KETOS/N.4/FEBBRAIO 2019

Page 1

K ETOS

N. 4/ Febbraio 2019

JDC MAGAZINE


2


3


In questo numero SCIENZA

6

RACCONTI DEL DNA Una storia scritta nelle pagine di tutte le cellule

NATURA

12

COME E’ PROFONDO IL MARE

Alla scoperta delle oasi nel deserto

CURIOSITÀ

16

CREATURE

VAGABONDE

RUBRICA

JDC NEWS

24 25 4

20

10 COSE DA SAPERE SU… I cambiamenti climatici

UNA FINESTRA

SUL MARE Il futuro di Palazzo Amati

BENTORNATI A SCUOLA

SPAZIO APERTO

28 29

LA POSTA DEI LETTORI FOTO RACCONTACI


A cura di: Carmelo Fanizza Presidente e Fondatore JDC

Vittorio Pollazzon Responsabile Team e Autore Stefano Bellomo Responsabile Team e Autore Francesca C. Santacesaria Redattore e Autore Aldo Rizzo Autore Pasquale Bondanese Autore Roberto Crugliano Autore Alessandro Console

Grafico Elena Montrasio Traduttore

5


Una storia scritta nelle pagine di tutte le cellule. Ecco come il DNA ci rivela quello che è invisibile agli occhi.

6


SCIENZA

7


Conoscere e studiare i delfini ci aiuta a capire quali siano le strategie migliori per tutelarli. Per questo durante ciascun avvistamento cerchiamo di cogliere più informazioni possibili. Facciamo una stima del numero di individui; osserviamo la presenza di cuccioli, giovani o adulti; determiniamo il tipo di comportamento; facciamo attenzione a casi particolari (pinne tagliate, segni sulla pelle ecc.) ed in alcuni casi ci impegniamo a riconoscerli. Ma ci sono domande a cui, con la semplice osservazione, non riusciamo a trovare risposte.

Da dove vengono? Si tratta di un individuo maschio o femmina? Sono imparentati? Quale è la loro storia? A rispondere a queste domande ci pensa il DNA. Un patrimonio di informazioni che caratterizzano il singolo individuo e la sua specie. Il DNA è costituito da una successione di nucleotidi, le lettere che compongono il suo alfabeto A, G, T, C. Queste, combinandosi, creano migliaia di parole, i geni, la cui lettura porta a quello che è presente in ogni singola cellula, tessuto, organo.

Una risorsa che con le sue parole ci racconta innumerevoli storie. I campioni di DNA vengono raccolti con metodi non invasivi, non immaginatevi prelievi di sangue o cose simili! Semplicemente si tampona la pelle che sta mutando (i delfini cambiano la pelle ogni due ore) quasi come se si stesse facendo uno scrub. 8

Grazie alle nuove tecnologie, bastano piccole quantità per scoprire tutto quello che è “invisibile agli occhi”. Le analisi del DNA hanno rivoluzionato e facilitato la ricerca nel capo della biologia. Immaginate, ad esempio, che un’informazione semplice, come può essere quella relativa al sesso dell’individuo, è estremamente difficile da ottenere solo osservando l’animale. La maggior parte delle specie di cetacei non presenta grandi differenze tra il maschio e la femmina e per determinarne il sesso è necessario contare il numero di fessure presenti sulla pancia. La femmina ne presenta quattro (fessura genitale,


SCIENZA anale e le mammelle) mentre il maschio solo due. Fidatevi l’impresa non è per niente semplice! Per ottenere un dato simile dovrebbero girarsi di pancia all’aria per un tempo abbastanza lungo da permettervi di osservare attentamente le fessure. Beh, la maggior parte delle volte è questione di secondi. Analizzando il DNA, invece, basterebbe cercare il gene SRY caratteristico del cromosoma Y e presente solo negli individui di sesso maschile. Perché è cosi importante ottenere questa informazione?

Conoscendo il sesso siamo in grado di determinare la struttura sociale del gruppo, le strategie di accoppiamento e i tassi di dispersione sesso-specifici.

Maschio o femmina?

Quanti anni hai? Provate a pensare, poi, ad informazioni più complicate come la determinazione dell’età di un individuo. Certo, si possono fare delle approssimazioni in base alla taglia: un individuo di delfino comune, ad esempio, più lungo di 1.75m è considerato adulto ma niente ci darà la certezza di quanti anni abbia e lui di certo non ci risponderà alla domanda. In passato per determinare l’età degli odontoceti venivano utilizzati i denti. In particolare, una volta estratti, si contavano gli strati di dentina presenti (come si fa per gli anelli di un albero). Ovviamente questo metodo era molto invasivo e richiedeva sforzi elevatissimi ma per fortuna si è trovata la risposta nel DNA. Uno dei metodi utilizzati si basa sulla lunghezza dei telomeri. Questi sono delle sequenze di DNA altamente ripetute presenti alla fine dei cromosomi e servono per proteggere e conservare l’informazione contenuta nel cromosoma stesso. Con l’avanzare dell’età, nei cetacei come negli uomini, i telomeri si accorciano e così la loro lunghezza diventa indicativa della loro 9


Da dove vieni?

età. Ancora una volta, da un’informazione di base arriviamo a capire altri dati importanti come lo stato attuale della popolazione.

Ma non è tutto qui. Studiando il DNA possiamo ricostruire una carta d’identità dell’animale: riconoscerlo grazie alla sua caratteristica “impronta” genetica, scoprire i legami parentali, studiarne la provenienza e le migrazioni. Un bel racconto arriva proprio da studi fatti sulle stenelle e sui tursiopi presenti nel Golfo di Taranto. Dai dati raccolti durante gli avvistamenti si era ipotizzato che questi animali fossero stanziali, ovvero vivessero sempre nella nostra area. Il DNA non solo ha confermato questa ipotesi ma addirittura ci ha mostrato la presenza di aplotipi caratteristici della popolazione. È come se nelle frasi scritte nel DNA ci fossero parole con l’accento tipico tarantino che non ritroviamo in animali di altre zone! Cosa significa? Probabilmente che in atto c’è un processo di speciazione: i nostri delfini si stanno lentamente differenziando (ci vorranno milioni di

10

anni) dagli altri individui della stessa specie presenti nel mediterraneo come conseguenza di una mancata interazione e scambio di patrimonio genetico. Queste sono tutte informazioni che ci portano a capire tanto altro e ci permettono di sviluppare piani per la tutela e conservazione dei cetacei.

Alla fine, una delle storie più belle che ci racconta il DNA è quella che ci fa fare un balzo indietro di milioni di anni e ci fa ricostruire la loro evoluzione. Una storia “iniziata” 50 milioni di anni fa, quando, il Pakicetus, un animale a quattro zampe dotate di zoccoli, peloso e con le orecchie, si spinse verso l’acqua per proteggersi dai predatori e cercare cibo. Da qui si è evoluto adattandosi sempre più alla vita nell’ambiente marino: niente più zampe posteriori, quelle anteriori trasformate in pinne pettorali; il blubber al posto del pelo per mantenere costante la temperatura corporea; niente più orecchio esterno; la vista che si adatta all’acqua; il corpo che diventa più affusolato e la comparsa della pinna dorsale e quella


SCIENZA

caudale. Milioni di anni per arrivare alla forma che conosciamo oggi.

Ed ancora, il DNA ci sorprende dimostrando come le tre classi di mammiferi marini (cetacei, pinnipedi e sirenidi) si siano evolute indipendentemente l’una dall’altra ma adottando le stesse strategie per sopravvivere nell’ambiente

marino. Si parla di evoluzione convergente: lo sviluppo in organismi geneticamente distanti di strutture simili in risposta ad uno stesso stimolo ambientale. Ed è così che in queste tre diverse classi troviamo i medesimi geni per la formazione delle ossa, del tessuto muscolare cardiaco e della coagulazione del sangue. E come se non bastasse le analisi del DNA ci svelano parentele del tutto inaspettate. Delfini ed ippopotami sono lontani cugini. L’avreste mai detto? Di storie il DNA ne avrebbe da raccontare ancora molte e noi non vediamo l’ora di scoprirle! Francesca Santacesaria 11


Come è profondo il mare...

12


NATURA

Alla scoperta delle oasi nel deserto I cetacei nell’ecosistema marino svolgo un ruolo fondamentale durante tutta la loro vita e non solo. Immergendoci nelle profondità del mare scopriamo quello che succede ai loro corpi privi di vita. Milioni di specie si alternano intorno alla carcassa della balena per gustare il più ricco dei banchetti.

Un corpo pesante tonnellate, ricco di sostanze nutrienti, abbandonato in mare…ed ecco il pranzo è servito! I primi sospetti che le carcasse dei cetacei potessero ospitare comunità animali specializzate risalgono al 1854, quando uno zoologo descrisse una nuova specie di piccoli mitili estratti da un pezzo di grasso di balena che galleggiava al largo del Capo di Buona Speranza. Ed ancora, nel 1985, fu descritta una minuscola specie di patella ritrovata tra le ossa di una carcassa di balena. Queste furono battezzate Osteopelta per via della loro associazione con le ossa. Ma fu solo nel 1987, con gli studi di Craig Smith, oceanografo dell’Università delle Hawaii a Manoa, che la presenza di veri e propri ecosistemi intorno alle carcasse e loro l’importanza divennero chiare. In quegli anni Smith

con il suo team di oceanografi, effettuò una serie di immersioni per mappare i fondali sterili e poveri di nutrienti del bacino di Santa Catalina, al largo della California meridionale. Durante l’ultima di queste immersioni il sonar del loro sottomarino rilevò la presenza di un grosso oggetto. Dalle registrazioni video risulto essere una carcassa appartenuta probabilmente ad una balenottera azzurra inabissatisi fino a 1240 metri di profondità. L’animale era morto da anni, ma le sue ossa e l’acqua che le circondava brulicavano di vita: vermi, piccoli bivalvi, lumache, patelle e chiazze bianche di colonie microbiche.

Quel cadavere era un’oasi rigogliosa in mezzo a un vasto deserto senza vita. Questo lavoro ha permesso di identificare 400 diverse specie prima sconosciute alla scienza, documentando la presenza di decine di comunità marine alimentate dalle carcasse affondate dei cetacei. 13


Come funziona? Stadi dell’ecosistema:

1

Fase dei saprofagi

Durante il primo stadio, che dura circa 2 anni dall’affondamento, oltre il 90% dei tessuti molli della carcassa vengono aggrediti da organismi necrofagi, da squali e altri pesci. Tra i necrofagi ricordiamo specie l’Eptatretus deani, noto come “Pescatrice nera” o il Somniosus pacificus,

2

squalo che raggiunge dimensioni di 3.5 metri.

Fase degli opportunisti

Gli organismi “opportunisti” colonizzano le ossa e i sedimenti circostanti contaminati di materia organica. Questa seconda fase può richiedere fino a due anni. Le ossa della carcassa sono colonizzate da comunità di piccoli gasteropodi, bivalvi e da policheti.

3

Successivamente lo scheletro viene attaccato da microrganismi che decompongono anaerobicamente i lipidi presenti all’interno delle ossa producendo come sostanza di scarto acido solforico (H2S)

Fase dei solfofili L’H2S viene usato dai batteri chemioautotrofi come fonte di energia. Questi vivono in stretta simbiosi con vermi policheti del genere Osedax. I

policheti gli assicurano le condizioni fisiologiche per la vita, in cambio i batteri producono degli acidi che permettono ai vermi di nutrirsi delle proteine contenute nelle ossa. Le comunità di batteri eterotrofi e chemioautotrofi diventeranno a loro volta nutrimento per altre specie. Questa fase può durare anche fino a 100 anni, vista l’enorme quantità di lipidi presenti nelle ossa delle balene.

14


NATURA Nel 1989, uno studio stimò che sul fondo dell’oceano giacevano circa 690.000 carcasse delle 9 più grandi specie di balena, che ospitavano interi ecosistemi sommersi. Non dobbiamo stupirci che tutto questo avvenga. Impensabile sarebbe immaginare che tutta l’energia contenuta nelle tonnellate di tessuti delle balene andasse persa. Infatti, come ci ricorda Antonie Lavoisier (chimico, biologo, filosofo ed economista francese) in natura:

“Nulla si crea, nulla si distrugge, ma tutto si trasforma” Questa è la legge di conservazione della massa, postulato fondamentale della fisica meccanica, in cui si afferma che in una reazione chimica la massa complessiva dei reagenti è uguale a quella complessiva dei prodotti finali. Un'altra legge altrettanto fondamentale afferma che:

“Sotto determinate condizioni delle forze agenti (ad esempio l’assenza di attrito) la somma dell’energia cinetica e di quella potenziale è costante” In altre parole, l’energia può trasformarsi attraverso il lavoro svolto, ma non può comparire o scomparire dal nulla. Questa è la legge di conservazione dell’energia ed è stata enunciata per la prima volta, intorno alla seconda metà del 1600, da Gottfried Leibniz, uno scienziato, matematico e filosofo tedesco. Queste due leggi sono la base di

partenza per tutto il mondo inorganico, dei minerali, e del complesso mondo organico dei viventi. Esse ci permettono di comprendere i cicli biogeochimici della materia e il trasferimento di energia che ne deriva, di comprendere i delicati equilibri che tengono in piedi le interazioni del comparto biotico, di stilare reti trofiche, e di capire il funzionamento di molti ecosistemi, per proteggerli. Roberto Crugliano

Fonti: Biologia Marina – Roberto Danovaro La seconda vita delle balene – Crispin T.S. Little 15


Quanti di voi dopo aver visto alcuni documentari sulle balene o il film “Happy Feet� si sono lasciati incuriosire da quei piccoli esserini arancioni formanti nubi sottomarine di proporzioni gigantesche?

Quanti sono rimasti affascinati sentendo parlare di krill o plancton?

16


CURIOSITÀ

Spesso a bordo, nelle fasi precedenti l’avvistamento, spieghiamo il funzionamento della rete trofica e della risalita di nutrienti dalle profondità marine. Raccontiamo di questi microscopici krill di cui si nutrono le balene e che sono solo alcune tra le più assurde forme di vita appartenenti al plancton.

Fonte di cibo e fonte primaria d’ossigeno, il plancton sorregge l’intera vita sul pianeta terra ed è per questo che è necessario conoscere meglio questi organismi. Il termine viene dal greco planktòs “andar errando” ed intende spiegare il passivo vagabondare negli oceani di queste creature che si lasciano trasportare dalla corrente. Stiamo raccontando di forme di vita incapaci di muoversi contro le correnti marine, creature apparentemente sprovviste di una direzione o di uno scopo. Per queste caratteristiche li distinguiamo dal necton, organismi dotati di nuoto attivo, e dal benthos, organismi che vivono sui fondali sabbiosi o rocciosi. È fondamentale sottolineare che quando parliamo di plancton non parliamo solo di animali ma anche di piante. Il fitoplancton e lo zooplancton sono rispettivamente alghe unicellulari ed organismi animali semplici o giovani. 17


Le alghe effettuano la fotosintesi producendo i 2/3 dell’ossigeno presente sul pianeta e rappresentano la sostanza organica vegetale di cui si nutre lo zooplancton erbivoro, a sua volta preda di quello carnivoro. Ovviamente la catena alimentare non si ferma a loro, questi ultimi sono preda di altri predatori più grandi in una serie continua che può partire dai piccoli copepodi, piccoli crostacei, ed arrivare ai giganti del mare, le balene. Le dimensioni di queste forme viventi variano dai pochi micron delle alghe unicellulari e dei protozoi fino ad arrivare a grandezze superiori al metro osservate in meduse come la Nemopilema nomurai. Nonostante la loro densità sia superiore a quella dell’acqua, il plancton riesce a non affondare grazie ad una serie di adattamenti e strutture come ciglia, tentacoli e flagelli (simili a peli) che ne permettono il galleggiamento. Queste creature vagabonde cacciano, si nutrono, riposano e si riproducono lungo la colonna d’acqua.

Il mare rappresenta per loro un intero universo in cui vivere e viaggiare per colonizzare i luoghi più remoti degli oceani. Le correnti termoaline, correnti verticali dovute a cambiamenti di temperatura dell’acqua, e quelle di marea, correnti orizzontali, sono sfruttate dagli individui adulti per la dispersione degli stadi larvali. Così il plancton si assicura una maggiore probabilità di sopravvivenza su lunghe distanze e sul 18

Fitoplancton

Zooplancton

lungo periodo. Possiamo classificare ulteriormente lo zooplancton in gelatinoso, il cui corpo è costituito al 95% da acqua, e crostaceo dove l’acqua rappresenta solo il 70-80% del corpo. Meduse, ctenofori, molluschi ed i tunicati rappresentano alcuni degli organismi che possiamo incontrare nel mare sospinti dalle correnti. Considerando le dimensioni e il ciclo di vitale di queste creature vagabonde parliamo di organismi oloplanctonici, quando vivono tutta la vita allo stadio planctonico, e di organismi meroplanctonici in cui un unico stadio del ciclo vitale è vissuto come plancton e viene preceduto o sostituito da abitudini nectoniche o bentoniche.


CURIOSITÀ

Alcuni di questi organismi compiono all’interno della colonna

d’acqua delle vere e proprie migrazioni verticali che seguono ritmi circadiani mediati dalla presenza/assenza della luce. Alle medie e alte latitudini questi organismi risalgono verso la superficie durante la notte per poi scendere nelle oscurità marine poco prima del sorgere del sole cosi da abbassar le probabilità di essere visti dai predatori. Alle base latitudini, invece, è stato scoperto che durante i lunghi inverni lo zooplancton che vive nelle gelide acque del mare migra in massa seguendo i cicli della luce lunare.

più remote profondità marine alle acque di superficie, regala nutrimento a tutti gli organismi presenti. Se siete curiosi e volete osservare il plancton vi basterà recarvi lungo una spiaggia o una scogliera subito dopo il tramonto, calare una calza di nylon nel mare ed osservare con una buona lente di ingrandimento ciò che avete pescato, per poi rigettarlo in mare. Plancton… la vita potrebbe essere semplice! Aldo Rizzo

Queste migrazioni verticali rappresentano momenti fondamentali nella catena alimentare che, come una pompa biologica, dalle 19


10 1.

COSE DA SAPERE SU…

I cambiamenti climatici

IL CLIMA STA CAMBIANDO DAVVERO?

Sentiamo spesso parlare di cambiamenti climatici globali. Variazioni del sistema climatico, osservate negli ultimi cento anni, estremamente rapide e senza precedenti. Per misurare questi cambiamenti si calcolano le forzanti radiative ovvero le variazioni dei flussi di energia nei livelli più alti dell’atmosfera. Se queste forzanti sono positive assistiamo ad un riscaldamento della superficie terreste, se negative ne provocano il raffreddamento. A partire dal 1970 si è calcolata una forzante radiativa totale positiva che ha provocato un aumento della temperatura media globale superficiale di 0.85 °C. La causa principale sembra legata all’aumento della concentrazione di CO2 nell’atmosfera e gli effetti li vediamo ogni giorno: la riduzione delle calotte glaciali e dei ghiacciai montani, l’innalzamento del livello medio marino, l’aumento della acidità e delle temperature degli oceani e una notevole riduzione della biodiversità.

20

2.

SOS MEDITERRANEO

L'ultimo rapporto dell'International Panel on Climate Change (IPCC) indica il Mediterraneo come una delle regioni più vulnerabili del mondo agli impatti del riscaldamento globale a fronte dell’aumento delle temperature medie di 0,4 ° C in più rispetto alla media globale e di una riduzione delle precipitazioni. Gli effetti previsti vanno dall’estinzione di diverse specie terresti alla variazione della distribuzione spaziale della flora; da un aumento dei fenomeni erosivi ad una maggiore intensità degli incendi; da una limita disponibilità d’acqua a una perdita delle aree umide. Nel Mar mediterraneo, inoltre, si è registrato un aumento del livello delle acque di circa 6 cm ed una notevole acidificazione del mare. A lungo andare, tutto questo porterà inevitabilmente ad una riduzione degli ecosistemi nel fornirci cibo, acqua potabile, sicurezza, medicine e altre importanti risorse.


RUBRICA

3.

Bleacing dei coralli

E LA BIODIVERSITA’?

Ogni specie risponde al cambiamento con modalità ed intensità differenti. Questo fa sì che importanti connessioni spaziali e temporali tra specie diverse, come la relazione tra insetti impollinatori e fioriture o tra prede e predatori, vengano meno. Ad esempio, negli ecosistemi artici si è registrato un declino delle popolazioni di lemming (piccoli roditori) con la conseguente diminuzione della popolazione dei loro predatori, la volpe artica e la civetta delle nevi. Il rischio è che si diffondano le poche specie in grado di adattarsi a queste variazioni e che ci sia l’estinzione di tutte quelle specie altamente specializzate e incapaci di modificare la loro distribuzione geografica.

4.

CIAOCIAO CORALLI!

Chi sogna di immergersi e perdersi nei colori della grande barriera corallina probabilmente dovrà rinunciarci. Una delle principali conseguenze dei cambiamenti climatici nelle regioni temperate e tropicali è proprio lo sbiancamento dei coralli, il bleaching. Stressati delle elevate temperature e dall’acidità del mare, i coralli prima sbiancano e poi muoiono. Solo nel 2016 si è perso un terzo della barriera corallina!!

5.

I MAMMIFERI MARINI

L'impatto di questi cambiamenti sui mammiferi marini dipende principalmente dall'alterazione dell'habitat fisico e dalle dinamiche predapredatore. Le risposte al riscaldamento globale hanno incluso spostamenti di polarità nella distribuzione e cambiamenti del loro ciclo vitale. Ad esempio, un aumento del livello del mare può determinare la perdita di habitat per foche e leoni marini, animali che si poggiano su aree costiere basse per il riposo, la muta, la nascita della prole, l'allevamento dei cuccioli, il corteggiamento e l’accoppiamento. Nel caso delle foche monache hawaiane, una valutazione dei potenziali effetti dell'aumento del livello del mare entro il 2100 ha rilevato che si perderà circa il 65-75% del loro habitat!

21


6.

COME CAMBIA IL COLORE DEL MARE

Il mare, con le sue tonalità, incanta da sempre gli uomini. Il suo colore dipende da come la luce del sole interagisce con le molecole e gli organismi presenti nell’acqua. Uno studio del Massachusetts Institute of Technology (MIT) e del National Oceanography Centre Southampton ha mostrato la relazione tra i cambiamenti climatici e il fitoplancton. Questo è il responsabile della produttività primaria negli oceani ed ha al suo interno il principale attore della fotosintesi: la clorofilla. Questa molecola assorbe la luce blu e riflette le tonalità di verde, donando alle zone ricche di alghe una tonalità verdognola. Lo studio prevede che nei prossimi anni le zone subpolari e polari diventeranno più verdi a causa di un aumento

22

significativo della produttività dovuto allo scioglimento dei ghiacciai. Mentre nelle acque temperate e tropicali, dove a causa del riscaldamento dell’acqua si blocca il flusso di nutrienti necessari per la crescita del fitoplancton, è prevista una riduzione della produttività. Il mare apparirà quindi di un blu ancora più intenso ma privo di vita.

7.

MI STO SCIOGLIENDO

Nelle regioni polari, gli effetti dei cambiamenti climatici si riflettono nello scioglimento dei ghiacciai. Nell'Artico, l'estensione dell’area dei ghiacci si è ridotta del 50%, in concomitanza con una perdita del 75% dei, cosiddetti, ghiacciai perenni. La perdita dei ghiacciai risulta dannosa per specie come l'orso polare, il tricheco e diverse specie di foche che utilizzano la presenza del ghiaccio come piattaforma per la caccia e il parto. Inoltre, la perdita dei ghiacciai scatena interazioni complesse e a cascata tra le componenti trofiche degli ecosistemi marini dell'Artico. Nel caso del pinguino imperatore la riduzione della popolazione è stata attribuita ad una scarsità delle risorse alimentari: a venir meno la disponibilità di crostacei (in particolare di krill, Euphausia superba) e di molluschi predatori del krill, che costituiscono la loro principale fonte alimentare.


8.

RESTAURARE IL MARE

Il mare è qualcosa di cui prendersi cura, importante mantenerlo sano e ricco, ma con questi cambiamenti climatici repentini molti habitat vengono distrutti ogni giorno di più. Per far fronte a questo problema, biologi, scienziati ed esperti si stanno ingegnando per restaurare il mare, come se fosse una bellissima opera d’arte. Dall’ Australia dove si sperimenta il trapianto in larga scala di milioni di larve di coralli in aree danneggiate della barriera corallina, all’Italia dove si utilizzano i muretti a secco per far rinascere le praterie di Posidonia. L’obiettivo è quello di arginare gli effetti del riscaldamento globale aumentando i livelli di biodiversità.

9.

RUBRICA

LA VOCE DELLA SCIENZA

Molti scienziati stanno sottolineando l’importanza dell’Accordo di Parigi. L’obiettivo di tale accordo è stabilizzare l’aumento della temperatura atmosferica a 2°C entro la fine del secolo. Per realizzarlo sarebbe necessario ridurre l’utilizzo di combustibili fossili del 50% entro 15 anni ed eliminarli quasi del tutto in 30. Questo significa niente case, imprese o industrie scaldate con gas o petrolio; nessun veicolo alimentato a diesel o gasolio e più energie rinnovabili. Purtroppo, i piani di riduzione delle emissioni presentati dai governi non sono sufficienti: la temperatura aumenterà di 2.7-3°C e nel 2050 ci sarà troppa CO2 nell’atmosfera!

10.

SUPER TERMITI!

Le foreste forniscono un servizio estremamente importante all’umanità rimuovendo circa il 25% dell’anidride carbonica dall’atmosfera. La desertificazione è quindi tra le principali cause nonché effetti dei cambiamenti climatici. Le termiti, divoratrici di foglie e legno morto e con una cattivissima reputazione, sono in realtà fondamentali per difendere gli ecosistemi dagli effetti della desertificazione. Uno studio svolto in amazzonia ha mostrato come le termiti aiutano la foresta a sopportare la siccità, lasciandola intatta e in salute, grazie al rilascio nell’ambiente di sostanze nutritive e grazie alla loro capacità di mantenere il terreno umido. Per le stesse ragioni è stato osservato che nelle praterie, nelle savane e negli ecosistemi più vulnerabili ed esposti a fenomeni di desertificazione, le piante si concentrano in prossimità dei termitai. È così che le termiti proteggono le foreste dai cambiamenti climatici! Stefano Bellomo 23


Una finestra sul mare: il futuro di Palazzo Amati

C’è fermento a Taranto e un grande desiderio di cambiamento. Enti, istituzioni e associazioni, gruppi di per-

diventare e far conoscere Taranto come “città del mare e dei cetacei”, rinstaurare quel legame millenario che

sone che condividono progetti, obiettivi comuni e sogni. Si dissemina speranza e si guarda al futuro.

unisce i taranti con i suoi mari ed il Golfo. Come farlo? Si parte da un progetto della JDC finanziato da Fondazione per il Sud che prevede il recupero del palazzo più antico della città vecchia di Taranto: Palazzo Amati. Qui si sta lavorando a “KETOS” centro euromediterraneo dei cetacei e del mare: un museo interattivo, una biblioteca, uno spazio per condividere la cultura del mare ed un’area di offerta di servizi turistici.

Così ci ritroviamo il 15 febbraio alla Biblioteca Civica “Pietro Acclavio” per presentare una nuova proposta. L’idea che lega le menti è quella di far

“Solo a Taranto possiamo unire la multimedialità alla pratica, far visita al museo e poi uscire in mare. Questa è l’occasione per la città vecchia di rinascere” Carmelo Fanizza - presidente JDC 24


JDC NEWS Una finestra sul mare e una nuova speranza. Così, in questo incontro viene proposto qualcosa di più: trasformare Palazzo Amati in un vero e proprio “Palazzo del Mare” portando al suo interno uno dei tesori della città di Taranto, custodito dall’ Istituto per l’Ambiente Marino e Costiero (IAMC CNR).

Bentornati a scuola!

Il museo Talassografico, chiuso ormai da 20 anni, raccoglieva al suo interno numerosissimi reperti, provenienti dai mari italiani e da quelli tropicali, che ora si trovano accatastati e abbandonati in una stanza dell’istituto. “Speriamo che questa situazione stia per terminare. Non vogliamo riaprire il museo ma creare una nuova realtà che unisca la scienza alla storia marinaresca e vogliamo farlo attraverso la citizen science” Fernando Rubino-IAMC CNR

Un’unione di intenti che viene sostenuta dal pubblico presente in sala e che innesca una spirale positiva per la crescita e lo sviluppo di Taranto. Francesca Santacesaria

Come ogni anno, il team di biologi della JDC torna tra i banchi di scuola a condividere la cultura del mare. Progetti che coinvolgono studenti di tutte le età e provenienti da tutta la Puglia e che vanno dal programma “ricercatori per un giorno”, a campi di ricerca e all’alternanza scuola-lavoro. L’obiettivo è quello di creare nei giovani la consapevolezza che il mare, oltre ad essere un elemento vitale dal quale l’uomo dipende, è culla di vita, fonte di biodiversità, patrimonio universale e promettente opportunità professionale per il futuro. Si parla dell’ecosistema marino, dell’interazione uomoambiente ed infine dei Cetacei e della ricerca. Per raccontarvi di queste attività lasciamo la parola a chi le ha già vissute. Nelle prossime pagine l’esperienza di alternanza scuola-lavoro di Francesca Pia Orlando del liceo scientifico “Gallileo Ferraris” di Taranto.

25


“Il progetto si incentrava sullo studio dei cetacei nel Golfo di Taranto. A bordo del catamarano “Extraordinaria” abbiamo avuto la possibilità di affiancare gli esperti della Jonian Dolphin Conservation, mettendo in pratica ciò che abbiamo appreso tramite le lezioni teoriche. La nostra esperienza è durata 3 giorni, durante i quali, suddividendoci in gruppi di lavoro, abbiamo dato il via alla nostra attività di ricerca. Il primo giorno, nella tratta da Taranto

26

a Policoro, utilizzando binocoli e drone, che ci ha permesso di effettuare delle riprese dall’alto e di avere una stima più precisa del numero di individui, siamo riusciti ad avvistare 10 esemplari di stenelle striate in travelling, ovvero nella loro fase di spostamento. Abbiamo utilizzato diversi strumenti come l’idrofono, un vero e proprio microfono progettato per gli studi di acustica sottomarina; GPS, Reflex con obiettivo 70-300mm, videocamere e la strumentazione necessaria per la raccolta di campioni.


JDC NEWS

La mattina del secondo giorno, sempre a bordo del catamarano Extraordinaria”, siamo stati accompagnati da esperti dell’avifauna. Abbiamo avuto la grande fortuna di avvistare una specie di gabbiano raro nella zona della Basilicata, ovvero il Gabbiano Tridattilo (gabbiano del Mare del nord). Si è trattato della terza osservazione in assoluto in Basilicata (la prima si ebbe alla fine del 1800). Il pomeriggio poi, abbiamo raggiunto il centro di recupero animali selvatici e tartarughe marine del WWF di Policoro, dove è stato possibile osservare le tartarughe marine curate e salvate dai veterinari dell’Oasi. Il terzo giorno, prima di ripartire per

ci ha permesso di agire sul campo rendendo tangibile ciò che abbiamo studiato tra i banchi di scuola e soprattutto ci ha permesso di capire ancor di più che, il nostro territorio è un bene da salvaguardare!”

Francesca Pia Orlando

Taranto, abbiamo fatto un briefing, per ordinare tutti i dati raccolti nei 2 giorni di ricerca precedenti e organizzare i diversi lavori che abbiamo poi presentato nella conferenza finale del nostro progetto, tenutasi il 7 aprile 2018 presso l’Aula Magna del nostro Liceo. È stata un’esperienza estremamente significativa per la nostra formazione che 27


La posta dei lettori Ho visitato 18 paesi diversi e quando viaggio cerco sempre tre cose: la bellezza della natura, brave persone e buon cibo. No, non sono qui a parlarvi di cibo ma dovete sapere che ho amato i crostini con le zucchine di Fabio! I cetacei sono la mia passione da oltre dieci anni. Quando ami quello che fai per lavoro, non si tratta più di un lavoro ma di un modo di vivere ed essere. Questa è la ragione che mi ha spinto a passare le mie vacanze estive come volontaria della Jonian Dolphin Conservation. Perchè ho scelto proprio la JDC? Beh, ho lavorato all’estero con le focene e i delfini ma mai mi sono trovata a lavorare con i turisti a bordo. Ho deciso di provare ed è stato stupendo poter condividere le mie passioni e le conoscenze con le altre persone, nonostante io non parlassi italiano! Durante l’esperienza con la JDC ho acquisito nuove conoscenze sul Golfo di Taranto. Non mi sarei mai aspettata di ritrovarmi ad esplorare un ambiente cosi unico. E come se non bastasse ho avuto l’opportunità di migliorare le mie competenze nella fotoidentificazione! Da oceonografa, l’escursione in mare non rappresenta solo l’occasione per ammirare i delfini e scattare foto incredibili con loro ma è l’occasione per raccogliere dati sul loro comportamento e per poterli fotoidentificare. 28

Non i nego che comunque è sempre emozionante vedere gli animali nel loro ambiente naturale e che ho pianto nel vedere i capodogli. Ogni volta che esco in escursione sono eccitata come una bambina! Non sai mai cosa potrebbe accadere. A volte non vedi niente, altre gruppi di 120 delfini. Questa è la bellezza del nostro lavoro! I cetacei sono animali selvatici e nel loro ambiente naturale fanno quello che vogliono. Se sono curiosi si avvicinano alla barca, se sono diffidenti mantengono le distanze. Possiamo vedereli mangiare, dormire o giocare. Sono imprevedibili e questo li rende affascinanti. A volte però, durante le escursioni ci sono anche momenti tristi. Non posso evitare di raccontare di due tartarughe che abbiamo incontrato: morte per delle buste di plastica in bocca. La plastica ormai è un enorme problema negli oceani che bisogna affrontare.

A tutti I lettori del Magazine se avete una lista di cose da fare quest’anno dovete per forza inserire la voce “escursione con la JDC”! Io l’ho già inserita nella mia. Spero di vedervi a bordo e fate attenzione… può creare dipendenza!

Julita Gutkowska


SPAZIO APERTO

FOTO RACCONTACI Immergersi nella natura. Esplorare, con rispetto, per comprendere. Osservare il mondo con occhio più attento. Entrare a stretto contatto con i delfini, animali simbolo per eccellenza di libertà. Questo è quello che i nostri lettori-voi– avete vissuto a bordo dei nostri catamarani e che ci avete raccontato con queste foto. Per partecipare inviate le vostro foto all’indirizzo mail: lia@joniandolphin.it

Ph: Julita Gutkowska

29


1

1 Vito Di Bari

2 e3 Julita Gutkowska

4 Lucia Vinella

5e6 Ivana Scarcelli

30

2


SPAZIO APERTO

3

5

“Una bellissima esperienza con la mia famiglia a fine Ottobre” Lucia Vinella

4

6

31


SPONSORIZZATO DA

32

Seguici su


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.