centro Ricerche Enea-Casaccia ha recentemente compiuto, nel quadro del suo progetto ASTRO (Attività Sperimentale Trattamento Rifiuto Organico) una valutazione delle principali macchine compostatrici presenti sul mercato. Tutte le apparecchiature consentono un appropriato monitoraggio del processo aerobico e ga-

rantiscono il raggiungimento delle temperature occorrenti per la completa igienizzazione della massa; tuttavia, il compost in uscita richiede un periodo di stabilizzazione in cumulo a terra di almeno 2 mesi. Un esperimento di compostaggio di comunità in un contesto rurale è stato compiuto nel quadro del progetto transfrontaliero italofrancese “C3PO”. In questo caso le apparecchiature di compostaggio erano di tipo statico, cioè “casette” di legno con un volume di 5 mc. Al loro interno sono divise in uno scomparto di immissione dei rifiuti (dove avviene la bioossidazione accelerata), uno scomparto di maturazione ed uno di stoccaggio del materiale lignocellulosico necessario come “strutturante”, per garantire un corretto afflusso di aria. I materiali in fase di compostaggio sono posti a diretto contatto con il suolo, salvo una base di fascine (con funzione drenante) nel comparto di immissione. Il compost ottenuto è risultato di qualità adeguata per l’autoconsumo, ma la validità economica si basa sulla disponibilità di volontari formati, motivati e responsabili. SISTEMI INNOVATIVI DI TRATTAMENTO E TRASFERIMENTO

I rifiuti organici sono costituiti per oltre il 70% da acqua; la loro disidratazione consentirebbe quindi un notevole risparmio nei costi di trasporto, oltre a ridurne la putrescibilità. Il sistema più Continua a pag. 32 Hi-Tech Ambiente

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RePlaCe: la plastica a sostegno dell’ambiente Può la plastica diventare una risorsa proprio quando è alla fine del suo ciclo di vita? La risposta concreta giunge da un gruppo di aziende specializzate nel settore delle materie plastiche che, grazie al progetto RePlaCe – co-finanziato dal programma europeo LIFE+- hanno realizzato un nastro trasportatore industriale le cui componenti strutturali sono in plastica riciclata anziché in metallo. RePlaCe ha come obiettivo lo sviluppo di approcci, tecnologie, metodi e strumenti innovativi per consolidare e attuare le politiche finalizzate a garantire una gestione, un utilizzo sostenibile e una prevenzione dei rifiuti, ponendo particolare attenzione al ciclo di vita del prodotto, al design ecologico e allo sviluppo dei mercati del riciclaggio. Grazie all’iniziativa RePlaCe, nel 2013 tre aziende specializzate nella lavorazione delle materie plastiche e un’azienda multi utility gestore della raccolta differenziata hanno ideato e realizzato un prototipo di nastro trasportatore i cui elementi strutturali sono costituiti da plastica riciclata. Ciascuna delle quattro aziende che ha preso parte a questa sfida ha avuto un ruolo decisivo: Plastic Metal Spa ha fornito le proprie macchine a iniezione per termoplastici per stampare le componenti in plastica riciclata, F.lli Virginio Srl ha progettato e assemblato il nastro trasportatore, Vivi Srl si è occupata dello studio del materiale e della realizzazione degli stampi per le componenti in plastica, Etra Spa si è occupata dei test e collaudi, gestendo un centro di raccolta differenziata dei rifiuti. Utilizzare plastica da riciclo per la produzione di nuovi articoli significa sfruttare al meglio gli impianti di riciclaggio dei rifiuti e soprattutto ridurre la massa di rifiuti destinati allo smaltimento. Per questo motivo già nel

2008 è iniziata la collaborazione tra Plastic Metal Spa, F.lli Virginio Srl e Vivi Srl con l’intento di utilizzare la plastica riciclata, abbondantemente presente nel mercato, come ideale sostituto al metallo nella produzione di nastri trasportatori. Da questa prima esperienza con RePlaCe è stato possibile realizzare un nastro trasportatore modulare i cui elementi strutturali in alluminio e ferro sono stati sostituiti da elementi in plastica riciclata, consentendo anche un’ottimizzazione dei volumi implicati nel costo di trasporto. Ciascuna di queste aziende ha cooperato in simbiosi con le altre, valutando costantemente le problematiche in itinere e vagliando le opportune soluzioni. Il risultato è un nastro trasportatore di ultima generazione utilizzabile in qualunque settore di produzione, incluso il packaging, dal momento che si è tenuto conto anche della forma delle componenti costitutive del nastro, le quali rispondo alle normative igienico sanitarie vigenti. In seguito, si trattava di progettare come realizzare in plastica riciclata un’altra parte fondamentale del nastro: il tappeto. Finora, i tappeti erano realizzati in PVC, TPU, gomma sintetica o

plastica vergine ed erano disponibili in numerose varianti a seconda del prodotto che doveva essere trasportato. L’obiettivo principale di questa seconda tappa è quello di realizzare il tappeto in un materiale plastico interamente proveniente dal riciclo, senza che l’efficienza e la funzionalità dello stesso ne risulti compromessa. Questo tappeto dovrà essere modulare e le sue componenti quali puleggia, spire, ingranaggi di trasmissione e pignoni dovranno garantire una perfetta movimentazione e resistenza all’usura. Un secondo obiettivo, collegato al primo, è la realizzazione di una nuova raccolta di plastica “dura e ingombrante” da rifiuto urbano nella regione del Veneto. Questa parte del progetto sarà affrontata dal gruppo Etra Spa. La prima parte del progetto è stata dedicata allo studio delle caratteristiche meccaniche dei componenti del tappeto, per poter individuare la composizione ottimale della plastica riciclata da utilizzare e gli additivi necessari a garantire elevate prestazioni del nastro trasportatore sottoposto a carichi statici e dinamici. Il tappeto sarà costituito da una serie di moduli agganciati uno all’altro senza l’utilizzo di perni (che sono in materiale metallico), con una configurazione “a mattoncino”, atta a conferire resistenza e stabilità in direzione trasversale e diagonale. Il tappeto sarà azionato da un sistema con traino positivo per mezzo di pignoni in plastica ottenuti per stampaggio o lavorazione meccanica. La superficie del tappeto può essere ad area aperta, ad

PLASTIC METAL Spa Via Francia 6, 36053 - Gambellara (VI) Tel 0444.440320 - Fax 0444.440844 E-mail info@plasticmetal.it - www.plasticmetal.it

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area chiusa, con profili verticali (listelli) o con spondine laterali in base alle esigenze del prodotto da trasportare. Particolare attenzione è stata posta sia al design del tappeto che al materiale che lo costituisce: le simulazioni delle deformazioni post stampaggio sono notevoli, pertanto il materiale dovrà essere sufficientemente “morbido” per accettare queste sollecitazioni. Alfine di rendere il progetto davvero utile anche in campo pratico ed economico, ogni scelta è stata compiuta considerando il basso impatto ambientale, l’elevato contenuto tecnologico e un elevato rapporto qualitàprezzo. I benefici derivati da questo progetto pertanto possono essere così sintetizzati: - un beneficio ambientale, diminuendo i volumi di materiale plastico destinato alla discarica; - un beneficio energetico, in quanto il processo di riciclaggio della plastica comporta minori consumi di energia rispetto al processo di produzione di alluminio; - un risparmio energetico ed economico in quanto lo stampaggio delle materie plastiche avverrà con macchinari dalle elevate prestazioni e consumi energetici ridotti. Se gli studi e le informazioni tratti da questa ricerca e gli obiettivi raggiunti verranno estesi ad altri prodotti, l’incremento dell’utilizzo della plastica riciclata sarà esponenziale e non solo l’ambiente ne trarrà vantaggio ma anche gli enti e società che operano nel settore del riciclaggio dei rifiuti. Riciclare i rifiuti e riciclarli nel modo corretto e più funzionale possibile diventerà parte della coscienza collettiva, poiché ciò che oggi scartiamo subirà un nuovo processo di trasformazione diventando, così, un nuovo prodotto domani.


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Il trattamento dei rifiuti organici semplice è la disidratazione termica, che ha però lo svantaggio di un elevato consumo energetico: da 0,6 a 1 kWh per ogni kg di rifiuto. L’eliminazione dell’acqua può essere ottenuta, con un minor dispendio energetico, anche con sistemi meccanici, come la tritu-

razione seguita da compressione o centrifugazione; sistemi di questo tipo sono allo studio a Milano, per grandi utenze come ristoranti e mense. Uno studio della M&G Partners considera il trattamento degli scarti di mense e cucine industriali (in quantità di circa 1.500 ton/anno) mediante un processo di “biotriturazione”, seguito dalla digestione anaerobica in un “mini-impianto”, dove il biogas prodotto può essere trasformato in

energia sul posto (mediante motori a partire da 75 kW di potenza elettrica) oppure convertito a biometano attraverso un modulo containerizzato a 25 mc/ora. Anche nella fase di trasferimento dei rifiuti sono stati tentati interventi innovativi, attraverso la sperimentazione (sia su scala di singoli grossi produttori che di intere municipalità) di sistemi di trasporto pneumatico, sotto pressione o sotto vuoto. Sistemi di que-

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sto tipo sono stati installati a Stoccolma, Londra, Barcellona e in diverse cittadine francesi; in Italia è stato installato nel 2015 un sistema applicato alla raccolta delle diverse frazioni (organico, indifferenziato, plastica e carta) presso il grattacielo Eurosky Tower di Roma. L’inconveniente di questi sistemi è il costo molto elevato: la cittadina francese di Vitry sur Seine (90.000 abitanti) ha speso 25 milioni di euro.


DIFFERENZIAMOCI LAST MINUTE SOTTO CASA

CAMPAGNA RAP

Il cibo non si butta!

Non mi rifiuto

Ogni giorno tonnellate di cibo vengono buttate e questo spreco costa tantissimo alle nostre tasche e alla salute del pianeta. Con “Last Minute Sotto Casa” non si risolve certo il problema, ma si può fare ogni giorno qualcosa di utile per tutti. I negozianti, attraverso il sistema, possono mettere in vendita a prezzi convenienti la merce fresca che rischia di avanzare, e le persone iscritte possono approfittarne. Si tratta di un vero e proprio last minute di quartiere, che

consente di ricevere offerte vantaggiose, da cogliere davvero in tempo reale, principalmente da negozi raggiungibili in un attimo, a piedi, rispetto al luogo specificato in fase di registrazione al sistema. Il progetto Last Minute Sotto Casa è tanto semplice quanto efficace! Con LMSC vincono proprio tutti: il negoziante, che porta a casa un incasso, il cliente, che acquista a prezzi molto convenienti e il pianeta, perché il cibo non si butta!!

“Non mi rifiuto” è la prima campagna di educazione alla raccolta differenziata ed al riciclo che utilizza la musica come linguaggio espressivo. Realizzata da Ancitel Energia&Ambiente con il patrocinio di Anci e del Ministero dell’Ambiente (e in collaborazione con CiAl, Ecolamp, Comieco, CoReVe, Italgrob, Rilegno, Ricrea, Revet, Cobat, Ama, European Recycling Platform e Provincia di Rieti), la campagna suppor-

SENSIBILIzzAzIONE AMBIENTALE

Basta Mozziconi a Terra “Basta Mozziconi a Terra” è una campagna di sensibilizzazione ambientale che ha l’intento di divul-

gare una corretta raccolta dei mozziconi di sigaretta con l’obiettivo di coinvolgere le varie categorie di

utenti a un maggiore rispetto per l’ambiente. Durante il mese di aprile si sono svolte diverse iniziative, anche in forma di gara, di raccolta del mozzicone nel centro di Milano, nei suoi parchi pubblici e nei piccoli Comuni del varesotto. Il motto è stato “pulire le strade divertendosi”; e tanto per dare l’idea dei quantitativi di mozziconi di sigaretta che vengono gettati a terra, in poco più di 90 minuti a Milano sono stati raccolti circa 5.000 mozziconi. Ogni Comune ha personalizzato l’evento. Particolarmente simpatico quello organizzato nel varesotto, ossia la “Spazzatura Kilometrica”, che vede tra i soci fondatori Max Laudadio inviato di Striscia la Notizia.

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terà le amministrazioni comunali nelle attività di sensibilizzazione ambientale parlando ai giovani con il linguaggio della musica a loro più familiare: il rap. “Non mi rifiuto” sarà anche la prima campagna di educazione ambientale a km 0, perché tutti i Comuni d’Italia potranno scaricare gratuitamente un kit personalizzato e utilizzarlo per promuovere sul proprio territorio buone pratiche di raccolta e riciclo.


Biomasse & Biogas B i o m a s s a

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B i o g a s

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B i o m e ta n o

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C o g e n e r a z i o n e

L’energia da biogas povero Cleanergy

Basato sul motore Stirling, il sistema GasBox è un’alternativa alla combustione in torcia La valorizzazione energetica del biogas da discarica viene praticata da tempo: si usano motori alternativi, dotati di sistemi di recupero del calore dei gas di scarico e collegati a generatori di energia elettrica. Tuttavia, questi motori funzionano bene con discariche “giovani”, quando il contenuto di metano nel biogas supera il 50%; dopo la chiusura della discarica il contenuto di metano scende progressivamente, e quando si abbassa sotto il 40% il funzionamento dei motori alternativi risulta compromesso. A questo punto il biogas viene bruciato in apposite torce, rinunciando alla sua valorizzazione ener-

getica. La ditta svedese Cleanergy propone un’alternativa alla combustione in torcia: continuare a ricavare energia dal biogas utilizzando il suo sistema GasBox, basato sul motore Stirling. COME FUNZIONA?

Il brevetto del motore Stirling risale al 1816, ed era stato originariamente proposto come alternativa alle locomotive a vapore; tuttavia, il motore Stirling non ebbe fortuna, perché per ottenere un rendimento soddisfacente richiedeva temperature di oltre 600 °C, troppo elevate per le tecnologie metallurgiche dell’epoca.

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A differenza del motore a combustione interna, nel quale il calore è prodotto dalla combustione della miscela aria-carburante all’interno del cilindro, nel motore Stirling il calore viene fornito da una sorgente esterna; questa riscalda un gas, contenuto entro fasci tubieri, inviandolo alla parte superiore di un cilindro. La configurazione più comune prevede che entro il cilindro siano posti due pistoni coassiali; quello posto in alto, detto dislocatore, viene spinto in basso dall’espansione del gas, e nel suo movimento aziona il pistone motore vero e proprio, collegato ad un albero a gomiti. Il dislocatore scendendo consente l’apertura di un condotto, attraverso il quale il gas passa dalla camera superiore ad una camera a temperatura inferiore. Il percorso del gas, che avviene all’esterno del cilindro, comprende prima uno scambiatore di calore e successivamente un sistema di refrigerazione; per cui il gas arriva freddo nella camera inferiore, e successivamente, quando il pistone ed il dislocatore risalgono, il gas freddo viene spinto, attraver-

so lo scambiatore di calore, verso il fascio tubiero ad alta temperatura e ritorna nella camera superiore. Nel motore messo a punto dalla Cleanergy, il gas di lavoro è l’elio, che viene riscaldato fino a 800 °C da un combustore azionato dal biogas. Il sistema di refrigerazione abbassa la temperatura fino a 80 °C,

ed il ciclo si ripete 25 volte al secondo. Il motore è dotato di due cilindri disposti a V e di connessione del sistema di raffreddamento a circuiti esterni di utilizzo del calore. Il combustore è stato particolarmente studiato per ottenere ridotte emissioni di NOx: si tratta di un sistema di ossidazione senza fiamma, nel quale il combustibile

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gassoso in entrata viene miscelato con i prodotti di combustione e con aria preriscaldata. Nella realizzazione del cilindro e del pistone sono impiegate tecnologie all’avanguardia, come un rivestimento superficiale con nanomateriali delle pareti interne del cilindro, e l’impiego di una lega a base di grafite per la biella; nonostante questo, dopo un certo tempo è necessario sostituire gli anelli di tenuta del pistone. Il tempo di sostituzione, inizialmente intorno a 4.000 ore, è stato portato a .6000 ore attraverso successivi perfezionamenti, e si conta di portarlo a 8.000 ore utilizzando nuovi materiali; questo consentirebbe di eseguire la revisione una volta l’anno, come avviene per la maggior parte delle attrezzature industriali. Il motore Stirling della Cleanergy ha dimostrato di poter funzionare regolarmente con biogas contenente il 25% di metano, ed in alcune applicazioni anche con solo il 16%. Ad oggi, l’azienda ha venduto il suo GasBox (che viene fornito entro un container modulare) in Svezia, Norvegia, Inghilterra, Polonia, Dubai e Mongolia.


il pretrattamento ultrasonico Progetto aDaW

Tecnologia che consente gestione e valorizzazione degli scarti di macellazione con trattamenti avanzati di digestione anaerobica La produzione zootecnica corrisponde a circa il 25% del valore complessivo della produzione agricola dei Paesi dell’UE; questo comporta che ogni anno circa 360 milioni di capi di bestiame e vari miliardi di polli vengono macellati in Europa, e a questi si aggiungono 25 milioni di animali da pelliccia. I mattatoi producono ampi volumi di reflui e rifiuti di diverso tipo, che devono essere adeguatamente trattati e smaltiti. Non è possibile scaricarli direttamente nel sistema fognario, in quanto ciò causerebbe problemi di inquinamento, oltre al rischio di intasare le condutture; d’altronde, la normativa europea vieta il conferimento in discarica dei reflui e dei residui organici prodotti dalla macellazione, e l’incenerimento è economicamente praticabile solo per i residui animali considerati pericolosi, a causa degli alti costi di investimento e manutenzione. Infine, gli scarti di macellazione sono caratterizzati da un elevato contenuto di proteine e lipidi, che rendono difficile il trattamento mediante digestione anaerobica negli impianti di tipo convenzionale. Le aziende di macellazione necessitano quindi di nuove soluzioni, che consentano di gestire gli scarti di produzione coniugando efficienza economica e rispetto delle normative europee. Per superare questi problemi è stato lanciato 2 anni fa il progetto europeo ADAW (Anaerobic Digestion of Animal Waste), cui partecipano 8 tra industrie ed Enti di Ricerca di Spagna, Francia, Grecia e Inghilterra. L’obiettivo del progetto è svi-

luppare una tecnologia che consenta l’adeguata gestione e valorizzazione di rifiuti con elevata concentrazione di proteine e lipidi mediante trattamenti avanzati di digestione anaerobica, e in particolare: - integrare saponificazione e sterilizzazione nello stesso serbatoio, al fine di migliorare la biodegradabilità della materia organica e assicurare adeguate condizioni igienicosanitarie - evitare la formazione di schiume durante il processo di digestione anaerobica - selezionare specifiche colture batteriche al fine di migliorare la resa in biogas - sviluppare un sistema di misurazione che consenta il monitoraggio on line dei parametri del processo - sviluppare un sistema di controllo avanzato, in grado di modificare automaticamente le condizioni del processo in modo da mantenerle al livello ottimale - realizzare un prototipo per l’attuazione sul campo della tecnologia - incrementare la produzione di biogas dalla digestione anaerobica. Il conseguimento di questi obiettivi porterà consistenti vantaggi ai settori della zootecnica e della macellazione, e in particolare agli impianti di macellazione di piccole o medie dimensioni, che potranno gestire i loro rifiuti producendo biogas con costi contenuti, e agli impianti per la produzione di biogas, che potranno impiegare gli scarti di macellazione come materia prima. I PROBLEMI ATTUALI

Obiettivi: migliorare la degradabilità degli scarti di macellazione e incrementare la produzione di biogas attraverso la selezione delle colture microbiche più adatte e l’adozione di fasi di pre-trattamento e post-trattamento del digestato

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Gli scarti di macellazione, in quanto ricchi di lipidi, sono altamente idrofobici e contengono gruppi funzionali non facilmente degradabili dai microorganismi. Nel caso di smaltimento in discarica, queste caratteristiche si traducono in una ridotta concentrazione dei materiali biodegradabili nella fase acquosa (che è la forma più accessibile per i microorganismi); viene ridotta l’efficienza della biodegradazione, incrementando i tempi di residenza e, quindi, la concentrazione di contaminanti nel suolo. Per questi motivi, la Direttiva Europea 1774/2002/CE, e le successive 1069/2009/CE e 142/2011/UE, proibiscono lo smaltimento in discarica dei residui animali, con l’unica eccezione dello stallatico e del contenuto intestinale. Gli scarichi liquidi presentano a loro volta notevoli problemi. Dopo la separazione


iniziale dei solidi grossolani, i reflui sono composti principalmente da sangue diluito, grassi e solidi sospesi: una miscela altamente inquinante che deve essere adeguatamente trattata prima di essere miscelata con i reflui urbani prima. Anche le tecnologie di trattamento diverse dalla discarica comportano aspetti ambientali che non è possibile trascurare: l’incenerimento rilascia CO2 in atmosfera e non può essere considerato una pratica sostenibile, in quanto vengono perdute sostanze organiche che potrebbero costituire un prezioso nutrimento per il suolo per il riciclaggio dei nu-

trienti sul larga scala; il compostaggio consente la valorizzazione del materiale organico, ma disperde energia termica nell'ambiente. La digestione anaerobica dei sottoprodotti di origine animale potrebbe essere una possibile soluzione per il loro smaltimento, nonchè per la produzione di energia sotto forma di biogas e l’impiego degli effluenti della digestione come fertilizzante

per l’agricoltura; inoltre, i reflui ad alto contenuto di lipidi hanno un potenziale per la produzione di biogas maggiore rispetto ai materiali di origine agricola generalmente impiegati (che offrono una resa di conversione del 40-45%). Occorre inoltre ricordare che le colture energetiche occupano un’area di oltre 2 milioni di ettari, creando competizione con le colture alimen-

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tari. Il problema è che gli scarti di macellazione sono considerati difficili da trattare con digestione anaerobica, principalmente a causa del loro elevato contenuto di proteine e lipidi. Ci sono quattro ostacoli tecnologici che ostacolano l’impiego della digestione anaerobica per gli scarti di macellazione: - accumulo di acidi grassi a catena lunga (LCFA). I lipidi creano problemi nella digestione anaerobica a causa del possibile accumulo di prodotti intermedi che inibiscono la degradazione, come gli LCFA. Anche a basse concentrazioni, come 0,5 kg/mc, gli acidi grassi (specialmente insaturi) si comportano da inibitori dei batteri acetogenici e metanogenici, che sono rispettivamente responsabili della degradazione dei grassi e della produzione di biogas. Quindi, evitare la formazione di acidi grassi è essenziale per la digestione anaerobica degli scarti di macellazione: a questo scopo, le possibili soluzioni sono la separazione fisica dei grassi o processi chimicofisici in cui gli acidi grassi sono trasformati in composti meno dannosi; Continua a pag. 38


Continua da pag. 37

Il pretrattamento ultrasonico ma nessuna di queste soluzioni riesce attualmente ad abbassare le concentrazioni di LCFA entro i minimi richiesti - agglomerazione di particelle. Proteine e lipidi sono intrappolati in particelle agglomerate, diventando substrati insolubili, e quindi le proteine non possono essere assorbite e degradate dai microorganismi. I lipidi causano inoltre problemi operativi nei digestori (intasamenti) e perdite di sostanza degradabile a causa delll'adesione alle particelle

IL BIOMETANO AGRICOLO Il biometano in Italia è un settore con forte potenzialità di sviluppo, e presto lo sarà concretamente dato che il MISE su incarico del Governo è impegnato nella revisione del DM 5/12/2013, prevedendo la promozione del biometano verso l’impiego nel settore dei trasporti con un nuovo sistema di incentivazione previsto a partire dal 2017 sino al 2022. Con il nuovo sistema di incentivi si renderà quindi più conveniente il passaggio dalla produzione elettrica da biogas al biometano e si potrà quindi valorizzare il patrimonio di impianti a biogas

agricolo esistenti sul territorio. <<Siamo molto soddisfatti che il Governo abbia preso atto delle criticità riguardo l’impostazione del DM 5/12/2013 e stia provvedendo alla definizione di un provvedimento correttivo -

commenta Federica Galleano, vice presidente Fiper - nell’ottica di favorire il raggiungimento dell’obiettivo italiano di produzione del 10% di impiego di fonti rinnovabili nel settore dei trasporti>>.

di grasso. Quindi, trattare reflui ricchi in lipidi in un digestore anaerobico richiede processi di pretrattamento per eliminare i problemi connessi all’agglomerazione dei lipidi - instabilità del processo di digestione. L'accumulo di LCFA e la formazione di particelle agglomera-

te richiederebbero misure di controllo del processo, che non sono possibili con gli impianti oggi in uso, che mancano degli strumenti necessari per il controllo in continuo dei parametri del processo di degradazione -formazione di schiume. Negli impianti per la produzione di biogas a

partire da materiali agricoli, la digestione di residui ad alto contenuto proteico crea un’elevata concentrazione di ammoniaca, che forma una schiuma che diminuisce l’efficienza del recupero del gas dal digestore, causando costi aggiuntivi. Altri problemi connessi alla formazione di schiume sono il blocco del siste-

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ma di miscelazione dei gas e della pompa di ricircolo dei fanghi, l'intasamento delle tubazioni di raccolta del biogas, lo sbilanciamento dei sistemi a tetto galleggiante, ecc. A causa di questi problemi, e nonostante le elevate potenzialità, la digestione anaerobica degli scarti di macellazione presenta attualmente rese di conversione limitate (circa 37%).

Biometano: news sul Codice di rete

LE SOLUZIONI PROPOSTE

Il progetto Adaw vuole migliorare la degradabilità degli scarti di macellazione mediante digestione anaerobica e incrementare la produzione di biogas attraverso la selezione delle colture microbiche più adatte e l’adozione di fasi di pretrattamento e post-trattamento del digestato. Questi obiettivi possono essere raggiunti con un pre-trattamento termochimico di saponificazione del materiale in ingresso e con un successivo trattamento con ultrasuoni. La saponificazione modifica la struttura chimica dei residui di macellazione, rendendoli maggiormente compatibili con il mezzo acquoso e più facilmente degradabili dai batteri; l’impiego di e-

nergia ultrasonica successivamente al pretrattamento consente la dispersione delle particelle, facilitando ulteriormente la degradazione della materia organica. L'applicazione degli ultrasuoni può essere estesa (in modo intermittente) anche entro il digestore, riducendo la formazione di schiume e rendendo più attiva la biomassa. Tra gli obiettivi del progetto Adaw c'è anche la selezione di specie batteriche particolarmente adatte alla degradazione degli scarti di origine animale

La chiave del processo è l’uso di queste tecniche all’interno di un sistema di monitoraggio continuo in fase liquida, che consente di lavorare con un carico organico fino a 4 kg COD/mc/giorno, con una resa dell’80%. Si tratta di una soluzione promettente, che potrebbe consentire una gestione efficiente e ambientalmente sostenibile della crescente quantità di scarti di macelleria, dovuta al costante incremento della produzione di carne registrata negli ultimi decenni.

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Con la delibera 204/2016/ R/gas l’Autorità per l’energia ha approvato la proposta di aggiornamento del Codice di rete in materia di connessioni degli impianti di biometano alle reti del gas naturale, presentata della Snam. I principali aggiornamenti riguardano: le specifiche di qualità e odorizzazione, l’iter procedurale di connessione, la realizzazione degli impianti per la connessione alla rete, gli obblighi in materia di misura.


energia al 79% dei consumi totali industriali di energia termica in Italia. I DATI DI PARTENZA

L’efficienza nelle industrie generazione e gestione del calore

Tecnologie adottabili, normativa attuale, valutazione economica ed impatto ambientale, caratteristiche dei consumi energetici 2^ parte

Il Dipartimento di Ingegneria Gestionale del Politecnico di Milano ha recentemente pubblicato il primo “Sectorial Focus Report”, che affronta il tema dell’efficienza termica focalizzandosi sulle soluzioni tecnologiche attualmente disponibili (cogenerazione, cicli ORC, bruciatori efficienti, isolamento industriale, sistemi di recupero dei cascami termici) attualmente disponibili sul mercato, che consentono la generazione e la gestione del calore

nell'industria. In particolare, il Report descrive le tecnologie e le soluzioni per l’efficienza termica adottabili nei diversi settori industriali, ed analizza l'attuale normativa relativamente all’adozione delle tecnologie e soluzioni per l’efficienza termica, valutando l’impatto ambientale dei meccanismi incentivanti sul ritorno economico degli investimenti e mettendone in luce le principali criticità. Quindi, propone una valutazione economica completa della convenienza dell’adozione delle tecnologie e soluzioni per l’ef-

ficienza termica nei settori industriali italiani. Inoltre, definisce i previsti scenari di diffusione sul mercato per il 2020 di tecnologie e soluzioni per l’efficienza termica, ed i relativi ruoli dei soggetti coinvolti nelle filiere. Infine, analizza le caratteristiche dei consumi energetici dei principali settori industriali italiani (metallurgia, prodotti per l’edilizia, meccanica, agroalimentare, carta, vetro e ceramica, chimica e petrolchimica), che assorbono complessivamente 220.000 GWh/anno di energia termica, pari

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Nel 2014 il fabbisogno complessivo di energia termica registrato in Italia è risultato superiore a 680 TWh (circa 127 Mtep), di cui circa il 47% è attribuibile al settore industriale; ciò significa che annualmente nel nostro Paese ogni industria consuma in media 700 MWh di energia termica, per un valore di circa 50.000 euro. Nonostante si tratti di consumi di una certa rilevanza, quando si parla di efficientamento energetico del settore industriale si fa riferimento essenzialmente al settore elettrico, mentre quello termico è stato finora relegato a un ruolo marginale: spesso la parte termica viene considerata come una semplice “appendice” dell’efficienza energetica (normalmente intesa per la sola componente elettrica). Anche i pochi interventi di incentivazione in materia di efficienza termica sono per lo più destinati agli edifici, mentre la diffusione dell’efficienza termica nei processi industriali è limitata ai Titoli di Efficienza Energetica e, parzialmente, alla defiscalizzazione del combustibile per la produzione congiunta di energia termica ed elettrica. A ciò si aggiunge una sostanziale mancanza di obblighi in termini di efficienza termica nel settore industriale (a differenza di quanto accade nel settore edilizio), con l’unica eccezione della cogenerazione, per la quale è previsto un sistema incentivante ad hoc. L'efficientamento termico ha due facce: quella di “generazione efficiente di calore” (comprendente le tecnologie che riducono il consumo di energia a parità di output, quali cogenerazione e bruciatori efficienti), e quella di “gestione efficiente del calore” (ossia quelle che riducono la dissipazione del calore, come isolamento termico, cicli ORC e scambiatori di calore). LE SOLUZIONI TECNOLOGICHE

Vantaggi e limiti delle diverse soluzioni possono essere brevemente descritti come segue, suddividendo tra generazione efficiente del calore e gestione efficiente del calore. Nell’ambito della generazione efficiente del calore si hanno: - Cogeneratori, ossia impianti che


effettuano la generazione combinata di energia elettrica e termica. Ciò può incrementare l’efficienza di utilizzo del combustibile fino ad oltre l’80%; la produzione combinata si basa però sul presupposto di poter utilizzare il calore in prossimità del luogo stesso di produzione e, almeno teoricamente, simultaneamente alla sua generazione. Si prevede che gli investimenti nella cogenera-

zione possano raggiungere 800 milioni di euro/anno da oggi al 2020. - Bruciatori ad alta efficienza, che si basano su dispostivi che preriscaldano la miscela combustibilecomburente prima dell’ingresso nella camera di combustione, garantendo una migliore resa negli impianti termici tradizionali. Questi dispositivi recuperano il calore latente contenuto nei fumi di combu-

stione (gas di scarico) prima della loro immissione in atmosfera e, in base alla tipologia dei dispositivi di recupero, si distinguono in “bruciatori auto-recuperativi”, ossia basati su scambiatori di calore in controcorrente (il calore viene recuperato dai gas di scarico tramite scambiatori a piastre o a fascio tubiero), e “bruciatori rigenerativi”, che impiegano masse rigeneranti (in genere

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in materiale ceramico) che assorbono il calore latente contenuto nei gas di scarico e lo cedono alla miscela combustibile-comburente. Indipendentemente dal tipo, questi bruciatori presentano un’elevata efficienza (maggiori al 90%) e minori emissioni di inquinanti e di gas serra rispetto ai bruciatori convenzioContinua a pag. 42


Continua da pag. 41

L’efficienza nelle industrie nali; inoltre, consentono un risparmio di combustibile del 20-40% in base alla tipologia del bruciatore. Comportano però maggiori costi di investimento (in media +25%) rispetto alle tecnologie tradizionali, oltre a maggiori necessità di manutenzione; per di più, la loro installazione su impianti tradizionali già in funzione comporta interventi piuttosto invasivi. I bruciatori efficienti rappresentano comunque la soluzione con la maggiore potenzialità di mercato, con investimenti previsti da oggi al 2020 per oltre 3,5 miliardi di euro/anno. Per quanto riguarda la gestione efficiente del calore, invece, si hanno: - Cicli ORC (Organic Rankine Cycle), ossia cicli termodinamici in cui viene impiegato un fluido organico di sintesi per convertire il calore a bassa temperatura in lavoro meccanico. Il contatto con i fumi da cui viene estratto il calore è realizzato con scambiatori a olio diatermico; l’olio poi trasferisce il calore all’evaporatore del gruppo ORC, senza contatto diretto. Il fluido del gruppo ORC è di solito un derivato organico del silicio, ad alto peso molecolare e basso calore latente di vaporizzazione, avente una temperatura di ebollizione inferiore a quella dell’acqua. L’energia termica fa espandere il fluido, che produce energia elettrica mediante una turbina; successivamente, il fluido viene condensato per raffreddamento e rimesso in ciclo. Le possibili fonti da cui solitamente un ciclo ORC può recuperare calore sono in genere gas di scarico di motori a combustione interna, gas di scarico di forni industriali metallurgici, vapore in uscita da turbine per la produzione di energia elettrica, calore proveniente da fluidi di raffreddamento. I principali vantaggi dei cicli ORC sono la possibilità di poter essere applicato anche a turbine di minori dimensioni, la possibilità di sfruttare il calore a basse temperature (da 100 °C in su) e le basse sollecitazioni meccanica delle turbine; inoltre, grazie alle basse velocità è possibile il collegamento diretto al generatore elettrico senza interposizione di riduttori di velocità. Per contro, i costi di questa tecnologia restano elevati, anche per la mancanza di incentivi; infine, gli impianti ORC non sono considerati, dal punto di vista normativo, come

HORIZON 2020 ENERGY EFFICIENCY Il programma di lavoro 20162017 Horizon 2020 Energy Efficiency è stato aperto il 13 ottobre scorso, con un budget totale per il biennio di 194 million di euro. Horizon 2020 Energy Efficiency call 2016-2017 da supporto all’innovazione attraverso: ricerca e implementazione di tecnologie e soluzioni di efficienza energetica; strumenti di sviluppo per bypassare le barriere di mercato e legi-

slative e quindi accedere ai finanziamenti e migliorare competenze e conoscenze Il programma si concentra su cinque aree: consumatori; edifici; climatizzazione; industria, servizi e prodotti; finanziamenti per l’energia sostenibile. Alcune attività si basano sull’esperienza del programma Intelligent Energy Europe (IEE), il programma di finanziamento precedente che si è conclusa nel 2013, sebbene gli ultimi progetti IEE si concluderanno nel 2017.

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impianti di generazione di energia da fonti rinnovabili, e quindi non possono ottenere l’esenzione dal pagamento degli oneri generali di sistema che gravano sulle forniture di energia elettrica. Nonostante queste limitazioni, si prevede da oggi al 2020 un investimento in impianti ORC intorno a 900 milioni di euro/anno. - Isolamento termico, e quindi soluzioni che prevedono l’impiego di materiali isolanti al fine di ridurre la dispersione termica dei processi. Esse possono essere divise in due categorie: isolamento termico a caldo, che impiega materiali fibrosi, microporosi, vetro cellulare e aerogel, e viene adottata per la conservazione del calore a temperature fino a 500-550 °C; isolamento termico a freddo, che viene usato per il mantenimento delle basse temperature (-20 °C per i processi non criogenici, e vicino allo “zero assoluto” per i processi criogenici), impiegando vetro cellulare (soprattutto per l’isolamento criogenico), resine poliuretaniche e/o fenoliche, poli-isocianurato, materiali elastomerici ed aerogel. Tra i vantaggi di questa tecnologia rientra l’elevata riduzione del flusso termico disperso (che si traduce in un minor consumo di energia primaria), benefici differenziali di oltre il 90% rispetto all’assenza di coibentazione, ritorni dell’investimento in tempi molto contenuti (da 7 mesi a 3 anni). Gli svantaggi riguardano invece la difficoltà di intervento su processi industriali già esistenti, a causa di ostacoli nell’installazione, elevata usurabilità dei materiali, necessità di manutenzione aggiuntiva rispetto agli impianti tradizionali. L'isolamento termico è una tecnologia ampiamente nota e consolidata; gli investimenti previsti da oggi al 2020 sono intorno a 200 milioni di euro/anno. - Scambiatori di calore, cioè impianti che consentono di recuperare il calore grazie agli scambi termici che avvengono tra due fluidi termovettori a differenti temperature, rendendolo disponibile per altri usi industriali, per il riscaldamento di ambienti o per la produzione di acqua sanitaria, con un’efficienza di recupero variabile dal 50 al 75%. Gli scambiatori di calore possono essere classificati secondo diversi criteri: in base al tipo di scambio termico (scambiatori a contatto diretto o indiretto), in base al moto dei fluidi (scambiatori equi-corrente o contro-corrente) o alla struttura


(scambiatori a piastre o a fascio tubiero). In generale, questa tecnologia ha il vantaggio di un’elevata modularità (cioè consente una rapida variazione della taglia in funzione delle esigenze, soprattutto negli scambiatori a piastre), oltre alla facilità di manutenzione e verifica di eventuali perdite o guasti; d’altro canto, essa presenta difficoltà di progettazione (sono necessarie competenze specialistiche per dimensionare correttamente l’impianto) e difficoltà di esecuzione, specialmente in processi produttivi progettati in modo tale da non prevedere modifiche o integrazioni (come gli impianti di raffinazione e produzione di prodotti chimici). Anche per gli scambiatori di calore la tecnologia è ampiamente nota e consolidata, e gli investimenti previsti da oggi al 2020 sono intorno a 200 milioni di euro/anno. LA CONVENIENZA ECONOMICA

La valutazione della convenienza economica è molto complessa, in quanto deve prendere in considerazione sia gli aspetti tecnologici che quelli finanziari (tempo di pay-

back, tasso di ritorno dell’investimento, costo medio del KWh risparmiato o prodotto), oltre all’effetto degli incentivi attualmente presenti. Nel complesso si può concludere che le tecnologie per l’efficientamento termico risultano intrinsecamente convenienti, ma comportano soluzioni impiantistiche con tempi di pay-back medio-alti (5-8 anni). Analizzando i diversi settori industriali, si può dire che: - nell’industria metallurgica e in quella dei prodotti per l’edilizia,

tutte le opzioni risultano convenienti, con particolare riguardo all’isolamento termico e alla cogenerazione - nell’industria meccanica, l’isolamento termico e gli scambiatori di calore hanno di solito applicabilità tecnica limitata, e la maggior convenienza si ha per la cogenerazione e, dove applicabili, per gli impianti ORC di potenza oltre 4 MWe - nell’industria agroalimentare la maggiore convenienza si ha per l’isolamento termico - le cartiere dovrebbero puntare sugli impianti di cogenerazione

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- vetro e ceramica trovano la maggiore convenienza nell’isolamento termico e nella cogenerazione, e lo stesso per via chimica e petrolchimica. Una maggiore diffusione degli interventi di efficienza termica nel settore industriale potrebbe essere ottenuta attraverso lo sviluppo di un sistema di incentivazione che riduca l’esborso di capitale al momento dell’investimento iniziale, modificando sostanzialmente i tempi di pay-back (una soluzione piuttosto teorica, data la difficoltà di reperire risorse pubbliche da destinare alle politiche di incentivazione), e l’introduzione di obblighi normativi minimi di efficientamento termico (analogamente a quanto si sta facendo per l’edilizia). Un approccio diverso all'efficienza energetica potrebbe derivare dall'ingresso delle cosiddette Esco (Energy saving companies), cioè società specializzate nel settore, che sono disponibili ad accettare tempi di ritorno degli investimenti più lunghi, anticipando i primi risultati all'industria committente, ma riservandosi una consistente parte dei risultati economici nei tempi successivi.


macchine & strumentazione

La pompa per autocisterna Vogelsang

Le serie VX e IQ rappresentano una soluzione pratica e versatile, adatta a reflui, oli esausti e digestato Dimensioni contenute, affidabilità, elevata versatilità: sono alcune delle doti che deve avere una pompa per autocisterna. Le dimensioni, va da sé, sono importanti: la pompa deve, ovviamente, stare in poco spazio e rubare poco peso al carico massimo ammissibile e siccome è montata su un mezzo che opera per definizione fuori sede, deve funzionare a lungo e senza intoppi. Infine, la versatilità: essenziale, perché un'autocisterna può essere progettata per molteplici applicazioni e prodotti, dalle acque reflue agli oli vegetali esausti, dai reflui zootecnici al digestato, ecc. In ambito di autotrasporti, molto apprezzate sono le pompe a lobi rotativi Vogelsang, nella versione VX, altamente performante, sia in quella, compatta ma efficiente, IQ. SEMPLICI E VERSATILI

Il principio di funzionamento delle pompe a lobi rotativi è noto: i lobi, ruotando nella camera di pompaggio, richiamano il prodotto dal lato di aspirazione e lo spingono verso quello di mandata. Essendo rivestiti in elastomero, garantiscono in ogni punto la tenuta tra i due lati senza necessità di valvole. Da questo dato di fatto derivano alcune caratteristiche proprie delle pompe a lobi: possono funzionare a secco senza danneggiarsi; può esserne sia regolata con precisione la portata, sia invertita la direzione del flusso, variazioni che si ottengono semplicemente agendo su numero dei giri e senso di rotazione dei lobi; il loro principio di funzionamento ne determina dimensioni particolarmente compatte, per cui queste pompe non richiedono coclee o ampie camere di pompaggio; il sistema

di pompaggio fa sì che si ottenga un flusso di prodotto uniforme, senza pulsazioni e dunque senza contraccolpi nè sulla pompa nè sulle condotte. Questi elementi caratterizzanti delle pompe Vogelsang sono preziosi nell'applicazione su autocarri, naturalmente. L'inversione del flusso consente di effettuare carico e scarico della cisterna con una sola pompa, semplicemente girando un interruttore. Anche la regolazione della portata è utile sia per contenere i consumi di gasolio in caso non sia necessario un trasferimento rapido dei fluidi, sia per gestire senza danni prodotti delicati come possono essere i mosti o alcuni composti chimici. A questo risultato contribuisce anche l'assenza di pulsazioni; grazie alla quale, peraltro, diventa più semplice riempire la cisterna evitando o comunque riducendo la formazione di schiuma all'interno della medesima. È anche possibile, in virtù di quanto scrit-

to sopra, regolare la velocità di caricamento, per esempio con un avviamento relativamente lento per arrivare alla piena portata in modo progressivo. Infine, le dimensioni compatte sono uno dei requisiti più importanti per un dispositivo da installare su un mezzo mobile. MANUTENZIONE RAPIDA

C'è un altro aspetto basilare per pompe che operano su camion e come tali sono quasi sempre su strada o comunque fuori sede: la rapidità e semplicità delle manutenzioni, che ovviamente si abbina all'alta affidabilità. In questo ambito, Vogelsang propone il suo sistema QuickService, che consente la sostituzione di tutti i pezzi soggetti a usura senza smontare la pompa dalla sede. Dopo aver rimosso il coperchio, infatti, si ha accesso ai lobi rotativi, che possono essere sfilati e sostituiti. Rimuovendo anche la pia-

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stra di protezione è invece possibile cambiare la tenuta meccanica. Quest'ultima rappresenta un'altra esclusiva Vogelsang. La Quality Cartridge, infatti, è una tenuta ad anello scorrevole pre-assemblata e testata in fabbrica e che permette di sostituire con un solo movimento tutti i componenti della tenuta in modo semplice, rapido e senza rischiare pericolosi errori di assemblaggio. La manutenzione, pertanto, risulta oltremodo semplificata. Con una portata che può andare da 3 a oltre 1.400 mc/ora e pressioni fino a 16 bar, le pompe Vogelsang per autobotti sono in grado di soddisfare anche le esigenze di pompaggio più estreme, assicurando in ogni momento una perfetta regolazione del flusso, delicatezza di trattamento sul prodotto, insensibilità ai corpi estranei ed elevata resistenza all'abrasività di certi fluidi. Una soluzione, pertanto, al tempo stesso efficiente e dal basso costo operativo.


Le peristaltiche 530 Watson-marlow

Nuove pompe dal funzionamento sicuro, preciso e intuitivo per applicazioni industriali e ambientali pe 530 possono essere montate con teste a tubo continuo o con teste LoadSure con elemento tubo per pressioni fino a 7 bar. - Massima operatività dei processi. Le nuove 530 sono la risposta alle esigenze di ambienti aspri difficili e spesso remoti, in quanto offrono garantiscono la massima operativitàdei proc. Inoltre, non montano guarnizioni, valvole o membrane costose membrane e non sono interessate da bloccaggio del gassoggette a bloccaggi dovuti alla formazione di gas, corrosione o occlusioni. Va poi ricordato che necessitano

Watson-Marlow Fluid Technology Group, il specializzato in pompe peristaltiche e nelle correlate tecnologie di dispensazione dosaggio dei liquidi, ha introdotto una nuova pompa peristaltica con carter della serie 530 per applicazioni che richiedonodi dosaggio e trasferimento, quali trattamenti superficiali e aggiunta di calce. Efficiente ma economica, la pompa offre maggiore superiore facilità di utilizzo e versatilità, accanto ad elevati livelli di precisione elevati. Queste le caratteristche principali: - Nuove funzionalità. I nuovi modelli 530 soddisfano le esigenze di ambienti aspripossono essere installati in ambienti difficili e spesso remoti e sono costruiti per funzionare ininterrottamente 24/24h, 7/7g. È inoltre possibile verificare rapidamente i parametri di controllo ed evitare costosi errori grazie alla visualizzazione diello stato sul luminoso display luminoso a colori, mentre la struttura intuitiva del menù consente all'operatore un'interazione facile e affidabile. Gli utenti potranno inoltre trarre vantaggio

dallebeneficiare delle capacità di connessione profibus integrate. Con comunicazioni a due viecomunicazioni bidirezionali in tempo reale, la gamma 530 offre capacità diagnostiche superiori e responso più rapido, per favorire l'ottimizzazione del controllo dei processio e ridurre al minimo il tempo di inattività dell'impianto. - Opzioni unità di azionamento e testa pompa. La versatile di gamma di queste nuove pompe offre quattro opzioni dell'unità di azionamento e nove varianti di testea. Ciò permette agli utenti di scegliere dal funzionamento manuale al funzionamento completamente automatizzato, con la possibilità di collegare fino a 16 pompe e fornire comunicazioni in tempo reale. Le pompe erogano portate da 0,1 ml/min a 3,5 l/min. È la testa a determinare sia la portata sia la pressione raggiungibile per soddisfare le esigenze specifiche del processo. Le pompe 530 possono essere equipaggiate con teste a tubo continuo o con elementi Loadsure per un collegamento sicuro a pressioni fino a 7 bar.Le pomHi-Tech Ambiente

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di un solo pezzo di ricambio, ossia il tubo. - Pompa e tubi hanno uguale importanza. Watson-Marlow è l'unica azienda a produrre sia pompe con carter che tubi peristaltici, per dare ai clienti la certezza che la loro nuova pompa funzionerà perfettamente al primo azionamento, ad ogni utilizzo. Per i nuovi modelli 530 il , Marprene, un materiale WatsonMarlow a lunga vita operativa e resistente alle sostanze chimiche, è la scelta ideale per le applicazioni industriali. I tubi in elastomero termoplastico di grado industriale Marprene offrono una grande compatibilità chimica e una lunga vita operativa, oltre a una bassa permeabilità ai gas. - Caricamento del tubo senza errori. A seconda delle necessità del processo usato dall'utente, i modelli 530 possono presentare utilizzare elementi a tubo LoadSure che si montano in posizione per un caricamento del tubo semplice e senza errori. Grazie ai connettori a D LoadSure e al rotore con frizione di facile impugnatura, l'elemento a tubo può essere sostituito in meno di un minuto e senza accorgimenti particolari.


Online Analysis System 8905: un solo dispositivo per il controllo dei principali parametri dell’acqua potabile in contemporanea

il controllo online di acqua e gas Bürkert

Soluzioni tecnologiche che consentono un considerevole risparmio economico e di spazio L'analisi continua dei parametri dell'acqua è un'impresa complessa. Nella maggior parte dei casi, sono utilizzati sistemi differenti con display individuali, diversa operatività e singoli sensori. Ora è possibile controllare contemporaneamente i principali parametri dell’acqua potabile con un unico strumento compatto, risparmiando spazio, tempo e denaro. L’Online Analysis System di Bürkert è stato sviluppato per il monitoraggio continuo dell’acqua alla fonte e in uscita agli impianti di potabilizzazione, e per la registrazione dei più importanti parametri di misura prima che l’acqua entri nella rete di distribuzione idrica. Con molteplici funzionalità, l’Online Analysis System è un ottimo supporto per i tecnici e i manutentori di impianti di trattamento acque, ottimizzando le impostazioni e i controlli durante le varie fasi del processo, contribuendo ad una pro-

duzione dell’acqua potabile sicura ed efficiente. In caso di variazioni dei parametri, il sistema è in grado di rispondere in base alla sua programmazione, ad esempio, interagendo con il processo di trattamento o inviando messaggi all’utilizzatore. La versione base contiene cinque moduli sensori collegati a un “backplane” fluidico, per la misura dei seguenti parametri di analisi dell’acqua: pH, potenziale di ossidoriduzione (ORP), conducibilità, cloro e torbidità. I moduli hanno la funzionalità “hot-swap”, cioè possono essere inseriti e rimossi durante il funzionamento. L’utilizzatore può visualizzare l’intero sistema tramite un’unità principale che contiene un display “touchscreen” da 7” e tutti i moduli elettronici necessari per il controllo e il collegamento alle varie linee del processo. Tutti i valori di processo misurati e gli allarmi impostati sono resi disponibili all’u-

tente tramite moderni bus di campo (Ethernet-IP, Profinet e ModbusTCP). L’uso dei gas è molto diffuso nelle applicazioni industriali, ma non sempre però si conosce e si controlla il loro consumo e ciò può significare enormi perdite di denaro in termini di scarti di produzione. I Mass Flow Meter e i Mass Flow Controller di Bürkert rendono disponibili i dati di processo relativi ai gas quali portata istantanea, temperatura e quantità consumata, fornendo inoltre degli allarmi in caso di un’eventuale variazione rispetto ai parametri configurati. La gestione del processo da parte dell’operatore viene ottimizzata e soprattutto la quantità di scarti di produzione viene ridotta, perché il controllo accurato da parte dei MFC permette di modulare la portata del gas, mantenendola costante al valore impostato anche in caso di variazioni della pressione e/o portata a

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monte o a valle del dispositivo. Ciò significa un enorme risparmio economico. La nuova generazione di Mass Flow Meter e Mass Flow Controller offre una maggiore facilità di diagnostica, grazie all’utilizzo dei più moderni bus di campo quali Ethernet-IP, Modbus-TCP e Profinet, che consentono un maggior scambio di informazioni. Ogni applicazione ha la sua specificità e le richieste tecniche possono essere molto diverse tra di loro. Bürkert, attraverso le sue cinque Systemhaus sparse nel mondo, rende disponibile tutta la sua esperienza e conoscenza nel settore della gestione dei gas, offrendo soluzioni customizzate per ogni esigenza. A tale proposito, i Mass Flow Controller possono, ad esempio, essere assemblati su blocchi modulari presentando diversi vantaggi sia al costruttore di impianti che al cliente finale: minor tempo di installazione, minimo numero di raccordi e quindi minor numero di collegamenti con conseguente maggior sicurezza dell’impianto, manutenzioni più veloci e ingombri ridotti. I nuovi Liquid e Mass Flow Controller garantiscono il controllo affidabile anche di liquidi come il metanolo e l’acqua ossigenata e di gas come l’ammoniaca, rendendoli la soluzione ideale per un grande numero di applicazioni industriali. Sono, inoltre, realizzabili cabinet completi ad-hoc per qualsiasi applicazione che richieda un alto grado di protezione meccanica per le linee di gestione di gas e liquidi. Grazie alla sua tecnologia innovativa di valvole e sensori, Bürkert fornisce soluzioni complete, precise e su misura per la gestione dei liquidi e gas.

Mass Flow Controller 8741 collegati per la comunicazione mediante bus di campo


LABORATORIO MOBILE AVANzATO

aerolab: sos polveri fini Aerolab è un nuovo laboratorio mobile dell'ISAC-CNR per la misura ad alta risoluzione temporale (minuti) delle proprietà ottiche e fisiche del particolato sospeso nell'aria (aerosol). Aerolab misura per esempio le concentrazioni risolte in taglia di aerosol, dalle nanoparticelle (10 miliardesimi di metro) al particolato gigante (30 milionesimi di metro); misura la quantità di “black carbon” in atmosfera, cioè del particolato nero e cancerogeno prodotto dalla combustione; misura le proprietà ottico-spettrali delle particelle, dalle quali deriva la loro capacità di alterare il bilancio radiativo terrestre, quindi il clima. Utilizzando uno strumento radar laser (chiamato ceilometer), misura infine la distribuzione del particolato con la quota, dai primi strati di atmosfera fino a 15 km di altezza. Questo strumento permette tra l’altro di identificare la presenza in atmosfera di polveri sahariane, di nubi da incendi o da eruzioni vulcaniche o di misurare ora dopo ora lo sviluppo verticale di quella porzione di atmosfera in cui viviamo chiamata "strato mescolato", la cui estensione incide fortemente sulla concentrazione degli inquinanti che respiriamo al suolo. Queste capacità di osservare, accanto ai parametri previsti dalle normative Europee quali il PM2.5 e il PM10, inquinanti attualmente “non normati”, rendono Aerolab un mezzo mobile unico in Italia, in grado di misurare quelle grandezze che l'OMS definisce di primaria importanza per la valutazione dell’impatto del particolato atmosferico sulla salute umana. Aerolab ha fatto il suo esordio sul campo nel porto di Civitavecchia ad aprile scorso, nell'ambito della campagna internazionale coordinata dall'ISAC-CNR ”Air-Sea

Lab”. In questa occasione Aerolab ha ospitato anche strumenti avanzati per lo studio della chimica del particolato: uno spettrometro di massa dell'aerosol ed un campionatore orario per l'analisi dei singoli elementi contenuti nel particolato stesso, analisi che sarà ef-

fettuata presso l'acceleratore di particelle di Firenze. Questa configurazione rappresenta un optimum per la caratterizzazione di quelle polveri fini i cui impatti sul clima del pianeta e sulla salute dei suoi abitanti risultano essere sempre più importanti.

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La misura dell’ossigeno disciolto metodi strumentali

Un’azione di fondamentale importanza nella gestione dei depuratori Gli impianti biologici a fanghi attivi sono composti da due principali sezioni: ossidazione e sedimentazione. Il buon funzionamento dell’impianto dipende soprattutto dalla fase di ossidazione, perché durante questa fase avviene la formazione del fango attivo, che compie la degradazione biologica degli inquinanti di origine organica. Il controllo dell’ossigeno disciolto, insieme a quello del potenziale Redox, costituisce un mezzo molto efficace per il controllo dell’intero processo; consente infatti di ottimizzare le condizioni di esercizio, ottenendo la giusta composizione microbiologca dei fanghi attivi, e di ridurre il consumo di energia delle soffianti, evitando un eccesso d’aria che non verrebbe assorbito dalle vasche di ossidazione. Questo tipo di controllo non può essere eseguito con i metodi di titolazione manuale, perché richiedono tempo e manodopera specializzata, e perché sono molto sensibili ai modi in cui viene trattato il campione nelle fasi di prelievo e trasporto in laboratorio.

I metodi strumentali adatti alla misura in continuo sono sostanzialmente di due tipi: galvanici e ottici. SISTEMI GALVANICI E AMPEROMETRICI

Detti anche "sensori Vernier", o "elettrodi polarografici di tipo Clark", questi sistemi sono basati su una coppia di elettrodi: un catodo di platino o di oro, e un anodo costituito da un filo di argento ricoperto di cloruro d’argento. La coppia di elettrodi è contenuta in un cilindro, riempito con una soluzione di cloruro di potassio e chiuso al fondo da una membrana di polimero permeabile all’ossigeno (generalmente Teflon). Quando il sistema viene immerso in acqua contenente ossigeno disciolto, questo diffonde attraverso la membrana e raggiunge il catodo; poiché su questo è applicata una tensione fissa, è presente un eccesso di elettroni, che riducono l’ossigeno a ione OH-. Il consumo di elettroni viene compensato mediante una reazione di ossidazione dell’argento

all’anodo, che produce un flusso di elettroni (cioè una corrente elettrica) che è direttamente proporzionale alla velocità di diffusione dell'ossigeno attraverso la membrana, e quindi alla concentrazione di ossigeno nel campione. La corrente viene misurata con un conducimetro, oppure convertita in tensione, amplificata e letta con un’interfaccia elettronica. Questo tipo di sensore è largamente sperimentato e di costo contenuto; inoltre, si presta ad essere unito ad altri sensori, in unità multiple di misura. L’inconveniente è che richiede un’attenta pulizia, frequenti tarature e sostituzioni periodiche della membrana; operazione che deve necessariamente essere eseguita in laboratorio. SISTEMI OTTICI (A FLUORESCENZA)

Recentemente sono entrati in uso sistemi di misura dell’ossigeno disciolto basati su un metodo ottico, denominato “quenching della fluorescenza”. L’apparecchio contiene

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uno strato sottile di un gel nel quale è dispersa una sostanza colorata, capace di assorbire la luce, riemettendola successivamente con una diversa lunghezza d’onda; generalmente si tratta di un composto del rutenio, che illuminato con la luce a 470-475 nm (emessa da un LED) riemette poi una luce con frequenza a circa 600 nm. Se però è presente ossigeno, il composto di rutenio, invece di emettere luce, trasferisce la sua energia alla molecola di ossigeno; pertanto, la riduzione nell’emissione a 600 nm è direttamente proporzionale alla quantità di ossigeno presente. I sistemi a fluorescenza sono più costosi di quelli amperometrici e richiedono apparecchi dedicati unicamente a questa misura; ma non richiedono manutenzione e hanno ridottissime esigenze di taratura. Inoltre, mentre i sistemi amperometrici consumano l’ossigeno, e quindi necessitano di condizioni di flusso continuo, i sistemi a fluorescenza funzionano anche in acqua stagnante.


HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO


SPECIALE MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO ANALYTICAL CONTROL DE MORI

BC ELECTRONICS

Nel campo delle analisi in ecologia uno dei parametri più importanti è rappresentato dal BOD5 che esprime la quantità di ossigeno necessaria per l’ossidazione biochimica delle sostanze organiche in un campione d’acqua. L’analisi viene effettuata rilevando la concentrazione dell’ossigeno disciolto iniziale del campione, ponendo in incubazione a 20 °C al buio per 5 giorni lo stesso e determinando quindi il contenuto residuo di ossigeno, per poi calcolare il valore del BOD5. Tra i vari sistemi automatici o manuali presenti sul mercato, si

La misura della concentrazione di ossigeno disciolto costituisce un dato essenziale per il corretto funzionamento chimico fisico e biologico dei depuratori per le acque di scarico civili ed industriali. B&C Electronics propone da molti anni i propri analizzatori basati sia su sensori tradizionali di tipo galvanico, ancora oggi insuperati per certe applicazioni, che quelli di tipo ottico a fluorescenza: entrambi utilizzano il metodo “AutoClean” ad aria compressa per garantire una costante efficienza degli elementi sensibili distinguono per capacità di trattare grandi quantità di campioni i prodotti YSI, distribuiti da Analytical Control De Mori, che fornisce diversi misuratori di ossigeno disciolto, dal più semplice, manuale, all’automatico con uscite seriali ed analogiche; questi apparecchi rappresentano il mezzo per svolgere in modo semplice e veloce la mole di lavoro relativa a questa analisi.

ed una prevenzione allo sporcamento, con conseguente ridotta manutenzione unitamente ad un’elevata qualità ed affidabilità delle misure. Le funzioni di regolazione disponibili sono le tradizionali on/off con isteresi e ritardo dei set-point regolabili dall’operatore, oltre a quella analogica PID per il pilotaggio diretto degli inverter, che a loro volta comandano i motori elettrici delle soffianti o i servomotori delle EV dosatrici di ossigeno puro. Un evoluto e completo sistema di allarmi configurabili ed impostabili dall’utente garantisce un’elevata sicurezza dei processi di aerazione ed ossigenazione, oltre ad un evidente risparmio energetico e conseguente vantaggio economico già nel medio periodo di funzionamento. Oltre ai sistemi “AutoClean” completi, dotati di compressore aria, EV e cabinet IP65 per il monitor sono disponibili le innovative sonde ottiche ad immersione predisposte “AutoClean”, con uscite 4/20 mA “current loop”, RS 485 ASCII e Modbus RTU.

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CLR Il misuratore portatile di ossigeno disciolto modello Handy3300 è stato progettato e realizzato per misure spot di ossigeno disciolto in vasche per trattamenti biologici per reflui. E’ costituito da una sonda ad immersione, una unità elettronica e un cavo di connessione sonda–strumento. La sonda ad immersione utilizza per la misura un sistema potenziostatico con elettrodi Pt-Ag contenuti in una camera riempita con lo specifico elettrolita e separata dal fluido da una membrana in PTFE permeabile all’O2. Dimensioni degli elettrodi e tipo di membrana consentono un’ottima sensibilità e tempi di risposta molto bassi, anche con poche ppb. La sonda, realizzata in PVDF ed AISI316, è

DELTA OHM molto robusta. L’uscita del cavo consente la tenuta per immersioni anche fino a 5 m ed assicura la protezione meccanica necessaria per poterlo usare come sistema di immersione, posizionamento e sollevamento (il cavo di 6 m è infatti in poliuretano internamente rinforzato in kevlar). L’unità elettronica portatile a microprocessore è particolarmente robusta e maneggevole, ha display oled di facile leggibilità e tastiera a membrana impermeabile. Esegue la termocompensazione della misura e visualizza il valore di O.D. misurato e la T del campione. L'alimentazione è da batteria ricaricabile, 8,4V, 170 mA/h con e alimentazione ausiliaria 12V cc che funge anche da caricabatteria. L'analizzatore è fornito di borsa con cintura dotata di sistema di fissaggio per sonda e cavo, così che l'operatore possa avere le mani libere. Il campo di misura è 0-20,000 ppm con risoluzione 1 ppb e la precisione è di ± 5 ppb.

L’HD2109.1 e l’HD2109.2 sono strumenti portatili con display LCD di grandi dimensioni. Misurano la concentrazione dell’ossigeno disciolto nei liquidi (in mg/l), l’indice di saturazione (in %) e la temperatura grazie al sensore integrato. Inoltre, eseguono la compensazione automatica della pressione e, sempre in automatico, vengono compensati la permeabilità della membrana della sonda di ossigeno e la salinità del liquido in esame. La funzione di calibrazione, veloce, della sonda di ossigeno disciolto garantisce nel tempo la correttezza delle misure effettuate. Tali strumenti, con grado di protezione

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IP67, possono trasferire in tempo reale le misure effettuate a PC o stampante portatile. Da menu è possibile configurare intervallo di memorizzazione, stampa e baudrate. Il modello HD2109.2 è un datalogger in grado memorizzare fino a 18.000 campioni. Ha funzione di datalogger anche lo strumento DO 9709, che ha le medesime caratteristiche degli strumenti precedenti, ma permette di memorizzare fino a 30.000 letture e per ogni valore memorizzato viene indicata la data e l’ora di acquisizione; inoltre, ogni blocco di acquisizione viene terminato con un report che fornisce i valori massimi, minimi e medi. Il periodo di campionamento è variabile da 1 secondo a 12 ore. Per la sua flessibilità e per le sue capacità di memoria questo strumento è particolarmente adatto per attività di monitoraggio, ad esempio di impianti di depurazione, per attività di controllo ambientale delle acque ed infine per misure di laboratorio.

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SPECIALE MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO ENDRESS+HAUSER Oxymax COS41 è un sensore di ossigeno affidabile e accurato per tutti i tipi di applicazioni in acque e acque reflue. Infatti, risulta ideale per misurare la concentra-

EXTECH zione di ossigeno disciolto in: impianti di trattamento delle acque reflue, controllo di O2 nel bacino di aerazione; trattamento e monitoraggio delle acque di processo e della qualità dell’acqua potabile (arricchimento di ossigeno, protezione contro la corrosione, ecc.); monitoraggio della qualità dell'acqua in fiumi, laghi o mari; controllo di O2 nel trattamento biologico in qualunque settore industriale. Sviluppato in base a requisiti di ridotta manutenzione e lunga vita operativa, lo strumento di Endress+Hauser offre un ottimo rapporto costo/prestazioni. I suoi principali vantaggi sono: elevata accuratezza di misura, lunghi intervalli di manutenzione, semplice procedura di taratura in aria. Le sue più importanti caratteristiche posso essere così riassunte: amperometrico sistema a 2 electtrodi per la misura di ossigeno disciolto; intervallo di misura 0,0520mg/l, sensore di temperatura integrato.

Il misuratore di ossigeno disciolto SDL150 opera in un range di misura da 0 a 20,0 mg/L, ossigeno in aria da 0 a 100 % e temperatura da 0 a 50 °C. Lo strumento utilizza una sonda ossigeno polarografica che misura anche la temperatura. La compensazione di % di sale e altitudine possono essere perfezionate dall'utente. Le letture di dati registrati sono memorizzate su una scheda SD per il trasferimento su un PC. Inoltre, una porta RS232 permette il trasferimento dati ad un PC. Venduto già testato e calibrato, se utilizzato correttamente, garantirà un servizio affidabile per molti anni. SDL150 include batterie, scheda SD, sonda (con testa sonda e diaframma di ricambio), elettrolita e custodia da trasporto. E’ alimentato da sei batterie AA da 1,5 V DC o da un adattatore AC opzionale.

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SPECIALE MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO HACH LANGE L’azienda propone i suoi misuratori portatili Sension+ All-in-One con navigazione guidata nel menu, sono ideali per analisi rapide e semplici. Ciascun sistema viene fornito completo di tutto il necessario per iniziare l'analisi. Gli strumenti possono essere usati con una sola mano grazie a un design ergonomico e leggero e una protezione IP67. I tubi di calibrazione a vite semplificano la calibrazione in loco e riducono al minimo il consumo del tampone. Il Sension+ MM156 è un sistema multiparametrico per misure si-

HANNA INSTRUMENTS multanee di pH, conducibilità e ossigeno disciolto. Per la misura ossigeno disciolto il range è di 060 mg/l e risoluzione di 0.01 mg/l. Questo strumento viene proposto anche nella versione con kit contenente multimetro più multisensore 5049 per pH, conducibilità, ossigeno disciolto e temperatura, valigia da campo ed accessori. Evita Oxy 4100 è invece un trasmettitore di ossigeno disciolto (flottazione in mulini a sfere, IT) senza sensore. Si caratterizza per una bassa manutenzione, un’esclusiva struttura autopulente e la calibrazione automatica. La forma sferica e le alette impediscono l'accumularsi di batteri o biomassa sul sensore. Insieme con un sensore e un convertitore di segnali universale, il trasmettitore funziona come un sensore per ossigeno disciolto accurato, con calibrazione eseguita tramite la semplice inclinazione del trasmettitore.

HI98193 è un robusto misuratore portatile di ossigeno disciolto con prestazioni e caratteristiche di uno strumento da banco. Si tratta di uno strumento professionale, a tenuta stagna, con grado di protezione IP67, che include anche la misura di pressione barometrica, BOD e temperatura. Viene fornito con una valigetta rigida per il trasporto, completo di tutti gli accessori per eseguire misure di O2 disciolto. Da segnalare che lo strumento ha una scala estesa fino a 50ppm e saturazione 600% e che è in grado di effettuare la compensazione automatica di pressione atmosferica, temperatura e salinità, dato che per mi-

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METLER-TOLEDO Il gruppo Mettler-Toledo, produttore di strumentazione di precisione per industria, laboratorio e grande distribuzione, offre come analitica di processo un controllo affidabile in tempo reale, per garantire la massima efficienza produttiva, qualità e sicurezza degli operatori. Il controllo dell'ossigeno disciolto nei depuratori può essere effettuato utilizzando due differenti tipologie di sensori. I sensori polarografici vengono utilizzati con successo da decenni. Basati su reazioni elettrochimiche, questi sensori sono dotati di membrane con un'elevata permeabilità alle molecole di ossigeno e presentano un design concepito per offrire un'eccellente stabilità del segnale di misura, anche quando il flusso idrodinamico non è continuo. I sensori Mettler-Toledo permet-

sure accurate di ossigeno disciolto queste compensazioni sono fondamentali. La pressione può essere visualizzata con unità di misura selezionabile dall’utente, fra cui mmHg, inHg, atm, psi, kPa e mbar. Lo strumento è dotato di sonda polarografica HI764073 e le misure possono essere espresse come BOD (Biochemical Oxygen Demand), OUR (Oxygen Uptake Rate) e SOUR (Specific Oxygen Uptake Rate). La modalità di memorizzazione manuale a campione permette all’utente di registrare e salvare fino a 400 lotti. I dati GLP includono data, ora, pressione atmosferica, tamponi di calibrazione, valori di temperatura e salinità dell’ultima calibrazione e sono visualizzabili premendo il tasto GLP dedicato. La robusta e compatta valigetta per il trasporto di questo strumento è termoformata per contenere tutti i componenti necessari per l’utilizzo sul campo, tra i quali strumento, sonda DO HI764073 polarografica, beaker e soluzioni di calibrazione, pulizia e mantenimento.

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OMEGA tono di misurare in un vasto range di concentrazioni di ossigeno disciolto (dai ppb fino a saturazione) e possono avere corpo in acciaio oppure in plastica, come InPro6050, sensore studiato appositamente per la misura nei depuratori. Questo elettrodo dal design resistente ed a bassa manutenzione, offre le migliori prestazioni, grazie alla membrana ricoperta da PTFE, in grado di resistere all'adesione di particelle e all'interferenza di agenti chimici. I nuovi sensori digitali basati sulla tecnologia ottica hanno già guadagnato consensi nel campo delle biotecnologie. Basati sull'impulso di un LED, questi sensori a grande longevità, permettono di ridurre al minimo la manutenzione della misura.

Misuratore di ossigeno disciolto Omega DOH-SD1 è innovativo e di facile utilizzo, con regolazione di altitudine e salinità. Incorpora un registratore di dati in tempo reale su scheda SD (in un foglio elettronico excel), e questo permette all'utente

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di acquisire ulteriori dati o eseguire analisi grafiche senza un software speciale. Lo strumento, dotato di sonda dell'ossigeno polarografica, ha un'ampia varietà di applicazioni, come il trattamento delle acque e i laboratori. Le sue caratteristiche possono essere così riassunte: display LCD con retroilluminazione verde commutabile; misurazione DO da 0 a 20 mg/l, con risoluzione di DO 0,1 mg/l e precisione DO ±0,4 mg/l; O2 nell'aria da 0 a 100% (solo riferimento); tempo di campionamento automatico da 1 sec a 8h 59 min 59 sec o manuale premendo una volta il pulsante di registrazione dati, i dati vengono salvati una volta; aggiornamento del display in 1 sec; uscita dati con cavo/software opzionale; temperatura di esercizio da 0 a 50 °C; umidità di esercizio meno di 85% di UR; alimentazione con 6 batterie alcaline AAA o opzionale da 9 V; consumo di corrente 14 mA CC (senza scheda SD e retroilluminazione), 49 mA (tutte le funzioni).

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SPECIALE MISURATORI DI OSSIGENO DISCIOLTO PCE INSTRUMENTS L’azienda propone differenti varianti di analizzatori di ossigeno, da quelli o per il contenuto puro di ossigeno a quelli per la concentrazione di ossigeno, in un design resistente all’acqua, con interfaccia e memoria dei dati, o anche nella classica versione da laboratorio. La maggior parte dell’offerta si compone di strumenti portatili, e questo si deve al fatto che i set chimici di analisi dell'acqua più richiesti sono questi strumenti portatili di precisione e facili da usare. Alcuni modelli tra gli analizzatori di ossigeno proposti hanno memoria, interfaccia per PC e software, attraverso il quale è possibile salavare i dati. Alcuni analizzatori indicano la concentrazione di ossigeno in mg/l, mentre altri danno i risultati in percentuale di ossigeno. Qualunque sia il modello, però, la loro taratura risulta essere molto semplice e può essere effettuata anche da utenti non esperti.

PROMINENT Il misuratore portatile di ossigeno disciolto PCE-PHD 1 è uno strumento dalle moltepliciti capacità per le ispezioni della qualità dell'acqua. Oltre a misurare l’ossigeno disciolto serve per il controllo nell'acqua dei valori di pH, conduttività, e temperatura. Una calibratura a 3 punti così come una compensazione di temperatura automatica, garantiscono una grande precisione. Come accessori sono disponibili differenti sonde e un software con un cavo di dati RS-232; pertanto, può poi trasmettere i dati memorizzati nello strumento a un PC o a un portatile e lì analizzarli. Questo strumento è inoltre dotato di memoria interna per 16.000 valori, con data e ora, e con esposizione regolabile da 1 secondo fino a 9 ore. Ha anche la funzione minimo, massimo, mantenuto (Data-Hold) e, a richiesta, può essere fornito l’elettrodo Redox.

Prominent, ideali per l’ottimizzazione dell'ossigeno in ingresso nella vasca di trattamento biologico negli impianti di depurazione dei reflui. Si tratta di strumenti dal design, range di misurazione e connessioni personalizzate in base alle specifiche esigenze. Il sensore modello DO2 è progettato per l'uso negli impianti di depurazione in versione autopulente; mentre il sensore modello DO1 può essere facilmente installato nelle tubature senza una necessaria autopulitura Per ciascun modello può essere abbinata la tecnologia sensore per l’analisi di pH, salinità, temperatura, tolleranza inquinamento. Gli stru-

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SYSTEA Aquaread, distrbuita da Systea, sviluppa e produce sonde multiparametriche per il monitoraggio ambientale della qualità delle acque, tra cui la misura di ossigeno disciolto. La serie Aquaprobe può essere gestita dal tastierino esterno Aquameter GPS dotato di GPS e, in alternativa, da una batteria bluetooth tramite PC, oppure può essere collegata ad un datalogger esterno mediante un accessorio denominato Blackbox. Aquaread AP-5000, ad esempio, è uno strumento da laboratorio o da campo dotato di GPS

con parametri standard di ossigeno disciolto ottico, temperatura, livello, EC, pH, ORP, TDS, resistività, salinità, SSG. Lo strumento è costituito da: un tastierino palmare compatto Aquameter GPS per visualizzare e registrare i dati in tempo reale e per eseguire la calibrazione; un cavo per il collegamento tra il palmare e la sonda; la sonda con sensori di misura. Lo strumento può misurare con un unico cavo, oltre ai parametri standard, 4 tra elettrodi ISE e sensori ottici a scelta in un diametro di 55 mm. E’ ideale per l’utilizzo in campo grazie alla robusta valigia rigida con tutti gli accessori e le ridotte dimensioni; inoltre, il materiale in alluminio anodizzato lo rende resistente anche all'ambiente marino. L'AP-5000 dispone di un sensore di profondità con precisione di misura dello 0,5% FS, molto simile a misuratori di livello d'acqua, in modo da poter rilevare anche piccole variazioni del livello dell'acqua e di visualizzarle come una variazione positiva o negativa.

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menti hanno connessione diretta ad un PLC (calibrato con segnale 4.20mA) o ad una soluzione decentralizzata con controller D1C. Quest’ultimo ha capacità regolata in base alle rispettive richieste che permette una grande precisione di misurazione. Altra caratteristica tecnica, la semplice calibrazione con aria o misurazioni alternative prese come riferimento; e, in caso di compiti ripetuti frequentemente, il punto di misurazione completamente standardizzato come modulo plug&play con componenti idealmente regolabili.

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Sicurezza - l’esposizione a idrocarburi policiclici aromatici (IPA), spesso utilizzati sotto forma di miscele complesse, oppure derivanti da combustioni incomplete (e che quindi possono essere presenti in tutte le attività in cui avvengono combustioni, come fonderie, raffinerie, produzione di coke, asfalto, gomma, carta, produzione energetica, ecc.); gli IPA sono responsabili di un aumento del rischio d’insorgenza di cancro ai polmoni e della pelle. Il documento riporta una tabella che include i cancerogeni più conosciuti, indicando la classificazione di cancerogenicità attribuita dalla UE o dalla IARC e le principali lavorazioni in cui può verificarsi l’esposizione; dalla tabella sono esclusi i chemioterapici antiblastici, i principi attivi di antiparassitari e le sostanze elencate nell’All. XL del D.Lgs 81/2008 (ammine aromatiche e 4-nitrodifenile).

I rischi da esposizione

MISURE DI PREVENZIONE E PROTEZIONE

Agenti cancerogeni e mutageni

Un apposito documento dell’Inail per la gestione di queste sostanze nei luoghi di lavoro Secondo gli studi della IARC (l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) esistono più di 400 agenti cancerogeni per l’uomo, e nei Paesi industrializzati il 4% circa dei decessi per tumore è riconducibile a un’esposizione professionale. In Italia, ad esempio, si stima che circa 6.400 decessi all’anno per tumore siano riconducibili all’esposizione ad agenti cancerogeni presenti nei luoghi di lavoro. Per far fronte a questa situazione, l’Inail ha recentemente pubblicato un documento dal titolo “Agenti cancerogeni e mutageni. Lavorare sicuri”. Questo documento, realizzato dal Contarp (Consulenza tecnica accertamento rischi e prevenzione) vuole essere un ausilio per la gestione degli agenti cancerogeni e mutageni nei luoghi di lavoro, ed è quindi destinato a lavoratori, datori di lavoro, RSPP e professionisti della sicurezza.

Dopo una panoramica su classificazione ed etichettatura di cancerogenicità e mutagenicità secondo la normativa vigente (aggiornata al Regolamento UE 1272/2008, entrato in vigore nel giugno di quest’anno), il documento si sofferma sui meccanismi di cancerogenesi e mutagenesi, per affrontare in seguito la descrizione delle principali misure da intraprendere per il controllo dell’esposizione degli addetti. Segue una serie di schede che descrivono i principali agenti cancerogeni/mutageni in ambito lavorativo, e infine l’esposizione delle procedure basilari per lavorare in sicurezza. AMBIENTI DI LAVORO A RISCHIO

Benchè esistano agenti cancerogeni/mutageni fisici, biologici e chimici, il volume dell’Inail è dedicato in maniera specifica agli agenti chi-

mici, ad esclusione di radon e amianto, i quali meritano una trattazione separata. Gli ambiti lavorativi a rischio più elevato sono quelli in cui si utilizzano polveri di legno e cuoio: studi epidemiologici hanno infatti rilevato per falegnami, mobilieri e carpentieri un aumento del rischio per tumori delle cavità nasali e dei seni paranasali. Inoltre, l’esposizione a benzene nell’industria petrolchimica ha evidenziato una maggiore incidenza di varie patologie di tipo leucemico negli addetti. Sono riportate anche altre due esposizioni a rischio: - l’esposizione a composti di cromo esavalente, che è stata associata ad un aumento dell’insorgenza di neoplasie polmonari sia nelle attività di produzione di composti cromici che nei processi di trattamento e rivestimento galvanico dei materiali metallici

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Il documento riafferma un principio già noto, ossia che la più importante misura di prevenzione dell’esposizione ad agenti cancerogeni e/o mutageni sarebbe la sostituzione di tali sostanze o preparati con altri non pericolosi (o meno pericolosi) per la salute. Qualora ciò non sia possibile, il datore di lavoro deve applicare tutte le possibili misure tecniche, organizzative e procedurali volte a ridurre al minimo il numero dei lavoratori esposti, ed a ridurre a valori più bassi possibile la durata e l’intensità dell’esposizione di tali lavoratori. Vengono riportate, a titolo di esempio: - adozione di sistemi di lavorazione “a ciclo chiuso” - impiego di quantitativi di agenti cancerogeni/mutageni non superiori alle reali necessità produttive, evitandone l’accumulo sul luogo di lavoro - isolamento delle lavorazioni a rischio entro aree appositamente segnalate, accessibili solo agli addetti, in cui deve essere vietato fumare, mangiare, bere, usare pipette a bocca e applicare cosmetici - regolare e sistematica pulitura di locali, attrezzature e impianti - conservazione, manipolazione, trasporto e smaltimento dei prodotti cancerogeni e/o mutageni in condizioni di massima sicurezza, in base a quanto prescritto dalle schede di sicurezza


- disposizione, su conforme parere del Medico Competente, dell’allontanamento dall’esposizione di categorie di lavoratori particolarmente sensibili (lavoratrici gestanti o in allattamento, minori, soggetti ipersuscettibili, ecc.). Il datore di lavoro, inoltre, deve assicurare un’adeguata formazione e informazione dei lavoratori circa la tipologia di agenti cancerogeni/mutageni impiegati nelle lavorazioni, la loro dislocazione e i rischi connessi al loro impiego, le precauzioni da osservare per evitare o diminuire l’esposizione, le misure adottate per prevenire il verificarsi di incidenti e quelle da adottare per limitarne le conseguenze. L’informazione e formazione vanno effettuate prima di adibire i lavoratori alle attività a rischio, e deve essere ripetuta almeno ogni 5 anni e comunque ogni qualvolta si verifichino cambiamenti nelle lavorazioni che influiscono sulla natura dei rischi. Devono poi essere predisposte nel luogo di lavoro misure di protezione, sia collettive (sistemi di ventilazione generale e aspirazione localizzata) che individuali (DPI). Quanto a quest’ultimi, il documento Inail riporta, per ciascun tipo di DPI, indicazioni particolari per la scelta del tipo più adatto: - DPI per le vie respiratorie: si raccomandano filtranti FFP3 o P3 (eventualmente S o SL) in presenza di particelle, e dispositivi filtranti con filtri antigas specifici in presenza di gas/vapori; si raccomanda l’uso di entrambi in presenza di una combinazione di particelle e gas/vapori. In circostanze particolari (incidenti o altri eventi non prevedibili, operazioni che possono comportare un’esposizione rilevante) sono indicati autorespiratori isolanti - DPI per gli arti superiori: i guanti devono essere sufficientemente lunghi per coprire almeno l’avambraccio, e preferibilmente devono essere monouso o usa e getta, e ne devono essere indossati due paia sovrapposti - DPI per occhi e viso: si raccomanda l’impiego di occhiali a mascherina o visiera, e per le operazioni di saldatura è indicato uno schermo filtrante oppure un casco ventilato - DPI per il corpo: si raccomandano indumenti monouso o usa e getta, a protezione completa o parziale, e in circostanze particolari (incidenti o altri interventi non prevedibili, operazioni che possono comportare un’esposizione rilevante) sono indi-

Correlazione tra cancerogenicità e mutagenicità È stato dimostrato che l’esposizione ad alcuni agenti chimici può causare lo sviluppo di tumori in seguito all’induzione di mutazioni genetiche. Infatti, queste sono alterazioni del DNA che talvolta l’organismo umano non è in grado di riparare, dando luogo a modifiche permanenti che, se interessano cellule germinali, diventano ereditabili; la correlazione è data dal fatto che le cellule tumorali hanno origine da una cellula comune che a un certo punto subisce una trasformazione “anomala”, che può essere dovuta all’accumulo, all’interno della cellula, di mutazioni non riparate o riparate nel modo sbacati indumenti di tipo 1°/1B o 1C. GESTIONE DELLE EMERGENZE

Durante l’impiego, lo stoccaggio e lo smaltimento di agenti chimici si possono verificare situazioni di emergenza, da cui possono derivare rischi per l’incolumità delle persone o emergenze ambientali. È necessario, quindi, predisporre adeguate procedure di emergenza, che dovranno essere immediatamente attuatequalora si verifichi una situazione di pericolo immediato, per evitare, o almeno limitare, rischi di

gliato. Gli agenti che provocano lo sviluppo di tumori per tramite di mutazioni sono detti “cancerogeni genotossici”: appartengono a questa categoria, tra gli altri, benzene, IPA e composti di cromo esavalente. Esistono poi altri

inquinamento ambientale e di danni a persone o cose. Le procedure da seguire dovranno essere preparate e fornite ai lavoratori tenendo conto del tipo di attività lavorativa svolta, delle sostanze utilizzate e delle modalità di manipolazione, conservazione e smaltimento di tali sostanze. Il documento riporta una serie di regole dalle quali prendere spunto per l’elaborazione delle procedure: - aprire tutte le finestre e le porte per favorire la ventilazione degli ambienti e la dispersione di eventuali vapori pericolosi presenti

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cancerogeni, detti “epigenetici”, che non modificano la sequenza del DNA, ma alterano il modo in cui le informazioni in esso contenuto vengono utilizzate (ad esempio amianto, diossine, idrocarburi alogenati).

nell’aria - cercare di mettere in sicurezza il luogo dell’incidente, ad esempio rimuovendo possibili fonti di innesco, arrestando le lavorazioni in corso e interrompendo l’alimentazione di apparecchiature elettriche e a gas - arrestare la fuoriuscita di liquidi con idonei materiali assorbenti, che dovranno poi essere smaltiti come rifiuti speciali - indossare DPI specifici per la protezione dal contatto con la sostanza fuoriuscita, che dovranno in seguito essere smaltiti e sostituiti - dopo la rimozione del materiale fuoriuscito, pulire bene la zona e i materiali interessati dallo sversamento. Tali interventi dovranno essere effettuati solo se è possibile operare in condizioni di sicurezza, ed essere eseguiti da almeno due operatori, seguendo le indicazioni contenute nelle schede di sicurezza; occorre comunque sempre chiamare il numero di emergenza e far intervenire le squadre di pronto intervento. Qualora si verifichi contaminazione di persone, occorre lavare le parti del corpo esposte con acqua corrente (docce, lavaggi oculari, ecc.), consultare le misure di primo soccorso indicate nelle schede di sicurezza, e allertare gli addetti al primo soccorso (e, se necessario, i soccorsi esterni, ai quali dovranno essere fornite tutte le informazioni utili relative alla sostanze contaminanti e le schede di sicurezza).


Tecnologie

HycaPure Hg di Clariant

Supporti solidi porosi per liquidi ionici

I liquidi ionici Nuovi materiali

Una promettente risorsa per rendere più sostenibili i processi chimici, ossia a minore dispendio energetico e minori emissioni inquinanti Una delle prime nozioni che si studia nei corsi di chimica è la distinzione tra i diversi tipi di legame: c’è il legame ionico, il legame covalente e il legame a idrogeno. In particolare, le sostanze che hanno un legame ionico stanno insieme grazie all’attrazione elettrostatica tra ioni positivi (atomi cui è stato tolto uno o più elettroni) e ioni negativi (atomi che hanno acquistato uno o più elettroni). Le cariche opposte si attraggono, e la forza di attrazione è uniformemente distribuita nello spazio; questo favorisce la formazione di strutture cristalline, in cui i diversi ioni sono disposti in modo geometricamente regolare (ai vertici di un cubo o di un prisma esagonale o di un tetraedro, ecc.). Quindi, le sostanze ioniche sono quasi sempre solide ed un esempio tipico è il comune sale da cucina. Tuttavia, quando gli ioni sono molto ingombranti (cioè composti non da singoli atomi, ma da gruppi di atomi) la formazione di strutture cristalline risulta difficile e si ottengono delle sostanze che, pur essendo composte da ioni, sono liquide a temperatura ambiente. La struttura dei liquidi ionici,

mozione del mercurio dal gas naturale; catalizzatori a basso consumo energetico; celle fotovoltaiche senza silicio. BIOCARBURANTI E CARBURANTI ALTERNATIVI

costituiti da grosse particelle elettricamente cariche, conferisce loro delle proprietà particolari: conducono la corrente, non evaporano, non sono infiammabili, aderiscono alle superfici metalliche, possono sciogliere sia i sali che i composti organici. Questa inconsueta combinazione di caratteristiche ha stimolato l’applicazione dei liquidi organici in molti pro-

cessi della “chimica verde”, nei quali i tradizionali sistemi di preparazione e purificazione vengono compiuti con minor dispendio energetico e minori emissioni di sostanze inquinanti nell’ambiente. Tra le molte applicazioni attualmente oggetto di ricerca, cinque sono particolarmente interessanti: biocarburanti e carburanti alternativi; assorbimento della CO 2; ri-

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La produzione di bioetanolo e altri biocarburanti a partire dalle biomasse lignocellulosiche richiede come passaggio iniziale un pretrattamento che separi la parte legnosa (non fermentabile) da quella cellulosica. I metodi convenzionali sono costosi, consumano energia e in alcuni casi utilizzano sostanze chimiche che sono dannose per i batteri e gli enzimi che compiono gli stadi successivi di idrolisi della cellulosa e di fermentazione degli zuccheri ad alcool. L’applicazione dei liquidi ionici al trattamento di biomasse lignocellulosiche è oggetto di un intenso programma di ricerche da parte di due enti di ricerca californiani (Usa): il Joint BioEnergy Institute (JBEI) e l’Advanced Biofuels Process Demostration Unit (ABPDU). Grazie ai liquidi ionici, il JBEI ha dapprima sviluppato su


TANTI VANTAGGI… E QUALCHE PROBLEMA Il principale freno all’impiego dei liquidi ionici su scala industriale è oggi rappresentato dal loro costo, che si spera possa diminuire via via che questi nuovi materiali verranno prodotti in maggiori quantità. Un altro problema è dato dall’enorme varietà di strutture possibili (si calcola che possono esistere 1018 liquidi ionici diversi); da un lato questo consente di scegliere tra molte diverse strutture quella più adatta per le specifiche applicazioni, ma d’altro lato comporta un lavoro di selezione lungo e costoso. Nonostante molte applicazioni dei liquidi ionici siano positive

dal punto di vista ambientale, il loro rapido sviluppo è avvenuto senza che gli effetti ambientali e tossicologici di queste sostanze siano stati approfonditamente valutati. Un aspetto particolarmente critico è la capacità dei liquidi ionici di interagire con le membrane cellulari; sotto questo aspetto sono particolarmente dannosi i liquidi ionici con lunghe catene idrofobiche, che svolgono un’azione detergente così potente da risultare distruttiva. I liquidi ionici con sostituenti polari, come le catene polietossilate, non provocano invece danni cellulari e pertanto dovrebbero essere preferenzialmente utilizzati, purché le loro proprietà solventi siano adeguate allo scopo previsto.

dei liquidi ionici, la Linde ha realizzato un “compressore a pistoni liquidi”, in cui l’idrogeno viene compresso dal movimento alternativo di colonne di uno speciale liquido ionico, che non evapora e non si miscela con l’idrogeno; il liquido viene poi facilmente recuperato e riciclato, disponendo uno stadio di coalescenza all’uscita del compressore. Rispetto ad un compressore convenzionale, questo sistema con-

Il Joint BioEnergy Institute (JBEI)

scala di laboratorio un processo combinato di pretrattamento e saccarificazione, che con la collaborazione del ABPDU è stato successivamente collaudato su scala industriale (1 ton/giorno di biomassa in entrata). Tra i molti liquidi ionici oggi disponibili, il JBEI ha focalizzato la sua attenzione su quelli a base di sali di imidazolo, che sembrano particolarmente adatti a infiltrarsi entro le cellule vegetali. Un interessante sviluppo delle ricerche del JBEI è la possibilità di utilizzare i sottoprodotti della fase di pretrattamento (in particolare la lignina) per la formulazione di nuovi liquidi ionici, adatti per al-

tri processi dell’industria chimica. Tra i carburanti alternativi, molte promesse sono riposte nell’idrogeno; l’ostacolo maggiore alla sua diffusione è attualmente la mancanza di una rete di distribuzione. Un importante passo avanti è stato compiuto dalla multinazionale tedesca Linde Group, che sta costruendo stazioni di servizio a idrogeno in California, Austria e Germania; un elemento chiave in queste stazioni di servizio è il compressore, che deve portare la pressione dell’idrogeno immesso nelle auto fino a 1.000 bar. Grazie all’assenza di evaporazione, all’incompressibilità e alle proprietà lubrificanti e anticorrosive Hi-Tech Ambiente

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sente un risparmio energetico di circa il 40%. ASSORBIMENTO DELLA CO2

Il Queen’s University Ionic Liquids Laboratories dell’Università di Belfast (Irlanda del Nord) ha un laboratorio principalmente dedicato alle applicazioni dei liquidi ionici. Continua a pag. 58


Continua da pag. 57

utilizzata per convertire le olefine in aldeidi. La Evonik ha realizzato una dispersione tra un catalizzatore (costituito da un complesso tra il rodio e un triolo policiclico derivato dall’antracene) e un liquido ionico costituito da un catione imidazolo e un anione derivato da una ammina binaria; questo sistema è stato installato in un impianto pilota, dove ha funzionato senza problemi per 2.000 ore, dimostrando una riduzione del 2% nelle emissioni di CO2 rispetto a un catalizzatore convenzionale. Un altro esempio d’impiego di liquidi ionici in reazioni di sintesi catalitica è il processo Difasol, sviluppato dal French Petroleum Institute (IFP) nel 1998. Questo processo realizza la dimerizzazione e oligomerizzazione di olefine leggere, ottenendo prodotti utilizzati nell’industria petrolchimica come intermedi nella sintesi di alcoli precursori di materiali plastici. Il catalizzatore per questo processo è un complesso organometallico del nichel, che viene sciolto in una miscela costituita da un liquido ionico (butil-metil-imidazolo cloruro), tricloruro di alluminio e dicloruro di alluminio-etile; il liquido ionico funziona contemporaneamente da solvente e da cocatalizzatore, e mantiene il catalizzatore in una fase separata che ne consente il completo riciclo.

I liquidi ionici Il QUILL ha investigato approfonditamente la possibilità di applicare i liquidi ionici alla rimozione della CO2, che è frequentemente presente nel gas naturale. Rispetto alle etanolammine oggi utilizzate a questo scopo, i liquidi ionici sono più stabili, meno corrosivi e meno volatili; tra le molte formazioni provate, alla fine la migliore è risultata quella a base di tributilmetilfosfonio propanoato; nonostante il costo più elevato del liquido ionico rispetto alle ammine, il bilancio economico risulta favorevole (anche per i minori consumi energetici), tanto che sono stati depositati due brevetti.

Il Joint BioEnergy Institute (JBEI)

RIMOZIONE DEL MERCURIO DAL GAS NATURALE

Il mercurio si trova frequentemente (anche se in minime percentuali) in molti giacimenti di gas naturale; deve essere rimosso, non solo per la sua tossicità, ma anche perché causa corrosione e infragilimento nelle parti metalliche di valvole, tubazioni, compressori e altro. Attualmente, il mercurio viene rimosso facendo passare il gas su carbone attivo, argento finemente suddiviso o solfuri. Un processo molto più efficiente, basato su liquidi ionici, è denominato HycaPure Hg, ed è stato sviluppato dalla società chimica svizzera Clariant in collaborazione con la società petrolifera malese Petronas. In questo processo il liquido ionico (a base di clorocuprati organici) è incorporato in un solido poroso, che viene inserito in uno scrubber a letto fisso; la bassissima volatilità del liquido ionico assicura una lunga durata, senza alcun trascinamento entro la corrente di gas da depurare.

CELLE FOTOVOLTAICHE SENZA SILICIO

Da tempo si sperimentano celle fotovoltaiche senza silicio, costituite da speciali coloranti e basate su reazioni di ossido riduzione tra lo iodio ed i suoi composti. Queste celle, denominate DSSC (Dye Sensitized Solar Cells) impiegano miscele di elettroliti per facilitare il trasporto delle cariche elettriche tra i due elettrodi della cella stessa; i liquidi ionici sono particolarmente adatti per questa applicazione, perché hanno una bassissima tensione di vapore e quindi non evaporano e non creano sovrapressioni all’interno della cella quando questa viene esposta al sole. La società tedesca Merck sta sperimentando celle DSSC a liquidi ionici in applicazioni per interni, dove le celle semitrasparenti e di diversi colori possono costituire un elemento di design architettonico.

CATALIZZATORI A BASSO CONSUMO ENERGETICO

L’impiego dei liquidi ionici su supporto solido poroso, denominato SILP (Supported Ionic Liquid Phase) può consentire l’impiego di catalizzatori omogenei senza la necessità di prevedere stadi di separazione e recupero. La società tedesca Evonik Industries ha applicato questo concetto alla reazione di idroformilazione, Hi-Tech Ambiente

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Fin da quando l’uomo da cominciato a navigare, ha dovuto combattere con lo sviluppo di “vegetazione” sulla chiglia delle imbarcazioni, cioè con la formazione di incrostazioni e depositi di natura organica. Gli organismi marini che si attaccano sotto le navi sono di tre tipi: alghe, molluschi (come il “dente di cane”), e limo, composto da miliardi di alghe unicellulari. La crescita di questi organismi (definita in inglese “biofouling”) aumenta la resistenza idrodinamica della carena, riducendo la manovrabilità e facendo aumentare fino al 40% il consumo di carburante: si stima che questo effetto comporti ogni anno una spesa tra 180 e 260 miliardi di dollari, oltre ai danni all’ambiente dovuti alle accresciute emissioni in atmosfera dei prodotti di combustione dei motori marini.

Navi: SOS biofouling Il progetto Seacoat

Proteggere gli scafi senza compromettere l’ambiente

SEMBRAVA UN PROBLEMA RISOLTO, MA…

Negli anni ’50 si diffusero pitture antivegetative a base di composti organici dello stagno (tributilstagno, trifenilstagno); questi composti risultavano estremamente efficaci, tanto che la prevenzione della vegetazione sotto le navi sembrava un problema risolto. Purtroppo, i composti organici dello stagno sono tossici, e poiché sono molto stabili rispetto alla degradazione naturale, la loro concentrazione nelle acque costiere e portuali raggiunse ben presto livelli preoccupanti. L’uso dei composti stagno-organici è stato vietato nell’Unione Europea con la direttiva 1999/51/CE; il successivo regolamento 782/2003 proibisce a tutte le navi trattate con vernici stagno-organiche l’ingresso nei porti europei e, infine, nel 2001 l’uso del più diffuso di questi composti (il TBT, o tributilstagno) è stato vietato a livello mondiale dalla IMO (International Maritime Organization). Nonostante questi divieti, la presenza di inquinamento da TBT e altri composti organici di stagno è tuttora rilevante: recentemente, nell'ambito del progetto Carisma, è stata effettuata da ISPRA-CNR una valutazione della contaminazione da biocidi impiegati nelle pitture antivegetative, nei principali porti di Puglia ed Albania, riscontrando che il tributilstagno, sebbene bandito da anni, risulta presente, in ogni matrice, a concentrazioni che costituiscono un elevato pericolo per l’ecosiste-

ma marino, in quasi tutti i siti campionati. Le vernici oggi consentite sono prevalentemente a base di rame, insieme con biocidi organici; tuttavia, anche il rame non è esente da

sospetti di tossicità nei confronti degli ecosistemi acquatici, per cui la ricerca di una vernice antivegetativa che sia contemporaneamente efficace ed innocua è ancora un problema aperto.

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IL PROGETTO SEACOAT

Il progetto europeo SeaCoat, al quale partecipano sei Università (per l’Italia, l’Università di Pisa) e due aziende chimiche (International Paint e Susos AGha deciso di affrontare il problema del biofouling con un approccio completamente nuovo, analizzando i processi bio-interfacciali di interazione molecolare tra il materiale di base e gli adesivi prodotti dagli organismi marini. Per questa analisi è stato impiegato un metodo interdisciplinare, combinando analisi chimica, nanotecnologia, studio delle superfici, microbiologia, zoologia, algologia, ecc.; per studiare come il comportamento degli organismi che causano il biofouling sia influenzato dalle proprietà dei diversi rivestimenti, sono state usate tecniche avanzate di analisi delle immagini, come l’olografia digitale e nuove tecniche di fotografia stereoscopica, mentre per quantificare l’adesione dei batteri alle diverse superfici è stato appositamente sviluppato un metodo basato sulla risonanza plasmonica di superficie (SPR). A differenza degli antivegetativi attuali, la cui azione è soprattutto basata sull’avvelenamento degli organismi che si attaccano alla superficie immersa, il progetto SeaCoat ha puntato a scoraggiare l’adesione, minimizzando le forze intramolecolari tra gli adesivi proteici prodotti dagli organismi marini e la superficie. Questo concetto è già applicato nelle vernici antivegetative a base di silicone, usate soprattutto nei sommergibili e nelle navi militari; il costo di queste vernici, tuttavia, ne ha limitato l’applicazione. Sono stati creati nuovi copolimeri anfifilici, contenenti gruppi idrofobi rivolti verso l’esterno, e polimeri microporosi contenenti fluidi lubrificanti non miscibili con l’acqua di mare, in modo da ottenere superfici altamente scivolose, che impediscano agli organismi di attaccarsi; in questi studi è stato di particolare utilità lo studio microtopografico della pelle dei delfini. A conclusione del progetto, è stato preparato un rivestimento polimerico di nuovo tipo, capace di legarsi a diversi materiali usati nelle costruzioni marine, che potrebbe costituire la base per una nuova generazione di rivestimenti antivegetativi ambientalmente compatibili, che evitino il rilascio di biocidi nell’ecosistema marino.


Smart & Green

L’automazione frena i consumi Efficienza e nuove tecnologie

Controlli intelligenti, rilevamento dei guasti e correzione da remoto via cloud sono gli investimenti più gettonati I proprietari di edifici in tutto il mondo stanno sempre più adottando sistemi di automazione per far fronte ai costi crescenti dell’energia. Poiché gli edifici rappresentano circa un terzo dell’utilizzo di energia a livello globale e contribuiscono in larga misura alle emissioni di gas serra, la necessità di sistemi di automazione non potrà che crescere. Le opportunità per i produttori saranno particolarmente promettenti nelle economie in via di stabilizzazione, come Brasile, Russia, India, Cina, Germania e Stati Uniti, a causa dell’elevata spesa per l’infrastruttura. Una nuova analisi di Frost & Sullivan, intitolata “Global Building Automation Market”, rileva che il mercato ha prodotto entrate per 5,78 miliardi di dollari nel 2013 e stima che questa cifra raggiungerà quota 7,28 miliardi di dollari nel 2018. I segmenti relativi a data center e ospitalità assisteranno a una rapida crescita grazie all’aumento della diffusione di internet nei paesi emergenti e all’espansione del mercato del turismo.

<<Le policy e i regolamenti governativi volti a migliorare l’efficienza energetica degli edifici spingono il mercato dei sistemi di automazione, specialmente in Nord America, Europa e in alcune parti della regione Asia-Pacifico - afferma Balaji Anand Sagar, analista di F&S. Gli operatori del mercato comprendono

che questi sistemi sono essenziali per raggiungere gli obiettivi di efficienza energetica fissati dai governi, e stanno offrendo soluzioni affidabili a prezzi competitivi>>. Tuttavia, l’insufficiente chiarezza sui benefici dei sistemi di automazione scoraggia i proprietari di edifici dal prendere in considerazione

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queste soluzioni nelle fasi di definizione del budget e di formulazione delle offerte. Inoltre, la mancanza di standardizzazione dei prodotti per l’automazione nelle diverse regioni diminuisce la fiducia dei clienti. Fornire soluzioni chiavi in mano con solide caratteristiche ingegneristiche e di ICT aiuterà le aziende del settore a dare slancio alla propria visibilità in mercati specifici. Anche il rilascio di sistemi di automazione “open”, che utilizzano protocolli standard, sarà una valida strategia per posizionarsi sul mercato. <<I sistemi intelligenti per il controllo degli edifici, il rilevamento dei guasti, la diagnostica predittiva, l’analisi dei big data e la correzione da remoto via cloud plasmeranno il mercato nei prossimi anni - osserva Sagar. Inoltre, la connettività ‘open’ e l’interoperabilità consentiranno l’automazione di un “internet dei dispositivi” molto più ampio, portando il mercato globale dell’automazione degli edifici verso nuove vette>>.


TRASPORTO PUBBLICO A DOMANDA

I TOMBINI ANTI-ALLAGAMENTO

Al via SmartBus

E’ partita a metà maggio “SmartBus”, l’esperienza di trasporto pubblico a domanda sviluppata dall’ Enea per la città dell’Aquila. L’iniziativa, di carattere sperimentale, vuole favorire la mobilità da e verso il centro della città per l’utenza che vi lavora stabilmente, tramite un servizio dedicato di trasporto a prenotazione, di facile accesso attraverso il canale internet ed aperto a tutte le interfacce attualmente possibili (com-

puter, telefonino, tablet). Il servizio, utilizzabile solo su prenotazione, prevede una registrazione preliminare al sito dedicato www.smartbuslaquila.it e, ogniqualvolta si desideri ottenere il trasporto, una richiesta indicante la data (giorno, ora) e la tratta di interesse (origine, destinazione). Il servizio di gestione prende in carico la prenotazione e fornisce la successiva conferma della disponibilità del trasporto in tempo

utile, rispondendo all’utente con sms o mail; in caso di improvvisa indisponibilità del servizio, tutta l’utenza prenotata viene avvisata, sempre tramite sms o mail. Attualmente, il trasporto prevede 11 fermate, stabilite in modo da toccare i punti principali del centro storico, avendo come riferimento il terminal delle corriere di Collemaggio. Una volta salito a bordo l’utente già prenotato, viene riconosciuto tramite un codice a barre stampato all’atto della registrazione. Il veicolo dedicato al servizio a prenotazione è un Iveco Daily bimodale, dotato cioè di doppia motorizzazione (termica ed elettrica), quindi capace di trazione termica o in alternativa elettrica.; Gli autisti sono tenuti ad utilizzare il più possibile la trazione elettrica, compatibilmente col carico del momento, le pendenze stradali e la carica disponibile della batteria.

SMART CITY

Un Osservatorio per Roma La Società Geografica Italiana, insieme a Roma Capitale e Zètema, ha istituito un Osservatorio sulle Smart Cities, i cui obiettivi sono: - studiare i fattori e i modelli urbani di “smart cities” e società dell'informazione (con le annesse infrastrutture, servizi e contenuti);

- mettere in luce gli aspetti che contribuiscono a rendere una città smart e individuare in quali modalità, e secondo quali possibilità concrete, possano essere attivati tali meccanismi; - produrre nuove conoscenze sul ruolo che le nuove tecnologie e gli strumenti per uno sviluppo sostenibile possono avere nella vita

quotidiana, integrandosi organicamente agli stili di vita tradizionali e alla cultura locale; - individuare quali siano i fattori abilitanti per l'empowerment e la partecipazione sociale, fondendo motivi tradizionali di insediamento con nuove pratiche; - fornire un quadro delle politiche attuate in altre città (best practices); - redigere un Bollettino quadrimestrale che informi gli organi competenti di Roma Capitale sulle possibilità di partecipazione a bandi mondiali, europei e nazionali in materia di smart city; - redigere una relazione informativo-descrittiva annuale, da proporre a Roma Capitale per mettere in luce le migliori politiche di smart city attuate in altre realtà urbane mondiali, per la riproposizione eventuale, nel contesto della città di Roma, di tali pratiche, con una bibliografia che integri, da un punto di vista scientifico, le informazioni prodotte.

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Un sistema di monitoraggio elettronico dello stato dei tombini, in grado di rilevare le ostruzioni e i furti, e prevenire gli allagamenti. È il progetto "Smart Manhole", pronto ad essere sperimentato da maggio prossimo sulle strade di Roma grazie all'accordo siglato tra Assessorato allo Sviluppo delle Periferie, Infrastrutture e Manutenzione Urbana di Roma Capitale, CNR e Aci Consult, società del gruppo Aci, e con brevetto italiano. Il progetto, sviluppato da Aci Consult con la supervisione tecnica del CNR, è volto a fornire una soluzione "intelligente" al problema delle foglie e dei detriti all'interno delle caditoie, e a consentire una manutenzione programmata e controlli più semplici. Il sistema è costituito da una rete di sensori e apparati elettronici che mettono in connessione i tombini con una sala operativa centrale. All'interno delle griglie sarà installato uno “smart brain”: un cervello elettronico che consentirà di controllare il livello dell'acqua all'interno della caditoia, monitorare la superficie esterna e comunicare in tempo reale eventuali furti o manomissioni. In caso di rischio allagamento o di attività anomale, i sensori trasmetteranno l'allarme ad una centralina installata nelle vicinanze, e da lì alla sala operativa che invierà la squadra per l'intervento. Le nuove griglie, di materiale composito certificato Uni En 124, peseranno il 70% in meno rispetto alle classiche in ghisa, garantendo minori costi di trasporto, disincentivando i furti e facilitando le operazioni di pulizia. <<Questo progetto, il primo al mondo, fortemente voluto dal CNR - precisa Marco Battisti della Polieco Group, titolare del brevetto - è stato fatto grazie anche al materiale composito, il Kienxt, brevettato nel 2012, grazie alle alte performance, può infatti sostituire i tradizionali materiali (ghisa, ferro e cemento) soggetti ad usura e decadimento, è permeabile alle onde elettromagnetiche>>. La sperimentazione prenderà avvio entro maggio di quest’anno. <<Questa sperimentazione - afferma Paolo Masini, assessore capitolino alla Manutenzione Urbana - contribuirà a contrastare il fenomeno degli allagamenti, a rendere più semplici le manutenzioni e a prevenire furti e manomissioni>>.


MARKET DIRECTORY

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MARKET DIRECTORY

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ECOTECH

a cura di ASSITA

Idrogeno a basso costo con l’elettrolisi su ossidi ??

Teoricamente, la produzione di idrogeno per elettrolisi dell’acqua, usando energia elettrica prodotta con fonti rinnovabili (come solare ed eolico) potrebbe fornire un combustibile estremamente pulito e praticamente privo di impatti ambientali. Il problema è che con le celle elettrolitiche standard, per produrre 1 kg di idrogeno occorrono 45 kWh di energia, il cui costo è attualmente superiore a quello dell'energia ottenibile dall’idrogeno prodotto; finora le tecnologie alternative di elettrolisi, come quella in soluzione alcalina o quella con membrane polielettrolitiche, non sono riuscite ad affermarsi, a causa di problemi di corrosione o della necessità di utilizzare materiali molto costosi. La giapponese Toshiba conduce da oltre 8 anni ricerche su celle di elettrolisi a base di ossidi solidi (di scandio e zirconio), nelle quali il catodo (dove si sviluppa l’idrogeno) è costituito da ossido di cerio e ossido di nichel e gadolinio. Queste ricerche, finanziate dal Nedo, hanno portato lo scorso anno alla realizzazione di una cella-prototipo di 1 kWh; entro quest’anno, la Toshiba punta a una cella da 10 kWh, con l’obiettivo finale di arrivare a un sistema industriale da 100 kWh, capace di produrre 30 mc/ora di idrogeno. Queste celle elettrolitiche a ossidi di tipo ceramico consumano meno energia delle celle convenzionali, non hanno problemi di corrosione e non richiedono l’uso di

catalizzatori a base di platino; con celle di questo tipo sarà possibile realizzare sistemi di produzione di energia da fonti rinnovabili che superino il problema della discontinuità, in quanto l’energia elettrica in surplus rispetto alla domanda verrebbe convertita in idrogeno, e questo poi utilizzato durante i periodi di bassa produzione per generare energia elettrica mediante la stessa cella ad ossidi solidi, che funzionerebbe in modalità “fuel cell”. L’obiettivo è di raggiungere un’efficienza complessiva del ciclo caricascarica di almeno il 90%.

La pirolisi rapida per biocarburanti da biomasse

L’Istituto di Bioeconomia dell’Università Statale dello Iowa (Usa) sta costruendo un impianto pilota per valutare sul campo un suo processo di conversione pirolitica della biomassa in bio-olio o “bio-char”, un residuo carbonioso che può essere impiegato come ammendante del terreno, dove sequestra il carbonio in maniera stabile. Il processo prevede la pirolisi di biomasse naturali legnose, come scarti forestali, tutoli di mais, paglia di grano e di riso, in un letto fluidizzato di sabbia a 500 °C, in atmosfera di gas inerte. La cellulosa e l’emicellulosa delle biomasse vengono convertite in zuccheri disidratati, che possono essere usati come materie prime per la produzione di biocarburanti mediante fermentazione, oppure convertite in carburanti mediante pro-

cessi catalitici. La lignina viene scissa in oli fenolici, che possono essere anch’essi convertiti in carburanti oppure miscelati con il carbone per essere bruciati in centrali termoelettriche. Il residuo solido del processo di pirolisi, corrispondente al 1015% del materiale in entrata, è un materiale simile al carbone di legna, che può essere interrato ottenendo un miglioramento della ritenzione d’acqua nel suolo e facilitando la crescita dei raccolti. In questo modo è possibile sottrarre carbonio ai cicli naturali, riducendo così la CO2 atmosferica. Il Centro Ricerche Finlandese VTT, invece, propone di trasformare in idrocarburi aromatici (benzene, toluene, xilene) il gas di sintesi ottenuto mediante pirolisi, utilizzando la sintesi Fischer-Tropsch e successivi processi di aromatizzazione. La purezza del benzene ottenuto con questo processo supera il 90% e quella del toluene il 70%. Il costo della frazione aromatica così ottenuta è intorno a 1,40 euro/litro, che è ancora un po’ più alto della corrispondente frazione ottenuta dal petrolio, ma molto più competitivo rispetto ad altri processi che partono dalle biomasse.

Sfruttare lo zolfo per ridurre la CO2

Il Politecnico di Milano ha di recente brevettato la seguente reazione chimica: CO2 + 2H2S → CO + H2 + S2 + H2O, ossia una reazione che porta alla produzione di una miscela di gas pulita e riutilizzabile (syngas), zolfo

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elementare (che ha un suo mercato) ed acqua partendo da acido solfidrico (composto tossico presente nei giacimenti ed emissione che si sprigiona nella lavorazione di carbone, petrolio e gas naturale) e anidride carbonica (altro gas nocivo che non ha bisogno di presentazioni). Non solo, ha brevettato anche l’unità produttiva per realizzare tale reazione in modo efficiente, ossia un reattore termico rigenerativo che permette di sfruttare le proprietà riducenti dell’H2S per abbattere la CO2. Il sistema, grazie al quale si ottiene il taglio netto alle emissioni di CO2 negli impianti chimici e la completa rimozione dell’H 2 S (e quindi consumo contemporaneo di due prodotti di scarto), è applicabile da subito e senza particolari modifiche alla maggior parte degli impianti esistenti. E’ infatti sufficiente sostituire una sola unità, contrariamente ad altre tecnologie che richiedono processi ex novo. La reazione, inoltre, è già applicabile a processi operanti su larga scala e quindi già efficace per un’immediata riduzione della CO2, senza alcuna emissione aggiuntiva o utilizzo sconsiderato di energia. La capacità della reazione di utilizzare lo zolfo contenuto nelle fonti energetiche per ridurre le emissioni è un vantaggio che apre scenari strategici per l’impiego di giacimenti di carbone, gas naturale e petrolio particolarmente ricchi di zolfo appunto, e per questo non sfruttati. Il taglio netto delle emissioni per i grandi impianti è infatti direttamente proporzionale alla quantità di H 2S trattata e può raggiungere anche il 40% per impianti di raffinazione del petrolio, impianti di estrazione e purificazione del gas naturale, impianti di gassificazione del carbone e impianti siderurgici. La CO 2 “risparmiata” è anche maggiore dal momento che gli impianti attuali bruciano letteralmente l’H2S, perdendo di fatto l’elevato contenuto di idroge-


no di tale molecola, producendo anidride solforosa (SO2) e ulteriore CO2. Ad esempio, si stima che un comune gassificatore di carbone possa produrre energia al 120% delle proprie potenzialità pur producendo il 15% in meno di CO2. Le applicazioni della tecnologia sono molteplici e vanno dalla sintesi del metanolo e dell’ammoniaca, alla produzione di acido solforico, alle unità di recupero zolfo, al processamento del gas naturale e degli oli pesanti/ esausti fino alla raffinazione, alle bioraffinerie e alla produzione di biogas. Sono attualmente avviati diversi test pilota, e sono in via di definizione progetti e partenariati accademico-industriali per accedere a finanziamenti e agevolazioni dell’UE e industrializzare la tecnologia in diverse aree di utilizzo.

per filtrazione, con resa di oltre il 95%. Lo ione ittrio resta disciolto e può essere ottenuto e separato in forma di idrossido per aggiunta di soda alla soluzione.

Dal metano al metanolo all’idrogeno

Recupero energetico dai gas di scarto

Separazione di terre rare con UV

Il Dipartimento di Ingegneria Chimica dell’Università di Leuven (Belgio) ha messo a punto all’inizio del 2015 una tecnologia per recuperare i fosfori dalle lampade fluorescenti di scarto, in modo da poterli riutilizzare per la produzione di nuove lampade. Questa tecnologia, basata su liquidi ionici, consentiva il recupero di alcune terre rare (come europio e ittrio), ma non la loro separazione, per la quale erano necessari laboriosi processi di estrazione liquido-liquido con solvente. La stessa università di Leuven ha ora perfezionato il suo processo, aggiungendo un passaggio di irraggiamento con luce UV della soluzione acquosa contenente gli ioni Eu+3 e Y+3. L’irraggiamento riduce l’europio a ione Eu+2, che viene precipitato come solfato aggiungendo acido solforico, e rimosso

in programma un grosso impianto costituito da due unità da 1,75 MW ciascuna, per una società californiana che produce etanolo.

La società americana Ener-Core Power ha sviluppato una tecnologia per recuperare energia termica dai sottoprodotti gassosi di scarto di molti processi dell’industria chimica, come la produzione di etanolo, le raffinerie, gli impianti di distribuzione di gas naturale, le miniere di carbone, ecc. Si stima che solo negli Stati Uniti vengano bruciati in torcia o dispersi in atmosfera ogni anno diversi prodotti gassosi, per 65.000 MW di energia. La tecnologia di Ener-Core consiste in un reattore in cui l’ossidazione termica delle S.O.V. combustibili avviene senza fiamma, su un letto di speciali materiali che rallentano la velocità di reazione e abbassano la temperatura, che viene mantenuta a 900-1.000 °C. A questa temperatura si ottiene la completa ossidazione a CO2 e acqua, senza formazione di ossidi di azoto (NOx). Il calore generato dalle reazioni di ossidazione aziona una turbina, collegata al compressore dell’aria di reazione e al generatore di elettricità. Il sistema è stato collaudato in una discarica in Olanda, dove è stato installato un impianto da 250 kW che utilizza il biogas. È

In natura esistono numerosi batteri capaci di ossidare il metano producendo metanolo, grazie a un enzima chiamato metan-monoossigenasi (MMO). Il funzionamento di questo enzima è stato riprodotto da un team di ricercatori di tre università europee: Università Tecnica di Monaco (Germania), Università di Tecnologia di Eindhoven (Olanda) e Università di Amsterdam. I ricercatori hanno modificato un catalizzatore zeolitico a struttura mordenitica mediante scambio ionico con rame, dimostrando che i micropori di questo catalizzatore formavano un ambiente confinato, ideale per stabilizzare selettivamente un complesso trinucleare tra rame e ossigeno. Questo complesso presenta un’elevata reattività verso l’attivazione dei legami carbonio-idrogeno del metano, promuovendo la sua trasformazione in metanolo. Rispetto ad altri tipi di catalizzatori zeolitici, quello modificato con rame presenta siti attivi distribuiti regolarmente nella sua struttura; cosa che consente efficienze di conversione del metano a metanolo molto superiori. La scoperta del nuovo catalizzatore promette interessanti sviluppi in processi gas-liquido su piccola scala, che consentirebbero l’utilizzo di emissioni di metano che vengono attualmente disperse in atmosfera o bruciate. Il metanolo può successivamen-

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te essere trasformato in idrogeno, mediante un processo catalitico recentemente sviluppato da ricercatori giapponesi dell’Università di Kyoto. Il catalizzatore è costituito da un nuovo complesso anionico dell’iridio, avente un collegamento ad un gruppo funzionale bipiridonico; il vantaggio del nuovo catalizzatore è la possibilità di operare a bassa temperatura (meno di 100 °C), mentre i normali processi di produzione dell’idrogeno mediante “steam reforming” richiedono temperature di oltre 700 °C, ed i processi catalitici di riduzione del metano a idrogeno richiedono almeno 200 °C. Inoltre, il processo giapponese non richiede l’uso di solventi organici, nè l’utilizzo di soluzioni concentrate di idrossidi alcalini. In prove di laboratorio, il nuovo catalizzatore a base di iridio ha mostrato rese in idrogeno di circa 80%, anche in test di lunga durata (fino a 150 ore).

Valorizzazione di oli e catalizzatori esausti

La società texana Cat Fine Management Technologies ha recentemente iniziato la costruzione di un prototipo della capacità di 5 ton/giorno del suo processo di estrazione con solvente a basso punto di ebollizione, per recuperare olio e polveri catalitiche dalle morchie residue del processo di cracking catalitico fluido (FCC), usato nelle raffinerie di petrolio. Attualmente questa morchia, che ricord a tamburo rotante. In entrambi i casi, il solvente viene recuperato e riciclato nel processo. La frazione oleosa recuperata può essere usata come materia prima per produrre coke e nerofumo, mentre la frazione solida può essere riunita al catalizzatore di cracking.


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Enea Laboratorio Tecnologie Tel 06.30481 Fax 06.30484203 maurizio.coronidi@enea.it

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French Petroleum Institute Tel +33.1.47526000 Fax +33.1.47527000 E-mail presse@ifpen.fr

CiAl Tel 02.54029212 Fax 02.54123396 E-mail g.galdo@cial.it Clariant International Ltd Tel +41.61.4696363 Fax +41.61.4696999 E-mail stefanie.nehlsen@clariant.com Cleanergy Tel +46.532.10020 E-mail info@cleanergy.com Co.Re.Ve. Tel 02.48012961 Fax 02.48012946 E-mail info@coreve.it Costa Crociere Spa Tel 010.5483068 E-mail baroni@costa.it

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