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I POST MILLENNIAL SOTTO LA LENTE La Gen Z pone la sfida dei valori

I POST MILLENNIAL SOTTO LA LENTE

Cosa, come, dove consumano

L'identikit degli esperti

Il futuro è nelle mani della Gen Z

Sono digital-first e mobilecentric, adepti della sharing economy, paladini di inclusività e sostenibilità. Grandi e piccoli brand li stanno corteggiando, anche se conquistarli non è facile. Perché bisogna comunicare valori forti, destreggiarsi tra analogico e digitale, stupirli con esperienze bespoke. E attenzione: sono disrupter, ma non rottamatori, e al negozio fisico non rinuncerebbero mai

Sono nati tra il 1995 e il 2010 e nel mondo totalizzano quasi 2 miliardi e mezzo di persone, con un potere d’acquisto di 44 miliardi di dollari. Parliamo dei ragazzi della cosiddetta Generazione Z, grandi “sorvegliati speciali”, perché insieme ai Millennial entro il 2025 rappresenteranno il 60% del mercato mondiale. Innumerevoli ricerche li fotografano, li classificano, ne studiano pensieri e comportamenti per decodificare il loro dna, mentre le aziende li profilano per anticiparne le mosse. Tracciare l’identikit della Gen Z non è però così semplice per chi è nato nel mondo analogico: gli under 25 sono i primi veri nativi digitali, hanno sempre conosciuto il mondo con il filtro di Internet e la dimensione reale fa tutt’uno con quella virtuale, senza soluzione di continuità. Utilizzano in media cinque dispositivi e il 98% di loro (secondo GlobalWebIndex) possiede uno smartphone, dove scaricano app (TikTok e Instagram in primis), condividono esperienze, scambiano opinioni, costruiscono e rompono legami, anche di marca: tool che vanno ben oltre la mera funzione di strumenti tecnologici e che aprono le porte all’habitat naturale dove incontrarli. Come informa Nicolò Andreula, economista e autore di libri come Flow Generation e #Phygital, il nuovo marketing tra fisico e digitale, riportando uno studio condotto dal Pew

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Research Center, oltre la metà di loro utilizza il proprio smartphone per cinque o più ore al giorno e oltre un quarto per almeno dieci e di questo tempo, in base ai dati del World Economic Forum, circa tre ore sono spese sui social media, una in più rispetto ai Millennial. «È senz’altro fondamentale intercettarli su questi canali - sottolinea Andreula - prestando però attenzione a come e a cosa si comunica, perché i post Millennial non sono attenti solo alle caratteristiche tangibili del prodotto, ma soprattutto ai valori dell’azienda che li vende». «Raccontare di sé in maniera autentica, anche

Internauti navigati, i ragazzi under 25 arrivano all'acquisto dopo una gimcana online, super mirati

se imperfetta e non necessariamente ultra-patinata, ma definendo e comunicando chiaramente la propria missione e i propri obiettivi, è dunque il primo passo», tenendo ben presente che per i teenager i brand sono microcosmi valoriali in cui identificarsi, ambasciatori di messaggi sociali e agenti di cambiamento. Lo confermano le politiche interventiste di grandi gruppi

1. Secondo uno studio del Pew Research Center metà della Gen Z usa lo smartphone per cinque o più ore al giorno 2. Due proposte Off-White, uno dei marchi cult degli under 25 3. Lo stile Palm Angels 4. Un outfit di Ganni

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Tutti pazzi per

noleggio e ▲

second hand

Dall’osservatorio PwC emerge che Millennial e Gen Z stanno diventando sempre più disponibili all’idea di affittare e condividere: auto e tecnologia in primis, ma anche abbigliamento e gioielli.

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■ Source: PwC, Global Consumer Insights Survey 2020

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come Nike o Adidas, sempre pronti a prendere posizione su temi cruciali e culturalmente rilevanti (vedi la lotta al razzismo o la difesa della comunità Lgbt), ma anche dei luxury brand, consapevoli di quanto asset come responsabilità sociale, inclusività e soprattutto - come ormai ampiamente ribadito dagli studi di settore - sostenibilità siano valori prioritari dei consumatori di oggi, in particolare dei giovanissimi. Non sorprende affatto che questi figli della sharing economy siano paladini dell’economia circolare e che per loro noleggiare capi, acquistare prodotti second hand o rivendere i propri su piattaforme di re-commerce rappresenti un modo per assicurarsi pezzi altrimenti non alla portata di portafoglio oppure semplicemente meno mainstream, risparmiando e facendo un piacere all’ambiente. Dal quinto osservatorio Millennial e Generazione Z di PwC, che tra gennaio e giugno 2020 ha intervistato quasi 2.500 giovani italiani, emerge che tra i generi di merce che queste due categorie anagrafiche sono più disposte a condividere ci sono le auto, strumenti tecnologici o attrezzature sportive, ma anche oggetti più personali, come abbigliamento, accessori, borse e gioielli: il 14%, dice la survey,

OSSERVATI SPECIALI Dalla Cina agli Usa, tutti corteggiano i Centennial

Alcuni consigli per il retail: massimo presidio dei canali digitali e focus sull'esclusività. Spazio alle griffe, ma il leader per i ragazzi è Nike

Da una parte all’altra dell’oceano la generazione degli under 25 è super corteggiata. E il motivo è presto detto. Prendiamo la Cina: oggi Millennial e Centennial (i nati tra il 1980 e il 2009) rappresentano il 40% del totale della popolazione, ma entro il 2025 saranno il 65%, come ricorda il report di Euromonitor dal titolo How China’s Millennials and Gen Z live and spend. Che enuclea due caratteristiche distintive, indispensabili da sapere per conquistare questo target di clienti. La prima è scontata: lo smartphone è una propaggine del loro corpo e usano la Rete per facilitarsi la vita. «Fondamentale - dicono gli autori della ricerca - è porre maggiore enfasi sugli account WeChat e sulle mini-app, sugli short-video e sul live streaming, perché sono diventati importanti canali d’acquisto». Secondo: preferiscono prodotti premium o di alto livello e per assicurarsi standard elevati sono disponibili a spendere un extra. La pensa così il 7,5% dei ragazzi di Pechino: un dato interessante, se si pensa che la percentuale è del 3,7% a New York e solo dell’1,2% a Parigi. Spostandosi in America, altra grande area da tenere sott’occhio perché spesso scintilla di trend che poi si propagano nel resto del mondo, il sondaggio semestrale Taking Stock with Teens di Piper Sandler, condotto su un campione di 9.800 giovani americani di età media pari a 15,8 anni, fotografa un target che ogni anno a livello retail genera vendite per 830 milioni di dollari, anche se negli ultimi sei mesi la voglia di shopping è stata compromessa da un certo pessimismo causa pandemia, con un calo della spesa del 9% rispetto al 2019 e del 5% se confrontata con la scorsa primavera. Il marchio più desiderato a livello di accessori è Louis Vuitton, seguito da Michael Kors e Coach, mentre Gucci è al quinto posto in classifica. Nella categoria footwear non è una sorpresa trovare Nike, seguito da Vans, Adidas e Converse. Nike è invece leader incontrastato nell'abbigliamento. (a.t.)

utilizza già servizi di fashion renting e un ulteriore 23% è interessato a farlo in futuro. «Il loro armadio non è ampio e non sono spinti dalla logica dell’accumulo - precisa Erika Andreetta, Partner PwC Italia e Consumer Markets Consulting Leader -. Preferiscono acquistare pochi prodotti, ma con un chiaro dna». L’altro grande pilastro che dovrebbe orientare aziende e retailer nel momento in cui formulano l’offerta e veicolano campagne di marketing verso i Centennial è proprio l’esclusività. È questa la miccia del boom delle cosiddette “drop release”: capsule collection e co-lab a tempo, con una serie finita di articoli d’eccezione (soprattutto sneaker, spesso realizzate con il rapper o lo stilista più hype del momento), capaci di mandare in delirio tribù di ragazzini. «Vengono spesso in negozio in gruppo, le provano e le acquistano per il gusto di possederle sì, ma soprattutto per

Ciò che conta, per la Gen Z, non è solo il prodotto, ma i valori dell'azienda che lo vende

poter condividere questo oggetto del desiderio sui social con gli amici», racconta Andrea Selvi, senior buyer di LuisaViaRoma, che spiega come sia il meccanismo delle edizioni limitate a determinare la corsa all’acquisto. «Spesso comprano le sneaker e poi le rivendono sui siti specializzati, generando un vero business con la leva della desiderabilità - aggiunge -. Basti pensare che le ultime Air Jordan V x Off-White prima di andare al pubblico a 229 euro erano già state prenotate su StockX a 900». Del resto, il marchio di Virgil Abloh (direttore creativo anche del menswear Louis Vuitton),

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1. Celine allo stadio Louis II di Monaco, con proposte su misura per la Gen Z 2. Le Nike firmate con il rapper Travis Scott, idolo dei giovanissimi 3. L'ultima Nike Dunk High x Slam Jam 4. Le borse Themoiré, best seller tra le giovanissime, in showroom da Massimo Bonini

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come informa Selvi, è in cima alle preferenze di questa generazione, accanto ad altri brand del gruppo Ngg, quali Palm Angels e Marcelo Burlon County of Milan, e giganti dello sport come Nike, Adidas e Puma. Su questo nessuna sorpresa: la moda streetwear e quella di derivazione gym, meglio ancora se griffata, vanno per la maggiore tra la Gen Z. Meno scontato di ciò che consumano è come e dove consumano gli under 25. L’ingaggio, come abbiamo visto, avviene principalmente online, perché prima di arrivare a scegliere un prodotto questi internauti junior ma non certo di primo pelo si informano, leggono recensioni, confrontano prezzi, valutano contenuti e schizzano verso il bersaglio con una mira infallibile. Tante, tantissime volte finalizzano l’acquisto sul web (il 24% dei giovani del nostro Paese acquista la maggior parte dei prodotti fashion online, secondo la ricerca PwC), passando anche attraverso il canale di Insta-

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gram, ma gli esperti rassicurano che questa generazione iperconnessa e digitalizzata non suonerà il de profundis del retail brick and mortar. Anzi. «A differenza dei Millennial - spiega Erika Andreetta - la Gen Z ama convertire nel negozio fisico. Il processo che la porta fin lì si snoda nella Rete e soprattutto sui social, ma il closing si verifica il più delle volte dentro uno spazio reale, dove è possibile provare un’esperienza multisensoriale». Certo, le aspettative non devono andare deluse: quando un potenziale consumatore di questa età decide di varcare la soglia di uno store in mattoni non va a effettuare una mera transazione commerciale. «Si aspetta un trattamento personalizzato, definito sulla base di tutte le informazioni raccolte attraverso i vari touch point - evidenzia Andreetta -. È anche disponibile, anzi desidera, essere geolocalizzato, se questo significa ottenere un servizio o promozioni ad hoc». Chiaro che da questa prospettiva cambia tutto. L’online

DOMENICO ROMANO/AW LAB «Il negozio a misura di Gen Z? Sarà a prenotazione e data-driven»

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non cannibalizzerà l’offline e il virtuale non avrà mai la meglio sulle emozioni reali, ma - usando un chiasmo - a patto che di reali emozioni si tratti. «I ragazzi di oggi non perdono tempo - interviene Massimo Bonini, alla guida delle omonime showroom milanesi specializzate negli accessori -. Non è vero che disdegnano l’acquisto in-store, semplicemente dispongono di un’offerta incredibile a portata di mouse e in un negozio devono trovare qualcosa in più, un valore aggiunto. Oggi il retail è omologato, hanno tutti le stesse cose. La grande sfida è offrire un’esperienza che non sia noiosa e déjà vu». Come? Nicolò Andreula cita l’esempio di alcuni marchi, alcuni dotati di grandi budget certo, ma che possono comunque fungere da paradigmi: «Chi vende offline - osserva - deve sfruttare le novità introdotte dalla trasformazione digitale a proprio vantaggio e non considerarle come una minaccia, per esempio utilizzando materiali interattivi».

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1. Un insieme A-Cold-Wall 2. La collezione Air Jordan V per Off-White, vero oggetto del desiderio per ragazzi e ragazzini 3. Avatar nella campagna per il lancio di una collezione esclusiva di Vans per Aw Lab

Vedi quello che ha fatto Rebecca Minkoff nei suoi negozi di New York, in cui attraverso lo specchio dei camerini è possibile scegliere capi da provare o salvare gli articoli su una wishlist accessibile in qualsiasi momento dal proprio smartphone. Oppure Levi’s a Times Square, dove il brand coinvolge i clienti nel processo di co-creazione, dando la possibilità di personalizzare i capi con scritte e disegni. E ancora Nike, nei cui store si possono incontrare atleti professionisti. O Lululemon, che nei propri punti vendita organizza lezioni di yoga. Insomma: la formula da tenere bene a mente è “esperienziale”. Anche se questi e i prossimi mesi toglieranno respiro agli eventi causa Covid, la multisensorialità sarà una strada da battere per animare e ri-animare il retail. Molti questo salto evolutivo lo hanno fatto e alcuni lo stanno facendo, ma la strada è ancora lunga. «Il tessuto distributivo italiano è analogico - commenta Leo Padulo, direttore commerciale della Max Moda, a capo del marchio Freedomday - ma se vuoi sintonizzarti sulle frequenze di questo target d’età sei obbligato a evolverti, imparando la sua lingua. Devi creare occasioni interattive, per esempio legate alla musica, uno dei canali di espressione privilegiati dei giovanissimi. Non basta più avere sugli scaffali delle belle collezioni, non basta il marchio, non basta il tuo heritage di negozio all’avanguardia, non basta la vetrina appealing. Ci vogliono le experience a 360 gradi, tra online e offline, capaci di lasciare il segno». ■

Che ne sarà del retail fisico con l’avanzata dell’e-commerce? Quali strategie mettere in campo? Un punto di vista interessante lo fornisce Domenico Romano, head of marketing del retailer Aw Lab, appena andato in stampa con il libro Open retail, Innovazione sostenibile in un mondo di atomi e bit, scritto con Luca Moretti. «Ripensare lo store in maniera strutturale sulla base di una fusione sempre più forte tra reale e virtuale è indispensabile», osserva il manager, che fa partire il suo ragionamento dalla trasformazione “spaziale” dei negozi. «Le dimensioni - chiarisce - non saranno più così importanti, perché i prodotti disponibili non saranno solo quelli sugli scaffali o in magazzino ma tutti quelli visibili, con l’introduzione di tecnologie di realtà aumentata». Secondo aspetto, altrettanto determinante: «In futuro andare in negozio sarà come andare dal parrucchiere», osserva Romano. Si prenoterà online e si sarà coccolati da un personal shopper, che di volta in volta acquisirà sempre più dati sul cliente, per fidelizzarlo. «Il sales assistant di domani - spiega - non metterà in atto la classica cerimonia di vendita per aumentare il conversion rate, ma per sviluppare un rapporto maieutico con il cliente, in modo che la prossima volta che lo incontra potrà dire, come il parrucchiere: "Il solito o qualcosa di diverso?"». A questo punto, che il negozio si trovi in corso Vittorio Emanuele a Milano o in un’area più periferica e meno costosa non è così prioritario secondo Romano, che conclude: «Se il servizio è esclusivo, anche il prodotto lo deve essere. Le co-lab a tempo continueranno a funzionare e la personalizzazione sarà il più importante argomento di vendita». (a.t.)

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