Hi-Tech Ambiente n. 3/2017

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVIII APRILE 2017

SPETTROMETRIA DI MASSA RIVISITATA

L’impronta digitale degli inquinanti PROGETTO GREEN SITE

La decontaminazione supercritica a pagina 36

a pagina 58

RIMOZIONI ELEVATE

LA FITODEPURAZIONE GALLEGGIANTE

a pagina 12

SPECIALE

a pag. 39

PROVE DI TENUTA PER SERBATOI

N3



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA

Le opinioni sul biometano

DEPURAZIONE SOS reflui agroalimentari

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I trattamenti anaerobici garantiscono minori spese operative, minor produzione di fanghi ed energia dal biogas generato

I reflui della birra

L’escavatore a risucchio 8

Il loro trattamento richiede speciali accortezze, avendo caratteristiche del tutto particolari

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Isole artificiali con una base di poliestere riciclato su cui vengono impiantate specie vegetali erbacee

Fitoimpianti: stop all’intasamento

LABORATORI

L’impronta digitale degli inquinanti

RETI IDRICHE

La ricerca delle perdite 18

Panoramica dei trattamenti applicabili, che possono essere di tipo fisico, chimico o biologico

Il risanamento in tempi record 22

SPECIALE “PROVE DI TENUTA PER SERBATOI”

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TECNOLOGIE

Le B.A.T. dell’industria tessile

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Una dettagliata panoramica delle strategie da adottare, sia di carattere generale che per le singole fasi produttive

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Metodi acustici, metodo a gas tracciante, metodo termografico e distrettualizzazione

Messa a punto un’installazione high-tech che recupera fertilizzanti “verdi” da tipi diversi di scarto bovino e suino

FORSU: il valore aggiunto

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Una tecnica complessa, ma con elevatissima sensibilità, utilizzata in campo ambientale e opportunamente modificata in base alle esigenze analitiche

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RIFIUTI

Il letame è oro

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Ideco propone colonne filtranti a struttura mesoporosa con una enorme superficie catalitica

Il recupero di terreno

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Perfezionare quelli esistenti o addirittura adottarne di nuovi, intervenendo sulle diverse fasi

MACCHINE & STRUMENTAZIONE

Unità autosufficienti dotate di una rete avanzata di sensori che controllano in tempo reale i parametri del processo depurativo

La filtrazione con AFM

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ENERGIA

I processi meno energivori

La fitodepurazione galleggiante

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Una risorsa sicuramente importante, in Italia e non solo, tra le diverse energie rinnovabili

MARKET DIRECTORY

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ENTERPRISE EUROPE NETWORK

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente

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panorama ImBALLAggI IN pLAStICA

L’ecocontributo diversificato Il Contributo Ambientale per gli imballaggi in plastica non sarà più unico ma modulato sulla base dei tre criteri guida: la selezionabilità, la riciclabilità e, per gli imballaggi che soddisfano questi due criteri, il circuito di destinazione prevalente una volta divenuti rifiuti. In questo modo beneficeranno di un’agevolazione gli imballaggi selezionabili e riciclabili da circuito “domestico” e di agevolazione maggiore quelli selezionabili e riciclabili da circuito “commercio & industria”; continueranno a pagare il Contributo pieno tutti gli altri. Le liste degli imballaggi agevolati e le ricadute sulle procedure di dichiarazione erano già state rese note alle aziende nel corso degli ultimi mesi del 2016; si entra ora in una fase di test che consentirà una più tempestiva ed efficace or-

LOmBArdIA LA pIU’ AttIvA

Raee: un 2016 record

ta il raddoppio dei quantitativi raccolti per il raggruppamento r3 (tv e monitor) con 27.215 tonnellate a fronte delle 13.527 del 2015. In crescita anche il raggruppamento r1 (freddo e clima) con 16.161 tonnellate raccolte nel 2016, con un aumento di circa il 54% rispetto all’anno precedente. Numeri più contenuti, ma che confermano un trend generale in netta crescita anche per i raggruppamenti r4 (elettronica di consumo, informatica e piccoli elettrodomestici) e r2 (grandi bianchi), rispettivamente con 9.201 (+46%) e 5.590 (quasi +92%) tonnellate raccolte nel

CITTERIO RIDUCE LA PLASTICA remedia, sistema collettivo per la gestione ecosostenibile di tutte le tipologie di raee, pile e accumulatori e impianti fotovoltaici, chiude il 2016 con un grande risultato: una raccolta di oltre 67.000 tonnellate di rifiuti elettronici, con un incremento di più del 68%. Entrando nel dettaglio dei numeri, i raee domestici, ossia quelli

generati dai nuclei famigliari, ammontano complessivamente a 58.219 tonnellate (+75% rispetto al 2015). A questi si aggiungono i rAEE professionali, prodotti da aziende ed enti pubblici, pari a 5.556 tonnellate e oltre 3.450 tonnellate di pile e accumulatori industriali e per veicoli. dall’analisi dei dati relativi alle 5 categorie di raee domestici, si no-

Agevolare il riciclo vuole anche dire migliorare la progettazione. E’ questo lo spirito con cui l’azienda di salumi Citterio ha di recente modificato le vaschette della linea di affettati “BIO”, ora proposte con il 60% di plastica in meno così da poter essere riciclate nel contenitore della carta. Un piccolo ma significativo passo quello

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ganizzazione per far fronte alle nuove modalità dichiarative. dal 1° maggio 2017 sarà infatti disponibile la nuova modulistica che i consorziati potranno utilizzare per le dichiarazioni del Contributo Ambientale di competenza di aprile 2017 e che diventerà obbligatoria a partire dalle dichiarazioni di competenza di luglio 2017. durante la fase di test rimarrà comunque invariato e unico il valore del Contributo Ambientale plastica, pari a 188 euro/ton. Eventuali errori di imputazione delle tipologie di imballaggio dichiarate nelle corrispondenti fasce contributive non avranno conseguenze a carico delle aziende. L’entrata in vigore della diversificazione contributiva sarà a partire dal 1° gennaio 2018. Entro l’estate saranno ufficializzati i valori delle tre fasce contributive, che si baseranno anche sui risultati dell’apposito studio condotto sui differenti livelli di impatto ambientale delle fasi di gestione a fine/nuova vita degli imballaggi in plastica post consumo. 2016. In coda, ma sempre in aumento, il raggruppamento r5 (sorgenti luminose) che ha raggiunto quota 52 tonnellate (+9%). L’analisi dei risultati a livello geografico conferma anche per il 2016 la performance di eccellenza della Lombardia, al primo posto per quantitativi di raee domestici raccolti con 10.327 tonnellate (59% in più rispetto al 2015), pari a circa il 18% del totale. Si conferma al secondo posto anche quest’anno la Campania, con 6.287 tonnellate (11%), seguita dal veneto, che ha raggiunto una quota totale di 5.089 tonnellate (quasi il 9% del totale). dell’azienda, che ha deciso di investire nello sviluppo di soluzioni sostenibili, a basso contenuto di materiali plastici ed a ridotto impatto ambientale, in quanto la sostenibilità è ormai un requisito irrinunciabile.


CONtrO LO SmOg IN CIttA’

Un giardino sul tetto dei bus “muévete en verde” è un’iniziativa sperimentale in atto a madrid portata avanti dalla Fundacion Cotec e l'amministrazione comunale della capitale per riuscire a migliorare la qualità dell'aria. Cuore del progetto è l'installazione di giardini pensili sul tetto degli autobus urbani di alcune linee che attraversano quelle aree cittadine in cui c’è molto traffico e di conseguenza il livello di inquinamento è assai elevato. Questa vegetazione 'mobile', costi-

BIBITE IN PET BIO AL 100% Una importante partnership per creare e distribuire bibite e acqua in bottiglie in plastica pEt 100% rinnovabile e riciclabile è quella nata tra danone, Nestlé Waters e Origin materials, un'azienda americana biotech, che hanno di recente costituito la NaturAll Bottle Alliance. Il progetto si concentrerà sull’impiego come materie pri-

tuita da tappeti erbosi e piante applicate sul tetto dei bus, ha lo scopo di contribuire efficacemente, insie-

me ai cespugli e agli alberi lungo le strade, all’assorbimento delle sostanze inquinanti sia a livello di

me di biomassa non food, quali cartone usato, segatura e trucioli di legno, senza comunque escludere di indagare glumelle di riso, paglia e residui agricoli; e l’idea è di rendere disponibile questa innovazione a tutta l'industria “food and beverage”. Questo bioEt sarà altrettanto leggero, trasparente, riciclabile e proteggerà il prodotto come il pEt usato oggi ma, allo stesso tempo, contribuirà a salvaguardare l’ambiente.

CO2 che di polveri sottili. ma non solo, durante la stagione calda, la presenza del verde sul tetto dei bus consente anche di abbassare la temperatura interna del veicolo e, di conseguenza, richiedere meno energia per la sua climatizzazione. Il costo di tutto ciò? Non oltre i 2.500 euro per singolo veicolo. ma i giardini mobili non sono in effetti una novità poiché a New York circolano già da quattro anni a titolo sperimentale alcuni autobus urbani della rete mtA, nell'ambito del progetto Bus roots che punta, a regime, ad ottenere complessivamente una superficie verde aggiuntiva di quasi 15 ettari sfruttando il tetto dei 4.500 bus della città. Ad oggi, le ricerche compiute in materie dalla Origin materials hanno consentito di produrre campioni di pEt 80% bio e solo a livello pilota. Il programma prevede la creazione entro quest’anno di un impianto pioniere e la produzione nel 2018 dei primi prototipi di pEt 60% bio, per un totale di 5.000 mc da immettere sul mercato. Al 2020, invece, è prevista la produzione su scala commerciale di pEt bio al 95%.

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E questo dove lo butto? dopo essersi diffuso rapidamente in tutto il nord-est del paese è arrivato anche a Camaiore (LU), il primo Comune in toscana ad attivare questo innovativo e gratuito servizio per l'utenza, un nuovo strumento per aiutare i cittadini a differenziare i rifiuti nel modo corretto. Si chiama Junker ed è fruibile tramite app (per android o apple) che riconosce con un solo clic quello che stiamo gettando e ci dice come fare secondo la normativa del nostro territorio. Semplice e utilissima per riconoscere i materiali ed imparare a differenziarli. Ed anche comoda perché può, con una sveglia, ricordarci i giorni in cui dobbiamo esporre i rifiuti. Come funziona? Scansionando il codice a barre del prodotto o dell’imballaggio, Junker lo ricono-

sce grazie ad un database interno di oltre 1 milione di prodotti e ne indica la scomposizione nelle materie prime e i bidoni a cui sono destinati. Basti fare l’esempio delle buste di carta con finestra di plastica, oppure delle confezioni di caffè, delle bottiglie in pvc o materBi. Junker si basa su un database in continuo aggiornamento, grazie anche al contributo degli utenti: se il prodotto scansionato non viene riconosciuto, l’utente può trasmettere alla app la foto del prodotto e ricevere la risposta in tempo reale, mentre la referenza viene aggiunta a quelle esistenti. Uno strumento innovativo perfettamente in linea con la filosofia delle smart cities e che offre un’informazione completa sull’ubicazione dei punti di raccolta, sui calendari

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del porta a porta, indicazioni per i rifiuti speciali, ecc., utili anche per prevenire il rischio di sanzioni indesiderate. L'applicazione è disponibile in quattro lingue (inglese, francese, tedesco e ovviamente italiano) configurandosi quindi come un utile strumento per il settore turistico. Nato per ridurre la quantità di rifiuti destinati a discariche ed inceneritori a favore del riciclo delle materie prime di cui sono composti, il successo di Junker risiede nel fatto che offre un servizio rapido, di facile utilizzo, accurato e completo, ideale quindi per i dei cittadini che, nell’era delle applicazioni in mobilità, non sono disposti a perdere tempo scorrendo elenchi infiniti o ragionando sulla possibile natura di un imballaggio per compiere un’azione semplice come gettare un rifiuto in un bidone.

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DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

SOS reflui agroalimentari Nuove tendenze

I trattamenti anaerobici garantiscono minori spese operative, minor produzione di fanghi ed energia dal biogas generato Le industrie agroalimentari (incluse quelle delle bevande) sono spinte ad adottare trattamenti innovativi per i loro scarichi dalla scarsità di risorse idriche e dai limiti sempre più restrittivi sulla qualità delle acque di scarico. Queste industrie sono caratterizzate da elevati consumi di acqua (oltre 2,2 milioni di mc/giorno nei paesi UE), e da scarichi contenenti elevate concentrazioni di sostanze organiche solubili e facilmente biodegradabili; in molti casi sono presenti elevate con-

centrazioni di oli, grassi e solidi sospesi, che possono fornire alimento a fenomeni di crescita batterica. La soluzione classica è il trattamento biologico aerobico, preceduto da grigliatura, sedimentazione e flottazione con aria sotto pressione; per lavorazioni a forte stagionalità si ricorre spesso, nei periodi di punta, al potenziamento del trattamento biologico mediante immissione di ossigeno puro. tuttavia, i trattamenti aerobici non valorizzano il materiale

organico dal punto di vista energetico: il loro bilancio economico ha solo voci di costo (energia, prodotti chimici, smaltimento dei fanghi) senza nessuna voce di ricavo. per questo motivo molte industrie del settore agroalimentare si stanno orientando verso i trattamenti anaerobici, dai quali si ottiene un materiale valorizzabile dal punto di vista energetico (il biogas), e che presentano di solito minori spese operative e minor produzione di fanghi. I processi anaerobici per i tratta-

menti delle acque di scarico sono stati notevolmente perfezionanti negli ultimi anni; in particolare, sono oggi disponibili: - bioreattori anaerobici a membrana - sistemi anaerobici adatti anche a reflui con elevato contenuto di solidi sospesi e sostanze grasse - sistemi anaerobici bioelettrici - rimozione dell’azoto con bassi consumi energetici mediante il processo Anammox - rimozione e recupero del fosforo mediante precipitazione come struvite BIOREATTORI ANAEROBICI A MEMBRANA

Questo tipo di impianti è ormai uscito dalla fase sperimentale, come è dimostrato dall’impianto recentemente installato presso la società americana Ken’s Food, produttrice di condimenti per insalata, sughi pronti e salse per barbecue. L’impianto utilizza membrane sommerse sia per la fase di ritenzione della biomassa che per la separazione dei solidi dall’effluente finale; si tratta di un processo particolarmente adatto al trattamento di reflui con elevato carico organico, che oltre a massimizzare la produzione di biogas, occupa una superficie molto ridotta. Il rendimento di rimozione di BOd e COd è oltre il 99%, e l’effluente presenta concentrazioni minime di solidi sospesi e BOd. L’impianto è stato installato nel 2008 e da allora lavora senza problemi riconducibili Continua a pag. 10 Hi-Tech Ambiente

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I reflui della birra Bioreattori ad hoc

Il loro trattamento richiede speciali accortezze, avendo caratteristiche del tutto particolari La produzione della birra richiede grandi quantità di acqua e produce reflui con caratteristiche particolari e tipiche di questo settore, come variazioni di portata, alta concentrazioni di solidi sospesi e carboidrati facilmente biodegradabili, con valori di pH molto variabili a causa dell’effetto delle sostanze usate per i cicli di pulizia e disinfezione delle apparecchiature. In media, per ogni 100 litri di birra prodotta si consumano 600 litri di acqua e si producono 450 litri di reflui. La composizione dei reflui dipende dalle varie fasi del processo produttivo: il fondo che precipita nel tino durante la cottura del mosto contiene amidi e proteine, ed ha un elevatissimo valore del BOd5 (intorno a 120.000); un analogo valore del BOd si ha nei reflui provenienti dai serbatoi di stoccaggio. La pulizia periodica di serbatoi, botti e bottiglie, con soda ad alta temperatura, produce reflui fortemente alcalini, con pH superiore a 10; dove invece si usa acido ni-

trico il pH sarà fortemente acido. per tutti questi motivi, il primo passaggio nel trattamento delle acque reflue dei birrifici è di solito una vasca di equalizzazione, a-

vente un volume corrispondente ad almeno tre ore di produzione; gli impianti di piccole dimensioni possono poi conferire il refluo ai depuratori biologici delle acque

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fognarie, dove l’azoto presente nel refluo dei birrifici aiuta a prevenire la formazione di fango rigonfio. L’elevato carico organico dei reflui di birreria comporta però spesso dei problemi, in quanto assorbe gran parte della capacità dei depuratori biologici a fanghi attivi. IL TRATTAMENTO ANAEROBICO

Una soluzione sperimentata da tempo con esiti positivi consiste nella digestione anaerobica, della quale non mancano esempi anche in Italia (lo stabilimento della birra peroni a roma): questo consente di ridurre dell’80-85% il carico inquinante e di ottenere biogas, con il quale si può produrre energia elettrica e/o calore di processo, recuperando l’investimento nel giro di due anni. Un particolare tipo di trattamento anaerobico è quello proposto dalla società americana Cambrian Innovation, con il nome di Eco volt. Il reattore anaerobico di questo processo contiene speciali microorganismi che consumano i materiali organici trasferendo gli elettroni prodotti dalla reazione di ossidazione su un anodo metallico, producendo idrogeno e CO2; gli elettroni passano dall’anodo al catodo attraverso un circuito esterno (dove possono produrre energia) e raggiungono il catodo dove è presente una diversa popolazione batterica, che utilizza gli elettroni per ridurre la CO2 e l’idrogeno a metano. rispetto al processo anaerobico classico, il sistema Eco volt presenta i van-


taggi di produrre metano ad elevata purezza, ma soprattutto di poter controllare facilmente l’andamento del processo, grazie a semplici misure dell’energia elettrica prodotta. TRATTAMENTI AEROBICI INTEGRATIVI

Il trattamento anaerobico non è sufficiente per portare le caratteristiche dei reflui entro i limiti che consentono lo scarico in acque superficiali; occorre un successivo passaggio su filtri percolatori o fanghi attivi. per evitare questa doppia depurazione, che comporta rilevanti costi di investimento, è possibile ricorrere a trattamenti aerobici innovativi, come il bioreattore XCeed della UOp o il sistema Biogill della EcoEthic. Entrambi i sistemi utilizzano microorganismi immobilizzati su speciali strutture, che vengono attraversate dall’effluente mentre contemporaneamente entra aria dal basso. Il bioreattore XCeed è del tipo sommerso e contiene una combinazione di microorganismi, comprendente sia procarioti che eucarioti, oltre a

Scarti di lavorazione della birra

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piccoli insetti; questa combinazione assicura la conversione di oltre il 90% del BOd in entrata. Il sistema Biogill, invece, è a flusso non sommerso e fa crescere i batteri su speciali membrane disposte verticalmente, che vengono lambite dal flusso che cade dall'alto; questo sistema vanta consumi energetici ridotti del 50% rispetto agli impianti convenzionali, in quanto i batteri crescono su un’elevatissima superficie, ed è sufficiente la circolazione naturale dell’aria per fornire l’ossigeno necessario alla depurazione. Un particolare trattamento aerobico, attualmente in corso di sperimentazione in Cile e in California, è il sistema BIdA (BIofiltro dinamico Aerobico), della ditta cilena BioFiltro (gruppo Cleantech). Questo sistema si distingue per l’utilizzo di strati che supportano la crescita di lombrichi, oltre che quella dei normali batteri anaerobici. Il sistema Bida non produce fanghi e richiede solo il 5% dell’energia necessaria ai processi convenzionali; inoltre, l’acqua effluente può essere utilizzata per irrigazione.


Continua da pag. 7

I reflui agroalimentari alle membrane ed ai relativi fenomeni di intasamento. SISTEMI ANAEROBICI PER REFLUI CON SOLIDI SOSPESI E GRASSI

Il sistema UASB (Upflow Anaerobic Sludge Blanket), sviluppato in Olanda all’inizio degli anni ’80 dello scorso secolo per il trattamento degli scarichi di zuccherifici, è stato perfezionato ed è ora disponibile con il nome di Biopaq AFr (Anaerobic Flotation reactor) della ditta olandese paques. Nella nuova configurazione il sistema non ha più bisogno dello stadio di pretrattamento per la rimozione dei grassi; si riducono così i costi per lo smaltimento dei materiali solidi separati e per il dosaggio di prodotti chimici, mentre viene massimizzata la resa in biogas. Una installazione presso una ditta lattiero-casearia situata in Australia ha mostrato rimozioni del COd di oltre il 90%; poiché la degradazione anaerobica delle proteine del latte porta alla formazione di ammoniaca, si è reso necessario un trattamento finale su bioreattore a letto mobile (mBBr), che ha mostrato un rendimento del 92%. SISTEMI ANAEROBICI BIOELETTRICI

dopo molto lavoro di ricerca, la

Installazione del sistema Anphos

ditta statunitense Cambrian Innovation, insieme con la National Science Foundation, ha annunciato al disponibilità commerciale del primo sistema su scala industriale per il trattamento anaero-

bico bioelettrico. denominato Ecovolt, il sistema utilizza microorganismi elettricamente attivi, che depurano le acque ossidando le sostanze organiche e producendo elettroni e CO2.

gli elettroni vengono immessi in un circuito e convogliati ad un elettrodo, dove si trova un diverso insieme di microorganismi; questi utilizzano gli elettroni per ridurre la CO2 a metano. Il sistema Ecovolt deriva da ricerche compiute presso il m.I.t. (massachussets Institute of technology) e finanziate inizialmente dalla Nasa. L’energia prodotta attraverso la combustione del metano rende l’impianto autosufficiente dal punto di vista energetico; inoltre, il biogas prodotto è di ottima qualità e l’intero processo è più stabile e tollerante rispetto alle variazioni del BOd in ingresso, rispetto alla digestione anaerobica convenzionale. Il processo Ecovolt è stato applicato in uno stabilimento californiano per la produzione di birra, dove sta dimostrando di ridurre i costi della depurazione di centinaia di migliaia di dollari l’anno, con un ritorno sull’investimento di oltre il 25% annuo. RIMOZIONE DELL’AZOTO CON BASSI CONSUMI ENERGETICI

La digestione anaerobica produce un residuo (digestato) caratterizzato da alte concentrazioni di azoto (oltre 500 mg/l) e bassi tenori di sostanza organica. Nelle aree classificate come “sensibili”, lo smaltimento di questo residuo sul terreno agricolo incontra notevoli difficoltà, per cui è necessario un trattamento di rimozione dell’azoto; ma i costi associati al processo convenzionale di nitrificazione/denitrificazione sono rilevanti. Sono attualmente in fase di applicazione “sul campo” processi biologici innovativi, che combinano una fase di nitrosazione Hi-Tech Ambiente

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parziale ad opera di batteri ammonio-ossidanti con una ossidazione anaerobica da parte di microorganismi Anammox. Questi microorganismi ossidano l’azoto ammoniacale riducendo contemporaneamente gli ioni nitrito, per cui tutto l’azoto inizialmente presente in forma ammoniacale viene trasformato in azoto gassoso e liberato in atmosfera. I costi sono molto minori rispetto ai processi convenzionali: si può ottenere una riduzione complessiva corrispondente ad un fattore 1,5. Sono state sperimentate diverse configurazioni impiantistiche: sistemi semplici a biomassa sospesa, sistemi a biomassa adesa su letti fissi o mobili, bioreattori a biomassa granulare ed a membrana.

Il metodo classico di precipitazione per aggiunta di ossido di magnesio viene commercializzato in Italia con il nome di Anphos da parte della ditta Hydroitalia -

Colsen. Il fosforo viene rimosso con rese superiori al 90%, ottenendo contemporaneamente anche l’abbattimento del COd e dell’azoto ammoniacale. Il pro-

RECUPERO DEL FOSFORO COME STRUVITE

Il processo di precipitazione del fosforo come struvite, già applicato agli scarichi fognari ed a quelli zootecnici, sta trovando sempre maggiore diffusione anche nel settore agroalimentare. I ricercatori del Fraunhofer Institute di Stoccarda ne hanno brevettata una variante elettrochimica, che produce ioni magnesio necessari alla precipitazione attraverso un elettrodo sacrificale, senza che sia necessario aggiungere sostanze chimiche alla soluzione.

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cesso Anphos è operativo fin dal 2011 presso lo stabilimento della ditta pizzoli (produttrice di patatine fritte e snacks), con ottimi risultati.


La fitodepurazione galleggiante Rimozioni elevate

Isole artificiali con una base di poliestere riciclato su cui vengono impiantate specie vegetali erbacee Siamo abituati a considerare i bacini di fitodepurazione come costituiti da vasche o bacini, cioè sistemi statici; ma la ditta americana Floatings Islands International (FII) ha scoperto che si può imitare la natura costruendo “isole fitodepurative”, cioè sistemi mobili. L’idea è stata ispirata dalle formazioni galleggianti vegetali che si creano spontaneamente nelle zone umide: queste formazioni nascono da agglomerati di torba o altri materiali di origine vegetale, vengono mantenute alla superficie dal gas che si sviluppa a seguito dei processi biologici, e svolgono un ruolo importante nella depurazione spontanea degli inquinanti e nella creazione di habitat ottimali per molte specie biologiche. La FII ha riprodotto questo fenomeno creando isole artificiali, costituite da una base di materiale plastico riciclato (poliestere ottenuto dal recupero di bottiglie di bibite e acque minerali), sulla quale vengono impiantate specie vegetali erbacee. Le radici di queste specie vegetali attraversano il supporto di plastica, e creano al di sotto di questo un ambiente favorevole alla formazione di un particolare biofilm; questo a sua volta costituisce l’alimento per microorganismi acquatici, larve e piccoli pesci. Si crea così un particolare ecosistema, nel quale le sostanze organiche inquinanti vengono biodegradate, la CO2 emessa nei processi di biodegradazione viene utilizzata dalle piante, le sostanze eutrofizzanti vengono fissate e bioassimilate, i metalli pesanti immobilizzati o fatti precipitare

verso il fondo. Attualmente, sono state realizzate oltre 5.400 “fitoisole”, con dimensioni variabili da pochi metri quadrati fino a un campo di calcio; queste isole si sono inserite ottimamente nell’ambiente naturale ed hanno dimostrato di resistere ai cicli stagionali di temperatura, comprese tempeste di neve ed uragani. APPLICAZIONI TIPICHE NEL SETTORE PUBBLICO

Una tipica applicazione delle fitoisole è la depurazione delle ac-

qua di prima pioggia e di dilavamento, sia che queste provengano da aree pavimentate che da terreni agricoli. Infatti le fitoisole, essendo galleggianti, si adattano senza problemi alle variazioni di livello; a monte della vasca con la fitoisola può essere posto un bacino per la sedimentazione dei solidi grossolani, ma la struttura subacquea delle fitoisole ha di per sé un ottimo effetto filtrante e di ammortizzatore delle correnti troppo veloci. Altri effetti positivi si hanno grazie all’ombra fornita dalla struttura, che raffredda

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la superficie e riduce la luce solare, limitando così la crescita della vegetazione subacquatica. Una installazione realizzata nei pressi della stessa FII ha dimostrato di rimuovere dal 40 all’80% del carico inquinante proveniente dal dilavamento del terreno di un’area utilizzata da attività commerciali e piccole industrie, rimuovendo efficacemente sia i solidi sospesi che i metalli. Le fitoisole si sono dimostrate efficaci nella rimozione delle sostanze eutrofizzanti, e in particolare del fosforo. I composti di fosforo vengono in piccola parte utilizzati direttamente dalle specie vegetali (macrofite), ma soprattutto si fissano sul biofilm aderente alle radici immerse in acqua: qui si crea un particolare ecosistema, detto “periphyton”, che comprende, oltre al biofilm, alghe, funghi, zooplancton e invertebrati di maggiori dimensioni. Questo ecosistema fornisce nutrimento ad alcune specie di pesci, che quando vengono pescati e utilizzati come alimento costituiscono un mezzo molto valido per rimuovere i composti di fosforo dall’ambiente acquatico. La FII ha dimostrato, mediante esperimenti condotti sotto la sorveglianza di esperti indipendenti, che le fitoisole commercializzate con il marchio “BioHaven” realizzano una efficace rimozione del fosforo dalle acque, a costi inferiori a quello delle altre tecnologie attualmente impiegate. Altre applicazioni documentate Continua a pag. 17


Market

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Depurazione: abbattere i costi per trattamento (o depurazione) delle acque reflue si intende quel processo di rimozione dei contaminanti organici e/o inorganici di un’acqua reflua di origine urbana o industriale, necessario per poter reimmettere l’acqua depurata nell’ambiente. tramite il ciclo depurativo, costituito da una combinazione di più processi di natura chimica, fisica e biologica, dall’acqua reflua vengono rimosse le sostanze indesiderate e concentrate sotto forma di fanghi, che devono a loro volta subire trattamenti per un corretto smaltimento in discariche speciali o per un riutilizzo in agricoltura. Nel processo ossidativo possono essere impiegate più tecniche mediante gli impianti tradizionali a fanghi attivi (alta efficienza per l’abbattimento del BOd) o impianti con bioreattori a membrana basati sulla tecnologia mBr (membrane Biological reactor). L’aerazione, ottenuta tramite le soffianti, costituisce il cuore del processo di ossidazione e richiede un elevato consumo energetico per la compressione dell’aria, pertanto la scelta della corretta tecnologia dell’aria compressa risulta determinante per ridurre al minimo i costi di gestione ad essa associati. Il futuro dell’efficienza energetica offerto dalla tecnologia a bassa pressione passa da Atlas Copco, che mette a disposizione una gamma completa di soffianti per pressioni comprese tra 0,3 e 1,2 bar(e). Le tecnologie oil-free a vite delle soffianti Atlas Copco ZS e centrifuga a velocità variabile con motore a magneti permanenti e cuscinetti magnetici delle soffianti Atlas Copco ZB, nel processo di depurazione delle acque, consentono di garantire

Market - ZS soffianti a vite oil-free (rispetto alle soffianti a lobi, offrono alta efficienza energetica, grande affidabilità, stadio di compressione a vite coperto da una garanzia estesa a 5 anni, ridotta manutenzione e rumorosità, trasmissione diretta) per portate d’aria fino a 9.000 mc/h e pressioni fino a 1,2 bar(e), anche con inverter e pLC di controllo elettronico a bordo macchina; - ZB soffianti centrifughe con motori a magneti permanenti con cuscinetti magnetici a velocità variabile con inverter a bordo (miglior efficienza energetica) per portate d’aria fino a 10.000 mc/h e pressioni fino a 1

Confronto di potenza assorbita tra una soffiante a lobi e una soffiante a vite ZS a parità di portata resa e pressione di esercizio

tempi di fermo macchina e costi di manutenzione ridotti e di minimizzare i costi energetici. In un depuratore, infatti, mediamente il 70% del totale dei costi di gestione dell’impianto è relativo alla compressione dell’aria per l’ossidazione biologica e per il controlavaggio dei filtri a sabbia. Questi costi si possono abbattere con la tecnologia di compressione a vite ZS o centrifuga ZB. A prescindere dal fabbisogno di ZB soffiante centrifuga oil-free

aria compressa, i consulenti Atlas Copco potranno sempre consigliare la soluzione ottimale con il risparmio energetico più adatto: - Lutos Dt/BAH soffianti a lobi oil-free (basso costo d’investimento, buona affidabilità ma alto costo energetico di utilizzo) per portate d’aria fino a 10.200 mc/h e pressioni fino a 1,0 bar(e), anche con inverter e pLC di controllo elettronico esterno alla macchina; ZB soffiante a vite oil-free

AtLAS COPCO ItALIA Spa E-mail info.ct@it.atlascopco.com www.atlascopco.it

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bar(e). grazie all'introduzione di soffianti ZS che utilizzano la compressione dell’aria all’interno dello stadio (compressione adiabatica), invece che all’esterno per le soffianti a lobi (compressione isocora), è stato stabilito un nuovo standard di efficienza energetica nel mercato della bassa pressione. Lo studio di Atlas Copco attesta che, adottando un approccio termodinamico, la compressione interna è più efficiente di quella esterna a partire da 0,4 bar(e) in su. test presenziati e certificati dall'ente indipendente tedesco tÜv hanno dimostrato che a 0,5 bar(e) le soffianti ZS sono più efficienti del 23,8% in termini di consumo energetico rispetto alle soffianti a tre lobi e del 39,7% a 0,9 bar(e). Inoltre, mediante le soffianti centrifughe ZB con trasmissione diretta, velocità variabile, motore a magneti permanenti e cuscinetti magnetici, i livelli di efficienza migliorano ulteriormente rispetto alla tecnologia a vite, ma anche rispetto a quella centrifuga monostadio tradizionale.


Negli ultimi anni i bacini di fitodepurazione hanno raggiunto una notevole diffusione: essi rappresentano infatti una soluzione semplice, economica ed ecologica per il trattamento dei reflui urbani e industriali. Un impianto di fitodepurazione è tipicamente costituito da un letto di ghiaia attraverso il quale fluisce il refluo da depurare; sulla superficie della ghiaia, alcuni microorganismi formano un biofilm, che rimuove gli inquinanti dal refluo per via chimico-fisica. Spesso i bacini di fitodepurazione includono piante acquatiche (in genere il comune canneto), che sostengono il processo di fitodepurazione svolgendo diverse importanti funzioni (isolamento termico, riciclaggio dei nutrienti, abbattimento dei solidi e mantenimento della popolazione microbica all’interno del letto). I processi che si svolgono nei bacini di fitodepurazione sono di tipo aerobico e, pertanto, richiedono un afflusso di aria entro il bacino (normalmente realizzato tramite pompe). Nelle aree a clima freddo può essere pompata aria calda, in modo da riscaldare i bacini ed evitare che i microrganismi vadano in “letargo” durante l’inverno, assicurando così la piena operatività in tutte le stagioni dell’anno. Normalmente, i bacini di fitodepurazione sono in grado di operare per circa 10 anni senza bisogno di interventi di manutenzione; tuttavia, dopo un certo tempo il biofilm e il particolato possono occludere gli spazi interstiziali tra i componenti del letto di ghiaia, ostacolando il passaggio

Fitoimpianti: stop all’intasamento Il progetto ARBI

Unità autosufficienti dotate di una rete avanzata di sensori che controllano in tempo reale i parametri del processo depurativo

del refluo da depurare. A volte i fenomeni di intasamento sono tali che il refluo non trattato arriva a tracimare dal bacino, raggiungendo terreni e corsi d’acqua circostanti, con conseguenti rischi di inquinamento ambientale. Uno

dei metodi attualmente usati per ridurre i rischi di intasamento è spostare il punto di alimentazione: quando si riscontra un’eccessiva crescita del biofilm nel punto in cui il bacino viene alimentato con il refluo, si sposta il punto

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di immissione del refluo stesso. Nei casi in cui non è evidente la localizzazione dell'intasamento, si impiegano tinture traccianti: la tintura viene posta in un punto del letto, e il flusso del refluo a valle viene monitorato per rileva-


re le tracce della tintura. Si tratta però di un metodo che richiede diversi giorni. In ogni caso, lo spostamento del punto di immissione è solo un palliativo, e dopo qualche tempo il problema si ripresenta; per cui è importante definire le condizioni ottimali per ottenere bacini di fitodepurazione che possano funzionare a lungo senza bisogno di interventi. IL PROGETTO ARBI

Il progetto ArBI (Autonomous reed Bed Installation) è un progetto europeo diretto a sviluppare e ottimizzare sistemi di trattamento dei reflui, con particolare attenzione alla riduzione dei fenomeni di intasamento, allo scopo di rendere i bacini in grado di operare senza intervento umano per un tempo più lungo del normale. Il progetto è giunto attualmente alla fase sperimentale. Ogni modulo Arbi costituisce un’unità completamente autosufficiente, dotata di una rete avanzata di sensori che controllano in tempo reale i parametri del processo depurativo. tra essi vi è un

sensore che controlla il sistema di aerazione, mantenendo le pompe in funzione fino al raggiungimento della concentrazione di ossigeno ottimale per la conservazione dei microrganismi (e non oltre), in modo da risparmiare energia. C’è poi un sistema di riscaldamento autonomo, che mantiene la temperatura sopra la soglia necessaria per assicurare la fitodepurazione in ogni periodo dell’anno nei paesi a clima tem-

perato; infine, i sensori a risonanza magnetica segnalano la presenza di intasamenti, suggerendo un cambiamento dei punti di alimentazione del letto in funzione della distribuzione degli intasamenti, e informano quando la situazione di intasamento raggiunge il livello critico. Un’area cruciale per l’attività di ricerca è stata la determinazione dei parametri preferenziali per il sistema di aerazione, tra cui la

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giusta dimensione delle bolle d’aria per una distribuzione uniforme all’interno del letto, e in particolare la determinazione del livello ottimale di ossigeno disciolto all’interno del letto in grado di consentire la massima rimozione dei contaminanti (ossia il “punto di equilibrio”, che coniuga la massima rimozione degli inquinanti con l’efficienza energetica): infatti, sebbene un elevato livello di aerazione porti la massima resa in termini di efficacia depurativa, quando si supera una certa soglia la resa della depurazione non è sufficiente a giustificare il maggior dispendio energetico. Un altro punto cruciale della ricerca è stato l’approfondimento delle potenzialità della risonanza magnetica per l’individuazione degli intasamenti. Nel corso del progetto Arbi sono state sperimentate vari tipi di sonde a risonanza magnetica, e la scelta finale si è orientata verso una sonda costituita da magneti permanenti al neodimio, posti all’interno di un involucro completamente impermeabile, adatto Continua a pag. 17


La filtrazione con AFM Vetro verde attivato

Ideco propone colonne filtranti a struttura mesoporosa con una enorme superficie catalitica presente da 40 anni con crescente successo sul mercato nazionale ed internazionale, il gruppo Ideco è nato per operare nel settore del trattamento delle acque per usi primari e acquedottistici, nel settore delle acque di processo e scarico, proponendosi con tecnologie affidabili, innovative e di buona qualità costruttiva. Una delle branche fondamentali nel trattamento delle acque è la filtrazione. Innumerevoli sono le applicazioni e le tipologie da preferire in quanto ogni esigenza, progetto e impianto è un bisogno unico. da porre all'attenzione di proget-

pressioni sotto i 2,5 bar. La batteria di valvole di comando è normalmente automatica a 4 o 5 valvole di tipo idropneumatico, la programmazione è svolta da un pLC Siemens di facile e semplice conduzione. I vantaggi del vetro verde attivato, prodotto altamente innovativo, sono significativi ed importanti: innanzitutto le prestazioni dell'AFm rimangono per molti anni; ad una velocità di filtrazione di 20 m/h si ottiene una filtrazione nominale di 5 micron senza l'uso di flocculanti, con un grado di filtrazione delle sostanze organiche tisti ed impiantisti del settore è la filtrazione dell'acqua con filtri verticali a bassa o alta pressione con l'utilizzo del vetro verde attivato (prodotto coperto da brevetto mondiale AFm) in luogo della tradizionale e comune sabbia quarzifera a vari strati. Il processo di attivazione AFm crea una struttura mesoporosa con una enorme superficie catalitica ovvero oltre 1.000.000 mq x mc (oltre 300 volte maggiore alla superficie per assorbimento e reazioni catalitiche). I gruppi idrossilici sulla superficie conferiscono ad AFm una forte carica negativa (potenziale zeta) che attira i metalli pesanti e le molecole organiche; in presenza di ossigeno o agenti ossidanti, la superficie catalitica genera radicali liberi che ossidano gli inquinanti e disinfettano la superficie di AFm. ll gruppo Ideco si propone come costruttore di filtri/colonne in acciaio al C (verniciati con sabbiatura e vernice epossidica/alimentare a seconda degli utilizzi) o in acciaio inox aisi 304/316L per un utilizzo a pressioni oltre 3 bar; come costruttore di filtri/colonne in vetroresina per un utilizzo a Hi-Tech Ambiente

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di oltre il 30% in più del quarzo e della normale sabbia di vetro. poi è bioresistente, ovvero non si forma alcuna pellicola organica nel filtro, ossia non c'è possibilità di sviluppo batterico, praticamente AFm è autodisinfettante. Il filtro che utilizza AFm, con l'acqua di controlavaggio espelle il 30% in più di impurità rispetto ai tradizionali filtri a sabbia o vetro comune, quindi richiede meno acqua al controlavaggio. per il riempimento in un filtro di 1.000 litri in volume occorrono 1.250 kg di AFm contro i 1.600 kg della sabbia quarzifera.


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La fitodepurazione galleggiante sono: - la prevenzione di fioriture algali nei laghi situati in parchi urbani, soprattutto frequenti nella stagione estiva - la depurazione delle acque provenienti dal dilavamento delle piste degli aeroporti, dove è presente un’elevata concentrazione di glicol propilenico, usato come agente antighiaccio per le superfici di comando degli aerei - la diminuzione (a lungo termine) del carico inquinante del percolato da discariche: in un esperi-

mento svolto in Nuova Zelanda nell’arco di 10 anni si è ottenuta la completa decolorazione, con la rimozione dell’89% dei solidi sospesi ed un notevole abbattimento dell’azoto totale e del BOd - l’eliminazione di odori molesti dai bacini di lagunaggio, mediante applicazione di una fitoisola dimensionata in modo da fare da “coperchio”, coprendo quasi completamente la superficie. APPLICAZIONI ALLE ACQUE INDUSTRIALI

Oltre all’eliminazione degli inquinanti più comuni, come solidi sospesi, BOd, azoto e fosforo, le

fitoisole si sono dimostrate capaci di ridurre la concentrazione di microinquinanti ad attività endocrina, come il bisfenolo A. Inoltre, il biofilm che si forma sulle radici delle macrofite può metabolizzare gli idrocarburi e creare le condizioni per il sequestro e l’immobilizzazione dei metalli pesanti e di altre sostanze tossiche. La depurazione delle acque industriali richiede spesso un elevato apporto di ossigeno; in questi casi un diffusore di aria viene incorporato dentro la fitoisola, realizzando un sistema che è stato denominato “Leviathan”. La configurazione tipo del Leviathan prevede una superficie di

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Fitoimpianti: stop all’intasamento ad essere installato a lungo termine all’interno del letto di ghiaia. Le sonde sono collocate in posizioni e profondità differenti all’interno del letto, per fornire al sistema di controllo un quadro più completo possibile degli intasamenti. L’impiego congiunto di tecniche efficienti di aerazione e riscaldamento hanno mostrato la possibilità di ottenere una maggiore efficienza di trattamento, che si traduce anche nella riduzione delle dimensioni dei moduli rispetto ai letti tradizionali; infine, l’inclusione dei sensori di intasamento e la fase di alimentazione automatica consente ai moduli Arbi una maggiore vita operativa rispetto ai bacini di fitodepurazione convenzionali. Hi-Tech Ambiente

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biofilm superiore a 90.000 mq; alcune realizzazioni incorporano un sistema di ricircolazione dell’acqua, con portate di oltre 600 litri/sec. Le pompe di ricircolazione possono essere azionate con l’energia elettrica fornita da pannelli fotovoltaici. L’inserimento di fitoisole entro i bacini di raccolta delle acque industriali, anche se in alcuni casi realizza una depurazione solo parziale, è comunque utile perché favorisce lo sviluppo di piccoli pesci e di altri organismi che contrastano la proliferazione delle zanzare e di altri insetti portatori di temibili malattie.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

Il recupero di terreno Da siti contaminati e rifiuti C&D

Panoramica dei trattamenti applicabili, che possono essere di tipo fisico, chimico o biologico L’attuale normativa sulle bonifiche (D.Lgs 152/06, All.3 alla Parte IV, Titolo V) indica una esplicita preferenza per i trattamenti di bonifica “in situ”; e ciò per limitare i flussi di materiali che, portati all’esterno del cantiere di bonifica, assumerebbero la qualifica di rifiuti, con tutte le relative complicazioni burocratiche e normative. In alcuni casi, tuttavia, le tecniche “ex situ” consentono un controllo più accurato dei parametri di processo e dei risultati; inoltre, va rilevato che molte tecniche di bonifica sono applicabili sia in situ che ex situ, con gli opportuni adattamenti. Questa situazione è particolarmente evidente nei trattamenti che prevedono l’escavazione e il trattamento del terreno, allo scopo di rimuovere da esso gli inquinanti e riutilizzarlo sul posto o altrove: se è presente nelle vicinanze un cantiere attrezzato vi si può trasportare il terreno, eseguendo quindi le opere di decontaminazione all’esterno del sito, ma spesso è più conveniente allestire un cantiere all’interno del sito stesso. Esistono infatti impianti mobili che possono essere facilmente installati con le modalità autorizzative previste dagli art. 208 e 242 del D.Lgs 152/2006. Situazioni particolari, sia dal punto di vista tecnico che da quello normativo, si presentano poi per il recupero di materiali inerti dai rifiuti di costruzione e demolizione (cosiddetti “rifiuti C&D”). In tutti i casi, i

trattamenti applicabili possono essere di tipo fisico, chimico o biologico. TRATTAMENTI FISICI

Il mezzo fisico maggiormente impiegato è il calore: il terreno da decontaminare viene riscaldato a 350-550 °C in forni rotativi, ottenendo l’evaporazione dei contaminanti organici (idrocarburi, solventi, pesticidi, PCB). I vapori in uscita dal forno vengono di solito bruciati in un apposito post-combustore; se la combustione può creare problemi di inquinamento, possono essere recuperati per condensazione o adsorbiti su carboni attivi. Tra i trattamenti fisici frequentemente praticati con cantieri mobili rientra il “soil washing”, che prevede il lavaggio del terreno con acqua pura o additivata con tensioattivi. L’acqua contaminata viene poi trattata e recuperata per i successivi cicli di lavaggio. TRATTAMENTI CHIMICI

Consistono nell’aggiunta di reagenti chimici, scelti in base agli inquinanti presenti, in modo da immobilizzare gli inquinanti stessi in forma insolubile. Questo trattamento è particolarmente usato in caso di inquinamento da metalli pesanti; i reagenti utilizzati sono calce, cemento, silicati, solfuri e, in alcuni casi, ossidanti (ipoclorito) o riducenti (solfato ferroso). Hi-Tech Ambiente

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TRATTAMENTI BIOLOGICI

sporto, nei cantieri di grandi dimensioni; l’introduzione del “silenzio-assenso” nell’approvazione del “Piano di Utilizzo”, per cui questo si considera comunque approvato entro 90 giorni dalla sua presentazione alla Autorità Competente; la possibilità di prorogare fino a 2 anni il Piano di Utilizzo, con semplice comunicazione al Comune e all’ARPA competente; l’introduzione di “tempi certi”

Sono attualmente i più usati, per il basso costo e il limitato impatto ambientale. La tecnica più comune è quella delle biopile anaerobiche; per la frazione fine del terreno si impiegano spesso bioreattori, cioè grossi serbatoi contenenti acqua, nutrienti, biomasse ed eventualmente altri additivi, nei quali viene insufflata aria dal fondo. Una variante semplificata delle biopile è il “land farming”: il terreno contaminato viene steso su un letto drenante e irrigato con acqua contenente nutrienti o altri additivi, compiendo periodiche azioni di rivoltamento con normali attrezzi agricoli.

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TERRE E ROCCE DA SCAVO

Dopo 20 anni di sentenze contrastanti e incertezze normative, il 14/7/2016 è stato approvato dal Consiglio dei Ministri il DPR n.279/2016, che ha lo scopo di semplificare le procedure e incrementare il ricorso alle terre e rocce da scavo come sottoprodotti. Il nuovo decreto stabilisce limiti per la presenza di “materiali di origine antropica frammisti ai materiali di origine naturale”: questa presenza non deve superare il 20% in peso, altrimenti il materiale verrà classificato come rifiuto. L’utilizzo delle rocce da scavo in siti diversi da quello dove vengono prodotte (e quindi il loro trasporto) aveva creato in passato numerosi problemi di diversa interpretazione della normativa. Il nuovo decreto definisce ora le modalità e le caratteristiche per effettuare il deposito intermedio, il trasporto e l’uso finale, che deve essere attestato da apposita “dichiarazione d’avvenuto utilizzo”. Il nuovo decreto disciplina in modo particolareggiato le terre e rocce da scavo prodotte in “cantieri di grandi dimensioni” (nei quali la produzione di questi materiali supera i 6.000 mc). Se questi cantieri non sono sottoposti a VIA (Valutazione di Impatto Ambientale) o ad AIA (Autorizzazione Integrata Ambientale), sono previste procedure semplificate, analoghe a quelle per i cantieri di piccole dimensioni. Tra le semplificazioni introdotte dal DPR n.279/2016, si segnalano: l’eliminazione dell’obbligo di comunicazione preventiva del traHi-Tech Ambiente

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Il recupero di terreno (massimo 60 giorni) per le analisi affidate all’Arpa; una disciplina specifica per il deposito temporaneo di terre e rocce da scavo non ammesse alla qualifica di sottoprodotto (e quindi da considerare rifiuti), e per questi materiali viene maggiorata la quantità massima ammessa a deposito, rispetto a quanto previsto dall’art. 25 del D.Lgs 152/06. Infine, sono previste disposizioni specifiche (Titolo V) per le terre e rocce da scavo estratte nei siti oggetti di bonifica, e per la gestione dei materiali contenente amianto, sia di origine naturale che proveniente da manufatti edilizi. RIFIUTI DA C&D

Il recupero di materiali dai rifiuti da costruzione e demolizione potrebbe ridurre notevolmente il riL'UE ha individuato 20 materie prime critiche, tra cui l’indio, per importanza economica ed approvvigionamento. L’indio è utilizzato principalmente per la produzione di schermi LCD e proviene prevalentemente da miniere cinesi. Il suo riciclo, quindi, è sempre più necessario poiché consente il risparmio di risorse naturali, evita il depauperamento dell’ambiente a causa della sua estrazione e riduce la dipendenza dalle importazioni da altri paesi. In conseguenza di ciò, di forte interesse è un recente studio, finanziato dall’UE e condotto presso l’Università Politecnica delle Marche, per lo sviluppo di un processo di estrazione dell’indio da pannelli LCD obsoleti, in cui l'indio si trova come ossido di indio-stagno (ITo). Tale studio è uno dei primi a descrivere come recuperare l’indio da una soluzione di lisciviazione. A tale scopo, i ricercatori hanno prima di tutto triturato i pannelli in piccoli pezzi, li hanno poi setacciati per eliminare i frammenti di vetro e plastica e, quindi, li hanno sciolti in una soluzione di acido forte nella quale ora l’indio si trova disciolto. Successivamente, è stata aggiunta alla soluzione della polvere di zinco che consente il recupero dell'indio, in

LA GESTIONE DELLE MACERIE POST TERREMOTO Gli eventi sismici pongono particolari problemi relativamente alla gestione delle macerie. Ci si trova di fronte alla necessità di gestire in tempi brevi enormi quantità di macerie, senza possibilità di una selezione preventiva dei materiali estranei e con presenza di mobilio, elettrodomestici, autovetture, ecc. Ad esempio, le macerie raccolte dopo il terremoto dell’Aquila comprendevano circa il 26% di materiali estranei; per la loro gestione è stato approntato un apposito “Piano per la gestione delle macerie e rocce da scavo derivanti dagli interventi di prima emergenza e ricostruzione”. Questo piano prevedeva la realizzazione di piazzole di sele-

zione e trasferimento all’interno della città, dove veniva effettuata la suddivisione nelle seguenti tipologie: elementi architettonici e di interesse artistico-culturale, beni di valore recuperabili, rifiuti non pericolosi, rifiuti pericolosi. I rifiuti non pericolosi venivano successivamente suddivisi in: metalli misti, legno, gesso e cartongesso, ingombranti, raee, materiali isolanti, inerti indifferenziati (utilizzati per opere di ripristino ambientale). nel caso invece del terremoto dell’Emilia, le macerie sono state conferite presso varie discariche di rifiuti urbani; dopo la selezione per eliminare i rifiuti pericolosi, i beni recuperabili, i metalli ed i raee, la quota di inerti è stata destinata a copertura giornaliera delle discariche e realizzazione della loro viabilità interna.

UnA nUoVA TECnICA DI RICICLo

Indio da schermi LCD

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corso all’estrazione di inerti nelle cave e dal letto dei fiumi. In Italia si producono ogni anno quasi 49 milioni di tonnellate di questi rifiuti (per confronto, i rifiuti urbani sono circa 30 milioni di tonnellate), che finiscono quasi completamente in discarica. Il maggior flusso di rifiuti C&D quanto esso reagendo con lo zinco solidifica (processo di cementazione). Grazie a numerose prove, in cui è stata variata la concentrazione di zinco, il pH della soluzione acida e la durata del processo di estrazione, è stato possibile individuare le migliori condizioni operative per il recupero dell’indio da una soluzione che contiene altri metalli. Un obiettivo importante di cementazione è infatti quello di garantire la maggiore resa possibile del processo di estrazione di indio di elevata purezza. Tutto il processo è stato valutato anche sotto l’aspetto dell'impatto ambientale attraverso il suo ciclo di vita (LCA) e messo a confronto con incenerimento e dismissione in discarica dei pannelli LCD, che sono gli attuali metodi di smaltimento degli schermi LCD da buttare. Ebbene, è emerso che il massimo recupero di indio (99,8%) si ottiene con una soluzione acida a pH 2 ed una concentrazione relativamente elevata di zinco (100 gr/lt). Inoltre, l’indio nella sua forma più pura si ottiene con un tempo di cementazione di 10 minuti; andare oltre determina un aumento di impurità, soprattutto di alluminio, calcio e ferro.


(circa il 93%) si origina dalle attività di demolizione, dove si possono distinguere due categorie: calcestruzzo e macerie. Il calcestruzzo è più facile da riciclare, perché costituito da materiali già previamente selezionati (malta cementizia e ghiaia); mentre le macerie sono spesso troppo eterogenee, in quanto contengono, oltre a cemento, calce e mattoni, anche legno e vetri provenienti dagli infissi, ceramica da pavimenti e servizi igienici, metalli e plastica provenienti dalle tubazioni, ecc. Per le macerie occorrerebbe quindi una selezione “a monte”, analoga alla raccolta differenziata dei rifiuti domestici. L’Unione Europea ha stabilito per il 2020 un obiettivo di recupero dei materiali inerti del 70%; secondo statistiche ufficiali, l’Italia è intorno al 40%, ma secondo altre stime (Legambiente e Anpar) non si supera il 10%. Secondo stime di Legambiente, arrivando al 70% di riciclo di rifiuti C&D si otterrebbero oltre 23 milioni di tonnellate di inerti, che permetterebbero di chiudere almeno 100 cave. Gli impianti per la valorizzazione

dei rifiuti C&D possono essere fissi o mobili. In ogni caso, il trattamento comprende: frantumazione, vagliatura, selezione granulometrica, separazione delle frazioni indesiderate (metalli, vetro, legno, plastica). Questi impianti possono garantire in uscita materiali conformi alla norma UnI10006, appendice A, e quindi equiparabili agli aggregati naturali di cava e di fiume. I produttori italiani di aggregati riciclati provenienti da rifiuti C&D sono riuniti in AnPAR

(Associazione nazionale Produttori Aggregati Riciclati). Frantumazione La frantumazione avviene generalmente in due stadi: i frantoi primari riducono il materiale a pezzature di 15-25 cm, mentre i frantoi secondari (detti anche granulatori) riducono ulteriormente le dimensioni a diametri intorno a 1 cm, ottenendo graniglia e pietrischetto. I frantoi sono di solito dotati di separatori magnetici, che rimuovono i frammenti ferrosi.

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Vagliatura e selezione granulometrica I sistemi di vagliatura possono essere posti immediatamente all’uscita dei frantoi, oppure essere previsti come stadio separato della lavorazione. La loro funzione è di selezionare il materiale in funzione della granulometria, formando in uscita dei cumuli già divisi, costituiti da granuli appartenenti a classi di diametri prestabilite. I vagli possono essere piani o cilindrici; in entrambi i casi, il materiale da selezionare viene fatto passare attraverso fori di dimensioni decrescenti, in modo da ottenere la suddivisione per pezzatura. Separazione delle frazioni indesiderate oltre al separatore magnetico installato nella bocca di alimentazione del frantumatore, può essere prevista una deferrizzazione in uscita, mediante apposito deferrizzatore a nastro. Le altre frazioni indesiderate devono essere separate manualmente prima della frantumazione, e in questa fase vengono identificati e separati anche i blocchi di materiali di eccessiva durezza o dimensioni.


Il letame è oro Un’opportunità sprecata

Messa a punto un’installazione high-tech che recupera fertilizzanti “verdi” da tipi diversi di scarto bovino e suino Circa la metà delle proteine che assumiamo deriva da prodotti di origine animale, e per soddisfare il nostro bisogno di carni e prodotti lattiero-caseari, si produce una notevole quantità di letame; per la precisione, si tratta di circa 1,27 miliardi di tonnellate, derivate da suini e bovini. Questi scarti, se non gestiti correttamente, sono dannosi per l’ambiente locale e incidono in modo sostanziale sul cambiamento climatico. Il problema del letame è peggiorato dal fatto che resta una risorsa di carbonio organico e sostanze nutritive ampiamente non sfruttata. Tale situazione deriva dall’impraticabilità economica del trasporto di letame da regioni caratterizzate da esuberi di sostanze nutritive verso le regioni dove risultano scarse. Di conseguenza, il settore dell’agricoltura d’Europa conserva una pesante dipendenza dall’importazione di sostanze nutritive “fresche” sotto forma di fertilizzanti sintetici dannosi all’ambiente. Il progetto europeo ManureEcoMine punta a invertire tale andamento, servendosi delle risorse presenti nel letame in modo raffinato e concentrato, riducendo anche al minimo le emissioni e l’impatto ambientale.

<<Il progetto intende dimostrare che una tecnologia multimodale spiega Siegfried Vlaeminck, professore all’Università di Gand può essere applicata flessibilmente per ridurre l’impatto ambientale dell’allevamento intensivo in Europa. La nostra proposta rappresenta una risposta sostenibile alla sfida inerente alle sostanze nutritive in Europa; risulta interessante dal punto di vista commerciale, apporta valore agli agricoltori e aumenta l’autonomia delle risorse d’Europa>>. UN CIRCOLO VERDE PER IL LETAME

Per realizzare tale idea, il progetto ha inventato un’installazione hightech che recupera fertilizzanti “verdi” da tipi diversi di letame. Il processo inizia dal bovino o suino che produce letame, raccolto poi dall’installazione ManureEcoMine. L’installazione raffina quindi varie sostanze nutritive, utilizzabili per la rimiscelazione in un fertilizzante su misura a base biologica. Ad esempio, uno dei principali prodotti recuperati è la struvite, un precipitato di magnesio (Mg), ammonio (n) e fosfato (P), che può fungere da fertilizzante a lento rila-

scio. Poi, invece di trasformare in fertilizzante sostanze dannose per l’ambiente (ad esempio combustibili fossili e minerali destinati a esaurirsi, con cui si producono fertilizzanti di sintesi) le sostanze nutritive estratte vengono mescolate con vari additivi sostenibili. ne risulta una miscela di fertilizzante verde. <<Il progetto recupera diverse sostanze nutritive - spiega nico Boon, professore all’Università di Gand - miscelabili in vari fertilizzanti verdi in base alle necessità dell’agricoltore e della domanda del mercato. Il fertilizzante verde, di produzione integralmente europea, viene utilizzato sul campo per coltivare colture foraggere, con cui poi si alimentano bovini e suini, che quindi

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producono letame; si crea così un ciclo chiuso localmente e completamente sostenibile>>. UNA RISORSA DI MERCATO FATTIBILE

Il progetto Manureecomine è stato avviato per stimolare l’assunzione da parte del mercato di una t ManureEcoMine ecnologia per recuperare sostanze nutrienti del letame. In realtà, secondo i ricercatori, il valore stimato dei fertilizzanti presenti nel letame europeo si aggira sugli 11 miliardi di euro all’anno. A fini comparativi, gli agricoltori europei pagano attualmente 15,5 miliardi di euro all’anno per fertilizzanti sintetici. Secondo Vlaeminck, i principali beneficiari dell’istallazione sono progettisti, costruttori e gestori di impianti di trattamento; aziende che commercializzano sostanze nutritive e miscelazione di fertilizzanti e, innanzitutto, gli agricoltori che scelgono di processare localmente il proprio letame. <<Il letame non è più un materiale di rifiuto - conclude Vlaeminck – infatti, grazie a ManureEcoMine, rappresenta una risorsa sfruttabile commercialmente per ottenere valore aggiunto>>.


ogni anno in Europa vengono smaltiti oltre 180 milioni di tonnellate di rifiuti solidi urbani, corrispondenti a circa 1 kg/giorno per cittadino. Tecniche come incenerimento, digestione anaerobica e compostaggio possono dare un contributo importante allo smaltimento in modo ecosostenibile, ma non sono in grado di valorizzare il contenuto chimico di tali rifiuti. A tale scopo è stato sviluppato il progetto europeo Waste2Go, che si occupa di studiare e mettere a punto tecnologie dirette ad accrescere il valore aggiunto (sociale, economico e ambientale) dei rifiuti e, in particolare, della trasformazione della forsu (frazione organica dei rifiuti solidi urbani) in prodotti chimici con un valore aggiunto superiore rispetto alla valorizzazione energetica.

FORSU: il valore aggiunto Processi innovativi di valorizzazione

Grazie al progetto Waste2Go sono stati messi a punto un trattamento enzimatico, la tecnologia Rotaclave ed il reattore Biomixer cienti scorte di sei enzimi destinati ad essere impiegati nella conversione della cellulosa. È stato inoltre messo a punto uno speciale reattore, denominato Biomixer. Questa apparecchiatura, di costruzione relativamente semplice (simile a quello di una normale betoniera), consente una miscelazione completa del suo contenuto e un adeguato controllo della temperatura, che può essere innalzata alla velocità di 40 °C/ora fino a 90 °C. Grazie al Biomixer è stato possibile lavorare una gamma di substrati con oltre 20% in peso di materiali pesanti, cosa che non sarebbe stata possibile in reattori convenzionali; in questo modo è stato anche accelerato lo sviluppo di nuovi protocolli per la produzione mediante idrolisi di mono/oligosaccaridi C5 e C6, che sono valorizzabili commercialmente.

SEPARAZIONE DELLA FRAZIONE FERMENTABILE

La progressiva diminuzione della disponibilità di carburanti fossili, insieme ai problemi ambientali che il loro uso comporta, rende imperativa la ricerca di fonti alternative per la produzione energetica e di prodotti chimici. In questo senso, l’impiego delle biomasse rappresenta un’ottima soluzione, grazie al loro elevato contenuto di cellulosa, emicellulosa e lignina, che hanno un grande potenziale per la produzione di prodotti chimici. Per evitare la concorrenza tra colture destinate ad uso alimentare e colture di biomasse destinate ad usi energetici o chimici, è stato scelto di ottenere tali biomasse dalla forsu. Ciò comporta ulteriori vantaggi, come la valorizzazione dei rifiuti, e la riduzione del loro impatto socio-economico e ambientale. Il processo Waste2Go richiede la rimozione preliminare di materiali riciclabili come plastiche, metalli e vetro. A tal fine, è stata sviluppata la tecnologia Rotaclave, che consente la parziale idrolisi della frazione organica, facilitando la successiva azione degli enzimi e, al contempo, sterilizza i materiali estranei come metalli, vetro e plastica, che vengono poi separati impiegando le tecnologie correnti (magneti e dispositivi di vagliatura).

SEPARAZIONE E PURIFICAZIONE

Apparecchiatura utilizzata

IL TRATTAMENTO ENZIMATICO

Il punto centrale del progetto Waste2Go è il trattamento enzimatico e, in particolare, trovare la giusta combinazione tra pretrattamento della biomassa e successivo trattamento enzimatico, per ottenere

zuccheri oligomerici derivati dagli zuccheri polimerici presenti nella forsu. Successivamente allo sviluppo di vari microorganismi, la ricerca si è spostata sugli enzimi; e in base alle conoscenze acquisite in questa fase, è stato possibile dare il via alla produzione su larga scala, raccogliendo suffi-

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Il prodotto derivante dalla biodegradazione è caratterizzato da un’ampia varietà di pesi molecolari. Perciò, questo materiale necessita di essere frazionato e purificato per ottenere diverse frazioni con intervallo controllato di peso molecolare, che possono essere usate come materia prima nell’industria o come materiale di partenza per la produzione di agenti chimici come detergenti o tensioattivi. Continua a pag. 24


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FORSU: il valore aggiunto Uno dei partner del progetto, l’olandese Feyecon ha sviluppato quattro diverse tecnologie per frazionare e purificare il materiale cellulosico ottenuto dopo la biodegradazione degli rsu. Tre di queste tecnologie sono basate su solventi: complessi metallici (LiCl/DMAc), liquidi ionici e alcali metallici acquosi in soluzione di idrossidi. Quella che si è rivelata più promettente è quella basata su acqua supercritica (ossia a temperatura e pressione superiore a 374,1 °C e 22,1 MPa), che rappresenta una alternativa promettente per la valorizzazione della cellulosa grazie alle sue eccellenti proprietà solventi per composti organici; inoltre, può fungere da catalizzatore acido nella depolimerizzazione della cellulosa, senza bisogno di altri catalizzatori. D’altro canto, la reazione è difficile da controllare poichè è estremamente veloce e, spesso, si conclude nella totale degradazione del substrato. Dato che il frazionamento dell’alfa-cellulosa in condizioni supercritiche porta alla completa degradazione in meno di un minuto, i ricercatori hanno provato ad usare acqua subcritica (a temperatura compresa tra il punto di ebollizione e la temperatura critica), che si è dimostrata più adatta per la depolimerizzazione della cellulosa (ha buone proprietà solventi e può agire come catalizzatore). Inoltre, la velocità di reazione è minore, il che rende la reazione più facile da controllare. In queste condizioni sono state trattate diverse materie prime: alfa-cellulosa, materiali non biodegradabili sottoposti a trattamento termo-meccanico e materiali degradati per via termomeccanica e enzimatica; in ogni casoè stata riscontrata una diminuzione del peso molecolare del materiale e la produzione di cellodestrine. Ulteriori vantaggi sono la possibilità di fare a meno della fase di pre-essiccatura e di ottenere la distruzione di composti indesiderati. Questa tecnica consente di isolare con successo le frazioni cellulose oligomeriche, alcune delle quali vengono ulteriormente lavorate per la produzione di tensioattivi. oltre alla cellulosa, è stata valutato l’uso di emicellulosa presente

Test con la carta

in varie frazioni dei rifiuti solidi urbani, con lo scopo principale di produrre oligosaccaridi emicellulosici. In primo luogo, è stato sviluppato un metodo per produrre glucorono-xilo-oligosaccaridi da oligosaccaridi xilanici emicellulosici; è stato creato un sistema per il pretrattamento e il trattamento enzimatico di materiali legnosi, impiegando vapore e enzimi. In secondo luogo, gli scienziati si sono concentrati sulla produzione di un oligosaccaride da xilogluca-

Biomixer

ni (presenti ad esempio nei rifiuti vegetali); è possibile convertire gli xiloglucani in un mix di xiloguco-oligosaccaridi ottenuti da 710 monomeri zuccherini e, ulteriormente, in eptasaccaridi uniformi, che possono essere trasformati in una varietà di glicoconiugati, alcuni dei quali con proprietà tensioattive. DA OLIGOMERI A BIOTENSIOATTIVI E ACIDO LATTICO

L’idea alla base del progetto Waste2Go è l’impiego di carboidrati oligomerici per la produzione di tensioattivi “verdi”, che possono esser ottenuti combinando il carboidrato oligomerico idrofilo con un composto lipofilo; si ottiene così una molecola bi-funzionale, che può abbassare la tensione superficiale dell’acqua e portare i composti idrofobici entro l’amHi-Tech Ambiente

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biente acquoso. In teoria, ogni oligosaccaride prodotto nell’ambito del progetto Waste2Go può portare alla produzione di un’ampia varietà di tensioattivi biologici, in cui le proprietà chimiche possono essere manipolate in base alla dimensione e alla conformazioni degli oligosaccaridi e dei gruppi lipofili. In particolare, uno xilo-oligosaccaride acido derivato da rifiuti legnosi potrebbe generare un biotensioattivo ancora più efficace, contente una carica negativa e quindi in grado di formare complessi metallici, ad esempio usati nella produzione di saponi e nella depurazione di suoli inquinati da metalli pesanti. La produzione di questi biotensioattivi richiede nuovamente un trattamento enzimatico, per il quale servono nuovi enzimi, che nel quadro del progetto Waste2Go sono stati appositamente prodotti partendo dal lievito Pichia pastoris. Successivamente, le cellule del lievito vengono rimosse per centrifugazione e il liquido contenente gli enzimi filtrato per concentrare gli enzimi e portarli al giusto grado di pH. Infine, gli enzimi vengono congelati fino al loro impiego nel processo di degradazione della cellulosa. oltre ai tensioattivi, i prodotti di degradazione enzimatica della cellulosa possono essere trasformati in acido lattico, che è un importante intermedio per la produzione di materie plastiche biodegradabili e solventi per uso industriale. Questo tipo di trasformazioni è stato sperimentato utilizzando carta da macero appositamente pretrattata; l’acido lattico è stato ulteriormente lavorato in nbutil-lattato, ampiamente usato come solvente biodegradabile nel settore agrochimico. Quanto agli aspetti economici, il processo Waste2Go può migliorare la competitività delle PMI europee operanti nella gestione dei rifiuti, il settore che ha attualmente la maggiore proporzione di PMI e il minore valore aggiunto di ogni settore industriale europeo. Inoltre, la valorizzazione dei rifiuti incoraggia la creazione di una economia circolare, riducendo la dipendenza da materie prime vergini e i costi dei carburanti fossili, attenuando i problemi associati alla disponibilità della materia prima e alla fluttuazione dei prezzi.


Biomasse & Biogas B i o m a s s a

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B i o g a s

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B i o m e ta n o

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C o g e n e r a z i o n e

Le opinioni sul biometano Confronto costruttivo

Una risorsa sicuramente importante, in Italia e non solo, tra le diverse energie rinnovabili Le nuove misure legislative sulla Forsu prevedono un mix di soluzioni, integrate tra loro e con una forte visione centralizzata, che lascia intatte le autonomie delle regioni, ma le coordina secondo una visione nazionale. Interessante a questo proposito (e soprattutto dopo il decreto del 7/3/2016, che ha adottato nuove misure sul sistema integrato per lo smaltimento della Forsu) le opinioni del legislatore, degli operatori, delle associazioni e delle aziende del settore che vantano eccellenti case-history.

<<Secondo uno studio dell'Ocse – afferma Marcello Cecchetti, capoufficio legislativo del Ministero dell'Ambiente - in Italia, l'attuale contesto normativo non consente una situazione stabile e quindi favorevole agli investimenti nei rifiuti. Noi ci dibattiamo tra l'UE, che ci chiede risultati obbligatori, e dei piani strategici che debbono rispondere velocemente alle esigenze dei territori. Sulla gestione dei rifiuti urbani, in questo momento, siamo in contrattazione su direttive e regolamenti che pongono obiettivi ambiziosi, quali il 60% da riciclare

per i rifiuti urbani entro il 2025 e del 65% entro il 2030, sempre per il 2030 il riciclaggio degli imballaggi è fissato al 60%. Sulla raccolta differenziata e sul riciclo il governo ha fatto una scelta strategica, affidando al Ministero il calcolo del recupero della frazione dei rifiuti urbani e consegnando alle regioni una parte del fabbisogno impiantistico sui termovalorizzatori. In buona sostanza è stata rivendicata un'impostazione centralizzata per la programmazione che non cancella le autonomie delle regioni che dovranno applicarle con i propri piani

regionali. Inoltre, il Ministro non ha fatto la scelta dei termovalorizzatori, che vengono utilizzati per la minima parte dei rifiuti che restano dopo il processo di riciclo>>. <<E ricentralizzando i poteri delle province – spiega Rocco De Franchi, Subcommissario dell’Agenzia territoriale della Regione Puglia per il servizio di gestione del ciclo dei rifiuti - abbiamo confrontato procedure e processi per recuperare i costi dello smaltimento>>. La strategia dell’Italia per una transizione energetica verso un’economia a basso contenuto di carbonio, fondata sulla sostenibilità e sulla circolarità nell’utilizzo delle risorse, non può prescindere dalla valorizzazione del biometano, sia sul fronte della lotta al mutamento climatico sia su quello delle energie rinnovabili, che in questo caso diventano anche programmabili, efficienti e sostenibili. In particolare, con la crescita della raccolta differenziata dei rifiuti e, quindi, con il conseguente sviluppo della filiera del riciclo di carta, plastica, vetro, metalli, ecc., perde credibilità l’utilizzo dei termovalorizzatori ma cresce la Forsu (frazione organica dei rifiuti solidi urbani), che viene smaltita a costi rilevanti per produrre un compost di difficile utilizzo. Nel giro degli ultimi 8 anni, mentre la raccolta differenziata dei rifiuti urbani in Italia è cresciuta del 64%, raggiungendo i 13,4 milioni di tonnellate, la frazione organica è quelContinua a pag. 26

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sos fuga di biogas La termocamera Flir GFx320 per la rilevazione ottica di biogas e biometano (oltre che di idrocarburi e composti organici volatili) rappresenta una tecnologia innovativa per ricercare in modo efficiente e rapidamente le emissioni fuggitive e arrestare tali perdite, prima che si trasformino in ingenti sanzioni date le nuove stringenti normative e regolamentazioni sul gas stabilite a livello mondiale e naturalmente data l’immediata perdita economica. La GFx320 è certificata "a Sicurezza Intrinseca" da un ente indipendente
e approvata da organismi esterni per l'uso in aree pericolose. E’ inoltre in grado di visualizzare fughe di incredibilmente piccole, con la sensibilità necessaria per soddisfare la conformità alla norma sul metano emanata dall'EPA statunitense. Gli ispettori possono utilizzare questa termocamera per scansionare aree di grandi dimensioni e per controllare migliaia di componenti nel corso di una singola ispezione. La fotocamera digitale e la funzione di geolocalizzazione GPS automatica consentono di redigere rapporti a norma senza la necessità di attrezzature supplementari. La rapida individuazione delle fughe, e la sua esatta origine, riduce notevolmente le perdite di gas e di proContinua da pag. 25

Le opinioni sul biometano

termocamera Flir

Il modo più veloce e più sicuro per rilevare perdite invisibili a occhio nudo

fitto e migliora la conformità alle normative e la tutela dell'ambiente. La modalità ad alta sensibilità impiega tecniche di elaborazione video proprietarie per accentuare il

movimento del pennacchio, quintuplicando la capacità di rilevazione di una fuga. Inoltre, la GFx320 è in grado di misurare temperature fino a 350 °C con ± 1 ° C di accuratez-

lorizzatori, e l’esempio di bioseparatore idrodinamico centrifugo ne è una prova. Questa tecnologia, se

applicata, consentirà la produzione di 1,2 miliardi di metri cubi di biometano. Una risorsa non indifferen-

la che più ha contribuito a questo incremento (+132%); nello stesso arco di tempo la raccolta differenziata dei rifiuti da imballaggio è cresciuta solo del 35% (fonte Utilitalia). Da tenere in forte considerazione le nuove tecnologie per la produzione di biometano da Forsu. <<Grazie al bioseparatore idrodinamico centrifugo ed una pre-selezione, ad esempio – chiarisce Enrico Vincenzi del Consorzio Innea - si possono riciclare quantità importanti di rifiuti, tanto da far pensare che ormai si è alla fine dei termovaHi-Tech Ambiente

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za. Questa caratteristica è fondamentale per valutare il contrasto termico tra il composto gassoso e lo sfondo dell'inquadratura. L'ergonomia dello strumento è progettata attorno alle esigenze dell'operatore, con caratteristiche come l'oculare inclinabile, lo schermo LCD articolato e l'impugnatura orientabile. Il formato simile a una videocamera portatile consente di mantenere tre punti di contatto durante le operazioni, eliminando l'affaticamento nelle lunghe ore di ripresa. Infine, ma non ultimo, l'ottica rivestita in gomma e la sua robusta custodia sono progettate per ambienti di lavoro difficili. te se si considera che la trazione dei camion ne consuma circa 800.000 mc annui>>. Condivisa è anche l’idea che occorra andare sui territori e costituire spin off con i soggetti locali. <<L'obiettivo è recuperare prima di compostare – dice Pier Massimo Clerici del Consorzio Universitario Archimede - perché abbiamo bisogno di trovare una soluzione al rifiuto che non è più recuperabile. E noi una soluzione l'abbiamo trovata. Si tratta di un impianto di digestione anaerobica, senza alcuna emissione, che produce biometano supportato da un processo di idrolisi. Il residuo con mix con pollina, produce anche concime a lento rilascio>>.


BIOGAS DA RIFIUTI

L’impianto di smart Upgrading Dopo 8 mesi di sperimentazione è stato realizzato a fine 2015 il prototipo di impianto industriale che fa uso della tecnologia Smart Upgrading, che si basa su un particolare “lavaggio” del biogas grazie al quale vengono trattenute solo le impurezze indesiderate lasciando fluire liberamente il metano pulito. In questo modo si ottiene un gas di

qualità paragonabile, se non superiore, al metano che l’Italia acquista da Russia e Nord Africa. La tecnologia è stata sviluppata dai ricercatori del Dipartimento di Scienza dei Materiali dell’Università di Milano-Bicocca, poi sperimentata con risultati positivi nella ex discarica di CEM Ambiente a Cavenago Brianza (MB), tanto da

arrivare alla costruzione di un impianto pilota grazie al quale dopo circa un anno ne è stata verificare l’efficienza in condizioni operative reali. Dopo mesi di attività dell’impianto, che per produrre biometano utilizza il biogas prodotto dai rifiuti della discarica, è stata confermata sia l’efficacia della tecnologia che

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il suo basso dispendio energetico. L’economicità di Smart Upgrading, infatti, risiede nel fatto che ha costi ridotti rispetto a tecnologie similari, sia di investimento iniziale che di gestione. Inoltre, ne è stata accertata sia la sua sostenibilità, visto che le perdite di biometano risultano inferiori allo 0.05%, sia il rispetto per salute e ambiente, dato che i solventi usati sono completamente ecocompatibili. Già appurato era l’utilizzo facile, dato che è già esistente una rete per l’immissione del biometano.


L’escavatore a risucchio gruppo marazzato

Intervento particolarmente efficiente su digestore anaerobico mediante una tecnologia innovativa che consente un risparmio economico e di tempo Le centrali a biomasse sono realtà ormai sempre più presenti sul nostro territorio e rappresentano una fonte di novità, ricerca e sviluppo economico. Con “biomasse” si intendono vari materiali di origine biologica. Una centrale a biomasse produce l'elettricità grazie al vapore prodotto dalla combustione del materiale, che mette in funzione una turbina collegata ad un alternatore. In particolare, è facile imbattersi nelle campagne di tutta Europa in centrali a biogas, ossia centrali che sfruttano una miscela di vari tipi di gas composti principalmente da metano, prodotti dalla fermentazione batterica in anaerobiosi dei residui organici provenienti da scarti vegetali o animali. Il ciclo prevede fondamentalmente due fasi:

- una fase aerobica transitoria, durante la quale grazie alla presenza di ossigeno si ha un aumento della mineralizzazione delle sostanze organiche, con produzione di anidride carbonica ed acqua - una fase anaerobica, suddivisa in una prima fase acida ed in una seconda metanigena, che subentra una volta esaurito l’ossigeno presente. E’ una trasformazione più lenta e incompleta, che produce anidride carbonica e metano. Il materiale che serve ad alimentare la centrale e a generare il biogas viene messo normalmente all’interno di apposite vasche di stoccaggio, che prevedono solitamente più livelli di materiale (biofiltro), per permettere la fermentazione dei diversi materiali immessi. In particolare, il biofil-

tro viene utilizzato per l’abbattimento dei composti naturali e di sintesi, utilizzando un largo spettro di microrganismi in grado di metabolizzarli, attraverso una serie di reazioni biologiche. Man mano che il materiale fermenta, passa attraverso il filtro ad un livello inferiore e viene coperto da nuovo materiale. In fondo alla vasca normalmente si raccoglie un fango spesso, che viene immesso nuovamente nel ciclo per facilitare la fermentazione. LE ESIGENZE DEL CLIENTE

Affinchè una centrale funzioni e produca energia, è necessario che l’alimentazione del materiale sia costante e senza momenti di interruzione. Assicurare l’efficienza dell’im-

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pianto è quindi fondamentale per garantire il ritorno economico dell’attività. La manutenzione ricopre un ruolo importante e una mancata o errata manutenzione può portare al blocco della produzione, che porterebbe a una perdita economica non recuperabile (giorni di fermo impianto equivalgono a giorni di mancata produzione di energia, non recuperabile successivamente). A fronte di alcuni difetti nella vasca di stoccaggio del digestato, le esigenze principali di un cliente di Marazzato, una importante società impegnata nella gestione di diverse centrali nel Nord Italia, si possono riassumere in: - intervenire sulla vasca di stoccaggio per assicurarne la tenuta e scongiurare possibili danni am-


bientali - fare in modo che l’intervento di manutenzione non richiedesse tempi troppo lunghi al fine di poter riprendere il prima possibile con la produzione - ridurre il più possibile l’impatto economico dell’operazione per mantenere i livelli di redditività dell’impianto desiderati. In generale, l’attività di manutenzione di un digestore richiede diverso tempo, anche da un punto di vista tecnico: a partire dall’esigenza di aprire gli ambienti per renderli accessibili agli operatori (ambienti altrimenti a rischio per mancanza di ossigeno e sviluppo di gas nocivi). Una volta reso possibile l’accesso, deve essere svuotata la vasca di stoccaggio dal materiale contenuto. Ciò può essere fatto manualmente, da operatori dotati di pale, o meccanicamente, utilizzando pale meccaniche che devono essere calate nella vasca. Queste operazioni richiedono normalmente la presenza di un mezzo fuori dalla vasca dove rac-

teriale solido, liquido o fangoso attraverso una bocchetta di 200mm di diametro, di dimensioni dunque superiori ai normali canal jet o camion per aspirazioni polveri. Questo assicura tempi di lavoro inferiori e maggior efficienza nell’impiego delle attrezzature. Il materiale aspirato, inoltre, finisce nella botte del mezzo che può girare di 180 gradi e ciò ha permesso, con un solo mezzo posto a lato della vasca, di effettuare tutto il lavoro con l’impiego di due soli operatori. Una volta riempita la botte, infatti, questa è stata svuotata direttamente nei cassoni di stoccaggio temporaneo del materiale, senza distogliere troppo tempo dalle attività operative di pulizia. Tutto questo lavorando all’interno di spazi atex con le dovute dotazioni (pale di plastica, tubazioni anti statiche, non utilizzo di motori o altro materiale che potrebbe portare ad un rischio deflagrazione all’interno di un digestore. I VANTAGGI PER IL CLIENTE

cogliere il materiale in modo da liberare la vasca. Il materiale, poi, viene spesso stoccato in modo temporaneo per essere poi reimmesso nel ciclo produttivo una volta finito l’intervento di manutenzione. Tutto ciò richiede generalmente la presenza di almeno 4 operatori, oltre che di un camion per il trasporto del materiale asportato dalle pale, ed eventuali altri mezzi di supporto, con i relativi costi e tempi di realizzazione. LA SOLUZIONE PROPOSTA

Grazie all’intervento del Gruppo Marazzato e all’utilizzo dell’escavatore a risucchio, il cliente ha potuto risparmiare notevolmente in termini di tempo totale impiegato e di investimento finale. Il lavoro inizialmente previsto per 10 giorni con impiego di mezzi e pale per il movimento terra e 5 operatori, è stato svolto in circa metà del tempo con un numero ben inferiore di operatori. Il cliente ha potuto così raggiungere i propri obiettivi: risparmio in termini economici e minor tempo di fermo dell’impianto.

Il Gruppo Marazzato, forte di oltre 200 mezzi operativi in grado di coprire qualsiasi esigenza in ambito ambientale, ha proposto al cliente l’impiego del nuovo e potente escavatore a risucchio. Si tratta di una tecnologia innovativa che permette di aspirare, mediante la creazione di vuoto, maHi-Tech Ambiente

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energia

i processi meno energivori L’efficienza energetica nell’industria

Perfezionare quelli esistenti o addirittura adottarne di nuovi, intervenendo sulle diverse fasi 8^ parte

Ai fini della gestione efficiente dell'energia nelle industrie, in molti casi si possono ottenere notevoli miglioramenti perfezionando i processi produttivi, o addirittura adottando un processo diverso. Questo è molto vero soprattutto nel settore chimico.

DISTILLAZIONE

La distillazione serve per separare delle miscele costituite da componenti con punti di ebollizione differenti. La miscela viene riscaldata sino alla temperatura di ebollizione;. i vapori vengono inviati a una colonna di distillazione, in cui i componenti della miscela vengono separati mediante il con-

tatto tra il liquido condensato ed il vapore. Opportunità di risparmio energetico sono ottenibili attraverso le seguenti azioni: migliorare ulteriormente il recupero del calore (ad esempio con scambiatori più efficienti); utilizzare piatti di distillazione più efficienti o diversi riempimenti delle colonne. In alcuni casi si possono prendere in

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considerazione soluzioni alternative alla distillazione, che comportino un minor consumo di energia, ad esempio combinando l’evaporazione con la tecnologia delle membrane. In questo modo può anche essere possibile separare direttamente miscele azeotropiche, che hanno un punto di ebollizione più basso di quello dei componenti puri.


EVAPORAZIONE

L’evaporazione si utilizza quando si richiede di concentrare una soluzione eliminando il solvente. Il maggior consumo di energia è dovuto all’aumento di temperatura necessario per portare il solvente al punto di ebollizione, e convertirlo in vapore che viene poi rimosso dall’evaporatore. Possono ottenersi risparmi energetici mediante: - riduzione della quantità di solvente da far evaporare, magari prevedendo l’inserimento di una fase separativa che impiega la tecnologia a membrane - recupero del calore di evaporazione del solvente in un condensatore, impiegandolo per il preriscaldamento della miscela in ingresso - impiego di un compressore meccanico per comprimere il vapore e usarlo come mezzo riscaldante; ad esempio, la società olandese Trinseo Benelux ha ottenuto lo scorso anno il premio “European Responsible Care Awards” per l’installazione di un sistema di compressione del vaporeche ne aumenta la pressione dai 3,5 bar iniziali fino a 5 bar - impiego di evaporatori multistadio a maggior efficienza Nei casi in cui il solvente non viene recuperato, ma bruciato per evitare emissioni di SOV, ottimi risultati si ottengono dal recupero del calore da post combustione. Se invece i solventi vengono recuperati con adsorbitori su carboni attivi, questi devono essere ciclicamente rigenerati con vapore generalmente fornito da una caldaia a gas naturale. In questo caso si può realizzare un recupero di vapore dal lavaggio dell’adsorbitore, da destinare al ciclo successivo.

- assicurarsi che le condizioni operative di processo siano monitorate e le parti calde convenientemente isolate - valutare la convenienza di sistemi di recupero del calore contenuto nell’aria calda proveniente dall’essiccatore. SCAMBIO TERMICO

Gli scambiatori di calore sono uno dei più importanti elementi in un programma di miglioramento dell’efficienza energetica. La tecnologia degli scambiatori di calore è nata con le locomotive a va-

pore, a metà del 19° secolo; da allora sono stati fatti molti progressi, ed ai classici scambiatori a fascio tubiero si sono affiancati diversi altri tipi, come gli scambiatori a piastra, a spirale, a tubi alettati, a film cadente, ecc. L’efficienza degli scambiatori viene prima o poi compromessa dalla formazione di incrostazioni e depositi; è importante quindi dimensionare le tubazioni, in modo che la velocità del flusso impedisca la sedimentazione di eventuali solidi in sospensione, e prevedere un ciclo automatico di pulizia con soluzioni disincrostanti.

ESSICCAMENTO

L’essiccamento si impiega nei casi in cui si debba eliminare l’acqua o il solvente da un prodotto solido, fornendo calore. Per migliorare l’efficienza energetica si cerca in genere di: - ridurre il contenuto di acqua nel solido prima di essiccarlo, ad esempio mediante l’installazione di tipi speciali di pompe per fluidi ad alta viscosità (Slurry Pumps), in grado di trasportare dei flussi con un’alta concentrazione di solidi

Un particolare tipo di scambiatori di calore, di impiego molto comune, sono quelli che recuperano il calore dei gas combusti per riscaldare l’aria di alimentazione dei forni. I forni di processo molto spesso lavorano con delle temperature del flusso di gas in uscita molto elevate, e quindi con un’efficienza piuttosto bassa; il recupero di parte del calore contenuto nei gas combusti per riscaldare l’aria di combustione può aumentare sensibilmente l’efficienza della combustione anche in modo sensibile. A questo proposito, uno sviluppo interessante è stata l’adozione dei bruciatori rigenerativi, dove la componente che effettua il recupero termico è completamene integrata nella costruzione del bruciatore. Questi bruciatori, che contengono al proprio interno lo scambiatore di recupero, sono particolarmente adatti quando è richiesto il mantenimento della temperatura del materiale su ampie superfici, e prermettono di applicare il recupero dove prima non era possibile; sono oggi adottati in diversi settori industriali, quali siderurgico, alimentare, ceramico, cemenContinua a pag. 32

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I processi meno energivori to, meccanica e vetro. Altre soluzioni, applicabili sia al preriscaldamento dell'aria di combustione che a quello delle emissioni di SOV da depurare,'aria sono basate su scambiatori a camere con funzionamento rigenerativo, con più camere di accumulo che si alternano ciclicamente e dove si sfrutta l’energia termica dei gas combusti per preriscaldare l’accumulatore, che sarà percorso dai fumi da depurare del ciclo successivo. Un tipo particolare di scambiatore per alte temperature è stato recentemente realizzato in Giappone: può essere utilizzato fino a 1.300 °C e presenta un’efficienza di recupero dal 18 al 24%, che è circa il triplo di quella degli scambiatori convenzionali in analoghe condizioni di impiego. Da citare, infine, un tipo particolarmente innovativo di scambiatore per alte temperature, sviluppato dalla giapponese Mino Ceramics, che può funzionare fino a 300 °C con efficienze di recupero anche’esse dal 18 al 24%. L’installazione di apparecchiature di recupero del calore ad alte temperature richiede un’attenta attività di progettazione e costruzione, che deve essere eseguita da personale qualificato. In particolare, bisogna fare attenzione ai seguenti punti: - valutazione dell’accettabilità per il forno delle conseguenze di una caduta di pressione maggiore del solito sul percorso aria-bruciatorigas combusti, con riferimento alla possibilità di correzione con ventilatori o inserimento di un ventilatore provvisorio - valutazione dell’impatto sugli strumenti di controllo del forno - verifica delle eventuali modifi-

che da apportare al bruciatore qualora lo si alimenti con aria più calda - verifica del fabbisogno di manutenzione dell’attrezzatura, per evitare depositi e corrosione che potrebbero annullare i risparmi programmati. L’Installazione di analizzatori automatici dei fumi, come l’apparecchiatura EFSOP, che controlla l’alimentazione dei bruciatori in funzione della composizione chimica dei fumi di combustione, è un intervento raccomandabile e molto frequente. TECNOLOGIE A MEMBRANA

La tecnologia delle membrane si è rapidamente sviluppata nell’ultima decina di anni ed è diventata una tecnologia di separazione largamente impiegata per un’ampia serie di applicazioni. Il grande vantaggio delle tecnologie a membrana è il consumo energetico relativamente basso, se confrontato con le altre tecnologie di separazione disponibili, quali ad esempio la distillazione e l’evaporazione.

Le tecnologie a membrana possono essere impiegateusat in numerosi sistemi di separazione: - filtrazioni a membrana sotto pressione, come ad esempio micro, ultra, nanofiltrazioni e filtrazioni ad osmosi inversa, per il trattamento di liquidi - elettromembrane, in cui membrane provviste di carica elettrostatica vengono usate per separare delle particelle a loro volta provviste di carica (si tratta di una tecnologia combinata di elettrolisi e membrane) - membrane per la separazione di gas, per separare ad esempio anidride carbonica e idrogeno - membrane a pervaporazione, impiegate ad esempio per rompere miscele azeotropiche; recentemente sono state sviluppate membrane di pervaporazione in ceramica, idonee a svolgere il lavoro anche a temperature di processo superiori a 100 °C (al contrario delle più comuni membrane polimeriche, che non possono essere utilizzate oltre 100 °C) - pertrazione (cioè permeazione+ estrazione) con membrane liquide. Una membrana liquida è for-

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mata da una struttura di supporto in membrana porosa con un liquido polimerico che riveste i pori. Il polimero è scelto in base alla sua affinità con i componenti che devono essere separati dal flusso in ingresso. Con il rivestimento di liquido polimerico, la membrana realizza il trasporto dei soluti in due fasi liquide separate dalla membrana stessa, che vengono contemporaneamente alimentante e sottoposte a "stripping". Uno degli impieghi tradizionali di questo processo è costituito dal trattamento delle acque di scarico: ad esempio, i reflui contaminati da sostanze aromatiche o da idrocarburi clorurati possono essere depurati tramite l’assorbimento in un agente organico di estrazione. La membrana rappresenta l’interfaccia tra il refluo e l’agente estrattore; il fatto che l’agente estrattore sia tenuto separato dal refluo è un grande vantaggio, se messo a confronto con i processi di estrazione convenzionali, che richiedono una fase aggiuntiva di separazione.


il solare efficiente sperimentati con successo

Reattori per l’accumulo termochimico dell’energia e impiego di peptidi e componenti fotosintetici invece di materiali semiconduttori L’energia proveniente dalle risorse rinnovabili può essere irregolare nel breve periodo quando il vento si placa, le acque diventano calme e le nuvole nascondono il sole. Lo sviluppo di un accumulo efficiente dal punto di vista energetico e dei costi consentirebbe ai sistemi di alimentazione di accumulare l’energia in eccesso rispetto alle necessità immediate e di recuperarla quando serve. L’energia solare concentrata (CSP) è particolarmente adatta per soddisfare una richiesta intermittente poiché si può associare all’accumulo di energia termica su larga scala. Una simile tecnologia è interessante poiché è sicura e non produce emissioni di gas a effetto serra. Anche se è semplice come concetto, l’accumulo di calore a temperature elevate, efficiente dal punto di vista dei costi e per lunghi periodi, non è affatto facile da realizzare. Un team di ricercatori, impegnati nel progetto TCSPOWER (Thermochemical energy storage for concentrated solar power plants) ha convalidato con successo soluzioni reattore/scambiatore di calore per l’accumulo termochimico di energia in impianti CSP, superando le principali difficoltà legate alle alte temperature. La convalida del concetto del reattore è stata effettuata in un sistema su scala pilota con una capacità di circa 100 kWh. Gli scienziati hanno affrontato questo compito con reazioni termochimiche reversibili, che sono endotermiche in una direzione per assorbire il calore da accumulare ed esotermiche in senso inverso per liberare il calore per il blocco di alimentazione. I materiali utilizzati sono basati su ossidi metal-

lici: ossido di manganese e ossido di calcio. La reazione redox dell’ossido di manganese è avvenuta a 700 °C ed è destinata a un

funzionamento aperto, visto che l’ossigeno che partecipa alla reazione può essere scambiato con l’ambiente. D’altro canto, l’ossi-

do di calcio reagisce in modo reversibile con il vapore acqueo in un intervallo di temperature compreso tra 400 e 600 °C ed è stato pensato di integrarlo in centrali termoelettriche. L’innovativo concetto del reattore è progettato per raggiungere un livello voluto di potenza, ma è allo stesso tempo indipendente dalla capacità richiesta. Di conseguenza, la capacità può essere facilmente aumentata aggiungendo ulteriori serbatoi economici per contenere la quantità voluta del materiale per la reazione. Per spostare i solidi reattivi attraverso la zona di reazione, nel caso dell’ossido di manganese i ricercatori hanno ridotto in granuli la polvere reattiva. Per migliorare il flusso dell’ossido di calcio essi hanno aggiunto additivi nanostrutturati alla polvere. Questa soluzione, efficiente ed economica per l’accumulo dell’energia termica, consente di sfruttare la possibilità di accumulo a lungo termine e senza perdite offerta dall’accumulo termochimico dell’energia. Combinata con la generazione CSP, questa tecnologia garantirà una fornitura energetica più stabile, poiché offre una piena dispacciabilità per lunghi periodi di accumulo. Ulteriori miglioramenti al reattore faranno progredire la tecnologia verso la fase di commercializzazione. La tecnologia di TCSpower dovrebbe accelerare l’adozione delle fonti energetiche rinnovabili, dato che la loro discontinuità non rappresenterà più un problema. Sempre sul fronte dell’efficienza energetica in ambito solare, interessanti le prospettive offerte dal Continua a pag. 34

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Continua da pag. 33

NUOVE TECNOLOGIE PER IL SOLARE ITALIANO

Il solare efficiente progetto PEPDIODE (Peptide-based diodes for solar cells). Gli scienziati hanno sviluppato un sistema modulare biomimetico di molecole che agiscono come raccoglitori di luce e guide per gli elettroni. I diodi a base di peptidi hanno consentito il flusso unidirezionale di elettroni. Sono stati accoppiati a building block ad hoc che indirizzano gli elettroni verso i moduli fotosintetici per produrre un dispositivo che genera fotocorrente. Il team è riuscito a sviluppare la tecnologia in modo che potesse sintetizzare dense serie di peptidi con una stampante laser: sono stati prodotti 10.000 peptidi per cmq, poi trasferiti su un supporto solido. Gli scienziati, inoltre, sono riusciti ad accoppiare le serie di peptidi a un chip di misurazione. Hanno anche dimostrato la prima prova di principio che potrebbe sintetizzare una serie di peptidi ad alta densità(25 milioni per cmq) in piccole cavità. In particolare, i ricercatori hanno prodotto una superficie nanostrutturata di 10.000 spot/cmq di un aminoacido fluoroforo in grado di assorbire la luce a specifiche lunghezze d’onda. Hanno creato un processo per fare superfici in oro su singoli elettrodi pixel con un eccellente contatto elettrico con il semiconduttore metallo ossido complementare (CMOS): un grande risultato, dato che l’oro non è compatibile con il processo CMOS. Il chip potrebbe anche misurare caratteristiche I-V

Nonostante il nome, la MX Holding è un’azienda italiana che produce moduli fotovoltaici in silicio cristallino. Recentemente ha annunciato l’avvio di una joint venture con la società americana Natcore Technology, con lo scopo di sviluppare nuove tecnologie in grado di dare ai pannelli “made in Italy” una marcia in più rispetto a quelli oggi sul mercato. La nuova so-

di tutti i peptidi della serie simultaneamente. I ricercatori hanno sviluppato strutture proteiniche e sequenze di peptidi che possono essere usate per sistemare cromofori e centri di reazione a distanze definite gli uni dagli altri. Possono essere

usati anche per auto assemblare centri di reazione artificiali, unità di raccolta della luce e diodi a base di peptidi a determinate distanze in sub-nano-scala, permettendo in definitiva celle solari economiche auto-assemblate e modulari con la maggior parte dei moduli costruiti in Escherichia coli. Il team ha anche utilizzato piccole molecole che erano espresse in modo ricombinante per trovare molecole che trasmettono stati di eccitazione ai cromofori vicini. Inoltre, ha analizzato una piccola proteina che potrebbe coordinare un paio di clorofille simili alla coppia speciale nei centri di reazione dei fotosistemi. La tecnologia Pepdiode aprirà le porte a celle solari organiche ad alta efficienza e a basso costo, molto più sottili e leggere, per produrre elettricità in modo molto più economico rispetto alle centrali elettriche convenzionali e con vantaggi significativi per l’ambiente.

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cietà svolgerà soprattutto attività di ricerca, focalizzandosi su tre diverse aree: gli emettitori selettivi, con i quali si conta di aumentare del 2% l’efficienza dei moduli fotovoltaici; la passivazione del lato posteriore, che dovrebbe ridurre il numero di difetti strutturali presenti nello strato superiore delle celle fotovoltaiche, prolungandone la vita utile; la crescita epitassiale, con la quale si conta di produrre i “wafers” di silicio sopra supporti riutilizzabili. Verranno utilizzate tecnologie particolarmente innovative, come la deposizione in fase liquida (LPD), che è considerata più sicura, meno costosa e con minore impatto ambientale, rispetto alla tecnologia di deposizione chimica in fase vapore impiegata attualmente. Per la realizzazione pratica dei progetti che usciranno dalla nuova joint venture, è prevista la costituzione di una società tra MX Holding, Natcore, ed altre 5 società italiane che attualmente costruiscono pannelli fotovoltaici utilizzando componenti di produzione asiatica.


macchine & strumentazione Robuschi, azienda specializzata nella produzione di compressori oil-free a bassa pressione, soffiatori a lobi, pompe per vuoto ad anello liquido e pompe centrifughe (parte di Gardner Denver Industrials Group) ha di recente lanciato Robox Screw Hi Pressure 65/2P con l’innovativo pannello di controllo HMI, un sistema touch screen di ultima generazione e all’avanguardia dal punto di vista tecnologico. Si tratta di un sistema in grado di monitorare il funzionamento dell’intero gruppo e di permettere la connessione remota tramite cavo ethernet o via web. In questo modo è possibile controllare costantemente il funzionamento della macchina ovunque ci si trovi. Diagnostica remota e manutenzione predittiva contribuiscono a ridurre i periodi di fermo-impianto. Il dispositivo è facile da utilizzare e programmare rispettivamente grazie a un menu intuitivo e al sistema Windows CE, oltre a consentire il collegamento in remoto. Sull’innovativo pannello di controllo HMI, nello specifico, sono visualizzabili i seguenti comandi: stato della macchina, dove poter ordinare l’avvio e l’arresto, e dove si possono impostare i settaggi principali; pressioni e velocità, dove vengono mostrati i valori delle pressioni e le velocità del motore; temperatura, dove vengono visualizzati i valori delle temperature della macchina (T1, T2, T3, T4); allarmi, dove si rintraccia la storicizzazione degli allarmi. Questa funzione comprende anche: il testo evento, dove compare il nome dell'allarme; il tempo evento, dove viene inserita la data e l’ora di quando l'allarme si è verificato; la descrizione, dove è possibile inserire una breve de-

nuovo look per robox robuschi

Aggiunto un innovativo pannello di controllo HMI touch screen di ultima generazione

Robox Screw Hi Pressure 65-2P Pannello di controllo HMI

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scrizione dell'allarme per rendere più intuitivo il riconoscimento dell'allarme stesso. A corredo di questo, vi è anche la funzionalità trend, dove viene visualizzato graficamente l'andamento dei valori di pressioni, temperature, velocità. Il sistema consente di gestire i comandi di start e stop in locale, cioè da HMI, oppure con due pulsanti posti sul bordo macchina se in remoto. Nella sezione settaggi e utilità, premendo il pulsante rosso “Help” indicato con la freccia, è possibile entrare nella pagina d'aiuto, dove si trovano i manuali della macchina e lo schema elettrico. Il tutto è a portata di mano e di facile accesso. Senza dubbio, il nuovo pannello HMI fornisce un vantaggio competitivo anche per il service. Non ci sarà, infatti, nessun problema a ricordarsi il prossimo intervento o la frequenza degli intervalli di manutenzione: il tutto verrà segnalato in modo chiaro ed immediato sul sistema di controllo. Inoltre, Robox Screw lavorerà sempre alle massime prestazioni con il minor consumo energetico, grazie alla regolazione precisa dei parametri di funzionamento in base alle necessità di processo, grazie al tool Smart Process Control. Quest’ultimo analizza e applica i dati ricevuti direttamente dal processo, oltre a regolare i parametri di funzionamento, senza incorrere in nessuna interruzione. In aggiunta, la possibilità di pianificare in modo preciso gli interventi di manutenzione, in base alle reali esigenze, consentirà di ridurre considerevolmente i fermi impianto ed aumentare, di conseguenza, la durata della vita del gruppo compressore con conseguenti savings energetici e di investimento.


laboratori

L’impronta digitale degli inquinanti spettrometria di massa rivisitata

Una tecnica complessa, ma con elevatissima sensibilità, utilizzata in campo ambientale e opportunamente modificata in base alle esigenze analitiche Laboratorio Arpat Livorno: ha messo a la spettrometria di massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS) e la cromatografia ad ultra-alta prestazioni con spettrometria di massa ad alta risoluzione abbinata a frammentazione collisionale. La spettrometria di massa è una tecnica analitica utilizzata per identificare prodotti incogniti e per determinarne le proprietà chimiche e strutturali, oltre che per misurare le quantità di prodotti noti presenti, anche a bassissima concentrazione, entro miscele complesse. Oltre all’estrema sensibilità, il vantaggio di questa tecnica è che le quantità di campione richieste sono minime; in alcuni casi è sufficiente 1 picogrammo, cioè 1 milionesimo di milligrammo.

I principi che stanno alla base dell’analisi mediante spettrometria di massa non sono semplici. COME E’ FATTO UNO SPETTROMETRO DI MASSA?

Per comprendere il funzionamento di uno spettrometro di massa è opportuno esaminarne i diversi componenti e le relative funzioni. Il primo elemento è il sistema di separazione dei componenti, al quale segue l’introduzione del campione. La separazione è necessaria perché in caso siano presenti diversi composti l’interpretazione dell’analisi diventerebbe molto difficile e in alcuni casi impossibile. Come mezzi di separazione si usano di solito i metodi cromatografici (gascromatografia o cromatografia in fase liquida)

oppure per i metalli la scarica al plasma. I diversi componenti vengono introdotti in successione entro la camera di ionizzazione, dalla quale è stata estratta l’aria. Una volta che il campione è stato introdotto nell’apparecchiatura, inizia la prima fase dell’analisi, che consiste nella ionizzazione del campione stesso, cioè nella sua trasformazione in frammenti elettricamente carichi (ioni). Questo viene di solito ottenuto mediante bombardamento con un fascio di elettroni ad alta energia, prodotti da un filamento incandescente e accelerati mediante un campo elettrico. L’urto degli elettroni con le molecole da analizzare produce ioni sia positivi che negativi; di solito vengono scelti gli ioni positivi (che sono più abbondanti) i quali, mediante “lenti

Accettazione dei campioni di acque di balneazione

elettromagnetiche”, vengono attratti e focalizzati in modo da ottenere un fascio, che penetra nell’analizzatore vero e proprio. L’analizzatore è un dispositivo che separa gli ioni in base al loro rapporto massa/carica. Gli ioni presenti infatti avranno una massa, che può essere uguale a quella della molecola di partenza (se questa non è stata frammentata), oppure più bassa, in quanto derivanti dalla rottura di questa; la carica è nella maggior parte dei casi uguale a +1, ma può essere anche superiore, secondo come si rompono i legami chimici della molecola di partenza. La separazione degli ioni in base al rapporto massa/carica può avvenire con diversi metodi, e quelli più usati sono: settori magneto-elettrostatici, sistemi a quadrupolo,

Monitoraggio delle acque di balneazione (campioni e piastre) Hi-Tech Ambiente

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trappole ioniche, risonanza ionica ciclotronica in trasformata di Fourier (FT-ICR), sistemi a tempo di volo (indicati con la sigla TOF, cioè Time of Flight). I diversi “pacchetti” di ioni separati in base al loro rapporto massa/carica entrano nel rivelatore, dove generano un segnale mediante l’emissione di particelle (elettroni, fotoni o altri ioni), che vengono raccolte, misurate e tradotte mediante un calcolatore in un grafico, chiamato “spettro di massa”. Questo grafico riporta sull’asse x il vapore del rapporto massa/carica e sull’asse y la frequenza con cui si presentano i diversi ioni, cioè la loro “abbondanza” in uscita dall’analizzatore. L’aspetto dello spettro di massa costituisce una specie di “impronta digitale”, che consente l’identificazione delle molecole appartenenti a specie conosciute; mentre i rapporti massa/carica dei diversi ioni forniscono informazioni sui gruppi chimici presenti, consentendo di risalire alla struttura di molecole ignote. Nel caso si voglia usare la spettrometria di massa per eseguire analisi quantitative (ad esempio, la ricerca di una sostanza inquinante), il sistema viene predisposto per rivelare uno o più ioni tipici dell’inquinante cercato, e l’intensità del segnale generato da questi ioni può essere correlata con la concentrazione dell’inquinante stesso; la tecnica è definita “rivelazione di ioni selezionati” (SIM, Selected Ion Monitoring) o “frammentografia di massa”. APPLICAZIONI IN CHIMICA AMBIENTALE

Un’applicazione classica è la determinazione di diossine, furani e PCB; per questa applicazione sono stati sviluppati sistemi di gascromatografia + spettrometria di massa (GC-MS) “su misura”, in grado di rivelare concentrazioni dell’ordine dei femtogrammi (1 miliardesimo di milligrammo!). PCB e diossine sono spesso correlati alla presenza nell’ambiente di esaclorobenzene e pesticidi organo-clorurati. Anche queste sostanze vengono normalmente determinate via GC-MS, dopo estrazione del campione con microonde e purificazione con speciali resine. Alcuni lavori compiuti dal Laboratorio Arpat di Livorno, e relati-

Spettrometro di massa a plasma accoppiato induttivamente (ICP-MS)

vi alla presenza di inquinanti nei mari toscani, sono particolarmente interessanti. Sensibilità analoghe a quelle per le diossine sono state raggiunte nella determinazione del tributilstagno (TBT) nelle acque di mare e superficiali. Il TBT è stato largamente usato come biocida nelle vernici marine, ma successivamente (nel 2003) è stato vietato ed è oggi considerato una delle “sostanze pericolose prioritarie” (spp), da tenere sotto controllo nell’ambiente marino. Il Laboratorio Arpat di Livorno ha utilizzato un metodo GC-MS per misurare le concentrazioni di TBT nelle acque della Toscana, riscontrando valori spesso superiori ai limiti di legge nelle aree costiere ad alta densità di traffico marittimo. Un altro metallo che è classificato come spp dalla normativa europea è il mercurio; la sua presenza nelle acque marine deriva sia dalle attività umane che da fonti naturali, ma in ogni caso la determinazione analitica delle quantità di mercurio nei corpi idrici è necessaria ai fini della classificazione del loro stato chimico (D.M. 260/2010). Questa determinazione è particolarmente difficile a causa delle bassissime concentrazioni (intorno a 1 milionesimo di grammo per litro) e delle sostanze interferenti, presenti spesso in matrici complesse come l’acqua di mare. Il Laboratorio Arpat di Livorno ha messo a punto un metodo per l’analisi diretta del mercurio nelle acque di mare, utilizzando la tecnica della Spettrometria di Massa a Plasma Accoppiato Induttivamente (ICP-MS).

Questa tecnica utilizza una torcia al plasma, con l’estremità finale posta in una bobina di induzione alimentata da corrente elettrica ad alta frequenza, per produrre la ionizzazione di atomi di argon. Il plasma così prodotto ha una temperatura tra 6.000 e 10.000 °K, per cui i campioni vengono istantaneamente vaporizzati e ionizzati per urto con gli elettroni liberi e

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gli ioni Ar+. Non sono solo i metalli pesanti a creare problemi all’ambiente marino: anche diserbanti oggi largamente utilizzati, come il glifosato, finiscono prima o poi nelle acque. Poiché il glifosato è stato recentemente classificato come “probabile cancerogeno per l’uomo”, la sua concentrazione nell’ambiente deve essere mantenuta al livello più basso possibile. Il Laboratorio Arpat di Livorno ha appositamente sviluppato una tecnica analitica la cui complessità si intuisce dal suo stesso nome: cromatografia ad ultra-alta prestazioni, con spettrometria di massa ad alta risoluzione abbinata a frammentazione collisionale. Questa nuova tecnica è stata accreditata come Norma UNI-EN-ISO/IEC 17025: 2005 ed ha consentito il raggiungimento di un limite di determinazione di 0,005 microgrammi/ litro. I risultati della campagna di monitoraggio intrapresi nel 2016 sulle acque della Regione Toscana non sono incoraggianti: la contaminazione da glifosato appare molto diffusa, con intervalli di concentrazione da 0,05 a 24 microgrammi/litro.


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termoformatura; additivarlo in forma liquida all'interno di processi esistenti, come vernici o liquidi o altre sostanze a base acquosa; nebulizzarlo o spruzzarlo sul prodotto finito o semilavorato. Il risultato finale è quello di ottenere sempre un prodotto o materiale batteriostatico, in modo permanente e senza biocidi.

Bio Eco Active progetta e produce nuovi materiali “intelligenti” in grado di fornire applicazioni innovative bio ed eco compatibili e soluzioni tecnologicamente avanzate per svariate applicazioni. È la natura stessa ad ispirare i ricercatori, che studiano i meccanismi biologici naturali per ottenere tecnologie e smart materials eco-friendly. Ed è proprio lo studio della natura che ha permesso di progettare un’importante applicazione con il semplice utilizzo di oligoelementi totalmente naturali, senza l’aggiunta di biocidi. Abatox è un processo batteriostatico brevettato, con il quale Bio Eco Active commercializza un trattamento privo di biocidi o nanoparticelle, completamente naturale ed eco-friendly, senza l’utilizzo di sostanze tossiche e senza modificare le caratteristiche fisiche e meccaniche del materiale. L’applicazione può essere effettuata su qualsiasi polimero anche prima dell’estrusione, ottenendo come risultato un materiale di partenza completamente batteriostatico. L’applicazione di questa tecnologia innovativa può essere inoltre impiegata su superfici di ogni tipo, come plastiche, legno, metalli, tessuti, fibre e altro ancora. L’unicità di questi trattamenti è data dall'uso di ioni zinco, che hanno un ruolo fondamentale contro la proliferazione batterica, mostrando attività antimicrobiche contro i diversi tipi di ceppi batterici e fungini. Lo ione zinco, fra le sue diverse proprietà, non permette lo sviluppo batterico, agendo come Agisce direttamente sulla membra-

nea Flavio Ruffini, direttore dell'Appa - si possono avviare anche sperimentazioni su nuove metodologie in campo ambientale>>. L'Appa è uno dei pochissimi enti pubblici in Italia che attualmente possono vantare nella propria strumentazione un sistema cosiddetto "GC-Q-Orbitrap". La nuova attrezzatura consente sia analisi chimiche mirate che analisi chimiche di sostanze sconosciute in partenza e, quindi, non rilevabili con i metodi tradizionali. Rispetto al passato, infatti, questo tipo di problematiche risultano sempre più presenti. Il punto forte del nuovo strumento è la risoluzione di massa che consente, tra l'altro, un'analisi molto più accurata di composti non noti. Il software integrato dello spettrometro rende possibile successivamente in automatico confrontare tutti gli spettri di massa trovati in un campione. Lo strumento, inoltre, offre la possibilità di condurre simultaneamente o separatamente le analisi anche in altre modalità per aggiungere informazioni strutturali ulteriori.

tecnologia brevettata abatox

na cellulare, inibendo così o limitando la replicazione batterica senza uccidere il microorganismo, semplicemente crea un ambiente ostile alla proliferazione batterica. Il sistema è particolarmente flessibile: è possibile miscelarlo direttamente sui granuli o polveri polimerici prima di un’estrusione o di una

APPA BOLzANO

L’accuratezza è al top

Grazie all'acquisto di un nuovo sistema di spettrometria di massa, l'Agenzia provinciale per l'ambiente di Bolzano può perfezionare ulteriormente le analisi e gli

esami condotti dai tecnici dei laboratori nel campo ambientale e delle sostanze chimiche. Ma non è tutto. <<Con questo strumento - sottoli-

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HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

PROVE DI TENUTA PER SERBATOI


SPECIALE PROVE DI TENUTA PER SERBATOI CARFER SERBATOI La conoscenza di tutte le problematiche legate all'ambiente e l'esperienza acquisita sul campo nell'assoluto rispetto delle norme di sicurezza permettono alla Carfer Serbatoi di offrire numerosi servizi: dalla pulizia e bonifica dei serbatoi alle Prove di tenuta, dalla vetrificazione dei serbatoi e vasche in C.L.S., dalla demolizione alla riduzione volumetrica dei serbatoi in loco, ecc. La prova di tenuta del serbatoio permette di verificare eventuali perdite per certificare l'integrità dello stesso o evidenziando rotture. L'operazione viene svolta, a seconda dei casi, a pressione con bombola o ad ultrasuoni con apparecchiatura.

COMETTO WALTER Carfer Serbatoi lavora nel pieno rispetto delle normative riguardanti la verifica periodica della tenuta dei serbatoi; ed è convinta che sia altrettanto importante per la salvaguardia dell'ambiente essere in grado di prevedere possibili fuoriuscite di prodotto inquinante nel sottosuolo effettuando regolarmente il test di tenuta del serbatoio con sistemi non distruttivi ad ultrasuoni e ove possibile anche con analisi visiva, previa pulizia e bonifica del serbatoio. L’azienda, infatti, conseidera la bonifica una fase fondamentale e svolge questa operazione ancora manualmente con idonea attrezzatura antiscintilla per la raschiatura di tutto il perimetro interno del serbatoio. In seguito effettua la pulizia con lancia ad alta pressione e successivamente la ventilazione forzata fino al raggiungimento di gas free. Si tratta di un'operazione necessaria per permettere al tecnico incaricato di accedere all'interno del serbatoio ed effettuare una valutazione dello stato di usura del lamierato.

www.carferserbatoisrl.it

COSMARI Le conoscenze, le capacità tecniche e le procedure, messe a punto in anni di lavoro dai propri tecnici oltre ai mezzi di cui dispone, permettono a Cosmari di intervenire per svolgere attività di pulizia e bonifica su vasche e serbatoi, anche interrati, rilasciando opportune certificazioni che ne consentano la dismissione oppure il reimpiego in sicurezza secondo quanto previsto dalla normativa vigente. Le operazioni sono effettuate mediante metodologie tradizionali, con ingresso degli operatori opportunamente equipaggiati, o mediante l’uso di idonee attrezzature, garantendo in ogni caso risultati ottimali. Il lavoro all’interno di spazi confinati può comportare un elevato livello di rischio per la gravità delle conseguenze che ne potrebbero derivare. Per tale motivo è necessario

E' provato, una volta installato e interrato un serbatoio ci si dimentica che esiste. Eppure circa i 3/4 dei serbatoi interrati, sia per acqua che per gasolio, sono soggetti nel giro di pochi anni a fenomeni di ossidazione che, se non bloccati, possono portare alla perforazione delle pareti e dalla fuoriuscita del liquido contenuto. Allo scopo, la Cometto Walter esegue prove di tenuta con metodo a depressione con ultrasuoni, con rilascio di certificati grafici e certificato di collaudo. Questa manutenzione serve per evitare inquinamenti e per avere il serbatoio a norma di legge. Questa prova, utilizzata sia al momento del collaudo del serbatoio che per la sua ordinaria manuten-

zione, viene effettuato dall’azienda mediante un test a tenuta stagna del serbatoio stesso. Si tratta del metodo SDT TankTest, un sistema non invasivo che creando una depressione nel serbatoio consente di verificarne la tenuta; un software dedicato analizza i dati rilevati dalle sonde, che vengono successivamente stampati sul certificato di collaudo.

www.comettowalter.it

C.S.E. operare secondo un protocollo del tutto particolare, che può prevedere anche tanti step di intervento, a cominciare dalla delimitazione dell’area con segnaletica, all’utilizzo di idonee attrezzatura antiscintilla per l’eventuale bonifica manuale dei serbatoi. Il monitoraggio dei serbatoi e delle tubazioni è effettuato con l’ausilio di impianti di videoispezione e prove di tenuta con varie tecnologie. I serbatoi interrati, successivamente a tutte le attività di verifica, possono essere rimossi o inertizzati con conseguente smaltimento dei rifiuti prodotti (rottame, terreno, fondami, ecc.). Si può inoltre prevedere la caratterizzazione e bonifica eventuale del terreno di appoggio del serbatoio.

www.cosmari.net

Collaudi, test di tenuta, controllo spessori, stato d’uso e conformità alle norme, su serbatoi di qualunque tipo e tubazioni, sia interrati sia fuori terra, sono oggi eseguiti con tecnologie d’avanguardia, riconosciute dalle autorità italiane e da molte autorità straniere. C.S.E. esegue test di tenuta su cisterne, tubazioni, pozzetti e vasche di raccolta, in quanto la perfetta tenuta è molto importante per evitare dispersione di materiali sul e nel terreno che ne rimarrebbe contaminato. Considerando i costi per perdita di prodotto e danni agli immobili e terreni e per i conseguenti interventi di riparazione e bonifica, tutti questi controlli sono sicuramente necessari. I controlli non sottopongono a stress il serbatoio per la messa in pressione e possono essere effettuati sia con serbatoio pieno, parzialmente pieno o vuoto. In ogni caso viene verificata la tenuta dell’intero serbatoio, sia della parte sommersa dal liquido sia di quella non sommersa, individuan-

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do anche le perdite di piccola entità. Questo permette di intervenire prima che si verifichino gravi danni e prima che il serbatoio venga definitivamente compromesso. Il tempo di fermo serbatoio normalmente non supera le 3 ore, ed il personale addetto è formato per il lavoro in ambienti confinati.

www.cse-engineering.it



SPECIALE PROVE DI TENUTA PER SERBATOI ECOMAGIC EcoMagic è specializzata nelle prove di tenuta con metodi non distruttivi e di massima qualità, effettuate su diversi tipi di serbatoi e altri manufatti che contengono qualunque tipo di liquido, compreso gasolio, benzina e qualsiasi composto chimico. I serbatoi possono essere interrati, parzialmente interrati e fuori terra, e realizzati con qualsiasi materiale. I metodi utilizzati per le prove di tenuta sono diversi e applicati in base alle specifiche del serbatoio o manufatto da testare. Il metodo MassTech viene applicato su serbatoi con grado di riempimento superiore al 70%, oppure in combinazione con la metodologia Ullage per serbatoi con grado di riempimento compreso tra l’11% ed il 70%. Il metodo consente di determinare la condizione di tenuta del serbatoio misurando, attraverso un sensore di pressione calato sul fondo del manufatto e tramite l’immissione di gas inerte (azoto), le variazioni di pressione applicata dalla colonna di liquido al netto delle va-

ECOMEDIT riazioni di pressione atmosferica e, quindi, la massa del prodotto contenuta nel serbatoio. Il metodo Ullage viene applicato su serbatoi con grado di riempimento fino al 10%, oppure in combinazione al metodo MassTech per serbatoi con grado di riempimento compreso tra l’11% ed il 70%. Viene generata una depressione all’interno del serbatoio e mantenuta per circa un’ora, monitorando eventuali cali di depressione a circuito sigillato, unitamente all’analisi acustica ad ultrasuoni delle emissioni sonore all’interno del serbatoio, permettono così di rivelare eventuali condizioni di non tenuta del manufatto. Il metodo Volumetrico prevede di calare una sonda all’interno del serbatoio per rilevarne il volume. Qualsiasi minimo scarto viene rielaborato per emettere il giudizio di tenuta o meno e, nel caso, di quantificare l’eventuale rateo di perdita rilevato nell’arco di esecuzione della prova.

www.ecomagic.it

La cadenza con cui devono essere eseguite le prove di tenuta sui serbatoi è indicata nel Regolamento d’igiene emesso dal Comune oppure dalle linee guida dell’Arpa. In linea generale, annualmente per i serbatoi installati da oltre 30 anni o con data di installazione sconosciuta e biennale per i serbatoi attivi da 15/30 anni. I serbatoi a doppia camera, invece, prevedono il controllo dal 15° anno. EcoMedit effettua prove di tenuta su vasche, serbatoi e cisterne, con metodi non distruttivi assicurando la massima velocità e professionalità. Il metodo MassTech viene utilizzato per serbatoi con grado di riempimento superiore al 70%, oppure in combinazione con la metodologia Ullage per serbatoi con grado di riempimento tra 11-70%. Si determina la condizione di tenuta del serbatoio misurando la massa del prodotto contenuto attraverso un sensore di pressione. Le letture dei valori vengono registrate ogni minuto per circa un’ora, poi l’analista incrocia i vari dati con parametri esterni e determina l’esito della prova.

Per effettuare la prova di tenuta di cisterne o serbatoi con grado di riempimento fino al 10%, o in combinazione al metodo MassTech per serbatoi con grado di riempimento tra 11-70%, EcoMedit utilizza la metodologia Ullage. Dopo aver raccolto dati sul serbatoio, si crea una depressione controllata che viene monitorata dall’operatore per un’ora, ed effettua un’analisi acustica ad ultrasuoni delle emissioni sonore all’interno del serbatoio. Nel metodo volumetrico, EcoMedit utilizza un software proprietario opportunamente tarato sui dati del serbatoio e lo collega a una sonda che viene fatta calare nella cisterna dando vita al processo di rilevazione/analisi automatico con l’autodiagnosi di controllo funzionale. Con questa metodologia, qualsiasi minimo scarto viene rielaborato per emettere il giudizio di tenuta o per quantificare l’eventuale rateo di perdita/ingresso rilevato nell’arco di esecuzione della prova.

www.ecomedit.it



SPECIALE PROVE DI TENUTA PER SERBATOI EDAM SOLUZIONI Le prove di tenuta serbatoi di carburanti, vasche di depurazione e trattamento acque, vasche di contenimento, cisterne interrate e fuori terra, consentono di valutarne l’integrità, verificare l’assenza di incrinature o perdite e, conseguentemente, il rischio di contaminazione delle matrici ambientali circostanti. Pianificare attività di manutenzione ordinaria e straordinari limita fortemente i rischi di successive passività ambientale a cui rimediare. Edam Soluzioni utilizza tecnologie adatte ai diversi manufatti e loro livelli di riempimento. La principale tecnologia utilizzata sfrutta sistemi ad ultrasuoni. Il sistema di rilevamento dell’integrità di serbatoi interrati permette di rilevare la presenza della più piccola foratura od incrinatura del serbatoio, consentendo di valutare il suo stato in modo efficiente ed affidabile. Il principio su cui si basa consiste nel sottoporre un serbatoio ad una leggera depressione e nel rilevare gli ultrasuoni generati dalle eventuali forature o crepe presenti nel serbatoio stesso. I

ITALPOL principali vantaggi sono: rapidità d’intervento, perché non richiede lo svuotamento del serbatoio, consentendo di ridurre tempi e costi d’esecuzione; assenza d’impatto ambientale, perché il sistema a depressione evita fuoriuscite da fori o crepe eventualmente presenti; efficienza ed affidabilità, poiché il sistema è certificato dai principali Enti internazionali e risponde ai requisiti tecnici previsti dalla normativa italiana; sicurezza, dato che tutte le apparecchiature sono omologate per operare in zone ad alto rischio ed in presenza di prodotti infiammabili. La tecnologia utilizzata serve per verificare, tramite l’impiego di ultrasuoni, lo spessore delle lamiere al fine di determinare lo stato di corrosione delle stesse. Il sistema Edam Soluzioni Tank consente di verificare l’effettiva volumetria del serbatoio in modo da permettere al committente di riallineare i dati in suo possesso.

www.edam.it

MAN.EL.SERVICE Come è facile intuire i serbatoi interrati sono soggetti ad aggressioni da parte di ossidi, specie sul fondo e da correnti galvaniche che li corrodono dall′esterno. Con anni di esperienza nell’ambito delle prove dirette, Man.El.Service può verificare contemporaneamente con una sola prova l′eventuale presenza di diversi deterioramenti. Allo scopo l’azienda dispone di diversi dispositivi SDT che consentono di effettuare la prova di tenuta del serbatoio qualunque sia la situazione di carico; quindi, sia a serbatoio vuoto che pieno, è possibile individuare e distinguere le seguenti tipologie di perdite: perdite sul passo d′uomo (molto pericolose nel caso di piogge abbondanti che intasino e riempiano il pozzetto); perdite sul fondo del serbatoio o sulle pareti sommerse dal liquid; perdita lungo

Italpol per le prove di tenuta non distruttive di serbatoi e tubazioni utilizza il metodo S.D.T. TankTest System che, sfruttando tecnologie ad ultrasuoni non richiede lo svuotamento, la pulizia né la bonifica preventiva del serbatoio ma semplicemente la messa fuori servizio dello stesso per un tempo molto breve. La sensibilità di questo metodo consente di rilevare perdite anche di 0,002 litri/ora, ed il principio su cui si basa il controllo è semplice e sicuro: sottoponendo il serbatoio ad una depressione di max -150 mBar, le eventuali perdite presenti generano degli ultrasuoni sia sotto che sopra il livello del liquido contenuto nel serbatoio, che il sistema S.D.T. rilevare tramite due sonde. Grazie a questo metodo è possibile rilevare la presenza anche della più piccola foratura o incrinatura, consentendo così di valutare lo stato di tenuta del serbatoio. La prova di tenuta si esplica sostanzialmente: nello scollegamento del serbatoio dalle tubazioni di carico, d'aspirazione e d'equilibrio; nel sigillare i tubi d'aspirazione e d'equilibrio; nel collegare

un manicotto al tubo di carico del serbatoio, in cui vengono fatti passare i cavi di collegamento tra le sonde ed il sistema S.D.T.; nel posizionamento delle sonde ad ultrasuoni, una in immersione nel fluido, a circa 20 cm di profondità, ed una nello spazio libero tra il fluido e la parte superiore del serbatoio; nel collegamento al manicotto della pompa d'aspirazione dell'aria con valvola tarata a -250Mb; nel sottoporre il serbatoio a leggera depressione (i sensori rilevano eventuali ultrasuoni prodotti da forature o crepe, che vengono trasmessi al sistema SDT, il quale li rende udibili all'orecchio umano e ne visualizza i picchi in dB su un display); nel digitalizzare, il valore campionato e quindi crearne un'analisi spettrale in grado di evidenziare l'ampiezza dei picchi per ogni valore di frequenza, sia nella fase liquida che nella fase gassosa; nell'analizzare i valori riscontrati ed emetterne la certificazione.

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MARAZZATO la presa d′aria, anche se essa non sfocia sul passo d′uomo; perdite lungo le condutture connesse al coperchio del passo d′uomo; trafilamenti lungo la guarnizione; perdite sul cielo del serbatoio o sulle pareti emergenti dal liquido. Sommando i tempi di preparazione, di prova e di dismissione e rimozione delle apparecchiature, si può affermare che in meno di 2 ore sarà possibile testare e certificare qualsiasi serbatoio interrato, con il sistema SDT approvato da Unichim.

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Il Gruppo Marazzato è impegnato da oltre 60 anni nella fornitura di servizi ecologici ad aziende e privati finalizzati alla salvaguardia dell'ambiente. Storicamente attivo negli spurghi civili e industriali, offre anche servizi di videoispezione e bonifica serbatoi. La solidità aziendale, lunga sessant'anni, la continua attenzione nei confronti delle normative di sicurezza sul lavoro, la sentita necessità di un'adeguata formazione del personale e una gamma di soluzioni ampia e aggiornata garantiscono al cliente prestazioni di elevata qualità e affidabilità. Le prove di tenuta serbatoi sono fondamentali per stabilire gli interventi sui serbatoi interrati e per prevenire o limitare eventuali inquinamenti del sottosuolo. Esistono due sistemi di intervento in base al grado di riempimento del serbatoio da provare: il metodo Acoustic Ullage ed il metodo di controllo di massa. Il sistema Acoustic Ullage, certifi-

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cato Sira per la sicurezza ed Epa per la protezione ambientale, consente di rilevare la presenza della più piccola foratura nella struttura di una cisterna con il 100% di probabilità di individuazione della perdita. Tale metodo è utilizzabile per la verifica della parte vuota ad integrazione del test volumetrico, su cisterne vuote o al massimo con il 10% di riempimento. Il metodo di controllo di massa, certificato Baseefa per la sicurezza ed Epa per la protezione ambientale, è invece utilizzabile sulla parte bagnata di serbatoi contenenti qualsiasi tipo di prodotto chimico non corrosivo, con qualsiasi livello di riempimento. L’apparecchiatura utilizzata consente il rilevamento della massa del prodotto, attraverso la formazione ed il conseguente rilascio di bollicine di azoto da una sonda magnetica posizionata sul fondo della cisterna.

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SPECIALE PROVE DI TENUTA PER SERBATOI NUOVA CONTEC Nuova Contec è tra gli apripista a livello nazionale per le prove di tenuta secondo gli standard europei. La prova di tenuta è la misurazione di una perdita che, a seconda dello standard di prova adottato, rientra, o no, nella tolleranza ammessa. Lo strumento e la metodologia adottata devono essere in grado di quantificare tale misurazione in modo affidabile, univoco e ripetibile a prescindere dalla normativa di riferimento. Con la gamma di prodotti Nuova Contec si possono eseguire prove di tenuta su diversi componenti, dalle condotte e pozzetti fognari, alle condotte acquedottistiche ai

SERBACONTROL serbatoi e alle vasche, dalle sorgenti ai pozzi artesiani. Diversi i metodi per eseguire le prove di tenuta su pozzetti e condotte fognarie, condotte acquedottistiche, serbatoi e vasche. Si va dal metodo ad aria, per prove di tenuta di condotte fognarie, al metodo ad acqua, per prove di tenuta di fognature fino al metodo DLG, per prove di tenuta di vasche e contenitori non in pressione. Le prove di tenuta ad aria comportano un notevole risparmio in termini di tempo rispetto alle prove di tenuta ad acqua, aumentando così la produttività. Le prove di tenuta ad acqua sono l'unica alternativa possibile per il collaudo di manufatti quali pozzetti, essendo la prova ad aria assolutamente sconsigliabile in questo caso. Per poter determinare, invece, se un contenitore (vasca o serbatoio) è a tenuta idraulica in accordo con una data normativa si sfrutta il principio di Archimede.

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STUDIO GATTONE Lo studio tecnico Ing. Mauro Gattone è specializzato, da 25 anni, nelle verifiche e prove di tenuta o collaudo di vasche e manufatti eseguite con una particolare strumentazione in grado di accertare la tenuta perfetta e l'assenza di percolazioni di liquidi o liquami nel sottosuolo. Lo studio fa uso del metodo Level Scanner, applicabile a vasche, cisterne e serbatoi, interrati o parzialmente interrati, realizzati in cemento armato, acciaio, ecc. La durata di un test dipende da superficie e volume del manufatto e viene calcolata mediante un apposito programma di calcolo sviluppato dallo stesso studio. Ad esempio: per una vasca 5x5x5 m occorrono circa 30 minuti; per una vasca 10x10x5 m sono necessarie circa 2 ore. Durante la prova di tenuta col me-

Per garantire l'integrità dei contenitori, Serbacontrol fornisce la prova collaudo e di tenuta dei serbatoi. Queste operazioni eseguite con professionalità ed attrezzature all'avanguardia sono fondamentali per tenere sempre sotto controllo la qualità dei liquidi in stoccaggio e la salvaguardia dell'ambiente circostante. Gli esperti a disposizione dell'azienda intervengono con tempestività in casi urgenti e programmano i servizi per manutenzioni ordinarie. Le prove di collaudo e tenuta dei serbatoi eseguite dalla squadra di operai di Serbacontrol sono studiate per offrire risposte attendibili e tempestive sulla qualità delle vasche e dei contenitori in uso. L'azienda si avvale di strumentazioni adeguate per controllare la presenza di fessure, buchi e quindi di fuoriuscite di liquidi nelle cisterne. I metodi impiegati sono applicati a contenitori vuoti e pieni, e consentono di rilevare in tempi brevi e con

precisione eventuali anomalie. Queste operazioni di verifica sono molto importanti perché la presenza di falle nel contenitore comporta seri danni, quali: fuoriuscita del liquido con conseguente inquinamento; infiltrazioni nel contenitore di aria e gas con potere deteriorante. Attraverso sistemi ad ultrasuoni le operazioni di prova per il collaudo e la tenuta dei serbatoi analizzano lo stato della cisterna e garantiscono sicurezza. Tutti gli interventi eseguiti sono certificati e rispondenti alle ultime normative di legge. L’azienda impiega il metodo SDT TankTest System ad ultrasuoni, che è sicuro, veloce, efficiente ed economico. Grazie a questo sistema interviene in diversi ambiti in tutto il Nord Italia, dal piccolo serbatoio dell'abitazione civile agli enormi impianti industriali di società internazionali, ferroviarie ed aeroportuali.

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TORRICELLI IMPIANTI todo Level Scanner la vasca deve essere piena del liquido ma devono essere interrotti gli afflussi e le uscite del liquido. Il riempimento del manufatto potrà avvenire eventualmente con acqua, al posto del liquido o del liquame normalmente contenuto, ed il riempimento potrà essere anche parziale. In questo caso, verrà esaminata solamente la parte del manufatto occupata dal liquido. Il test di tenuta è il seguente: viene installata un’apposita strumentazione di misura collegata a un PC con software concepito e realizzato dallo studio Gattone; si registrano, ad intervalli di tempo regolari e tramite il software, le misure rilevate con la strumentazione. L'elaborazione dei dati rilevati resi in forma di diagramma e la certificazione di perfetta tenuta a firma di tecnico abilitato e iscritto all'ordine degli ingegneri, viene rilasciata per attestare la qualità del manufatto presso enti di controllo, collaudatori delle opere, gestori dell'impianto, committenza.

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La Torricelli Impianti utilizzando la tecnologia SDT TankTest System, riconosciuta da Unichim e Asso Petroli, offre il servizio di prova e verifica di tenuta non distruttiva su serbatoi interrati. La tecnologia SDT si basa su un sistema ad ultrasuoni completo per il controllo della tenuta dei serbatoi interrati e delle derivazioni associate, tramite l’applicazione di una depressione nel serbatoio e l’ascolto degli ultrasuoni. Questa metodologia è molto più sensibile rispetto a qualsiasi altra prova di tenuta a pressione e consente l’intervento senza richiedere lo svuotamento o il riempimento del serbatoio. Evidenzia ogni difetto di tenuta rendendolo udibile e misurabile, garantendo

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così un intervento veloce, preciso ed efficace. Ogni dato e misurazione della prova di tenuta viene memorizzato all’interno del sistema informatico per poi fornire al termine della prova un report indicante: richiedente, sito d’intervento e serbatoio testato; misurazioni del sensore riportati in tabelle e grafici; risultato della prova di tenuta.

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reti idriche

La ricerca delle perdite Nelle vecchie reti

Metodi acustici, metodo a gas tracciante, metodo termografico e distrettualizzazione È un luogo comune affermare che gli acquedotti italiani sono dei colabrodi;  la  percentuale  media  di perdite del nostro sistema idrico è del  30%,  corrispondente  a  2,61 miliardi  di  metri  cubi  d’acqua  ogni anno, che si traducono in 226 milioni di euro di costi di potabilizzazione e distribuzione. La media  dei  Paesi  europei  è  intorno  al 20%; d’altra parte, il costo per gli utenti  dell’acqua  potabile  italiana è  (ancora)  tra  i  più  bassi  d’Europa,  e  le  aziende  distributrici  non hanno quindi molti incentivi a investire in programmi di controllo, ricerca ed eliminazione delle perdite.  NON TUTTI I TUBI SONO UGUALI

Tradizionalmente  la  ricerca  delle perdite  nelle  reti  di  distribuzione idrica viene eseguita con mezzi acustici, in quanto la fuoriuscita di acqua produce un rumore con particolari  caratteristiche.  Un  tempo ci si affidava all’orecchio dei fontanieri, mentre oggi sono disponi-

bili  strumenti  molto  più  accurati. I metodi acustici hanno però delle limitazioni  intrinseche,  come:  i materiali usati nelle condotte, poiché  le  condotte  in  plastica  assorbono  i  suoni,  limitando  la  distanza  alla  quale  possono  essere  percepiti;  il  diametro  delle  condotte, poichè  più  è  grande  il  diametro

più  i  suoni  vengono  attenuati;  la pressione  dell’acqua,  poiché  le perdite  a  bassa  pressione  fanno molto  meno  rumore  rispetto  a quelle ad alta pressione; il terreno esterno  alla  tubazione,  poiché  le condizioni più favorevoli si hanno su un terreno compatto. Quanto sopra non significa che in

condizioni  sfavorevoli  la  ricerca delle  perdite  sia  impossibile;  significa  solo  che  risulterà  più  costosa,  perché  sarà  necessario  utilizzare strumenti più sensibili, oppure ricorrere a metodi di ispezione  interna,  come  sensori  immersi Continua a pag. 48

UN CASO ITALIANO

L’acquedotto di Reggio Emilia A Reggio Emilia il Consorzio Agac (oggi confluito nel gruppo Iren) aveva fin dal 1994 iniziato a implementare la distrettualizzazione della rete, estendendola progressivamente fino a coprire l’area di tutta la provincia. Questa operazione aveva portato buoni risultati nella eliminazione delle perdite e nel miglioramento generale dell’efficienza; ma un deciso passo avanti è stato compiuto recentemente, grazie all’adozione di un sistema denominato RTCP (Real Ti-

me Critical Point) della Fast. Il sistema regola in tempo reale la pressione in ingresso in un’area prescelta (comprendente uno o più distretti), sulla base dei valori di pressione registrati in un punto (definito “critico”) scelto come quello che sarebbe il primo a creare disservizi in caso di pressione insufficiente. L’algoritmo di regolazione (Master Control System) regola la pressione in ingresso all’intera area sui valori minimi atti a garantire un adeguato servizio agli

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utenti. Il sistema è stato installato nell’area di Pieve Modolena, comprendente tre distretti, con una popolazione complessiva di 20.000 abitanti. I risultati sono stati spettacolari: 70% di riduzione delle perdite, 63% di riduzione delle rotture (soprattutto sulle derivazioni), oltre 280.000 mc/anno di risparmio idrico. Sulla base di questi benefici, il costo di investimento per il sistema RTCP è stato recuperato in soli 15 mesi.


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La ricerca delle perdite che  si  muovono  (autonomamente o sotto traino) entro le tubazioni. I  metodi  acustici  oggi  utilizzati comprendono  le  aste  geofoniche, i  correlatori  ed  i  geofoni;  questi ultimi  sono  il  mezzo  più  utilizzato, in quanto (almeno in condizioni  favorevoli)  non  richiedono  il controllo  diretto  con  la  tubazione e  possono  essere  impiegati  sulla superficie  stradale.  È  necessario, però,  conoscere  esattamente  il percorso  della  tubazione,  perché il  metodo  di  ricerca  consiste  nel seguire passo passo sul terreno la

esercizio. Si segue poi passo passo  il  percorso  della  tubazione  in superficie,  impiegando  uno  strumento  “cercafughe”  opportunamente  tarato  per  la  ricerca  dell’idrogeno; il punto di massima concentrazione  dell’idrogeno  in  superficie  corrisponde  alla  verticale sopra la perdita.  IL METODO TERMOGRAFICO

Le  telecamere  termografiche  a raggi  infrarossi  sono  largamente utilizzate  nell’industria  per  localizzare le perdite negli scambiatori  di  calore  e  negli  impianti  di  riscaldamento; per le reti idriche si sfrutta  la  differenza  tra  la  tempe-

qua  in  uscita  =  acqua  consumata +  eventuali  perdite).  Nelle  utenze civili il consumo nelle ore notturne  è  prossimo  a  zero,  per  cui  il monitoraggio della portata notturna  (all’ora  dei  minimi  consumi) fornisce immediatamente un’indicazione delle perdite; se si ottiene un  valore  considerato  anomalo  in base  ai  dati  “storici”  ed  a  quelli dei  distretti  limitrofi  con  analogo numero  di  utenti,  occorre  procedere  ad  una  analisi  passo  passo, chiudendo uno dopo l’altro i tratti di rete e verificando le perdite residue. Questo consente di localizzare  l’area  delle  perdite  senza condurre  lunghe  e  costose  operazioni  di  ricerca  “sul  campo”;  una

volta identificata e riparata la perdita, si procede ad un nuovo controllo  della  portata  notturna,  che fornirà il valore base da cui partire nei futuri accertamenti. Dopo che questa procedura è stata ripetuta  su  tutta  la  rete,  il  passo successivo  può  essere  la  prevenzione  delle  perdite,  mediante  una corretta  gestione  della  pressione di rete: poiché le perdite aumentano di frequenza e di entità all’aumentare  della  pressione,  la  registrazione  dell’andamento  delle perdite  in  funzione  della  pressione  consente  di  gestire  quest’ultima  in  modo  da  minimizzare  le perdite  senza  creare  disservizi  agli utenti.

SOS PERDITE IDRICHE

Un robot nel tubo

fonte  di  rumore:  dove  il  rumore raggiunge  la  massima  intensità sarà localizzata la perdita. Gli  strumenti  più  moderni  sono  i “noise  loggers  multicanale”,  che raccolgono automaticamente i dati  su  punti  diversi  della  rete,  trasmettendo  le  informazioni  ad un’unità  ricevente  montata  su  un automezzo  e  trasportata  a  mano. Risulta  così  possibile  controllare in tempi brevi aree molto estese.  IL METODO A GAS TRACCIANTE

Il  principio  di  questo  metodo  si basa sulla facilità che ha l’idrogeno  (in  quanto  è  l’elemento  più leggero  e  con  la  molecola  di  minori dimensioni) di attraversare la maggioranza  dei  materiali  e  dei terreni,  uscendo  verticalmente  in superficie.  La  condotta  da  ispezionare  viene  completamente svuotata,  indi  riempita  con  il  gas tracciante  (miscela  di  95%  azoto e  5%  idrogeno)  ad  una  pressione leggermente  superiore  a  quella  di

ratura dell’acqua in circolazione e quella  del  terreno  sovrastante. Poiché questa differenza varia secondo  le  stagioni  ed  a  volte  è  di bassa entità, è opportuno di solito riconfermare  la  localizzazione della  perdita  con  un  successivo accertamento mediante geofono o gas tracciante. LA DISTRETTUALIZZAZIONE

La  disponibilità  di  modelli  matematici di simulazione della rete idrica,  abbinata  ad  una  sua  razionale  suddivisione  in  distretti  ed alla  trasmissione  a  distanza  delle misure  di  portata,  consente  di  tenere la rete permanentemente sotto controllo e localizzare le perdite prima che si aggravino.   La rete viene suddivisa in distretti,  provvisti  di  un  misuratore  di portata all’ingresso; se il distretto comunica con altri, devono essere disponibili  anche  misuratori  in  uscita.  In  questo  modo  è  possibile costruire un bilancio idrico del distretto (acqua in entrata meno acHi-Tech Ambiente

Coprendo una superficie di oltre 2 milioni di km, le reti di distribuzione  idrica  europea  necessitano  di  un  miglioramento,  dato che  perdono  fino  a  un  quarto del  loro  approvvigionamento  di acqua  attraverso  le  rotture.  E’ quindi  fondamentale,  data  la scarsità  della  preziosa  risorsa  idrica, disporre di una tecnologia che  sia  in  grado  di  localizzare qualunque perdita. Per affrontare  questo  problema,  il  progetto europeo  TRACT  (In-pipe  flexible  robot  for  water  pipes  inspection)  ha  sviluppato  un  avanzato  sistema  di  monitoraggio delle tubature. Tale  sistema  è  composto  da  diversi  componenti  chiave.  Un meccanismo  trasportato,  sotto forma di robot, contiene sensori per  il  rilevamento  delle  perdite ed  il  monitoraggio  delle  condizioni dei tubi.  Essendo  caratterizzato  da  dimensioni  simili  alla  maggior

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parte delle condutture idriche esistenti, questo meccanismo può essere  inserito,  navigare  e  ispezionare  tubi  stretti  fino  a  10 centimetri di diametro. Un meccanismo di entrata nel tubo permette  al  robot  di  fare  ingresso nei tubi idrici senza la necessità di una loro chiusura.  Un  sistema  di  sensori  e  algoritmi  di  fusione  dei  sensori  correlati  consentono  al  robot  di  rilevare e localizzare danni alle tubazioni,  perdite  e  relative  dimensioni.  Un  software  contribuisce a mappare la rete di condutture idriche. Il  lungo  robot  a  forma  di  siluro con  propulsione  a  elica  viene guidato  attraverso  i  sistemi  di tubazioni.  E’  dotato  di  64  trasduttori  di  grandi  dimensioni che  trasmettono  e  ricevono  segnali a ultrasuoni. Attraverso la raccolta di dati, gli operatori sono in grado di calcolare lo spessore e il livello di corrosione.



Acquedotto  Pugliese  gestisce  una rete  idrica  complessa.  Quasi 40.000  km  di  condotte  idriche  e fognarie,  con  una  età  media  elevata,  oltre  40  anni,  ed  a  servizio di  un  territorio  vasto  e  articolato. Negli  ultimi  anni  AQP  ha  quindi avviato iniziative di monitoraggio e  controllo  della  rete  innovative, grazie  all’apporto  delle  più  moderne  tecnologie  (digitali  ed informatiche)  ed  avvalendosi  della collaborazione di primari istituti scientifici e aziende specializzate di settore. IL SISTEMA SIMPLE

SIMPLe  (System  for  Identifying and  Monitoring  Pipe  Leaks)  è  un innovativo sistema di ricerca perdite,  brevettato  dall’azienda  MoniTech,  spin  off  dell’Università del  Salento,  che  sfrutta  le  microonde  per  localizzare  le  perdite in reti idriche e fognarie. La sperimentazione su larga scala di questo sistema è il frutto di una collaborazione,  avviata  nel  2011, tra  l’Università  del  Salento  (sotto la  responsabilità  scientifica  del prof.  Andrea  Cataldo),  il  Politecnico  di  Bari  (prof.  Nicola  Giaquinto) e l’Acquedotto Pugliese.  Una prima esperienza pilota è stata  realizzata  su  una  nuova  rete  idrica nel leccese, per un’estensione  di  circa  10  km,  con  risultati confortanti. Diversamente  dai  sistemi  ricercaperdite tradizionali, SIMPLe è più efficace,  preciso,  affidabile,  economico, permette di ridurre i tempi di ispezione ed è utilizzabile in qualunque condizione di esercizio della  rete  (anche  con  scarsa  pressione  in  rete  o  in  presenza  di  rumori ambientali, aspetti che generalmente limitano il campo di utilizzo di altre tecniche). L’innovativa  tecnologia  di  rivelazione  perdite  sfrutta  la  propagazione  (e  la  relativa  riflessione)  di un  segnale  elettromagnetico,  facendolo “viaggiare” attraverso “elementi  sensibili”  opportunamente  predisposti  in  fase  di  realizzazione  della  rete,  ed  adattati  alla topologia dell’impianto.  Il  concetto  funzionale  di  base  risiede nella possibilità di rivelare e localizzare  i  cambiamenti  (riflessioni)  del  segnale  elettromagnetico provocati dalla presenza di acqua  libera  fuoriuscita  dalla  conduttura  in  seguito  ad  un  guasto  o rottura,  individuando  sullo  schermo  del  labtop  il  punto  esatto  in

SOS perdite in AQP Tecnologie alternative

Le ultime sperimentazioni: l’innovativo sistema SIMPLe a microonde e l’utilizzo di droni per la video ispezione dei tubi

la  connessione  con  l’apparato  di rivelazione  (ubicati  nei  normali pozzetti) e, grazie ad un applicativo  software  dedicato,  è  possibile disporre  anche  dell’identificazione  automatica,  della  geo-localizzazione  su  mappe  satellitari  e  di un  aggiornamento  dinamico  del database. Di  fatto,  questa  modalità  operativa rappresenta un approccio innovativo  alla  gestione  ottimale dell’efficienza  degli  impianti;  infatti,  per  controllare  la  rete  basta semplicemente  collegare  l’apparato  di  test  al  “punto  di  accesso” all’elemento  sensibile  (preventivamente  identificato  e  localizzato nell’impianto),  in  corrispondenza del tratto di rete che si vuole ispezionare. L’elemento necessario per la connessione fra apparato di test ed elemento  sensibile  è  alloggiato  in appositi  pozzetti,  già  predisposti lungo  l’intero  impianto  ed  opportunamente  identificati  e  geo-referenziati. IL DRONE

Drone Seaeye Saab modello Falcon

cui  avviene  la  perdita,  così  da rendere l’intervento di riparazione molto più rapido ed economico. Il segnale  elettromagnetico  che viaggia nei vari tratti di elemento annessi  alle  condutture  dell’impianto,  rimane  infatti  costante  in condizioni di funzionamento standard,  mentre  subisce  dei  sostanziali  cambiamenti  proprio  in  pre-

senza di perdite. Al fine di predisporre  in  via  permanente  gli  impianti  (sia  idrici,  sia  fognari)  per tale  metodologia  diagnostica,  le condutture vengono dotate in fase di  posa  in  opera  degli  elementi sensibili  passivi  di  cui  il  sistema necessita  per  il  convogliamento del  segnale.  Tali  elementi  sono corredati dei relativi accessori per

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Il Canale Principale rappresenta il tratto  più  importante  dell’acquedotto  Sele  Calore.  Si  sviluppa complessivamente  per  circa  245 km e consente di trasportare l’acqua captata dalle sorgenti del Sele e  del  Calore  in  Puglia  e  Basilicata. Il  Canale,  soprattutto  nel  tratto appenninico,  sin  dai  primi  anni dalla sua realizzazione, per le metodologie  costruttive  utilizzate  e le  caratteristiche  geotecniche  dei terreni  attraversati,  è  stato  sottoposto  ad  una  serie  di  interventi manutentivi,  resi  necessari  da  fenomeni  di  dissesto,  anche  molto gravi. L’attività  di  monitoraggio  e  controllo  di  tali  opere  è  di  primaria importanza. Finora solo la costante  attività  di  ispezione  svolta  dai tecnici  AQP  ha  permesso  di  prevenire  la  maggior  parte  degli  eventi accidentali. Per poter procedere al monitoraggio  e  controllo  di  tale  opera,  fino ad  oggi,  è  stato  necessario  procedere  alla  temporanea  interruzione del  flusso  idrico  nel  Canale  per consentirne le visite ispettive. L’interruzione  del  flusso  idrico nel  Canale  presenta  le  seguenti principali  criticità:  difficoltà  nel garantire  la  sicurezza  per  gli  addetti AQP che operano in ambienti confinati soggetti a dissesti; du-


rata limitata nel tempo per non ridurre il livello di servizio garantito;  estensione  ridotta  dei  tratti  ispezionabili;  elevato  impatto  ambientale,  connesso  al  maggior consumo  di  energia  elettrica  che si  deve  sostenere  per  compensare in parte la risorsa idrica mancante durante  il  periodo  di  interruzione del  flusso  nel  canale  principale con  altre  fonti  di  approvvigionamento  (potabilizzazione  dell’acqua degli invasi e/o estrazione dai pozzi);  costi  ingenti  per  ogni  interruzione. AQP ha così avviato la sperimentazione  di  un  drone  relativamente ad un tratto di Canale normalmente  non  assoggettabile  a  verifiche per  ragioni  di  continuità  operativa, per uno sviluppo complessivo di  circa  3  km  complessivi.  Allo scopo  è  stato  utilizzato  il  Saab Seaeye  modello  Falcon,  un’apparecchiatura  di  norma  usata  per  le ispezioni  subacquee  di  piattaforme  petrolifere,  porti,  dighe,  ecc., opportunamente modificata per adattarla alle particolari condizioni di impiego. A  causa  della  forte  velocità  della corrente, che si aggira intorno a 1 m/s,  è  stato  infatti  necessario  ancorare  il  drone  ad  un  sistema  di ritenzione per accompagnarlo, recuperarlo  e  trainarlo.  L’operazione non ha necessitato di personale subacqueo  ma  solo  di  un  sistema di  sollevamento,  lancio,  recupero e traino del veicolo. Sull’apparecchiatura,  oltre  alle dotazioni  necessarie  al  galleggiamento e al movimento, è stata in-

stallata  la  seguente  strumentazione:  una  videocamera  a  colori  ad alta  risoluzione  montata  su  piattaforma  in  grado  di  ruotare  di 180°;  un  sistema  sonar,  un  con-

trollo automatico della direzione e della profondità. I  dati  raccolti  vengono  trasmessi attraverso  un  cavo  ombelicale, neutro  al  galleggiamento,  in  fibra

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ottica, e visualizzati in tempo reale in un centro di comando e controllo  realizzato  all’interno  di  un furgone  posizionato  all’uscita  del canale. L’intera ispezione è stata condotta senza alcuna interruzione del flusso nel canale Principale. L’attività  svolta  in  questo  modo ha presentato i seguenti vantaggi: assenza  di  interruzione  del  flusso idrico  in  canale;  alta  qualità  del dato  e  sua  standardizzazione  (ovvero la valutazione di un eventuale  dissesto  è  direttamente  demandata  ad  un  dato  oggettivo,  e  non ad una valutazione individuale del tecnico  che  in  quel  momento  sta effettuando  l’ispezione);  possibilità di ispezionare tratti del Canale  che  non  sono  ispezionati  da tempo; possibilità di effettuare l’ispezioni in qualsiasi momento; riduzione dei costi di ispezione. Questi  aspetti  positivi  pongono questa  metodologia  ispettiva  potenzialmente  in  seria  concorrenza con  l’ispezione  classica  e,  sulla base  dell’esperienza  fatta,  ne  costituiscono una valida alternativa.


Il risanamento in tempi record Una sola azienda per tante soluzioni

Idropulizia, ampiamento ed impermeabilizzazione di vasca di sedimentazione, riabilitazione trenchless di condotta con tecnologia Hose-Lining e con tecnica CIPP

Depuratore oggetto degli interventi nel Distretto Conciario Toscano

Tracciato della riabilitazione con tecnologia Hose-Lining

Durante  il  triennio  2014-2016  uno dei  principali  impianti  di  depurazione delle acque reflue, civili e industriali  provenienti  dal  Distretto Conciario Toscano, sceglie di risanare il proprio patrimonio tecnologico  adottando  tecniche  non  invasive. In aggiunta al progressivo aumento  della  potenzialità  depurativa, l’impianto su cui si sono riversati gli interventi è stato affiancato, negli anni, da un ampliamento proporzionale del bacino di utenze allacciate  al  sistema  di  raccolta  del depuratore;  già  nei  primi  anni  ‘90 furono  costruite  internamente  due differenti  linee  di  trattamento:  linea  domestica  (o  civile),  linea  industriale. In questi tre anni, diverse sono state  le  tipologie  di  intervento  che  si sono susseguite all’interno dell’impianto, sebbene tutte contraddistinte dalla comune caratteristica di essere state eseguite con una rapidità

INTERVENTO SU VASCA DI SEDIMENTAZIONE

senza  precedenti.  L’eccezionale velocità di esecuzione è stata ottenuta  da  una  parte  attraverso  l’impiego  di  tecnologie  trenchless  per la  riabilitazione  senza  scavo  di condotte  asservite  all’impianto, dall’altra  utilizzando  nuove  tecniche di pulizia quali il water jetting per l’esecuzione delle fasi preliminari all’intervento di ampiamento e impermeabilizzazione di una vasca per  la  sedimentazione  dei  reflui domestici.  Di seguito gli interventi che si sono succeduti: -  idropulizia,  ampiamento  ed  impermeabilizzazione di vasca per la sedimentazione dei reflui domestici -  riabilitazione  trenchless  di  1.560 m di condotta in PVC DN355 mediante tecnologia Hose-Lining -  riabilitazione  trenchless  di  70  m di  condotta  di  scarico  in  acciaio DN800 mediante tecnologia CIPP

L’incremento  volumetrico  della vasca  di  sedimentazione  per  i  reflui  domestici  ha  richiesto,  oltre all’innalzamento  delle  pareti  in calcestruzzo  armato,  il  ripristino della  struttura  interna  esistente nonché  l’impermeabilizzazione dell’intera struttura contenitrice, eseguite in questo ordine. La  riqualificazione  della  parte  esistente  ha  interessato  una  superfice pari  a  circa  760  mq,  inizialmente attraverso  l’asportazione  del  rivestimento  della  parete  mediante  idrolavaggio  delle  superfici  con getto  ad  alta  pressione  (fino  2.000 bar) seguito da intervento di passivazione  dei  ferri  sporgenti,  mediante  stesura  a  pennello  di  malta cementizia  anticorrosiva  per  la protezione  d’armatura.  Nella  fase successiva, sono state regolarizzate

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le  superfici  mediante  stesura  di malta cementizia fibrorinforzata ad elevata duttilità, a base di leganti a reattività pozzolanica per il rinforzo  strutturale  “armato”,  e  regolarizzati  i  supporti  in  calcestruzzo, materiale con alte caratteristiche di tenuta  alla  controspinta  ed  elevato potere aggrappante. L’impermeabilizzazione  è  infine avvenuta  ricoprendo  una  superfice pari a circa 970 mq. Questa fase ha previsto le seguenti attività: stesura a  rullo  di  primer  epossicementizio per  sottofondi  umidi  (prodotto  a contrasto  dell'umidità  in  contro spinta),  applicazione  di  primer  epossidico  trasparente  in  dispersione acquosa, applicazione mediante stesura  a  spruzzo  con  pompa  bimixer ad alta pressione di membrana bicomponente a base di poliurea pura,  priva  di  solventi,  per  la  realizzazione in situ di un rivestimento  impermeabile  per  opere  idrauli-


che.  La  corretta  organizzazione delle  fasi  sopra  descritte  ha  permesso  di  portare  a  compimento l’opera  nell’arco  di  appena  11 giornate lavorative consecutive. LA TECNOLOGIA HOSE-LINING

La  seconda  fase  dell’intervento  ha previsto la riabilitazione senza scavo di due condotte in PVC DN355 precedentemente adibite allo scarico fognario, poi convertite in condotte  forzate  a  servizio  dell’impianto  di  depurazione,  garantendo così  il  recapito  verso  lo  stesso  dei reflui  risultanti  dai  processi  industriali. Queste due condotte, a partire  dall’impianto  di  sollevamento sito in corrispondenza del Distretto Conciario  Toscano,  correvano  in parallelo in direzione dell’impianto di depurazione per una distanza di circa 800 m. Un’ulteriore  criticità  del  risanamento  è  stata  la  non  possibilità  di creare  punti  di  accesso  intermedi alla condotta, trovandosi al di sotto di lotti di proprietà privata. La necessità di riabilitare una condotta in pressione, unita alle grandi distanze  in  gioco  e  alla  mancata presenza  di  allacci,  ha  portato  alla scelta progettuale di procedere alla riabilitazione  delle  condotte  attraverso  l’impiego  della  tecnologia Hose Lining. Si tratta di una tecnologia trenchless che sfrutta l’utilizzo  di  una  manichetta  armata:  un tubolare  sintetico  molto  flessibile costituito da tre strati, generalmente una spalmatura esterna in materia plastica, un rinforzo mediano in fibra  di  natura  sintetica  ed  una spalmatura interna in PE. I vantaggi  legati  al  suo  utilizzo  risultano molteplici,  tra  questi:  capacità  di resistere a pressioni elevate, possibilità  di  installare  lunghezze  superiori  a  1.000  m  in  un’unica  soluzione,  velocità  di  installazione  di 600 m/h, aree di cantiere ridotte al minimo grazie alla natura flessibile del liner e alla possibilità che esso venga consegnato avvolto in bobina. Dopo  avere  sezionato  alle  due  estremità il ramo di condotta da riabilitare,  previa  un’accurata  attività di videoispezione seguita da una adeguata  attività  di  pulizia  della condotta, la messa in opera del tubolare  avviene  posizionando,  in corrispondenza  degli  scavi  o  dei pozzetti  precedentemente  predisposti  per  l’inserimento,  la  bobina di  tubolare.  Un  argano  idraulico

Fase di inserimento dell’Hose Liner

munito di cavo in acciaio viene posizionato  in  corrispondenza  dello scavo situato dalla parte opposta. A seguito della predisposizione degli  appositi  rulli  guida  in  corrispondenza delle due estremità della tubazione, il cavo in acciaio viene inserito all’interno della condotta  da  riabilitare  e  portato  fino all’altra  estremità.  Qui  si  procede al  collegamento  della  testa  di  tiro del  tubolare  con  il  cavo  in  acciaio e  quindi  all’inserimento.  L’Hose Liner viene trainato all’interno della  tubazione  ospitante  dall’argano idraulico  fino  al  completamento dell’intera distanza. A questo punto si procede al taglio della  testa  di  tiro  del  liner  ed  al montaggio di apposite flange (connettori)  con  speciale  sistema  di raccordo  anti  strappo  che  permettono di isolare totalmente il nuovo sistema  dal  vecchio  tratto  di  condotta  ospitante,  realizzando  un  sistema indipendente. Le  specifiche  del  Hose  Liner  impiegato per le due condotte oggetto di  intervento  risultano  le  seguenti: 352 mm di diametro esterno, 6 mm di spessore, >60 bar massima pressione  di  scoppio  a  breve  termine, 20 bar massima pressione nominale ammissibile nei 50 anni.

L’impego  della  tecnologia  Hose Liner  ha  consentito  di  rispondere al  meglio  alle  richieste  progettuali permettendo  di  effettuare  l’intervento di riabilitazione in appena 2 giornate lavorative consecutive. LA TECNOLOGIA CIPP

La  terza  fase  dell’intervento  ha previsto la riabilitazione senza scavo  di  una  condotta  sotterranea  di scarico dell’impianto. Tale condotta  in  acciaio  DN800,  partendo  dal bacino  di  disinfezione  della  vasca di  chiariflocculazione,  arrivava  ad un manufatto in calcestruzzo armato per lo scarico, per una lunghezza totale pari a circa 70 m. L’elevato  grado  di  corrosione  presente  all’interno  della  condotta rendeva  necessaria  la  sua  sostituzione, ma tenendo conto delle problematiche  connesse  ad  una  eventuale intervento di tipo tradizionale in trincea, è stato deciso di intervenire  attraverso  una  riabilitazione trenchless  con  tecnica  CIPP  (Cured In Place Pipe). Il risanamento con tecnica CIPP ha previsto, sfruttando il tiro di un argano  idraulico,  la  messa  in  posizione  all’interno  della  condotta  ospitante di una guaina fotoinduren-

Fase di idrolavaggio con getto ad alta pressione

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te  (liner)  in  fibra  di  vetro,  impregnata  in  stabilimento  con  resina poliestere,  avente  diametro  di  800 mm e spessore pari a 8 mm. Dopo l’inserimento la guaina viene gonfiata  ad  una  determinata  pressione  di  lavoro  e,  a  seguire,  polimerizzata. In questo caso il processo  di  polimerizzazione  sul  posto avviene  per  mezzo  di  un  treno  di luci  ultraviolette  trainato  all’interno  della  guaina  in  pressione,  con una  velocità  di  tiro  e  una  potenza delle luci tali da consentire un adeguato processo di “curing”.  La  resina  contiene  al  suo  interno un  catalizzatore  chimico  che  durante  la  fase  di  polimerizzazione consente il processo di indurimento del liner. Una volta polimerizzata, la guaina assume forma e sezione  del  tubo  ospitante  e  viene  fatta raffreddare  mantenendola  in  pressione.  Successivamente,  le  estremità sono state tagliate a lunghezza del tratto da ripristinare. Prevedendo in questo caso un funzionamento  a  pressione  della  condotta,  le  estremità  sono  state  opportunamente  sigillate  attraverso l’utilizzo  di  terminali  di  estremità in gomma EPDM con nastri tenditori  in  acciaio  inossidabile,  garantendo  che  il  nuovo  sistema  risulti totalmente  indipendente  dal  vecchio  tubo  e  che  non  si  realizzino infiltrazioni in testa e coda. L’intero  intervento  è  stato  portato completamente a termine nell’arco di sole 2 giornate lavorative consecutive.  La  straordinaria  rapidità che ha contraddistinto tutti e tre gli interventi  eseguiti  ha  permesso  di garantire  l’esecuzione  entro  il  mese  di  agosto,  favorendo  minori  disagi all’impianto durante il periodo di  minore  attività  delle  industrie appartenenti al Distretto Conciario Toscano.


tecnologie

Le B.A.T. dell’industria tessile Migliori tecnologie disponibili

Una dettagliata panoramica delle strategie  da adottare, sia di carattere generale  che per le singole fasi produttive 1^ parte

L’industria  tessile  rappresenta  un settore  importante  dell’economia europea; le aziende del settore sono principalmente concentrate in 5 Paesi,  che  insieme  coprono  l’80% dell’intera  produzione  tessile  del vecchio  continente:  Italia  (leader europeo, in cui si trova il 30% delle aziende tessili europee), Germania  (14%),  Inghilterra  e  Francia (13%) e Spagna (10%).  In Italia, l’industria tessile è caratterizzata da una netta predominan-

za di imprese di piccole e piccolissime  dimensioni,  spesso  a  conduzione familiare e concentrate in distretti ben definiti (come quello di Prato).  A  causa  della  globalizzazione, e della conseguente massiccia  delocalizzazione  di  molte  produzioni,  il  tessile  italiano  sta  vivendo  un  periodo  di  crisi;  ciononostante,  le  nostre  industrie  sono riuscite  a  mantenere  una  certa  supremazia in campo internazionale, grazie  al  raggiungimento  di  un  estremo  livello  di  specializzazione e di servizio al cliente.

B.A.T. DI CARATTERE GENERALE

Le  migliori  tecnologie  disponibili di  tipo  generale  nell’industria  tessile  possono  essere  sintetizzate questi  ambiti:  gestione,  controllo delle  materie  in  arrivo  e  dell’impiego  di  prodotti  chimici,  riduzione  dei  consumi  idrici  ed  energetici.  Gestione. Adottare tecniche di gestione ambientale e di corretta manutenzione  degli  impianti,  come l’implementazione  di  un  sistema

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di gestione ambientale (SGA). Attuare corsi di formazione specifici sui  materiali  pericolosi,  sul  loro impatto  ambientale  e  sulle  misure da  adottare  in  caso  di  incidente. Definire  procedure  documentate per la conservazione, il dosaggio e la distribuzione dei prodotti chimici, e l’adozione di sistemi informatizzati  di  processo;  in  particolare, quest’ultima BAT ha consentito di ottenere  una  riduzione  dei  consumi  idrici  ed  energetici  nel  processo di tintura.  Controllo delle materie in entrata. Per  risolvere  o  attenuare  i  problemi di contaminazione, è importante  raccogliere  dai  fornitori  delle materie prime tutte le informazioni possibili sulla presenza di sostanze pericolose, come agenti anti-parassitari,  e  sulla  quantità  e  qualità  di agenti di imbozzimatura impiegati. Nelle  piccole  aziende  tessili  che lavorano  per  conto  terzi  è  spesso difficile imporre limitazioni e controlli sul materiale in ingresso; nel caso  della  pettinatura,  il  fatto  che l’85%  della  lana  lavata  arrivi  da Australia  e  Nuova  Zelanda  è  una buona garanzia, dato che in questi Paesi  molti  antiparassitari  sono  al bando da tempo. Controllo dell’uso di prodotti chimici. Sostituire  gli  oli  minerali con  composti  maggiormente  biodegradabili,  meno  volatili  e  più termostabili, perchè consente la riduzione di cattivi odori e di emissioni. Sostituire i detergenti tossici


e  poco  biodegradabili  (come  APEO, cioè alchilfenoli etossilati, e NPE)  con  tensioattivi  bioeliminabili,  come  alcoli  grassi  etossilati. Attualmente,  i  NPE  (nonilfenoli polietossilati) sono stati completamente sostituiti da composti meno tossici e più degradabili, e in molti casi è stato ridotto l’impiego complessivo  di  tensioattivi.  Evitare, quando  possibile,  l’impiego  di  agenti complessanti o, altrimenti, adottare  molecole  maggiormente biodegradabili  (policarbonati,  poliacrilati, ecc.); sostituire gli agenti schiumogeni a base di oli minerali con siliconi, esteri fosforici, alcoli ad  alto  p.m.,  fluoroderivati.  In questo  modo  si  ottiene  una  diminuzione  del  carico  inquinante all’impianto di depurazione. Adottare  misure  per  prevenire  la  dispersione  accidentale  di  sostanze chimiche,  quali  stoccaggio  dei prodotti  chimici  in  locali  appositi, etichettatura di serbatoi e contenitori,  movimentazione  automatica dei  contenitori,  presenza  di  bacini di  contenimento,  utilizzo  di  impianti automatici di miscelazione e dosaggio, adozione di misure di emergenza  per  la  neutralizzazione, formazione degli addetti. Molte di

queste  BAT  risultano  già  essere applicate,  mentre  non  sempre  risulta  applicabile  il  dosaggio  automatico  dei  coloranti,  a  causa  del numero elevato di prodotti in uso.     Riduzione dei consumi idrici. Monitoraggio dei consumi idrici, dato che  la  disponibilità  di  dati  dettagliati  per  fase  produttiva  consente di  individuare  i  punti  critici  del processo  ed  effettuare  interventi mirati.  Ricircolo  delle  acque.  In molte  aziende  le  acque  di  raffred-

damento delle vasche di tintura sono  completamente  riutilizzate  nel ciclo produttivo; in altre si effettua il recupero parziale delle acque di processo,  previa  depurazione  effettuata  mediante  filtrazione  su sabbia o su carbone attivo, ozononizzazione  e/o  debatterizzazione con raggi UV. Nel caso delle pettinature,  il  recupero  avviene  mediante  riutilizzo  parziale  delle  acque  depurate  nella  prima  vasca  di lavaggio, trattamento dell’acqua di

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processo  nel  sistema  di  recupero delle  terre  e  del  grasso  di  lana  e rialimentazione alla linea di lavaggio, e con il recupero di acqua degli impianti di climatizzazione per la  solubilizzazione  dei  reagenti all’impianto di depurazione. Riduzione  del  rapporto  di  bagno,  nei casi in cui i valori elevati di questi rapporti  sono  riducibili  senza  impatto  sulla  qualità  richiesta  per  il prodotto  finale.  In  particolare,  la riduzione  del  rapporto  di  bagno non  risulta  tecnologicamente  applicabile alla tintura delle matasse, mentre  per  i  tessuti  “ordinari”  è possibile  operare  con  rapporti  di bagno prossimi a quelli nominali. Riduzione dei consumi energetici. Isolamento  termico  delle  tubature e  separazione  dei  flussi  delle  acque  calde/fredde,  riutilizzando l’acqua  di  raffreddamento  come acqua  di  processo.  Recupero  di  energia  dalle  acque  di  raffreddamento, operazione frequentemente applicata  tramite  scambiatori  di calore a piastre operanti sulle correnti calde degli scarichi dei bagni di tintura o utilizzando direttamente le acque già calde per i succesContinua a pag. 56


Continua da pag. 55

Le B.A.T. dell’industria tessile sivi cicli di tintura. Recupero di energia  dai  fumi  esausti.  Spesso questa  BAT  non  è  applicabile,  in quanto  i  fumi  non  presentano  un contenuto termico adeguato a giustificarne il recupero. B.A.T. SPECIFICHE PER PROCESSO

In  base  alla  fase  di  lavorazione  si hanno  specifiche  BAT.  Nell’ordine: Purga della lana. In questa lavorazione, le BAT sono dirette alla riduzione dei consumi idrici e al recupero del grasso e della sporcizia presenti  nella  lana.  Nel  caso  della purga  con  acqua,  il  consumo  ottimale  di  acqua  varia  da  2  a  6  l/kg di  lana  "sucida"  in  entrata,  a  seconda  delle  dimensioni  dell’impianto; il recupero del grasso varia dal  25  al  30%.  Analogamente,  i valori  associati  alla  BAT  per  il consumo  di  energia  sono  4,4-5 MJ/kg  di  lana  grassa  lavorata.  La centrifugazione  delle  acque  delle prime  vasche  di  lavaggio,  con  recupero del grasso, consente di raggiungere valori di efficienza superiori  a  quelli  previsti  dalle  linee guida attualmente seguite a livello europeo. La purga con solventi organici è considerata una BAT solo se  vengono  prese  tutte  le  misure necessarie  per  minimizzare  le  e- cante su tessuti delicati. L’effluenmissioni  fuggitive  in  atmosfera  e te  derivante  dal  candeggio  con  iprevenire  la  contaminazione  delle poclorito  deve  essere  tenuto  sepafalde.                                                                                            rato dagli altri flussi, al fine di riCandeggio. Come  agente  sbian- durre  la  formazione  di  AOX  pericante deve essere usata l'acqua os- colosi. sigenata, limitando l’uso di ipoclo- Dosaggio e distribuzione dei colorito di sodio ai casi in cui occorre ranti. Riduzione del numero di tinottenere un notevole effetto sbian- te. Uso di sistemi automatizzati, li-

mitando le operazioni manuali solo ai colori che vengono impiegati raramente.  Nelle  linee  continue lunghe,  preferire  stazioni  automatizzate  decentrate  (dotate  di  sistemi  automatici  di  pulizia),  in  cui  i diversi  prodotti  chimici  non  sono premiscelati  con  i  coloranti  prima del processo.

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Tintura discontinua. Selezionare nuovi macchinari, dando preferenza  a  quelli  che  prevedono:  basso rapporto di bagno, separazione del bagno  dal  substrato,  separazione interna  del  bagno  di  processo  dal bagno di lavaggio, estrazione meccanica  del  bagno  e  ridotta  durata del  ciclo.  Usare  macchinari  dotati di controlli automatici del volume di  riempimento,  della  temperatura e di altri parametri del ciclo di tintura,  sistemi  indiretti  di  riscaldamento  e  raffreddamento,  cappe  aspiranti e porte per minimizzare le perdite di vapore.  Scegliere  i  macchinari  più  adatti alle dimensioni del lotto da lavorare.  Sostituire  il  metodo  di  traboccamento con il metodo di “scarico e riempimento”, o con altri metodi ("risciacquo  intelligente").  Riutilizzare l’acqua di risciacquo per la successiva  tintura,  o  ricostituire  e riutilizzare il bagno di tintura se le condizioni tecniche lo consentono. Tintura PES. Evitare  l’impiego  di carrier  per  tintura  PES  (ad  esempio  eseguendo  la  tintura  ad  alta temperatura),  oppure  sostituirli con  composti  meno  pericolosi.  Evitare  l’impiego  di  idrosolfito  di sodio  in  post-trattamenti  del  PES, sostituendolo  con  agenti  riducenti basati su speciali derivati a catena corta  dell’acido  solfossilico  (che sono biodegradabili, non corrosivi, poco tossici), oppure coloranti che possono  essere  eliminati  per  solubilizzazione  alcalina  invece  che per riduzione. Tintura in discontinuo con coloranti reattivi. Utilizzare  coloranti reattivi  a  forte  fissazione  e  basso contenuto  di  sali,  al  posto  dei  coloranti  al  cromo.  Evitare  l’uso  di detergenti  e  agenti  complessanti nelle fasi di risciacquo e neutralizzazione dopo la tintura, ricorrendo


al  risciacquo  a  caldo,  associato  al recupero  di  energia  termica dall’effluente di risciacquo. Tintura della lana. Sostituire  i  coloranti al cromo con coloranti reattivi o, se ciò non è possibile, usare metodi  a  bassissimo  contenuto  in cromo,  che  non  introducano  cromo esavalente nelle acque di scarico. Minimizzare lo scarico dei metalli pesanti nelle acque reflue nella  tintura  della  lana  con  coloranti metallo-complessi, usando ausiliari che intensificano l’assorbimento del  colore,  o    metodi  di  controllo del  pH  per  massimizzare  l’esaurimento  del  bagno  finale  o  il  suo impiego per altri processi. Preferire un processo a pH controllato nei processi  di  tintura  con  coloranti (acidi e basici), in modo da ottenere una tinta uniforme con un massimo  esaurimento  dei  coloranti  e degli  insetticidi  e  un  minimo  uso di agenti omogeneizzanti  Stampa. Ridurre le perdite di pasta da  stampa  nei  processi  di  stampa rotativa  (ad  esempio  recuperando la  pasta  dal  sistema  di  alimentazione al termine di ogni ciclo, e riciclando  la  pasta  da  stampa  residua).  Ridurre  il  consumo  d’acqua nelle  operazioni  di  pulizia  (ad  esempio riutilizzando l’acqua di risciacquo  per  altre  operazioni  di pulizia).  Impiegare  macchine  per stampa  digitali  a  getto  di  inchiostro per pezze corte di tessuti piani, e per stampare tappeti e tessuti voluminosi. Stampa reattiva. Per  evitare  l’uso di  urea,  è  possibile  adottare  un procedimento  in  fase  unica  con aggiunta  controllata  di  umidità, oppure  un  metodo  di  stampa  in due fasi Stampa a pigmento. Le  BAT  prevedono  l’impiego  di  paste  da

stampa  ottimizzate,  che  presentano:  addensanti  a  bassa  emissione di  carbonio  organico  colatile  e  leganti  a  basso  tenore  di  formaldeide, assenza di APEO e alto livello di bioeliminabilità, basso contenuto di ammoniaca. Trattamento delle acque reflue. Può essere eseguito in loco o presso  un  vicino  impianto  di  trattamento  di  reflui  urbani.  Le  BAT per  il  trattamento  delle  acque  reflue prevedono innanzitutto il pretrattamento  di  singoli  flussi  selezionati e separati di acque reflue a forte concentrazione (COD >5.000 mg/l)  contenenti  composti  non biodegradabili  per  ossidazione chimica;  ma  se  non  è  possibile trattare  separatamente  i  flussi,  oc-

corrono ulteriori trattamenti fisicochimici,  quali:  trattamenti  terziari successivi al trattamento biologico (ad  esempio  l’adsorbimento  su carbone  attivo  con  riciclaggio  di quest’ultimo  nel  sistema  a  fanghi attivi);  trattamenti  biologici,  fisici e chimici combinati con l’aggiunta di  carbone  attivo  in  polvere  e  sali di ferro al sistema a fanghi attivi, e riattivazione dei fanghi in eccesso per “ossidazione umida” o “perossidazione  umida”;  ozonizzazione di  composti  resistenti  prima  del passaggio al sistema a fanghi attivi. La  separazione  degli  scarichi  alla fonte  secondo  il  tipo  di  contaminanti  e  il  loro  carico  inquinante rappresenta  la  principale  BAT

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nella  depurazione  dei  reflui;  tale tecnica,  però,  potrebbe  produrre risultati ottimali solo in aziende di nuova  costruzione,  e  appositamente  progettate,  altrimenti  l’installazione di tale sistema di separazione  dei  reflui  diventa  eccessivamente onerosa. Dal  punto  di  vista  ambientale,  la soluzione  migliore  è  la  combinazione  di  un  sistema  di  rimozione della  sporcizia/recupero  del  grasso  con  l’evaporazione  dell’effluente  e  l’incenerimento  dei  fanghi  (o  l'uso  per  la  produzione  di mattoni). Sarebbe così possibile il completo  riciclaggio  di  acqua  ed energia; tale tecnica, però, è applicabile  solo  in  aziende  di  grandi dimensioni.


La decontaminazione supercritica Progetto Green Site

Tecnologie di estrazione e ossidazione mediante fluidi supercritici degli inquinanti contenuti nei sedimenti dragati  I  sedimenti  marini  e  fluviali  giocano un ruolo fondamentale nella salvaguardia  degli  ecosistemi  di larga parte del territorio europeo; annualmente  vengono  scavati nella UE circa 200 milioni di mc di  sedimenti,  di  cui  circa  il  1520%  risultano  contaminati  da composti organici (IPA, PCB, pesticidi, ecc.) e/o metalli pesanti. La ricerca di soluzioni tecnologiche ecosostenibili ed ecocompatibili,  e  soprattutto  veloci,  per  la decontaminazione di terreni e sedimenti ha portato alla sperimentazione  di  soluzioni  di  tipo  biotecnologico,  chimico-fisico  o  derivate  dalla  integrazione  di  que-

ste. Il progetto Green Site si prefigge la dimostrazione di tecnologie  innovative  per  la  decontaminazione  di  sedimenti  derivati dall’escavo  dei  canali  dell’area industriale di Porto Marghera.  In  particolare,  le  tecnologie  oggetto di dimostrazione prevedono l’impiego  di  fluidi  allo  stato  supercritico  (FSC)  per  l’estrazione e  per  l’ossidazione  di  idrocarburi e  composti  organici  ad  elevato impatto ambientale.  L’obiettivo principale del progetto  Green  Site  era  la  dimostrazione di efficacia (su scala pilota) di tecnologie di estrazione e ossidazione con fluidi supercritici degli Hi-Tech Ambiente

inquinanti contenuti nei sedimenti  dragati  dei  canali  dell’area  industriale di Porto Marghera.  Il dragaggio è necessario per contrastare  la  progressiva  erosione del  fondale  della  laguna,  e  dal 2004 a oggi sono stati scavati circa  2,3  milioni  di  mc  ogni  anno, che  possono  essere  così  suddivisi: 80% in volume è costituito da sedimenti  debolmente  inquinati  e potenzialmente  riutilizzabili; 20% è costituito da rifiuti, in prevalenza classificabili come “rifiuti  speciali  non  pericolosi”,  nei quali  si  ha  una  forte  presenza  di inquinanti  chimico-organici,  come  idrocarburi  pesanti,  idrocar-

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buri  policiclici  aromatici  (IPA), policlorobifenili  (PCB)  e  altri composti organoalogenati.  In maggior dettaglio, gli obiettivi di Green Site sono: -  messa  a  punto  di  tecnologie compatte  per  la  decontaminazione  veloce  di  sedimenti  marini  e fluviali contaminati da idrocarburi  e  altre  sostanze  organiche (PCB,  antiparassitari,  ecc.)  di particolare  impatto  su  salute  umana  ed  ecosistemi  nelle  aree water front -  utilizzo  di  tecnologie  che  non impiegano solventi e/o altri composti  chimici  e/o  biologici  che possano  transitare  nell’ambiente al termine della fase di trattamento - sviluppo di tecnologie facilmente  trasportabili  ed  insediabili  nei siti  contaminati  in  modo  da  consentire rapidità ed efficacia di intervento -  sviluppo  e  diffusione  di  tecnologie  di  green  chemistry  nel  settore  della  bonifica  di  siti  contaminati. Continua a pag. 60

IL PROGETTO MICROBIOELECTROSyN

Da CO2 ad energia L’uso dell’anidride carbonica nella produzione di prodotti chimici ad alto contenuto tecnologico e di elettricità La  cattura  e  lo  stoccaggio  del  carbonio sono in grado di fornire delle riduzioni  significative  delle  emissioni in alcuni settori, ma presentano dei limiti. Questo metodo ha un alto costo di investimento, e la potenziale  capacità  di  stoccaggio  non è  certa.  Nel  corso  degli  anni,  inoltre,  la  resistenza  da  parte  del  pubblico  è  aumentata  e  il  processo  richiede molta energia. Piuttosto che trattare la CO2 catturata  come  un  rifiuto,  essa  può  essere considerata  come  una  materia  prima  per  la  sintesi  di  altre  sostanze chimiche.  Su  questo  concetto  si  è concentrato il progetto europeo MICROBIOELECTROSyN  (Microbially  catalysed  electricity  driven bioproduction  from  CO 2 at  the cathode  in  bioelectrochemical  systems),  spronato dal recente sviluppo  dei  sistemi  bioelettrochimici (BES).  In  particolare,  le  celle  a

combustibile microbiche che utilizzano i batteri per ossidare la materia organica e inorganica per generare corrente elettrica si stanno lentamente  trasferendo  dai  laboratori al mercato. Diversi vantaggi, inclusa la possibilità di produrre composti con numero di atomi di carbonio maggiore,  rendono  promettente

questo  approccio  mediante  la  bioproduzione.  Inoltre,  l’energia  necessaria per la produzione sostenuta dall’elettricità  di  prodotti  chimici ad alto contenuto tecnologico usando  microrganismi  può  essere  recuperata  da  fonti  rinnovabili.  Prima del progetto Microbioelectrosyn, erano stati identificati solo pochi ca-

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talizzatori microbici idonei per questi  processi.  Inoltre,  l’impatto  dei materiali dell’elettrodo e di altri parametri  operativi  sulla  colonizzazione  microbica  ai  catodi  non  era conosciuto. Come primo passo, i ricercatori  hanno  sviluppato  un  approccio efficiente per arricchire una comunità microbica mista ma riproducibile. La popolazione microbica arricchita  è  stata  quindi  usata  con successo in catodi BES per l’immediato  avvio  della  bioproduzione  di acetato a partire dalla CO2. Il  processo  di  arricchimento  includeva  l’aggiunta  di  2-bromoetanosulfonato  una  volta  nella  fase  iniziale,  seguita  da  diversi  trasferimenti  di  colture  in  veloce  successione.  Combinato  con  il  continuo funzionamento  galvanostatico  dei catodi,  esso  ha  portato  ai  più  alti tassi di produzione dell’acetato mai raggiunti finora. Il successo nella dimostrazione della  continua  elettrosintesi  microbica apre la strada alla veloce conversione di CO2 e dell’energia elettrica in eccesso  in  sostanze  chimiche  conservabili  nel  quadro  del  concetto della cattura e dell’utilizzo del carbonio. Ma diversi parametri operativi  devono  ancora  essere  ottimizzati  per  poter  mettere  in  pratica questo concetto.


Continua da pag. 59

La decontaminazione supercritica TECNOLOGIE DI DECONTAMINAZIONE DEI SEDIMENTI

La classica tecnologia di decontaminazione  è  il  soil  washing,  che però  richiede  ingenti  quantità  di solventi  organici  e  di  acqua.  Tra le  alternative  risulta  particolarmente  interessante  il  processo  di estrazione  con  fluidi  supercritici, condotto  di  solito  usando  anidride  carbonica.  Questo  gas  risulta particolarmente  adatto  per  il  suo basso costo e in quanto ha un valore  di  temperatura  critica  (Tc  = 31 °C) prossimo alla temperatura ambiente e un valore di pressione critica (73 bar) non troppo elevato.  Bisogna  infatti  considerare che  per  ottenere  un  gas  in  forma di  fluido  supercritico  occorre comprimerlo ad una pressione superiore  alla  sua  pressione  critica, riscaldandolo  ad  una  temperatura superiore  alla  sua  temperatura critica.  In  queste  condizioni  il fluido  ha  una  densità  corrispondente  a  quella  di  un  liquido,  ma conserva  alcune  delle  proprietà dei  gas,  come  la  capacità  di diffondere rapidamente.  Una volta che gli inquinanti sono stati estratti, si pone poi il problema del loro smaltimento, la soluzione  tradizionale  è  la  termodistruzione, che rischia però di produrre inquinanti ancora più tossici  (diossine  e  policlorofurani); un’alternativa efficace può essere l’ossidazione  con  acqua  in  fase supercritica  (SCWO).  Questo processo  si  basa  sul  fatto  che l’acqua  in  condizioni  supercritiche (cioè sopra 374 °C e 221 bar) rimane  liquida,  ma  assume  le  caratteristiche di un solvente apolare, che si mescola completamente con  gli  inquinanti  organici.  In combinazione  con  l’ossigeno dell’aria,  l’acqua  supercritica  ossida  rapidamente  gli  inquinanti, fino  a  trasformarli  in  CO2,  acqua e acido cloridrico.

300  bar.  I  due  flussi  attraversano il sedimento diffondendo entro la sua massa, estraggono le sostanze inquinanti  e  le  trascinano  verso l’uscita.  La  corrente  in  uscita  dal reattore  viene  raffreddata  in  uno scambiatore di calore e depressurizzata  a  59  bar;  viene  poi  accumulata in due serbatoi, per la successiva fase di ossidazione. Sono state eseguite 8 diverse prove,  con  due  tipi  di  fanghi,  aventi concentrazioni  di  IPA  di  50  e  75 mg/kg.  Dopo  60  min  le  concentrazioni  di  IPA  erano  ridotte  a circa 1 mg/kg, mostrando un’efficienza  media  di  estrazione  del 98%.  Risultati  analoghi  si  hanno per  gli  idrocarburi  pesanti  totali, per i quali si ha in media un’efficienza di estrazione del 95%.  Questi  risultati  indicano  che  il processo può trasformare un sedimento classificato in classe “oltre C”  secondo  il  Protocollo  Min. Amb.  1993  (destinato  quindi  allo smaltimento  in  discarico  o  in  inceneritore),  in  un  sedimento  di

classe A, che può essere utilizzato  direttamente  per  il  ripristino delle  barene  lagunari.  È  inoltre importante  sottolineare  che  il trattamento di estrazione messo a punto nel progetto Green Site non richiede la disidratazione preliminare  dei  sedimenti,  che  è  invece necessaria con altre tecnologie di trattamento,  e  che  presenta  problemi sia tecnici sia economici.  LA FASE DI OSSIDAZIONE

Il  reattore  di  ossidazione  è  progettato  per  un  funzionamento  in continuo  a  800  °C  e  300  bar.  Le sostanze  inquinanti  in  fase  liquida vengono immesse al centro del reattore,  riscaldandole  a  400  °C, mescolate  ad  aria  sotto  pressione a  300  bar;  si  ha  la  formazione spontanea  di  una  fiamma,  che  in frazioni di secondo ossida i composti  organici  inquinanti.  La fiamma si mantiene in condizioni stabili, a circa 800 °C e 300 bar.  Sono  state  condotte  2  diverse

LA FASE DI ESTRAZIONE

Nella  fase  di  estrazione  il  sedimento da disinquinare viene caricato in un reattore di tipo discontinuo, scaldato a 250 °C, nel quale entrano dal fondo una corrente di acqua ed una corrente di CO2 a Hi-Tech Ambiente

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prove,  ciascuna  con  20  kg  di  liquido  e  14  kg  di  aria;  dopo  50 minuti  di  ossidazione  si  ottengono 18 litri di liquido disinquinato e 17 litri di prodotti gassosi di ossidazione.  La  reazione  è  fortemente  esotermica,  per  cui  la  fase di  ossidazione  non  richiede  apporto  di  energia  esterna;  il  controllo  della  temperatura  del  reattore  è  realizzato  mediante  il  raffreddamento della parete. Per  ottenere  l’autosostentamento della  fiamma  è  necessario  che  il liquido da trattare contenga almeno  il  7%  di  sostanze  organiche, per cui è stato necessario concentrare il liquido ottenuto dalle prove di estrazione.  In entrambe le prove si è ottenuta un’efficienza  di  rimozione  delle sostanze  inquinanti  di  oltre  il 99,9%,  tanto  che  il  liquido  in  uscita  dal  reattore  può  essere  inviato  a  fognatura  civile  correggendo solo il pH (che risulta fortemente  acido).  Nella  seconda prova di ossidazione sono stati analizzati anche i prodotti gassosi; le  concentrazioni  di  inquinanti  e microinquinanti  gassosi  (incluse diossine  e  benzofurani)  sono  risultate  largamente  inferiori  alle prescrizioni  di  legge  relative  agli impianti  industriali  (D.Lgs 152/06) e agli impianti di incenerimento rifiuti (D.Lgs 133/05). CONSIDERAZIONI FINALI

Tutti  gli  obiettivi  di  progetto  sono  stati  raggiunti;  in  particolare, l’efficienza sia in fase di estrazione  che  di  ossidazione  è  risultata superiore  al  90%,  con  tempi  di trattamento  dell’ordine  di  60  minuti.  Il  trattamento  non  produce sottoprodotti  inquinanti  o  nocivi; può  essere  realizzato  con  attrezzature compatte, facili da trasportare  e  da  installare.  Rispetto  alle attuali tecniche di soil washing, si riducono drasticamente sia il consumo  di  acqua  che  la  produzione di residui di lavorazione.  È interessante rilevare che il processo  sviluppato  nel  corso  del progetto Green Site può essere utilizzato  anche  sfruttando  solo  la fase  di  ossidazione;  le  possibili applicazioni sono: acque sotterranee  contaminate  da  idrocarburi  o composti  organici  clorurati;  acque  reflue  nafteniche,  generate dalla desolforazione di cherosene e  gasolio;  acque  di  vegetazione delle olive e altri reflui dell’industria alimentare.


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ECOTECH

a cura di ASSITA

Membrane nanostrutturate per depurare e disinfettare

impianti su scala pilota; si sta lavorando per sostituire alcuni impianti industriali di osmosi inversa con il nuovo processo, e poter così compiere valutazioni più approfondite.

Osmosi diretta con l’aiuto della CO2

Xilene da metanolo La società americana Dais Analytical ha esteso l’applicazione delle sue membrane Aqualyte (da tempo usate per il condizionamento dell’aria) alla depurazione delle acque, mediante un processo noto come “pervaporazione” e commercialmente battezzato "NanoClear". L’acqua da depurare viene riscaldata e fatta circolare su un lato della membrana, mentre dall’altro lato viene applicato il vuoto; la differenza di pressione costringe le molecole d’acqua ad attraversare la membrana, lasciando indietro batteri e sostanze inquinanti. Il vapore di acqua purificata viene condensato mediante un refrigerante, e si ottiene così acqua disinfettata e depurata. Le membrane Aqualyte usate in queste applicazioni hanno uno spessore intorno a 30 micron, e sono costituite da un copolimero a blocchi del tipo butadiene-stirene, nel quale sono state create in fase di polimerizzazione delle regioni a carattere idrofilo, mediante funzionalizzazione del monomero stirenico. In questo modo si creano entro la membrana dei canali idrofili che, pur non essendo aperti, consentono tuttavia la permeazione delle molecole d’acqua, interagendo con esse attraverso legami a idrogeno. Rispetto alle membrane impiegate per l'osmosi inversa, le membrane Aqualyte hanno una maggior resistenza allo sporcamento e dovrebbero consentire una riduzione dei costi di esercizio. Attualmente, il processo NanoClear è utilizzato in due

buri aromatici pesanti (a 9 atomi di carbonio o più), dai quali si possono ottenere prodotti utili mediante reazioni di trans-alchilazione.

Lo xilene si ricava normalmente dalle frazioni aromatiche del petrolio, ma la sua importanza come materiale di partenza per la produzione di materie plastiche (PET) e fibre sintetiche (poliestere) sta spingendo alla ricerca di nuovi metodi per la sua sintesi. Un processo particolarmente interessante, che consente di ottenere xilene a partire da toluene e metanolo, è stato recentemente proposto dalla ditta americana GTC Technology, con il nome di GT-TolAlk.

Il processo consiste nella reazione del toluene con metanolo su una serie di reattori a letto fisso contenenti un catalizzatore di tipo zeolitico. La reazione avviene a bassa pressione, con formazione di acqua come sottoprodotto; in uscita dal reattore la miscela va a tre successive colonne di frazionamento, dalle quali si recupera il toluene che non ha reagito, che viene ritornato all’ingresso del reattore. In testa all’ultima colonna si ottiene una miscela di xileni misti, che viene inviata al sistema di frazionamento per separare il para-xilene (l’isomero più pregiato); in fondo alla colonna si ottiene una miscela di idrocar-

Dopo molti anni in cui l’osmosi diretta è stata trascurata, privilegiando l’osmosi inversa, si sta riscoprendo la tecnologia diretta, che non richiede pressioni elevate e si presta meglio ad essere utilizzata su soluzioni saline ad alta concentrazione, fino al 25%. Tuttavia, il processo di osmosi diretta richiede l'impiego di una soluzione salina di estrazione, che alla fine risulta diluita e deve essere rigenerata; questo passaggio viene compiuto mediante evaporazione (che consuma energia) o mediante cristallizzazione, che è costosa. I ricercatori dell’Università canadese di Kingston hanno scoperto un ingegnoso metodo per rigenerare la soluzione di estrazione, usando la CO2, in combinazione con un’ammina, che può essere gassosa (come la trimetilammina) o liquida (ammine polimeriche). In entrambi i casi, il primo passaggio consiste nel preparare una soluzione relativamente diluita di ammina in acqua; successivamente, si fa gorgogliare CO2 nella soluzione, trasformando l’ammina nel suo sale bicarbonato e, conseguentemente, ottenendo un consistente aumento della pressione osmotica. A questo punto la soluzione diviene adatta a essere usata come soluzione di estrazione; alla fine del passaggio osmotico, l’ammina può essere rigenerata semplicemente allontanando la

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CO2 mediante strippaggio con aria. L’Università di Kingston ha formato un’apposita spin-off per lo sfruttamento commerciale del processo, denominata Forward Water Technologies. Questa società sta costruendo un mini-impianto da 20 litri/ora per valutare meglio le implicazioni tecniche ed economiche del processo, che su scala di laboratorio sembra promettente.

Via i cianuri dagli scarichi industriali

I cianuri sono presenti nelle acque di scarico di molte industrie, come acciaierie, manifatture di metalli preziosi e industrie galvaniche. Ovviamente i cianuri devono essere totalmente eliminati prima di poter scaricare l’acqua nei corpi idrici superficiali, e l’eliminazione deve essere il più rapida possibile, in modo da consentire il trattamento di grandi portate. Un’alternativa ai tradizionali trattamenti con ipoclorito o cloro gassoso in ambiente alcalino è proposta dall’Università di Amsterdam, che ha scoperto un nuovo processo catalitico in fase eterogenea, basato su semplici sali metallici di costo contenuto. Il nuovo catalizzatore riesce a ridurre le concentrazioni di cianuro del 90% in pochi minuti; prolungando il tempo di trattamento si arriva ad efficienze del 99,9%. Attualmente, il nuovo catalizzatore è stato impiegato su scala pilota per il trattamento delle acque di scarico di acciaierie e per acque derivanti dalla raffinazione di metalli preziosi.


Plastica da CO2 e scarti agricoli

La società olandese Avantium ha recentemente inaugurato nella città di Geleen un impianto pilota da 40 ton/anno, nel quale si produce un nuovo tipo di materiale plastico, che potrebbe costituire una valida alternativa al tradizionale polietilen-tereftalato (PET). Il progetto olandese, finanziato da multinazionali come Coca Cola e Danone, ha l’obiettivo di produrre un nuovo tipo di plastica basato sull’uso di CO2 e vegetali non commestibili (ad esempio scarti agricoli) al posto del petrolio; questa nuova “ecoplastica” potrà essere usata per produrre bottiglie e imballaggi, riducendo significativamente la produzione di carbonio nella produzione di materie plastiche. L'alternativa al PET proposta dai ricercatori dell’Avantium si chiama PEF (polietilene furandicarbossilato), ed è ottenuto facendo reagire il glicol etilenico con l'acido 2-5-furandicarbossilico (FDCA), che può essere estratto da biomasse vegetali. Finora, l’FDCA è stato ricavato dal fruttosio proveniente dallo sciroppo di mais; ma per non entrare in concorrenza con le produzioni alimentari, i ricercatori olandesi si sono concentrati sullo sfruttamento del furfurolo, un composto proveniente da scarti agricoli. Il furfurolo è contenuto in percentuali variabili dal 16 al 24%, in materiali come le sanse di oliva esauste, i gusci di avena, i tutoli di mais, la lolla di riso, i residui di canna da zucchero e altri scarti non utilizzabili per usi alimentari. Già da tempo la Du Pont aveva uti-

lizzato il furfurolo per la produzione del nailon; per reazione con la CO 2 (ottenibile dalle emissioni di centrali termoelettriche e grandi impianti di combustione) il furfurolo può essere trasformato in FDCA, dal quale per reazione con bio-etilenglicol si ottiene il PEF. I prodotti in PEF sono riciclabili o ritrasformabili, mediate incenerimento, in CO2, che poi verrà riassorbita dalle piante che a loro volta verranno utilizzate per creare altro PEF. In questo modo si realizza un modello di "economia circolare", che rende il PEF equiparabile, dal punto di vista dell'impatto ambientale, alle fibre naturali come cotone, canapa e simili. È prevista a breve la realizzazione di un impianto industriale in piena scala, con una capacità di 50.000 ton/anno.

Il trattamento bioelettrico dei reflui

Il trattamento bioelettrico EcoVolt, sviluppato dalla società americana Cambrian Innovation, ha trovato la sua prima applicazione industriale nel trattamento delle acque di scarico di una birreria in California, dove ha consentito di produrre 300 mc/giorno di acqua depurata riutilizzabile, ed una quantità di biogas sufficiente a fornire ogni anno 130 kW di energia elettrica e 45.000 termie di calore. Il sistema EcoVolt funziona applicando una piccola corrente elettrica ad una cella elettrochimica contenente batteri anaerobici di origine naturale, immobilizzati su un film. La corrente elettrica attiva percorsi metabolici diversi da quelli normali, consentendo la rimozione del 90% del carico di BOD del refluo in entrata; un successivo passaggio aerobico su batteri di tipo diverso, fatti aderire su membrane e stimolati anch’essi dalla corrente elettrica, completa la depurazione.

L’impianto EcoVolt occupa il 40% di spazio in meno rispetto ad un impianto standard a fanghi attivi, e si autoproduce il 20% dell’energia richiesta.

Dissalare per elettrodialisi shock

Un nuovo processo per la dissalazione dell’acqua di mare, con minori consumi energetici e maggiore stabilità rispetto all’accumulo di materiali estranei in confronto ai normali processi a membrana, è stato recentemente proposto dai ricercatori del M.I.T. di Boston (Usa). Il processo è stato denominato “elettrodialisi shock”, e consiste nel separare l’acqua deionizzata da quella salata applicando un forte impulso di corrente elettrica. Il sistema, attualmente realizzato a livello di laboratorio, consiste in un setto di vetro poroso posto tra due elettrodi a membrana. Inizialmente si applica una corrente elettrica, che fa migrare gli ioni creando zone deionizzate e zone ad alta salinità; successivamente si aumenta rapidamente la corrente, producendo un’onda d’urto che suddivide le diverse zone e consente di inserire una barriera fisica che isola l’area deionizzata.

Progressi nel processo di alchilazione La produzione di benzina verde richiede come componente principale il cosiddetto alchilato, che è una miscela di idrocarburi paraffinici a catena altamente ramificata, ottenuto facendo reagire l’isobutano con idrocarburi olefinici da 3 a 5 atomi di carbonio, provenienti dal processo di cracking. La reazione di alchilazione richiede un catalizzatore fortemente acido, che nei processi “classici” può essere acido solforico o acido

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fluoridrico. La scelta tra i due acidi dipende da diversi fattori: l’acido fluoridrico è più pericoloso e più corrosivo, mentre l’acido solforico produce una maggiore quantità di fanghi acidi, particolarmente costosi da smaltire. Recentemente il processo all’acido solforico è stato perfezionato dalla società texana Refining Hydrocarbon Technology (RHT), utilizzando un sistema di miscelazione a bassa temperatura, che minimizza le reazioni secondarie di polimerizzazione, cracking e formazione di esteri solfonici instabili, riducendo del 50% il consumo di acido solforico e consentendo una migliore separazione tra la fase idrocarburica e l’acido di riciclo. Grazie al miglioramento della separazione, non è più necessaria la fase di neutralizzazione, riducendo i problemi di corrosione. Questi e altri perfezionamenti hanno reso il processo all’acido solforico molto più competitivo in quanto i costi (sia di investimento che di gestione) vengono ridotti di circa il 40%. Un altro recente sviluppo nel processo di alchilazione consiste nell’uso di un catalizzatore solido, che consente una maggiore flessibilità nelle materie prime in entrata; invece delle olefine è possibile utilizzare alcoli, come metanolo ed etanolo, ottenibili da fonti naturali, oppure olefine leggere provenienti dal processo di steam cracking. Il nuovo catalizzatore è stato sviluppato dalla società americana Exelus, ed è stato denominato ExSact-E, mentre il processo è denominato M2Alk. Il catalizzatore è costituito da una zeolite ingegnerizzata, avente i siti acidi ottimizzati ed una struttura dei pori particolarmente innovativa, che minimizza le reazioni di “coking”, le quali provocano la disattivazione dei catalizzatori convenzionali. Le elevate caratteristiche di stabilità del nuovo catalizzatore consentono l’uso di reattori a letto fisso (molto più facili da gestire) ed eliminano la formazione di sottoprodotti indesiderati, come gli oli acidi. Il nuovo catalizzatore può facilmente essere rigenerato con idrogeno, e il processo M2Alk risulta economicamente vantaggioso grazie alla possibilità di usare diversi tipi di materie prime.


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