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Gabiano e dintorni

Il mensile dal Nost MunfrĂ

G&d

Gennaio 2013

Tramonto da Villamiroglio da una foto di P.G. Bollo


Presto la mostra sul Tamburello

In circa 50 manifesti la rappresentazione dello spirito Monferrino di questo sport

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Anticipiamo ai nostri lettori un’altra iniziativa che stiamo portando a termine con gli amici Riccardo Bonando e Pier Giuseppe Bollo. E’ una iniziativa che, crediamo, venga fatta per la prima volta in Italia ed è unica nel suo genere: una mostra sul tamburello. E’ noto che il territorio e le genti che nei secoli lo hanno abitato hano interagito fra loro plasmandosi reciprocamente. Così la ricerca ci ha portato a indagare sul perché il tamburello è presente soprattutto nelle nostre colline e quale sia il suo rapporto con la loro vita. Ci è persino troppo facile immaginare che le case rurali con i loro muri ciechi che perimetravano, di solito verso nord, i fienili, le lunghe pareti di tufo in fregio alle strette strade sterrate diventavano i luoghi ideali in cui, con una semplice palla di pezza o di pelle, si poteva trascorrere qualche ora di d i v e r ti m e nt o nelle pause del lavoro nei campi. Da lì agli sferisteri più o meno attrezzati, alle tribune, alle squadre con i loro campioni, il passo è breve. Così grazie alla “miniera” di fotografie scattate da Pier Giuseppe che da anni è diventato “il” fotografo nelle gare di tamburello, a Riccardo Bonando esperto giocatore di tamburello nella massima serie

nazionale e che molto ha da insegnare anche a livello internazionale, unitamente all’impegno nella diffusione della cultura e tradizioni del Monferrato oggetto statutario dell’associazione G&d, si è deciso di “costruire” questa mostra che si pensa di inaugurare prima dell’inizio del campionato 2013 di tamburello (verso marzo). Sarà anche l’opportunità per rivedere persone, tempi, luoghi passati che erano e sono tutt’oggi un’importante componente della comunità Monferrina, che attraverso il tamburello hanno contribuito a plasmarla creando un sentire comune. Infatti come altri scrivevano “chi non ha passato non ha futuro”, ebbene il Monferrato ha certamente un grande passato e questa storia del tamburello è solo un particolare di esso ma siamo certi che potrà aiutarci a costruire il futuro. La mostra sul Tambass che si intitola: Tamburello e dintorni: Sport e cultura del Monferrato, si articola in due sessioni: - il suo mondo - la sua storia Nella prima abbiamo raccolto in 7 serie di pannelli (34 in tutto) le fotografie dei momenti e delle realtà salienti del mondo di questo sport: - Il bello del tamburello: con alcune delle più belle immagini scattate qua e là nel mondo del tambass; - I ruoli del tamburello: in cui il gioco di squadra diventa essenziale per vincere; - Gesti spettacolari: come e più di tanti altri sport nel tamburello il corpo, le sue movenze e le sue posture si adeguano alle esigenze del gioco diventando spesso elemento essenziale per la vittoria; - I colpi del tamburello: come e più di altri sport è coordinazione, movimenti armonici con l’unico obiettivo di scagliare la pallina nella metà campo avversaria. Traiettoria, forza, dinamicità e precisione, sono le caratteristiche necessarie

Il Logo della mostra disegnato dall’arch. Iris Capra


per un colpo vincente, un tassello per una futura vittoria. - I giocatori e le squadre: avremmo voluto riportare tutti i giocatori e tutte le squadre che hanno contribuito a creare nei decenni la cultura del tamburello; lo spazio non ce l’ha consentito, abbiamo quindi scelto fra il materiale fotografico disponibile alcuni di essi o di esse in rappresentanza di tutti gli altri; - I personaggi: oltre alle squadre ed ai giocatori vi è un variegato e complesso mondo di persone che ruota attorno al tamburello, sponsor, sostenitori, istituzioni, società, federazioni; doveroso quindi riportare un “flash” di questo universo meno appariscente ma imprescindibile per l’esistenza di questa realtà; - Il pubblico: tutti siamo pubblico: chi va alle partite, come chi ora sta guardando questa mostra. Un pubblico che cambia nel tempo, cambia nello stile e nel sostegno alle proprie squadre, o ai propri beniamini, che sono spesso gli amici della stessa frazione. Un pubblico

di intenditori o di semplici osservatori che passano insieme, magari in compagnia di amiche e amici o con la famiglia qualche ora di svago all’insegna di uno sport in cui amicizia e competizione non si contrappongono mai. Nella storia del tamburello abbiamo invece ripercorso i suoi momenti salienti: - L’antenato del tamburello - Il gioco del tamburello - I luoghi del tamburello - Come si gioca - Quando il tambass lo costruivano i contadini - 1898: primo campionato italiano di tamburello - 1927: nascita della federazione - 1955 primo incontro internazionale Italia – Francia - 1965: nasce il Torneo del Monferrato - 1973: i campi diventano più corti - 1975: il tamburello dalla pelle alla plastica - 1976: nasce il girone unico nazionale - 1976: rinasce il torneo a muro - 1986: la scissione della F.I.P.T.

Uno dei manifesti della mostra realizzato da una foto di P.G. Bollo - 1997: 1 contro 1, la nuova frontiera del tamburello. Per ora ci limitiamo a questo, invitando sin d’ora i nostri lettori alla mostra di cui sul prossimo numero di G&d faremo sapere luogo e data.

Mumbè Monfrà e listeuria dla bagna cauda La leggenda sulla nascita della

bagna cauda

Un nostro amico di Cantavenna Giovanni dal Vitalin ci ha fatto avere un bel libro scritto in occasione del 150° anniversario dell’Unità d’Italia, da Massimo Balbi nativo di Mombello Monferrato, classe 1945. Dipendente presso la Sezione Grandi Motori della Fiat poi all’ILVA di Torino ha pubblicato anche altri libri fra cui un libro-diario sui 100 anni di storia della famiglia Imarisio e nel 2008 un volume dedicato al tamburello “1968-2008 40 anni l’arcàs m’an vis ad la Sportiva Tamburellistica Mombellese” Società di cui fu presidente nel 1968. Dal 2005 vive a Mombello. In queste pagine abbiamo riportato alcune pagine del suo libro credendo di fare cosa gradita sia ai nostri lettori che all’autore.

Listeuria dla bagna cauda Tanto e tanto tempo fa, circa 400 anni or sono Mombello non si chiamava così, ma era noto come Mom-

bellone. Era chiamato così per la vastità del suo territorio che comprendeva gran parte della Valle Cerrina. Il paese era diviso in tre tronconi. Sulla sommità della collina si innalzava maestoso ed imponente il maniero. Era circondato per due lati da due file di mura una sovrastante all'altra, gli altri due lati invece da un profondo fossato, (oggi una stradina detta "Antor èl fossa") che lo rendevano quasi inespugnabile. Vi dimorava la "Signoria", il suo seguito e il clero. In un'ala del bastione vi erano i locali per i soldati, le stalle e le prigioni: le altre case all'interno delle mura invece erano di appannaggio dell'alta borghesia. Al lato di tramontana vi era "Él prà dla Blon-a", dove i soldati imparavano a guerreggiare. Ai piedi della collina vi era "Él prà dla ra", un vasto pianoro adibito a mercato, dove contadini, artigiani e pa(continua a pagina 7)

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Dormono, dormono sulla collina... Alcuni amanti della letteratura ricorderanno un bel libro da cui un famoso cantautore scomparso, Fabrizio De Andrè, trasse una altrettanto bella canzone: Dormono sulla Collina. Il libro è la famosa Antologia di Spoon River che Edgar Lee Masters pubblicò fra il 1915 e il 1916 ed ebbe un grande successo, unico e irripetibile per l’autore che pure scrisse numerosi altri libri. In esso si racconta attraverso brevi descrizioni, più simili a epitaffi che a poesie, cenni di vita di persone scomparse di un immaginario paese, Spoon River appunto. I racconti vennero pubblicati su un giornale: il Mirror di St. Louis. Così, visitando la tomba della madre scomparsa e raccogliendo pettegolezzi e maldicenze dei compaesani immersi nella cultura puritana dell’epoca, l’autore descrive i travagli affrontati in vita dalle persone scomparse di cui restava ora solo una lapide ma che, proprio perché scomparse, non avendo quindi più nulla da perdere, potevano finalmente “raccontare” le loro vita in assoluta sincerità. Nella realtà Masters si ispirò a personaggi veramente esistiti nei paesini di Lewiston e Petersbourg (Illinois - USA) alcuni dei quali, all’epoca, ancora viventi, il che scatenò qualche polemica nel vedere le loro faccende pubblicate in quelle poesie. Da parte nostra ci accontenteremo di fare alcuni cenni sulle persone scomparse, avremmo voluto farlo per tutti ma lo spazio e il tempo disponibile sono tiranni ai quali non possiamo sfuggire. Non è detto però che in futuro, con l’aiuto dei nostri più anziani compaesano non ci si cimenti anche noi, certamente indegni emuli di Masters, a scrivere una antologia vera e propria. Per ora noi e i nostri affezionali lettori ci accontenteremo di qualche “pennellata” di sbiaditi ricordi. Per la cronaca i personaggi citati dormono nel cimitero di Cantavenna di Gabiano.

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E questo è il luogo dove riposa Giuseppe “Pinin” Brusasca. Cantavennese di nascita, il nonno fu Comandante della Guardia Nazionale del Comune di Gabiano nel periodo delle Guerre di Indipendenza Italiana. Il padre fu Deputato del Partito Popolare nella XXV e nella XXVI Legislatura del Regno. A diciassette anni fu soldato ed in seguito si Laureò in Giurisprudenza e in Scienze economiche e politiche. Fervente cattolico fu consigliere del Comune di Casale dal 1923 al 1925, per poi ritirarsi dalla vita politica per l'avvento del Movimento Fascista. Su incarico di De Gasperi, nel 1942 iniziò l’organizzazione del nuovo Partito in provincia di Alessandria. Durante la Resistenza, fu fra i fondatori della Divisione Partigiana Patria. Dopo l’otto settembre 1943, fu nominato da De Gasperi rappresentante del Piemonte nel Comitato Esecutivo per l’Alta Italia della DC. Dal 1945 al 1948 fu Presidente dell'Amministrazione Provinciale di Alessandria e fu Sottosegretario di Stato all'Industria e al Commercio (1946), all'Aeronautica (19471951), all'Africa Italiana (1947-1953), alla Presidenza del Consiglio per lo Spettacolo (1955-1957). Fidato collaboratore di De Gasperi ne seguì da vicino la carriera politica così da essere presente in quasi tutte le sue formazioni ministeriali, tanto che su di lui correva questo benevolo epigramma "Viva De Gasperi, che ha sempre in tasca (per qualche carica) il buon Brusasca". Svolse grande attività nell’Africa Italiana dalla Libia alla Somalia all’Etiopia ed all’Eritrea e con il fratello Michele promosse anche numerose opere sociali nel paese natale. Fu Deputato e Senatore nel corso di molteplici legislature, svolgendo alla Camera ed al Senato intensa attività parlamentare fino agli anni Settanta. In vecchiaia si ritirò a vita privata a Cantavenna, nell'antica casa di famiglia dove si spense alla età di 94 anni.


Qui è sepolto Mario Brusasca a tutti noto come Mariolone per le sua figura imponente. Scomparve a soli 68 anni per una broncopolmonite. Per anni gestì il notissimo ristorante di Cantavenna, Bianco Fiore, proseguendo l’attività del suocero Cesare suo fondatore; ristorante che prese poi il suo nome e che il figlio Claudio gestisce oggi con la stesso stile e la stesso menù Monferrino. Grande amante della musica Monferrina che cantava accompagnato dalla sua chitarra e successivamente anche da una band per allietare amici e commensali. Per anni il suo esercizio che era, ed è tuttora, anche bar fu il centro d’incontro del paese dove fra il fumo delle “sigale” e le grida dei contendenti, i compaesani si sfidavano a briscola e scopa. Personaggio assai popolare era il principale sponsor della nota corsa ciclistica Torino Cantavenna che ogni anno si teneva il 25 aprile.

Questo è il luogo ove giacciono le spoglie mortali di Gino Francesco Roberto. Fu podestà e poi vicesindaco, ma a tutti era noto come il “marisial” ovvero il maresciallo, per gli anni trascorsi nell’arma dei Carabinieri con questo grado. Passò gran parte della sua vita a Cantavenna, andò infatti in pensione a 41 anni e morì a 82. Affrontò i gas di Yprees nelle trincee della Grande guerra e testimoniò ai processi contro ufficiali delle SS che assassinarono famiglie ebree sul lago Maggiore dove comandava la locale stazione dei carabinieri. Spesso cercato da compaesani che chiedevano conforto e ragione per torti reali o presunti subiti, di buon grado si prestava a svolgere opera di mediazione e compromesso o semplice consiglio. Se qualcuno si agitava un po’ troppo immaginando sfracelli e vendette soleva dire: “lassa che rua fassa l’so gir” (lascia che la ruota faccia il suo giro). Amava la caccia (usando solo la sua vecchia doppietta) ed era un ottimo cuoco. Ogni anno, come vuole la tradizione, il dì dla festa del paese organizzava un grande pranzo con tutta la famiglia. Fra i suoi rimpianti, che nessuno dei suoi 4 figli avesse seguito la carriera militare.

Qui giace invece uno sconosciuto alla maggioranza dei compaesani, Zeni Riziero le cui spoglie sono capitate in questo cimitero... per caso. Fu per via della sorella, unica parente, che qui con il marito trascorse gli anni della pensione. Era noto come il barone Rogè per lo stile di vita raffinato che conduceva. Trascorse buona parte di essa a cavallo fra Capolago in quel di Varese, dove soggiornava nella villa graziosamente concessa da un amico tedesco (a seguito di una mano a poker andata a male) e la Svizzera. Fu grande amico di grandi industriali e personaggi famosi dell’epoca, Borghi della Ignis, Rosalina Neri attrice, Angelo Moratti petroliere patron dell’Inter, con cui frequentava ville e Casinò: principalmente Campione d’Italia. Una volta allo Chemin de fer sbancò quello di Baden Baden finendo per l’impresa sui giornali e sperperando la vincita milionaria in una settimana, come sempre gli accadeva quando la fortuna gli sorrideva. Conosceva 4 lingue, non si sposò mai ed ebbe infinite avventure. Quando poteva pasteggiava a Champagne come ben ricorda il ristorante Da Mario dove ogni tanto veniva a fare qualche cenetta con gli amici; per tutta la vita fumò Turmac. Suo rimpianto: l’unico nipote che aveva e che tanto amava, non seguì le sue orme: si sposò, due volte, guadagnandosi ogni volta l’affettuoso rimbrotto di “pulaster” (in milanese: pollo) e, nonostante gli avesse fatto conoscere quel mondo brillante, preferì ad esso la tranquilla vita di paese, inconcepibile per il barone.

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1992

Qui riposa Gigi Cantamessa titolare della Locanda del Rubino oggi condotta dal nipote Matteo. Oltre alla grande cucina Monferrina preparata nel suo ristorante, la promosse in Italia e nel mondo. Fu infatti anche fondatore dell’associazione “la Pentola magica” che contava 50 ristoranti in tutta l’Italia con promozioni in Kenia a Mombasa, in Portogallo, Germania, Francia e altri paesi europei. Con Aldo De Paul sindaco di Gabiano nel 1983 costituì il club dei Super 100 con sede nel suo ristorante in cui periodicamente si incontravano i “ciccioni” per la conquista del titolo di Miss o mister Ciccione sotto lo slogan “Grasso è bello”. Per queste attività fu certamente uno dei più attivi “ambasciatori” del nostro Monferrato nel mondo.

ONORANZE FUNEBRI EDEN di BERTOLE' LUIGI e OSTA LUCA 24, via Torino - 15020 Gabiano (AL) tel: 0142 945464, 335 7605900 Reperibile 24 ore su 24

Qui giace Mariolino al secolo Mario Motrassini, pittore (non amava il termine decoratore usato per l’attività che svolgeva), cantante o, come lui soleva chiamarsi, artista. Era noto per le sue esibizioni canore in cui lo accompagnava suo fido cagnolino meticcio. Lui con la chitarra, cantava pezzi messicani in stile jodel e Ciro, detto CiroBello, ululava a tono, bardato con gilet, farfallino e spilla d’oro. Negli anno ‘80 toccò l’apice del successo grazie agli spettacoli nelle prime televisioni private. La morte di Ciro, sopravvenuta per vecchiaia, fu per lui e per la sua attività artistica un colpo mortale. Non bastò l’asilo affettuoso del Mariolone dove trovò sempre assistenza: gli ultimi anni li passò tra liti, scherzi, ripicche, musica e Barbera. Con lui si consumò e si concluse la stagione delle ribotte, della musica fino a tardi, delle chitarre. L’ultimo fuoco d’artificio fu la storia dello zio vescovo, l’inesistente Monsignor Candido Motrassini, della Diocesi amazzonica di Tabatinga, interpretato in un pomeriggio di febbraio dal celeberrimo Ceco dla Vila, che nel 1990 portò Mariolino sulla stampa locale e i suoi amici in caserma... dai Carabinieri.

Qui trova pace Eligio Zai, a tutti noto come l’ultimo traghettatore del “portic” e l’ultimo pescatore professionista del Po. Per anni aveva condotto, sotto Rocca della Donne, il traghetto che garantiva i collegamenti fra la collina e Palazzolo Vercellese. Praticamente in servizio h 24 trascorreva lunghi periodi nella baracca presso l’imbarco ai piedi delle colline. Quando le condizioni del Po non consentivano l’uso del traghetto il “Ligio” come tutti lo chiamavano riusciva ad accompagnarvi sull’altra sponda manovrando con maestria la sua piccola barca. Fu certamente fra i più grandi conoscitori del fiume sul quale grazie al sapiente uso delle reti ha svolto anche l’attività di pescatore. I suoi furono probabilmente gli ultimi pesci del nostro Po che i compaesani potevano acquistare (barbi e “Quaiast” ). Allegro, gioviale, incline alle battute ed allo scherzo, era sempre disponibile a dar consigli agli altri pescatori “dilettanti” ed a organizzare qualche mangiata sul Po a base di pesci che con grande facilità, grazie alla sua esperienza sapeva sempre dove e come catturare.

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El mè pais

Mumbè e la Bagna cauda (da pag. 3)

pastori portavano i loro prodotti. Ancor più veniva usato per manifestazioni dove i cavalieri in armi cimentandosi in tornei, facevano sfoggio della loro abilità. In fondo alla vallata vi era "Él prà dla Cort", dove intorno a quattro fonti di acqua, viveva in baracche costruite con canne e travi di legno, la bassa plebe, composta per lo più da poveri contadini e pastori. A portare conforto, aiuto ai bisognosi si aggirava nelle baraccopoli una signora che per la sua grazia, gentilezza, modo di fare era soprannominata "Madama". Abbondante in tutta le sue forme, con una veste giallo marrone nella parte superiore e bianca in quella inferiore, dono forse di qualche dama dell'alta borghesia, a completare l'abbigliamento un vistoso cappello e a cingere il collo una strana collana formata da una treccia d'aglio, sottobraccio gli attrezzi del suo mestiere: un cestino, bende e erbe medicinali. In quel periodo imperversava il conflitto tra Francesi e Spagnoli. Era iniziato nel 1618 e si protrasse sino al 1648 (la Guerra dei Trent'anni). Aveva coinvolto quasi tutta l'Europa, non venne risparmiata nemmeno l'Italia, allora divisa in tanti staterelli. Anche Mombellone venne coinvolto, e a seconda delle vicende della guerra era occupato o da gli uni o dagli altri. Siamo giunti così ai primi giorni di dicembre del 1628. In quella uggiosa e fredda mattinata un carro pieno di provviste, scortato da un gruppo di soldati spagnoli, transitava sulla stradina che costeggiava "Él prà dla Cort" veniva assalito dai Francesi. Mentre i contendenti se le davano di santa ragione, come spesso accade "tra i due litiganti il terzo gode", i

Pais monfrìn Ch'ët uèrni ij sògn Dij mé ani masnà! La colin-a ët sara ant ij so brass smantiànda minca tant na màcia ëd verd ch'la monta su, fin-a ’n Castè; Arsin-a, Bon Bernard, la Mora, ël Cassinot con Gabi, San Martìn e San Bastian jë scondo la blèssa sèmpia dë strajëtti ch'së smòrto ant n'ara campagnin-a o dëdvàn na cioènda ch'la fa babòni ant n'ort. La "Stòria" l'ha lassa na marca dël sò cors: ij merlo e cola tor j'en tastimòni d'un passa ch’l’ha visti compagnati sensa blaga, a tanta nobiltà!... ... Quand che la sèria la slarga n'ombra dossa ansùma ij brich ansèma 'l son ël l'Ave dël campan-i cheur, da da ment: la tèra la fìarìss dël fià dij grand cissanda, ën cheur, na vos: Mombè l'era nòst, e dès l'è ’l tò veurij semp ben!...

popolani che assistevano alla contesa si impossessavano di gran parte delle provviste. Il bottino che comprendeva tra l'altro alcuni barilotti pieni di pesciolini sotto sale e di otri contenente olio d'oliva, venne portato al cospetto della Madama. Ella lo divise in parti uguali e lo distribuì a tutte le famiglie, trattenendo per sé un barilotto di pesciolini salati e un otre di olio. La Madama tentò in tutti i modi di rendere gradevoli quei pesciolini, ma invano, poi ebbe un'idea. In un tegame messo a scaldare sul fuoco mise alcuni di quei pesciolini, aggiunse poi un po' di olio. Inavvertitamente dalla collana si staccò uno spicchio di aglio che andò a finir proprio nei tegame. Quando l'olio cominciò a friggere, per gustare il sapore, non avendo pane, immerse in quell'intingolo una foglia di verza. Che delizia! Che sapore meraviglioso! La Madama aveva inventato "LA BAGNA CAUDA". Quella è stata forse una delle più importanti e utili scoperte del rinascimento: pensate che da allora a oggi ha sfamato più di venti generazioni! Con il passare degli anni la ricetta si diffuse in tutto il vicinato, poi ancora oltre, diventando così uno dei piatti gustosi, tipici e caratteristici del Piemonte. In tempi passati Mombello ha osservato in silenzio l'altrui appropriarsi del merito di questa gustosa ricetta. Finalmente, all'inizio di questo terzo millennio, la volontà e la tenacia di un manipolo di persone hanno riportato in questo borgo la vera e unica Bagna Cauda. come aveva fatto quattro secoli or sono quella meravigliosa Signora. Quando i primi freddi invernali imbianchiscono il cardo, addolciscono e rendono te-nere le

A destra il Libro su Mombello a sinistra Madama Bagna Cauda i cui panni sono vestiti dal 2005 con grazia e gentilezza da Patrizia Maniero Canone.

Lorenzo Magrassi

altre verdure è giunta l'ora di gustare questo meraviglioso intingolo. Molti "forestieri" addirittura da oltralpe si prenotano al convivio che si svolge ogni anno ai primi di dicembre. La ricetta è sempre uguale, aglio acciughe, olio di oliva e tanto amore sono gli ingredienti di questo favoloso intingolo.

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Antico Palter di Sulpiano Frazione Sulpiano 57 Verrua Savoia (TO) tel. 0161-846193—846129 Cell. 347-7363931 www.anticopalter.it

Uno fra i più antichi ristoranti del Piemonte nato nel 1863 e gestito sempre dalla stessa famiglia

La saletta verde e il salone dei banchetti

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Sabato 12 u.s. abbiamo fatto visita ad un altro ristorante. Un ristorante assai noto e probabilmente fra i più vecchi del Piemonte o forse d’Italia. Basti pensare che fu aperto nel 1863 poco dopo la proclamazione dell’Unità d’Italia e, fatto ancor più unico che raro, è sempre stato di proprietà della stessa famiglia i cui membri da 5 generazione si succedono alla sua conduzione. Stiamo scrivendo dell’Antico Palter che si trova a Sulpiano in quel di Verrua Savoia. Il nome deriva dal capostipite che aprì l’attività, oggi sono i coniugi Turbati Franco e Wanda che lavorano in cucina e il figlio Walter al servizio in sala. Sorge proprio di fronte alla chiesa ottocentesca della frazione ed è ricavato nella vecchia casa che un tempo svolgeva le funzioni necessarie alla comunità, dal cambio cavalli all’emporio. Con la sua ristrutturazione si sono ricavati 310 coperti nelle tre sale quella dei banchetti (220 coperti), sala Rossa (70) e saletta verde riservata (20) che è quella dove abbiamo cenato. Nella nostra visita abbiamo assaggiato tutti le portate dagli antipasti assortiti sino al dolce. Ci limiteremo però a descrivere tre portate che, a nostro parere, si sono elevate per qualità su tutte le altre pur buone che ci sono state servite. Gli antipasti prevedevano i

tipici salumi monferrini, salame cotto e crudo con un ottimo lardo che si scioglieva in bocca. Ha fatto seguito una Capunet di carne macinata nella tipica foglia di verza e una fonduta di funghi Champignon seguiti da vaul-au-vent al formaggio. Buoni i salamini al barbera, di un bel colore rosato, anche se quelli a cui siamo abituati hanno una “bagna” molto più densa e scura tipica del barbera consumato da un lunga cottura. E qui passiamo ad uno di quei tre piatti che nonostante la sua semplicità riteniamo meritevole sugli altri antipasti. Si tratta di un semplice tomino su cui è stato posta una salsina a base di cipolle di Tropea fritte, uvetta e miele. I gusti legavano bene il sapore del boccone d’insieme molto gradevole; era la prima volta che li abbiamo provati e li abbiamo molto apprezzati. Infine un piatto tipico Monferrino che però non è molto frequente trovare nei ristoranti il Tonno di Coniglio, anche questo apprezzato dai commensali. Prima però di passare ai primi, un cenno sul vino. Abbiamo pasteggiato con una Bonarda dell’Oltrepo Pavese, frizzante, di 12 gradi molto gradevole così come l’acqua microfiltrata che ci è stata servita. Passiamo ora ai primi: due gli assoggi: i classici agnolotti al sugo d’arrosto e un risotto allo Chardonnay. Pur amando i tipici (Continua a pag 10)


Personaggi Monferrini: Paolo Volpi di Giuliana Scagliotti

“Mia moglie e mio suocero mi chiesero se ero impazzito, per loro era impossibile, da autodidatta, costruire uno strumento così complicato”

Paolo Volpi di Rosignano ha insegnato chimica presso l’Istituto Tecnico Agrario “G. Ferraris” di Vercelli per trentacinque anni e ha scritto tre libri inerenti la chimica generale ed inorganica, la chimica organica e laboratorio di chimica inorganica. Non ha interrotto il rapporto con il mondo della scuola perché, in qualità di socio del gruppo astrofili “Cielo del Monferrato”, è divulgatore presso l’osservatorio astronomico di Odalengo Piccolo e tiene lezioni alle scolaresche in preparazione alle serate pubbliche. Il suo carattere paziente l’ha portato a perseguire un altro suo grande interesse: “Ho iniziato la mia avventura di appassionato di liuteria dopo aver letto nel 1987 un articolo apparso su La Stampa della vendita all’asta di Londra di un famoso violino di Stradivari, valutato 4 miliardi di lire. Nell’articolo venivano descritte le caratteristiche e le qualità sonore dello strumento”. Da qui lo stimolo per cercare le informazioni sulla biografia e sugli strumenti, trovate poi nel libro “I segreti di Stradivari”. Più Volpi leggeva e più aumentava il desiderio di cimentarsi nella costruzione di un violino. “Mia moglie e mio suocero mi chiesero se ero impazzito, per loro era

impossibile da autodidatta costruire uno strumento così complicato”. Basandosi sui disegni raffigurati sul libro, Volpi ha iniziato a realizzare la forma interna, indispensabile per sistemare i blocchetti, sui quali si incollano le fasce del violino. E’ seguita la ricerca del legno: acero per il fondo, le fasce e il manico, abete per la tavola. Tre mesi di intenso lavoro nei ritagli di tempo e il violino era ultimato. Restava il problema della verniciatura. Le vernici usate in liuteria sono di due tipi: ad alcol oppure ad olio di lino cotto. Le prime sono molto più facili da preparare: si fanno sciogliere alcuni tipi di resine solubili in alcol a bagnomaria, una volta sciolte si filtra il composto e si lascia raffreddare. Si aggiunge ancora alcol fino ad ottenere la giusta diluizione. Vengono usate resine naturali che si ottengono da alcune piante sotto forma di secrezioni che trasudano naturalmente dal tronco e dai rami, o che colano da incisioni praticate nella loro corteccia. Poche resine si trovano allo stato fossile, come l’ambra, e più raramente si ricavano da secrezione animale. Le resine naturali sono generalmente sostanze solide, più o meno dure, di colore variabile dal giallo chiaro al bruno-rossastro. Si possono dividere in resine molli, tenere e dure; hanno una composizione chimica complessa e non sempre costante. Contengono acidi aromatici come nella resina benzoino, oppure possono contenere alcoli resinosi e olii volatili. Per preparare una buona vernice ad alcol occorre sapientemente miscelare una giusta proporzione fra i tre tipi di resine, in quanto se si usasse solo una resina molle la vernice riPaolo Volpi

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sulterebbe troppo morbida, poco resistente e appiccicosa; lo stesso risultato lo si otterrebbe usando un’unica resina tenera, mentre con l’impiego di una sola resina dura si avrebbe l’effetto opposto: vernice troppo dura che impedirebbe al violino di vibrare liberamente. Per i suoi primi tre strumenti Volpi ha utilizzato 4 parti di sandracca (resina tenera e secca), 4 parti di benzoino (resina secca) e 2 parti di mastice (resina secca e abbastanza tenera), il tutto sciolto in 130 cc di alcol 90°. Ha ottenuto una vernice abbastanza equilibrata quanto a morbidezza e durezza, che ha conferito alla cassa armonica una buona sonorità. La vernice a base di olio di lino cotto è di difficile preparazione, ma conferisce allo strumento un suono pieno perché è morbida, ma allo stesso tempo è abbastanza resistente da proteggere il legno. Ultimato il primo esemplare era necessario sentirne il suono: “Non avendo conoscenze musicali, mi recai dal violinista Franky Ferraris di Fubine. Il verdetto: difetti di costruzione, ma nel complesso il suono era discreto”. Nel frattempo Volpi conosce il violista Mario Patrucco che prova il terzo violino e consiglia di farlo visionare da Arnaldo Morano. “All’epoca abitavo con Claudia a Casale, lei era infermiera in ospedale. Il grande liutaio mi fece i complimenti, soprattutto per il riccio del manico, da quel momento per quindici anni, fino alla sua morte, tutte le settimane mi sono recato nel suo laboratorio, grazie a lui ho migliorato la fattura e la sonorità dei miei strumenti”. Alcuni liutai contemporanei sostengono che quelli antichi come Stradivari, Amati e Guarneri del Gesù, non usassero la vernice a base di olio di lino, perché impiega molto tempo ad asciugare, addirittura sei mesi. “Niente di più falso, l’uso della vernice ad olio di lino nel ’600 e nel ’700 era molto comune e veniva impiegata normalmente dai falegnami, dagli ebanisti, dai fabbricanti di carrozze e quindi anche dai liutai. Se la vernice ad olio viene preparata secondo il metodo degli artigiani e degli artisti del ‘700

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asciuga in breve tempo e rende il legno flessibile e sonoro”. Grazie alle sue competenze sulla chimica, ai consigli del maestro Morano e da un trattato sulle vernici del 1868, Volpi è riuscito a realizzare una buona vernice ad olio. Ora usa una formula del 1715 che asciuga in breve tempo, circa 24 ore, e conferisce una voce antica ed equilibrata alla cassa armonica. “Per preparare una buona vernice ad olio bisogna usare una giusta proporzione fra tre componenti: la resina, che funziona come catalizzatore, l’olio di lino cotto e l’essenza di trementina”. Ad oggi sono una trentina gli strumenti realizzati, alcuni utilizzati da musicisti professionisti, gli ultimi sono un violino e una viola entrambi di stile barocco suonati in diversi concerti da Marcello Bianchi, docente di violino al conservatorio di Alessandria, invece Ferraris suona da una decina di anni un suo violino classico. E’ uno scambio continuo tra costruttore e musicista, è un completarsi a vicenda con le proprie esperienze, passando dai trucioli che cadono al fascino del suono. A vedere Volpi aprire un’anta alla ricerca di una minuscola pialletta, nel suo laboratorio ricavato nel fienile, traspare che per lui non è un lavoro, ma un’arte, è sempre un’alchimia tra immaginazione, creatività, passione, pazienza e materia che sfociano in un’opera dotata di propria personalità: “E’ come creare Pinocchio, fin dal primo pezzo di legno vi è un’idea che alla fine è anche un po’ magia, perché nelle mani giuste ogni volta è una vibrazione nuova e perfetta e per me si aggiunge un’emozione”. G&d - Gabiano e dintorni Autorizzazione n° 5304 del 3-9-99 del Tribunale di Torino Direttore Responsabile Enzo GINO - Sede: via S. Carpoforo 97 - Fraz. Cantavenna 15020 Gabiano - Stampato presso A4 di Chivasso (TO) Editore: Associazione Piemonte Futuro: P. Iva 02321660066; Distribuzione gratuita Per informazioni e pubblicità cell. 335-7782879; e-mail: posta@gabianoedintorni.net

Ristorante

Antico Palter (da pag 8)

agnolotti Monferrini non abbiamo dubbi sulla netta prevalenza nel voto al risotto. Ottima cottura, fatta al momento, giusto equilibrio di gusto fra il tipico sentore d’aspro del vino bianco con cui è stato irrorato durante la cottura ed il dolce delicato del formaggio aggiunto a fine cottura. Infine come secondo un’altra apparente banalità culinaria ma che richiede invece la cura di tanti componenti: un filetto al vino rosso. La carne spessa un dito era tenerissima e senza parti da scartare, cottura perfetta: giusto un ombra di rosa nel cuore della tagliata che si perdeva nella maggior cottura di superficie. Ma quello che ha nobilitato la parte più tenera del vitello (superata solo dal cosiddetto boccone del macellaio) è stata la salsa di Barbera di cui è stata cosparsa: scura, densa, e intensa, saporita al punto giusto, di gusto eccellente. Un vero piacere intingervi i tenerissimo bocconi di fletto che si scioglievano in bocca. Il tutto decorata con due foglie d’alloro giusto per segnalare l’attenzione anche all’aspetto oltre che al gusto. Infine un buon sorbettino la Brachetto, disponibile anche nel classico limone, ha ridato freschezza a quello strumento di piacere, spesso poco considerato, forse per tutta quell’aria che l’attraversa (spesso inutilmente): la bocca. Spesa attorno ai 35 € a testa.


Uno dei sistemi per far quadrare i conti per chi gestisce quei piccoli minimarket in funzione nei nostri paesi è quello di affiancarli a qualche produzione particolare. Imitando le panetterie con forno dove si entra a prendere un po’ di pane con spese che spesso non arrivano all’Euro ma che poi, attratti da torte di nocciole, di mele e frutta, pasticcini, pizzette e focacce varie, si finisce per acquistarle spendendo assi di più. Così abbiamo scoperto che diversi negozi si sono orientati su questa strategia commerciale. Abbiamo quindi deciso di visitarne qualcuno. Questo mese siamo andati a Coniolo in un piccolo negozio che oltre ai consueti alimentari, macelleria e salumeria dispone di una gran varietà di… spezie, si chiama infatti: Il mondo delle spezie. Qui potrete trovare una grande quantità di spezie estratte anche da piante esotiche, ne citiamo qualcuna: Anice stellato della Cina, bacche di Ginepro, bastoncini di Liquirizia, Berberitzen dell’Iran, Cannella, Cardamomo verde, un gran numero di Chili sia in fagioli che macinato, Coriandolo, Cumino per arrivare attraversando

tutto l’alfabeto degli aromi e dei colori al Wasabi ed allo Zafferano e Zenzero. Poi ci sono le miscele di spezie, caffè macinato aromatizzato a ll’ ama re tto, all’ara ncia cioccolato, al caramello, al torrone sino alla vaniglia-crema e tanti altri ancora. Vari tipi di sale da quello affumicato Salish a quello rosa dell’Himalaia. E poi tanto altro ancora come gli insaporitori senza sale per pesci o selvaggine e carni, erbe aromatiche come l’Aglio orsino, l’Artemisia, la Santoreggia, il Timo… solo per citarne alcuni. Per chi ama i tè poi, qui ne potrà trovar varietà a bizzeffe: dall’Aloe ai frutti di bosco al Kewemun Congou o al Japan Genmaicha. Naturalmente non può mancare tutta l’accessoristica dai contenitori, agli infusori e quant’altro che sono esposti in un negozio lì vicino: l’Emporio Provenzano in cui si possono trovare oggettistica di vario genere nello stile della regione francese da cui prende il nome. Gli acquisti possono essere fatti anche via internet, sia al dettaglio che all’ingrosso, basta visitare il sito. Ma non finisce qui, una bella vetrinetta dà sfoggio a diverse varietà di colorati cioccolatini assortiti, alle spezie naturalmente, fatti realizzare apposta dalla titolare da una pasticceria. Pierangela Morano la giovane e intraprendente titolare dell’attività ci racconta che da tre anni ha affiancato il

Nelle foto: esposizione di spezie e ingresso del negozio a Coniolo

tradizionale negozio di alimentari a questo commercio, e ci conferma i buoni risultati anche sotto il profilo economico derivati da questa “specializzazione”. Soltanto con il primo infatti sarebbe stato difficile sopravvivere commercialmente, basta pensare che Casale Monferrato sorge a soli 6 chilometri e circa ad altrettanti Pontestura. Quindi se cercate spezie, erbe aromatiche o cioccolatini particolari arredi o accessori in stile provenzale per la vostra casa sappiate che il nostro grande paese “metropolitano” che spazia da Coniolo a Verrua Savoia, da Murisengo ad Alfiano Natta e Cereseto con 20 minuti d’auto (meno di quanto ci vuole in una grande città per andare da un quartiere all’altro) dispone anche di questa opportunità. Il mondo delle spezie Coniolo - Via F.lli Bandiera 45 tel. 0142-408331 fax 0142-408240 www.ilmondodellespezie.com info@ilmondodellespezie.com

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Lo Zabaione

Gasparetto Damiano Damgas86@gmail.com

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Oltre ad essere il classico dolce della nonna, quello da gustare tutti assieme, magari ancora tiepido, lo zabaione è oggi un rinomato dolce preparato nelle migliori pasticcerie e ristoranti Piemontesi e non solo. Si, perché quello che in pochi sanno è che tutto partì da Torino per mano di Frà Pasquale de Baylon (1540-1592). Citato addirittura nel libro “Cuoco Piemontese” del 1766 e poi ancora nel dizionario “Piemontese – Italiano” del cav. Vittorio Felice edito nel 1859. Lo zabaione nacque, secondo la leggenda, il 16 ottobre 1560 per puro caso. Pare infatti che Baylon, per dar più gusto alla classica miscela di uova e zucchero sbattuti, vi aggiunse del vino di Cipro. Il monaco, appartenente all’ordine dei francescani ed approdato a Torino per il suo apostolato presso la parrocchia di S. Tommaso, da allora cominciò a consigliare alle sue penitenti - specialmente a quelle che si lamentavano della poca vivacità del consorte - una sua ricetta che avrebbe dato vigore e forza al soggetto. Santificato nel 1680 da Papa Alessandro VIII entrò rapidamente nella leggenda, tanto che le donne torinesi tra di loro cominciarono a scambiarsi la ricetta per beneficiare del miracolo del Santo Pasquale de Baylon, il cui nome, in dialetto torinese, fu subito abbreviato in San Bajon. Nacque così a Torino 'L Sanbajon, in seguito italianizzato in Zabaione o Zabaglione. Ben presto questa ricetta varcò i confini sabaudi e venne, col tempo, conosciuta in tutto il mondo. Nel frattempo, Pasquale de Baylon venne proclamato santo protettore di tutti i cuochi. La sua festa è il 17 maggio ed è vene-

Frà Pasquale de Bajlon

rato in Torino nella chiesa di San Tommaso in Via Pietro Micca. Altre tracce del santo le possiamo poi trovare nella chiesa del monte dei cappuccini (Torino) ove è ubicata una sua foto ed a Napoli dove addirittura sorge in suo onore una chiesa su cui una lapide ricorda: "Edificata da Carlo Re III in rendimento di grazie per aver ottenuto prole maschile". Bene spero di avervi incuriosito, quella che propongo qui sotto per chi volesse provare tale prodigio è la ricetta originale del santo…. Ottimo servita tiepida per accompagnare dolci di pasticceria secca, come torte e biscotti o anche da solo. Ingredienti: 1 Tuorlo d'uovo 2 cucchiaini di zucchero e sbattere fino a quando il tuorlo diventa quasi bianco Aggiungere: 2 gusci d'uovo abbondanti di marsala (non all'uovo) 1 guscio d'acqua Preparazione: Mettere sul fuoco con fiamma limitata (o a bagnomaria) sempre rimescolando con un cucchiaino sino al primo cenno di bollore. Togliere dal fuoco e continuare a rimescolare. Servire.


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