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Gabiano e dintorni

Il periodico dal Nost MunfrĂ

G&d

Febbraio 2014

Foto Enzo Gino


Ritornare al territorio

Una nuova filosofia, nata in Italia, che riscrive i rapporti fra uomo, economia, ambiente e territorio, si sta sviluppando e diffondendo in Europa... Particolare della mostra di Mario Vellano da Zoalengo che raccoglie le (copie) delle fotografie delle persone che in passato hanno contribuito a “fare” il nostro territorio.

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Inizieremo da questo numero di G&d a sviluppare il significato di Territorio e territorializzazione. Lo faremo partendo da quanto è stato detto, scritto e fatto su questo tema facendo tesoro, e quando necessario reinterpretando, idee e proposte che in questi anni sono state, da altri, elaborate. Fra costoro il prof. Alberto Magnaghi fondatore della Società dei territorialisti/ e, una associazione costituita presso l’Università di Firenze, ha interessanti idee in proposito. Si riscopre finalmente l’importanza e del ruolo che il territorio rurale ed in particolare i piccoli comuni e le aree “fragili” possono assumere. Partiamo dal il prof. Piemontese che a dispetto del nome è un pugliese, autore di numerosi libri, saggi e articoli sulla storia, sulla cultura e sulla religiosità popolare del Gargano, fra i quali uno dal titolo emblematico: L’anima dei luoghi dalla globalizzazione allo sviluppo locale. Una riprova che il bisogno di tornare al territorio coinvolge numerose realtà anche distinte e distanti fra loro, ma unite da questo sentire comune. Riportiamo qui un estratto del suo pensiero che coincide per molti aspetti con quello che molti nel Monferrato, da anni, sostengono.

Con la globalizzazione il concetto di identità perde di valore, in quanto tende ad annullare qualsiasi identità, in nome del processo dell’indistinzione. Eppure, al di là di ogni omogeneizzazione delle culture, oggi, si sente sempre più l’esigenza di affermare l’appartenenza ad un territorio, su cui esercitare la propria sovranità e da cui trarre tutte quelle potenzialità socioeconomiche e culturali che ci permettano di sopravvivere e di costruire insieme il nostro futuro. Tutto questo contraddicendo ciò che è alla base del concetto di globalizzazione, che tende sempre più a far scomparire le culture locali, e quindi l’appartenenza ad un luogo, ad una regione. Per questo, oggi, c’è una esigenza di riaffermare e recuperare, attraverso l’appartenenza ad un territorio, la propria identità locale, le proprie peculiarità storico-culturali, che determinano l’autenticità della propria identità storico-culturale, una riscoperta e una rivalutazione del proprio territorio da cui partire al di là di ogni generica collocazione sovrannazionale o globale. Tutto ciò nasce da quel sentimento, così oggi diffuso, di essere riconosciuti, che, in un certo qual modo, completa e realizza il processo di identità. Del resto siamo sempre più convinti che “è il territorio il campo privilegiato nel quale si combattono le sfide decisive del presente e quelle del futuro, e i valori territoriali e ambientali rappresentano occasioni di autoriconoscimento del territorio da parte dei suoi abitanti e favoriscono i processi di ridentificazione con i luoghi” (A. Magnaghi, Il progetto locale, Bollati Boringhieri, Torino 2010). Partendo da tutto ciò corre l’obbligo da ridefinire il concetto di territorio, inteso non più come l’insieme di uno spazio fisico, organizzato per mezzi di leggi e di consuetudini, in relazione alle esigenze di convivenza civile di una data popolazione, ma come espressione di determinati connotazioni storico-culturali formatisi at-


traverso i secoli e attraverso un processo di trasformazioni culturali ed economiche. Infatti, in questi ultimi decenni, grazie anche alla nascita della Scuola territorialista che fa capo ad Alberto Magnaghi, il concetto di territorio ha subìto una trasformazione radicale: da semplice risorsa materiale suscettibile di sfruttamento, da spazio controllabile nel quale le differenziazioni sono viste come resistenze alla trasformazione, si è giunti ad una interpretazione in cui è riconosciuto il carattere relazionale dei suoi elementi essenziali, quali le dinamiche intrinseche delle sue interazioni di lunga durata tra insediamento umano ed ambiente, ciclicamente trasformato dal succedersi delle civilizzazioni. Per questo possiamo affermare che “il territorio non è un oggetto fisico, («il territorio non esiste in natura»), piuttosto rappresenta l’esito di un «processo di territorializzazione», ovvero un processo di strutturazione dello spazio fisico da parte della società insediata; il suolo, la terra, l’ambiente fisico, il paesaggio, l’ecosistema, l’architettura, le infrastrutture non sono ancora il territorio, essi ne rappresentano i supporti fisici e simbolici. La specificità del territorio consiste nel suo essere esito della capacità di strutturazione simbolica dello spazio, consentendo il riconoscimento di una correlazione fra luogo fisico e spazio culturale, simbolico, economico della società insediata; il territorio è inscindibile sia dai suoi supporti materiali che dalle diverse forme di appropriazione che s i so no s uccedute” (Magnaghi, 2010). In questa accezione il territorio è “un organismo vivente ad alta complessità, un neoecosistema in continua trasformazione, prodotto dall’incontro fra eventi culturali e natura, composto da luoghi dotati di identità, storia, carattere, struttura di lungo periodo, che formano i “tipi” e le individualità territoriali e urbane, attraverso pro cess i di co evoluzione fra insediamento umano e ambiente” (Magnaghi 2010, p. 25). Purtroppo, continua Magnaghi, “La liberazione progressiva dai

vincoli territoriali (deterritorializzazione) ha portato nel tempo a una crescente ignoranza delle relazioni tra insediamento umano e ambiente, relazioni che hanno generato l’arte di edificare, la storia dei luoghi e la loro identità, unica, riconoscibile, irripetibile. La distruzione della memoria e della biografia di un territorio ci fa vivere in un sito indifferente, ridotto a supporto di funzioni di una società istantanea, che ha interrotto bruscamente ogni relazione con la storia del luogo” (Magnaghi, 2010, pp. 30-31). Tutto ciò è denunciato da F. La Cecla, allorquando parla di “perdita della memoria del luogo”, per cui l’uomo diventa un essere “senza ambiente”, privo della “mente locale”, derivante da questo distacco, da questa perdita della sapienza ambientale che tutte le civiltà urbane e non urbane, hanno sviluppato costruendo territorio e luoghi dotati di identità (F. La Cecla, Perdersi. L’uomo senza ambiente, Laterza, Roma-Bari 2007 -prima edizione 1988-; Id., Mente locale, un’antropologia dell’abitare, Elèuthera, Milano 2004 -prima edizione 1993-). Purtroppo negli ultimi decenni la corsa verso l’urbanizzazione ha distrutto il nostro territorio, a volte degradandolo nelle sue componenti storico-culturali e sociali, attraverso una selvaggia cementificazione a danno del suolo e del paesaggio (S. Settis, Paesaggio costituzione cemento, Einaudi, Torino 2011). Inoltre lo stesso territorio è stato principalmente utilizzato come mero supporto fisico per la localizzazione delle attività economiche e come oggetto privilegiato per la produzione di rendita. Per questo bisogna ritornare ad una nuova coscienza territoriale, ad una nuova politica, in cui il territorio sia posto al centro di ogni programma economico e sociale. Del resto non vi può essere sviluppo se il tutto non viene visto in funzione del territorio, che “nasce dalla fecondazione della natura da parte della cultura” che poi, in definitiva, come afferma lo stesso Magnaghi, diventa “un’opera d’arte, forse la più alta, la più corale che l’umanità abbia espres-

so” (Magnaghi, 2010, p. 17). Ma ciò deve essere il frutto di una nuova coscienza e conoscenza verso il proprio territorio, il quale deve essere inteso come l’elemento base di ogni sviluppo locale. In questo contesto gli enti locali, in quanto enti di governo del territorio, acquistano nuovi ruoli nel governo dell’economia e nella valorizzazione delle risorse territoriali e ambientali finalizzate ad attivare modelli di sviluppo locale “autosostenibile”. Solo così si afferma la centralità del territorio come bene pubblico e collettivo, o meglio come “bene comune” essenziale al benessere delle comunità su di esso insediate. Inoltre qualsiasi piano territoriale dovrebbe innanzitutto salvaguardare “i caratteri identitari dei luoghi, i loro valori patrimoniali, i beni comuni non negoziabili, le regole di trasformazione che consentano la riproduzione e la valorizzazione durevole dei patrimoni ambientali, territoriali e paesistici”. Ormai molti sono convinti che bisogna passare dall’Europa degli Stati all’Europa delle città e delle regioni, attraverso la valorizzazione delle identità locali, che solo nei territori si possono rintracciare e far valere anche nelle differenziazioni culturali ed etniche. Questo modo di pensare è il primo passo verso il superamento dell’omologazione derivante dalla globalizzazione, che tende ad annullare qualsiasi identità e qualsiasi differenziazione culturale. Bisogna ritornare, quindi, al territorio, da cui ha inizio qualsiasi sviluppo locale.

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Perché partire dai piccoli comuni? (tratto da uno scritto del prof. Giovanni Carrosio)

Il logo della Vetrina di Piccoli Comuni (sotto i 5000 abitanti) presso l’URP (Ufficio Relazioni con il Pubblico) della Regione Piemonte.

In provincia di Alessandria (440 mila abitanti)

nei comuni con meno di 2.000 abitanti risiedono 130.000 persone, ma rappresentano 2/3 della superficie di territorio...

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Soltanto in Piemonte, i comuni con meno di due mila abitanti rappresentano più del 70% dei comuni totali. Si tratta di 854 comuni su 1206. La popolazione che vi risiede ammonta ad un quinto, circa 650 mila persone contro i 3 milioni e 700 mila complessivi. In questi calcoli si tengono in conto soltanto le realtà molto piccole. Tra i due mila e i cinque mila abitanti, infatti, ci sono ancora 218 comuni, con una popolazione complessiva di 680 mila unità. Un quinto della popolazione piemontese, pertanto, risiede in comuni molto piccoli ed un altro quinto in comuni piccoli. Se consideriamo soltanto la Provincia di Alessandria, i numeri confermano e amplificano la tendenza regionale. Su 190 comuni, 166 sono abitati da meno di 2 mila persone e 14 comuni hanno una popolazione tra le 2 e le 5 mila unità. Sommando la popolazione dei comuni molto piccoli, si raggiungono più di 130 mila persone, contro le restanti 286 mila. Se consideriamo, invece, la superficie amministrativa occupata dai piccoli comuni, vediamo come i comuni molto piccoli rappresentano più di due terzi del territorio provinciale, con un ‟area complessiva di 2.470 Kmq, contro i 1.090 occupati da comuni con più di 2 mila abitanti. Da un punto di vista demografico e geografico, perciò, nonostante il grande esodo verso le città avvenuto tra il secondo dopoguerra e i primi anni ‘80, i piccoli comuni sono molto rilevanti, a dimostrazione che i progetti volti alla modernizzazione ed urbanizzazione del paese non sono riusciti a concentrare definitivamente popolazione e sviluppo. Tuttavia, se andiamo più a fondo nell’analisi dei dati, scopriamo che i piccoli comuni hanno una popolazione per lo più anziana ed una capacità di produrre reddito e occupazione molto bassa, anche se magari gli imponibili che derivano da posizioni di rendita sono presso-

ché simili a quelli riscontrati in molte aree del paese. Nella provincia di Alessandria, i piccoli comuni sono localizzati per lo più nella fascia appenninica e nelle zone collinari. Si concentrano soprattutto nell’area di confine con le altre province, in particolare quella di Genova a sud, quelle di Piacenza e Pavia ad ovest e quella di Asti ad est (n.d.r. sostanzialmente le nostre colline). Ma troviamo qualche caso anche nella pianura, nelle aree dove l’allargarsi delle città non ha ancora fagocitato gli insediamenti abitativi circostanti. Una ricerca del Cresme, che risale ormai al censimento del 2001 ed è stata sviluppata a livello nazionale, ha classificato i piccoli comuni appenninici (n.d.r. analogo discorso vale per buona parte di quelli delle nostre colline) come insediamenti abitativi caratterizzati da un incessante declino economico e dal perdurare del bilancio demografico negativo. Anche l’agricoltura, settore solitamente trainante nelle aree fragili e importante in termini di presidio e manutenzione territoriale, perde superfici utilizzate ed addetti. La mancanza dei servizi alla popolazione, poi, fa sì che anche il semplice abitare diventi problematico, con una popolazione costretta a spostarsi per raggiungere gli esercizi commerciali ed i servizi socioassistenziali. A livello amministrativo, il venir meno di parte del gettito fiscale derivante dall’ICI, che in queste aree non viene compensato dagli oneri di urbanizzazione come accade nei centri urbani in crescita insediativa, fa sì che la situazione finanziaria degli enti locali sia al collasso. Ne consegue una difficoltà nella gestione del territorio, ed una perdita di autonomia sostanziale nella progettazione dello sviluppo a livello locale. Fatte queste considerazioni, è evidente come guardare alla partecipazione ed alla sostenibilità partendo dai territori fragili ci


metta in una logica particolare. Allo stesso tempo, un ragionamento in questi termini può essere d’ausilio agli studi prettamente urbani. Pensare città sostenibili e partecipate, anche nell’ottica del rispetto delle autonomie dei territori circostanti, che in una logica di giustizia distributiva non possono essere né margini dello sviluppo, né aree dipendenti e funzionali alla crescita urbana, implica un ripensamento delle relazioni tra centri e periferie, tra città e campagna. Partecipazione, sostenibilità ed autonomia: senza autonomia, non è possibile praticare la partecipazione e la sostenibilità nei piccoli comuni. Da questo punto parte molta recente letteratura sullo sviluppo locale: con il concetto di autosostenibilità delle comunità locali, Alberto Magnaghi (2006) fa emergere proprio questa concezione. Sovranità alimentare ed energetica, governo collettivo dei beni comuni, modelli produttivi fondati sulla valorizzazione durevole delle risorse naturali, inclusione sociale e riconoscimento del mondo rurale come luogo di produzione di beni e di servizi pubblici sono le condizioni essenziali per produrre relazione perequate e non gerarchiche fra le società locali. Perché

Castells (1996), che si cerca una ciò sia possibile, però, è necessario soluzione al conflitto tra flussi e promuovere forme di autogoverno luoghi, tipico della società informadei territori fragili, partendo dal zionale, disarticolando le società rafforzamento di livelli di governo locali in modo tale che non facciagià esistenti, come, per i territori no frizione sugli interessi dei flussi. montani, le Comunità Montane, Per questo è necessario individuare (n.d.r. ed in collina le Unioni colliforme inedite di partecipazione per nari) che storicamente sono sorte l’autogoverno, così che le popolaproprio per riconoscere alla montazioni locali, spesso coartate da degna una radicata tradizione nella cisioni prese altrove da istituzioni ricerca di autonomia, sia dal punto sovraordinate, assumano più forza di vista politico-culturale che da e potere decisionale. Partecipazioquello dei modelli economicone, pertanto, come esercizio di deproduttivi. Le autonomie locali, mocrazia, ma anche come autonoperò, sono oggetto di revisione da mia, nell’accezione di autodetermiparte dei governi centrali e molti nazione nelle scelte progettuali e enti rischiano la soppressione: danegli stili di produzione, consumo e vanti ad una vulgata tesa a sostescambio. nere l’alleggerimento dei costi sostenuti dallo stato ed il taglio di presunti sprechi nella pubblica amministrazione si cela in realtà un disegno di soppressione della capacità di opposizione e di rivendicazione a livello amministrativo dei territori periferici di fronte al perdurare di un progetto di modernizzazione che richiede uno stato leggero ed una omogeneizzazione territoriale (il mondo piatto evocato dall’economista liberista Friedman, 2006). Direbbe Mombello com’era

Cosa vorresti nel tuo comune Vogliamo dare una mano ai prossimi candidati amministratori, parte dei quali andrà poi a “governare” nella casa Comunale, proponendo ai nostri lettori di scriverci cosa vorrebbero nei loro Comuni. Forse c’è una strada un po’ troppo disastrata che aspetta da anni, o un servizio pubblico che non funzione, magari manca un luogo di incontro per i giovani… o per gli anziani, l’IMU è troppo alta?, Segnalatecelo noi lo scriveremo sul nostro periodico, e chissà che qualche lista o candidato non si decida a inserirla nel programma elettorale per le amministrative del maggio prossimo (si voterà il 25). E’ un importante opportunità per tutti: per i paesani che finalmente potranno contribuire a far inserire

nei programmi elettorali cose concrete ed anche per i candidati che avranno chiare indicazioni a quali iniziative dedicare il loro impegno pubblico. Cominciamo subito con alcune segnalazioni dal Comune di Gabiano. Ai futuri amministratori vien richiesto di eliminare le barriere architettoniche per entrare nel Municipio a cui oggi si può accedere solo attraverso una scalinata impraticabile per chi è costretto su una sedia a rotelle. In diverse frazioni o parti di esse mancano gli impianti di depurazione delle acque di fognatura che, anche se passano attraverso fosse settiche, scaricano poi nei fossi producendo mefitici miasmi per chi percorre strade ed i bei sentirei delle nostre campagne. Ed anche che si paga all’acquedot-

to, che gestisce oggi il ciclo completo delle acque, la depurazione non fatta. Viene richiesto anche di rendere disponibile al pubblico la biblioteca, che sorge sotto la piazza comunale chiusa e in ristrutturazione da anni, da utilizzare anche per incontri pubblici e come internetpoint per i giovani. Qualcuno ci segnala che da tempo lo Story park risulta chiuso anche al sabato e alla domenica: riaprirà? quando? Ci sono diverse frane mai riparate sia lungo strade comunali che provinciali quando si pensa di intervenire? Ogni estate si propone la questione zanzare che condizionano le serate all’aperto. Cosa si pensa di fare? Restiamo in attesa di risposte, proposte, domande; gli indirizzi mail o postali li sapete.

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Quando i + giovani incontrano i - giovani Viaggio nel mondo del volontariato che aiuta i “nostri vecchi” AUSER: 0141 336814 ———— SEA Valcerrina: 0142 946651

Le tre giovani volontarie di Cerrina della AUSER

Alcuni volontari della SEA Valcerrina con l’auto GPL offerta dai Lyons

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Continuiamo la nostra ricerca sulle associazioni di volontariato che operano nel Nost Munfrà scrivendo di un paio di esse che si dedicano ad una attività particolarmente importante e utile nei nostri paesi. E’ infatti noto a tutti che l’età media delle popolazione delle nostre colline è alquanto alta, ciò è dovuto alla presenza di molte persone anziane che spesso si trovano in difficoltà per diversi motivi: chi è solo per aver perso i famigliari o anche perché sono lontani o non dispongono di molto tempo per accudirli, poi le distanze rispetto ai servizi necessari: ambulatori medici, uffici, farmacie o semplicemente negozi; situazioni ancor più appesantite nella brutta stagione quando neve e freddo possono relegare i nostri vecchi in casa per lunghi periodi. A questi vanno poi aggiunti molti anziani che in mancanza di alternative vivono nelle case di riposo. Sono tutte realtà che possono diventare frustranti se non addirittura insostenibili per molti di loro. Per alleviare questa situazione il primo invito lo rivolgiamo ovviamente agli amici, ai conoscenti o ai vicini di casa affinché diano una mano; a volta basta anche solo una visita o scambiare due parole per rendere meno difficile la vita di chi ha difficoltà. Poi, in assenza di una presenza istituzionale che aiuti a gestire questi aspetti, che sarebbe doverosa, anche se non facile da realizzare,

possono intervenire, fortunatamente, alcune associazioni di volontariato che hanno come scopo proprio l’aiuto a queste persone. G&d ha voluto incontrare due rappresentanti di queste benemerite associazioni: la AUSER e la SEA. Si tratta di organizzazioni che operano su tutto il territorio nazionale con migliaia di sedi, la prima è presente a Casale e da poco opera anche nei paesi che gravitano sulla Valle Cerrina e la seconda è una storica presenza nel centro monferrino. Per la AUSER abbiamo sentito il suo presidente Silvano Ferrarotti che ci ha raccontato come funziona l’attività. Nata nel 2007 dal Sindacato Nazionale Pensionati della CGIL opera anche con l’Unione Collinare della Valcerrina e sviluppa diversi progetti che vanno dalla animazione nelle Case di riposo al Pony della solidarietà. I Pony express erano i postini che nel 1860 – 61, prima dell’avvento di telegrafo e ferrovia, attraversavano al galoppo l’America collegando il Missouri alla California per consegnare la posta prioritaria, qui il termine è stato ripreso per richiamare il servizio locale di consegna documenti. I volontari sono per lo più ragazzi delle scuole superiori di Casale e Trino. Sono circa 300 e tre di questi operano nella Casa di riposo di Cerrina. Le giovani liceali Turino Laura, Ventura Annalaura e Nozza Elena (in foto) ci hanno descritto la loro attività che consiste nella visita e nell’intrattenimento degli anziani ogni giovedì. Dai balletti, alle musiche tradizionali, al lancio dei cerchi, alla enunciazione dei proverbi o semplicemente al dialogo con i pensionanti che hanno così modo di raccontare “pezzi” di vita vissuta: dal ricordo del primo amore (a San Valentino vien naturale), al lavoro, alla guerra. Esperienze che avvicinano due universi, quello dei giovani e quello degli anziani che, con l’accelerazione che i tempi hanno subito nel nuovo millennio, sembrano lontani


secoli più che anni. Esperienze che, riteniamo, tutti, giovani e non, dovrebbero fare nel loro stesso interesse più che in quello degli assistiti. L’adesione dei ragazzi viene raccolta attraverso assemblee che vengono promosse nelle scuole a partire dal 2° anno delle superiori. Oggi i ragazzi che collaborano provengono dal Liceo Balbo, dal Sobrero e dal Leardi di Casale oltre che dall’Alberghiero di Trino. A Casale sono stati organizzati corsi di informatica per gli anziani in cui 65 ragazzi hanno istruito, facendo da tutor come si dice oggi, altrettanti anziani all’uso del Personal Computer, inoltre il prof. Enrico Pesce dell’istituto Balbo ha scritto e musicato uno spettacolo teatrale sul tema del gioco d’azzardo. Circa 60 ragazzi frequentano periodicamente le case di riposo di Casale (quella Comunale, l’Istituto delle Domenicane e la Piccola casa del Pronto soccorso). Ma come è organizzato il servizio?: ovviamente chiunque, giovane o meno giovane che abbia un po’ di tempo libero e un po’ di buona volontà può aderire alle iniziative, la partecipazione è legata alle zone di residenza dei volontari, quindi, diciamo noi, l’invito è rivolto alle persone di buona volontà delle nostre colline perché entrino in contatto con le due associazioni partecipando, prima di iniziare, ai corsi di formazione previsti. Le visite, nelle case degli anziani che lo richiedono, hanno di solito una cadenza settimanale, a Trino sono circa una quarantina, mentre un centinaio trattandosi di scuola alberghiera, sono coloro che si dedicano a organizzare pranzi nelle case di riposo, unendo così l’esercizio alla professione di cuoco e cameriere, al servizio sociale. Per gli anziani che abitano a casa è stato organizzato il progetto chiamato Filo d’Argento che prevede il trasporto e l’accompagnamento anche quotidiano per le necessità del caso. L’associazione riceve contributi da varie istituzioni pubbliche e private e svolge il proprio servizio in maniera gratuita, basta chiamare 1 o 2 giorni prima, lo 0141-336814 attivo 24 ore su 24 per concordare

l’accompagnamento o la visita. Ad esempio in Valcerrina 4 volontari adulti utilizzano la loro vettura a cui l’Associazione dà la copertura assicurativa, poi in maniera del tutto libera, se lo ritengono, gli anziani che beneficiano del servizio possono lasciare un contributo. Ci segnala il presidente Ferrarotti che a Casale l’associazione dispone addirittura di un mezzo con sollevatore a pedana per chi necessita dell’ausilio delle sedia a rotelle e che un mezzo simile presto sarà disponibile anche per la sede di Cerrina. L’AUSER può beneficiare del 5 permille. Attualmente la sede dell’AUSER di Cerrina è presso la SPI CGIL. La SEA di Cerrina si è costituita nel 2008 come ci racconta Celestina Franchino presidente dell’Associazione. Conta attualmente su una trentina di volontari prevalentemente pensionate/i che evidentemente dispongono di più tempo rispetto a chi è ancora impegnato nel modo della scuola o del lavoro. Il principale dei servizi svolti riguarda l’accompagnamento degli anziani sia alle visite mediche che a svolgere commissioni di vario genere; solo nel 2013 ne sono stati svolti circa 800 oltre a 200 che riguardano il servizio di consegna come ad esempio il trasporto dell’acqua minerale a domicilio. Non va inoltre sottovalutato il servizio organizzativo consistente nel presidio del Call Center che riceve le chiamate ed il coordinamento dei volontari e dei servizi che ha richiesto 400 fra presenze e incontri o missioni organizzative. Anche in questo caso il servizio svolto è del tutto gratuito, lasciando a chi beneficia del servizio la facoltà di una libera contribuzione. Per chi desidera collaborare vengono previsti corsi interni organizzati dall’associazione in cui vengono presentate le esperienze di chi opera da anni nel settore. Periodici annunci sui giornali promuovono l’adesione a questa associazione. La SEA dispone attualmente di due automezzi propri uno dei quali a Gpl offerto dal Lyons della Valcerrina. Per dare l’idea del servizio svolto si pensi

che con tali mezzi sono stati percorsi 30.000 km in un anno oltre ad altri 15.000 km circa svolti dai volontari con le proprie auto. In tale caso oltre alle assicurazioni di legge l’associazione accorda un rimborso chilometrico. L’associazione di volontariato si regge con i contributi di enti benefici come la ex cassa di risparmio di Alessandria o con contributi su progetto della Provincia. I servizi di animazione sono realizzati attraverso numerosi progetti l’ultimo di questi denominato: “I me amis buratin… turnanda masnà” ha coinvolto 15 persone ultra sessantacinquenni e 9 giovani e consiste nell’apprendere a realizzare… burattini sotto la guida del maestro Claudio Castelli esperto in questo campo. Un modo per coinvolgere i nonni che avranno uno strumento in più per “conquistare” l’attenzione e l’affetto dei nipotini. Un altro progetto realizzato con l’associazione - C’era una volta - di Villamiroglio consiste nella raccolta di foto “vecchie” per la pubblicazione su MeMo (Memorie del Monferrato) il sito che duplica e archivia materiale dei tempi passati che altrimenti andrebbe irrimediabilmente perso, materiali che gli ospiti dei strutture di riposo posseggono e custodiscono gelosamente. Si tratta di una vera miniera di ricordi che descrivono istanti di vita dei nostri avi, spesso scomparsi e che mantengono vive le radici delle nostre comunità, per noi e per le generazioni future. La sede della SEA è presso la Casa fortezza davanti al Comune di Cerrina alta, locali messi a disposizione del comune di Cerrina, che oltre a pagare le spese per luce, e riscaldamento, mette a disposizione gratuitamente un ricovero per gli automezzi di servizio. il Call Center che risponde allo 0142-946651, è attivo il lunedì, martedì e venerdì dalle 9 alle 12 e il mercoledì dalle 15 alle 18. Per chi volesse lasciare il 5 permille alla SEA il Codice fiscale è il 91027320067 ed il nome di Registrazione è Associazione Servizi Emergenza Anziani Valcerrina.

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Per un territorio pulito di Villamiroglio in Foto

Un invito ad “aiutare” il nostro territorio

Rifiuti: c’è chi li getta….

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Un sacchetto e un paio di guanti: Riflessioni sulla vergogna dei rifiuti abbandonati e uno spunto quotidiano alla portata di tutti per salvaguardare la bellezza e la salute del territorio in cui viviamo. Negli ultimi tempi è tornato alla ribalta, come se fosse una assoluta novità, un tema da sempre poco caro alla politica e spesso anche alle persone, quello del dramma dei rifiuti. Il sito "Villamiroglio in Foto" (www.villamiroglioinfoto.net) ha fatto un piccolo esperimento, i cui risultati sono stati pubblicati anche sulla propria pagina Facebook, percorrendo due volte lo stesso tratto di strada, lungo circa un chilometro appena fuori paese, e raccogliendo i rifiuti abbandonati lungo la carreggiata, a distanza di venti giorni. In entrambi i casi il “raccolto” è stato, non solo cospicuo, ma anche… sorprendente per certi versi, e la seconda volta quasi più “ricco” della precedente. Si va dai classici pacchetti di sigarette alle bottiglie di plastica, dalle buste di plastica alle bottiglie di vetro, fino a oggetti più particolari come filtri dell’olio da trattore, cavi coassiali o raccordi idraulici. Il fatto che dopo neanche 20 giorni la “situazione ecologica” dello stesso identico tratto di strada sia… quasi peggiore, porta a riflettere su cosa spinga ad abbandonare i rifiuti lungo le strade. È mancanza di rispetto per l’ambiente? È ritenersi al di sopra della sorte della natura? È ignoranza? È perché “lo fanno tutti, perché non dovrei farlo io”? Difficile dirlo, diffi-

cile trovare le radici di un malcostume che in Italia ha esempi drammatici, come quello della Terra dei Fuochi, dove sversamenti illegali e roghi di rifiuti tossici hanno inquinato un’area di almeno 3 milioni di metri quadri, con terribili danni all’ambiente e alla salute delle persone. Esempio eccessivo? No. Purtroppo dietro all’inquinamento, che sia la carta di una caramella o una discarica abusiva, c’è sempre la mancanza di un’etica ambientale, che non è riservata solo alla criminalità organizzata, ma è radicata ovunque, basta fare qualche passo fuori dall’uscio di casa per vedere come sia presente anche nei territori del Monferrato, dove non è così inusuale imbattersi in rifiuti abbandonati lungo le strade e i sentieri, una vista ben poco piacevole che rovina la bellezza e la salute di panorami bellissimi. In una realtà come il Monferrato, con la sua ricca conformazione territoriale, con zone che ambiscono al riconoscimento di aree naturali, e che punta a proporsi come meta turistica complementare nella vetrina di Expo2015, ognuno di noi dovrebbe sentirsi partecipe del dovere di mantenere un territorio all’altezza delle aspettative per cui si propone, inebriante, in buona salu-


te e ricco di biodiversità. Già nei prossimi mesi si aspettano in Monferrato turisti da diverse parti del mondo; nei loro panni, stranieri alla ricerca di unicità e bellezze, apprezzeremmo senza riserve panorami dove frane e rifiuti spuntano qua e là, dietro un pregiato vigneto, o una rara orchidea purpurea, o un bosco di profumate robinie bianche e rosa? Nei comuni del casalese c’è un ottimo servizio di raccolta dei rifiuti, ma è purtroppo in gran parte della popolazione che è ancora radicata una cronica mancanza di rispetto che danneggia l’ambiente e trasmette valori confusi alle generazioni future. Quali esempi trasmettono alle nuove generazioni coloro che magari fanno diligentemente la raccolta differenziata in casa, ma poi gettano rifiuti lungo le strade? Coloro che scaricano ingombranti nei boschi forse per radicata consuetudine o forse proprio per volontà? Oppure coloro che scaricano rifiuti o sfalci di giardino nei fiumi, nei rii, nei fossi più vicini, incuranti non solo dell’inquinamento ma anche del poter impedire il corretto deflusso delle acque, che poi producono danni? O coloro che abbracciano il territorio solo per il proprio interesse o il proprio prestigio, invece che per i concreti bisogni della comunità e dell’ambiente, a discapito del futuro? Anche iniziative estemporanee, seppur possano essere considerate pregevoli, finiscono per lasciare il tempo che trovano e a malapena tamponano la situazione, se mancano la volontà e l’interesse a trasmettere una cultura ambientale di esempi quotidiani e insegnamento costante, attraverso stimoli positivi, anche semplici, ma efficaci. A Casale sono attivi dal 2011 alcuni

Ecoshop per la raccolta differenziata di bottiglie di plastica a e lattine che hanno dato risultati eccellenti anche grazie al coinvolgimento delle scuole, a dimostrazione che c’è la voglia di una nuova sensibilità da parte dei cittadini, e di come gli strumenti giusti possano valorizzarla. Ma il primo passo può e deve partire dall’etica di ognuno di noi. Come per tante cose bisognerebbe innanzitutto ritrovare il valore del rispetto, oltre al coraggio e la volontà di una prospettiva in armonia con le peculiarità del territorio, ma soprattutto la consapevolezza che siamo indissolubilmente legati al destino della terra su cui viviamo, ciò che facciamo a lei, lo facciano a noi stessi, la sua salute è la nostra. Ma le “vecchie abitudini” spesso non vogliono essere scardinate, e finché non cambierà tutto il sistema e il modo di pensare "comune", la differenza può partire anche da piccole azioni quotidiane; con il suo esperimento Villamiroglio in Foto ha lanciato uno spunto molto semplice e alla portata di tutti: se anche voi provate una fitta nell'animo alla vista di rifiuti che fanno capolino tra l'erba, perché non prendere l’abitudine di portare con voi una borsa di plastica, o un sacchetto, e un paio di guanti quando si esce di casa per fare una passeggiata, e raccogliere quello che viene incivilmente abbandonato in giro?! È un piccolo gesto, che non richiede molto sforzo e può persino essere appassionante, ma che può significare molto, e chissà che non diventi una bella abitudine vedere i nostri paesaggi puliti, non solo nei giorni di festa o ad inganno dei turisti, ma soprattutto per noi e la nostra terra, e uno stimolo a rafforzare il rispetto per l’ambiente. Se non potete raccogliere personalmente i rifiuti, o se vi imbattete in qualcosa di pesante o pericoloso, potete anche semplicemente segnalarne la presenza a chi può occuparsene nel vostro comune. Villamiroglio in Foto, quando possibile, continuerà questo "esperimento", pubblicando i risultati sui rifiuti raccolti e smaltiti sui suoi social networks, provate anche voi! … e c’è chi li raccoglie

A proposito del concorso In penultima pagina potrete vedere il titolo del concorso fotografico promosso da G&d e Attini Arte. L’iniziativa può assumere diversi risvolti utili per al Nost Munfrà, infatti oltre a farlo conoscere attraverso le immagini che i concorrenti scatteranno e che verranno pubblicate, l’iniziativa costituirà anche un “pretesto” per attrarre sulle nostre colline numerosi fotografi provenienti da Torino e dalle città vicine. Per questo proponiamo ai titolari di attività commerciali e turistiche: B&b, agriturismi, ristoranti, case vitivinicole e produttori di tipicità locali: marmellate, salumi, dolci, di collaborare alla buona riuscita del concorso mettendo a disposizione premi e offerte per i partecipanti. Offrire un week-end in una struttura ricettiva, un pranzo o una cena al ristorante, qualche confezione di marmellate o salumi tipici possono esser l’occasione per i concorrenti di conoscere la struttura o il produttore. Prevediamo infatti che i vincitori dovranno recarsi di persona presso l’azienda a ritirate i premi, crediamo sia questo il modo migliore per farla conoscere. Per i ristoranti poi c’è anche a possibilità di prevedere uno sconto del 10% per tutti i concorrenti che questa primavera, speriamo numerosi, verranno nelle nostre colline e che le percorreranno in cerca di soggetti che diano loro lo scatto vincente. Naturalmente suggeriamo ai titolari delle attività, che ben conoscono il territorio in cui vivono, di dare ai concorrenti qualche “dritta” sulle bellezze della nostra terra che possano esser immortalate in qualche bella fotografia. Da parte nostra sul sito pubblicheremo l’elenco degli esercizi aderenti così da poterli far conoscere ai partecipanti al concorso, ma non solo.

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Una professione lunga una vita

Antonio Attini

Come sempre alla ricerca di personaggi eccellenti che in qualche modo danno lustro al nostro Monferrato, scriveremo oggi di un fotografo che pur avendo lo studio a Torino ama le nostre colline tanto da avere affittato una casa nel Monferrato (a Cantavenna di Gabiano) in cui fuggire appena gli impegni di lavoro glielo consentono. Antonio Attini classe 1960 fotografo con quasi trent’anni di professionismo sulle spalle ha viaggiato in tutto il mondo per realizzare reportages in ambito archeologico e paesaggistico anche con foto aeree. Dal 1996 al 2008, ha pubblicato come autore, 222 prestigiose monografie fotografiche con diverse case editrici, in vari territori del mondo ed in varie lingue, su queste pagine ne citiamo solo alcune, rimandando il dettaglio sul suo sito www.antonioattini.it. Nel 1989 esce il suo primo libro Colori a Venezia edito dalla Capitello di Torino, con la quale realizzerà altri due libri Torino le case raccontano e Torino le altre case raccontano seguono poi Destinazione Usa – Atlanta del 1996 pubblicato negli Usa ed Egitto Ieri e oggi pubblicato in numerosi paesi oltre all’Egitto, Usa, Germania, Italia, Repubblica Ceca, Francia, Ingilterra, poi Terra Santa Ieri e oggi, America dal cielo, Irlanda dal cielo, Chicago dal cielo, Washington dal cielo, Flying High – Irlanda, pubblicato da National Geografic France, ed ancora: In

volo su New York, In volo su San Francisco e poi Italia emozioni dal cielo, del 2005 pubblicato in varie lingue e selezionato dal Metropolitan Museum of Art per il proprio catalogo. Ma l’elenco continua. Dal 1994 fa parte del "Gold Circle Kodak Europe Gold Award", con lo standard di eccellenza. Sempre nello stesso anno inizia a collaborare con le Edizioni White Star di Vercelli, con filiali in USA, Germania, Francia e Svizzera, per la quale ha curato i servizi fotografici di vari

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volumi e diverse collane, partecipando inoltre alla realizzazione di opere di pregio tra cui Roma antica, Antico Perù, Antico Messico, Antica Grecia, Antico Egitto, Antica India, Le città perdute, Italia meravigliosa, Italia antica, Cuba, Ramesses II, Egitto ieri e oggi e Terra Santa Ieri e Oggi anche questa edizione americana è stata accolta nel catalogo della biblioteca del Metropolitan Museum of art di New York. Ma oltre ai libri, Attini ha partecipato a numerose mostre, ne citiamo alcune: Torino (1989, 1992, 1996, 1997 e 1999), Milano (1994 e 1996), Genova, Roma (1990) ed a Venezia alla Fenice Arts Gallery; le sue fotografie fanno parte di diverse collezioni Europee , Americane e Asiatiche. Fra le mostre internazionali più importanti: le due installazioni di Italia, emozioni dal cielo (nel 2006 a Milano, per 5 mesi e nel 2007 a New York, presso il Cipriani di Wall Street) e la galleria itinerante che, nel giugnoluglio 2007, ha seguito la spedizione Overland lungo il percorso Parigi -Pechino, in occasione del centenario dello storico raid compiuto dalla Itala nel 1907. Attini ha aperto ora una casa editrice: Edizioni Antonio Attini, specializzata nella pubblicazione di materiale fotografico e, vista l’eccellenza del personaggio, la sua predilezione per le nostre colline e soprattutto la sua disponibilità e simpatia, noi di G&d ne abbiamo subito approfittato per coinvolgerlo nelle nostre iniziative a favore del territorio. Per fine primavera G&d in collaborazione con Attini arte si organizzerà un concorso fotografico che ha per tema, manco a dirlo: Le colline del Monferrato: paesaggi, personaggi, storie. Una iniziativa che intende coinvolgere il territorio a diversi livelli. Sul sito di G&d i nostri lettori troveranno il regolamento per partecipare al Concorso fotografico oltre all’invito alla sponsorizzazione dell’evento per le aziende.


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Il Gnocco fritto Questa volta, come si diceva una volta “faremo un uovo fuori dalla cavagna”, proponendo ai nostri lettori una ricetta che non è tipica delle nostre terre, ma che è particolarmente semplice, sfiziosa e si presta per le marende sinoire o per le serate in compagnia. L’abbiamo conosciuta in Emilia, per la precisione nelle provincia di Parma, dove chi scrive, ha vissuto a lungo ed ha imparato tante cose in una delle più rinomate patrie della buona cucina italiana. Là molte trattorie, osterie e piccole bettole, offrono ai loro clienti la possibilità di una mangiata di salumi locali, accompagnandoli, non con il pane, ma con il Gnocco fritto (o torta fritta o pinzino o chisolino). Si tratta di una semplice sfoglia di pasta che viene fatta friggere e quando è ancora bella calda viene consumata appunto con i salumi (o anche con i formaggi) che, grazie al calore che scioglie e ammorbidisce i grassi di cui sono costituiti e da cui prendono il sapore, vengono particolarmente esaltati nel loro gusto. Fra i salumi più utilizzati citiamo la Spalla cotta, da noi poco conosciuta, ma anche il lardo, il salame, il prosciutto sia cotto che crudo, la coppa… giusto per segnalarne qualcuno, ma poi vi consigliamo di provare e trovare ciò che preferite. Il tutto naturalmente accompagnato da un buon vino, meglio se vivace. Non osiamo citarvi il Lambrusco, ma un buon Grignolino o, d’estate anche un Vin ciaret quello leggero leggero, può far piacere per una originale marenda. E’ una ricetta semplice ed economica che può soddisfare, anche in tempi di crisi, le allegre compagnie che non hanno voglia o soldi da spendere in una cena completa, ma che non rinunciano ad un incontro conviviale dove rafforzare rapporti ed amicizie. Passiamo alla ricetta quindi, ve ne proponiamo più versioni, una semplice per chi ha fretta, poi un suggerimento per chi ha molta fretta, ed infine per chi può procedere con

calma, molta calma. Dapprima viene preparato un impasto composto da 1 kg di farina di frumento tipo "00", 70 g di strutto di maiale, 40 ml di acqua gassata, Sale quanto basta. Alcune volte viene aggiunto un goccio di latte per ammorbidire l'impasto. Dopo aver impastato il tutto, la pasta viene messa in un recipiente avvolta in un canovaccio, ed ogni 20-30 minuti viene rimpastata in modo che avvenga una sorta di lievitazione naturale grazie alla pressione dell'acqua gassata che sostituisce il lievito (scommetto che questo pochi lo sapevano!). La pasta viene poi stesa in una sfoglia alta pochi millimetri (da circa 2 a 6) e tagliata in rombi o rettangoli di circa 10-15 cm di lato, che vengono

fritti secondo la tradizione, in abbondante strutto di maiale bollente che ha un punto di fumo molto alto di circa 230 °C. Nella pratica quotidiana si usano vari olii al posto dello strutto. Alla temperatura di 190 °C questi olii lascerebbero lo gnocco eccessivamente unto, si suggerisce di ricorrere quindi all'utilizzo di olii di semi o di palma. La pasta che viene quindi fritta, normalmente circa un minuto per lato in funzione dello spessore, si gonfia assumendo la tipica forma delle paste fritte simili a quella della “bugie” di carnevale. Il Gnocco va servito e mangiato caldissimo, c’è chi fa dei piccoli sandwich inserendo fra i due “gnocchi” una bella fetta di lardo o anche di formaggio che si “slinguano” appena

un po’. E per chi non vuol perdere tempo in cucina? Vada al supermercato nello scaffale del fresco e fra formaggi, salumi, latte e yoghurt troverà la pasta per pizze già pronta (non le pizze già pronte). Basta stenderla sull’asse per la pasta assottigliarla a piacere tagliarla, come già detto, friggerla e... voilà le jeux soint fait. Infine, terza soluzione, la più tradizionale per chi in cucina ci sta soprattutto per il piacere di fare, più che per mangiare: ingredienti: 500 gr. di farina, 70 gr. di strutto, un cucchiaio di zucchero, 10 gr. di sale, 180 ml d’acqua 12 grammi di lievito di birra. Sbriciolate in una ciotola il lievito di birra, un cucchiaino di zucchero e 50 ml di acqua tiepida, fate sciogliere bene il lievito mescolando con un cucchiaino. Unite poi un po’ di farina, quanta ne serve per formare una pastella molto morbida che lascerete riposare per mezz'ora. Passata la mezz'ora versate la restante farina in una ciotola capiente ed unite la pastella, lo strutto, e sciogliete 10 gr di sale in circa 125 ml di acqua tiepida; quando il sale si sarà disciolto versate tutta l'acqua all'interno della ciotola e cominciate a impastare. Quando il liquido sarà stato interamente incorporato dalla farina, trasferite l'impasto su un piano infarinato e lavoratelo fino a quando sarà diventato liscio ed omogeneo, quindi date all'impasto una forma di palla, incidetela a croce e posizionatelo in una ciotola capiente che avrete precedentemente spolverizzato con una manciata di farina, sigillate la ciotola con della pellicola trasparente. Lasciate lievitare per circa 4 ore in un ambiente tiepido e privo di correnti d'aria, fino a quando l'impasto avrà circa triplicato il volume. Trascorso il tempo necessario, riprendete l'impasto e lavoratelo su un piano infarinato e stendetelo in una sfoglia dello spessore di circa 3 mm ricavate dei rombi o dei quadrati e fateli friggere come già scritto.

Bun aptit


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