KETOS/N.2/Dicembre2018

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K ETOS

N. 2/ Dicembre 2018

JDC MAGAZINE


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Carissimi lettori, l’atmosfera natalizia ci ricorda che siamo giunti alla fine del 2018 e che è ormai tempo di tirare le somme di ciò che abbiamo realizzato quest’anno. Sicuramente il 2018 è stato un anno che lascerà il segno nella storia della Jonian Dolphin Conservation grazie all’avvio di alcuni importanti progetti come “KETOS”, centro euromediterraneo del mare e dei cetacei, progetto finanziato da Fondazione con il SUD, futuro museo e laboratorio di citizen science che aprirà nel 2019, o come “IL PORTO DI TARANTO” la nuova imbarcazione da ricerca della JDC dataci in concessione dall’Autorità Portuale di Taranto. Crescere richiede impegno e dedizione; la passione per il mare ed i cetacei e l’amore per il nostro territorio ci hanno consentito di raggiungere obiettivi impensabili sino a qualche anno fa. Tantissime le soddisfazioni che il 2018 ci ha regalato : 220 giorni di uscite in mare, 10000 persone imbarcate (di cui 4000 con età inferiore ai 15 anni ed il 35% stranieri), 2 “Marine biology camp” dedicati a studenti americani, 3 importanti riconoscimenti ricevuti, 3 articoli scientifici pubblicati, 7 poster presentati e numerose partecipazioni ad eventi e simposi sia legati alla blu economy che alla ricerca scientifica. Il 2019 si prospetta come un anno di progetti da realizzare, opportunità da cogliere e nuove occasioni per sperimentarci e migliorare. Sinceramente non vediamo l’ora che arrivi! Nel frattempo vi ringraziamo per il vostro supporto e sostegno: senza di voi tutto questo non sarebbe possibile. Vi auguriamo un Sereno Natale ed un Felicissimo Anno Nuovo! Lo staff JDC

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In questo numero SCIENZA

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LA CARTA D’IDENTITA’ DEI DELFINI Realizzarla è possibile con la foto-ID

NATURA

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ECO SENZA RITORNO

CURIOSITÀ

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IL DELFINO ROSA Tra leggenda e realtà

RUBRICA

18 JDC NEWS

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SAPERE SU… La plastica

RESEARCH WEEKEND

BABBO NATALE VIENE DAL MARE

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10 COSE DA

SPAZIO APERTO

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LA POSTA DEI LETTORI FOTO RACCONTACI


A cura di: Carmelo Fanizza Presidente e Fondatore JDC Vittorio Pollazzon Responsabile Team e Autore Stefano Bellomo Responsabile Team e Autore Alessandro Console

Grafico Aldo Rizzo Autore Pasquale Bondanese Autore Roberto Crugliano Autore Francesca C. Santacesaria Editore e Autore

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La carta d’identità

ricattura permettono lo studio degli spostamenti e delle migrazioni, della struttura delle popolazioni e del tasso di sopravvivenza e di crescita dell'animale in esame.

dei delfini Realizzarla è possibile grazie alla Foto-ID Riconoscere i singoli individui di una specie ha da sempre interessato gli etologi, studiosi del comportamento animale. Von Frisch, uno dei padri dell’etologia, per studiare i meccanismi di comunicazione fra le api, le segnò con colori differenti, mentre Lorenz, zoologo ed etologo austriaco, imparò a riconoscere le sue oche grazie a segni naturali sul corpo. Tra le tecniche più utilizzate per il riconoscimento del singolo animale, per lo studio dell’ecologia e della conservazione delle specie ci sono i metodi di “cattura-marcatura-ricattura”. Questi consistono nella cattura di singoli animali seguita dall'applicazione di un Tag e dal rilascio dell'animale. Il Tag consente l'identificazione dell'animale in caso di ricattura o re-avvistamento senza cattura. La cattura, la marcatura, il rilascio e la 6

Il "bird-ringing", ad esempio, è tra le più diffuse e antiche tecniche di cattura-marcatura-ricattura. Gli ornitologi catturano gli uccelli con reti che non li feriscono, ne determinano le dimensioni e il peso, pongono un anello con un codice alfanumerico intorno alla zampa e li rilasciano in natura. Tutti i codici con i rispettivi dati sull’avvistamento (data, posizione ecc.) e le caratteristiche dell'animale vengono inseriti in un database. Successivamente, riavvistando o ricatturando uno degli animali inanellati è possibile fare le stime sopra riportate.

È possibile applicare questo metodo per lo studio dei cetacei? Date le notevoli dimensioni, i cetacei sono animali difficili da catturare e maneggiare per cui l'applicazione di queste tecniche è piuttosto complicata. Quando la caccia alle balene era molto


SCIENZA diffusa, questi grandi cetacei venivano contrassegnati con un'etichetta metallica nel blubber (strato di grasso sotto cutaneo) che veniva recuperata solo in seguito nelle operazioni delle navi baleniere. Negli anni, alcuni ricercatori hanno catturato ed etichettato piccoli cetacei ma questa metodica è rimasta poco diffusa.

osserva la colorazione e la conformazione della pinna caudale. Molto di ciò che sappiamo sulla biologia di queste specie deriva proprio dall’ analisi dei dati raccolti attraverso questi studi.

Per lo studio dei cetacei, dagli anni 80’, si è sviluppata una tecnica non invasiva: la fotoidentificazione (foto-ID).

Buone fotografie sono essenziali per la riuscita di questa tecnica ma spesso si hanno pochi secondi per poter scattare la foto prima dell’immersione. L'elenco delle specie di cetacei studiate utilizzando la foto-ID comprende la maggior parte dei misticeti (balene), diverse grandi specie di odontoceti e molte specie di delfini. Per la maggior parte dei piccoli cetacei la struttura più idonea da osservare per il riconoscimento è la pinna dorsale che spesso presenta differenze nella forma, nella dimensione e nei margini (con tacche e cicatrici). Anche una pigmentazione peculiare può rivelarsi come utile mezzo di riconoscimento. Per le specie di maggiori dimensioni, invece, si

Dall’alto verso il basso: pigmentazione caratteristica in delfino comune, marker peculiari in tursiope e capodoglio

Questo metodo consiste nel fotografare dei marker, segni naturali e caratteristici, presenti sui singoli animali. Applicabile agli individui di una specie (o di una popolazione) sufficientemente marcati, la foto-ID ha superato i limiti delle tecniche precedenti.

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Lato destro

TIGRE, uno dei grampi fotoidentificati

Lato sinistro

Nella nostra area di ricerca questo metodo è applicabile a diverse specie: delfino comune, tursiope, capodoglio e grampo. I grampi (Grampus griseus) sono stati oggetto del nostro ultimo importante progetto di ricerca: DolFin. Questa è una specie di delfino rara e poco conosciuta a livello globale ed infatti è classificata come “Data Deficient” dalla IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura). La particolarità del Grampo è la livrea (insieme del colore e del disegno della pelle): i giovani delfini nascono di colore grigio chiaro, per poi scurirsi in età giovanile e successivamente, con l’avanzare dell’età, il corpo dell’adulto si ricopre di numerosi graffi chiari, fino ad assumere una colorazione quasi bianca.

Sono questi graffi, in particolare quelli presenti sulla pinna dorsale, ad essere utilizzati per il riconoscimento degli individui come delle vere e proprie impronte digitali. 8

Lo studio, frutto della collaborazione tra Jonian Dolphin Conservation, l’Istituto di sistemi e tecnologie industriali per il manifatturiero avanzato del Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr-Stiima) di Bari ed il Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari Aldo Moro, apre nuovi orizzonti per la tutela e la conservazione dei cetacei nel Mediterraneo. La ricerca, basata sulle più moderne tecniche di Computer Science, ha consentito di riconoscere in maniera inequivocabile numerosi individui di Grampo, quali consueti visitatori del Mar Ionio settentrionale. Lo studio è stato pubblicato su Scientific Reports, rivista del gruppo Nature. “Grazie all’unione delle nostre diverse

competenze abbiamo sviluppato il primo algoritmo di fotoidentificazione automatica di questa specie” spiega Rosalia Maglietta esperta di Intelligenza artificiale del Cnr-Stiima. “La fotoidentificazione avviene grazie al confronto tra immagini digitali delle pinne dorsali di delfini di cui si


SCIENZA

I prodotti dello studio sono stati presentati nella innovativa piattaforma digitale DolFin, accessibile on-line. “DolFin consentirà in futuro di realizzare approfondimenti relativi alla distribuzione spaziale di questa o di altre specie di cetacei in tutto il Mediterraneo o su scala globale”, aggiunge Roberto Carlucci ecologo del Dipartimento di Biologia dell’Università di Bari.

“Usando DolFin potremo sapere se il delfino identificato rimane in uno stesso tratto di mare o se compie spostamenti, quali sono i suoi compagni di viaggio e le motivazioni che lo inducono a queste migrazioni”. “La presenza di questi animali, quale apice di una rete alimentare marina in un’area fortemente antropizzata qual è il Golfo di Taranto, rappresenta un indicatore fondamentale circa lo stato di salute del Mar Ionio”, conclude Carmelo Fanizza, presidente della Jonian Dolphin Conservation. “I risultati ottenuti potrebbero inoltre avere importanti implicazioni gestionali, poiché contribuiscono a orientare le

SVIRGOLO, grampo foto identificato per la prima volta nel 2014 è stato riavvistato nel 2018

vuole conoscere l’identità e un database di delfini precedentemente fotoidentificati. L’ algoritmo è in grado di analizzare enormi quantità di immagini in tempi brevi e senza l’intervento umano, questa caratteristica lo rende adatto a essere impiegato in studi su larga scala”.

amministrazioni verso più efficaci misure di tutela, finalizzate alla conservazione della diversità biologica, dell’integrità degli habitat e alla fruibilità dei servizi ecosistemici”. Ma questo è solo l’inizio, in cantiere c’è già, da parte del nostro team, uno studio di foto-ID dei Capodogli, i giganti del nostro mare. Stefano Bellomo

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ECO SENZA È successo ancora!! Nella notte di sabato 24 novembre più di 140 esemplari di globicefali (Globicephala melas) si sono spiaggiati sulle spiagge della Nuova Zelanda. Nel febbraio 2017 il mondo aveva già assistito ad uno dei più gravi spiaggiamenti di cetacei mai visti: ben 416 globicefali si arenarono su un’isola del sud della Nuova Zelanda, Golden Bay. Questa volta l’orribile palcoscenico è stato la spiaggia di Mason Bay, a Steward Island, situata a 30 km a sud della regione meridionale della Nuova Zelanda. Nonostante l’intervento delle autorità, immediatamente allertate, e di nume-

sufficiente personale disponibile e l’aggravarsi delle condizioni dei cetacei hanno fatto sì che l’unica soluzione fosse l'eutanasia. “E’ sempre una decisione straziante" ha commentato Leppen. Viste le difficoltà del momento, il Dipartimento della Conservazione ha richiesto aiuto per tentare di salvare otto esemplari ancora vivi, spostandoli su una spiaggia dove ci sarebbero state maggiori possibilità di aiutarle a tornare in acqua.

Quali sono le principali cause di spiaggiamento dei cetacei? Le cause degli spiaggiamenti non sono ancora del tutto chiare.

Secondo Ren Leppen, direttore delle operazioni di recupero del Dipartimento della Conservazione, le probabilità di riportare in mare i cetacei sopravvissuti, erano estremamente basse. La località remota, la mancanza di

Entriamo nello specifico dei casi accaduti a Mason Bay e Golden Bay.

Volontari a lavoro sulla spiaggia di Mason Bay.

rosi volontari, per più della metà degli individui era ormai troppo tardi.

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I globicefali sono delfini che presentano dimensioni di circa 5-6 metri di lunghezza e possono arrivare a pesare


A RITORNO

NATURA

Spiaggiamento di 416 i globicefali sulla spiaggia di Golden Bay

all’incirca una tonnellata. Vivono in grossi branchi di 300 o più individui. Come tutti i pod di delfini, la gerarchia è di tipo matriarcale, pertanto sono guidati da femmine anziane. I globicefali sono una specie in cui il legame sociale è particolarmente forte: se uno dei capibranco si spiaggia, perché ha perso l'orientamento o è malato, gli altri lo seguono. Per questo i globicefali sono i cetacei che si spiaggiano più frequentemente in massa. Inoltre, se consideriamo le caratteristiche geologiche della costa di molte baie della Nuova Zelanda, il rischio di

spiaggiamento aumenta. Di fatti le acque molto basse e sedimenti rendono la zona una vera e propria “death trap” o trappole di morte per i cetacei: le caratteristiche del fondale provocano una anomala propagazione delle onde sonore, compromettendo il sistema di ecolocalizzazione dei globicefali e mandandoli in confusione. Anche l'uomo, con rumori fortissimi come i sonar militari o gli AirGun, può causare lesioni all’orecchio dei cetacei determinando una perdita dell'orientamento e il conseguente spiaggiamento degli animali. 11


Come possono i suoni far perdere l’orientamento ai cetacei? Come è noto, gli odontoceti per orientarsi utilizzano un sofisticato sistema di biosonar chiamato ecolocalizzazione. Tale sistema consiste nell’emissione di suoni nell’ambiente, prodotti mediante il passaggio di aria dalle ossa delle narici ed attraverso una membrana chiamata labbra foniche o labbra di

La risposta a questi suoni sono degli echi, prodotti al seguito del rimbalzo dei suoni stessi su diversi oggetti pre-

scimmia. Il raggio acustico viene modulato e amplificato da un organo, ricco di lipidi che prende il nome di melone.

senti nell’ambiente esplorato. L'eco di ritorno viene ricevuto dalla mandibola e arriva all'orecchio, il segnale viene elaborato e crea una sorta di mappa spaziale.

Molti ricercatori sostengono che i delfini siano in grado di modulare i suoni, abbassandone l’intensità, qualora si stiano avvicinando troppo all’oggetto interessato.

Gli echi sono utilizzati per una corretta localizzazione dell’oggetto e della distanza da percorrere per raggiungerlo. Per questo la produzione di suoni molto forti rappresenta un rischio

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NATURA per questi mammiferi marini che subendo danni o lesioni alle orecchie perdendo la capacità di orientamento e localizzazione di cibo.

Quali possono essere ulteriori cause di spiaggiamenti? Altre cause sono identificabili nelle condizioni climatiche avverse, variazioni gravitazionali della luna o anomalie locali nel campo geomagnetico, a cui, secondo gli studi dell’Università francese di Rennes, sembra che i cetacei siano sensibili. In altri casi avviene lo spiaggiamento dell’individuo già privo di vita. Per questi cetacei, spinti a riva dalle correnti e/o dalle mareggiate, la determinazione delle cause di morte è estremamente importante per la

valutazione dello stato di salute delle popolazioni e dell’impatto antropico. Inoltre, dalle carcasse recuperate si possono ricavare notizie e dati riguardanti la biologia, l’ecologia, le patologie delle specie mediterranee, il livello di contaminazione e quindi lo stato di salute dei nostri mari.

Quali sono le principali cause di morte riscontrate? Secondo i dati raccolti dagli Istituti Zooprofilattici Sperimentali (IIZZSS) territoriali, nel 66,6% dei casi di spiaggiamento di carcasse di cetacei, l’origine infettiva risultata essere la principale causa, confermando la persistente circolazione nei nostri mari di agenti virali (Morbillivirus, Herpesvirus) e protozoari ed evidenziando la

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presenza di agenti importanti anche per l’impatto sulla salute pubblica.

Interventi della Jonian Dolphin Conservation

Nel 29% dei casi la causa di morte è stata attribuita ad un’origine antropica, per lo più per interazione con attività della pesca. Capita sempre più frequentemente che i cetacei, nel tentativo di mangiare il pescato, rimangano intrappolati nelle reti da pesca, perdendo la vita.

Gli spiaggiamenti in Italia Secondo le statistiche durante il 2017 sono stati segnalati 212 cetacei spiag-

23 luglio 2011 Marina di Leporano

giati lungo le coste italiane (Banca Dati Spiaggiamenti). Nella maggior parte dei casi le segnalazioni di spiaggiamento hanno riguardato esemplari di tursiope (41,5%) e stenella (33,9%), mentre per capodogli, delfini comuni, zifi, balenottere, grampi e globicefali, gli eventi di spiaggiamento sono risultati sporadici.

Capodoglio spiaggiato nel 2017 in Puglia

Circa il 56,6% degli individui spiaggiati sono stati sottoposti ad indagini diagnostiche esaustive.

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2 dicembre 2013 Castellaneta Marina

In questi anni sono stati numerosi gli interventi della JDC inerenti a spiaggiamenti segnalati dalle autorità competenti. Fra questi ricordiamo lo spiaggiamento del 23 luglio 2011 nell’area di Marina di Leporano a Campomarino di Maruggio riguardante esemplari di Stenella coeruleoalba; quello del 2 dicembre 2013 sul litorale di Castellaneta Marina, nella località Riva dei Tessali, in cui è stato ritrovaro un esemplare adulto, maschio di circa 1,50 metri di Tursiops truncatus; ed infine il 6 marzo 2016 è


NATURA

5 novembre 2018 San Pietro in Bevagna

stato segnalato uno spiaggiamento di due esemplari di Stenella coeruleoalba a San Vito e Chiatona. L’ultimo intervento risale al 5 novembre scorso, a seguito dello spiaggiamento di una stenella a San Pietro in Bevagna, località della costa ionica salentina, in provincia di Taranto. L’individuo, un maschio adulto, che apparentemente non presentava ferite sul corpo, è stato trasportato all’Istituto Zooprofilattico Sperimentale della Pu-

Incrociando i dati dell’esemplare spiaggiato con quelli del nostro dataset riguardanti Foto Identificazione ed analisi del DNA è possibile ricostruire gli ultimi tasselli di vita di animali che monitoriamo da oltre 10 anni aiutandoci a porre in atto le corrette misure di tutela per questi cetacei. Roberto Crugliano

glia e della Basilicata, Sezione di Taranto, dove sono tutt’ora in corso le analisi per stabilire le cause del decesso. Il nostro intervento durante la raccolta dati su esemplari spiaggiati ed in buone condizioni rappresenta un importante momento di studio. 15


IL DELFINO ROSA tra leggende e realtà “Il delfino rosa esiste veramente?” Questa una delle domande che ci viene fatta spesso a bordo da grandi e piccini. La risposta a questa domanda è SI! Il suo nome è Inia Geoffrensis ed è un delfino di fiume. Il delfino rosa popola le

Dall’alto verso il basso: maschio adulto, femmina adulta e cucciolo

acque del Rio delle Amazzoni e non solo. Infatti, lo troviamo anche in numerosi bacini d’acqua dolce del Brasile, Boliva, Colombia, Ecuador, Peru e Venezuela. Grande e robusto, l’Inia può raggiungere i 3 metri di lunghezza ed è caratterizzato da un lungo rostro (il becco), da una testa globosa e dalle guance paffute. La tipica colorazione rosa è dovuta a numerosi vasi sanguigni che traspaiono sotto la pelle e varia da individuo a individuo. Quando nascono sono di una tonalità grigiastra e solo con la maturità sessuale raggiungono la colorazione caratteristica.

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Questo delfino così particolare è circondato da miti e leggende. Una delle più famose racconta che nelle notti d’estate il delfino rosa si trasforma in un uomo vestito di bianco, bellissimo ed elegante. Nessuna donna è capace resistere al suo fascino. All’alba del nuovo giorno l’uomo-delfino si ritrasforma in delfino e torna nelle acque del Rio, lasciando la donna con cui ha passato la notte in dolce attesa. Una leggenda rivela che guardare direttamente negli occhi l’Inia provochi una serie di incubi notturni che perseguitano l’uomo che ha osato guardarlo per tutta la vita. Secondo un altro mito sembra che il delfino rosa rapisca abitualmente gli uomini e li porti in un regno sottomarino chiamato Encante dal quale non torneranno mai più.


CURIOSITÀ Tutti questi miti hanno in un certo senso contribuito a salvaguardare e a mantenere stabili le popolazioni di delfini in Amazzonia proprio perché la gente pensava che possedessero poteri magici. Un ultima storia, infatti, afferma che uccidere un delfino rosa porti moltissima sfortuna, in quanto questi delfini sono considerati sacri dagli sciamani locali. Questa credenza ha protetto per molti anni i delfini dalla caccia per l’olio ma a partire dal 2000 il numero di delfini uccisi volontariamente dai pescatori è aumentato notevolmente. La popolazione di delfini rosa è in forte declino a causa dell’impatto antropico legato alla pesca accidentale, alla costruzione di dighe e porti, al traffico navale e all’estrazione mineraria. Le acque dei fiumi popolati dall’Inia sembrano essere fortemente contaminate da sostanze chimiche. Prima fra tutte il mercurio derivante dall’estrazione di minerali, come l’oro, lungo le rive del Rio delle Amazzoni. Da uno studio fatto su campioni di latte di delfino presi nei pressi della città di Manus i livelli di mercurio (talvolta anche di pesticidi) sono risultati essere talmente elevati da raggiungere i livelli di tossicità per un adulto umano. Gli effetti del bioaccumulo di queste sostanze non è ancora noto ma il futuro di questa specie appare sempre più incerto. Per salvare e tutelare questi animali, è

necessario conoscerne le abitudini e gli habitat preferiti. Un gruppo di ricercatori locali ha deciso di adottare una nuova tecnica di monitoraggio: 11 individui che vivono nelle acque fluviali di Brasile, Colombia e Bolivia sono stati dotati di apparecchi satellitari per monitorarne gli spostamenti dei delfini rosa e determinare le aree di riproduzione e quelle in cui si nutrono. I biologi hanno sottolineato che gli animali catturati per consentire il posizionamento dei sensori, una volta rilasciati in natura non hanno mostrato alcun segno di stress. La ricerca ha concluso che il pericolo maggiore è rappresentato dalla frammentazione dell’habitat dovuta alla creazione di dighe: questo porta all’isolamento delle popolazioni che, incapaci di interagire e di riprodursi, vanno incontro al fenomeno della consanguineità tra gli individui, indebolendo così le popolazioni e mettendone a rischio la sopravvivenza. Vittorio Pollazzon 17


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1.

COSE DA SAPERE SU…

La plastica

PER SALVARE GLI ELEFANTI

La storia della plastica ha inizio nel 1860 quando un’azienda di New York, produttrice di palle da biliardo, decise di offrire 10 mila dollari all’inventore di un materiale che sostituisse l’avorio, sostanza ottenuta a partire dalle zanne degli elefanti. Fino a quel momento la produzione delle palle da biliardo aveva avuto costi decisamente eccessivi in termini di denaro ma soprattutto dal punto di vista delle vite degli animali sacrificati. Fu John Wesley Hyatt a trovare la soluzione: la celluloide, un materiale flessibile ma resistente costituito da cellulosa. La vera rivoluzione arrivò negli anni novanta quando si iniziò a produrre materiali plastici come il PET (polietilene tereftalato) a partire dall’etilene, gas di scarico delle raffinerie. I bassi costi di produzione portarono al boom nella diffusione della plastica: dagli utensili monouso alle auto, dagli imballaggi alla medicina. In poco più di 70 anni la produzione di plastica è arrivata a 280 milioni di tonnellate all’anno!

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2.

UN VIAGGIO DALLA TERRA AL MARE

Il viaggio della plastica è lunghissimo e può durare più di cent’anni. Tutto ha inizio sulla terra ferma nelle fabbriche in cui viene prodotta per poi essere trasportata nei negozi e nelle nostre case. Il 40% di quella che viene prodotta è monouso per cui nel giro di qualche minuto (una busta di plastica viene usata in media 15 minuti) viene buttata nei cassonetti o peggio per la strade. Da qui il vento e tanti altri fattori la trasportano nelle correnti d’acqua e nei fiumi. Questi, come nastri trasportatori, fanno arrivare la plastica in mare. E’ stato stimato che ogni anno arrivano 8 milioni di tonnellate di plastica in mare. Dalla riva, le correnti oceaniche spingono e uniscono tutti i rifiuti in grandi isole sparse per il mondo. La plastica continua così il suo viaggio , degradandosi piano piano in piccoli frammenti e non sparendo mai del tutto.


RUBRICA “Non passa mai più di qualche minuto, ed ecco un pezzetto di plastica ondeggiare sul pelo dell’acqua. Una bottiglia qua, un tappo là, brandelli di pellicola, frammenti di lenza o di reti da pesca, pezzetti consumati di ogni tipo di oggetto. Questo sarebbe “tristemente” normale se mi fossi trovato a navigare nei pressi del mio porto natale a sud di Los Angeles. Ma ci troviamo a metà strada tra le Hawaii e la California, a mille miglia di distanza dalla terraferma, un posto che dovrebbe essere più pulito della luna.” CHARLES MOORE

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4. 3.

INVISIBILE AGLI OCCHI

Dalla sabbia delle Hawaii ai ghiacciai dell’Artico; dai pesci al sale da cucina; dai prodotti cosmetici all’acqua che scorre nel rubinetto delle nostre case. Le microplastiche, frammenti di plastica di dimensioni ridottissime dai 330µm ai 5mm, hanno invaso le nostre vite anche se non riusciamo a vederle. Queste briciole di plastica si creano a partire da macroplastiche che nel mare per l’effetto raggi UV, delle onde e del vento e anche per azione di microrganismi vengono frammentate. Il programma delle Nazioni Unite per l’ambiente ha stimato che in ogni km2 di

Reti di plastica raccolte in 1000m2 di spiaggia

oceano sono presenti 63 320 particelle di plastica e che il Mar Mediterraneo è tra i più inquinati al mondo contenendo circa il 7% delle microplastiche presenti a livello globale.

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LA CORSA AL MARE

Il 90% dei rifiuti che arrivano in mare sono trasportati da appena 10 fiumi e la maggior parte di questi si trova in Asia. I vincitori di questo triste primato sono lo Yangtze, lo Xi e lo Huanpu (Cina), il Gange (India), il Cross (confine tra Camerun e Nigeria), il Brantas e il Solo (Indonesia), il Rio delle Amazzoni (Brasile), il Pasig (Filippine), l'Irrawaddy (Myanmar). Immaginate che solo il fiume Pasig situato vicino Manila, capitale delle Filippine , trasporta ogni anno circa 65.300 tonnellate di rifiuti. Questo fiume nel 1990 è stato dichiarato biologicamente morto e nonostante i tentativi e le varie iniziative che si stanno facendo per ripulirlo i suoi 51 affluenti continuano a traboccare di rifiuti.

5.

LE ISOLE DI PLASTICA

A partire dagli anni ’80, i detriti plastici dispersi nell’ambiente sono finiti nelle correnti oceaniche del Vortice subtropicale del Nord Pacifico. Si è creata cosi la più grande discarica di rifiuti galleggianti, nella quale questi rimangono intrappolati in un movimento a spirale. Questa è la Great Pacific Garbage Patch: ha un’estensione stimata tra i 70000 km2 e i 10 milioni di km2 (più grande del Canada), con un totale di 3 milioni di tonnellate di rifiuti. In totale le isole di plastica individuate sono 6: 2 nel nord e sud pacifico, 2 nel nord e sud atlantico, 1 nell’ oceano indiano e 1 nel circolo polare artico.


6.

MMH..LA PLASTICA CHE BONTA’

Uno studio dell’ISPRA (Istituto Superiore per la Protezione e la Ricerca ambientale) ha dimostrato che il 15-20% delle specie marine che finiscono sulle nostre tavole contiene microplastiche. Non è difficile da credere se si pensa che queste briciole di plastica vengono scambiate per cibo e mangiate dal plancton, dai pesci e dalle balene accumulandosi nel loro stomaco ed intestino. Quello che non si sa è se questi frammenti e le sostanze da cui sono costituiti siano in grado di attraversare i tessuti ed entrare nella “carne” che noi mangiamo e soprattutto non si conoscono le conseguenze dell’ingestione di microplastiche per la salute dell’uomo. Inoltre diversi studi hanno mostrato la presenza di queste particelle nel sale da cucina (il 90% dei campioni analizzati le conteneva) e nell’acqua dei rubinetti. Il dato più preoccupante però è che nel 2050 ci sarà più plastica che pesci nel mare e cosi nelle pescherie e sulle nostre tavole ritroveremo bottiglie e buste di plastica...sapete che bontà?!?

7.

SI SALVI CHI PUO’

Sono 700 le specie che subiscono gli effetti dell’inquinamento da plastica: da piccoli crostacei ai pesci, dai cetacei agli uccelli. In mare ne vediamo tanta e ne vediamo anche gli effetti. Più di una volta ci è capitato di recuperare tartarughe marine, Caretta Caretta, con evidenti problemi e portarle in centri di recupero. La diagnosi? Nel 35% dei casi l’ingestione di plastica. Tanti i delfini avvistati con reti attorcigliate sulla coda e buste di plastica sulle pinne. Anche nel caso dei cetacei non mancano gli spiaggiamenti in cui vengono ritrovate elevate quantità di plastica. L’ultimo esempio è quello del capodoglio morto in Indonesia che aveva ingerito 6kg di plastica di cui 115 bicchieri, 25 sacchetti di plastica, 4 bottiglie, 4 infradito ed oltre 1000 pezzetti di varia natura. Famose sono le foto degli albatross dell’isola di Midway morti per una manciata di plastica nello stomaco. Come loro, è stato stimato che nello stomaco di 9 uccelli marini su 10 è presente plastica. 21


8.

GOOD PRACTICE

Sono tante le cause dell’inquinamento ambientale ma solo nel caso della plastica nella vita di tutti i giorni è possibile, con piccoli gesti e azioni, fare qualcosa per risolvere il problema. Farlo è semplice e basta rispettare la regola delle 3R: ridurre, riutilizzare e riciclare. Sicuramente una grande differenza la

Grampo avvistato con plastica sulla pinna

fa la riduzione dell’utilizzo della plastica, in particolare quella monouso. Le cannucce, ad esempio, vengono utilizzate per pochi minuti e impiegano oltre 500 anni per decomporsi. Immaginate che solo in Italia ne consumiamo 2 miliardi l’anno!! Se non riuscite proprio a farne a meno cercate di riutilizzarla: usate più volte il bicchiere, la bottiglietta e lavate i contenitori di plastica . Allungando la vita a questi oggetti ne ridurrete l’utilizzo. Ed infine riciclate: farlo significa dare valore alle cose, risparmiare materie prime (il petrolio) ed energia, ma anche ridurne l’accumulo nell’ambiente .

9.

TARANTO E’ PLASTIC FREE

L’Europa nel 2021 metterà al bando la plastica monouso. Alcune città in Italia e in Europa si sono già portate avanti diventando “plastic free”. In Puglia sulle Isole Tremiti a partire da maggio 2018 è stato vietato l’uso di stoviglie di plastica a favore di quelle biodegradabili. A seguirla è Taranto che dal 1 gennaio 2019 eliminerà piatti, bicchieri, cannucce e bacchette per il caffè in plastica da edifici pubblici e locali commerciali. Il provvedimento prevede di eliminare la plastica usa e getta per dare un contributo alla riduzione di questi rifiuti impattanti per l'ambiente.

10.

MA QUANTO VIVE LA PLASTICA?

La plastica è stata ideata per essere un materiale leggero ma allo stesso tempo duraturo e resistente. Queste sue caratteristiche rendono alcuni tipi di plastiche quasi eterne, immortali. La plastica si decompone in mesi, anni e a volte secoli. Una gomma da masticare, ad esempio, ci impiega 5 anni mentre un cotton-fioc dai 20 ai 30 anni. Una busta di plastica può impiegarci anche un centinaio di anni per decomporsi e una bottiglia di plastica potrebbe non farlo mai completamente. Francesca C. Santacesaria

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JDC NEWS

R ESEARCH W EEKEND Novembre è stato un mese ricco di tantissime novità per la JDC.

Tra tutte, nel weekend del 2-3-4 novembre si è svolto il primo “RESEARCH WEEKEND”. Un progetto pilota a cui hanno partecipato studenti del liceo, ragazzi universitari e docenti di scuola ma che mira ad aprirsi ad un target più ampio di persone amanti della natura e non necessariamente inserite nel settore . Famiglie, turisti e viaggiatori sono così invitati a vivere una vacanza diversa a base di mare, cetacei e scienza. Il venerdì, siamo partiti alla volta di Policoro, una traversata lunga ma emozionate con la possibilità di avvistare tante specie diverse. Il mare un pò mosso e le temperature non hanno intimorito gli ospiti che, tra racconti

sui cetacei e sulle attività di ricerca e qualche spuntino, si sono goduti la navigazione. Arrivati in Hotel a Policoro, abbiamo presentato il progetto e le attività e ci siamo goduti un po' di riposo. Durante i due giorni successivi i partecipanti hanno potuto godere dello spettacolo offerto dai delfini del golfo, in particolare di stenelle e tursiopi, ma soprattutto si sono potuti affiancare agli esperti del nostro team nelle varie attività di ricerca. Le giornate si sono svolte tra la preparazione delle apparecchiature e i momenti ricerca dei delfini; tra la raccolta di campioni importanti e alcuni approfondimenti su mondo dei cetacei. Questo weekend è stato ricchissimo di emozioni e avvenimenti.

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Solo nella giornata di sabato 3, ad esempio, abbiamo avuto la fortuna di avvistare un gruppo di una trentina di Stenelle striate con molte mamme e cuccioli. Le soprese però non erano finite qui perché a distanza di un centinaio di metri tanti altri piccoli gruppi di stenelle ci circondavano. Un avvistamento importantissimo per le attività di ricerca che prevedevano quel giorno la raccolta di campioni di DNA. Di ritorno verso Policoro, al tramonto, un’altra grande emozione : un gruppo di 6 Tursiopi molto socievoli. Subito abbiamo colto l’occasione per fare studi di acustica e registrare la voce di questi stupendi cetacei mentre uno dei biologi procedeva con la fotoidentificazione. In albergo , ancora elettrizzati dall’esperienza , i partecipanti hanno ascoltato entusiasti Aldo e Roberto, 24

biologi della JDC, che gli hanno intrattenuti con le tante curiosità e storie sui delfini.

Questo progetto che nasce per far godere, ancora di più, delle meraviglie della natura e per far vivere un weekend di vacanza in un atmosfera gioiosa . «Il “Research Weekend” è un modo innovativo per supportare il mondo della conservazione dei cetacei e le attività della JDC.» Stefano Bellomo - Biologo JDC Come tutte le attività che svolgiamo, l’obiettivo finale del “Research Weekend” è quello di creare consapevolezza nella popolazione e tutelare in questo modo i cetacei. Felici del successo di questo weekend, non vediamo l’ora di ripeterlo! Francesca Santacesaria


JDC NEWS

Anche quest’anno Babbo natale ha deciso di abbandonare la slitta e le renne e di arrivare a Taranto in un modo del tutto inusuale: dal mare a bordo di una barca. Al quinto anno della sua edizione, il villaggio di Babbo Natale sul mare, organizzato dalla dott.ssa Gaia Melpignano, direttrice del porto turistico “Molo Sant’Eligio” di Taranto, porta grandi e piccini a riscoprire il legame della città con il mare. Tenutosi nel weekend dal 14 al 16 dicembre, l’evento ha visto la presenza di numerose aziende

eno-gastronomiche, di dolciumi e di artigianato del territorio. Anche la Jonian Dolphin Conservation si è lasciata trasportare dal clima natalizio e in occasione dell’evento ha organizzato escursioni turistiche alla scoperta del mar piccolo e della città di Taranto. E’ sempre bello avere la possibilità di mostrare Taranto, nella sua bellezza e particolarità, da una prospettiva diversa.

I turisti, a bordo del catamarano Taras, si sono goduti la vista della città dal mare ascoltando i racconti sulla storia di Taranto e sulla ricchezza biologica delle acque del mar piccolo. Emozionante anche per i più piccoli che hanno scoperto la bellezza del mare d’inverno. Francesca Santacesaria 25


La posta dei lettori Mi chiamo Laura Garcia, sono spagnola e studio oceanografia. Non è poi cosi difficile immaginare perché mi ritrovo a scrivere qui: sono follemente innamorata del mare! A dire la verità, la mia passione per i cetacei è iniziata lo scorso anno quando, per caso, mi sono imbattuta in Greenrope e ho scoperto il “Marine Biology Camp”, organizzato in collaborazione con la Jonian Dolphin Conservation e l’oasi del WWF di Policoro. Durante il campo abbiamo avuto la possibilità di esplorare il bosco in biciletta, lavorare al centro di recupero e imparare molte cose sull’anatomia e sulla fisiologia delle tartarughe marine. L’esperienza che mi ha emozionato ed ispirato di più? Passare due giorni in mare alla ricerca dei delfini a bordo dei catamarani della JDC. Tornata a casa ho mantenuto i contatti con uno dei coordinatori del progetto che mi ha invitato a diventare volontario della JDC. Così ho deciso di cogliere l’opportunità al volo e di diventare volontaria per scoprire i cetacei nel Golfo di Taranto. Ho passato due settimane lavorando con il team della Jdc e collaborando nelle attività di ricerca. Ogni mattina, prima dell’arrivo dei turisti, preparavamo le barche e il materiale necessario e, dopo un piccolo briefing sulla sicurezza, eravamo pronti a partire! Per coinvolgere i turisti nelle attività di ricerca, nel corso della giornata, 26

raccontavamo qualcosa sulla geografia e sulla storia dell’aera in cui ci trovavamo, davamo alcune informazioni sulle attività locali e ovviamente parlavamo di biologia! Le persone così potevano scoprire le specie che popolano il golfo, le loro caratteristiche principali e alcune curiosità...e all’improvviso, eccoli! Al momento dell’avvistamento tutti erano veramente emozionati, io in primis. I delfini sono tra gli animali più belli al mondo ed era stupendo osservare come saltavano e nuotavano vicino all’imbarcazione giocando con noi. Mentre i turisti scattavano foto e facevano video dello spettacolo in corso, il team prendeva informazioni importanti sui delfini (specie, comportamento, numero di individui ecc.). Questa esperienza mi ha dato tanto. Mi ha fatto crescere da un punto di vista professionale: ho imparato a lavorare in barca per lo studio dei cetacei e a trasferire le mie conoscenze alle persone. E’ stata anche una bellissima e importante esperienza personale: i ragazzi del team, simpatici e amichevoli, mi hanno fatto sentire a casa. E’ stato veramente unico. Mi ha aiutato a scegliere la mia strada ed è stato il punto di partenza per la specializzazione. Adesso non vedo l’ora di iniziare il tirocinio e spero con tutto il cuore di trovare un lavoro legato al mondo dei cetacei. Grazie per questa esperienza, spero di rivedervi presto!!!

Laura Garcìa


SPAZIO APERTO

FOTO RACCONTACI Immergersi nella natura. Esplorare, con rispetto, per comprendere. Osservare il mondo con occhio più attento. Entrare a stretto contatto con i delfini, animali simbolo per eccellenza di libertà. Questo è quello che i nostri lettori-voi– avete vissuto a bordo dei nostri catamarani e che ci avete raccontato con queste foto. Per partecipare inviate le vostro foto all’indirizzo mail: lia@joniandolphin.it

Ph: Gaetana Angino

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Ph: Daniel Duzzi

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Ph: Gabriella Turchiano


Ph: Katia Lapenta

SPAZIO APERTO

Ph: Manolo Di Pino

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Ecotaras per il mare Negli ultimi anni la consapevolezza e la conoscenza del mare stanno cambiando: abbiamo compreso che il mare è un ecosistema e che deve mantenersi in un costante equilibrio. Risulta, spesso difficile, trovare un modo per preservare il nostro benessere e allo stesso tempo conservare l’equilibrio dell’ecosistema marino. Per questo oggi, molte tecnologie, procedure e leggi sono a nostra disposizione.

A Taranto, l’attenzione per il Mare si è sviluppata precocemente grazie all’intervento delle istituzioni e degli operatori economici più virtuosi che, negli ultimi vent’anni, hanno applicato importanti strategie di prevenzione delle operazioni a rischio. Il controllo e il monitoraggio delle aree portuali hanno reso gli inquinamenti di carattere ignoto sempre più rari. 30

La balneabilità di talune zone del Mar Grande è stata assicurata e in alcuni casi si è tornati ad utilizzare gli antichi bagni di metà novecento. Ecotaras Spa, da oltre 30 anni, supporta le attività industriali e il traffico navale. I l pattugliamento e monitoraggio del bacino portuale e della costa; il confronto continuo con specialisti internazionali; la ricerca e l’applicazione delle best practice in termini tecnici e di tecnologie hanno permesso la salvaguardia continua del Mare. La flotta antinquinamento può contare su mezzi navali completamente attrezzati, di altura, portuali e per bassi fondali, come rimorchiatori, battelli, multicat, bettoline. Strumentazione ed attrezzature specialistiche quali boe portabarriere, sistemi di separazione oli, sistemi integrati di rilevazione


efficienza nell’ambiente marino bisogna avere rispetto del Mare, essere consapevoli della sua imprevedibilità e della sua fragilità. Per questo Ecotaras partecipa a ricerche scientifiche esterne, con il CNR-IAMC di Taranto e con la Fondazione Michelagnoli, per il progetto IMSAT “Individuazione e Monitoraggio di Specie Alloctone nei Mari di Taranto”; e quelle interne, ad esempio con il progetto di ricerca “Particoplancton 2.0” finalizzato alla valutazione dell’impatto biologico di nuove tecnologie sulla bonifica delle acque marine, o il recente NETSIGN (Network innovativo di sensori avanzati per il monitoraggio ambientale) con partner privati ed istituzionali. IR/UV di idrocarburi e immissioni in acqua, campionatori, sistemi di monitoraggio da remoto. Importanti sono le capacità professionali degli equipaggi che vengono supportati da una costante attività formativa a cui si aggiungono le esperienze sul campo e le ripetute esercitazioni poste in atto dalla Capitaneria di Porto/ Guardia Costiera e le collaborazioni con partner primari sia in ambito del bacino del Mediterraneo e sia con leader mondiali nelle attività OSR (oil spill response). Le attività, spesso complesse, sono gestite attraverso una piattaforma informatica in grado di collegare e aggregare le numerose informazioni raccolte sul campo dagli operatori, dai nostri strumenti di bordo, dagli strumenti di rilevamento remoto, dai servizi di informazione per il controllo del traffico marittimo. Per poter operare con efficacia ed

Tutto questo ha permesso e permette oggi alla Ecotaras di tutelare e salvaguardare le risorse marine per renderle utilizzabili sia dal punto di vista sociale, che industriale e commerciale, a supporto del benessere comune. La diffusione della cultura del Mare intesa come risorsa vitale da conoscere e da tutelare per garantirne l’equilibrio e la rigenerazione, per un utilizzo sano e consapevole, è per noi fondamentale. Anche per questo abbiamo scelto di supportare Jonian Dolphin Conservation un’eccellenza tarantina impegnata da anni nella ricerca e nella diffusione della cultura del mare. Avere la consapevolezza che nelle acque in cui lavoriamo vengono normalmente avvistate tartarughe, delfini, tonni, banchi di sardine o di sgombri ci fa sentire meno soli in universo in parte ignoto, ma amico, di cui siamo solo ospiti. Francesco Argento 31


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