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Gabiano e dintorni

Il periodico dal Nost MunfrĂ

G&d

Gennaio 2014

Foto Enzo Gino


Elezioni: una occasione da non perdere Affronteremo un tema che riteniamo molto importante: le elezioni comunali. Quest’anno infatti si terranno in molti comuni Italiani le elezioni amministrative che coinvolgeranno anche gran parte dei comuni del nostro Monferrato. E’ una occasione importante nella quale si andranno ad eleggere consigli e giunte, molte delle quali vedranno ricandidature di quelle uscenti e in altri casi, come Gabiano, essendo stati esauriti i mandati amministrativi previsti per il sindaco, si proporranno volti nuovi. Come sanno bene i nostri lettori, l’iniziativa di G&d è particolarmente attenta a tutte quelle attività orientate alla valorizzazione del territorio ed a favorire il recupero e lo sviluppo di una conoscenza e coscienza comunitaria fra i compaesani dei tanti comuni e frazioni sparse sulle nostre belle colline. Le elezioni possono quindi diventare una importante occasione per le liste di cittadini che, nelle diverse realtà comunali si candideranno ad amministrare la res pubblica, e dovranno quindi redigere programmi elettorali in cui verranno indicate le politiche amministrative che, in caso di elezione, intendono attuare. In tal senso G&d si ripromette di dare il proprio contributo di idee e di proposte che ciascuna lista e candidato sindaco potranno liberamente far proprie. Ampio spazio verrà anche dato sui nostri strumenti di comunicazione (giornale, internet, Tv streaming ed altro fra cui, forse, anche una edizione speciale di G&d per le elezioni) a tutti coloro che si faranno portavoce delle esigenze del Monferrato. Iniziamo da queste righe a evidenziare alcuni aspetti importanti: quale dovrebbe essere lo spirito di chi si vorrà candidare, ed anche alcuni dei criteri, che crediamo importanti da considerare, da parte degli elet-

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tori. Crediamo che per il rilancio del nostro territorio sia essenziale la presenza di una classe di amministratori locali coscienti, disponibili, che sappiano cosa vuol dire dedicarsi ad iniziative senza scopo di lucro, come è per l’appunto l’attività di amministratore pubblico, attenti alle tradizioni ed aperti all’innovazione, che sappiano guardare anche al di là dei meri confini comunali e siano disponibili a formare un fronte comune con le realtà che li circondano superando barriere ideologiche, di partito e di campanile, mettendo al primo posto l’interesse generale della propria gente. E’ importante avere consapevolezza che da sole le piccole realtà non vanno da nessuna parte e rischiano seriamente di scomparire. Da qui la necessità di lavorare insieme non solo a livello istituzionale ma anche territoriale, fra associazioni di volontariato, pro-loco, parrocchie, enti ed anche aziende. Fortunatamente sono ancora presenti tante realtà vive, potenzialmente in grado di sviluppare sinergie e collaborazioni che ci auguriamo trovino occasione per cooperare insieme al più presto. Ovviamente occorrono proposte iniziative, confronti, informazione, su questi temi. Le idee non mancano come abbiamo ampiamente documentato in questi anni dalle nostre pagine; vi sono sindaci, amministratori, cittadini che hanno saputo sviluppare iniziative interessanti e utili al territorio anche se spesso non adeguatamente valorizzate. Questo è un altro importante compito che le amministrazioni si dovranno assumere al di là dell’imprescindibile ordinario e straordinario quotidiano: ci riferiamo alla gestione dei contributi, alla sicurezza pubblica, alla manutenzione delle strade, tutti compiti diventati oggi assai più complessi del passato. Vi sono molte persone che, in assoluta buona fede, non hanno ben presente cosa si “va a fare” in comune: alcuni pensano che sia il luogo dove curare i propri interessi, altri credono di poter accedere a strumenti in grado di rivoluzionare la vita o i destini della collettività

che si amministrano. Né l’una né l’altra cosa. La burocrazia (e chi scrive da trent’anni la vive dall’interno) costituisce e costituirà ancora per molto tempo un potente ostacolo per fare “rivoluzioni” dall’interno dei Palazzi, un ostacolo con cui tutti gli amministratori continueranno a fare, volenti o nolenti, i conti, ciò non significa che nulla i possa fare, anzi… Diventa sempre più necessario l’impegno dei cittadini, dei volontari come è stato nei secoli passati. Se ci andiamo leggere gli Statuti del Comune di Gabiano vediamo come sin dal 1400 il Libero comune si assumeva oneri ben più gravosi di quelli che oggi sarebbe utile e necessario e lo faceva coinvolgendo la gente dei propri borghi e cascine. E’ necessario ristabilire una rinnovata intesa fra le istituzioni locali ed i paesani ed anche fra le istituzioni stesse. Il municipio non può essere solo un centro di raccolta delle tasse locali, stretto fra i compiti di istituto imposti dagli enti superiori e i fabbisogni insoddisfatti dei suoi abitanti che vedono perdere servizi essenziali con un territorio sempre più abbandonato a sé stesso per carenza di fondi o sperperi di risorse pubbliche. Le realtà rurali collinari, come ogni territorio hanno punti di forza e di debolezza che devono essere sfruttati e corretti e gli enti locali a loro più vicini: i comuni, insieme, devono esser in grado di costruire proposte e soprattutto farle diventare realtà attraverso leggi e politiche incisive. Per vincere le burocrazie, abito sotto cui spesso si celano gli interessi dei forti, oltre alla forza dei numeri e del consenso occorre anche la conoscenza di leggi, interpretazioni, oltre a buoni rapporti con chi quelle leggi spesso ha scritto ed è chiamato ad applicare, i funzionari e dirigenti delle istituzioni pubbliche sovraordinate. Se come pare il processo di soppressione delle Province procede, gli assessorati della Regione Piemonte sono destinati a diventare i principali interlocutori dei comuni. Per costruire tutto questo è neces-

sario quindi fare sistema, essere pragmatici, collaborativi, consolidare rapporti orizzontali (fra comuni) per influire su quelli verticali (con istituzioni sovraordinate), essere liberi da vincoli e interessi superare pregiudizi che finiscono inevitabilmente per dividere e condizionare le già limitate possibilità di ottenere risultati concreti. Per questo è necessaria la trasparenza che si traduce in una parola: comunicare che significa informare, far sapere perché si fanno certe scelte anziché certe altre, spiegando perché quelle fatte sono le più utili alla comunità. Su questo G&d potrà diventare lo strumento ideale. E’ necessario, come qualcuno tanti anni fa scriveva, il pessimismo della regione e l’ottimismo della volontà, è necessaria la fede che smuove le montagne, è necessario sentire che non siamo soli, che tanti altri, come ciascuno di noi, vogliono e pretendono di continuare a vivere bene fra le nostre magnifiche colline, come hanno fatto generazioni prima di noi e come vogliono continuare a fare anche per il futuro, aperti a tutti coloro che vorranno venire solo a visitarci per un vacanza o meglio ancora a risiedere con noi nel Monferrato, una terra che nonostante gli errori commessi continua a darci tanto: basta guardarci intorno.

Gabiano e dintorni

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Una passione lunga... 160 milioni di anni di Giuliana Scagliotti

Elia De Duonni con il suo T-Rex

9 anni: “Sono indeciso tra l’archeologo e il paleontologo”

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I ragazzi in età scolare certamente rappresentano e guardano al futuro, anche se questo tempo di profonda crisi economica, di riferimenti e di valori, non li aiuta ad avere una visione ottimistica. Fra questi, Elia De Duonni, un bambino di 9 anni che vive con i genitori e il fratello Alessio di 22 in frazione Piancerreto di Cerrina, è una lodevole eccezione. Come tutti i suoi coetanei ama giocare e trascorrere il tempo libero con gli amici, pratica sport, come portiere nella squadra di calcio Junior asd di Pontestura, ma si distingue per una grande passione che proviene dal passato, un passato più che remoto, che viene addirittura dal Giurassico: i dinosauri. Questa precoce e insolita passione è nata già intorno ai 3 anni quando, non sapendo ancora leggere, Elia ascoltava affascinato le letture dei suoi genitori, memorizzando di qualunque animale peso, lunghezza, caratteristiche e classificazione, poi il suo interesse si è focalizzato sui grandi rettili della Preistoria. A 4 anni aveva già imparato a leggere, rendendosi “autonomo” nelle ricerche. La sua conoscenza dei dinosauri non è affatto marginale, ma sorprendentemente approfondita e ricca di nozioni precise. Ne possiede circa 400 modelli, di cui un centinaio di tale pregio da essere considerati da collezione. Con le uscite delle dispense di una rivista ha costruito, aiutato dal fratello, un modello in scala di Tyrannosaurus rex lungo 1,65 metri. “Se dovessi dargli un nome lo chiamerei Aggressore, perchè i T-Rex erano i predatori perfetti”. Elia descri-

ve con precisione particolari scientifici e caratteristiche di alcuni dinosauri da lui preferiti. “L’Albertosaurus aveva una particolare colorazione e sfumatura della pelle, il Gallimimus era il più veloce, con la stazza di ben 6 metri raggiungeva comunque i 100 km orari. Del Deinocheirus non si sono mai trovati i resti completi, ma solo delle zampe anteriori che misuravano 2,40 metri”. Ricorda anche le molte affinità di alcuni dinosauri con animali odierni: “Il Brontotherium era un antenato molto somigliante al rinoceronte, come il Megalodonte, che misurava 17 metri di lunghezza e arrivava a pesare 25 tonnellate, lo era dello squalo balena. Gli erbivori erano molto più numerosi dei carnivori, almeno il doppio, e vivevano molti più animali terrestri che acquatici”. Elia parla con entusiasmo di questo argomento e volentieri offre spiegazioni a chiunque interessato, con maestria e piglio da navigato divulgatore. I compagni di “Estate ragazzi” di Mombello, dove frequenta la quarta elementare, sono stati attenti ed interessati ospiti di una “conferenza” tenuta a casa sua, nella quale Elia ha anche spiegato quanto i dinosauri sono vissuti e come si sono estinti, come si riesce a ricavare dai resti ritrovati le dimensioni reali e l’età dell’esemplare, che il T-Rex femmina era più grande del maschio e aveva una sorta di cresta che serviva a riparare il cranio dal sole, che l’uovo di dinosauro più grande aveva le dimensioni di un pallone da calcio ed apparteneva al Diplodonte. E’ superfluo domandare ad Elia cosa vorrebbe fare da grande: “Sono indeciso tra l’archeologo e il paleontologo”. Il suo sogno? “Visitare il museo di storia naturale di Londra, dove sono esposti i più importanti ritrovamenti dei resti degli animali che furono gli antichi Padroni della Terra per oltre 160 milioni di anni”.


Giornata Mondiale del malato L'11 febbraio la chiesa cattolica celebra la XXII Giornata mondiale del Malato. Un momento importante, che serve a sensibilizzare le persone su di un fenomeno, quello della malattia, che l'universo sociale contemporaneo tende a nascondere, occultare, porre tra quegli eventi che è bene far finta di dimenticare. Per il malato (e per i suoi familiari) tutto ciò ha ripercussioni gravi, in primo luogo il sentirsi espulso dal contesto sociale, dimenticato, marginalizzato. La malattia invece, e il dolore che essa porta con sé, sono parte dell'esistenza umana, parte integrante; celebrare quelle persone che soffrono

per la malattia significa restituire a loro e a noi stessi il senso del nostro essere al mondo, nel bene come nel male, e fondare un sostegno di solidarietà. I consigli pastorali, il comune di Camino i circoli e le associazioni del territorio, trasversalmente, sostengono l'iniziativa di don Claudy's: domenica 9 febbraio, dalle ore 16 presso il capannone polifunzionale del comune a Camino, una festa per i nostri malati vedrà la benedizione del parroco, l'incanto delle torte, giochi, animazione e un apericena. Il ricavato andrà a beneficio delle opere di manutenzione dei nostri edifici sacri.

Il Picchio Il Picchio (http://ilpicchiocamino.it) ci ha inviato questa la mail sulla giornata mondiale del malato che volentieri pubblichiamo. Approfittiamo anche per iniziare a scrivere delle diverse associazioni di volontariato che operano nel Nost Munfrà partendo proprio da Il Picchio. Viviamo nel comune di Camino, una costellazione di frazioni e cantoni abbarbicata sulle prime colline del basso Monferrato a guardare dall’alto il Po e la pianura del riso piemontese. Alla fine del 2008 alcuni amici che volevano cominciare a fare qualcosa per il luogo dove vivevano, creato un gruppo di persone, si è messo a pubblicare Il Picchio, un piccolo giornale locale che oggi, tra alti e bassi, ancora continua la sua avventura. Al di là dello scrivere e della comunicazione, si è poi via via presentata l’esigenza di dare vita a una struttura più organizzata, in grado di essere attiva anche praticamente, tramite l’organizzazione di eventi, il coinvolgimento di attori territoriali e, non ultimo, la possibilità di offrire un supporto economico a un’attività che vive di solo volontariato. Il nostro territorio è stato per lungo tempo marginalizzato, ha vissuto decenni di spopolamento e di perdita di patrimonio umano e culturale. Ancora oggi questa minuta porzione di Monferrato affacciata sul Po, selvatica e aspra, dove le boscaglie sono quel che rimane di vigne e coltivi abbandonati, resta appartata rispetto alle aree limitrofe, che hanno saputo valorizzare le proprie risorse e farne un motore sociale ed economico. La nostra associazione, preso atto di questa situazione, vuole offrire un contributo alla preservazione del patrimonio locale, fatto di eventi, persone, beni materiali che sono testimoni di un passato la cui memoria quotidiana è sempre più affievolita. Ma vuole anche partecipare alla costruzione di una rinnovata coscienza di appartenenza e di attenzione nei confronti di ciò che ci circonda, nella convinzione che solo la cura verso il proprio orizzonte di vita e d’azione possa generare una società migliore. La nostra sede è nel comune di Camino (15020, AL), fraz. Brusaschetto, via Vittorio Emanuele 37.

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Ristorante Italia di Cerrina Valle Dove la a tradizione e il territorio incontrano la Green economy Via Nazionale 78 15020 Cerrina Valle (AL) Tel. +39 0142 94113 www.ristoranteitalia.it email: info@ristoranteitalia.it Chiuso mercoledì; domenica sera aperto su prenotazione Rosso Maurizio: titolare amministrazione@ristoranteitalia.it Rosso Gian Mario: Chef info@ristoranteitalia.it Giorcelli Alessia: sommelier cantina@ristoranteitalia.it

Venerdì 14 febbraio Cena degli innamorati con menù alla carta, omaggio floreale alle coppie prenotate, buon San Valentino… ———— Venerdì 31 gennaio Cena della Trippa alla vecchia maniera

Da sinistra: Alessia, Gian Mario, Ortensio, Franca, (Paola compagna di Maurizio ma che non lavora al ristorante) e Maurizio

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Su questa edizione di G&d torneremo a parlarvi di un ristorante, ma questa volta, oltre alle solite valutazioni, sul menù e le portate, daremo anche spazio ad altri aspetti che fanno del ristorante Italia un esercizio un po’ particolare. Ci riferiamo alla gestione di quegli aspetti, come la Green economy o la valorizzazione del territorio, che di solito i titolari dei locali di ristoro, sempre concentrati solo a fornire buone pietanze, non considerano. Cominciamo come sempre dal cibo Noi abbiamo pranzato al ristorante Italia domenica 8 dicembre u.s. quando nella non lontana Moncalvo, si celebrava come ogni anno la festa del bue grasso, una manifestazione che richiama un tipico piatto monferrino: il bollito misto. Già in passato abbiamo scritto su queste pagine di questo gustosa portata, non ci ripeteremo, se non per dire che qui ne abbiamo gustato uno che è certamente fra i migliori, non solo fra quelli della nostra zona, ma anche rispetto a quelli del cuneese famosi per le loro carni, ci vengono in mente il Bue Grasso o L’Osteria de Borgo, di Carrù altra sede di manifestazioni analoghe a quelle della vicina Moncalvo. Un elemento da non sottovalutare quando si serve il bollito è: come lo si serve. Il fatto di proporlo sugli appositi carrelli che lo mantengono caldo e fumante e di tagliarlo di fronte al cliente che può scegliere se lo vuole più o meno grasso, servirlo poi appena uscito dalla pentola, non è solo questione di forma ma anche di sostanza. Cotte e mangiate, notoriamente sono la risposta ideale per

questa come per tante altre portate. Meglio ancora se poi il bollito è accompagnata da un po’ di tenerissima testina e soprattutto dal più classico e tipico bagnet verde. Molte persone amano pranzare o cenare facendosi servire un solo piatto di portata, siano essi agnolotti, magari con diversi condimenti o solo fritto misto o solo bollito e nient’altro. Crediamo sia il modo migliore per apprezzare una ricetta, la si può gustare nelle sue varianti, senza farla competere con altri gusti che inevitabilmente condizionano il palato e strafocano lo stomaco specie se, come gli “anti-pasti” (mai nome è stato più azzeccato), sono preparati da quel grandissimo cuoco che si chiama fame e rende tutto particolarmente appetitoso. Per gli amanti del genere una abbuffata di bollito con tutte le sue carni e salsine al ristorante Italia è possibile ed anche consigliata. Ma ovviamente non c’era solo bollito quando abbiamo pranzato. Il repertorio tipico monferrino era al completo e preparato a puntino, secondo i canoni affinati da una esperienza famigliare consolidata in tanti anni di attività. Vediamolo un po’: salumi di Cantavenna direttamente dalla salumeria Colombano che dopo tanti anni di allevamento e macellazione di maiali sta diventando sempre più nota in questo settore, Cotechino fumante con purè sempre dello stesso fornitore, Tortino con Cardi e fonduta seguito da un altro Tortino ma questa volta a base di Topinambur, classici abbinamenti a base di verdure stagionali con gli ottimi formaggi locali, Frittatina di porri e verdure e per finire con gli antipasti caldi, i più classici e perfetti peperoni in bagna cauda: sodi, spessi, conservati in agrodolce, conditi con una bagna cauda tradizionale. A seguire carne cruda, vitello tonnato e una originale e gustosa insalata di faraona con le mele. Inutile evidenziare, oltre alla qualità delle materie prime, l’ottima pre-


parazione da parte dello chef che, viste le radici Monferrine unite alla lunga esperienza di ristoratore, non poteva che prepararle al meglio. Siamo passati poi ai primi, abbiamo optato per i tagliolini fatti in casa con burro fuso e trifole bianche (trovate dall’Ortensio) distribuite a pioggia in foglie sottili. Grazie alla collaborazione degli altri commensali abbiamo anche assaggiato gli agnolotti al sugo d’arrosto: ineccepibili, ma erano disponibili anche in brodo e visto il gran bollito preparato dovevano essere davvero eccezionali. A seguire il bollito preparato con un bel pezzo di Punta di petto da molti considerata la parte ideale per il bollito. E’ costituita dal muscolo pettorale superficiale (quello profondo fornisce il fiocco). Su questo portata abbiamo già abbondantemente scritto, ma torniamo a sottolineare la sua preparazione eccezionale al ristorante Italia. Infine i dolci: un tris con il classico Bunet, una eccezionale Torta di Castagne, una fetta della più tradizionale Torta di Nocciole ed infine, giusto per placare i più golosi un denso, caldo, zabaione con Moscato d’Asti. Il vino che ha accompagnato le prelibatezze è stato un buon Grignolino doc locale (di Massa da Mombello) del 2011. In 4 persone abbiamo pagato 157 €, vini compreso e trifola a parte 30 €. Merita ora spendere qualche parola sulla storia di questo ristorante tipicamente a conduzione famigliare. Aperto nel 1969 da Franca ed Ortensio, sposi novelli, entrambi originari di Murisengo, lui agricoltore ed allevatore insieme ai numerosi fratelli, lei aiuto cuoca nel ristorante della cognata Lucia, decidono insieme di intraprendere la strada della ristorazione. Di ritorno dal viaggio di nozze rilevano il bar-trattoria "Italia" a Cerrina Monferrato, nessun corso di cucina, nessuna scuola alberghiera, solamente tanta voglia di lavorare e tanto spirito di sacrificio. I primi anni non sono stati puramente dedicati alla ristorazione la trattoria era un punto di ritrovo e svolgeva un vero e proprio ruolo all'interno della comunità dove i bar e le trattorie erano dei veri punti di

ritrovo nei paesi dove chiacchierare e fare una partita alle carte, a biliardo o per guardare semplicemente la televisione, che non tutte le famiglie allora, avevano la fortuna di possedere. Così per decenni il ruolo di ristorante è stato marginale: il bar era grandissimo e sempre pieno di personaggi pittoreschi che giocavano alle carte bevendo improbabili liquori, fumando sigarette senza filtro e litigando animatamente tra loro, mentre la sala da pranzo era più piccola e meno frequentata. Nel tentativo di vendere qualche amaro e qualche caffè in più si facevano le ore piccole, la chiusura serale del locale spettava sempre ad Ortensio, mentre la moglie dopo i lavori in cucina saliva ai piani superiori nel tentativo di mettere a letto i giovani figli, impresa tutt'altro che facile visto che gli avventori erano chiassosissimi e litigavano regolarmente tra loro giocando a carte, urla e schiamazzi non cessavano fino a tarda notte. Nel corso dei decenni l’esperienza di mamma Franca in cucina cresceva ed il locale iniziava lentamente ad affermarsi nella zona come ristorante vero e proprio, sempre più clienti venivano, anche da lontano, per gustare i suoi bolliti, i fritti misti e gli agnolotti. Così nel 1991 i coniugi Rosso, attraverso importanti modifiche strutturali, diedero al ristorante uno spazio centrale, mentre al bar veniva dedicata un'area più marginale: addio biliardi ed addio ai giocatori di carte. Oggi, così come accadeva più di quarant'anni fa, Franca è il cuore pulsante della cucina insieme al figlio più giovane Gian Mario, Ortensio è un felice pensionato campagnolo dedito all'orto ed ai tartufi, Maurizio, il primogenito, si dedica all'amministrazione del locale mentre Alessia, moglie di Gian Mario, si occupa della sala da pranzo ed ovviamente della cantina, in qualità di sommelier. Ma i gestori hanno introdotto anche altre novità nella conduzione dell’esercizio, novità importanti e originali he meritano di essere valorizzate e proposte come buone pratiche da diffondere. Ambiente e

Sua Maestà il bollito del ristorante Italia

territorio sono due aspetti complementari, valorizzare o danneggiare l’uno vuol dire valorizzare o danneggiare l’altro, per questo crediamo che la Green Economy, economia attenta all’ambiente, possa dare un grande contributo al nostro Monferrato. Oltre ai pannelli solari sul tetto del ristorante Italia, si cerca di ottimizzare al massimo i viaggi in automobile con i fornitori, acquistando il maggior quantitativo possibile di prodotti per ogni trasporto. Si utilizza il forno quasi sempre a pieno carico, cucinando contemporaneamente tutti quegli alimenti che presentano simili modalità di cottura. Si utilizza solo frutta e verdura di stagione proveniente da aziende locali e sulla carta dei vini ci sono soltanto produttori locali o piemontesi, nessuna delle bottiglie presenti nella nostra cantina attraversa l'Italia su un camion. Dove possibile sono state installate lampadine a led o a basso consumo ed i rifiuti vengono accuratamente separati durante le lavorazioni e destinati a raccolta differenziata cercando quando possibile di ridurre gli imballaggi acquistando i prodotti in grandi confezioni. In cucina si utilizzano piastre ad induzione che riducono la dispersione di calore ed è stato installato un depuratore per l’acqua da bere: buona acqua e soprattutto riduzione dei volumi di rifiuti anche se riciclabili. Al ristorante Italia anche una semplice, essenziale, funzione vitale come mangiare, assume una veste ecologica realizzando la perfetta sintesi fra tradizione, ambiente e territorio: più unico che raro!.

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Errata Corrige Di solito non fa piacere essere corretti quando si commettono degli errori, ma, visto che sbagliare è umano, anche quando si fa del proprio meglio per esser precisi, non può che esser di conforto scoprire che qualcuno ci legge con attenzione e quindi interesse e ci segnala sviste ed errori. Se poi a farlo è Roberto Maestri del circolo Culturale I marchesi del Monferrato, indiscussa autorità sulla storia delle nostre colline, che fra l’altro ha pubblicato due volumi e numerosi articoli proprio su Bonifacio I del Monferrato non ci rimane che ringraziare provvedere alle dovute correzioni. Le segnalazioni riguardano l’articolo comparso sullo numero di dicembre 2013 di G&d relativo all’articolo della conquista proprio da parte di Bonifacio I del Monferrato, della Grecia. Due sono gli errori segnalati e riguardano la didascalia alla fotografia riportata a pagina 6 (e ripresa qui a fianco). Il dipinto raffigurato non è l’Incoronazione di Costantinopoli come erroneamente riportato ma bensì l’Incoronazione di Bonifacio a capo della quarta Crociata. Evento tenutosi a Soissons nel 1201. Il dipinto di Henri Decaisne degli inizi del 1840 si trova in una delle Sale delle Crociate a Versailles. L’altro errore, più grave, riguarda la descrizione della balzana del Monferrato, sempre nel dipinto, descritta erroneamente a bande orizzontali rossa e bianca, in verità è rossa e argento. Oltre che per la segnalazione ringraziamo il dott. Maestri anche per l’apprezzamento espresso: “Il tutto non inficia assolutamente la bontà del Vostro lavoro e l’attenzione che riservate al territorio”. Naturalmente le nostre pagine sono a disposizione del dott. Maestri qualora volesse scrivere del nostro Monferrato, e non solo.

Il mercatino di Gabiano Domenica 22 dicembre u.s. si è tenuto alla Piagera di Gabiano il mercatino di Natale. Lo scorso

anno è stato organizzato a Varengo, e il prossimo anno lo proporremo in un’altra delle frazioni Gabianesi, magari a Cantavenna. Pur essendo stato organizzato con relativa fretta, in appena 10 giorni, ha riscosso un notevole successo: una quindicina le bancarelle presenti che, ci dicono, hanno fatto anche buoni affari, grazie alla concomitanza con il consueto e ormai

8 La mostra sul tamburello

tradizionale mercato ortofrutticolo che si tiene nel padiglione coperto della Piagera e che attira molti gente dai dintorni. Buon successo anche per la Mostra dei bellissimi paesaggi Monferrini fotografati da Piergiuseppe Bollo e quella sul Tamburello, per l’occasione esposte s empre n e l mercato. Un doveroso ringraziamento da parte di G&d a coloro che hanno collaborato alla riuscita dell’iniziativa: dal comune di Gabiano che ha patrocinato l’evento, al sindaco di Ponzano che, come Unione Collinare ha fornito i gazebo, a Marinella di Varengo con tutta la famiglia a Mono Carrasco e Piergiuseppe Bollo che

ci hanno aiutato a trasportare, montare e smontare mostre e gazebo (questi ultimi con una certa difficoltà visto che dopo tanti anni di servizio sono un po’ malridotti). Un ringraziamento che vale il doppio visto che diversamente da una consolidata tradizione che vede impegnati in queste iniziative solo volontari che abitano nelle propria frazione, questi amici, pur residenti in altre frazioni, (il fotografo Pier Giuseppe è originario di Cerrina e residente a Casale) hanno saputo andare al di là dei limitati confini di campanile, collaborando anche ad iniziative che non si tenevano davanti all’uscio di casa. Un ringraziamento anche a tutti gli standisti che hanno partecipato alla iniziativa ed ai visitatori che in alcuni momenti hanno affollato le bancarelle, specie quella della AIB di Cerrina che offriva buon Vin Brulè a tutti.


Ignorante a chi? Viviamo in un universo di informazioni e di sapere come mai è avvenuto nella storia dell’umanità: giornali, libri, Tv, internet, Dvd, scuole, corsi di formazione… Potremmo affermare che un giovane di buona volontà, oggi può disporre di più conoscenza di tanti vecchi di un tempo messi insieme. Quindi siamo salvi dall’ignoranza? Manco per sogno. Pare che anche la cultura, la tanto osannata cultura sia divenuta un genere di consumo, o se preferite di commercio, come le saponette o i telefonini. Pochi infatti operano distinzioni nella qualità della cosiddetta cultura, basta sapere, non importa cosa, perché possedere un buon sapere è sempre “cosa buona e giusta e fonte di salvezza” a prescindere. Poi ci capita di sfogliare qualche vecchio libro dei nostri nonni, ci capita di ricordare certe abitudini, certe cose che essi sapevano fare e ci sorge qualche dubbio. Un tempo, qualche generazione addietro, specialmente chi viveva nelle campagne sapeva fare un sacco di cose: i nostri avi si costruivano da soli le case, scavando e segando il tufo per fare i cantun, poi aravano, seminavano, spesso con semi selezionati e preparati da loro stessi prelevandoli dai raccolti dell’anno precedente. E se la vacca si ammalava avevano qualche rimedio, sapevano quando era ora di prendere il letame da spargere nei campi e se ci si feriva sapevano farsi una fasciatura, sapevano irri-

gare, sapevano quando era il momento giusto del raccolto. Se andava a fuoco una casa sapevano cosa fare, anche perché i pompieri esistevano solo nelle città, e certamente sapevano che era un dovere aiutarsi fra vicini, perché sapevano anche che tutti potevano aver bisogni degli altri. Sapevano, sapevano, sapevano eppure tanti di loro, non sapevano né leggere, né scrivere… erano ignoranti? Certo che no! Anzi crediamo che quello che essi possedevano fosse il “vero” sapere la “vera” cultura; esiste quindi una cultura “finta” o “falsa” ? e quale sarebbe la differenza? I nostri antenati imparavano a conoscere, e soprattutto a fare in prima persona, gran parte delle cose che a loro servivano per vivere e migliorare la loro vita, quella dei famigliari e della comunità, era un sapere dettato dalla necessità non dalla moda o dal caso. In un certo senso era un sapere che li aiutava a vivere meglio il quotidiano. Pare che oggi invece il nostro fare sia delegato ad istituzioni, pubbliche o private, specifiche, a professionisti specializzati e non sia più consentito a nessuno far da sé. La nostra vita, il nostro benessere dipende sempre più da… burocrazie o da merci prodotte da altri. La recente crisi economica internazionale che stiamo ancora vivendo è un bell’esempio di come, al di là, e nonostante il nostro lavoro, impegno, parsimonia, attenzione di sempre, ci si trovi in difficoltà per decisioni e scelte prese altrove, spesso nemmeno in Italia. Una società che, un po’ per convenienza e un po’ per inganno, da anni ha subito una Marcatemp

sorta di invisibile espropriazione della capacità di fare, nelle grandi cose come nelle piccole. Tutto queste riflessioni per introdurre alcuni articoli che scriveremo sul nostro mensile sui saperi cari ai nostri vecchi ma oggi dimenticati o quasi.

La Cognà

Cominciamo dalla cucina. Quanti sanno preparare la Cugnà o Cognà?. Molti non sanno nemmeno cos’è. Era una salsina a base di mosto di vino che qualcuno chiama anche mostarda, da accompagnare alle carni. Ne esistono tante ricette, noi ve ne raccontiamo una che, crediamo, più di altre appartenga di diritto alla nostra tradizione. Partiamo da tre litri di mosto d’uva: lo si fa bollire schiumandolo quando è necessario, si aggiungono 150 gr. di vino, 100 gr. di zucchero un pizzico di sale e chiodi di garofano, cannella, noce moscata, secondo i gusti ma precedentemente ben polverizzate in un mortaio. Si continua a bollire sinché il quantitativo si dimezza causa evaporazione. Fatto!. Se poi la Cognà viene utilizzata come base per l’aggiunta di frutta da cuocere insieme a pezzettoni o anche intera come pere Cotogne, Martin sec, fichi, nocciole, noci, ecc. allora crediamo sia più corretto parlare di mostarda che è ancora altra cosa dalla Cognà.

Il marcatemp

Un esempio di genialità contadina è data dal… barometro igroscopico o meglio Marcatemp, che in passato veniva realizzato dai nostri avi particolarmente interessati a prevedere il clima. Si basava sulla sensibilità di taluni materiali ai cambiamenti di umidità atmosferica, la quale a sua volta era strettamente legata alla pressione atmosferica e, come ci raccontano i telegiornali, clima secco/ alta pressione/bel tempo; umidità/ bassa pressione/pioggia e maltempo. Da sempre, chi viveva a stretto Continua in ultima pagina

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Colombotto Rosso Questo mese abbiamo visitato a Pontestura la mostra dedicata a Enrico Colombotto Rosso l’artista, recentemente scomparso, che da tantissimi anni aveva eletto le nostre colline: quelle di Camino, come sua residenza permanente. Abbiamo incontrato alcuni suoi carissimi amici e parenti, la nipote Barbara, Antonio Attini che oltre a curare il sito internet di Enrico ha organizzato l’incontro, Ermanno Barovero altro artista e insegnante all’Accademia delle Belle arti di Torino; anche lui da anni ha acquistato una casa nei nostri paesi, ed Emanuele Demaria sindaco di Conzano oltre alla Sig.ra Bianca di Pontestura che cura la mostra ed accompagna i visitatori. E’ stata l’occasione per raccogliere informazioni inedite su uno dei più noti, forse il più noto artista contemporaneo vissuto nel nostro Monferrato, tanto apprezzato che si sta costituendo una Associazione degli Amici di Colombotto Rosso per valorizzare la storia e la vita dell’artista anche facendo conoscere le sue opere raccolte nella sua “casa-romitorio” di Camino, nella mostra permanente a Pontestura ed a Conzano nella splendida cornice di Villa Vidua. Barbara la nipote ci ha parlato a lungo dei momenti trascorsi insieme a lui, delle sue vicende umane, artistiche e familiari. Nato nel 1925, abita a Torino, non ha mai frequentato scuole d’arte, è un autodidatta che frequenta gli

artisti della sua città, dove apre una galleria d’arte in cui espongono fra gli altri Giacometti, Bacon e Balthus. Osteggiato dai genitori che non ne volevano sapere della sua passione per l’arte, alla loro scomparsa, con i fratelli decide di vendere l’azienda di famiglia grazie alla quale potrà permettersi una vita agiata viaggiando per il mondo e conoscendo i più grandi artisti del secolo scorso: Jean Genet, Max Ernst, Leonor Fini, John Houston, Eugene Jonesco, Wharol, Becker e il regista Fellini. Non si contano le mostre nel mondo a cui ha partecipato. Il suo stile certamente originale, è stato influenzato dalle esperienze della sua vita: la non comunicazione con il padre “che non mi ha mai voluto perché sentiva che ero un bambino diverso” , né con il fratello “mentre io leggevo lui sollevava pesi”, le ricerche condotte sul corpo umano svolte anche frequentando il Cottolengo di Torino, un voluto isolamento che, come lui stesso racconta nelle sue interviste, “è stata la mia formazione” così come la libertà espressiva di chi non doveva soggiacere alle esigenze del mercato per produrre arte commerciale. Infaticabile “lavoratore” dedicava alla pittura tutto il tempo disponibile passando intere giornate dall’alba al tramonto a creare le sue opere: “Per quello che riguarda il mio lavoro credo di aver descritto migliaia di fogli d’inchiostro, ci sarebbero voluti 800 pittori per produrre ciò che ho prodotto io”. Basta pensare che Enrico detiene probabilmente il Guinness dei primati in fatto di dipinti avendo realizzato un’opera lunga... un chilometro realizzata con fogli di 4 metri per 2 con l’inchiostro di china a cui ha dato titolo: Ossessione, rappresentante nudi: i nudi come lui li vedeva. Ha impiegato un intero anno, il 1992, per realizzarla e non è mai ancora stata esposta per l’evidente difficoltà di trovare una location

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Enrico Colombotto Rosso

idonea, è rimasto uno dei sogni non realizzati di Enrico. Così come non è mai stato fatto un libro con le 500 tavole con cui ha illustrato la notissima raccolta di poesie: Le Fleur du mal di Baudelaire. Non è facile definire con i vocaboli ordinari dell’arte le sue opere, la definizione che amava di più, era quella di una critica tedesca che lo definì come uno dei pochi artisti che lavora in stato di inconscio ipnotico, senza progettare. E non si può che condividere questo giudizio, le sue figure riportano ad una umanità non terrena, verrebbe da dire exraterrestre nel senso di al di là del terreno, come lo sono l’inconscio, il sogno o l’incubo. Figure indefinite, deformate, spesso disarticolate, dai lineamenti poco o per nulla riconoscibili, con occhi chiusi, espressioni cupe: dormienti, urlanti, silenziose, spesso con le bocche aperte, immerse più che emerse da fondi a tinte forti in cui spesso il rosso è il colore dominante, seguito dal nero, metafore del sub-conscio. Sono opere la cui estetica (dal greco: sensazione) rappresentano pace, serenità, armonie, silenzi o grida ma sempre travagliati, sofferenti, doloranti che non lasciano spazio alla semplice, banale bellezza esteriore, formale, canonica, di moda, di superficie. La bellezza nasconde sempre una storia di sofferenza che, se ci pensate bene, passa sempre e inevitabilmente attraverso un travaglio, come la farfalla trasformazione del bruco uscita a fatica dal suo bozzolo, il feto che cresce nel grembo materno prima del parto finale, il pulcino che schiude l’uovo. Colombotto Rosso rappresenta, nelle sue forme, quei momenti evoluzioni essenziali verso la bellezza compiuta, passaggi di vita sofferta verso il perfetto. Se volete rilassarvi, dimenticare, vedere rappresentazioni idilliache, bucoliche, pastorali, elegiache, probabilmente la sua arte non fa per voi. Ma se cercate ciò


che dentro ciascuno di noi abbiamo, consciamente o inconsciamente nascosto, o abbiamo vissuto, nei suoi quadri lo potete ritrovare. E’ bello?, è brutto?, non sapremmo dire, dipende dai gusti; ma è certamente vero, come vera per quel che riusciamo a intuire è la Verità che ha una sua intrinseca bellezza, anche se quasi mai piacevole. Ed adesso che crediamo di avere qualche vago sentore della sua personalità, stupiamoci, perché Colombotto Rosso è anche uno spirito idilliaco, bucolico, dolce, carino, come non appare dalla sua arte dipinta ma dimostra invece con la sua collezione di… bambole. Sì, perché sempre nei locali del Comune di Pontestura, si può ammirare la splendida raccolta di bambole che l’artista ha collezionato nella sua vita. Un passione che ci consente di vedere autentici pezzi ormai introvabili, come una delle prime Barbie che venne realizzata in dimensioni naturali, alta circa 1 metro per poi scoprire che non era propriamente adatta alle bambine, o un raro esemplare di Pinocchio... femmina, o una rappresentazione

in bambola della nota Marilin Monroe. Qua e là poi qualche quadretto realizzato da Enrico con le perline per le collane ed i filati o con tante piccole bamboline. E tutto torna a confondersi: la bella e la bestia. Ma chi è la bestia: è quel corpo deforme o il volto scomposto che prima e dopo la vita tutti noi assumiamo? E la bella chi è? la Barbie studiate nei centri di marketing per assecondare l’immaginario collettivo di ciò che tanti vorrebbero essere? Quale personalità contraddittoria, quale spirito versatile, quale sensibilità policroma può amare insieme la perfetta rappresentazione iconografica della bellezza di moda, raffigurata da una bambolina bionda con gli occhi azzurri e contemporaneamente raffigurare corpi deformi ispirati dal Cottolengo!

L’Associazione Ci racconta Demaria sindaco di Conzano, comune che gli ha conferito ad Enrico la cirttadinanza onoraria, che si sta costituendo l’Associazione amici di Colombotto Rosso che vede fra i promotori oltre al Comune di Conzano, Antonio Attini, Chicca Morone, la nipote Brabara Colombotto Rosso e tanti altri: sono già un centinaio coloro che hanno aderito alla iniziativa. Scopo dell’associazione è quello di valorizzare e non disperdere il cospicuo patrimonio di opere prodotte dal generoso artista, che solo a Conzano ne ha donate 102. Con Camino e Pontestura si potrà così realizzare un percorso culturale e artistico fra le nostre colline. L’adesione è aperta a tutti e chi è interessato può contattare il sindaco di Conzano (0142-925132) o Attini (347-9756902). L’associazione sta raccogliendo anche lettere, note, bozze, scritti, fotografie che Colombotto Rosso inviava agli amici da rendere disponibili alle molti persone stanno sviluppando ricerche su Enrico ma incontrano difficoltà a reperire il materiale documentario necessario.

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Ignorante a chi? da pagina 9 contatto con la natura, aveva imparato a conoscere i comportamenti di questi materiali. Aveva notato che con l’umidità i capelli si arricciano, così come il legno gonfia e si deforma, analogamente alle pelli, alle membrane animali o alle unghie e alle... corna. Ci piace immaginare che per arrivare a rendere funzionali quelle invenzioni popolari molti nostri avi avranno fatto un sacco di tentativi, di prove, dedicando il tempo disponibile nelle uggiose giornate autunnali e invernali quando i lavori in campagna si fermavano; il tutto senza attendersi finanziamenti per la ricerca o sperare negli utili provenienti di qualche brevetto. Il piacere probabilmente veniva loro dalla soddisfazione di raccontare con un po’ di orgoglio agli amici in piola come riuscissero a prevedere il tempo meglio di loro. Ma ecco come funzionava il Marcatemp (vedi figura a sinistra a pag 9): il cuore del sistema era una lametta di materiale sensibile all’umidità: come ad esempio legno, chiamata arco o lunetta lungo una sessantina di centimetri (più lungo era più era sensibile), largo 5 millimetri, che veniva fissata ad un estremo analogamente ai moderni bimetallo. Bastava aver l’accortezza che essa fosse sottile 1 o 2 millimetri con le fibre longitudinali sulle quali venivano incollati con colla animale tante tesserine sempre di legno ma con venatura perpendicolare a quella della lamella di supporto. Il legno, si sa, assorbe l’umidità, le fibre gonfia-

vano e la lamella composita si fletteva. In base a questa flessione si risaliva all’umidità e quindi alla pressione e quindi al clima. Conoscevano anche il legno ideale per questi oggetti: l’Abete bianco “morto in piedi” . La versione più primitiva (figura a destra a pag. 9) che sembra fosse nota sino agli uomini delle caverne, prevedeva banalmente un rametto secco scortecciato al posto della lamina. Un barretta dritta o ricurva portava una scala indicante la deformazione e la possibilità di segnalare la posizione della lunetta per poterne vedere anche le piccole variazioni. Ma esistevano un sacco di altre maniere per prevedere il tempo. La natura, a chi aveva imparato a conoscerla, raccontava (e racconta ancora oggi) un sacco di cose. Ad esempio la Carlina Comune spinosa ed il Camaleone hanno fiori che al variare dell’umidità si chiudono. Il Fiorrancio o Calendola pluviale selvatica ha i fiori che si aprono, costantemente, dalle sette di mattina alle sedici, se il tempo è secco e quindi bello. In vista di pioggia si chiude prima o non si apre affatto. Ma siamo appena all’inizio: se cambia il tempo le mucche al pascolo, tendono a stravaccarsi sui prati ed a leccarsi le zampe anteriori, le mosche diventano moleste, le lumache escono dai loro nascondigli, le marmotte stridono con un certo vigore, e le trote tendono a guizzare fuori dall’acqua per catturare quegli insetti che invece tendono in quelle circostanze a volare a pelo d’acqua. Stesso motivo che spinge le rondini a volare radenti al suolo. Se il tempo è al bello invece: gli uccelli tendono a volare alto nel cielo, i pipistrelli svolazzano sino a notte inoltrata, le rane gracidano in coro, gli imenotteri: api, bombi, vespe, al mattino sono numerosi. E le ragnatele nei campi? Se hanno fili allentati il tempo è secco, se è umido sono tese e c’è da aspettarsi la pioggia. Ma esistevano ancora altri sistemi. Basta infatti del banale sale da cucina sul davanzale. Notoriamente il Cloruro di sodio è un composto

Fiorrancio o Calendola volgare

Carlina comune spinosa

igroscopico, se c’è dell’umidità nell’aria vedrete formarsi una macchia d’acqua condensata dal sale. Se invece l’aria è secca, tempo bello, i cristalli resteranno asciutti. E per i più sofisticati c’è anche il sale che cambia colore: il Cloruro di Cobalto. Un po’ di polvere di questo sale incollata su un cartoncino o altro supporto (molti ricorderanno bamboline ed altri oggettini “pitturati” con questo sale diffuso anche in Piemonte). Se diventerà rosa allora siamo in presenza di umidità, con clima secco resterà di un bel blu Cobalto... appunto. E noi, oggi, senza la “sentenza” di un meteorologo non sappiamo che fare e come vestirci per uscire di casa. Ma non sappiam nemmeno quanto ci toccherà pagar di tasse, in compenso sappiamo che una certa attrice ha le tette rifatte! Ci siamo persi qualcosa?

Il ragno ci dice che tempo farà


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