HI-TECH AMBIENTE n.2.2017

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AMBIENTE

MENSILE - TECNOLOGIE AMBIENTALI PER L’INDUSTRIA E LA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE -

ANNO XXVIII MARZO 2017

INTELLIGENZA ARTIFICIALE

I robot dei rifiuti GRAZIE AL BIOCHAR

Il sequestro di CO22 solida a pagina 24

a pagina 11

IL PROGETTO BIOWALK4BIOFUELS

IL BIOGAS DA ALGHE MARINE

a pagina 32

SPECIALE

a pag. 41

MISURATORI DI BIOGAS

N2



SOMMARIO BIOMASSE & BIOGAS

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PANORAMA APPROFONDIMENTI

Il biogas da alghe marine 8

La chimica sostenibile Numeri e percentuali relative agli aspetti ambientali dei processi produttivi delle industrie coinvolte, secondo il concetto delle 3P

La corsa al biometano

DEPURAZIONE La nanoremediation è realtà

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ENERGIA

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L’utilizzo di nanotecnologie nella bonifica dei sedimenti grazie ad un sistema di dewatering che abbatte i costi dei dragaggi

L’impianto Aquaspace

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Un sistema alternativo e innovativo per produrre biocarburanti, grazie anche all’aiuto di un drone

La gestione dei generatori di vapore

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L’analisi di alcune opzioni per il risparmio energetico in ciascuna delle tre fasi di produzione e impiego

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Convertito un impianto prima esclusivamente a uso interno in un servizio a terzi, in modo da trasformare un centro di costo in un centro di profitto

LABORATORI

Tecnologie all’avanguardia

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Strumenti per il monitoraggio e la ricerca avanzata che uniscono due aspetti essenziali: rapidità di analisi e trasportabilità

GREEN FASHION

Il jeans sostenibile davvero

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Abbattere le emissioni di CO2, ridurre i consumi di energia e acqua, uso di sostanze naturali, rilavorazione degli scarti

L’industria conciaria più green

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I risultati veloci sempre Torion GC-MS, portatile e compatto, consente un’analisi rapida e semplice, in totale autonomia

TECNOLOGIE

Il sequestro di CO2 solida

RIFIUTI I robot dei rifiuti

24 SOS fanghi di depurazione

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Trattamento pirolitico con il quale non solo si produce biochar e syngas, ma si riesce anche a recuperare il fosforo

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Lo schema di un impianto tipico di trattamento che deve far fronte a un livello elevato di contaminazione

SPECIALE “MISURATORI PER BIOGAS”

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Numerosi progetti a partire dai fanghi di depurazione delle acque o degli scarti umidi di compostaggio

Sistemi automatici di selezione in grado di adattarsi alle situazioni e quindi apprendere compiti nuovi

Il riciclo dei film plastici

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MARKET DIRECTORY

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ENTERPRISE EUROPE NETWORK

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ECOTECH

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GLI INDIRIZZI DELLE AZIENDE CITATE SONO A PAG. 66 Hi-Tech Ambiente

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panorama OSSErVATOrIO WASTE WATCHEr

Lo spreco di cibo in Italia Ammonta a circa 145 kg/anno lo spreco di cibo che si riscontra nelle famiglie italiane, ossia il 75% del totale di spreco complessivo nazionale, per un costo di 360 euro annui. Sono i dati che emergono dall'Osservatorio Waste Watcher di Last Minute Market/ SWG, dai quali si evince anche solo 6 italiani su 10 sanno dell’esistenza della nuova “legge antispreco” entrata in vigore lo scorso agosto, e ben il 90% non ne conosce i contenuti. relativamente, invece, all'utilizzo della “Family Bag”, ossia il cesti-

AL VIA L'HYDROGEN COUNCIL In contemporanea al World Economic Forum, è stata annunciata la creazione dell'Hydrogen Council, un'alleanza strategica che riunisce ben 13 realtà internazionali: Air Liquide, Alstom, Anglo American, Engie, Shell, Linde Groupe, Total, BMW, Hyundai, Daimler, Honda, Kawasaki e Toyota. Obiettivo dell’iniziativa è quello di promuovere ogni azione utile allo sviluppo della tecnologia di propulsione a idrogeno e fuel cell. Le realtà coinvolte promettono di spendere almeno 10 miliardi di euro nei prossimi 5 anni per promuovere le loro attività in materia di idrogeno, che attualmente implica solamente 1,4 miliardi di investimenti l’anno. A livello europeo, la direttiva Dafi per lo sviluppo di una rete

no in cui inserire il cibo non consumato per portarlo a casa, è considerata dall'80% una valida soluzione nella lotta contro gli sprechi alimentari ed efficace/funzionale dal 73%. Ma 1 su 2 teme che non sarà supportato dai ristoratori e il 75% auspica una diffusione con design elegante per superare la timidezza nel portarsi il cibo avanzato a casa. Circa, infine, i comportamenti quotidiani riguardo allo spreco, 1 italiano su 5 si dimostra "virtuoso" (22%): il 57% mette in atto

Tale traduzione, per un totale di 49 pagine, è fornita dal Punto di Contatto Nazionale unicamente a scopo informativo ed in caso di divergenza è il testo inglese a prevalere. La Guida di per sé non ha valore legale, e quindi non sostituisce i documenti ufficiali. www.minambiente.it/sites/default/files/archivio/allegati/life/m odel_grant_agreement_versione_24052016.pdf

di rifornimento per i combustibili alternativi contempla anche l'idrogeno. Direttiva di recente recepita anche in Italia, ma l'idrogeno ha al momento un ruolo interlocutorio: entro il 31 dicembre 2025 dovrà essere costruito “un numero adeguato” di punti di rifornimento accessibili al pubblico, tenuto conto della domanda e del suo sviluppo a breve termine.

LE REGOLE IN ITALIANO PER IL LIFE E’ stata di recente pubblicata sul sito del Ministero dell’Ambiente la traduzione in italiano del modello di Convenzione di Sovvenzione per i progetti LIFE, ossia le regole generali e speciali da seguire per accedere ai finanziamenti europei LIFE, che fino ad oggi erano disponibili solo in inglese.

comportamenti di sensibilità e prevenzione (davvero attenti il 28%, attenti per necessità il 7%), mentre il 43% è incurante o manifesta comportamenti incoerenti (27%), spreconi (12%) e disinteressati (4%).

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Che aria tira nel mondo

Si chiama AirVisual Earth ed è la prima mappa mondiale che mostra in tempo reale la qualità dell'aria e la circolazione degli inquinanti. E' liberamente consultabile online ed è stata creata da un team Hi-Tech Ambiente

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internazionale di scienziati combinando i dati satellari con quelli in arrivo da 8.000 stazioni di rilevamento a terra distribuite in circa 6000 città nel mondo. Con un semplice click è possibile osservare i venti e la distribuzione delle polveri ultrasottili PM2.5 ovunque nel pianeta, ma anche di avere previsioni fino a 3 giorni della qualità dell'aria di ogni città.

www.airvisual.com/earth


Il mercato dell’ambiente in Cina Quinquennio 2016 - 2020

Il più grande ed emergente per le ecotecnologie, con investimenti stimati per i prossimi anni a circa 1.500 miliardi di euro Il mercato ambientale in Cina è, come noto, in grande sviluppo. Secondo i dati ufficiali, nel 2014 gli investimenti relativi hanno raggiunto un aggregato di quasi 150 miliardi di euro, il 6% in più del 2013, quasi il 2% del PIL reale. La nuova legge di protezione dell'ambiente, in vigore dal primo gennaio 2015, autorizza pene e punizione più pesanti. Stessa enfasi sul tema viene data nel XIII Piano Quinquennale 2016-2020. L‘annuario statistico 2015 sull'ambiente ha inoltre indicato in 23.800 il numero di entità impegnate nella protezione dell'ambiente e nelle industrie collegate riferite, per un fatturato totale che ammonta a circa 400 miliardi di euro. Nel frattempo, negli ultimi anni le multinazionali stanno attivamente seguendo il mercato attraverso le esportazioni dei loro prodotti, il trasferimento di tecnologia e l‘istituzione delle società a capitale misto con soggetti locali. La maggior parte dell'attrezzatura di processo utilizzate in Cina è importata. Secondo quanto riporta la società di consulenza Pegaso Canton, alcuni esempi di cooperazioni vengono dall‘Università di Stoccarda (Germania) che si è legata alla Wuhan Iron e Steel, o la China Ecotek di Taiwan con la Wuhan Huade. L‘obiettivo è fornire soluzioni sul trattamento di acque di scarico, aria e rifiuti solidi, sull'energia dai residui e sulle biotecnologie avanzate. Idem, ad esempio, il gruppo di servizi ambientale francese Veolia, che ha aperto un ufficio in Cina per fornire servizi sui rifiuti speciali, il trattamento

dei reflui, ecc., inclusa la gestione delle risorse idriche. La Cina è il più grande mercato emergente per le tecnologie ambientali. Si stima che gli investimenti ambientali nei prossimi anni (al 2020) potranno ammontare a circa 1.500 miliardi di euro. Di questi, oltre 250 miliardi saranno spesi contro l‘inquinamento atmosferico, 300 miliardi nel settore delle acque ed altri 300 miliardi per l‘inquinamento del suolo. L'industria ambientale cinese ha avuto un tasso di crescita annuale del 20% dal 2004 al 2014 e si presume una crescita fra il 20 e il 30% durante l‘attuale tredicesimo piano quinquennale. Solo per il risanamento del suolo, il budget 2016 è stato di oltre 1 miliardo di euro, con un aumento del 145% rispetto all'anno prima. LE CRITICITA’ AMBIENTALI

La lotta all’inquinamento atmosferico è la principale priorità per il Paese, con una necessaria ridu-

zione del particolato e, nello specifico, del 25% nella macro-regione di Pechino-Tienjin-Hebei, del 20% nelle regioni Shanxi e Shandong e del 10% in Mongolia Interna. Da evidenziare, che ad oggi, fatta eccezione di Pechino, nessuna altra città inclusa nel Piano 2016-2020 ha reti di sorveglianza sufficienti a stabilire la necessaria base dati per la riduzione o il controllo dei progressi. Sul fronte industriale, invece, la riduzione da apportare è del 30% degli agenti inquinanti e del 50% dei composti organici volatili (VOCs) da parte delle industrie del ferro, acciaio, cemento, chimica e petrochimica, raffinerie, metallurgie non ferrose, caldaie a carbone. Altrettanto interessati dallo sviluppo ambientale il settore della gestione dei rifiuti ed il riciclaggio, quello del trattamento delle acque reflue sia civili che industriali, il trattamenti dei fanghi. Quanto ai fanghi, la Cina scarica annualmente da 22 a 30 milioni di

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tonnellate di fango non trattato. Ad oggi, si registra una assoluta mancanza di competenza e di tecnologie domestiche per il trattamento. Vien da se che si tratta di una crescente e persistente sfida ambientale. Stesso dicasi per il settore del monitoraggio, prevenzione e risanamento delle acque di falda. Stime non ufficiali parlano di circa 3/4 delle acque di falda inquinate. Da qui al 2020, quasi 6 miliardi di euro potranno essere disponibili per investimenti in materia. Altrettanto importante il comparto dell’efficienza e riutilizzo delle acque ed acque di processo. Si stima che gli obiettivi di riutilizzo delle acque porterà ad una crescita annua del 30% del mercato della tecnologia delle membrane nei prossimi anni. Soluzioni tecniche ed esperinza saranno fortemente richieste anche per le acque di processo, dove si anticipa l'imposizione di norme ad hoc per una produzione più pulita per i seguenti dieci settori industriali: cartiere, fertilizzanti azotati, acciaio, metalli non ferrosi, tessile, prodotti agricoli, farmaceutica, cuoio e pelli, antiparassitari, galvanoplastica. Per quanto riguarda, infine, l‘inquinamento del suolo, si tratta di un prolema serio che riguarda una parte consistente dei terreni agricoli, in prevalenza dovuto a contaminanti non organici quali cadmio, nickel ed arsenico. Per questa criticità ambientale sono richieste conoscenza e capacità di consulenza, tecnologia di risanamento ed attrezzature di monitoraggio.



approfondimenti

La chimica sostenibile

ri, che impiegano i prodotti chimici come materie prime per le loro lavorazioni. UNA GUIDA PER LA SOSTENIBILITA’

Il programma Responsible Care

Numeri e percentuali relative agli aspetti ambientali dei processi produttivi delle industrie coinvolte, secondo il concetto delle 3P

Per valutare la sostenibilità di un processo produttivo è necessario adottare un certo grado di standardizzazione. Per questo è stata creata una nuova norma standardizzata internazionale per caratterizzare gli aspetti ambientali dei processi produttivi: la norma ASTM E3012-16, la quale rappresenta una guida per aiutare le imprese a considerare i loro processi produttivi uno per uno, cogliendo gli impatti ambientali di ognuno di essi e individuando le opportunità per una maggiore sostenibilità. Quindi questa norma suddivide i processi produttivi e promuove il loro sviluppo attraverso un’analisi integrata di informazioni e dati analitici, per determinare le performance ambientali desiderate. LA SOSTENIBILITA’ IN PRATICA

Prima ancora che fosse elaborata la definizione di sviluppo sostenibile, l’Associazione canadese delle industrie chimiche aveva avviato nel 1984 il programma responsible Care; l’anno successivo il Programma è stato avviato in Europa dal CEFIC (European Chemical Industry Council) e nel 1992 esso ha fatto il suo debutto in Italia. responsible Care è in sostanza un programma volontario per la promozione dello sviluppo sostenibile nell’industria chimica, basato sul principio della tutela della sicurezza, della salute e dell’ambiente, a sua volta rientrante nel concetto generale della responsabilità sociale delle imprese: ciò significa che le imprese aderenti si impegnano a svolgere la propria attività nel quadro di un miglioramento continuo delle prestazioni, attraverso la formalizzazione di un “sistema di gestione integrato sicurezza, salute e ambiente”. Col passare degli anni, il programma si è poi esteso alla gestione responsabile dei prodotti lungo il loro intero ciclo di vita. Attualmente, il programma “responsible Care” è adottato da oltre 10.000 industrie chimiche, sparse in più di 60 Paesi. In Italia è stato avviato nel 1992 da Federchimica, ed è ad oggi portato avanti da 168 aziende aderenti, di grandi e pic-

Per “sviluppo sostenibile” si intende “un processo di cambiamento tale per cui lo sfruttamento delle risorse, la direzione degli investimenti, l’orientamento dello sviluppo tecnologico e i cambiamenti istituzionali siano resi coerenti con i bisogni futuri oltre che con gli attuali”. Questo concetto può essere applicato all’industria chimica, attraverso la formula delle 3P (People, Planet, Prosperity): ciò significa che lo sviluppo sostenibile è un concetto integrato, nel cui ambito si coniugano tre variabili fondamentali e inscindibili, ossia società, economia e ambiente. In questo senso la chimica costituisce un settore chiave, in quanto, attraverso il miglioramento dei propri processi e prodotti, non solo è in grado di rispettare maggiormente l’ambiente (inquinando meno, o limitando il consumo di risorse non rinnovabili, ecc.), ma è anche in grado di incrementare la sostenibilità degli altri settori manifatturieHi-Tech Ambiente

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cole dimensioni, sia italiane che straniere. Annualmente viene redatto un dettagliato rapporto contenente i risultati di responsible Care in Italia, suddiviso secondo il concetto delle 3P, traducibile in: sicurezza e salute nei luoghi di lavoro (People), impatti ambientali delle produzioni chimiche (Planet), azioni da parte delle industrie chimiche per migliorare l’ambiente e le relazioni sociali (Prosperity). SICUREZZA E SALUTE

Sebbene possa sembrare strano (per la varietà e la pericolosità delle sostanze impiegate), l’industria chimica è uno dei settori produttivi con il minore indice di frequenza di infortuni (dato dal rapporto numero di infortuni/milione di ore lavorate). Nelle imprese aderenti a responsibile Care non solo si riscontra una continua diminuzione degli infortuni negli ultimi tre anni, ma occorre inoltre sottolineare che ben il 37,1% di questi avvengono “in itinere”, ossia lungo il tragitto casa-lavoro o lavoro-luogo di ristoro. IMPATTO AMBIENTALE

Innanzitutto bisogna considerare il consumo di risorse, e quindi materie prime, energia ed acqua. Le principali materie prime impiegate dall’industria chimica sono quelle di origine fossile, che vengono utilizzate non solo come fonte di energia ma anche come materie prime per la realizzazione dei prodotti per la chimica organica. Il consumo di petrolio e gas naturale è tuttavia costantemente diminuito nel corso degli anni (da 8,3 Mtep del 1990 ai 5,9 Mtep del 2013), in parte a causa della crisi economica, ma anche grazie ad un aumento complessivo dell’efficienza energetica dell’industria chimica (come dimostra la riduzione del 17,3% dell’Indice dei Consumi Specifici nello stesso periodo di riferimento). Quanto al consumo di energia, l’industria chimica è un settore fortemente energivoro; ciononostante, nel 2013 essa ha registrato una riduzione dei consumi energetici pari al 39,4% rispetto al 1990. Sebbene ciò sia dovuto in parte agli effetti della crisi economica, nel periodo 1990-2013 l’industria Continua a pag. 10 Hi-Tech Ambiente

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La chimica sostenibile chimica ha registrato un miglioramento della propria efficienza energetica del 44,8%. Infine, l’acqua, il cui consumo da parte delle industrie chimiche aderenti a responsible Care è stato nel 2014 pari a 1.371 milioni di mc, con una sostanziale riduzione rispetto al 2005 (2.134 mln di mc). Le risorse idriche vengono prelevate in prevalenza da fiumi (12,4%) e mare (74,3%), e solo poco più del 13% da acquedotti e pozzi. relativamente, invece, all’impatto ambientale delle produzione in senso stretto, vanno considerate le emissioni di gas serra ed altri inquinanti, gli scarichi idrici ed i rifiuti. La crisi economica ha senz’altro contribuito ad un sostanziale abbassamento delle emissioni di gas serra a livello globale, che sono passate da 578,3 MtCO 2 eq nel 2005 a 437,3 MtCO2eq nel 2013; quanto all’industria chimica, le sue emissioni sono attualmente il 2,6% del totale (nel 1990 erano il 5,7%). In particolare, nel 2015 l’industria chimica ha fatto registrare, rispetto al 1990, un calo del 62% nelle emissioni di gas serra e del 95% delle altre emissioni di inquinanti atmosferici. I miglioramenti ottenuti riguardano principalmente la riduzione delle emissioni di CO2, grazie alla sostituzione dell’olio combustibile con il gas naturale, e di protossido di azoto, che sono diminuite di circa 6 MtCO2eq dal 2005 grazie ai miglioramenti tecnologici. Impegno costante delle industrie anche nella riduzione delle concentrazioni di sostanze inquinanti presenti nei loro reflui, in modo da attenuare il più possibile gli impatti sulle biodiversità dei corpi idrici questi reflui vengono scaricati. Il COD è uno degli indicatori principali per valutare la qualità dei corpi idrici e, rispetto al 1990, questo valore si è ridotto del 65%; riduzioni significative si sono avute anche per gli scarichi di sostanze eutrofizzanti (l’azoto si è ridotto del 72% ed il fosforo del 35%). Quanto ai rifiuti, infine, il 55% di quelli prodotti viene riciclato, recuperato o riutilizzato per opere di ripristino ambientale. La percentuale di rifiuti pericolosi sul totale dei rifiuti prodotti è in costante di-

minuzione (dal 23% del 2012 all’attuale 17%). AMBIENTE E RELAZIONI SOCIALI

Lo sviluppo sostenibile richiede di attuare uno sviluppo sinergico delle tre dimensioni identificate dalle 3P: in particolare, occorre non cadere nell’errore di considerare la dimensione economica in concorrenza con quella umana e ambientale, in quanto senza sviluppo economico non si creano posti di lavoro e, quindi, non è possibile reperire le risorse necessarie per la tutela ambientale. Innovazione e risorse umane altamente qualificate rendono la chimica uno dei settori maggiormente produttivi del panorama industria-

le italiano, con un valore aggiunto per addetto che risulta del 60% superiore alla media manifatturiera. Anche il costo del personale indica che la chimica è un settore adatto a un Paese avanzato come l’Italia, perché in grado di offrire opportunità di lavoro qualificato e ben remunerato alle giovani generazioni. ALTRI ESEMPI DI SOSTENIBILITA’ CHIMICA

Innanzitutto l’utilizzo della CO2. A questo proposito, l’industria tedesca Covestro ha studiato la possibilità di utilizzare il carbonio presente nelle emissioni di CO2 come materia prima. I suoi ricercatori hanno realizzato un catalizzatore a base di zinco, che rende possibili

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reazioni efficienti tra epossidi ad alta energia e CO2 senza reazioni collaterali. Il risultato è l’incorporazione della CO2 nei polioli, importanti precursori chimici tipicamente di origine petrolifera. Il processo è stato denominato Cardyon ed attualmente è stato realizzato un primo impianto su scala commerciale, focalizzato sulla produzione di schiume, ma la Covestro sta studiando la sua applicazione anche alla produzione di altri tipi di materiali plastici, come i poliuretani, precursori degli elastomeri. La stessa azienda è molto fiera di aver realizzato i materiali superleggeri che hanno consentito all’aereo ad energia solare “Solar Impulse” che ha recentemente completato il giro del mondo, senza consumare una sola goccia di carburante. Un altro esempio di utilizzo della CO 2 come materia prima viene dall’Arabia Saudita, dove un impianto della Sabic cattura la CO2 presente nelle emissioni di un impianto per la produzione di glicol etilenico. La CO2 viene compressa e purificata e poi trasportata attraverso una rete di tubazioni lunga 25 km fino a un sito affiliato, dove la CO2 viene impiegata per produrre urea, metanolo e 2-etilesanolo; secondo l’azienda, l’elevato grado di purezza della CO2 consentirebbe il suo impiego anche nell’industria alimentare e farmaceutica. Altrettanto attuale è l’uso sostenibile dell’olio di palma, attualmente sotto accusa per l’impatto negativo delle sue coltivazioni sull’ambiente e sulla biodiversità delle aree tropicali. Tuttavia, questo olio costituisce un’importante materia prima per l’industria chimica. Per assicurarsi che venga prodotto in modo sostenibile è stato lanciato il programma SPOTS (Sustainable Palm Oil and Traceability), a cui partecipa la società chimica svizzera Clariant, insieme con la ditta agricola Wilmar, il gigante della cosmetica L’Oreal e l’azienda sociale malesiana Wild Asia. Lo scopo del progetto è incoraggiare la certificazione e la tracciabilità dei prodotti tra i produttori di oli di palma nella regione di Sabah (Malesia), oltre a incrementare la produzione del 20% entro il 2020; il progetto si propone, inoltre, di beneficiare i piccoli produttori di olio di palma, dando loro accesso al mercato globale e introducendo pratiche agricole maggiormente sostenibili.


DEPURAZIONE A C Q U A

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A R I A

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S U O L O

La nanoremediation è realtà Il progetto “Nanobond”

L’utilizzo di nanotecnologie nella bonifica dei sedimenti grazie ad un sistema di dewatering che abbatte i costi dei dragaggi Le nanotecnologie detengono un enorme potenziale di intervento in ambito ambientale, legato allo sviluppo di nanomateriali innovativi per la bonifica di matrici contaminate, da cui il termine nanoremediation. Ed il progetto Nanobond (Nanomateriali per la bonifica associata al dewatering di matrici ambientali), propone proprio una nanoremediation ecocompatibile ed eco-sostenibile su sedimenti marini, salmastri e di acqua dolce, associata a un processo di dewatering che consenta lo sviluppo di vari settori: dalla bonifica ambientale alla produzione di nanomateriali, allineandoli alle best-practice europee e con significativi impatti su livelli occupazionali e ricchezza del territorio. L’utilizzo di elementi tubolari in geotessile drenante per il dewatering, impiegati sia per la disidra-

Il sistema Dewatering

tazione dei fanghi biologici di depurazione come pure per i sedimenti da dragaggio idraulico, grazie anche all’integrazione con l’azione decontaminante dei materiali nanostrutturati, permetterà di ridurre notevolmente non solo

i volumi e i relativi costi di trasporto, ma anche di abbattere i contaminanti presenti nelle matrici liquide e solide, nonché di trasformare i sedimenti bonificati da rifiuto a risorsa per la sistemazione degli argini e il recupero della

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sezione idraulica, fornendo quindi risposte concrete al rischio idrogeologico e ad altre applicazioni. Lo studio e la ricerca saranno sviluppati in particolare su tre matrici di sedimenti: quelli marini del porto di Livorno, quelli salmastri dal Canale dei Navicelli di Pisa, e quelli di acqua dolce da un canale del Consorzio di Bonifica 4 Basso Valdarno di Pisa. Il progetto Nanobond dedicherà particolare attenzione alla scelta di materie prime da fonti rinnovabili, anche da riciclo, per la sintesi dei nanomateriali che garantiscano costi di produzione e di processo competitivi, ma anche la possibilità di riciclo e riutilizzo della matrice e del nanomateriale stesso, nel pieno rispetto della sicurezza ambientale (ecoContinua a pag. 12


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La nanoremediation è realtà friendly). Questi principi sono alla base della green nanotechnology che mira a promuovere lo sviluppo di nanotecnologie sicure per l’ambiente e la salute umana (nano-ecosafety), che riducano al minimo i rischi legati alla loro produzione e al loro impiego durante tutto il loro ciclo di vita. Il progetto si propone anche di colmare un vuoto legislativo a supporto della diffusione di tale tecnologia con un documento di policy recommendations contenente le linee guida generali per l’utilizzo dei nanomateriali per la bonifica di siti contaminati. Capofila del progetto è Acque Industriali, azienda del Gruppo Acque (che si occupa di trattamento e smaltimento di rifiuti industriali, recupero e smaltimento dei fanghi, bonifiche di siti inquinati e progettazione e gestione nel campo della depurazione industriale), insieme ad altri sei partner: Labromare, operante nel settore delle bonifiche ambientali, la cartiera Bartoli, Biochemie Laboratori, Ergo, spin-off della scuola di alta specializzazione Sant’Anna, il Consorzio interuniversitario Instm per la scienza e tecnologia dei materiali tramite e l’Ispra). Il progetto dovrà essere completato entro fine marzo 2018 e prevede un investimento totale di circa 5 milioni di euro.

Progetto Nanobond

LA TECNOLOGIA “DEWATERING”

Con l’aspirazione della vasca di carico presso l’impianto idrovoro ragnaione, che regola il più ampio comprensorio di bonifica dell’area pisana, si è conclusa l’ultima fase del progetto “Dewatering System”, nato dalla collaborazione tra il Consorzio di bonifica 4 Basso Valdarno e Acque Industriali, e antecedente il progetto Nanobond. La tecnologia “dewatering” (disidratazione) permette di trattare i fanghi liquidi sia naturali sia contaminati ed apre una nuova strada nel trattamento dei sedimenti, che naturalmente si depositano nelle vasche di carico e scarico degli impianti idrovori. Si tratta di una tecnologia a basso impatto ambientale, che permette di trattare una vasta tipologia di

fanghi direttamente in sito. Il principio su cui si basa è semplice e versatile: il fango viene aspirato ed immesso in speciali tubolari in tessuto, che favoriscono la fuoriuscita di liquidi senza permetterne l’entrata (ad esempio la pioggia), in totale assenza di odori sgradevoli e con rischi di sversamento ridotti al minimo. Una

volta essiccato completamente, il materiale solido ottenuto deve essere analizzato: se inquinato, sarà conferito in idonee discariche (con un notevole risparmio economico grazie al basso peso specifico ed al ridotto volume del rifiuto totalmente essiccato); in assenza di contaminazioni potrà invece essere riutilizzato, ad esem-

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pio, per la sistemazione di argini o per il rialzo di terreni in aree depresse. Il processo si articola in diverse fasi: individuazione della tipologia del fango da trattare; predisposizione del cantiere adeguato alla tipologia del fango ed alla modalità di drenaggio (letto di essiccamento per fanghi biologici, piano di posa in area aperta per fanghi di dragaggio); impermeabilizzazione dell’area di posa e disposizione di materiale drenante di appoggio per i sacconi; pompaggio dei fanghi nei tubolari in geotessile drenante; aggiunta di sostanze polielettroliti per aumentare il flocculamento (addensamento del materiale solido per favorire l’espulsione del liquido); disidratazione con recupero dei liquidi (con bassissimo contenuto di solidi in sospensione) e loro destinazione a seconda delle caratteristiche chimiche (reimmissione nell’ambiente, riuso industriale, depurazione, etc); rimozione del residuo solido e, dopo le analisi per la corretta classificazione, sua destinazione a recupero o conferimento in sito attrezzato. <<Il Dewatering System – commenta Francesco Vincenzi, presidente dell’Associazione nazionale dei consorzi di bonifica (ANBI) - contribuisce a risolvere il problema della gestione dei rifiuti; tra questi ci sono anche i rifiuti prodotti dai sedimenti negli alvei fluviali, nelle casse d’espansione, nei bacini idrici e nelle vasche degli impianti idrovori, causa di rilevanti costi di gestione per la raccolta e lo smaltimento e che diventano enormi in caso di contaminazioni. Il progetto pilota toscano dimostra, una volta di più, la concretezza dell’approccio ai problemi, sviluppato dai consorzi di bonifica, capaci di proporre soluzioni, replicabili in altre zone ed altre situazioni produttive, presenti nel Paese>>. Dato l’utilizzo di mezzi meccanici ingombranti per l’aspirazione dei fanghi, questo sistema può però essere applicato solo su aree ampie e in alvei sufficientemente ampi, non in torrenti e piccoli canali. <<L'innovazione nella gestione dei corsi d'acqua – afferma Marco Bottino, presidente di Anbi Toscana - costituisce il tratto distintivo dei nostri consorzi di bonifica>>.


L’impianto Aquaspace Dalla depurazione al trattamento dei rifiuti liquidi

Convertito un impianto prima esclusivamente a uso interno in un servizio a terzi, in modo da trasformare un centro di costo in un centro di profitto L’impianto della Aquaspace situato a rovereto (TN) è uno degli stabilimenti “storici” del gruppo Aquafil, che da 50 anni produce fibre sintetiche (soprattutto nylon 6). In particolare, lo stabilimento trentino è specializzato nella tintura dei filati sintetici per pavimentazioni tessili (tappeti e moquettes); è pertanto dotato di un impianto di trattamento delle acque reflue, comprendente trattamenti chimico-fisici (disoleazione, coagulazione, flottazione con aria disciolta, flocculazione) e biologici (ossidazione e de-nitrificazione con fanghi attivi), oltre alla sedimentazione e filtrazione finale e al trattamento dei fanghi. La situazione internazionale del mercato delle fibre sintetiche, che ha visto da un lato un rallentamento della domanda, e dall’altro l’ingresso di produttori situati in aree a basso costo sia del lavoro che delle materie prime, ha portato nel tempo ad una situazione di sottoutilizzazione dell’impianto di produzione a rovereto e, conseguentemente, della sezione di trattamento delle acque. L’idea del management di Aquaspace è stata di combinare il processo di depurazione delle acque reflue con un processo di trattamento di rifiuti liquidi industriali; in questo modo un centro di costo viene trasformato in un centro di profitto, migliorando la sostenibilità dell’impianto sia dal punto di vista ambientale sia economico. Infatti, alcuni tipi di rifiuti possono essere utilizzati come correttivi chimici per le acque di scarico, mentre altri rifiuti (ad esempio quelli ad alto contenuto di carbonio, azoto e fosforo) servono da nutrimento per i batteri del tratta-

mento aerobico; in questo modo si riduce il quantitativo di sostanze chimiche utilizzate per il trattamento delle acque reflue di stabilimento. I TIPI DI RIFIUTI IN INGRESSO

Sono accettati nell’impianti di rovereto praticamente tutti i tipi di rifiuti liquidi, distinguendo tra i rifiuti contenenti metalli e quelli contenenti sostanze oleose: i due tipi di rifiuti vengono veicolati in due linee di trattamento diverse. I rifiuti oleosi accettabili comprendono liquidi e fanghi pompabili, sospensioni e/o emulsioni acquose, provenienti dalle più diverse attività industriali, artigianali e di servizi, sia pericolosi che non pericolosi. I rifiuti liquidi contenenti metalli sono di solito caratterizzati da pH estremi (acidi esausti, basi esauste e altri composti alcalini); provengono spesso da industrie galvaniche o dai processi di deca-

paggio eseguiti prima delle lavorazione meccaniche. Infine, sono accettati rifiuti liquidi diversi, sia pericolosi che non pericolosi, provenienti da attività di produzione e di servizi, e perfino il percolato delle discariche. I rifiuti che si presentano composti da 2 o più fasi (ad esempio una fase acquosa ed una oleosa, oppure una fase liquida ed una solida e/o pastosa), vengono sottoposti a idonei trattamenti per separare le diverse fasi. Per ottimizzare la gestione dell’impianto, i rifiuti sono stati suddivisi in gruppi omogenei, in modo che entro ciascun gruppo si possano seguire procedure simili di trattamento e di verifica. LE DIVERSE LINEE DI TRATTAMENTO

Una volta che il rifiuto liquido è stato accolto nei serbatoi appropriati e suddivisi secondo la tipologia (acidi, basi, soluzioni alca-

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line concentrate, emulsioni oleose, ecc.), si provvede alla miscelazione dei diversi tipi, per i quali sia stata accertata la compatibilità fisica e chimica. Questa operazione viene condotta secondo le modalità individuate nelle BAT approvate con D.M. 29/1/2007 (“Linee guida per l’individuazione e l’utilizzazione delle migliori tecniche disponibili-impianti di trattamento chimico-fisico e biologico dei rifiuti liquidi”); la miscelazione non declassifica nè riclassifica i rifiuti, ma serve unicamente a preparare un refluo più facile da trattare nelle fasi successive. Viene di regola evitata la miscelazione dei rifiuti contenenti metalli con i rifiuti contenenti contaminanti oleosi, in quanto questa miscelazione complicherebbe ulteriormente i trattamenti successivi. Inoltre, non sono sottoposti a miscelazione i rifiuti che richiedono unicamente un trattamento biologico. Dopo miscelazione, i rifiuti vengono avviati alle diverse linee di trattamento, che sono così distinte: linea acque oleose ed emulsioni magre, linea trattamento chimico-fisico, linea trattamento biologico, linea fanghi. Linea acque oleose ed emulsioni magre In questa linea (con capacità 840 mc/settimana) si trattano rifiuti liquidi aventi al massimo il 7% di sostanze oleose. Il processo è costituito dalle seguenti fasi di trattamento: separazione di oli e morchie per gravità, coalescenza su disoleatore a pacco lamellare, rottura delle emissioni mediante Continua a pag. 14


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cassoni coperti a tenuta, mantenuti in depressione per evitare la diffusione di cattivi odori. L’area di stoccaggio mantiene la separazione tra fanghi biologici e fanghi chimici, che verranno trasferiti a diversi sistemi esterni di trattamento e smaltimento finale. Le acque madri derivanti dalla disidratazione vengono inviate alla vasca di raccolta a monte del trattamento biologico.

L’impianto Aquaspace coagulazione con cloruro ferrico o di alluminio, neutralizzazione con latte di calce, aggiunta di polielettrolita, flottazione con aria disciolta. Dalla flottazione si ottiene un’acqua priva di oli, che verrà inviata al trattamento chimico-fisico; i fanghi vengono convogliati ai trattamenti specifici della “linea fanghi”, per poi essere inviati a smaltimento. Linea trattamento chimico-fisico Questa linea ha una capacità di 500 mc/settimana e riceve i reflui non oleosi e quelli che sono stati privati degli oli mediante il trattamento nella linea “acque oleose”. Il trattamento avviene con diverse fasi successive: coagulazione con sali di ferro in ambiente acido controllato, precipitazione dei solidi sospesi e dei metalli pesanti come idrossidi mediante aggiunta di latte di calce, flocculazione con polielettroliti, separazione dei fanghi in sedimentatore a pacchi lamellari, eventuale rimozione dei metalli residui mediante reattivi chelanti o solfuro di sodio, filtrazione finale del refluo trattato, mediante passaggio attraverso un letto di quarzite. Dopo questo trattamento le acque vengono inviate ad una vasca di controllo, dove stazionano il tempo necessario per i test di verifica dell’idoneità al successivo trattamento biologico. Linea trattamento biologico Questa linea riceve le acque provenienti dal trattamento chimicofisico e quelle provenienti dalla produzione industriale dello stabilimento, nonché i reflui che non contengono nè oli nè metalli, e possono quindi essere trattati direttamente per via biologica. Le vasche del trattamento biologico sono suddivise in due sezioni: predenitrificazione, in vasca unica di 1.400 mc e nitrificazione/ossidazione in 2 vasche di volume complessivo 3.100 mc. La riduzione delle sostanze azotate viene ottimizzata mediante il ricircolo della miscela aerata proveniente dalla nitrificazione; in questo modo si ottiene l’ossidazione dell’azoto ammoniacale. L’aerazione delle vasche di ossidazione/nitrificazione avviene mediante un sistema di diffusori a bolle fini posti sul fondo delle va-

IL CONTROLLO DELLE EMISSIONI IN ATMOSFERA

sche stesse. L’impianto di diffusione è servito da 5 soffianti, della portata di 2.316 Nmc/h ciascuna. In uscita dalla fase biologica ossidativa il refluo viene inviato ad un chiarificatore; una parte del fango sedimentato al fondo di questo viene ricircolato nelle vasche di nitrificazione/ossidazione, in modo da mantenere costante la concentrazione di biomassa attiva. Infine, l’acqua depurata in uscita dal chiarificatore viene filtrata in un sistema a sabbia e carboni attivi, in modo da rimuovere eventuali residui di sostanze organiche. Il trattamento a carboni attivi è necessario soprattutto per evitare colorazioni anomale dell’acqua in uscita. Dopo questo trattamento, il refluo è pienamente conforme ai valori limite per lo scarico in pubblica fognatura. Il controllo finale viene eseguito sia con analisi di la-

boratorio periodiche, che con analizzatori in continuo dei solidi sospesi e del potenziale redox. Linea fanghi I fanghi prodotti nell’impianto sono di 2 tipi: fanghi chimici, risultanti dalla flottazione e dal trattamento chimico-fisico; fanghi biologici, derivanti dal chiarificatore a valle del trattamento biologico. I fanghi chimici vengono sottoposti a condizionamento con agenti chimici coagulanti e flocculanti, poi inviati entro ispessitori verticali in acciaio che rimuovono parte dell’acqua assorbita. I fanghi biologici invece vanno direttamente all’ispessimento. La disidratazione viene compiuta mediante due filtropresse gemelle, una delle quali tratta i fanghi chimici, e l’altra quelli biologici. I fanghi disidratati in uscita dalle filtropresse vengono raccolti mediante tramogge dotate di coclea e stoccati temporaneamente entro

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La Giunta Provinciale di Trento ha posto come precisa condizione all’approvazione del progetto “che siano puntualmente definiti tutti gli interventi di mitigazione e riduzione degli impatti da odore, da aerosol batterico e da emissioni atmosferiche”. Oltre al controllo dei rifiuti in arrivo ed alla copertura di tutte le vasche dalle quali si potrebbero originare cattivi odori, è stato realizzato un sistema di raccolta, aspirazione e trattamento dell’aria proveniente dalle diverse sezioni dell’impianto. Il trattamento viene effettuato in 2 stazioni distinte (gemelle e intercambiabili), composte da: uno scrubber a umido a doppio stadio (acido+basico), con soluzione di acido solforico, sodio e ipoclorito; una unità di “biotrickling”, costituita da un sistema chiuso, contenente all’interno un letto filtrante composto da lapilli vulcanici, gusci di mitili e simili, mantenuti costantemente bagnati mediante spruzzatori d’acqua a ricircolo. L’aria da trattare attraversa il letto passando dall’alto verso il basso e lungo il suo percorso incontra il biofilm che si forma spontaneamente (dopo inoculo inziale) sul letto filtrante; i batteri che compongono il biofilm metabolizzano gli inquinanti, trasformandoli in vapor acqueo e CO 2 mediante ossidazione biologica con l’ossigeno dell’aria. I batteri del biofilm vengono mantenuti vitali mediante apporto di nutrienti (come sali di ammonio, urea, fosfati, solfati di ferro e magnesio, cloruro di potassio, acetato di sodio, glicerina), miscelati e dosati in modo da assicurare le concentrazioni opportune di carbonio organico, azoto, fosforo, ferro, potassio e altri elementi.


GrAzIE ALLE NANOTECNOLOGIE

Biorigenerare le risorse idriche BioEcoActive sviluppa metodologie per la depurazione ed il trattamento di acque reflue derivanti da processi produttivi diversificati, impiegando sostanze inorganiche non tossiche. L’approccio scientifico nel problem solving raggiunto dall’azienda, nata dopo anni di ricerca accademica, le hanno consentito di trasferire queste capacità in ambito industriale ed applicativo. Un esempio su tutti è il sistema di trattamento delle acque di scarto industriale utilizzando il sistema nanotecnologico brevettato BioEcoActive, un composto inorganico, cristallino, insolubile in condizioni neutre e basiche (per cui non rilascia nessun componente in soluzione), sicuro, assolutamente non tossico, bio ed eco‐compatibile, che agisce come adsorbente per i contaminanti. Questo composto trova interessanti applicazioni, tra cui il trattamento del siero di latte. Diversi trattamen-

I cristalli BioEcoActive

Spettro FT-IR di assorbimento di micro-oligoelementi del siero di latte

ti con BioEcoActive a diverse percentuali si infatti sono dimostrati efficaci per l’abbattimento del COD. Inoltre, di grande vantaggio risulta il poter recuperare i micro e oligoelementi (per esempio proteine, zuccheri, grassi) che, diversamente, andrebbero dispersi nell’ambiente. Il valore iniziale del COD del siero di latte esausto risulta essere mediamente pari a 139.000 mgO2/l. Dopo il trattamento con BioEcoActive micrometrica in ambiente acido si ottiene un valore di COD di 6.000 mg/l, e se si utilizza BioEcoActive micro-

nanometrica si ottiene un COD pari a 1.130 mg/l. Un risultato positivo, quindi, sebbene il livello di COD raggiunto non è definitivo per consentirne lo smaltimento in rete fognaria. Altro aspetto fondamentale di quest’indagine è stato la capacità dell’idrossiapatite di assorbire sostanze organiche sia proteiche che grasse e la capacità di conservare la propria cristallinità durante il trattamento. Da segnalare che sono in fase di sperimentazione anche dei trattamenti di purificazione del digestato

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liquido attraverso l’impiego del siero di latte. Il siero di latte esausto è un prodotto di scarto alimentare che deriva dal processo di caseificazione. È costituito principalmente da lattosio, proteine, sali minerali e grassi. Pur essendo un prodotto di scarto, la normativa europea ne regolamenta l’utilizzo in ambito zootecnico e lo smaltimento in alcuni casi comporta costi onerosi. Tali regolamenti incentivano la valorizzazione e l’utilizzo di questi scarti, così da migliorare i ricavi economici e diminuire gli impatti ambientali legati alla produzione e all’impiego di fertilizzanti di sintesi. Le fasi di trattamento BioEcoActive del digestato e dei liquami, attraverso metodi chimico-fisici, permettono il recupero dei nutrienti allo stato solido, sotto forma di fosfati e solfati che possono essere raccolti in prodotti venduti come granulati e usati come fertilizzanti NPK. Da evidenziare, infine, che le acque trattate mediante BioEcoActive possono essere utilizzate per il lavaggio in impianti industriali, irrigazione in ambito agricolo ed immesse in rete fognaria o acque superficiali secondo D.Lgs 152/06.


La depurazione galleggiante Fino a -95/99% di odori

Filtri a carbone attivo su base di poliestere espanso ad alta densità, modulari e flessibili Il Podz è un filtro a carboni attivi che viene inserito su una base galleggiante (float) costruita in poliestere espanso ad alta densità (EPC) e posizionato sulla superficie delle acque presenti nei serbatoi industriali, nelle vasche, nei bacini, ecc. di qualunque tipo e dimensione, in modo da ridurre le emissioni odorigene e i gas serra che provengono dai processi industriali. La modularità di questi filtri permette di avvicinarli e incastrarli tra loro formando una copertura flessibile e non intrusiva sulla superficie dell’acqua, che non risente degli eventuali cambiamenti di livello. Il loro posizionamento, peraltro, avviene in modo semplicissimo e velocemente. Il Podz riduce al minimo gli odori e le emissioni di gas serra filtrandoli e trattandoli senza la classica copertura con sostanze chimiche oppure con costosissime strutture per la copertura totale della vasca e conseguente trattamento dell’aria prelevata. Ogni contenitore galleggiante contiene il proprio filtro, costruito su misura per soddisfare le esigenze specifiche dell’applicazione richiesta e per garantire la massima efficacia contro una varietà di emissioni. Il Podz rappresenta una soluzione semplice ed economica per il trattamento di odori ed emissioni gassose provenienti da serbatoi industriali, vasche di trattamento reflui, ecc. L’investimento richiesto e la successiva manutenzione sono davvero ridotte rispetto alle tradizioni forme di trattamento dello

stesso tipo di inquinamento. Soprattutto, si tratta di una soluzione veloce da realizzare, poiché in meno di un giorno si posizionano oltre 500 mq di filtri, e durevole nel tempo. Dato che il carbone attivo non è in contatto diretto con la superficie dell’acqua, la sua aspettativa di vita è notevole: dura da 12 a 36 mesi, a seconda della composizione delle emissioni da filtrare. I galleggianti su cui vengono posizionati i filtri durano invece anche 10-15 anni. Da evidenziare, inoltre, che il filtro drena immediatamente le acque piovane, anche in caso di forti piogge o in caso di bacini gassati. Sono disponibili diversi filtri a seconda del tipo di odori/emissioni gassose e del loro tasso di concentrazione. I filtri sono di due dimensioni: standard e XL, a seconda della dimensione delle superfici da filtrare. Infine, anche nel momento della sostituzione dei filtri, le operazioni da compiere sono davvero semplici e veloci, non richiedono né formazione di personale specifico né alcun lavoro di ingegneria

o infrastutturale. Per quanto riguarda le applicazioni dei Podz, estremamente efficaci si rivelano negli impianti petrolchimici e, soprattutto, in quelli per il recupero delle acque di processo che sono una delle principali fonti di emissioni odorigene, oltre che di gas a effetto serra, e che vanno monitorate ed eliminate seriamente. Nel caso delle sabbie bituminose, i serbatoi per acque nere sono responsabili del 33% delle emissioni di gas serra di tutto il processo. In tali ambiti, l’installazione di Podz consente di trattare queste emissioni e di migliorare in modo significativo la qualità dell’aria. Stesso dicasi nelle raffinerie, in cui gli impianti di trattamento delle acque e anche i vari serbatoi di stoccaggio sono la principale fonte di gas serra e di cattivi odori. Può essere costoso e anche pericoloso coprire questi elementi del processo. L’installazione di Podz, invece, permette un rivestimento delle superfici e il loro trattamento senza alcun rischio, visto che si ha una filtrazione senza una copertura assoluta. Per quanto attiene agli impianti di depurazione, essi sono spesso

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individuati dai residenti che vivono intorno come fonte di cattivi odori, e le vasche a fanghi attivi ne sono responsabili per il 75%. Se alcuni di questi impianti vengono coperti, soprattutto nelle nuove costruzioni, la maggior parte di essi non sono dotati di sistemi di gestione delle emissioni. Ebbene, l’uso di Podz consente di ridurre le emissioni di odori di quasi il 99% Inoltre, dai bacini di fanghi attivi e di chiarificazione proviene la maggior parte di protossido di azoto (N 2O), un gas serra molto dannoso. Considerando che una stazione può emettere quasi 10 g/anno di N2O, il trattamento di tali gas potrebbe portare guadagni apprezzabili in termini di “crediti di carbonio”. Anche gli impianti di compostaggio possono provocare lamentele presso la collettività limitrofa a causa del loro cattivo odore. Mentre la maggior parte degli odori provenienti da un sito di compostaggio vengono da cumuli in fermentazione, in siti chiusi, gli stagni di percolato rappresentano quasi il 90% delle emissioni odorigene. Inoltre, questi stagni di percolato sono frequentemente ventilati, il che aumenta la diffusione degli odori molesti nel circondario. Peraltro, tali stagni sono anche fonte spesso di emissioni di metano, uno dei principali gas serra. L’installazione di Podz permette anche in questo caso di risolvere il problema del contenimento degli odori, oltre che, grazie al trattamento del CH4, di generare crediti di carbonio che possono essere poi rivenduti o riutilizzati.


Market La Saluber ‘04 ha messo a punto una gamma di impianti di depurazione biologici, idonei per il trattamento delle acque reflue urbane, che si basano su tecnologia MBBr. Ma il punto di svolta consiste nel servizio di noleggio! Infatti Saluber, oltre a vendere i sistemi modulari, offre anche il servizio di noleggio a medio e lungo termine che potrebbe permettere agli enti pubblici di dotarsi di un valido sistema di depurazione senza affrontare costi troppo elevati, spesso non sostenibili, con possibilità di saggiare la funzionalità e l’efficacia dell’impianto e, nel caso, procedere al riscatto finale dello stesso. Il noleggio di sistemi modulari

ZOOM

Market

Il noleggio di impianti MBBR Saluber ‘04

Biodepuratori modulari per reflui urbani, dai costi contenuti e tempi d'installazione ridotti

trova grande applicazione come sistema di trattamento per piccole comunità, nel potenziamento degli impianti in esercizio e offre un valido aiuto per la prosecuzione del servizio durante le fasi di adeguamento/riqualificazione di impianti già esistenti. Il processo MBBr garantisce alti rendimenti depurativi rispetto ai sistemi di trattamento tradizionali, consente di ridurre fino ad un terzo l’area coinvolta nell’installazione e richiede meno di dieci giorni per la messa in marcia. Infatti, i moduli sono stati progettati con l’obiettivo di semplificare la gestione operativa, di ridurre al minimo gli interventi manutentivi e di garantire bassi consumi ener-

getici, tutto nel rispetto dei limiti tabellari fissati dal D. Lgs 152/06. La potenzialità di trattamento di ogni modulo (fino a 1.000 abitanti equivalenti) può inoltre essere potenziata in qualsiasi momento con la semplice aggiunta di moduli integrativi perfettamente componibili fra loro. Insomma ad oggi, il sistema di depurazione MBBr a noleggio è una novità sotto il profilo tecnico ed economico per la soluzione ai problemi di inquinamento che si trovano ad affrontare le amministrazioni locali, anche molto piccole e dislocate in contesti poco agevoli per la costruzione di impianti di depurazione tradizionali.

SALUBER ‘04 Srl Via Marconi, 3 - 04012 Cisterna di Latina (LT) Tel/Fax 06.96881434 - email commerciale@saluber04.it www.saluber04.it

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A seguito dell’utilizzo industriale dei percolati di discarica per la produzione di solfato ammonico quale fertilizzante, dopo trattamenti di stripping e condensazione acida dell'ammoniaca presente, si riscontrano notevoli problemi di trattabilità all’impianto di depurazione biologica del percolato residuo a causa della sua bassissima biodegradabilità e della presenza di sostanze “tossiche” per la microfauna, quali solfiti e solfuri. I principali problemi riscontrati nel trattamento di questo tipo di reflui riguardano il COD solubile e scarsamente biodegradabile che permane allo scarico e la concentrazione di solfiti che deve essere <1 ppm secondo la tab.3 all.V D.lgs. 152/06. Al fine di poter migliorare la depurabilità di questi reflui sono stati valutati diversi metodi di tipo chi-

TRATTAMENTO IBRIDO DELLE ACQUE OLEOSE La società tedesca Akvola Technologies ha recentemente iniziato la commercializzazione di un sistema di trattamento che combina la microflottazione con la filtrazione su membrane ceramiche. Il sistema è specificamente progettato per il trattamento di acque reflue contenenti fino al 3% di sostanze oleose; presenta una efficienza di rimozione del 99%, ad un costo che rappresenta una frazione di quello delle tecnologie attualmente in uso. Il sistema si compone di una zona di microflottazione, dove vengono prodotte microbolle da 50 a 100 micron di diametro, median-

Batteri+probiotico per i percolati NCR Biochemical

Ottimizzazione delle rese di depurazione dei reflui di discarica poco biodegradabili e ricchi di solfuri e solfiti

te un apposito generatore, che consuma da 5 a 10 volte meno energia rispetto ai normali sistemi DAF. Le bolle raccolgono solidi sospesi, grassi, alghe e fiocchi di materiale organico, e li trasportano in superficie, formando uno strato che viene continuamente rimosso. L’acqua così depurata passa poi al modulo di filtrazione, dove sono presenti membrane ceramiche piane, che consentono flussi superiori di 5 volte rispetto alle membrane polimeriche. La possibilità di operare ad alto regime di flusso consente una riduzione nell’area delle membrane e, quindi, minori costi di investimento e minori spese per l’energia, in quanto la caduta di pressione attraverso la membrana è di soli 0,2 bar, cioè da 7 a 10 volte meno di normali sistemi di filtrazione. Il processo è stato sperimentato in un impianto pilota da 400 mc/ora, per il trattamento delle acque di lavaggio di uno stabilimento Thyssen Krupp che produce coke metallurgico. Successive applicazioni sono previste in raffinerie di petrolio, acciaierie e industrie meccaniche.

mico-fisico. I trattamenti chimicofisici del tipo “Fenton-Like” per aumentare il rateo BOD/COD del refluo ed eliminarne le specie sulfuree ridotte, si sono dimostrati di difficile gestione (richiedono numerose implementazioni strumentali per l'automazione del processo e, data la variabilità naturale dei percolati, i set-point operativi non possono essere universalmente applicati) e molto onerosi da un punto di vista di esercizio e manutenzione (grande produzione di fango chimico da smaltire e notevoli problemi di corrosione degli impianti). Successivamente ai test chimico-fisici sono state testate le recenti biotecnologie di NCr Biochemical basate su particolari ceppi batterici di tipo fotosintetico (non obbligato) quali gli Ecosana SG e probiotici quali il Probios 95. Il residuo dopo strippaggio dell'ammoniaca è stato testato in un impianto biologico a fanghi attivi, operante con un mixed-liquor gestito con cicli alternati di nitrificazione/denitrificazione in due vasche ossidative sequenziali seguite da separazione acqua-fango con tecnologia a membrana. Il refluo in ingresso presenta una concentrazione media di SO3 pari a

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43 ppm e 12 ppm di S2- e viene testato in impianto inoculato con ceppi batterici Ecosana SG anossigenici fotosintetici (non obbligati, come anzidetto), coadiuvati dal probiotico Probios 95 con effettori di membrana supportati su polisilicati stratificati. Dopo un periodo di sperimentazione nel sistema pari a 9 mesi è stato possibile ottenere rendimenti di abbattimento del COD solubile pari al 91,5% (quindi il COD non abbattibile semplicemente mediante la sola tecnologia MBr, ma che effettivamente deve essere bioadsorbito/bioflocculato dai batteri presenti nella biomassa) a cui si accompagnano valori di SO3 pari a 0,3 ppm e 0,2 ppm di S2-. In una fase intermedia della sperimentazione, dopo circa 3 mesi (periodo pari a circa 2 volte l'età del fango nel sistema) il mixed-liquor ha mostrato una microfauna caratterizzata dalla presenza di piccoli flagellati, ciliati sessili quali vorticella microstoma e vorticella convallaria, diverse forme di telotrochi e isolati prorodon; restituendo un indice biotico decisamente buono per sistemi destinanti al trattamento dei percolati. Oltre ad assicurare le necessarie performance per soddisfare i limiti autorizzativi allo scarico (in particolare per ciò che concerne gli SO3 è sempre stata garantita la concentrazione <1 ppm allo scarico), il trattamento si è mostrato molto flessibile verso le variazioni di qualità del percolato e decisamanete più economico di un pretrattamento chimico-fisico a monte dell'impianto a fanghi attivi.


GREEN FASHION L A

P R O D U Z I O N E

" M O D A "

T U T E L A

L’ A M B I E N T E

Il jeans sostenibile davvero In Italdenim

Abbattere le emissioni di CO2, ridurre i consumi di energia e acqua, uso di sostanze naturali, rilavorazione degli scarti

Il denim è forse il tessuto più diffuso al mondo, e chi lo produce ha quindi una grande responsabilità verso l'ambiente. A questo proposito, esemplare è l'impegno della Italdenim, attiva da 40 anni nel mercato del denim, e che oggi nel suo stabilimento di Inveruno (MI) di 40.000 mq svolge ogni fase di lavorazione: tessitura, tintoria e finissaggio. Crescere attraverso uno sviluppo sostenibile è ciò che l’azienda vuole ottenere, portando innovazione nei processi produttivi e nei prodotti per ridurre drasticamente l’impatto ambientale del denim prodotto. Per questa ragione ha investito tantissimo per rendersi autonoma nell’approvvigionamento di enerHi-Tech Ambiente

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gia pulita e, grazie ad un avanzato impianto di cogenerazione, il recupero di energia termica le ha consentito di ridurre drasticamente le emissioni di anidride carbonica (-7 mln di kg di CO 2 nel 2015). La riduzione di CO 2 è solo una parte del problema. L’industria tessile è responsabile della produzione di rifiuti e sostanze nocive che comportano l’utilizzo e lo spreco di grandi quantitativi di acqua. Per questo motivo la società ha creato la divisione Ingegneria Ambientale, responsabile dell’ideazione e della realizzazione dell’impianto di depurazione delle acque reflue dei processi di Continua a pag. 20


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Il jeans sostenibile davvero lavorazione del tessuto. <<Abbiamo speso oltre 30 milioni di euro – dice Luigi Caccia, presidente di Italdenim - per costruire un'azienda tessile sostenibile in ogni passaggio>>. Ma Italdenim ha anche raccolto la sfida di eliminare le sostanze pericolose dalla produzione dei jeans, aderendo nel 2014 al programma Detox di Greenpeace, un protocollo che prevede la progressiva eliminazione, entro il 2020, delle 11 sostanze ritenute pericolose. E Italdenim grazie all’impegno già sostenuto negli anni precedenti, ha potuto vantare fin da subito l’assenza di ben 8 sostanze indicate. Come? Sviluppando una tecnica ad hoc basata sul processo brevettato dalla Canepa, produt-

trice di cachemire. Il sistema si basa sull’impiego del chitosano, un fissatore naturale ricavato dagli scarti dei crostacei, in sostituzione delle sostanze chimiche. <<Niente più metalli pesanti e resine acriliche sul cotone da dover poi eliminare con lavaggi spinti –

spiega Caccia – perché il chitosano non ne ha bisogno. In questo modo, quindi, serve meno acqua in fase produttiva e non si generano reflui inquinati da trattare>>. Il risparmio idrico si aggira intorno all’ 80% rispetto ad un denim standard. In numeri: circa 1.200

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litri d’acqua risparmiati per ogni metro che esce dai telai, che all’anno producono 4 mln di metri di denim. Anche la fase di tintura è ecologica in Italdenim. Le tinte sono ricavate dalle piante. L’indaco, in particolare, è creato in sede per evitare idrosolfiti o conservanti sgraditi. Grazie al brevetto di un ingegnere svizzero (David Crettenand) il team di Italdenim ha costruito apposite celle elettrochimiche per fabbricare il colore. Attualmente la sfida dell’azienda è rivolta al riciclo. <<rilavoriamo gli scarti di produzione, ossia li riportiamo allo stato di fibra da rimettere poi nei macchinari. Inoltre, facciamo parte di una piattaforma che ritira jeans usati e gli scarti di magazzino per rilavorarli. In pratica, i capi vengono smontati, riportati a filo e poi rilavorati nei telai>>.


Secondo dati pubblicati dal ConauConsorzio nazionale abiti usati, il consumo italiano di abiti e accessori di abbigliamento è intorno ai 14 kg/anno pro-capite; una buona raccolta differenziata dovrebbe riuscire ad intercettare circa il 50% di questo quantitativo, come avviene nei Paesi del Nord Europa, mentre attualmente siamo intorno a 1,8 kg per abitante. Come per gli altri materiali, i vantaggi ambientali ottenibili attraverso il riutilizzo o il recupero degli abiti usati sono rilevanti: secondo uno studio dell’Università di Copenhagen, per ogni kg di abiti usati riutilizzati si evita l’emissione di 3,6 kg di CO 2, il consumo di 6.000 litri di acqua, l’immissione nell’ambiente di 0,3 kg di fertilizzanti e di 0,2 kg di pesticidi. Attualmente, l’attività di raccolta e recupero degli abiti usati è ancora “in mezzo al guado”, cioè al passaggio dalla fase volontaristica, affidata prevalentemente ad onlus, ad una fase più capillare ed organizzata, basata su convenzioni stipulate tra le organizzazioni del settore ed i Comuni. Il problema principale è di tipo economico: mentre le raccolte differenziate degli imballaggi, dei raee, dei pneumatici e delle batterie usate possono contare sul finanziamento derivante dai “contributi di riciclaggio” applicati sulla vendita dei prodotti nuovi, ancora non esiste niente del genere per gli abiti usati. A questo si aggiungono problemi di carattere normativo-burocratico, come l’imposizione di una fase di “igienizzazione” (prevista dall’All. 1 del D.M. 5/2/98) prima della commercializzazione, e le procedure di notifica richieste dal alcune Dogane italiane per l’esportazione. Nonostante queste difficoltà, alcune iniziative promosse da associazioni benefiche hanno ottenuto un indubbio successo: citiamo per tutte “Dona Valore” delle cooperative della rete r.I.U.S.E., che fa capo alla Caritas Ambrosiana. A Milano e in 200 Comuni dell’hinterland sono stati installati 1.200 contenitori, che hanno consentito di raccogliere nel corso dello scorso anno circa 8.000 tonnellate di abiti smessi, consentendo di finanziare numerosi progetti di utilità sociale e dando lavoro ad oltre 40 persone, la maggior parte delle quali in situazioni di handicap o di svantaggio sociale. IL RICICLO E L’ECO FASHION

Attualmente, il 68% degli indu-

Il recupero di abiti usati Stato dell’arte

Molte le iniziative di immagine, ma la vera raccolta è ancora assai scarsa

menti recuperati viene riutilizzato (in Italia, o esportandolo in Paesi in via di sviluppo) e solo il 25% viene recuperato come materia prima. Il mondo della moda spera in futuro di invertire queste percentuali: infatti, il settore dell’abbigliamento sta mostrando un notevole interesse verso il recupero delle fibre tessili per la produzione di nuovi capi di vestiario. Oltre al “pile” ottenuto dalle bottiglie di PET recuperate, già negli anni ’90 Armani aveva sviluppato un processo di riciclaggio del tessuto Denim, e la “Patagonia” (azienda californiana specializzata nell’abbigliamento sportivo) ha lanciato il programma “Worn Wear”, attraverso il quale ricompra gli indumenti usati con il suo marchio e li rivende ai suoi negozi specializzati nell’usato; se gli indumenti sono troppo logori, vengono ceduti alla società giapponese Teijin, che è partner del progetto, e questa ne ricava fibre riciclate che vengono usate da Patagonia per

produrre nuovi capi. Nel campo della moda questi restano tuttavia esempi isolati: ad oggi, il più importante progetto europeo (Eco Pro Fabrics) non riguarda i tessuti alla moda, ma gli abiti da lavoro. Nel quadro di questo programma, entro il 2017 verranno prodotti circa 30.000 capi di vestiario in tessuto di poliestere riciclabile al 100% denominato returnity; dopo l’uso gli indumenti verranno raccolti, ridotti in fibre e nuovamente filati in nuovi tessuti. Il processo di “melt spinning” assicura la perfetta igienizzazione e la rimozione dei materiali estranei; rispetto ai tessuti standard non riciclati, returnity consente un risparmio del 64% nell’energia e del 95% nel consumo di acqua, ed una riduzione del 73% nelle emissioni di CO2. Un altro interessante progetto è nato a Prato, dove il riciclo delle fibre tessili ha una tradizione secolare. Si tratta di “Meccanoriciclo”, finanziato nel quadro dei progetti euro-

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pei Life+; questo progetto si propone di valorizzare le piccole fibre tessili (peluria), che attualmente costituiscono uno scarto di fabbricazione destinato alla discarica o all’incenerimento. Queste fibre, delle quali in Italia di producono 200.000 ton/anno, possono essere vantaggiosamente utilizzate nella produzione di supporti per filatura, pannelli truciolari ignifughi, pannelli fonoassorbenti, e anche parti di macchinari tessili, in sostituzione di parti metalliche. Il processo che consente di ottenere questi risultati è stato definito “macinazione criogenica ad alta energia” e consente di ottenere un nuovo materiale (denominato PPF6 e composto dal 40% di fibra tessile di recupero e 60% di polipropilene), che può essere lavorato senza problemi con i consueti processi di stampaggio a iniezione, dove può essere stampato a temperature inferiori rispetto al polipropilene vergine, con un corrispondente incremento del numero di pezzi prodotti nell’unità di tempo. Curioso anche il progetto “Occhio del riciclone”, gestito dall’omonima cooperativa: il progetto punta a produrre e commercializzare abbigliamento, accessori e oggetti di design, attraverso la lavorazione di materiali di scarto post-consumo. Ha ottenuto il patrocinio morale del Ministero dell’Ambiente ed ha organizzato sfilate ed esposizioni nelle principali città italiane ed europee.


La rivoluzione green entra nell’industria conciaria europea. Ha preso il via, infatti, il progetto europeo LIFETAN (Eco-friendly tanning cycle), coordinato dall’Enea, per sostituire prodotti chimici e derivati del petrolio con sostanze naturali da scarti animali (pollina) e rifiuti agro-industriali in alcune fasi di lavorazione del pellame (macerazione, sgrassaggio, tintura, ingrasso e concia). Per due anni l’Enea lavorerà insieme ai quattro partner del programma scientifico (due centri di ricerca, il CNr-Iccom di Pisa e lo spagnolo Inescop, e due concerie, l’italiana Newport e l’iberica Tradelda) per arrivare a una produzione ecosostenibile ed economicamente conveniente per le aziende del settore. In concreto, il progetto punterà alla sostituzione delle sostanze nocive - come il cromo - e alla riduzione della percentuale di cloro con sei nuove formulazioni ecofriendly, utilizzando rifiuti e sottoprodotti di origine naturale. Ma non solo: 20% di acqua in meno nel processo di lavorazione della pelle e stessa percentuale di riduzione delle sostanze inquinanti nelle acque di scarico, maggiore biodegradabilità delle molecole utilizzate e 50% di assorbimento in più dei prodotti green rispetto a quelli attualmente impiegati. Ma c’è di più: il team di ricerca e industrie punterà a conquistare il marchio Ecolabel per il settore europeo della calzatura grazie ai nuovi processi e prodotti ecofriendly. LifeTan nasce integrando i risultati ottenuti nei precedenti progetti focalizzati sulle singole fasi di lavorazione conciaria come Podeba per la macerazione del pellame, Ecodefatting per la sgrassatura, Oxatan per la sostituzione del cromo, Ecofatting per l’ingrassaggio e Bionad sulla co-

L’industria conciaria più green Il progetto LifeTan

Sostituire sostanze tossiche con scarti di origine naturale, ridurre l’uso di cloro e risparmiare fino al 20% di acqua nelle lavorazioni

lorazione. L'industria conciaria europea, localizzata per il 70% in Italia e in Spagna, rappresenta una quota significativa della pro-

duzione mondiale ed è un importante settore economico per l'intera UE. I tradizionali processi di produzione del cuoio hanno un

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notevole impatto ambientale per l’impiego massiccio di sostanze tossiche (ad esempio le cloroparaffine) e non biodegradabili, come i prodotti utilizzati per reintrodurre i grassi nel pellame dopo la concia. Per non parlare dei prodotti semilavorati o finiti che contengono metalli tossici (il cromo in particolare) che rendono difficile il riciclo e lo smaltimento. <<L'intero settore – spiega Alice Dall’Ara, responsabile del progetto LifeTan - ha bisogno di migliorare in modo significativo la sostenibilità ambientale dei propri processi, senza alterare la qualità di una produzione riconosciuta in tutto il mondo>>. Fattibilità tecnica ed economica procederanno per gradi: si partirà dalla sperimentazione in laboratorio, per passare ad una fase preindustriale con attività di formazione per i conciatori spagnoli e italiani, ed arrivare infine alla produzione su scala industriale nelle due concerie partner.


MENO CONSUMI NEL TESSILE

CAMBIA COLOrE

Energia su misura

La maglia avverti-smog

Un software dedicato in particolare alle PMI, che offre alle aziende l’opportunità di individuare anomalie nei consumi energetici e comparare i consumi delle proprie macchine con quelli di altre aziende del settore. Si tratta di Set Tool, un’innovativa piattaforma web interfacciata con un'applicazione excel, per un totale di 40.000 righe di codice, che consente di raccogliere e analizzare in maniera correlata i dati aziendali, dai consumi alla produzione. Lo strumento informatico, sviluppato dall’Enea in collaborazione con le aziende e i principali centri di ricerca europei del settore tessi-

nici, riscaldamento, illuminazione, ecc.) dell’azienda e quest’ultima è in possesso di numerosi dati su energia e produzione, frammentati tra diverse funzioni, che se portati a sintesi consentono di estrarre nuove ed utili informazioni sulla gestione aziendale>>. <<Questa iniziativa non sostituisce gli audit energetici - aggiunge Giuseppe Nigliaccio, ricercatore Enea - ma stimola l’azienda a migliorare le proprie performance in un settore che ha un rilevante peso economico dato che, in Europa, un’impresa manifatturiera su dieci appartiene al comparto tessile e abbigliamento>>.

L'inquinamento dell'aria è un problema sempre più sentito nelle città di tutto il mondo. Per le persone particolarmente attente o preoccupate, oggi c'è modo di sapere ad ogni passo quanta sporcizia si sta inalando. C’è chi a scopo preventivo porta la mascherina filtrante e chi indossa una maglietta che cambia colore man mano che la concentrazione degli inquinanti aumenta, così da potersi allontanare in una zona meno inquinata. Questa trovata è opera del designer Nikolas Bentel, che ha creato una linea d'abbigliamento che si chiama

le, è scaricabile dal sito www.em2m.eu/tool. Finanziato con i fondi del progetto europeo SET (Saving Energy in Textiles SMEs), di cui Enea è unico partner italiano, “SET Tool” è al centro della campagna “Energia su misura”, promossa da Euratex, l’Associazione europea dell’industria tessile e abbigliamento, che coinvolgerà almeno 350 aziende europee e che in Italia viene condotta da Enea con tour nei principali distretti tessili del Paese. L’obiettivo è quello di coinvolgere le piccole e medie imprese in una strategia di crescita basata su una produzione più sostenibile e una maggiore efficienza energetica in uno dei comparti manifatturieri più energivori. <<Alla base di SET ci sono due idee - sottolinea Piero De Sabbata, coordinatore del progetto - in questo settore l’efficienza energetica dipende anche in forte misura dagli aspetti organizzativi e dai cosiddetti sistemi ausiliari (fluidi tecHi-Tech Ambiente

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Aerochromics e che al momento comprende tre magliette di cotone a manica lunga dedicate a diversi tipi di inquinanti: polveri sottili, monossido di carbonio e radioattività. Le maglie sono dotate di sensori che rilevano il livello dell'inquinante, e di una speciale tintura che passa dal nero al bianco all'aumentare della pericolosità dell'aria. In pratica si esce di casa con una maglietta nera, ma se si va in zone particolarmente inquinate la maglia rivela un tessuto fantasia in bianco e nero. L’idea non è affatto male ma il prezzo, tuttavia, non è dei più abbordabili: 500 dollari.


RIFIUTI T R A T T A M E N T O

E

S M A L T I M E N T O

I robot dei rifiuti Intelligenza artificiale

Sistemi automatici di selezione in grado di adattarsi alle situazioni e quindi apprendere compiti nuovi Le nuove direttive europee prevedono che entro il 2020 venga riciclato almeno il 50% dei rifiuti urbani e almeno il 70% dei rifiuti da costruzioni e demolizioni. Questi obiettivi richiedono che le tecniche di separazione dei diversi componenti presenti nei rifiuti siano il più possibile automatizzate, e già adesso esistono sistemi di separazione altamente sofisticati, soprattutto per selezionare i diversi materiali plastici mediante una combinazione di diversi sensori: spettrofotometria infrarossa, identificazione dei colori, assorbimento dei raggi X, sensori a induzione magnetica. La combinazione dei segnali provenienti dai diversi sensori aziona un sistema a getti d’aria, che indirizza i diversi materiali negli opportuni contenitori; alcune di queste macchine riescono ad identificare fino a 500.000 oggetti al secondo. I risultati ottenuti da questi sistemi automatici di selezione sono impressionanti, ma si tratta pur sempre di sistemi programmati per compiti specifici, come i robot industriali da tempo impiegati nell’industria automobilistica. Siamo oggi alla vigilia di un’altra rivoluzione robotica: quella dell’intelligenza artificiale, cioè dei robot capaci di apprendere nuovi compiti e adattarsi a nuove situazioni.

4 diversi oggetti per volta; l’apertura delle pinze di cui è dotato può variare da 50 a 500 mm. Il robot non funziona secondo un software pre-impostato, ma in base ad apprendimento progressivo: l’operatore deve mostrare al robot qual è la sequenza delle operazioni, mettendo sul nastro trasportatore dei campioni tipici degli oggetti da selezionare e azionando per la prima volta la sequenza di prelevamento, che poi il robot “ricorderà” nel funzionatics ha messo sul mercato a partire dal 2010 diversi tipi di sistemi robotici di selezione dei rifiuti. La configurazione base prevede un nastro trasportatore largo 1,6 m e una pinza azionata da 3 diversi motori, che garantiscono una grande flessibilità nei movimenti. Il raggio di azione corrisponde ad un’area di 2x2 m; il ro-

bot può eseguire fino a 2.000 prelievi ogni ora e sollevare oggetti pesanti. Questo limita notevolmente il ricorso ai processi di frantumazione, che inevitabilmente creano dei frammenti molto piccoli per essere identificati e selezionati. Il braccio robotico ha capacità “multitasking”, e può raccogliere

ROBOT INTELLIGENTI

La società finlandese ZenRoboHi-Tech Ambiente

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UN ROBOT PER RIPULIRE IL MARE L’Università inglese di Bristol ha realizzato un prototipo di robot acquatico, che aspira l’acqua e degrada i contaminanti presenti in essa, mediante una pila a combustibile microbiologica. Poiché la pila produce energia elettrica, il robot acquatico non ha bisogno di ricarica, e può funzionare a tempo indeterminato, almeno finchè trova rifiuti con cui “alimentarsi”. Se venisse prodotto in serie, il robot inglese potrebbe essere molto utile per eliminare i milioni di tonnellate di frammenti di plastica che galleggiano negli oceani, oppure per azioni di pronto intervento in caso di spandimenti di petrolio o di fioriture di alghe.


mento successivo. Dopo l’impostazione iniziale, è possibile “insegnare” al robot nuove funzioni, come ad esempio la suddivisione di una frazione già raccolta in due diverse sotto-frazioni. Un altro approccio è stato studiato dalla società americana CleanRobotics, che ha messo a punto un "cassonetto intelligente", in grado di indirizzare fin dal principio i diversi materiali negli opportuni comparti, in modo che i materiali arrivino già selezionati all'impianto centrale di riciclaggio. L'apparecchiatura registra automaticamente l'avvicinarsi di chi ha un rifiuto da gettare e apre il portello principale; quando il rifiuto cade attraverso il portello, viene analizzato in tempo reale da sistemi di visione artificiali, combinati con rivelatori di metalli. Il sistema registra le informazioni ricevute e apre i portelli corrispondenti ai compartimenti appropriati, secondo la natura del rifiuto. Il sistema, denominato "Trashbot" verrà prossimamente installato presso l'aeroporto di Pittsburgh e presso un'area Google, sempre a Pittsburgh; al mo-

mento, il principale ostacolo alla sua diffusione è il prezzo (5.000 dollari). APPLICAZIONI GIA’ FUNZIONANTI

Le prime applicazioni del robot della ZenRobotics sono nel settore dei rifiuti da costruzione e demolizione. Una prima apparecchiatura è stata installata nel 2010 nell’impianto di recupero rifiuti C&D di Helsinki, gestito dalla Suez Environment; è costituita da 3 robot e 2 stazioni di identificazione. Con pochissima manodopera, il sistema riesce ad assicurare una purezza delle diverse frazioni separate, come legno e metalli, del 96-98%. Il materiale non riutilizzabile è appena il 3-4% dei rifiuti in ingresso. Sulla base dell’esperienza di questo impianto, è possibile stimare che i costi della selezione robotica siano simili a quelli della selezione manuale, se l’impianto lavora per sole 8 ore al giorno; ma l’impianto robotico diviene vantaggioso se si lavora 16 ore al giorno, e ancora di più per una lavorazione continua sulle 24 ore. Un’altra installazione robotica già in funzione da 2 anni si trova in Olanda, dove la società Baetsch recupera rifiuti da costruzione e demolizione recuperando legno, ferro, alluminio e materiali inerti. Un sistema analogo è stato recentemente installato nei pressi di Helsinki, ed un altro in Belgio, presso la ditta Maes Containers; la particolarità di quest’ultimo impianto è che verrà azionato da energia solare. In Svizzera, il gruppo Eberhard Recycling, specializzato nel recupero di siti contaminati, ha installato lo scorso anno due sistemi robotici, che suddividono i vari tipi di terreni e di minerali.


Gli pneumatici nel microonde Invenzione ecosostenibile

Si chiama Tyrebirth il sistema di scomposizione termica delle gomme che produce energia e si autoalimenta L’IMPIEGO DELLE MICROONDE

Uno speciale forno a microonde appositamente progettato per smaltire copertoni e pneumatici che non si possono più utilizzare. Un sistema che produce energia, si autoalimenta, evita l'incenerimento e riduce l'impatto sull'ambiente delle gomme “al capolinea” dando vita a nuovi materiali interamente riutilizzabili, e precisamente un gas, un liquido e una componente solida. È il cuore di un'invenzione tutta fiorentina nata per risolvere il problema degli pneumatici da smaltire definiti tecnicamente pneumatici “fuori uso” (PFU). Rifiuti speciali veri e propri che in base alle direttive europee non possono essere conferiti in discarica nè integri nè frantumati (eccetto le gomme delle biciclette). Di questi, una parte viene impiegata per produrre nuovi copertoni, in lavori di ingegneria o come combustibile, un'altra bruciata negli inceneritori. Per la restante rimane l'incognita su dove smaltirla.

La ricerca di una soluzione per lo smaltimento delle gomme inizia nel 2007. All'epoca, come del resto oggi, gli pneumatici non più utilizzabili venivano sminuzzati, mescolati con la sabbia calda per essere pirolizzati o impiegati nei cementifici come combustibile: una soluzione che comportava una notevole perdita di materiale e un grande dispendio di energia. Il gruppo di studio pensa fin da subito di ricorrere alla pirolisi, ossia di decomporre termicamente i copertoni. <<Le gomme – spiegano gli inventori di Tyrebirth - hanno però un grosso problema quando vengono trattate con pirolisi, ossia sono isolanti e non trasmettono calore. Le microonde, invece, sfruttano una caratteristica peculiare degli pneumatici, ossia quella di contenere carbone per circa il 30-40%. È il Un'idea apparentemente semplice quella del “microonde per gomme” ma destinata ad avere un effetto rivoluzionario. Tanto che il prossimo obiettivo dei suoi inventori è la creazione di un impianto che avvii il trattamento termico degli pneumatici (ma anche di altri materiali plastici) a livello industriale. L'invenzione si chiama Tyrebirth e porta la firma del Dipartimento di Chimica dell'Università di Firenze. A finanziare la ricerca è il Gruppo CAF, attivo nel campo del sollevamento pesante e nei settori delle bonifiche e dello smaltimen-

to, e che detiene il brevetto di ricerca di Tyrebirth già depositato in Europa, Stati Uniti, Australia e Canada. <<Siamo di fronte ad una innovazione che potrà cambiare profondamente le abitudini del comune smaltimento degli pneumatici – dice Simone Gramigni, presidente di CAF – e dopo la fase di sperimentazione e ricerca, si apre adesso la sfida vera perchè Tyrebirth è pronto per misurarsi con il mercato, sia nazionale che internazionale, assumendo carattere e dimensioni di un processo industriale vero e proprio>>.

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carbone ad assorbire le microonde facendo sì che il riscaldamento dei copertoni avvenga dall'interno>>. Segue la realizzazione del primo prototipo e la successiva messa a punto di un forno a microonde per la pirolisi delle gomme affidata ad una delle aziende del settore, la Microglass. Il forno è capace di portare in pochi minuti la temperatura del materiale fino a 700 °C, riuscendo a decomporre termicamente i copertoni in appena mezz'ora e in maniera uniforme e veloce, con un sistema semplice che fa risparmiare tempo e energia e che non produce gas serra da disperdere nell'ambiente. In seguito alla scomposizione termica dei copertoni si formano un gas (15-20%), un liquido (35-40%) e un materiale solido (45%) che possono essere totalmente reimpiegati, andando così a chiudere il ciclo completo del processo. Nel dettaglio, il gas è costituto da idrogeno e idrocarburi gassosi (metano e gpl) che possono essere utilizzati come combustibili per riscaldamento e per produrre l'energia elettrica che alimenta l'impianto stesso. Il liquido è una miscela di idrocarburi con caratteristiche molto

simili a un gasolio che può essere impiegato come carburante per le navi e, se purificato dal'1% di zolfo che contiene, anche per le auto. In media, dalla pirolisi di un copertone del peso di circa 8 kg si ottengono circa 3.2 kg di liquido. Il residuo solido è polvere di carbone dall'alto valore calorifico (carbon black) che può essere “pellettizzato” e utilizzato come combustibile solido. Oppure può essere impiegato come riempitivo per produrre nuovi pneumatici o come carbone attivo (assorbente) o combustibile smokeless. Nel residuo solido compare anche ferro (5%), che può essere separato dal carbone con una calamita e reimpiegato. Dopo la fase di sperimentazione, il prossimo passo in avanti sarà la realizzazione del forno industriale inserito in un impianto per il trattamento dei copertoni. I ricercatori e i progettisti hanno già sviluppato un forno che possa sottoporre a pirolisi venti pneumatici alla volta. Con sei macchinari del genere, si possono scomporre ogni ora, se si considerano anche i tempi necessari per il riscaldamento e il raffreddamento dei forni, circa 120 pneumatici.

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Il riciclo dei film plastici Grandi volumi da gestire

Lo schema di un impianto tipico di trattamento che deve far fronte a un livello elevato di contaminazione I primi impieghi dei film in materiali plastici in agricoltura risalgono al 1948; inizialmente vennero usati teli in polietilene trasparente come sostituti a basso costo delle coperture in vetro delle serre, ma successivamente gli impieghi si sono sempre più ampliati e diversificati. Attualmente, in Europa si consumano ogni anno oltre 500.000 tonnellate di film plastici per usi agricoli; l’Italia è uno dei principali utilizzatori, con oltre 80.000 ton/anno. I tipi principali di film usati in agricoltura sono: film trasparenti ad alto spessore per la copertura di serre fisse, film trasparenti a medio-basso spessore per piccoli tunnel, film bianchi opachi a medio spessore per insilaggio e rivestimento di rotoballe, film neri a basso spessore per pacciamatura e, infine, film usati per i sacchi di fertilizzanti e per il confezionamento dei prodotti agricoli (sacchetti, stretch film e simili). DUE VANTAGGI, MA TANTI PROBLEMI

Il riciclo dei film agricoli si presenta

a prima vista attraente perché questi presentano il notevole vantaggio di essere costituiti da un solo tipo di materiale: il polietilene a bassa densità (LDPE o LLDPE). Non vi sono quindi i problemi di incompatibilità tra diversi polimeri, che costringono a installare complicati e costosi sistemi di selezione nel riciclaggio dei materiali plastici da imballaggio o da rifiuti elettronici; inoltre, i film per agricoltura non sono stampati e, quindi, sono assenti i problemi che si incontrano nel riciclo degli imballaggi, a causa della decomposizione termica degli inchiostri di stampa. Rispetto a questi vantaggi, ci sono però molti altri svantaggi: la contaminazione da terra e residui vegetali, che nel caso dei film sottili può raggiungere il 50% in peso del materiale da riciclare; la degradazione del polimero esposto alla luce, che ne provoca l’infragilimento e la formazione di prodotti con odore caratteristico (di tabacco da pipa); la presenza di umidità, derivante dallo stoccaggio all’aperto; la possibilità di contaminazioni con fitofarmaci, antiparassitari, fertilizzanti e altri

prodotti nocivi; la difficoltà di manipolazione del film da riciclare, che è generalmente fornito in balle, costituite da ammassi di grande volume. SELEZIONE, PRETAGLIO E PRELAVAGGIO

Per far fronte all’elevato livello di contaminazione, con possibile presenza di materiali estranei non triturabili (come ciottoli e frammenti metallici, ma anche cordami, reti e simili), e di materiali abrasivi (sabbia, ghiaia, ecc), sono necessarie diverse operazioni. Un impianto tipico comprende: - selezione manuale iniziale, che si effettua ponendo le balle su un nastro trasportatore lento, e ispezionando il film man mano che viene alimentato al prerompitore. Questo è costituito da un trituratore lento (intorno a 100 giri/min), provvisto di un’apertura di grande diametro e di sistema di arresto automatico, nel caso che le lame incontrino oggetti duri come pietre o metalli. È importante che la macchina sia dotata di

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ampi portelli di accesso al sistema di taglio, in modo che i corpi estranei possano essere facilmente rimossi. In uscita dal trituratore si ottengono frammenti di 5-10 cm, che hanno ancora aderenti notevoli quantità di terra e altri materiali estranei - sistema di prelavaggio, nel quale i frammenti vengono dispersi in acqua e sottoposti ad agitazione. Il polietilene galleggia, in quanto la sua densità è intorno a 0,9, mentre la terra e gli altri contaminanti pesanti vanno a fondo e vengono separati. - mulino macinatore ad acqua, che riduce le dimensioni dei frammenti a 2-3 mm, completando la pulizia dei frammenti stessi - sistema di essiccazione, generalmente composto di 2 diversi stadi, il primo meccanico (spremitura o centrifugazione) e il secondo termico (influsso di aria calda) - sistema di alimentazione forzata dell’estrusore, costituito da una tramoggia dotata di coclea o pistone, per forzare i frammenti entro la gola di alimentazione dell’estrusore. Questa apparecchiatura è necessaria


sia per garantire una adeguata produttività, sia per alimentare l’estrusore in modo costante - estrusore (normalmente monovite) con vite molto lunga e divisa in due sezioni. Alla fine della prima sezione si trova una zona di degasaggio, nella quale si raccoglie il vapor acqueo ed eventuali prodotti gassosi di decomposizione; questi vengono allontanati mediante aspirazione con pompa a vuoto. L’estrusore fonde e omogeinizza a caldo i frammenti di plastica, che vengono trasformati in una massa fusa - sistema di filtraggio, costituito da reti metalliche, attraverso le quali passa la massa fusa, mentre i contaminanti residui (che non fondono) vengono trattenuti. È opportuno che il sistema di filtraggio preveda il cambio automatico (possibilmente in continuo) dei filtri; infatti, se questi sono sovraccarichi, si intasano e fanno aumentare la pressione della massa fusa entro l’estrusore, diminuendone la portata fino a che il materiale fuso trabocca dalla zona di degasaggio - sistema di raffreddamento, solidificazione e taglio della massa fusa filtrata. Di solito raffreddamento e taglio avvengono contemporanea-

mente entro una “campana” dove arriva un getto d’acqua e dove è situata una lama rotante, che produce pellets di polietilene solido - sistema di asciugatura finale e insilaggio (o stoccaggio in sacconi o sacchi di plastica) dei pellets, che a questo punto sono pronti per essere rivenduti o destinati alla trasformazione - sistema di trattamento delle acque di lavaggio, per separare i contaminanti solidi (che vengono smaltiti come fanghi) e recuperare il più

possibile l’acqua per utilizzarla nella fase di prelavaggio. La destinazione del materiale riciclato è in genere la produzione di film per sacchi nettezza o teli di copertura; è possibile anche un utilizzo come materiale da stampaggio, in miscela con altri tipi di granulo di polietilene di recupero (ad esempio, il recupero da bottiglie e flaconi). LA SITUAZIONE ITALIANA

In Italia il riciclo dei “beni a base di

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polietilene”, cioè del polietilene impiegato per usi diversi dall’imballaggio, è gestito dal Polieco. Sono obbligati ad aderire al Consorzio i produttori e gli importatori di questi beni, i distributori, gli utilizzatori ed i riciclatori. Come avviene per gli altri consorzi obbligatori che si occupano dei rifiuti da imballaggio, Polieco si finanzia con l’imposizione di un “contributo ambientale”, applicato sulle fatture di acquisto di questi beni (tra i quali i film per agricoltura sono i più importanti quantitativamente). Attualmente, gli iscritti al Consorzio sono poco più di 1.800; nel 2015 sono state raccolte quasi 340.000 ton di “beni in polietilene”, delle quali il 38% circa è stato effettivamente recuperato. La quota recuperata si divide a sua volta in un 57% avviato a recupero meccanico, con l’apparecchiatura sopra descritto, e un 43% destinato a recupero energetico. Oltre alle attività di recupero e riciclaggio, Polieco svolge un’azione di contrasto al traffico illecito di rifiuti e promuove iniziative sperimentali per incrementare le applicazioni ed i mercati del polietilene di recupero.


Il riciclo di plastiche con FR Ricerca a medio-lungo termine

Un progetto per recuperare i materiali plastici contenenti i ritardanti di fiamma non bromurati Le materie plastiche utilizzate per le apparecchiature elettriche ed elettroniche contengono ritardanti di fiamma (FR), ossia sostanze chimiche il cui scopo è impedire la propagazione di una combustione accidentale nei circuiti elettrici di tali apparecchiature. I ritardanti di fiamma più utilizzati sono costituiti da composti organo-bromurati, come il tetrabromobisfenolo A (TBBPA), l’esabromociclododecano (HBCD) e il DecaBDE (della famiglia dei PBDE, cioè polibromodifeniletere); si tratta di sostanze che, se liberate allo stato gassoso, sono tossiche e cancerogene per l’uomo, e che possono emettere bromo-diossine se smaltite negli inceneritori. Inoltre, nei processi di riciclo meccanico lo stadio di estrusione causa un riscaldamento del materiale da riciclare, che nel caso dei raee contenenti plastiche bromurate può sviluppare diossine e furani. Per superare questi problemi (anche in seguito all’entrata in vigore della “Direttiva RoHS”, che impone l’adozione di ritardanti di fiamma a ridotto potenziale inquinante), sono stati sviluppati ritardanti di fiamma privi di bromo, come l’ammonio polifosfato, il trifenil fosfato, l’ossido di magnesio e alluminio, e altri. Tuttavia, non esiste al momento un sistema di marcatura che consenta un’identificazione rapida dei raee privi di FR bromurati. Per consentire agli FR non bromurati di allargare il loro mercato, è necessario dimostrare che essi consentono la riciclabilità: per questo motivo, l’Istituto Fraunhofer (Germania) ha dato vita ad un progetto di ricerca a mediolungo termine, diretto ad accrescere il riciclaggio meccanico delle plasti-

che contenenti ritardanti di fiamma non bromurati. Il progetto è stato ideato anche in virtù delle crescenti spinte da parte della legislazione europea per l’azzeramento del conferi-

mento dei rifiuti in discarica. Lo scorso dicembre, la Commissione Europea ha revisionato le strategie europee per l’economia circolare, introducendo l’obiettivo di portare

DAL vETRO DI TUBI CATODICI

Il riciclo del piombo Raecycle è un consorzio di circa 800 associati, tra cui Samsung, Acer, Epson e Lenovo, specializzato nel riciclo dei raee e che impiega una tecnologia interamente italiana che consente di recuperare integralmente anche il vetro al piombo presente nei vecchi tubi catodici. Finora, infatti, il vetro al piombo, una volta esauriti i canali di reimpiego per la produzione di altri tubi catodici, ha come destinazione finale il conferimento in discarica come rifiuto pericoloso, con costi sempre più elevati sia in termini economici sia ambientali. Ma da oggi, attraverso un processo idrometallurgico a freddo brevettato, è possibile sepa-

rare il vetro dal piombo ed estrarre piombo metallico, silicati solubili ed insolubili e silice ad alta purezza.. Il processo di trattamento è sostenibile dal punto di vista ambientale e consente di ottimizzare il recupero di questa particolare categoria di raee, ricavando materie prime a valore.

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al 65% il riciclaggio dei rifiuti urbani, e quello degli imballaggi al 75% entro il 2030, oltre alla riduzione obbligatoria del conferimento in discarica di tutti i rifiuti entro un massimo del 10% del totale entro lo stesso anno. I ricercatori tedeschi affermano che il progetto potrebbe portare a un risparmio annuale di 150 milioni di euro in termini di riduzione della produzione di rifiuti, senza contare che il recupero dei materiali plastici a fine vita porterà entrate ancora maggiori; un ulteriore obiettivo è il miglioramento della qualità dei prodotti, garantendo elevati standard di sicurezza ed eliminando i rischi potenziali della degradazione dei prodotti. Infine, si vuole minimizzare i rischi connessi all’impiego di materiali riciclati, sulla base dei dati raccolti nel corso del progetto di ricerca. La studio condotto dall’istituto tedesco sarà particolarmente utile per i produttori di polimeri, ritardanti di fiamma e additivi, e per le imprese che operano nel settore del riciclo. I responsabili del progetto affermano che, sebbene esso sia solo parte di un progetto più ampio di durata pluriennale, i risultati raggiunti nel corso di esso potranno essere sfruttati fin da subito dalle ditte che vi partecipano, consentendo loro di risparmiare risorse grazie al riciclaggio e costruire nuovi settori di mercato per i materiali riciclati, limitando al contempo l’uso di materie prime. Tra i partners del progetto numerosi sono membri dell’associazione PINFA (Phosphorus, Inorganic & Nitrogen Flame Retardant Association), tra li quali ad esempio Basf, DuPont e Solvay.


Le membrane ceramiche dagli scarti Mercato e prospettive

Per abbassare i costi elevati sono allo studio soluzioni che impiegano rifiuti di origine agricola e industriale Con lo scopo di sviluppare, validare e commercializzare un bioreattore a membrana a basso costo, basato sull’utilizzo di membrane ceramiche realizzate in modo economico e sostenibile, è stato creato un apposito consorzio di 11 partners, pubblici e privati, appartenenti a sette diversi Paesi, riuniti nel progetto europeo REMEB (Recycled Membrane Bioreactor). Sebbene le membrane ceramiche non siano certo una novità, esse sono però costose, in quanto vengono prodotte da materiali come alluminio, zirconio o titanio; inoltre, anche il processo produttivo è costoso. Per questo motivo, le imprese sono più orientate verso l’impiego di membrane polimeriche, che attualmente sono predominanti sul mercato. L’impiego delle membrane ceramiche è perciò limitato ad applicazioni industriali “di nicchia”, in particolare nel trattamento delle acque. Ciononostante, le membrane ceramiche presentano numerosi vantaggi, in particolare la resistenza agli aggressivi chimici, la robustezza e la durata. Il mercato dei bioreattori a membrana è ampio e tuttora in espansione, con 4,2 milioni mc/giorno (più di 30.000 mc/giorno) di capacità di trattamento installate in tutto il mondo. Ma mentre la diffusione dei reattori MBR è stata aiutata dalla diminuzione dei costi delle membrane polimeriche, i costi delle membrane ceramiche restano elevati; se si riuscisse ad abbassare questi costi in modo significativo sarebbe possibile incrementare la quota di mercato delle membrane ceramiche, dati i vantaggi che esse presentano (migliori prestazioni chimiche, ter-

miche e meccaniche rispetto alle membrane polimeriche, che consentono loro di operare anche in condizioni estreme). In particolare, queste membrane presentano un’elevata robustezza e sono altamente resistenti allo sporcamento, alle alte temperature, al contatto con acidi e basi e elevate concentrazioni di oli e grassi, e possono operare anche in condizioni di pH e pressione elevate; di conseguenza, esse presentano anche costi operativi e di manutenzione inferiori, e hanno una vita utile maggiore rispetto alle membrane polimeriche. Per superare l’ostacolo dei costi elevati, il progetto Remeb intende utilizzare materiali diversi da quelli tradizionali per la realizzazione di membrane ceramiche. In particolare, per abbassare i costi e rendere la produzione delle membrane ceramiche maggiormente sostenibile, il progetto si propone di studiare l’impiego di rifiuti di origine agricola e industriale, insieme ai materiali grezzi tipicamente impiegati nell’in-

dustria ceramica: la sansa di olive viene usata per creare i pori nelle membrane, l’argilla refrattaria cotta e macinata e la polvere di marmo vengono impiegati insieme ai materiali grezzi dell’industria ceramica (principalmente argilla, quarzo e feldspato). L’ovvio vantaggio di questi materiali riciclati è la loro ampia disponibilità e il loro basso costo. Ad oggi, non è possibile stabilire con certezza la misura in cui il progetto Remeb riuscirà ad abbassare i

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costi delle membrane ceramiche: l’obiettivo iniziale è di ridurre i costi di almeno il 30%, ma il risultato finale dipenderà dalla riduzione dei costi dei materiali grezzi e dei processi produttivi. I responsabili del progetto stimano che le membrane Remeb potranno essere da 2,5 a 3,5 volte meno costose rispetto alle membrane ceramiche convenzionali; ma lo scopo del progetto non è solo quello di abbassare i costi delle membrane ceramiche, ma soprattutto quello di renderle competitive rispetto alle membrane polimeriche. Attualmente, prove di produzione di membrane ceramiche sono condotte su scala pilota presso tre partner del progetto: ITC-UJI (Spagna), Centro Ceramico (Italia) e SAM (Turchia). In ciascun sito le membrane vengono prodotte impiegando rifiuti di origine locale; anche in Sud America una università colombiana sta analizzando la compatibilità del processo produttivo Remeb con le risorse reperibili localmente. Le membrane ceramiche che verranno prodotte nel quadro del progetto sono concepite per essere impiegate nei reattori MBR in uso, in modo da facilitare il passaggio dalle membrane polimeriche a quelle ceramiche e migliorare così le rese operative e facilitare la manutenzione di questi reattori. Gli attuali reattori MBR hanno spesso le membrane installate fuori dalla vasca principale di reazione, in modo da facilitare la loro pulizia; con le membrane ceramiche sarebbe più facile incorporare le membrane nei bireattori, riducendo così l’ingombro dell’impianto, e riducendo in modo significativo i consumi energetici rispetto ai tradizionali trattamenti MBR.


BIomasse & BIogas B I o m a s s a

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B I o g a s

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B I o m e ta n o

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C o g e n e r a z I o n e

Il biogas da alghe marine Il progetto BioWalk4BioFuels

Un sistema alternativo e innovativo per produrre biocarburanti, grazie anche all’aiuto di un drone Con la famosa direttiva “20/20/20” l’UE ha posto obiettivi ambiziosi circa l’aumento della percentuale di energie rinnovabili e la riduzione delle emissioni di gas a effetto serra. Per il raggiungimento di questi obiettivi, un contributo importante può venire dal biogas prodotto dalle alghe marine e dai rifiuti organici: a questo scopo è stato varato il progetto europeo BIOWALK4BIOFUELS (B4B), che si propone di sviluppare un sistema alternativo e innovativo per il recupero energetico dei rifiuti organici e l’utilizzo delle emissioni di gas serra per produrre biocarburanti utilizzando le alghe marine. Ciò rappresenterebbe una soluzione per molte lagune, laghi e zone marine costiere, che soffrono per l’eccessiva proliferazione delle alghe causata dai crescenti livelli di azoto e fosforo.

in un recente rapporto della FAO si sottolinea la necessità di concentrarsi sulle colture non alimentari per la produzione di biocarburanti di seconda generazione, sviluppando soluzioni economicamente efficienti, che evitino l’attuale situazione di concorrenza tra colture ad uso alimentare e colture ad uso energetico. Il Consiglio Europeo, con le Direttive 2009/28/CE e 2009/30/CE, ha posto due obiettivi ambiziosi: la riduzione del 20% delle emissioni di gas serra entro il 2020 e il raggiungimento della copertura del 20% dei consumi energetici grazie alle energie rinnovabili, di cui il 10% ottenute da biogas, entro la stessa data. Diventa quindi fondamentale migliorare le tecniche di produzione di biocarburanti, in particolare di quelli di seconda generazione: per questo, il progetto B4B si basa su un approccio multidisciplinare diretto all’impiego dei rifiuti biologici come materia prima, e le alghe come catalizzatori, per la produzione di biocarburanti. Ciò consente di aggirare il problema principale dei rifiuti biologici, ossia l’elevato contenuto di azoto, che può essere utilizzato per stimolare la crescita delle alghe; inoltre, le biomasse algali offrono potenzialmente numerosi vantaggi per la produzione di energie rinnovabili rispetto alle biomasse di origine agricola, in quanto la loro produzione non ri-

Alga Ulva

UNA SOLUZIONE ALL’EUTROFIZZAZIONE

Già 25 anni fa, la Direttiva 91/676/CE aveva sottolineato la necessità di ridurre l’inquinamento idrico dovuto ai nitrati presenti nei reflui che vengono scaricati nei corpi idrici, al fine di proteggere la salute umana, la fauna e gli ecosistemi acquatici. Successivi documenti dell’Unione Europea hanno evidenziato l’importanza di una corretta gestione dei rifiuti di origine biologica; infine,

Vasca aperta Hi-Tech Ambiente

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chiede l’impiego di terreni e di pesticidi e comporta solo limitati consumi di acqua. Gli obiettivi del progetto B4B possono essere così sintetizzati: - impiego di alghe come interfaccia tra rifiuti biologici e produzione energetica, per consentire l’utilizzo diretto dei rifiuti per la produzione di biogas - impiego diretto delle alghe in biodigestori per produrre energia, senza miscelarle con prodotti agricoli (evitando così il consumo di terreni agricoli); le alghe possono essere alimentate nel biodigestore insieme con altri rifiuti biologici raccolti nella zona (letame, reflui di frantoio, rumine, siero) - progettazione e costruzione di un drone per la coltivazione delle alghe. Il drone Roboharv è in grado di spingere le alghe fino a un metro di profondità nel sistema di coltivazione, per incrementare il livello di ossigeno nell’acqua, e spingere la biomassa attraverso il sistema di pompaggio da cui essa viene mandata all’impianto di preparazione e omogeneizzazione. Nel sito scelto per ospitare il progetto pilota (la baia di Augu-

L’IMPIANTO DIMOSTRATIVO DI AUGUSTA

Impianto di Augusta

sta, in Sicilia) è stata realizzata una coltivazione di alghe insieme a un impianto per la produzione di biogas, che include le seguenti sezioni: impianto di pretrattamento; digestione anaerobica mediante idrolisi, acidogenesi, acetogenesi, metanogenesi; cogenerazione (CHP). L’impianto è stato progettato con una capacità di 40 Nmc di biogas/ora e produce 90 kW di ener-

gia termica e circa 45 kW di energia elettrica, grazie a un processo di codigestione anaerobica di differenti substrati, come alghe marine, letame, reflui di frantoio e rumine, provenienti dall’area circostante. Al progetto hanno partecipato 12 diverse organizzazioni di 7 diversi Paesi, con il coordinamento dell’Università “La Sapienza” di Roma.

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L’impianto dimostrativo di Augusta è stato inizialmente alimentato con un mix di rumine e grano, e dopo pochi giorni con deiezioni avicole, acque di vegetazione delle olive e, infine, alghe (90 kg/giorno). Le varie fasi del processo (pretrattamento, idrolisi, metanizzazione, pulizia del biogas e ossidazione del digestato) sono state accuratamente sperimentate; il biogas ottenuto ha mostrato una buona qualità, con un contenuto di CH 4 e CO 2, rispettivamente del 55% e del 43%, e ha soddisfatto gli standard richiesti per l’impiego per la produzione di energia elettrica e di calore. COLTIVAZIONE E RACCOLTA DELLE ALGHE

È stata condotta un’ampia ricerca sulla letteratura scientifica per individuare le specie di alghe più adatte per la coltivazione su larga scala nel sito di Augusta. I criteri Continua a pag. 35


La torrefazione delle biomasse regolamenti europei e casi pratici

Una nuova tecnologia per valorizzare i materiali di scarto lignocellulosici ed i residui delle colture La torrefazione è oggi considerata come una tecnologia in grado di sviluppare il commercio e la valorizzazione su larga scala delle biomasse, non solo in Europa; i suoi potenziali mercati sono la combustione e la gassificazione combinate in impianti termici a carbone, la cogenerazione in impianti di scala piccola e media, e l’industria chimica. Inoltre, i materiali torrefatti possono costituire la base per la produzione di biocarburanti liquidi mediante gassificazione, grazie alla loro omogeneità e qualità superiore; la torrefazione ha quindi il potenziale per ampliare le materie prime utilizzabili per la produzione di biocarburanti, includendo paglia e residui eterogenei. Il processo di torrefazione comporta il riscaldamento di materiali come il legno, i materiali di scarto ed i residui delle colture, a una temperatura di 200-300 °C in assenza di ossigeno. Il riscaldamento lento “tosta” la biomassa, rilasciando i compositi volatili e scomponendo le emicellulose: il risultato è un prodotto secco stabile, friabile, più facile da macinare rispetto alla biomassa originale e meno suscettibile alla decomposizione in fase di stoccaggio. Il processo comporta comunque delle difficoltà: benchè la tostatura e il processo di seccatura migliorino il contenuto di energia/carbonio, la densità relativamente bassa del materiale torrefatto ne rende il trasporto e la conservazione difficile dal punto di vista economico. La soluzione è quella di compattare il materiale trasformandolo in pellet.

IL PROGETTO SECTOR

Il progetto europeo Sector ha lavorato per accorciare i tempi per lo sviluppo commerciale della torrefazione delle biomasse. L’analisi sul potenziale della biomassa è stata compiuta considerando biomasse legnose e agricole, sia come residui che come colture energetiche. 21 materie prime sono state scelte per test in laboratorio e per la sperimentazione su scala pilota; tra i test sono compresi la torrefazione e la densificazione, per ottimizzare le qualità finale dei materiali torrefatti (densità energetica, durabilità, polverosità, triturabilità e idrorepellenza). Sono inoltre stati ottimizzati costi e sostenibilità del processo di torrefazione. Il pellet prodotto è stato sottoposto a test riguardanti la movimentazione e lo stoccaggio a lungo termine, in diverse condizioni ambientali (ad esempio umidità). La valutazione circa l’impiego finale è stata effettuata in impianti esistenti e attraverso modelli. La ricerca tecnica è stata accompagnata da valutazioni sulla sicurezza e sviluppo, secondo gli standard ISO (ISO 17225-8; analisi e prodotti; Round Robin Tests), oltre a valutazione tecnico-economica e di sostenibilità ambientale, che hanno rivelato un ampio ambito di scenari in cui l’impiego di materiali torrefatti come combustibili mostra vantaggi superiori rispetto alle biomasse tradizionali (ad esempio pellet in legno bianco). OBIETTIVI DEL PROGETTO

La torrefazione della biomassa inizia con il riscaldamento della stessa in ambiente povero di ossigeno a una temperatura di 200340 °C. A queste temperature viene ottenuto un prodotto secco, stabile, fragile e resistente all’acqua; queste caratteristiche rendono più facile la triturazione, e riducono i rischi di combustione spontanea e degradazione biologica durante lo stoccaggio. Combinando la torrefazione con la pellettizzazione o la bricchettatura, la biomassa può essere trasformata in un carburante solido ad alta densità energetica, più facile da gestire nel trasporto a lunga distanza e nello stoccaggio, e anche Continua a pag. 36 Hi-Tech Ambiente

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Il biogas da alghe marine di selezione sono stati: la reperibilità in loco, la resistenza, la velocità di crescita ed il potenziale energetico. Il candidato migliore è stato individuato nell’alga Ulva. La scoperta più rilevante della sperimentazione è che l’aggiunta di CO2 ha mostrato un incremento del 20% della crescita di Ulva nei test di laboratorio. Sperimentazioni su scala maggiore eseguite presso impianti dimostrativi in Danimarca hanno mostrato tassi di crescita anche superiori (fino al 50%). Negli stagni galleggianti nella baia di Augusta sono stati inocu-

tri fisico-chimici (N, P, pH). Diversi tipi di rifiuti sono stati testati come fonte di nutrienti e carbonio per la coltivazione delle alghe: letame di allevamenti suini e avicoli, acque ottenute dal trattamento dei reflui, gas derivante dalla combustione di pellets di legno e di carbone e paglia. L’aggiunta di questi rifiuti nelle giuste concentrazioni ha mostrato di incrementare la crescita di Ulva; in particolare, il letame sottoposto a digestione anaerobica, così come i reflui originati dagli impianti di trattamento dei liquami fognari e le deiezioni degli allevamenti di polli, sono una eccellente fonte di nutrienti per la coltivazione di Ulva. Nell’ambito del progetto è stato inoltre sviluppato un sistema di

Digestore

lati diversi esemplari di Ulva; è stata così prodotta circa una tonnellata di Ulva, con una crescita del 3-5%. Sulla base di questa esperienza, sono stati messi a punto alcuni accorgimenti da adottare nella futura progettazione di siti di coltivazione su scala preindustriale: - un sistema di pompaggio di CO2, per stimolare la fotosintesi e quindi la crescita delle alghe - un sistema di miscelazione, in modo da assicurare una circolazione dell’acqua costante e uniforme, oltre ad una migliore distribuzione dei nutrienti (infatti, se l’acqua è stagnante si generano fenomeni di stratificazione, che innescano processi di putrefazione e conseguente ipossia negli strati più profondi) - un monitoraggio in situ, continuo o semi-continuo, dei parame-

coltivazione delle alghe automatizzato, che utilizza un drone acquatico, denominato Roboharv, col supporto tecnico della ditta RobotroniX. Si è verificato che l’elica del Roboharv ha un effetto positivo sulla produzione di alghe, grazie all’incorporazione di aria nella massa liquida. Sono stati eseguiti molti test per ottimizzare e semplificare l’attività del drone in mare e in stagni aperti, migliorando il controllo del sistema di navigazione. L’azienda, che detiene il brevetto per Roboharv, ha recentemente siglato un accordo con la società Elmar per sviluppare un miglioramento tecnologico per l’impiego di Roboharv sia per la raccolta di alghe che per il suo impiego come strumento di monitoraggio in Continua a pag. 40


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La torrefazione delle biomasse con proprietà energetiche superiori. Il progetto Sector si è focalizzato sull’ulteriore sviluppo di tecnologie basate sulla torrefazione per la produzione di carburanti solidi rinnovabili. gli obiettivi specifici del progetto erano: - sostenere l’ingresso nel mercato dei vettori bioenergetici ottenuti dalla torrefazione sotto forma di carburanti solidi rinnovabili - ulteriore sviluppo di tecnologie basate sulla torrefazione, fino alla sperimentazione su scala pilota e commerciale - sviluppo di specifiche “ricette” per la produzione dei carburanti, validate attraverso sperimentazioni intensive dalla fase di laboratorio a quelle industriali - sviluppo e standardizzazione del prodotto, oltre a metodi per la valutazione di trasporto, stoccaggio, manipolazione del prodotto e sua performance finale - valutazione del ruolo della torrefazione nella filiera della bioenergia e del suo potenziale contributo allo sviluppo del mercato europeo - valutazione della piena sostenibilità ambientale della torrefazione delle biomasse - diffusione dei risultati dei progetti industriali all’interno dei forum internazionali e gruppi coinvolti nello sviluppo di criteri di sostenibilità per l’impiego delle biomasse. Tutto ciò, allo scopo di sviluppare la torrefazione delle biomasse nel rispetto di rigorosi parametri di sostenibilità.

I vantaggi (nei confronti del pellet bianco) sono: incremento della densità energetica del materiale (con conseguente risparmio sui costi di trasporto), miglioramento della triturazione e del volume di produzione nei mulini a carbone esistenti, possibilità di ridurre i costi di stoccaggio, possibile riduzione dei fenomeni di corrosione e possibilità di incrementare l’uso di biomasse a buon mercato. Gli svantaggi, invece, sono: prezzi più alti, polverosità e conseguente rischio di formazioni di atmosfere esplosive, possibile sviluppo di gas, incertezza della fornitura, incertezza sugli effettivi benefici. MODALITA’ DI UTILIZZO

Nell’ambito del progetto Sector è stata valutata la possibilità di introdurre biomasse torrefatte nelle caldaie a carbone e nei gassificatori attualmente in uso, evidenziando i possibili problemi che potrebbero verificarsi negli im-

pianti esistenti. È stata valutata la possibilità di impiegare biomasse torrefatte in impianti di scala medio-piccola (tradizionalmente alimentati con pellet bianco), così come la possibilità di impiegare i sottoprodotti della torrefazione come materia prima per applicazioni nelle bioraffinerie. Per quanto riguarda la triturazione congiunta di carbone e biomasse torrefatte, i test effettuati presso mulini industriali di grandi dimensioni (16 ton/ora) ne hanno dimostrato la fattibilità: essa può essere effettuata con una percentuale di biomassa torrefatta fino al 30%, con prestazioni vantaggiose rispetto al pellet bianco (a causa della sua scarsa triturabilità). Durante la torrefazione, la frazione emicellulosica viene degradata, migliorando la triturabilità della biomassa; questo però rende il materiale più difficile da compattare e pellettizzare, portando alla formazione di polveri nelle fasi di manipolazione e stoccaggio. È quindi necessario trova-

PRO E CONTRO

Nella fase preliminare del progetto è stato inviato un questionario ai gestori delle centrali elettriche a carbone e ai produttori di materiali torrefatti, allo scopo di stimare la domanda del mercato, gli ostacoli tecnici, le potenzialità produttive, gli investimenti e il prezzo accettabile delle biomasse torrefatte. In generale, le centrali elettriche hanno dimostrato potenziale interesse per l’uso di biomasse torrefatte, sebbene esistano dei pro e dei contro.

re una via di mezzo che sappia coniugare le esigenze logistiche con la triturabilità. Infine, le particelle di biomassa polverizzata naturale sono molto eterogenee e aghiformi, mentre la forma delle particelle di biomasse torrefatte polverizzate sono simili a quelle del carbone e questo ne favorisce l’impiego negli impianti tradizionali. In buona sostanza, il vantaggio principale consiste nella riduzione dei costi di investimento e nel conseguimento di incentivi per gli impianti a carbone in seguito alla riduzione delle emissioni di CO2 grazie alla combustione congiunta con biomasse torrefatte. Relativamente, invece, alla combustione combinata in caldaie a carbone, i test effettuati in un im-

pianto pilota da 500 kW e in due caldaie industriali a carbone in Polonia e Regno Unito hanno dato i seguenti risultati: - mescolando la biomassa con il carbone si abbassano le emissioni di anidride solforosa, grazie al basso contenuto di zolfo e azoto nella biomassa legnosa. Le emissioni di NOx vengono anch’esse ridotte, ma dipendono da una serie di fattori (contenuto di sostanze volatili, contenuto di azoto, lunghezza di fiamma, configurazione della fornace e dei bruciatori, impiego o meno di misure come l’air staging) - lo zolfo presente nel carbone aiuta a ridurre la formazione di cloruro di potassio nelle ceneri da biomasse, dando luogo a solfato di potassio - gli alluminosilicati presenti nel carbone riducono la formazione di silicati alcalini e quindi la tendenza alla scorificazione ed i fenomeni di sporcamento e corrosione. BILANCIO AMBIENTALE ED ECONOMICO

Alla luce degli obiettivi concorHi-Tech Ambiente

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dati a livello internazionale per la lotta ai cambiamenti climatici, le biomasse torrefatte possono giocare un ruolo importante, sostituendo il carbone; in particolare, il loro contributo deve essere visto in un’ottica di complementarietà con le principali energie rinnovabili (solare ed eolico), che essendo discontinue necessitano di essere integrate con altre fonti rinnovabili, in modo da assicurare la continuità della fornitura energetica. In questo senso, le biomasse torrefatte sono competitive rispetto ad altre biomasse, come il pellet bianco; ciononostante, la loro diffusione futura dipenderà dalle condizioni del mercato e dalla diffusione delle energie rinnovabili e dei certificati di emissione. Mentre la torrefazione delle biomasse legnose è già disponibile commercialmente, quella delle biomasse non legnose necessita di ulteriori ricerche per raggiungere i requisiti di mercato in termini di qualità e prezzo. Ciò consentirà di trasformare un materiale eterogeneo in un biocarburante omogeneo, ampliando così la gamma di biomasse sfrut-

tabili, oltre a diminuire i costi logistici e di trasporto (e favorire la produzione sul posto), grazie all’aumento generale della disponibilità complessiva delle biomasse utilizzabili. Un’altra area di sviluppo riguarda la valorizzazione dei gas di torrefazione, che potrebbero essere utilizzati per la produzione di biopesticidi o legno compensato. Dato che i costi maggiori derivano dalle materie prime, per ridurre i costi è importante ubicare l’impianto in una località in cui vi sia ampia disponibilità di biomasse; un’altra opzione è integrare l’impianto di torrefazione in impianti preesistenti, come segherie e cartiere. È anche importante sfruttare le economie di scala: in generale, un impianto di maggiori dimensioni è economicamente più efficace. Infine, devono continuare gli sforzi a livello delle singole comunità per integrare la torrefazione delle biomasse nei piani di sviluppo locale e ad accrescere la consapevolezza del pubblico circa l’impiego delle biomasse come alternativa ai carburanti fossili.

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La corsa al biometano riflessioni illustri

Prospettiva di grande interesse per sviluppo auto a gas, ciclo virtuoso dei rifiuti ed economia circolare in campo agricolo Il biometano, prodotto nel rispetto della biodiversità e dell’uso dei suoli agricoli, può rivestire un ruolo fondamentale nella strategia energetica del nostro Paese e sul fronte della lotta al mutamento climatico. È una grande opportunità per rendere più sostenibile il consumo di energia domestica e industriale ma anche la mobilità, per ridurre l’inquinamento atmosferico e migliorare la gestione dei rifiuti. Ma non solo, importante è anche il suo contributo in diversi settori apparentemente lontani tra loro, con benefici ambientali e socio economici. Stando alle stime del CIB, per esempio, lo sblocco del biometano porterebbe alla nascita di 12mila nuovi posti di lavoro solo nel settore del trattamento rifiuti, gestione discariche e ciclo degli impianti agro-industriali. La produzione del biometano (così come, in prospettiva, del biopropano da biomasse) può avvenire nel rispetto della biodiversità e della funzione di stoccaggio del carbonio svolta da foreste e da terreni coltivati; si ottiene sia dagli scarti di biomasse di origine agricola che si rinnovano nel tempo e che nel loro ciclo di vita hanno incorporato il carbonio presente nell'atmosfera, sia dalla forsu derivante da raccolta differenziata. Il suo consumo avviene quasi senza ulteriori emissioni climalteranti. Chimicamente uguale al metano fossile (o gas naturale) è utilizzabile in miscela o in sua sostituzione e può quindi essere distribuito nei metanodotti e in città. Spinto dalla necessità di avere almeno il 10% di trasporti alimentati da carburanti sostenibili al 2020, il Governo italiano ha approvato e inviato alla Conferenza Stato-Regioni, prima del via libera finale dell’Europa, il decreto

che disciplina l’incremento all’incentivazione della produzione elettrica dagli impianti biogas e biomasse. ITALIA: CLIMA, IMPIANTI E PARCO AUTO

L'Italia è la seconda produttrice europea di biogas, dopo la Germa-

nia, e la quarta su scala mondiale, ha 1.200 impianti nelle aziende agricole, fa investimenti per 4,5 miliardi di euro, produce 2,5 miliardi di metri cubi di biometano. Eppure, gli impianti a biometano, che in 5 anni in Europa sono passati da 187 a 450, sono localizzati soprattutto in Germania (185) e Gran Bretagna (80), perché in Ita-

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lia ce ne sono soltanto 7, di cui 6 a scopo dimostrativo. Eppure il potenziale producibile al 2030 potrebbe raggiungere gli 8,5 miliardi di metri cubi (di cui 0,5 da rifiuti, escluso il potenziale da discarica difficile da stimare, e il resto da agricoltura). <<La produzione di biometano dichiara Stefano Ciafani, direttore generale di Legambiente - è un anello fondamentale per il corretto trattamento dei rifiuti biodegradabili nell’ambito del nuovo scenario dell’economia circolare europea. A tal proposito, è fondamentale costruire impianti di digestione anaerobica, in particolare nel centro sud Italia che ne è ancora sprovvisto. Questi impianti sono, purtroppo, ancora poco noti e molto osteggiati ed è fondamentale attivare adeguate campagne d’informazione. Anche il settore agricolo può dare il suo contributo, tenendo conto però dell’efficienza dell’uso del suolo, dando priorità agli scarti agricoli e alle biomasse di integrazione rispetto alle colture dedicate, e senza entrare in conflitto con la produzione di cibo. Migliorando la propria competitività sul mercato, il biometano può contribuire a ridurre significativamente le emissioni del settore agricolo che in Italia rappresentano oltre il 7% delle emissioni complessive di gas climalteranti>>. <<Lo sviluppo del biometano commenta Agostino Re Rebaudengo, presidente di assoRinnovabili - avrà forti sinergie con due asset fondamentali del nostro Paese in tema di politiche energetiche, ossia la rete nazionale del gas naturale, una delle più capillari ed estese d’Europa, in cui potrebbe essere immesso, e il parco auto a metano, di gran lunga il più importante d’Europa, che, grazie al


biometano, potrebbe svilupparsi ulteriormente>>. <<La possibilità di sfruttare le infrastrutture esistenti per la distribuzione del biometano, come la rete gas che attraversa il nostro Paese - ha proseguito Ciafani - è un aspetto particolarmente interessante di questo biocombustibile, in quanto dà la possibilità di utilizzarlo facilmente e subito nella copertura dei fabbisogni domestici. È necessario, però, completare definitivamente il quadro normativo che ancora oggi vieta l’immissione del biometano in rete, pratica utilizzata invece da molti anni in diversi paesi europei. Anche l’autotrazione ne beneficerebbe, perché il biometano potrebbe essere utilizzato nei camion per trasporto merci di lunga percorrenza, in sostituzione del gasolio, ben più inquinante>>. Va sottolineato che il parco veicoli italiano a metano è il primo in Europa, composto da poco meno di un milione di veicoli tra autobus, autocarri per trasporto merci, autoveicoli e autovetture, trattori stradali e motrici. <<Una parte considerevole di biometano, infatti, arriverà dalla di-

gestione anaerobica di sottoprodotti agricoli e da colture di integrazione - dichiara Alessandro Tramontano, Presidente del consorzio Ecogas, rappresentativo del settore del GPL e del metano per autotrazione - e a tale proposito

gli stessi mezzi agricoli, a maggior ragione, potranno utilizzare questo carburante oppure usufruire della nuova tecnologia dual fuel diesel-metano, e questo a beneficio delle colture grazie al fortissimo abbattimento di tutti gli

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inquinanti e in particolare delle polveri sottili>>. L’alimentazione dual fuel può consentire un abbattimento sensibile degli inquinanti nei centri urContinua a pag. 40


Continua da pag. 39

attività consiste nella realizzazione di due impianti dimostrativi per l’immissione in rete presso la discarica di Ravenna e a Roncocesi (RE) presso l’impianto di depurazione. BioMethER è nato nel 2010 grazie alla Rete Alta Tecnologia (Piattaforma Energia Ambiente) ed è partito nel 2013. E’ coordinato da Aster con il coinvolgimento del Crpa, laboratorio di ricerca industriale della Rete Alta Tecnologia, e delle imprese del settore energetico locale Hera Ambiente e Iren Rinnovabili, e di imprese del settore dei gas tecnici Ireti e Sol.

La corsa al biometano bani e proprio in quest’ottica la Regione Marche, ad esempio, ha già consentito con una delibera la libera circolazione di questi mezzi in caso di limitazioni al traffico. EMILIA-ROMAGNA E PROGETTO BIOMETHER

Le potenzialità del biometano in Emilia-Romagna sono molto interessanti, essendo la regione seconda solo alla Lombardia quanto a produzione di biogas, pari a circa il 16% di tutto quello prodotto in Italia. <<La sfida più importante nello sviluppo delle fonti rinnovabili in Emilia-Romagna è costituita dal settore termico – afferma Palma Costi, assessore regionale alle Attività produttive - e qui ci sono grandi potenzialità per soddisfare i bisogni energetici civili e produttivi. E una delle filiere più proContinua da pag. 35

Il biogas da alghe marine aree costiere e lagunari. Un’importante osservazione riguarda l’effetto dell’insufflazione di gas contenente CO2, derivante da una vicina caldaia per usi industriali: inizialmente si ha un aumento nella crescita delle alghe, che però si inverte in un secondo tempo a causa dell’acidificazione.

mettenti è proprio quella del biogas. Lavoriamo per un risultato concreto, anche su altri fronti, auspicando di avere al nostro fianco Comuni e cittadini in una transizione che non è solo economica>>. Dalle biomasse di scarto prodotto

in Emilia-Romagna si possono ottenere tra i 300 e i 350 milioni di mc/anno di biogas, e quindi di biometano, che in termini energetici significa una potenza elettrica di 150 MW. In ragione di ciò, la Regione ha cofinanziato il progetto europeo Life BioMethER, la cui principale

Nei futuri impianti sarà quindi necessario progettare un sistema automatico che provveda a limitare l’afflusso di CO 2 quando il pH si abbassa eccessivamente.

il nutrimento delle alghe; molte lagune, laghi, aree costiere che soffrono di fenomeni di eutrofiizzazione causati da un aumento del livello di azoto e fosforo potrebbero quindi beneficiare di questo approccio. Sulla base dei dati raccolti da istituzioni pubbliche e imprese private, sono state individuate tre possibili collocazioni di nuovi impianti: Piombino Dese (PD), Cisterna di Latina (LT) e Goro (FE).

CONCLUSIONI

Il progetto B4B propone una soluzione assolutamente ecocompatibile e energeticamente indipendente per la produzione di biogas, attenuando l’impatto ambientale degli inquinanti che costituiscono

Il drone Roboharv di RobotroniX

La valutazione economica ha stabilito che il primo scenario (Piombino Dese) è il migliore sotto il punto di vista pratico ed economico. Gli studi preliminari hanno mostrato la possibilità di costruire stagni chiusi galleggianti, la cui tenuta è garantita per tre anni, che sono praticamente inaffondabili. Questo consentirà notevoli riduzioni di costo rispetto ai classici bacini delimitati da argini o strutture rigide.

Coltivazione algale Hi-Tech Ambiente

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HI -TE CH

AMBIENTE

SPECIALE

MISURATORI PER BIOGAS


SPECIALE MISURATORI PER BIOGAS ABB Per le analisi dei gas negli impianti di biogas, l’esperienza applicativa maturata da ABB le consente di offrire un ventaglio di analizzatori e sistemi, con tecnologie di misura diversificate. Apparecchiature di misura di altissimo livello incrementano la sicurezza ed efficienza degli impianti di biogas. Semplici da installare e utilizzare, gli strumenti ABB garantiscono una facile integrazione con il processo. La serie EasyLine comprende analizzatori semplici, intelligenti e compatti per il monitoraggio continuo della concentrazione di gas, mediante la collaudata ed affidabile tecnica estrattiva del gas campione. Ad esempio, gli analizzatori EL3060 sono progettati specificatamente per impiego in aree a rischio di esplosione. Sono provvisti di custodia antideflagrante e certificati a norma atex 94/CE per applicazioni in Zona 1 e Zona 2. L’unità di comando dispone di una morsettiera a sicurezza aumentata: senza compromettere la protezione antideflagrante, il cliente può collegare in modo sicuro e con la massima praticità i cavi di segnale per le uscite

AB ENERGY analogiche e digitali, oltre ai segnali di stato. L’analizzatore è dotato di cassetta elettrica a sicurezza aumentata, con idonei pressacavi per la zona Ex. L’analisi del biogas è particolarmente importante per gli impianti di grandi dimensioni qualora il gas, alimentato attraverso la rete, venga impiegato in una centrale per la produzione di energia. In questo contesto, il Gascromatografo PGC1000, provvisto di custodia antideflagrante, consente l’analisi del gas e la determinazione del potere calorifico direttamente in loco. La misura può essere effettuata su un massimo di 4 stream (3 per il gas di misura e 1 per il gas di calibrazione). Questo strumento consente di effettuare i seguenti calcoli: comprimibilità del gas secondo la formula AGA8; densità relativa, potere calorifico; indice di Wobbe, numero di metano; calcoli opzionali come la velocità del suono secondo la formula AGA10; Dew Point degli idrocarburi.

www.abb.com/it

BAGGI Baggi Measurement ha sviluppato soluzioni per impianti e processi di biogas proponendo unità fisse per la misura in continuo e unità portatili per l’ispezione. Nell’ambito delle unità portatili, ad esempio, la serie Mentor-ComIR utilizza la più recente tecnologia a infrarossi a doppia cella per la rilevazione di CH4 e CO2, entrambi con un range di 0-100%). Con di questi sensori il livello di CO2 viene misurato con precisione e la cella per la rilevazione del CH4 non viene deteriorata dalla presenza di alti valori di H2S. Per la misura di O2 (0-25%) e H2S (0-200/500 ppm) vengono invece utilizzate delle celle elettrochimi-

L’analizzatore per biogas ABE1000 di AB Energy consente la misura di metano (CH4), ossido di carbonio (CO2), monossido di carbonio (CO) ed ossigeno presenti nel biogas con i seguenti campi di misura: 0-100% in volume per il CH4, 0-100% in volume per il CO2, 020000 ppm per il CO, 0-25% in volume per l’O2. Il sensore di ossigeno, di tipo elettrochimico, utilizza un materiale alcalino insensibile all’anidride carbonica (gas che avvelena i sensori elettrochimici tradizionali, riducendone la durata). La vita operativa del sensore varia a seconda della percentuale di ossigeno misurata (in presenza di aria con 20,93% di ossigeno, la durata standard del sensore è di circa 2 anni), in presenza di percentuali di ossigeno minori del 5% aumenta fino a 4/5 anni (in caso di gas pulito e deumidificato). Il sensore di CH4, CO2 e CO, invece, utilizza una sorgente di emissione impulsiva all’infrarosso a bassa temperatura. Il metano, l’anidride carbonica e il monossido di carbonio presentano un alto coefficiente di assorbimento della luce infraros-

sa, il sensore legge questa attenuazione quando all’interno della camera di misura sono presenti i gas in questione, dalla quale è possibile ricavare la concentrazione dei rispettivi gas. In abbinamento all’analizzatore ABE-1000 trovano spesso impiego il misuratore di portata termico ABE-550 da 0-1000 sscm; il trasmettitore radio ABE551 con portata fino a 600 m; il sistema ABE-552 per la stabilizzazione della temperatura del dispositivo; il software ABE-553 per la configurazione e la lettura dei dati su PC; il sensore ABE-554 per la lettura della pressione assoluta; il sensore ABE-555 per la lettura della pressione differenziale; il sensore ABE-556 di presenza di condensa sulla linea di analisi; la pompa di aspirazione ABE-557 per il biogas gestita direttamente dall’analizzatore; il sistema ABE-558 per la scansione dell’analisi su più linee (massimo 8); il frigo Peltier ABE-559 per il raffreddamento del gas: il sistema ABE-560 di taratura automatica dell’analizzatore.

www.abenergy.it

BOLDRIN che. Le altre caratteristiche dello strumento sono: facile lettura dei valori rilevati, funzione di zero; numero di serie e calibrazione memorizzati nello strumento; display lcd; calibrazione via PC. Circa, invece, le unità fisse, il BGA “INnovative Case Analyzer (INCA) è un innovativo sistema “all in one” per la qualità e sicurezza nel processo biologico e riduzione dei costi nell’ingegneria, nell’installazione e nella manutenzione dell’impianto. SensEvolution è il sistema BGA in versione IP55 per esterno. La serie di analizzatori Inca utilizza la più recente tecnologia a infrarossi per la rilevazione di CH4 e CO2 ed elettrochimica per O2, H2S ed H2 sono utilizzati per il monitoraggio in continuo della concentrazione di gas nel processo. L'unità è disponibile con una configurazione molto personalizzata: da 1 a 8 canali di ingresso; con o senza sistema di filtraggio della condensa; misura in continuo o non continuo; grado di protezione IP44, IP55 e IP67

www.baggi.com

I quantometri per biogas sono stati progettati per offrire ai clienti un misuratore di gas non fiscale economico ma con caratteristiche simili al misuratore a turbina fiscale. questi apparecchi vengono normalmente impiegati nella misura industriale per il calcolo dei costi di produzione. Non necessitano di manutenzione e possono essere collegati a strumenti esterni quali i convertitori di volume o i data loggers. Il misuratore a turbina sfrutta il principio della proporzionalità tra la quantità di gas che passa attraverso il contatore stesso e la velocità della girante. Un sistema di trasmissione meccanico/magnetico aziona l’unità di conteggio, installata nella parte superiore del misuratore, che mostra il volume di gas fluito alle condizioni operative. L’alta precisione dei cuscinetti, le precise tolleranze di tutte le parti di misura, riducono le perdite di carico a valori minimi. La cartuccia di misura separata dal corpo esterno e la forma a sandwich del corpo del misuratore rendono il misuratore stesso estraneo a even-

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tuali stress meccanici dovuti al non perfetto allineamento delle flange. Il misuratore EQZK, installabile sulla linea solo quando è richiesto l’effettivo utilizzo, si caratterizza per classi di misura da K 16 a K 400, campo di portata da 3 a 650 mc/h. E’ inoltre completo di presa di pressione, di superfici interne protette contro la corrosione con uno speciale rivestimento e di cuscinetti a sfera ceramici resistenti all’usura. Su richiesta può essere dotato di quattro differenti generatori d’impulsi: due a bassa frequenza, uno a media frequenza ed uno ad alta frequenza.

www.boldringroup.it


SPECIALE MISURATORI PER BIOGAS ISOIL INDUStRIA

GD300 per la misura di portata

verse uscite con vari protocolli di comunicazione. I dispositivi della serie GDR 1404 sono progettati come sistema modulare, consentendo la scelta tra varie opzioni di input, output, interfacce e software secondo le specifiche esigenze di installazione e applicazione.

Il biogas umido, non trattato, a bassa pressione non è più un problema

ISOIL INDUSTRIA

Il misuratore di portata GD300, sfruttando il principio ad oscillazione senza parti in movimento garantisce un funzionamento ideale per la misura di portata del biogas. Il GD300 è costruito in acciaio inox e, grazie alle generose dimensioni del tubo di misura, è insensibile allo sporco. Inoltre, l’effetto autopulente unito al sistema integrato di scarico della condensa nella testa di misura ne garantiscono un perfetto funzionamento con biogas umido e con alti tenori di zolfo. La caduta di pressione è ridotta al minimo, con una perdita che non supera i 50 mbar alla portata massima. Il misuratore, certificato atex II 1/2 G Ex ia/e mb IIC t4 Ga/Gb, è praticamente esente da manutenzione e non richiede alcuna ricalibrazione anche in caso di sostitu-

Isoil Industria opera prevalentemente nei settori chimico, petrolchimico, farmaceutico, energetico, alimentare, cartario, metallurgico, trattamento acque potabili e reflue, trasporti, building automation e ovunque si presenti la necessità di controllo, regolazione e automazione di grandezze quali portata, velocità, pressione, temperatura, combustione, analisi, parametri ambientali… Isoil Industria è strutturata in tre divisioni: IsoControl si occupa della misura e del controllo del processo industriale e del ciclo integrato delle acque; Isothermic è specializzata nella misura e controllo dell’energia termica e dell’automazione industriale e civile; Isotrack offre strumentazione per materiale rotabile ferroviario e per i trasporti pubblici in genere.

zione del sensore posizionato nella testa di misura. Il GD 300 può essere collegato al dispositivo elettronico GDR 1404 Gas Monitor, che acquisisce segnali di portata, pressione, temperatura e pressione idrostatica calcolando direttamente la portata normalizzata di biogas. Il dispositivo può elaborare la capacità elettrica del cogeneratore per determinare il fattore di efficienza dello stesso. I valori misurati sono visualizzabili su PC sotto forma di diagramma, mentre i valori in forma tabellare, ordinati su colonne, sono registrati in continuo nel buffer di memoria. Il calcolo può essere effettuato utilizzando dei trasmettitori di temperatura e pressione o inserendo i valori fissi direttamente nel GDR1404.

I calcoli sono in conformità con le norme DIN 1343, DIN 6358, DIN ISO 2533, DIN 102/ISO 1-1975. La programmazione avviene via ethernet o USB, mediante PC utilizzando il software (E3DM) scaricabile direttamente da sito web. Oltre alle tradizionali uscite analogiche e digitali, sono possibili di-

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SPECIALE MISURATORI PER BIOGAS ECOPLANTS Il misuratore di portata massico per biogas tipo BFM di Ecoplants è un modello accurato, facile da installare e senza parti in movimento, utilizzato per misurare e controllare la portata del biogas, del gas di digestione, del metano e del gas naturale. Utilizza la collaudata tecnologia della dispersione termica per fornire direttamente la misura della portata di massa con alte prestazioni e bassi costi. Le applicazioni sul biogas e sul gas di digestione sono sfidati dalle ampie variazioni della portata e dal gas sporco e umido. La variazione della portata è accompagnata in questi processi da basse produzioni nelle fasi d’avviamento fino a produzioni più consistenti, e dal cambiamento stagionale delle temperature, dove le temperature fredde diminuiscono la produzione di gas e le temperature più elevate l’aumentano. Mentre la composizione principale

EMERSON PROCESS MANAGEMENT di questi gas è metano e CO2, i residui di H2S e il vapore umido lasciano depositi e corrodono le superfici. BFM fornisce la soluzione a queste sfide. È dotato di un ampio rapporto di smorzamento fino a 100:1 ed è altamente sensibile alla misurazione delle basse portate (campo di portata da 0,08 a 122 m/s). Per misurare correttamente le variazioni di temperatura, i misuratori di portata devono includere dei circuiti di compensazione, elementi questi di serie nel BFM. Inoltre, non ha parti in movimento che si intasano o si bloccano ed è facilmente estraibile dal tubo per la pulizia occasionale. Si installa su tubi di diametro da 51 a 610 mm, con raccordo a compressione da 1⁄2” NPt(M). Raggiunge un’eccellente precisione, una risposta veloce e virtuale, senza manutenzione.

www.ecoplants.com

Con X-Stream Enhanced, Emerson Process Management, tramite il suo brand Rosemount Analytical, ha riversato il meglio della sua tecnologia in uno strumento dedicato al biogas. I dati raccolti da questo strumento servono non solo a misurare la composizione del gas, ma a valutarne anche la sua qualità. Le sue caratteristiche principali sono legate alla sua versatilità di impiego ed alla possibilità di gestire parte del processo normalmente eseguita dal PLC locale. Lo strumento, dotato di valvole di commutazione e pompe di aspirazione, permette una lettura in continuo di CO2, CH4 ed O2. In parallelo la misura di H2S, se effettuata con cella elettrochimica, eseguirà i campionamenti intervallati a periodi di purga, necessari per la rigenerazione della cella di misura. Le funzioni di calibrazione dello strumento sono effettuate tramite la commutazione di elettrovalvole poste al suo interno. L’analizzatore è in grado di segnalare un anomalo andamento della concentrazione di H2S in modo da inviare un allarme di alto e altissi-

mo livello di H2S. Al raggiungimento della prima soglia lo strumento porta la cella di misura di H 2S in purga in modo da salvaguardarne il funzionamento; il raggiungimento della seconda soglia di allarme indica al sistema di gestione dell’impianto una situazione di forte anomalia in grado di provocare danni sulla catena di produzione. La serie X-Stream è inoltre dotata di una potente interfaccia Web Browser che permette il completo controllo da remoto: l’analizzatore è in grado di operare con un indirizzo IP statico o dinamico (DHCP). Dall’interfaccia è possibile inoltre scaricare sul proprio PC le registrazioni effettuate dallo strumento. tutte le funzionalità dello strumento sono gestite da un PLC interno, che può essere facilmente programmato tramite l’interfaccia Web e permette il controllo di eventuali allarmi e logiche per l’insufflazione di ossigeno in base al valore misurato.

www.emersonprocess.it

ENDRESS+HAUSER Il flussimetro a ultrasuoni Prosonic Flow B 200 di E+H è stato sviluppato specificatamente per la produzione di biogas. Misura la portata volumetrica di biogas, gas di discarica o del digestore con elevata accuratezza, anche in condizioni operative molto variabili. Offre, inoltre, la misura integrata della frazione di metano in loco in tempo reale e questa caratteristica speciale consente la misura continua non solo della portata, ma anche della qualità del gas. Altri vantaggi sono: ottimizzato per gas a bassa pressione con costruzione del sensore sviluppata ad hoc; nessuna perdita di carico addizionale; trasparenza di processo con funzioni di diagnostica; cablaggio economico con vano connessioni separato; funzionamento sicuro in quanto non si deve aprire il dispositivo grazie al display con touch control e retroilluminazione; verifica integrata grazie alla Hi-Tech Ambiente

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Heartbeat technology. Il principio di misura non è influenzato dalla composizione del gas Questo flussimetro in linea per misure di biogas accurate e affidabili con tecnologia alimentata in loop di corrente è quindi un dispositivo multivariable (per portata, temperatura e metano), che opera ad una temperatura del prodotto da 0 a 80 °C ed una pressione di processo da 0,7 a 11 bar assoluti. Dispone di una robusta custodia a due camere e di approvazioni internazionali valide in tutto il mondo a garanzia di elevata sicurezza.

www.it.endress.com


SPECIALE MISURATORI PER BIOGAS HANS BRAND Per aumentare la resa e quindi ottenere una miscela di gas con un’alta concentrazione di metano ed una bassa concentrazione di componenti dannosi, è necessario il monitoraggio continuo della composizione del biogas, così da rilevare tempestivamente variazioni di concentrazione e prevenire danni all’impianto. Allo scopo Hans Brand propone analizzatori portatili e fissi, rilevatori portatili con funzione d’allarme per la sicurezza dell’operatore incaricato di misurare il biogas, nonché vari accessori indispensabili per i gestori degli impianti biogas. Multitec 560, ad esempio, riunisce in un unico strumento portatile le funzioni di analisi biogas e di rivelazione multigas per la sicurezza personale misura e documenta la concentrazione fino a 5 gas insieme. Con funzione di sicurezza, invece, avvisa l’operatore mediante allarmi ottici ed acustici della presenza di gas tossici, esplosivi e carenza o eccesso di ossigeno nell’aria. L’uso della tecnologia IR per la misura di CH4 e CO2 esclude la rilevazione di valori di misura errati do-

INNOVATIVE INSTRUMENTS vuti ad interferenze di altri gas. Il grande display consente la lettura di tutti i valori in un’unica schermata. La nuova versione Multitec 545 è anche con sensore per alte concentrazioni di H2S (fino a 5.000 ppm). Multitec BioControl, infine, è un sistema combinato per il monitoraggio fisso e mobile di biogas. Particolarmente versatile ed affidabile, questo strumento è altamente personalizzabile e di facile manutenzione per mantenere una continuità d’esercizio senza spiacevoli interruzioni. Analizza la composizione del biogas rilevando con estrema precisione la concentrazione di 5 gas diversi, nonché portata e temperatura. Grazie alla compensazione intelligente di pressione, umidità, temperatura e composizione gas si ottiene un’accurata misura della portata (Nmch) e del contenuto energetico (kW). I dati di misura vengono salvati in protocolli visionabili sia sul display integrato, sia su PC in formato xxcel. uetta posizionatrice della filiera.

www.hansbrand.it

KOBOLD Misurare la quantità totale di biogas generato in un impianto può essere difficile, perché si ha a che fare con una bassa pressione di esercizio di circa 100 mbar e con un gas sporco, umido, capace di corrode la parte metallica del flussometro e infiammabile. Quindi, la certificazione per aree pericolose è d’obbligo. Come qualsiasi altro gas, il biogas è comprimibile, il che significa che la densità varia notevolmente al variare della pressione operativa e/o della temperatura operativa. Assumendo che la misura venga fatta con pressione costante e temperatura ambiente avremo una falsa lettura. Il misuratore di Kobold Instruments ad oscillazione Dog proprio grazie al principio di funzionamento

I moderni impianti per la produzione di biogas basano il loro funzionamento sull’analisi della qualità del biogas e sull’analisi delle portate del gas prodotto. L’analizzatore portatile Serie GA-m, certificato atex per zona pericolosa Eex ib IIB t1 (Zona 1/2), si presenta estremamente robusto e performante. Può misurare contemporaneamente fino a 7 canali gas tra cui metano (CH4), anidride carbonica (CO2), ossigeno (O2), anidride solforosa (H2S), ammoniaca (NH3), idrogeno (H2), monossido di carbonio (CO). L’unità mobile è espandibile a stazione di analisi biogas fissa ,con possibilità di integrazione di eventuali altri parametri come la temperatura, la massa ponderale del gas e la misura della pressione, come pure la trasmissione di questi dati ad un computer centralizzato. L’analizzatore Combimass GA-m può essere rimosso dalla stazione durante la fase operativa sia per misurazioni portatili su differenti punti dell’impianto che per manutenzione. In questo caso è possi-

bile fornire uno strumento sostitutivo (muletto) in modo da non interrompere l’analisi durante tutto il periodo di manutenzione senza alcuna perdita della misura, così facendo non è necessario alcun intervento sul campo da parte di tecnico qualificato. La stazione di misura fissa Combimass GA-s analizza automaticamente un numero praticamente illimitato di campionamenti. tutti i valori registrati possono essere trasferiti a PLC tramite protocolli di comunicazione ethernet tCP/IP, modbus RtU (RS485), profibus DP oppure segnali analogici 4/20 mA. Mentre le concentrazioni del gas cambiano molto lentamente, la portata del gas varia continuamente durante il funzionamento degli impianti, ne consegue che è funzionale installare anche un misuratore di portata ad ogni punto di campionamento ed interfacciarli alla stazione di misura GAs.

www.innovativeinstruments.com

KROHNE dell’oscillazione ed alle grandi dimensioni del tubo di misura è estremamente insensibile allo sporco ed ha un effetto autopulente, che è fondamentale per un fluido come il biogas. Per di più, dato che non ha alcuna parte rotante, la caduta di pressione è ridotta al minimo. Il misuratore è provvisto di approvazione Atex II 1G EExia IIC t4 per l‘applicazione in zone con pericolo di esplosione. Altre caratteristiche di Dog sono la verniciatura anticorrosione ed il tubo di misura in acciaio inox, per ottenere un buon risultato nella misura. Inoltre, al fine di tenere in considerazione le variazioni di pressione e temperatura nel calcolo, Kobold ha installato un trasmettitore di pressione Pas ed un trasmettitore di temperatura tWL, le cui uscite sono state collegate all’unità di calcolo per ottenere un valore di portata corretto. Il risultato è il valore corretto del flusso di biogas volumetrico sia in valore istantaneo (Nmc/h) che totalizzato (Nmc).

www.kobold.com

Il misuratore di portata Optisonic 7300 Biogas di Krohne è appositamente progettato per superare le limitazioni del principio ultrasonico: mentre i trasduttori di segnale forniscono un segnale ultrasonico forte nel gas, la sua elaborazione del segnale specializzato consente una migliore rilevazione di piccoli segnali acustici fortemente smorzate. Questo e la progettazione meccanica di trasduttori e tasche trasduttore rende la misura insensibile all'acqua liquida e scalatura biologica. Optisonic 7300 Biogas dispone di un sensore di flusso a passaggio totale, senza parti mobili e che non richiede manutenzione. Come H2S fornisce una soluzione corrosiva quando disciolto in acqua, il tubo di misura è in acciaio inox 1.4404/316L e trasduttori sono in grado “nace” approvato 29 titanio per la massima resistenza alla corrosione. Lo strumento è dotato di giro flange comuni per abbassare il peso complessivo, come il biogas non presenta alte pressioni ed a volte è utilizzato solo tubazioni

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in plastica. La precisione di misura viene specificata al 1% della portata di misura attuale, quando calibrata con aria, a partire dal 1 m/s velocità di flusso/3.28 m/s. Poiché il contenuto di metano nel biogas può variare, essa può essere richiesta per il funzionamento della struttura biogas conoscere l'esatto contenuto di metano, ad esempio quando viene utilizzato come combustibile per motori a gas in un impianto di cogenerazione. Optisonic 7300 Biogas è dotato di un sensore di temperatura incorporato che consente la misura diretta del contenuto di metano attraverso il calcolo della massa molare. Può anche fornire calcolo del volume del flusso di gas in condizioni standard utilizzando un sensore di pressione supplementare. L'elettronica include inoltre la diagnostica per convalidare le funzioni del misuratore di portata e di processo. Infine, è certificato per l'utilizzo in ambienti esplosivi (zona 1).

www. it.krohne.com


SPECIALE MISURATORI PER BIOGAS PRECISION FLUID CONTROLS

RIELS

La necessità di misurare gas saturi e sporchi, con portate e pressioni molto basse, rendono il biogas un’applicazione molto complicata. FCI, società americana specializzata nella realizzazione di misuratori massici termici, rappresentata in esclusiva per l’Italia da Precision Fluid Controls, ha realizzato un’apposita soluzione per questa applicazione: il Flowmeter St51. tutti gli strumenti vengono calibrati direttamente in fabbrica tenendo conto delle specifiche composizioni dei gas provenienti dai digestori, in modo che ogni strumento sia al 100% compatibile con l’ambiente e l’impianto in cui si troverà ad operare. Il modello St51 è equipaggiato con dei sensori di misura che garantiscono accuratezza e ripetibilità rispettivamente del 1% e dello 0,5% del valore letto, per velocità che vanno da 0,08 fino a 122 MPS. In parallelo alla misura di portata Precision Fluid Controls è in grado di fornire, grazie all’esclusiva collaborazione con la società tedesca Awite, un sistema di analisi che permette di monitorare in maniera continua o discontinua la composi-

I trasmettitori di campo della serie Combimass Eco-Bio di Riels sono misuratori massici a dispersione termica per la misura di biogas di composizione nota. Possono essere impiegati per temperature di processo fino a 130 °C nella versione standard o 200 °C con opzione. Applicano la tecnologia di dispersione termica per misurare direttamente il volume normale o la portata massica di gas, indipendentemente dalla pressione e dalla temperatura del fluido. Il campo di misura va da 0.25 a 25 Nm/s standard oppure da 0.25 a 240 Nm/s opzionale. Sono disponibili in due versioni: per l'installazione in ex-zona 1 con un alloggiamento in acciaio inossidabile o per l'installazione in ex-zona 2 con una più economica custodia in alluminio. L'elettronica del trasmettitore re-

zione della miscela di gas. Gli analizzatori, della serie AwiEco e AwiFlex, permettono di effettuare un‘analisi su più punti di misura per tutti i gas tipici per questa applicazione: CH4, CO2, O2, H2S e H2. I dati ricevuti dall’analizzatore, sono integrabili con input provenienti da altri sistemi di misura (pressione, portata e temperatura) e risultano tutti consultabili sia attraverso il comodo e intuitivo “touch-panel” sia tramite le principali interfacce digitali presenti sul mercato. Gli analizzatori sono inoltre fornibili con numerosi optional, come ad esempio il cooling system o il sistema per la desolfurazione microbiologica. da 11 kW.

www.precisionfluidonline.it

SATEMA Equzek è il misuratore a turbina radiale proposto da Satema per le misure di portata di biogas che si basa sulla misura della velocità. Le parti interne a contatto del fluido sono rivestite in PtFE per evitare corrosioni dovute alla combinazione di diversi fattori presenti nei gas da rifiuti: umidità, sporcizia, ammoniaca, idrogeno solforato, ecc. La velocità di rotazione della turbina è proporzionale al volume di gas defluito, per conoscere il quale si rileva il numero di giri dell'albero della girante, tramite un convertitore elettronico. Per misure del fluido in condizioni asciutte e prive di impurità è rac-

lativo al Combimass Eco-Bio in zona 1 è contenuta in una custodia a doppio involucro di acciaio inox. E' disponibile per questo tipo di contenitore un display a 10 cifre LED per l'indicazione della portata effettiva e del flusso totale. Per la trasmissione del segnale di flusso sono disponibili un segnale isolato 4 ÷ 20 mA, un'uscita analogica e un'uscita impulsiva. Dal design compatto e robusto per un'affidabilità eccezionale, sono semplici da installare e di facile manutenzione. Garantiscono una precisione senza pari grazie all'elaborazione digitale dei segnali (sistema: 0,25% della lettura + 0,025% del fondo scala - di misura: 2,5% della lettura + 0,2% del fondo scala). Certificazione atex a richiesta.

www.riels.it

VECTRA MISURE comandabile una opportuna pendenza della condotta con drenaggio condense e una accurata filtrazione. Lo strumento si caratterizza per l’alta stabilità di misura, la facilità di manutenzione per l'adozione del principio della cartuccia di misura, l’elevata sicurezza operativa, il range di temperatura del gas -10/+60 °C ed ambiente 20/+70 °C. Equzek, inoltre, può essere montato sia orizzontalmente sia verticalmente ed in opzione può essere dotato di un secondo generatore di impulsi BF oppure di un generatore di impulsi MF (100 imp/mc). Oltre che allo strumento, l’azienda Satema, che vanta una pluridecennale esperienza nel vasto campo dell’impiantistica ambientale, offre un servizio di assistenza pre e post vendita che comprende configurazioni della strumentazione secondo specifiche impartite, tarature, tests di collaudo e training all’utilizzo.

www.satema.it

I moderni impianti biogas non possono rispettare i requisiti sia commerciali che ambientali senza buone prestazioni di misura e tecnologie di analisi avanzate. Un analizzatore di biogas è generalmente installato in un cabinet generatore nel quale vengono installati anche misuratori di portata di gas. Per avere un funzionamento ottimale e proficuo di un impianto a biogas è vitale considerare sia la qualità che la quantità del gas di ogni fermentatore/rifinitore. I misuratori di portata massici a dispersione termica di Binder, distribuiti da Vectra Misure, garantiscono un'alta affidabilità e precisione della misura anche in condizioni operative particolarmente critiche. La stazione di misura Combimass GA-s analizza automaticamente un numero praticamente illimitato di campionamenti. Mentre le concentrazioni del gas cambiano molto lentamente, la portata del gas varia continuamente secondo il ciclo dell’agitatore, ne consegue che è funzionale in-

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stallare anche un misuratore di portata ad ogni punto di campionamento e connetterli alla stazione Combimass GA-s. Per monitorare la qualità del gas è sufficiente un campionamento ogni ora. tutti i punti campionati possono essere successivamente collegati con tubi di campionamento alla stazione di misura Combimass e automaticamente misurati e registrati. E’ uso comune campionare automaticamente la qualità del gas del generatore e analizzare in seguito i punti di campionamento manualmente. Allo scopo, l’analizzatore portatile per gas Combimass GAm può essere rimosso dalla stazione durante la fase operativa, mentre la stessa continua ad acquisire i dati, compensati con l’ultimo valore di concentrazione gas; ricollegandolo alla stazione di misura, i dati registrati vengono trasferiti e sincronizzati con i dati precedenti. Questi dati sono anche disponibili per altri PLC tramite interfaccia di comunicazione.

www.vectramisure.it


energia

La gestione dei generatori di vapore Efficienza energetica delle industrie

L’analisi di alcune opzioni per il risparmio energetico in ciascuna delle tre fasi di produzione e impiego 7^ parte

Il vapore è ampiamente usato nell’industria come vettore di calore; è chiaro, quindi, come un’analisi del ciclo produttivo diretta al conseguimento di risparmi energetici non possa prescindere da un’attenta valutazione di tutte le fasi di produzione e impiego del vapore, e cioè: generazione del vapore nella caldaia, distribuzione del vapore, impiego del vapore da parte del processo che lo utilizza.

corrosione e/o erosione), e regolare la pressione del vapore al livello minimo accettabile dalla rete di distribuzione, al fine di aumentare l’efficienza della caldaia. Nei casi in cui la domanda di vapore sia instabile, può essere necessario installare delle valvole di regolazione a valle della caldaia, al fine di consentire alla caldaia di rispondere rapidamente ai cambiamenti di domanda del vapore ed evitare rischi di blocco dovuti a fluttuazioni di pressione eccessive.

CONDIZIONI DI PRESSIONE E TEMPERATURA

PERDITE DI CALORE NEL CAMINO

Occorre innanzitutto verificare che il generatore di vapore funzioni alla temperatura e alla pressione più bassa possibile. In particolare, bisogna appurare che il vapore in uscita dalla caldaia sia leggermente surriscaldato, per evitare la formazione di condensa nella rete di distribuzione (ed evitare i conseguenti problemi di

Nella produzione di vapore, i gas caldi originati dalla combustione scambiano la maggior parte del loro calore con l’acqua, formando vapore; parte del calore, però, viene disperso attraverso il camino insieme ai gas combusti, restando inutilizzato. Di conseguenContinua a pag. 48

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La gestione dei generatori di vapore za, riducendo le perdite di calore attraverso il camino è possibile conseguire risparmi energetici, e ciò è possibile attuando due misure: - regolare adeguatamente il bruciatore, impostando il rapporto aria/combustibile sulla quantità minima di aria, in modo da minimizzare la quantità di gas combusti. Infatti, il flusso del volume di gas combusti è determinato dalla quantità di aria utilizzata nella caldaia per ottenere una combustione completa in base alla quantità di combustibile, a cui si aggiunge in genere un 15% al massimo di aria in più per essere sicuri di ottenere una combustione completa; questo surplus deve essere mantenuto al livello minimo necessario per ottenere una combustione completa e sicura, evitando la formazione di residui di idrocarburi incombusti e monossido di carbonio (CO) nella zona di fiamma della caldaia. A tal fine è necessario effettuare un corretto controllo del rapporto aria/combustibile in tutta la zona di alimentazione della caldaia, collegando meccanicamente l’immissione dell’aria di combustione con la valvola di controllo del combustibile (che deve essere sottoposta a regolare manutenzione), oppure misurando separatamente il flusso dell’aria e del combustibile in modo da ridurre il volume

ALCUNI INTERVENTI RACCOMANDATI Per una gestione accorta e diligente degli impianti a vapore vengono raccomandati una serie di opportuni interventi: - effettuare ispezioni e interventi periodici di manutenzione (con cadenza almeno annuale) dalla caldaia e delle apparecchiature collegate - monitorare l’efficienza delle caldaie con cadenza almeno mensile - nel caso di caldaie multiple in parallelo, suddividere carichi in modo da ottimizzare l’efficienza complessiva - misurare l’eccesso di ossigeno

nei gas combusti in uscita dalla caldaia e regolare il rapporto aria/combustibile, in modo da ridurre l’eccesso di aria al minimo accettabile per evitare formazione di fuliggine e ossido di carbonio - prelevare l'aria di combustione vicino al soffitto della sala caldaie (l'aria calda tende a salire, per cui vicino al soffitto la sua temperatura sarà maggiore) - controllare e mantenere l’isolamento di caldaie, tubazioni e valvole, ed in particolare isolare il serbatoio dell'acqua di alimentazione e le linee di ritorno della condensa - verificare che il trattamento dell’acqua di alimentazione delle

caldaie e del ritorno di condensa funzioni regolarmente - effettuare analisi periodiche sui campioni di acqua - controllare l’impostazione del rapporto di spurgo in relazione alla qualità dell’acqua della caldaia, cercando di mantenere lo spurgo al minimo - controllare che il degasatore funzioni alla pressione minima - verificare il funzionamento delle trappole del vapore - controllare le perdite di vapore nel sistema - controllare periodicamente la presenza di incrostazioni e sporco sulle superfici delle caldaie e degli scambiatori di calore.

dell’aria di combustione in base al livello misurato di ossigeno e CO nei gas combusti. Attuando tali misure, se una caldaia funziona con un eccesso di ossigeno dell’8% ed una temperatura del camino di 240 °C, è spesso possibile ridurre questi parametri a 3% di ossigeno e 180 °C di temperatura al camino, portando così la dispersione termica al camino dal 14,1% all’8% e riducendo il combustibile in ingresso del 6% - recuperare calore anche a basse temperature dai gas esausti. A tal fine esistono diverse possibilità, quali: utilizzare un economizzatore per riscaldare l’acqua di alimentazione della caldaia prima del suo ingresso, installare un pre-riscaldatore per riscaldare l’acqua di rabbocco prima che en-

tri nel degasatore, installare un pre-riscaldatore per preriscaldare la condensa prima del suo ingresso nel degasatore, ed infine usare un preriscaldatore per riscaldare l’aria di combustione. Nel caso venga impiegato un combustibile contenente zolfo, la temperatura minima del camino dovrebbe mantenersi al di sopra del punto di rugiada dei composti di zolfo presenti nei gas di scarico (e l’acqua di alimentazione della caldaia al di sopra di 140 °C); mentre nel caso di impiego di combustibili senza zolfo, come il gas naturale, la temperatura dovrebbe essere mantenuta al di sopra del punto di rugiada dell’acqua dei gas di scarico (e l’acqua di alimentazione sopra i 70 °C), onde evitare fenomeni di corro-

sione negli economizzatori e nei preriscaldatori. Qualora si impieghi gas naturale, è anche possibile installare economizzatori condensanti in acciaio inox, che sono in grado di sfruttare parte del calore di condensa dei vapori dell’acqua presenti nei gas di scarico come calore utile a basse temperature. Per tenere sotto controllo la temperatura dei gas, è inoltre impor-

tante tenere sotto controllo la formazione di incrostazioni o sporco all’interno della caldaia, e provvedere ai necessari interventi di pulizia. CONSUMO DI ENERGIA IN SALA CALDAIE

La maggior parte del consumo di energia in sala caldaie è dovuta al lavoro delle pompe dell’acqua di alimentazione alla caldaia e dei ventilatori dell’aria di combustione; è possibile risparmiare energia installando motori a velocità variabile. Un ulteriore dispendio energetico deriva dalle perdite per irraggiamento dalle superfici calde, che per una caldaia in buono stato di conservazione sono intorno Hi-Tech Ambiente

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all’1% della capacità termica della caldaia stessa; quindi, per limitare tali perdite è importante preservare l’isolamento termico della caldaia ed eseguire le riparazioni necessarie. Inoltre, è importante regolare la pressione e la temperatura dell’acqua nel degasatore ai valori minimi compatibili con una buona eliminazione dell'ossigeno, il cui contenuto in uscita dovrebbe essere meno di 10 ppb, al fine di evitare fenomeni di corrosione. La qualità dell'acqua di caldaia deve essere regolata effettuando lo spurgo periodico, al fine di evitare l’accumulo di contaminanti; è altresì opportuno effettuare il recupero del calore delle acque di spurgo tramite un flash tank (il vapore proveniente dal flash tank può essere utilizzato nel degasatore, mentre il calore restante può essere utilizzato per riscaldare l’acqua di rabbocco).

(con conseguente spreco di energia termica) o intasamenti (che causano "colpi d'ariete" nel circuito della condensa. Per prevenire gli intasamenti è possibile effettuare misurazioni di temperatura con telecamere infrarosse a valle della valvola di controllo e appena prima della valvola del vapore, per evidenziare fenomeni di sottoraffreddamento (oltre 20 °C); le perdite di vapore, invece, possono essere individuate anche con una semplice ispezione visiva della valvola, o ancora utilizzando rilevatori a ultrasuoni. OTTIMIZZARE IL TRATTAMENTO DELL’ACQUA

Il ciclo acqua/vapore richiede un continuo rabbocco di acqua, che deve essere trattata per eliminare gli elementi contaminanti (calcio, magnesio, cloruri e gas disciolti, come ossigeno e anidride carbo-

nica), che causerebbero gravi problemi di corrosione e incrostazioni negli impianti della caldaia e della condensa. Per assicurare una produzione di vapore sicura e regolare, è necessario adottare una serie di accorgimenti: - ridurre adeguatamente la durezza dell’acqua di rabbocco (causa principale delle incrostazioni nella caldaia) installando un impianto di addolcimento o di demineralizzazione, ed effettuando eventualmente (per le caldaie che funzionano con pressioni superiori) un ulteriore trattamento di demineralizzazione dell’acqua di rabbocco - evitare concentrazioni eccessive dei contaminanti presenti nell’acqua della caldaia, mediante costante spurgo dell'acqua attraverso l’impianto - controllare costantemente il pH dell’acqua di caldaia e mantenerlo entro i limiti di alcalinità richiesti, al fine di mantenere il li-

RITORNO DELLA CONDENSA

Il recupero della condensa per il suo riutilizzo nella caldaia consente un sostanziale risparmio energetico: se si riesce a recuperare l’80% della condensa, l’efficienza della caldaia può incrementarsi fino al 10%; ma è necessario assicurarsi che essa sia priva di contaminanti (composti organici, cloruri ecc.) che possono causare gravi fenomeni di corrosione, effettuando un costante monitoraggio della qualità della condensa. Elementi fondamentali per il recupero della condensa sono le valvole o "trappole" di vapore ("steam traps"), che devono essere controllate con regolarità in quanto il loro malfunzionamento può causare dispersioni di vapore Hi-Tech Ambiente

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vello di alcalinità necessario per formare uno strato di magnetite sulla superfici interne dei tubi, e prevenire fenomeni di corrosione. Ciò è possibile aggiungendo all’acqua piccole dosi di idrossido di sodio - verificare la rimozione di CO2 e ossigeno nel degasatore, al fine di evitare fenomeni di corrosione - verificare le misure protettive per evitare la corrosione acida nel sistema della condensa di ritorno, come l’aggiunta di alcalinizzanti volatili (quali l’ammoniaca) nell’acqua di alimentazione della caldaia, per evitare che la miscela CO2/vapore in uscita dalla caldaia possa causare corrosione nel sistema della condensa - verificare il livello di contaminazione della condensa di ritorno, per limitare fenomeni di incrostazione e corrosione della caldaia (qualora la condensa risulti essere contaminata, è necessario scaricarla).


laboratori

Tecnologie all’avanguardia TQ Technologies for Quality

Strumenti per il monitoraggio e la ricerca avanzata che uniscono due aspetti essenziali: rapidità di analisi e trasportabilità Tutti noi siamo interessati a vivere in salute, in un ambiente pulito, godendo delle bellezze naturali che la Terra ci offre. Per questo motivo abbiamo bisogno di tenere sotto controllo l’acqua, il terreno e l’aria che ci circonda. TQ Technologies for Quality contribuisce al monitoraggio di alcuni parametri fisici e chimici proponendo al mercato degli analisti alcune linee di strumentazione e tecnologie all’avanguardia. Oxford Instruments da oltre 50 anni produce apparati scientifici per la ricerca avanzata, per l’industria e per

l’ambiente. TQ importa in Italia la divisione per analisi elementare, utilizzabili anche nel campo ambientale. Tra questi, l’X-Supreme 8000 da banco e l’X-MET 8000 portatile per analisi in situ. Entrambi sono spettrometri ED XRF, multi-elementari, in grado di rilevare elementi tra Na a U in diverse matrici. Di estremo interesse sono i metalli pesanti, lo zolfo, il cloro, in campioni liquidi o solidi, quali terreni, fanghi, particolato su filtri, manufatti, oli esausti, combustibili, ecc. La preparazione del campione è minima e molto spesso viene misurato “tal quale”.

Diverse sono le applicazioni per le quali possono essere utilizzati. Per analisi multi-elementari in situ, l’X-MET 8000 è lo spettrometro XRF portatile per eccellenza. Dotato di un semplice sistema “punta e spara”, questo strumento permette la determinazione di elementi che devono sottostare a limiti di legge. I risultati sono disponibili in poche decine di secondi, caratteristica che permette all’operatore di risparmiare tempo su decisioni critiche. L’eccellente accuratezza di questo strumento, unito alla praticità d’uso e alla velocità delle analisi, lo rende perfetto per le misure di screening che coinvolgono le analisi di conformità RoHS (Restriction of Hazardous Substances) nei beni di consumo, quali i giocattoli, le schede stampate, ecc. In sintesi, gli analizzatori XRF sono eccellenti quando le analisi devono essere veloci, precise, accurate e quando la preparazione del campione vuole essere ridotta al minimo, non ricorrendo ai metodi tradizionali per via “umida”. Nel campo delle analisi ambientali, Hi-Tech Ambiente

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degne di nota sono le linee di strumenti prodotte dalla Mitsubishi Chemical Analytech, casa storica nella produzione di strumenti analitici. Essi permettono di misurare parametri come il TOC (Carbonio Organico Totale) ad iniezione diretta, IC (Carbonio Inorganico), TC (Carbonio Totale), NPOC (Carbonio Organico Non Purgabile), AOX (Alogeni Organici Assorbibili) e TOX (Alogeni Organici Totali). Questi strumenti coprono una vasta gamma di richieste e permettono la determinazione di alogeni, zolfo e carbonio nelle più svariate matrici e nei più diversi stati fisici (liquidi, gas e solidi). Gli apparecchi Mitsubishi sono analizzatori elementari che trovano impiego nei più svariati settori, dal monitoraggio ambientale al controllo di produzione o di scarichi industriali: ovunque servano analisi automatizzate e caratterizzate da un elevato grado di sensibilità. Negli ultimi anni, le caratteristiche degli strumenti per il monitoraggio ambientale stanno sempre più cercando di unire due concetti: rapidità di analisi e trasportabilità. Il nuovo


gascromatografo Calidus, prodotto dalla casa americana Falcon Analytical, unisce queste due caratteristiche. Il Calidus è un GC compatto (circa 8 kg) ultra-fast, peculiarità resa possibile dal sistema brevettato di riscaldamento/raffreddamento della colonna. Ciò permette rampe di temperatura velocissime, (in riscaldamento e in raffreddamento) e riduce di 10- 50 volte i tempi di analisi rispetto ai tradizionali GC. Caratteristica unica è l’introduzione del campione in meno di un minuto dalla fine dell’analisi precedente. Il Calidus è un reale GC, composto da un sistema di iniezione riscaldato, septum purge, split/splitless, in grado di accettare campioni gassosi e liquidi, utilizzando sistemi automatici o manuali. Può utilizzare una o due colonne, che possono operare anche simultaneamente così da consentire rapide analisi di specifici componenti, con il massimo della selettività. Possono essere interfacciati con rivelatori FID, TCD, FPD e DBD. Il Calidus è lo strumento ideale per velocizzare le più comuni analisi GC in laboratorio. Diventa unico quando si pretende l’efficienza di analizzatori di laboratorio per un analizzatore da campo, utilizzato

in situ, magari su un laboratorio mobile. Tra gli strumenti da laboratorio, trasportabili, quelli prodotti dalla casa austriaca Eralytics sono ottimi per le analisi sul campo e sono adatti anche a essere installati su un laboratorio mobile. Grazie allo strumento Eracheck, le analisi di Idrocarburi Totali e delle Sostanze Oleose (TPH e TOG) si possono eseguire in 5 minuti con una minima preparazione del campione. Sfruttando una sorgente laser e la più moderna tecnologia Laser Mid-IR si riesce ad arrivare a LOD inferiori al ppm (ASTM D7678). Diverse sono le tipologie di analisi permesse dagli strumenti Eralytics. L’Eraflash è lo strumento per misurare il punto di infiammabilità di campioni liquidi e solidi più sicuro e solido sul mercato, utilizzabile anche per campioni di rifiuti, fanghi, ecc. Rispetta le norme ASTM D6450, D7094 ed è correlabile a diverse normative quali ad esempio la D93. Completamente automatico, veloce ed intuitivo consente analisi altamente ripetibili e riproducibili. Tutti gli strumenti sopracitati sono distribuiti in esclusiva da TQ Technologies for Quality.

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Il lavoro di campionamento sul campo è veramente duro, molto diverso da quello svolto in laboratorio. Sul campo spesso le condizioni non sono né comode né favorevoli e di frequente c’è la necessità di essere pronti e rapidi nell’eseguire le analisi e nell’elaborare i risultati. Con i suoi 14.5 kg di peso, batteria inclusa, Torion è la soluzione ideale per tutti coloro che devono eseguire analisi di spettrometria di massa, agili, veloci e direttamente in campo. Torion GC-MS è particolarmente adatto a chi esegue analisi in situazioni di emergenza o sorveglianza ambientale e di sicurezza dove si devono accertare tempestivamente le cause degli inquinamenti che richiedono un rapido intervento. Grazie alla tecnologia Fast Chromatography, Torion è infatti un GC-MS capace di rilevare in qualche minuto composti organici volatili e semi-volatili in un’unica corsa cromatografica. Il campionamento è semplice con l’uso di SPME indicato con matrici liquide o gassose e lo strumento è completamente autosufficiente in quanto dotato di batteria che garantisce 2.5 ore continuative di funzionamento e di una cartuccia capace di fornire carrier gas per 150 analisi. Anche l’accensione è estremamente rapida: solo 5 minuti per effettuare un’analisi partendo da strumento spento. Sebbene sia portatile e compatto,

I risultati veloci sempre PerkinElmer

Torion GC-MS, portatile e compatto, consente un’analisi rapida e semplice, in totale autonomia

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Torion fornisce una risoluzione cromatografica equivalente a quella di un sistema da banco grazie alla presenza un sistema capillare a bassa inerzia termica. Le dimensioni ridotte del gascromatografo sono ottenute grazie alla sostituzione del forno tradizionale degli strumenti da banco con un involucro con resistenza elettrica a riscaldamento diretto della colonna a bassa massa termica (LTM). Inoltre, nonostante la portabilità sia uno dei suoi elementi caratterizzanti, questo GC-MS può anche lavorare connesso alle “utilities” di laboratorio una volta completato il lavoro in campo e rientrati in sede. Considerata la sua portabilità, questo strumento può operare mediante l’uso di un touch-screen a colori capace di richiamare il metodo necessario per l’analisi e visualizzare i risultati in formato tabulare. Infine, può essere anche collegato ad un personal computer equipaggiato con il software Chromion. Chromion è pensato e progettato per l’utente finale e supporta tutte le funzioni necessarie al fine di ottenere analisi qualitative e quantitative precise ed affidabili in gas massa; tra queste funzioni troviamo: l’integrazione con la libreria NIST per l'identificazione dei picchi incogniti sulla base dello spettro di massa, la personalizzazione della libreria mediante la creazione di librerie utente, la valutazione dei dati e lo sviluppo di nuovi metodi.


tecnologie Da circa vent’anni gli agronomi studiano i motivi della straordinaria fertilità di alcuni suoli amazzonici, denominati localmente “terra preta”. Si tratta di terreni di colore scuro, contenenti biomassa parzialmente combusta, risalente (in base alle datazioni con carbonio-14) a età variabili da 500 a 7.000 anni fa; sembra che per gli antichi indios fosse pratica comune, quando serviva nuovo terreno agricolo, tagliare la foresta pluviale e sottoporre il legname così ottenuto ad un processo di combustione in ambiente povero di ossigeno, interrando poi il materiale carbonioso così ottenuto. COME SEQUESTRARE LA CO2

Queste osservazioni hanno portato ad elaborare una proposta di “sequestro della CO2 in forma solida”, paragonabile in certo qual modo alle pratiche di “cattura e stoccaggio della CO2” attualmente in atto in varie località, dove la CO2 prodotta dai processi di combustione viene “nascosta” nei fondali sottomarini o in falde acquifere profonde. In sostanza, la proposta “biochar” consiste nel sottoporre a pirolisi controllata i residui agricoli che attualmente vengono bruciati o dispersi sul terreno, producendo gas di sintesi (che può essere usato per produrre energia) e residui carboniosi, simili alla “carbonella” normalmente utilizzata per fornelli a legna e barbecue. I residui carboniosi, designati col nome biochar, vengono interrati; in questo modo il carbonio in essi contenuto non viene rapidamente convertito in CO 2 e immesso nell’atmosfera (come avverrebbe se il materiale vegetale di partenza venisse bruciato o disperso nel terreno), ma viene bloccato nel suolo, per centinaia di anni. Infatti, il biochar ha una composizione chimica analoga a quella della grafite, dove sono presenti complesse strutture policicliche aromatiche coniugate, resistenti a tutte le forme di degradazione (chimica, fisica e biologica). Il sequestro della CO2 in forma solida, mediante il biochar, non presenta nessuna delle controindicazioni associate alle forme di cattura e stoccaggio della CO2 gassosa: non richiede complessi impianti chimici, non consuma energia (anzi, ne può produrre, mediante la combustione del syngas), non richiede elevate pressioni per pompare gas in

Il sequestro di CO2 solida Grazie al biochar

Numerosi progetti a partire dai fanghi di depurazione delle acque o degli scarti umidi di compostaggio profondità, non causa nessuna alterazione degli ecosistemi marini nè delle strutture geologiche profonde, e non presenta nessun problema di rilascio incontrollato. I VANTAGGI PER SUOLO E FALDE ACQUIFERE

Le moderne pratiche agricole hanno aumentato la produzione per ettaro, a spese però del contenuto di carbonio del terreno: oggi i suoli agrari italiani contengono poco più di 60 ton di carbonio per ettaro, mentre un secolo fa il contenuto era intorno a 130. Aggiungendo 700 kg di biochar all’anno per ogni ettaro, si eliminerebbero 45 milioni di ton di CO2 l’anno, più di quanto richiede il Protocollo di Kyoto, e ci vorrebbe un altro secolo per ripristinare la situazione precedente. Ma il vero vantaggio per l’agricoltura deriva dal miglioramento della produzione delle colture, dovuto all’aumento della fertilità del suolo, all’effetto di riscaldamento causato dal colore scuro, alla migliore ritenzione idrica ed alla presenza di nutrienti essenziali per piante, come calcio, fosforo e potassio. Un altro effetto positivo consiste nella diminuzione dell’acidità dei suoli: nel biochar sono presenti sostanze basiche, che contribuiscono ad una migliore fissazione dei nutrienti inorganici ed all’incremento della capacità di scambio cationico (CSC), che costituisce una valore indicativo della capacità del suolo di tratteContinua a pag. 55 Hi-Tech Ambiente

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SOS fanghi di depurazione I progetti Pyrochar e AVA Cleanphos

Trattamento pirolitico con il quale non solo si produce biochar e syngas, ma si riesce anche a recuperare il fosforo Lo smaltimento dei fanghi di depurazione delle acque reflue urbane è da sempre un problema, sia di tipo ambientale (cattivi odori) che economico. Le migliori pratiche oggi disponibili richiedono una serie di tecniche complesse e costose: ispessimento/essiccamento, digestione anaerobica, disidratazione del digestato, trattamento della frazione liquida, riscaldamento, incenerimento, compostaggio, impiego agricolo, trasporto e stoccaggio. Questo schema di trattamento non è adatto a piccoli impianti che producono meno di 200 ton/anno, a causa degli elevati costi di investimento e operativi: si va dai 60-80 euro/ton per lo smaltimento in discarica, fino a 100-200 euro/ton (a seconda del Paese) per l’incenerimento. Processi alternativi, come ossidazione umida o pirolisi/gassificazione, sono stati sviluppati in diversi impianti in Europa e nel mondo e sembrano promettenti, ma riguardano principalmente impianti di grandi dimensioni e presentano frequenti problemi tecnici e scarso successo industriale. Inoltre, tutti i processi

di trattamento e smaltimento dei fanghi di depurazione (con le uniche esclusioni del compostaggio e dell’impiego in agricoltura) rinunciano a recuperare i principali fertilizzanti che sono contenuti nei fanghi di depurazione, e in particolare il contenuto in composti del fosforo. Questi composti sono un componente essenziale della formulazione dei fertilizzanti e, attualmente, vengono ottenuti soprattutto a partire da giacimenti di rocce fosfatiche, che costituiscono una risorsa non rinnovabile; tanto che la legislazione tedesca prevede, in un prossimo futuro, il recupero obbligatorio dei composti di fosforo presenti nelle acque reflue. I processi oggi disponibili per il recupero del fosforo negli impianti di depurazione producono struvite, che è un fosfato di magnesio e ammonio a-

vente scarsa solubilità (e quindi adatto solo alla formulazione di fertilizzanti a lento rilascio); inoltre, richiedono l’aggiunta di sali di magnesio, che non sono normalmente presenti nei fanghi di depurazione. LA SOLUZIONE OTTIMALE

Il processo Pyrochar è stato sviluppato da un consorzio composto da piccole-medie imprese, università e centri di ricerca: si tratta di un processo per convertire mediante pirolisi i fanghi derivanti dagli impianti di depurazione in materiale carbonioso (biochar) e gas di sintesi (syngas). Esso presenta queste caratteristiche: - Elevata efficienza energetica. Per ridurre al minimo i consumi energetici, tutta l’energia contenuta nei fanghi viene recuperata e

utilizzata. Inizialmente, il gas di sintesi ottenuto dalla pirolisi viene bruciato in un motore a gas per ottenere calore e elettricità; successivamente, il calore in uscita dal motore viene riutilizzato per coprire una parte della richiesta dei gas caldi necessari per la disidratazione dei fanghi - Depurazione catalitica dei gas. L’impiego della tecnologia catalitica per la pulizia del gas di sintesi in uscita porta ad una maggiore purezza dei gas e migliora l’efficienza e la sostenibilità ambientale del processo, eliminando il catrame e producendo una maggiore quantità di gas - Flessibilità del sistema di controllo. La resa e l’efficienza energetica del sistema sono ottimizzate grazie a un sistema di controllo automatico che effettua il monitoraggio dei parametri chiave, oltre a migliorare la sostenibilità economica, limitando al minimo l’intervento umano - Produzione di carbone ad elevato valore ambientale. Impiegando i fanghi provenienti da piccoli imContinua a pag. 56

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Il sequestro di CO2 solida nere cationi in forma disponibile per le piante, minimizzando le perdite per dilavamento. Non solo quindi si ottiene l’aumento della fertilità, ma contemporaneamente si riduce l’inquinamento delle falde acquifere. Infine, grazie alle sue caratteristiche assorbenti, il biochar può contribuire alla riduzione di forme d’inquinamento diffuso, rimuovendo nitrati, metalli pesanti, pesticidi e composti organici, sia dai suoli che dalle acque. Fino a poco tempo fa il biochar non rientrava tra gli ammendanti per uso agricolo ammessi dalla legislazione italiana. La situazione è cambiata con la pubblicazione nella GU n.186/2015 del D.M. che modifica gli allegati 2,6 e 7 al D.Lgs n.75/2010; questo D.M inserisce tra gli ammendanti il “biochar da pirolisi o da gassificazione”, preparato mediante “processo di carbonizzazione di prodotti e residui di origine vegetale provenienti da agricoltura e silvicoltura, oltre che da sanse di oliva, vinacce, cruscami, noccioli e gusci di frutta, cascami non trattati della lavorazione del legno”. Sono definite tre classi di qualità, dalla più alta (con carbonio di origine biologica maggiore del 60%) alla più bassa (con carbonio tra 20 e 30%); il contenuto in ceneri è inversamente proporzionale a quello in carbonio biologico, in quanto deve essere minore del 10% per la classe a qualità più elevata, mentre può andare dal 40 al 60% per la classe a qualità più bassa. Per tutte le classi, la salinità deve essere meno di 1.000 mS/m, il pH compreso tra 4 e 12, e il rappor-

to tra idrogeno e carbonio uguale o inferiore a 0,7. PROGETTI E PROPOSTE INDUSTRIALI

Le caratteristiche e le prospettive di impiego del biochar sono oggetto di diversi progetti di ricerca, a seguito dei quali si stanno sviluppando anche iniziative al livello industriale. Tra i progetti finanziati dall’Unione Europea, interessanti da citiare anzitutto Eurochar, coordinato dal CNR. Il progetto, concluso nel 2013, aveva l’obiettivo di quantificare il contributo che l’opzione biochar poteva realisticamente dare alla riduzione delle emissioni di CO2 nel contesto europeo. Un altro progetto finanziato dall’UE e conclu-

sosi recentemente è denominato Pyrochar (Pyrolysis based process to convert small WWTP sewage sludge into useful biochar), specificamente focalizzato sulla trasformazione in biochar dei fanghi di depurazione delle acque, prodotti da impianti di piccola-media taglia (10.000 ab.eq. o meno). Al progetto hanno partecipato 5 industrie (tra cui la Hydro Italia) e 3 Enti di ricerca, provenienti da 7 Paesi diversi. Un progetto specificamente finalizzato alla trasformazione in biochar degli scarti umidi di compostaggio, mediante un trattamento di “carbonizzazione idrotermale” a 180-250 °C, 10-50 bar, è stato realizzato dalle Università di Trento e Bolzano. Si sono ottenute rese in biochar da 40 a 80%, ottenendo un prodotto

DAL BIOCHAR UN NUOVO FERTILIZZANTE E’ stato di recente messo a punto un nuovo fertilizzante, ottenuto a partire da compost, pollina, biochar e principi attivi vegetali. La formulazione ed il processo di produzione sono il risultato del progetto europeo Resafe. Il nuovo fertilizzante ha dimostrato di agire positivamente sulle colture, migliorando contemporaneamente le caratteristiche del terreno, del quale viene ripristinata la fertilità e migliorate le funzioni di filtrazione dell'acqua; al contrario dei fertilizzanti chimici, che aumentano le rese colturali a spese del contenuto organico del terreno.

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con caratteristiche conformi ai requisiti di legge, le cui caratteristiche agricole dovranno comunque essere valutate sul campo. Dal punto di vista industriale, è da citare la ditta svizzera Ava-CO2, che offre sul mercato europeo un prodotto denominato Ava-Biochar. All’altro capo del mondo, cioè in Australia, la società Pacific Pyrolysis gestisce nei pressi di Sidney un impianto dimostrativo, con capacità di 300 kg/ora di biomassa in entrata, dal quale di ottiene un prodotto denominato Agrichar, oltre a 20 kW di energia elettrica. In base all’esperienza ottenuta con questo impianto, la Pacific Pyrolysis offre di realizzare impianti su scala industriale, con capacità di 2 e 4 ton/ora in entrata.


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SOS fanghi di depurazione pianti municipali, che generalmente non hanno industrie connesse all’impianto di trattamento delle acque reflue, il biochar prodotto conterrà quantità limitate di metalli pesanti, tali da consentirne l’omologazione e l’impiego come ammendante in agricoltura, rispettando le direttive della UE. Il processo AVA Cleanphos completa il Pyrochar, consentendo di recuperare il fosforo in forma direttamente utilizzabili in agricoltura, oppure come intermedio chimico (acido fosforico). Infatti, il trattamento pirolitico trasforma i composti organici del fosforo in sali inorganici, che sono molto più facili da recuperare. LA TECNOLOGIA

I fanghi derivanti dagli impianti di trattamento delle acque vengono di solito disidratati in centrifuga, ottenendo un residuo formato grosso modo dall’80% di materia umida e dal 20% di materia secca. La tecnologia Pyrochar prevede un successivo essiccamento termico, per ottenere un materiale asciutto, che viene poi sottoposto ad un processo di pirolisi: a circa 210 °C e 22 bar di pressione, in assenza di ossigeno, i fanghi disidratati vengono “cotti” per un tempo da 2 a 4 ore. Circa il 50% di questi fanghi viene trasformato in un syngas, con un valore energetico di circa 17 MJ/kg, che viene bruciato per produrre vapore e fornire l’energia termica ed elettrica necessaria per l’essiccatore; mentre il rimanente 50% dei fanghi in ingresso subisce diverse trasformazioni (come idrolisi, carbonizzazione ed eliminazione di acqua) che lo trasformano in

“biochar”, cioè un materiale carbonioso assolutamente sterile e privo di molecole organiche, che può essere valorizzato come ammendante per il terreno, o utilizzato come combustibile solido (ad esempio, nei cementifici), in quanto presenta un valore energetico di circa 10-15 MJ/kg. Un elemento chiave per il successo della pirolisi è il catalizzatore, che promuove la decomposizione termica dei residui carboniosi (“peci”); nel quadro del progetto è stato sperimentato un nuovo catalizzatore che, rispetto allo standard commerciale, mostra una riduzione di circa il 45% nella produzione di peci, un incremento del 5% della frazione gassosa nei prodotti della pirolisi e, in particolare, un incremento nella resa di gas combustibili (CO, CH 4 e H2) nel syngas. La depurazione del syngas viene effettuata mediante: - un filtro basato su una candela ceramica commerciale, concepito per rimuovere il 99% delle particelle tra 1 e 10 micron, principalmente costituite da ceneri e carbone - un filtro catalitico (per rimuovere le peci), costruito in tre sezioni che possono essere riempite con il catalizzatore, con una piccola sezione trasversale che mantiene la

turbolenza del flusso - uno scambiatore di calore che, oltre a raffreddare il gas di sintesi fino a una temperatura accettabile per l’ingresso nell’unità di cogenerazione, rimuove anche le peci che non sono stati degradati dal filtro catalitico. In uscita dallo scambiatore, il syngas viene pompato con flusso costante, mantenendo la pressione all’uscita dell’unità di pirolisi leggermente al di sotto della pressione atmosferica, per evitare perdite di gas dall’unità di pirolisi, che potrebbero essere pericolose. Il biochar contiene i sali di fosforo e di azoto originariamente presenti nei fanghi; dopo separazione della parte solida mediante filtropresse, il biochar viene trattato con acidi (processo AVA Cleanphos), e dalla soluzione acida è possibile ricavare i composti del fosforo in forma adatta all’uso come fertilizzante (fosfato di calcio o fosfato di ammonio), oppure concentrare la soluzione mediante membrane e ottenere acido fosforico. La percentuale di recupero del fosforo, introducendo opportuni stadi di riciclo nel trattamento acido, può raggiungere l’80%. IL RECUPERO TERMICO

Per esaminare il bilancio energe-

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tico dell’intero processo è stato costruito un modello denominato Simulink, che esegue il monitoraggio di ciascuna unità del prototipo (essiccatore, unità di pirolisi, sistema di pulizia del gas e scambiatore di calore, gruppo di cogenerazione). Sono poi state introdotte nel prototipo due principali di strategie di ottimizzazione energetica. La prima consiste nell’attivazione a cascata del processo, in cui i sottosistemi sono inizializzati sequenzialmente all’inizio del processo Pyrochar e, successivamente, esclusi sequenzialmente quando il sistema segnala che i fanghi sono stati consumati. La seconda consiste nel mantenere i livelli appropriati di resa e un flusso continuo di gas tra l’unità di pirolisi e quella di cogenerazione, impiegando un sistema di sensori. LA DEPURAZIONE DEL SYNGAS

Le prove finali sul prototipo sono in corso, utilizzando un impianto pilota situato nel sito della AVA Green Chemistry Development, nella città tedesca di Karlsruhe; successivamente è prevista la realizzazione di un impianto dimostrativo.



2a parte

Obiettivo del progetto europeo “E4Water” è di perfezionare i processi industriali del settore chimico al fine di raggiungere una gestione economicamente e ecologicamente efficiente dei reflui mediante specifici trattamenti. RIUTILIZZO DELLE ACQUE E RECUPERO DI PRODOTTI

L’impianto belga della multinazionale chimica Procter & Gamble produce ampi volumi di reflui, caratterizzati da un’elevata percentuale di detergenti, derivanti dai lavaggi degli impianti tra i diversi cicli produttivi. Questi reflui presentano elevati valori di COD (15-50 g/l); talvolta sono trattai in situ (mediante trattamenti fisicochimici e/o ossidazione avanzata, o trattamenti biologici), altrimenti sono raccolti e inviati a trattamento esterno (ossidazione a umido o incenerimento con recupero energetico). In entrambi i casi, i reflui sono visti come rifiuti da trattare: vengono impiegati energia e agenti chimici per trasformare i reflui in acqua conforme ai limiti per lo scarico nell’ambiente, e in fanghi che vengono smaltiti come rifiuti, con costi significativi. Il progetto “E4Water” ha proposto un approccio alternativo, in

Chimica: meno acqua Risparmio idrico

Trattamenti di successo che hanno portato alla riduzione dei consumi idrici in questo settore produttivo cui i reflui sono considerati come un mix di acqua e prodotti, che possono essere in tutto o in parte recuperati. A tale scopo, il progetto ha individuato l’impiego di tecnologie a membrana, e in particolare, della nanofiltrazione con membrane tubolari. Il concentrato residuo da questo trattamento contiene un mix di surfattanti e altri materiali grezzi, e può essere riciclato in una varietà di utilizzi

(ad esempio tensioattivi per usi industriali). Le acque nanofiltrate sono trattate per raggiungere i requisiti legali per lo scarico nei corpi idrici oppure, nel migliore dei casi, per il recupero nel processo dopo una fase di raffinazione aggiuntiva. Il processo migliore dipende dal tipo di membrane scelte e di surfattante: la soluzione-tipo è combinare il trattamento MBR e quello con carboni attivi,

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ma anche i processi di ossidazione avanzata possono essere impiegati per il trattamento finale del permeato. Varie prove di laboratorio e su scala pilota sono state condotte presso diversi impianti della P&G per coprire tutte le tipologie di combinazioni di surfattanti (cationici, anionici, non ionici, ecc.). La sequenza di trattamento sviluppata su scala pilota comprende: nanofiltrazione su membrane tubolari; trattamento del concentrato mediante riscaldamento ohmico e pastorizzazione; trattamento dell’acqua depurata in reattore MBR, con ossidazione chimica avanzata come stadio finale. GESTIONE INTEGRATA DELLE ACQUE

Presso un impianto petrolchimico della Total, situato in Normandia, è stato sviluppato nel 2013 un innovativo sistema di gestione delle acque, basato sul riciclaggio e il recupero, con l’obiettivo di ridurre del 40% i prelievi di acqua da fonti esterne. Il sistema di gestione integrata si basa su tre punti: - ampliamento della linea di disoleazione dei reflui, che viene articolata in quattro fasi: ozonizzazione, biofiltrazione, ultrafiltrazione (UF) e osmosi inversa (RO) - trattamento delle acque di raffreddamento, effettuato con tre tecnologie: filtrazione su sabbia, disinfezione con raggi UV e ozonizzazione - trattamento dello spurgo delle acque di raffreddamento in due fasi: ultrafiltrazione e osmosi inversa Per quanto riguarda le acque di raffreddamento, la filtrazione su sabbia consente di portare i solidi sospesi totali al di sotto di 5 mg/l, rendendo possibile l’applicazione efficiente di tecniche di disinfezione basate su raggi UV o su ozono. I microorganismi presenti nelle acque di raffreddamento vengono effettivamente resi inattivi, in seguito all’applicazione di raggi UV a 350 mj/cmq o di ozono a un dosaggio di appena 0,5 mg/l. Il trattamento dello spurgo delle torri di raffreddamento è stato sviluppato impiegando tecniche su membrane su scala di laboratorio. L’applicazione diretta di ultrafiltrazione consente di portare il valore di SDI (indice di densità


del fango) a livelli inferiori a 2; l’ulteriore trattamento mediante osmosi inversa porta la qualità dell’acqua a livelli adeguati per l’impiego nelle torri di raffreddamento, aggiungendo un inibitore anti-incrostante. Il trattamento finale delle acque di scarico è stato ottimizzato abbinando l’ozono con la biofiltrazione; si ottiene una rimozione del COD fino al 70%, concentrazione in uscita dei PAHs al di sotto dei valori limite, oltre a una rimozione di BTEX e stirene rispettivamente del 99 e del 98%. Il permeato può essere recuperato e impiegato all’interno dell’impianto in aggiunta alle acque di raffreddamento. I test eseguiti sui flussi residui del trattamento di osmosi inversa mostrano che essi possono essere miscelati al 40% con le acque in ingresso, con successivo biotrattamento. Il sistema di gestione delle acque è stato alla fine così strutturato: - trattamento esteso dei reflui mediante ozonizzazione, biofiltrazione, UF e parziale RO, seguito da recupero di permeati da UF e RO nei circuiti di raffreddamento - trattamento delle acque di raffreddamento usando tecniche di filtrazione e ozonizzazione - gestione dei flussi da trattamenti di osmosi inversa. Ciò consente di ridurre i volumi di acqua fresca in ingresso agli impianti ed anche una drastica riduzione del volume dei reflui in uscita, con corrispondente riduzione di emissioni inquinanti quali COD, TSS e AOx. Inoltre, i residui effluenti salini possono essere gestiti in un impianto biologico e miscelati con l’acqua in ingresso. Il punto chiave per la piena im-

plementazione su scala industriale del recupero delle acque è la corretta gestione dei flussi residui del trattamento di osmosi inversa; per questo sono state sperimentate a livello di laboratorio diverse tecnologie, come il trattamento biologico con o senza ossidazione avanzata preliminare. La sperimentazione su un reattore MBR di piccole dimensioni ha mostrato che il biotrattamento dei flussi residui può essere efficace se eseguito in presenza di fonti di carbonio facilmente biodegradabile; il post trattamento mediante ossidazione avanzata può quindi essere usato per ottenere il raggiungimento dei valori limite necessari

per lo scarico. Ozonizzazione e elettro-ossidazione possono rimuovere il COD residuo del 50% e del 40%, impiegando rispettivamente 270 mgO3/l. e 700 Wh/mc. UTILIZZO A CICLO CHIUSO

Il Kalundborg Industrial Symbiosis è un ecosistema industriale situato in Danimarca, in cui i sottoprodotti di una azienda vengono impiegati come materia prima da un’altra azienda, in un ciclo chiuso. Si tratta di un esempio innovativo di trattamento simbiotico per i reflui organici provenienti da processi di fermentazione industriale, che ha l’obiettivo di creare

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un sistema di trattamento dei reflui industriali con le seguenti caratteristiche: massimizzare la rimozione dei nutrienti dai reflui mediante l’impiego di microalghe; definire il metodo migliore per la separazione della biomassa residua dall’acqua depurata; caratterizzare la composizione della biomassa per identificare gli elementi a maggior valore aggiunto; valutare le tecnologie di estrazione, e in particolare la bio-estrazione, in un sistema simbiotico di trattamento dei reflui industriali. I reflui adatti per la produzione di microalghe sono stati selezionati Continua a pag. 60


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croalghe è stata ritenuta sufficiente per essere utilizzata come acqua di ingresso all’impianto locale di depurazione dell’acqua per usi industriali. La biomassa costituita da microalghe viene coltivata per ottenere valore aggiunto dalla depurazione delle acque: l’alga Nannochloropsis salina ha portato a una produzione del 40% di lipidi, costituiti fino al 47% da acidi grassi omega3 a catena lunga. Rese ancora più alte in proteine sono state ottenute con Chlorella pyrenoidosa e Chlorella vulgaris. Le prospettive per il futuro puntano al possibile sfruttamento commerciale delle acque reflue industriali e della CO 2 nell’ambito della produzione di biomasse e la creazione di nuove produzioni industriali ad alto valore aggiunto basate sull’impiego di acqua e microalghe.

Chimica: meno acqua e l’impianto è entrato in funzione nell’ottobre 2013. I primi test sulla produzione di biomassa e la rimozione di nutrienti sono stati eseguiti in un fotobioreattore su larga scala (4.000 litri) combinato con test iniziali sul pretrattamento delle acque di processo (sterilizzazione meccanica) e post trattamento della biomassa algale prodotta (disidratazione, raccolta). Sono stati stabiliti protocolli analitici per la composizione biochimica della biomassa algale e sono state eseguite analisi chimiche sulle acque di processo prima e dopo il trattamento e sulla biomassa prodotta, al fine di identificare il potenziale nella rimozione dei nutrienti e la qualità della biomassa. Sulla base della composizione chimica e dei nutrienti è stato identificato 1 milione di mc/anno di acqua proveniente dal locale impianto di trattamento dei reflui della Novozymes. La microfiltrazione si è rivelata un sistema valido ed economico per convertire l’acqua di processo in un mezzo di coltura quasi sterile, senza effetti di inibizione di luce all’interno dell’intervallo fotosintetico attivo (400-700 nm). Per quanto riguarda il riutilizzo delle acque, la qualità dell’acqua proveniente dai processi con mi-

SCARICO ZERO DALLE TORRI DI RAFFREDDAMENTO

Presso lo Stanton Energy Center di Orlando (Florida, Usa) le torri di raffreddamento di quattro generatori di energia elettrica (due a carbone e due a ciclo combinato) scaricano le acque in una vasca comune, che alimenta il sistema (ZLD) Zero Liquid Discharge. Questo sistema impiega quattro concentratori di soluzione salina e quattro cristallizzatori per trattare le acque di spurgo delle torri di raffreddamento. La tecnologia di evaporazione consente di ottenere acqua distillata di elevata purezza da ampi volumi di reflui (9598%), che può essere usata in molti processi industriali, ad esempio in aggiunta alle acque di raffreddamento in ingresso alle torri. I cristallizzatori a circolazione forzata sono alimentati con vapore e impiegati per ridurre la soluzione salina in uscita dagli evaporatori in solidi secchi, che vengono smaltiti in discarica. In questo modo, gli spurghi delle torri di raffreddamento vengono recuperati e destinati nuovamente ad alimentare le torri, invece che essere destinati a trattamento o smaltiti nell’ambiente. Il sistema ZLD può essere modulato in base alle esigenze dell’impianto (dimensioni, portata) e tratta circa 7,7 mc/min di acque di spurgo, limitando quindi il consumo delle risorse idriche locali. Hi-Tech Ambiente

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a cura di ASSITA

Cattura di CO2 a basso costo con la calce

La reazione della calce con la CO2 atmosferica è nota da tempo, ed è alla base del processo di indurimento delle malte a base di calce, usate fin dall’antichità per tenere uniti i mattoni. Questa reazione può essere sfruttata per catturare la CO2 dai gas di combustione, a un costo di circa metà rispetto agli attuali processi basati sull’assorbimento con etanolammine. Il processo è stato messo a punto dall’Istituto di Ricerca sulle Tecnologie Industriali (ITRI) di Taiwan ed è stato recentemente applicato su scala industriale in un cementificio, dove viene catturata 1 ton di CO2 ogni ora, con una efficienza del 90% e un costo intorno a 30 $/ton. I fumi contenenti CO2 vengono fatti passare in un reattore a letto fluidizzato, dove vengono a contatto con particelle di calce viva (ossido di calcio), a 600650 °C di temperatura; in queste condizioni la CO2 reagisce con la calce formando carbonato di calcio. La reazione è fortemente esotermica; l’energia termica viene recuperata e utilizzata per il preriscaldamento del forno di calcinazione, dove il carbonato di calcio viene fatto decomporre a 800 °C, ottenendo CO2 e rigenerando la calce. La CO2 ottenuta in forma concentrata viene raffreddata e compressa, per essere poi utilizzata per far crescere microalghe in appositi fotobioreattori, oppure per lo sfruttamento spinto di pozzi petroliferi in via di esaurimento. Il processo non produce rifiuti, perché la calce viene continuamente riformata e rimessa in ci-

clo; le particelle troppo fini, che non si prestano più ad essere ricircolate, vengono utilizzate nella produzione del cemento. Un processo analogo è stato presentato due anni fa dall’Università Tecnica di Darmstadt (Germania).

Biocarburanti da alghe a crescita rapida L’Ente di ricerca giapponese NEDO (New Energy and Industries Develpment Organization) insieme all’Università di Kobe, alla IHI ed al Neo-Morgan Laboratory, lavoravano fin dal 2013 ad un progetto per lo sviluppo di biocarburanti da biomasse; nel quadro di questo progetto era stata identificata un’alga (Botryococcus braunii) che ha la caratteristica di accumulare nelle sue cellule fino all’86% di idrocarburi a catena lunga, dai quali si può facilmente ottenere jet fuel mediante il processo di hydrocracking. Questa alga aveva però il problema di una crescita troppo lenta; ma il team di ricerca dell’Università di Kobe è riuscito ad isolare un ceppo della stessa alga che ha una velocità di crescita mille volte superiore. Il ceppo è stato successivamente perfezionato, ottenendo anche alghe di maggiori dimensioni, con migliore galleggiamento e quindi più fa-

cili da separare. Attualmente, è stata completata la costruzione di un bacino di 1.500 mq, nel quale varranno fatte crescere le alghe; parallelamente verrà messo a punto il processo di estrazione della frazione oleosa, puntando ad abbassare i costi e ad ottenere una produzione stabile su scala industriale.

Nuovo catalizzatore per l’utilizzo delle biomasse

attività, con un semplice processo di calcinazione, che elimina i residui di composti organici. Oltre al tetraidrofurano (che è un solvente come molti impieghi, ed un materiale di partenza per la produzione di resine polietere) il nuovo sistema catalitico può essere vantaggiosamente utilizzato per ottenere alcoli e dioli di interesse industriale, mediante idrogenolisi di alcoli derivanti dagli zuccheri, come glicerina, xilitolo, eritrolo e sorbitolo.

Trattare i reflui suinicoli senza emissioni nitrose

Il tetraidrofurano e altri composti chimici di interesse industriale potrebbero essere vantaggiosamente ricavati dalle biomasse (anziché dal petrolio) grazie ad un nuovo sistema catalitico sviluppato da ricercatori giapponesi della Tohoku University, in collaborazione con la Daicel. Il nuovo sistema impiega il renio come principale metallo attivo, insieme al palladio come promotore, ed il tutto su un supporto di ossido di cerio. In esperimenti di laboratorio, è stato inizialmente prodotto 1.4anidroeritriolo, per fermentazione e disidratazione dello zucchero; questo composto è stato successivamente sottoposto a idrogenolisi in diossano come solvente, a 140-180 °C con idrogeno sotto pressione. La reazione ha prodotto tetraidrofurano con resa di oltre il 99%, con velocità di reazione di circa 10 volte rispetto ad analoghi sistemi che impiegano catalizzatori al renio non supportati. Il nuovo catalizzatore viene facilmente recuperato per filtrazione, e può essere rigenerato e riutilizzato, senza perdere la sua

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Il trattamento dei reflui da allevamenti di suini comporta l’emissione in atmosfera di ossido nitroso (N2O), che è un potente gas serra, e di ammoniaca, che, oltre ad essere nociva e maleodorante, si trasforma anch’essa successivamente in ossidi di azoto per opera degli agenti atmosferici. Questo problema potrebbe essere risolto grazie ad un nuovo tipo di bioreattore aerobico, nel quale i microorganismi sono supportati da fibre di carbonio, disposte orizzontalmente. Confrontando un reattore di questo tipo in scala di laboratorio con uno avente la tradizionale configurazione a fanghi attivi, si è osservata una riduzione del 90% nelle emissioni di N2O. Dopo un iniziale periodo di acclimatazione della durata di 72 giorni, il nuovo bioreattore si è dimostrato capace di rimuovere il 96% del BOD in ingresso, il


94% dei solidi sospesi, il 93% del carbonio organico totale (TOC) e il 90% dell’azoto totale; quest’ultimo è stato trasformato per oltre il 90% in azoto ammoniacale e per la restante parte in azoto nitrico, con emissioni di N2O di 42 CO2 eq./mc al giorno, contro 725 dell’impianto a fanghi attivi. Il nuovo bioreattore è stato sviluppato nei laboratori dell’Istituto giapponese per le ricerche sul cibo e l’agricoltura (NARO); sono in corso esperimenti su un reattore pilota di maggiori dimensioni, in modo da ottimizzare le condizioni per un prototipo in piena scala.

Forno solare per il magnesio Il magnesio è un elemento metallico sempre più richiesto per la formulazione di leghe leggere, soprattutto importanti nel settore dei trasporti perché consentono di ridurre notevolmente il peso dei componenti strutturali, riducendo così i consumi di carburante e in genere di energia Attualmente, il magnesio metallico viene ottenuto per riduzione ad alta temperatura dell’ossido di magnesio, con processi discontinui che hanno scarsa efficienza energetica; la società americana Harper International, in collaborazione con l’Università del Colorado e utilizzando un finanziamento dell’Agenzia per i Progetti Avanzati del Dipartimento dell’Energia Usa (ARPA-E), ha ora sviluppato uno speciale reattore ibrido, che dovrebbe consentire di ridurre il processo in modo continuo, utilizzando sia energia solare termica che energia elettrica convenzionale di rete. A questo scopo il reattore è dotato di un particolare meccanismo, che consentirà di utilizzare l’energia solare di giorno, pas-

sando al riscaldamento elettrico di notte o in condizioni di bassa insolazione. Il forno ibrido utilizza materiali resistenti alle alte temperature (oltre 1.000 °C); entro la camera del forno l’ossido di magnesio viene ridotto con carbone, producendo magnesio metallico allo stato di vapore ed ossido di carbonio. Il vapore di magnesio viene aspirato da un sistema a vuoto e fatto condensare in una zona fredda, dove si deposita in forma di polvere cristallina; l’ossido di carbonio può essere bruciato per ottenere energia termica, o utilizzato in altri processi di riduzione chimica.

Rimozione dei solidi sospesi per flottazione elettrolitica

La società americana Origin Oil propone un processo di flottazione con efficienza potenziata rispetto alla DAF (Dissolved Air Flotation); il processo si basa su un catodo cilindrico perforato, all’interno del quale si trova un anodo in forma di barra verticale. I due elettrodi sono molto vicini, per cui è possibile ottenere un’elevata densità di corrente anche con un basso voltaggio. Applicando una corrente elettrica al sistema, mentre in esso fluisce il refluo da depurare, si produce l’elettrolisi dell’acqua, con formazione di microbolle di ossigeno e di idrogeno: queste bolle aderiscono ai contaminanti e li trascinano verso la superficie del liquido, da dove possono essere aspirati o raschiati. Secondo la Origin Oil, le microbolle sono molto più efficaci delle bolle prodotte dai tradizionali sistemi ad aria disciolta; un altro vantaggio è la possibilità di posizionare numerosi elettrodi al fondo del serbatoio, ottenendo così un effetto diffuso su tutta l’area. I vantaggi citati si tradurrebbero in un’efficienza di estrazione dei contaminanti supe-

riore del 54% rispetto ai sistemi classici. Il sistema è stato collaudato sul campo in aree di estrazione di petrolio e gas naturale, ed è disponibile su licenza per la commercializzazione.

Ecoproduzione di componenti per i poliuretani Le resine poliuretaniche sono largamente utilizzate nella produzione di adesivi, rivestimenti similpelle e schiume, sia morbide che rigide, per imbottiture ed isolamenti termici e acustici. La loro produzione si basa sulla reazione tra due componenti: un isocianato (di solito il TDI, toluen-di-isocianato, che a sua volta viene prodotto a partire dal 2,4 diamminotoluene); e un poliolo, cioè un composto contenente più gruppi idrossilici (-OH). Attualmente, questi componenti vengono prodotti a partire da materie prime di origine petrolchimica; ma grazie a ricerche condotte negli Stati Uniti, in Giappone e in Germania, sarà presto possibile produrre entrambi i componenti in modo più “ecologico”, utilizzando la CO2 oppure le biomasse. In Giappone, i ricercatori del Centro Interdisciplinare di Chimica dei Catalizzatori (dipartimento dell’Istituto di Scienze e Tecnologie Industriali Avanzate di Tsukuba) hanno messo a punto un processo per la produzione di isocianati a partire da diammine, senza utilizzare fosgene (che è un gas estremamente pericoloso e nocivo), facendo avvenire la reazione con CO2 sotto pressione in presenza di composti organometallici di stagno. Negli Usa, la società Novomer ha prodotto il polipropilen-carbonato-poliolo (PPC) facendo reagire la CO2 con ossido di propilene su uno speciale catalizzatore a base di cobalto; nel processo viene utilizzata la CO2 proveniente da processi di fermentazione alcolica o da centrali termoelettriche. Il PPC prodotto con questo processo viene attualmente utilizzato dalla ditta tedesca Jowat per la produzione di adesivi resistenti all’acqua ed agli agenti chimici; il processo era già stato collaudato su scala pilota nel 2013, ma la crescente richiesta di PPC ha spinto la Novomer a costruire un im-

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pianto in piena scala, con capacità produttiva di migliaia di ton/anno. In Germania infine, la Bayer Material Science propone di sostituire, almeno nelle applicazioni relative a rivestimenti e adesivi, il TDI con il PDI (pentametilen-di-isocianato) che può essere prodotto utilizzando per il 70% materie prime rinnovabili (biomasse). La Bayer ha già prodotto quantità sperimentali di prodotti formulati con PDI e il prossimo anno prevede di iniziare a produrne 20.000 ton/anno, utilizzando impianti già esistenti, che verranno convertiti alle nuove produzioni mediante una tecnologia in fase gas, altamente efficiente dal punto di vista dei consumi energetici.

Filtro autopulente a basso consumo Anzichè ricorre a cicli di pulizia intermittenti, il nuovo filtro autopulente della ditta americana Spiral Water Technologies è dotato di un sistema continuo costituito da una spazzola a spirale azionata da un motore elettrico. La spazzola ruota intorno all’asse verticale del filtro, spingendo verso il basso i detriti che via via si accumulano. Il nuovo filtro richiede appena il 10% di energia rispetto ai filtri convenzionali, ed evita di ricorrere a pompe di pressurizzazione e a cicli di controlavaggio. È possibile trattare acqua contenente fino a 25 g/litro di solidi sospesi totali, anche in presenza di oli e grassi. Attualmente i filtri disponibili da parte della Spiral Water hanno reti con aperture da 15 a 50 micron, ma presto saranno disponibili anche reti da 10 micron. I filtri sono di tipo modulare, e possono essere montati in parallelo fino al raggiungimento della capacità di trattamento richiesta. Tali filtri risultano ideali per il trattamento delle acque per uso industriale e dei reflui.


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AMBIENTE LE AZIENDE CITATE

Acque Industriali Srl Tel 050.843557 Fax 050.843554 E-mail info@acqueindustriali.net Ava-CO2 Schweiz AG Tel +41.41.7270970 Fax +41.41.7270979 E-mail contact@ava-co2.com AVA Green Chemistry Development GmbH Tel +49.721.9145081 E-mail contact@ava-co2.com Bio Eco Active Srl Tel 051.916667 E-mail info@bioecoactive.it BIOWALK4BIOFUELS project Tel 06.44585781 E-mail silvano.simoni@uniroma1.it CAF-Cooperativa Autotrasportatori Fiorentini Scarl Tel 055 30431 Fax 055 374057 E-mail info@gruppocaf.com

MECCANORICICLO project Tel 0432.558803 Fax 0422.574554 E-mail paolo.matteazzi@uniud.it

Pacific Pyrolysis Pty Ltd Tel +61.2.43404911 Fax +61.2.43404878 E-mail info@pacificpyrolysis.com PerkinElmer Italia Spa Tel 02.36012500 E-mail luca.piatti@perkinelmer.com

CleanRobotics E-mail Vaish@cleanrobotics.com ELECTRO HOSPITAL project Tel +34.972.183415 Fax +34.972.183248 E-mail jradjenovic@icra.cat

PYROCHAR project Tel +33.3.44864420 Fax +33.3.44862786 E-mail olivier.lepez@etia.fr

EUROCHAR project Tel 055.3033711 Fax 055.308910 E-mail s.baronti@ibimet.cnr.it

PYROCHAR project Tel +33.44.864420 E-mail olivier.lepez@etia.fr

SECTOR project Tel +49.341.2434435 Fax +49.341.2434111 E-mail daniela.thraen@dbfz.de SET project Tel 051.6098322 Fax 051.6098084 E-mail piero.desabbata@enea.it Spiral Water Technologies Inc. E-mail info@spiralwater.com T. & C. Analyzers Tel 070.522896 E-mail info@tec-analyzers.com TQ Technologies for Quality Srl Tel 010.4070991 E-mail info@tqsrl.com Università di Firenze - Dip. Chimica Tel 055.4573459 Fax 055.4574913 E-mail marco.frediani@unifi.it

Raecycle Scrl Tel 02.47950790 Fax 02.45503700 E-mail info@raecycle.it

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RESAFE project Tel 0546.678511 Fax 0546.678503 E-mail alice.dallara@enea.it RobotroniX Srl Tel/Fax 099.374448 E-mail fabio.daniello@robotronix.it

NCR Biochemical Spa Tel 051.6869611 Fax 051.6869617 E-mail info@ncr-biochemical.it

Polieco Tel 06.6896368 Fax 06.68809427 E-mail info@polieco.it

Italdenim Spa Tel 02.92279800 E-mail italdenim@italdenim.com

REMEB project Tel +34.964.255063 E-mail info@remeb-h2020.com

LIFETAN project Tel 0546.678550 Fax 0546.678501 E-mail alice.dallara@enea.it

ZenRobotics Ltd. Tel +358.45.2596161 Fax +358.10.2960311 E-mail info@zenrobotics.com

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