ELETTRA

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Scuola Materna

Elettra Caracini

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Sono convinta che tutti i bambini siano buoni naturalmente, ed un sorriso che brilla anche su una faccina smunta è tutta una luce che chiede carezze. Sgarbi e collere sono e restano quasi un mistero dell’ anima infantile. Ecco perché io ho per tutti lo stesso affetto, lo stesso amore che può avere una mamma. Elettra Caracini


È la prima volta che la mamma ti lascia con qualcuno che non conosci. È la prima volta che c’è un nome scritto vicino ad un bel disegno colorato: quel nome sei tu e dove c’è il tuo nome vuol dire che quei vestiti, quegli oggetti sono tuoi. E che gli altri nomi e gli altri disegni sono altri bambini come te. È la prima volta che fai i conti con altri “io” piccoli e determinati come il tuo. È il tuo primo giorno d’asilo. Ne conserverai il ricordo vivo nel cassetto del cuore in cui metterai le cose che contano davvero. Anche se ti hanno spiegato che si chiama Scuola Materna, lo chiamerai sempre asilo perché affetto e protezione che si sentono in questa parola, non potrebbe mai evocarli un termine tecnico. Qui ci muoverai i primi passi per diventare grande e lo farai nel modo più straordinario. Giocando aiuterai i semi preziosi del rispetto e dell’amicizia a germogliare dentro di te. Siccome questo è il mondo che conosci pensi che sia stato sempre uguale e che dall’asilo siano passati pure i nonni. Ma non è stato sempre così. 4

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Questo racconto che, da Sindaco di Treia e nonno, consegno a te ed alla tua famiglia come ricordo del primo giorno alla Scuola Materna Elettra Caracini, ti spiega perché gli abitanti di Passo di Treia hanno un bellissimo asilo, un regno dei bambini messo completamente a nuovo grazie agli sforzi che l’ Amministrazione Comunale ha profuso con grande entusiasmo. Perché lo devono al cuore grande di una mamma di tanti anni fa che voleva quello che tutte le mamme vogliono per i loro bambini: farli crescere sani, forti, intelligenti e buoni, pronti per affrontare il mondo. E che per realizzare il suo sogno di “mamma” ha lavorato tanto e con sacrificio per tutta la sua vita. Bentornato, asilo dei sogni di Elettra Caracini. Luigi Santalucia Sindaco di Treia Treia, 18 aprile 2009 - Inaugurazione Scuola Materna Elettra Caracini

Stamani ho ricevuto dalla Posta un plico indirizzato “Alla Direttrice dell’Asilo Infantile di Passo di Treia”. È la prima volta che mi sento chiamare Direttrice dall’Autorità Scolastica. Dubitavo di non saper fare abbastanza per meritare tale qualifica, mancandomi capacità e ascendente. Ma ora sento d’aver più coraggio e mi sarà di sprone per fare sempre meglio. Elettra Caracini, 8 febbraio 1915

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Passo di Treia l’odierno Corso Garibaldi

A Treia e Passo di Treia, come in tante cittadine d’Italia nei primi anni del Novecento, mancavano tante cose, figuriamoci se c’era l’asilo comunale. Invece sarebbe servito, altroché se sarebbe servito. La vita era dura, specie per i più poveri: si lavorava da mattina a sera e i bambini, senza controllo, giocavano per strada rischiando di farsi male sul serio, di finire sotto le ruote di un mezzo di trasporto o, purtroppo anche allora, di imbattersi in un orco. In più niente sneaker griffate, Playstation, piumino

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d’inverno e condizionatore d’estate, spesso in case senza acqua corrente, altrettanto spesso senza un pasto caldo e non solo perché non c’erano frigoriferi per conservare e microonde per riscaldare, ma perché il cibo era troppe volte scarso. Un pezzo di pane era insieme colazione, pranzo e merenda. Il babbo e la mamma, al ritorno dalla lunga giornata di lavoro nei campi, avrebbero, forse, avuto di che preparare la polenta. Per scrivere e disegnare niente penne con il correttore e quadernoni con i personaggi dei cartoni, tempere e

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pennarelli. Si disegnava sulla sabbia, sul muro, sul tronco di un albero, ovunque un sasso o un gessetto improvvisato potessero incidere. Quando si aveva l’età per le elementari magari non ci si andava: si cominciava a lavorare perché qualche soldo in famiglia faceva comodo. In questo mondo che oggi è difficile immaginare, una signora di mezza età, non benestante, impegnata a crescere e far studiare, a costo di grandi sacrifici, i figli Luigi, Lea, Angela e Maria, pensa di fare qualcosa per aiutare tutti i bambini di Passo di Treia a diventare grandi e forti. Si chiama Elettra Natalini Caracini, ma tutti la chiamano Sora Lella. Dal 1911 in poi, generazioni di passotreiesi la chiameranno Maestra. Le istituzioni Direttrice, ma lo faranno solo anni più tardi. Il suo obiettivo non è la gloria e si mostrerà sempre orgogliosa e meravigliata insieme dell’ apprezzamento degli ispettori scolastici di cui annota le visite nel suo diario come veri e propri eventi. “18 maggio 1915 Ero intenta ad insegnare ad Ireneo come si doveva zappare un’ aiuola e stavo zappando, quando sento i miei piccini dire: Buon giorno!... buon giorno!... Mi volto e vedo dietro di me il Regio Ispettore Cattani Elettra Caracini intorno agli anni Trenta

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che mi stendeva la mano sorridendo al mio imbarazzo. “L’ispettore deve venire quando meno lo si aspetta” mi ha detto; e va bene. I bambini si divertano liberamente” Ha poi visitato i locali ed è rimasto soddisfatto.” Ha lineamenti decisi, ma è minuta, gentile. I capelli sono rigorosamente raccolti come le donne della sua età all’epoca, ma sotto quei capelli c’è una mente che è anni luce avanti. Guarda caso è nata nello stesso anno di Maria Montessori, il 1870. Non ha il diploma di maestra, ma viene incaricata dal 1909 al 1910 di lunghe supplenze in scuole rurali di Treia e Pollenza. Nel 1911 le propongono un’altra supplenza, ma ha quattro figli che non può lasciare per troppo tempo soli come i tanti bambini che vede ogni giorno lasciati a sé stessi ed a ruzzare per la strada. Le torna in mente che, quando era giovane, riuniva con piacere a casa sua bambine e ragazze cui insegnava il ricamo (arte in cui si esprimeva con raro talento) e che approfittava anche per dar loro lezione di catechismo. Così le viene l’idea: insegnare nuovamente, questa volta ai bambini non ancora in età da scuola elementare. Da lì all’idea di un asilo infantile il passo è breve. Nei primi tempi li riunisce in casa sua: abita in Corso Garibaldi 110, dove oggi c’è la sede di una banca.

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Si forma un comitato di cui fanno parte anche il marito, Arcangelo Caracini, che sarà sindaco di Treia nel 1946, ed il parroco di Passo di Treia, Don Leopoldo Taruschio sul cui appoggio potrà sempre contare nella sua opera educativa. Don Leopoldo è come se potessimo vederlo anche oggi grazie a Dolores Prato ed al suo romanzo ambientato a Treia Giù la piazza non c’è nessuno. Nato nell’agosto del 1892, Don Leopoldo ha 20 anni più della scrittrice ed un rapporto di grande affinità intellettuale con lo zio della Prato, anche lui prete, don Domenico Ciaramponi. Il suo ritratto è quello di un “...giovanissimo parroco malato di tisi che quando saliva a Treia veniva sempre anche da noi, lasciando sulla tavola una sua pubblicazione. O era un libro che insegnava a scrivere, o erano traduzioni di poeti greci; più spesso erano libretti di sue poesie. Don Leopoldo Taruschio: viso lungo, pallido, interiore, “spirituale”, era alto e sottile come nessuno: un filo d’erba vestito di nero. Non lo vidi mai seduto, sempre in piedi e sempre in moto... Aveva sognato d’essere pittore; quando si risvegliò dal sogno si trovò malato e poeta. Quel che aveva fatto Leopardi fece lui: si consumò nello studio del greco, del latino, di tutti i classici.

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I versi a volte nascevano lacerandogli l’anima; a volte costretto a verseggiare per non morire, scoppiavano da irresistibile delirio. Intanto col male, con lo studio, con la poesia, affinava la purezza del suo sacerdozio. Tutte queste cose venivano fuori dalle sue agitate confessioni quando veniva a trovarci; forse perché nello studio dello zio non avrebbe potuto svolazzare come gli era necessario, si fermava in sala da pranzo che ne aveva a sufficienza. Era come se dalle sue parole si formasse nell’aria la figura della sua anima.” Chi l’ha conosciuto, racconta ancora oggi che è stato attivo ed instancabile, in parrocchia come per l’Asilo, fino al termine dei suoi giorni, nel 1944. Anche Arcangelo Caracini, che di mestiere fa l’operaio dell’Azienda Elettrica, ha la passione per le lettere. Scrive poesie dialettali di cui pubblica tre raccolte (A sera, Mentre fiocca e Sotto la cappa) e che ritroviamo anche oggi in alcune antologie di genere. Dal 1911 al 1946, quando la Maestra Caracini è l’anima ed il motore dell’Asilo Infantile di Passo di Treia, questi due uomini ed i marchesi Luzi furono tra le colonne portanti del suo sogno. In particolare la marchesa Sofia Rutiloni Luzi, tra i primi e più assidui benefattori, darà il la al lungo e proficuo rapporto che la nobile casata intratterrà per decenni con La marchesa Sofia Rutiloni Luzi darà il la al lungo e proficuo rapporto che la nobile casata intratterrà per decenni con l’Asilo Infantile e la sua fondatrice.

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l’Asilo Infantile e la sua fondatrice. In seguito, con la costituzione dell’Associazione Scuola Materna Elettra Caracini, si dovrà ancora ad un parroco animato della stessa energia e determinazione, Don Franco Giustozzi, l’instancabile sostegno all’attività dell’ormai “Scuola Materna non statale Elettra Caracini”. È il primo giorno di ottobre del 1914 quando la Maestra annota nel suo diario: “È questo il quarto anno in cui mi accingo a dirigere questo nostro Asilo Infantile, proponendomi di continuare nel metodo che più mi si addice, quello cioè di vera mamma. Perché per me è una felicità avere molti bambini d’attorno, accarezzare le loro testine, rispondere alle loro ingenue domande e partecipare ai loro giuochi. Sono convinta che tutti i bambini siano buoni naturalmente, ed un sorriso che brilla anche su una faccina smunta è tutta una luce che chiede carezze. Sgarbi e collere sono e restano quasi un mistero dell’anima infantile. Ecco perché io ho per tutti lo stesso affetto, lo stesso amore che può avere una mamma. E quando alcuni se ne vanno dall’Asilo perché obbligati a frequentare le Elementari, è per me una vera pena”. Senza una parola di compiacimento e legittimo orgoglio, Elettra Caracini racconta come ogni giorno realizza il sogno di ogni madre e l’obiettivo di ogni educatrice: aiutare un bambino a crescere bene.

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In un piccolo paese di una piccola provincia non è comune non essere inclini al pregiudizio: si sa tutto di tutti e la nomina, come si dice in lingua parlata (così la Maestra definisce il dialetto che è oggetto di vere e proprie lezioni), arriva ben prima della persona. Siccome alcune pagine del suo diario saranno pubblicate solo dopo la sua morte, non è certo per ingraziarsi il lettore che il 2 ottobre 1914 scrive: “Ho nuovi iscritti: Bruno Carassai, Remo Stortoni e Gaetano Migliozzi. Ho altri due bambini preceduti da una fama non troppo lusinghiera, Carluccio e Odilio. Li dicono vivacissimi, maneschi e indocili. Vedremo se sarà vero!”. Sono pagine che neanche i figli avevano mai letto e che la figlia Angela, che le ha trovate tra le tante carte dopo la morte della madre, ha gentilmente concesso per la pubblicazione già alla fine degli anni Cinquanta. A conferma del suo metodo di insegnamento fatto di attenzione, stimolazione continua e coinvolgimento qualche giorno dopo annota: “Ho seguito sempre Carlo e Odilio che giocavano ai cavalli. Carluccio faceva il puledro e Odilio e altri volevano domarlo... io scappavo perché il cavallo era tanto cattivo... Come erano felici essi della mia paura! poveri piccini! sono pieni di vita e hanno bisogno di correre e giocare”. È un tema ricorrente quello degli spazi adeguati.

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È come ossessionata dal pensiero di dare spazio sufficiente ai suoi bambini: sarà costante l’impegno nel sensibilizzare i tanti ed attivi benefattori alla raccolta di fondi affinché si possa organizzare l’attività in luoghi sempre più ampi e salubri. Del resto il numero dei bambini aumenta costantemente e bisogna pur dare un posto a tutti. Dapprima, grazie alla disponibilità dell’amica Lina, trasferisce l’Asilo in casa Verdolini, in corso Garibaldi 173, quasi dirimpetto alla chiesa di Sant’Ubaldo. Successivamente è la volta della Torre del Mulino finché, nel 1930 si sottoscrive l’atto di acquisto del terreno su cui sorgerà l’edificio che oggi, completamente ristrutturato, le è intitolato. Spazi e mensa: per queste due necessità i soldi, come in casa Caracini del resto, non sono mai sufficienti. Scrive il 5 ottobre 1914: “Il tempo piovoso nelle prime ore di stamattina ci ha obbligati a rimanere chiusi. L’Asilo è piccolo e col tempo cattivo bisogna lavorare d’ingegno. Sono 34 bambini e in un locale ristretto, quale meglio non si è potuto trovare; c’è da tremare con tanti folletti così pigiati”. E ancora il 13 dello stesso mese: “Intanto piove. Con questo tempaccio è una pena restare chiusi in questo ambiente ristretto e poco adatto.

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Riusciremo a trovare locali migliori e più igenici? Io lo spero, per il buon andamento dell’Asilo. Così debbo intrattenere i bambini con occupazioni tranquille e racconti. I bambini fanno costruzioni con mattoncini e le bambine lavorano lo smerlo per un tappetino per il pianoforte”. Indipendentemente dai locali in cui sarà ospitato l’Asilo, Elettra Caracini seguirà sempre la stessa regola. Le giornate sono scandite dal gioco didattico, la disciplina si mantiene in maniera ferma senza rinunciare al dialogo e alla pacatezza, ogni occasione è buona per imparare qualcosa, fossero anche dettami elementari d’igiene. Gli errori poi servono per trarne esperienza, non per essere stigmatizzati. Quando vede che tra i bambini ce ne sono di quelli con le unghie sporche non rimprovera i colpevoli, ma insegna a tutti la filastrocca delle mani: “Buon dì manine - siete lavate? Brave piccine - bene asciugate di nere unghiette - traccia non v’è manine nette - piacete a me” I bambini, specie i più disagiati, non ricevono attenzioni sufficienti in famiglia e le condizioni di case dove non ci sono bagno e acqua corrente sono quelle che sono. Così anche una lezione sulle forme delle cose è l’occasione

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Elettra Caracini (col baschetto nero) nel cortile dell’Asilo. È l’anno scolastico 1942-1943 ed i bimbi indossano la divisa obbligatoria dei “Figli della Lupa”

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per invitare indirettamente la famiglia nel suo complesso a mantenere igiene e decoro pur tra le difficoltà oggettive. Il 16 novembre 1914 racconta al suo diario la lezione sul quadrato di carta: “Rettangolo, triangolo sono le forme che il quadrato può prendere. Un quadrato che tutti i bambini dovrebbero avere e portare in tasca è il fazzoletto che serve a pulire il naso. Ma alle volte si vedono certi nasetti... che non vi dico. Ebbene, domani verrete tutti con un bel quadratino di bucato in tasca che vi farete dare dalle vostre mamme ed io vi farò un bel regaluccio. Ma più che ai bambini il rimprovero dovrebbe andare a certe mamme...” Sa che non sono solo i bambini ad apprendere per stimolo ed imitazione ed utilizza questa tecnica perché i piccoli abbiano in famiglia gli stessi input che ricevono a scuola. “Ho notato che molte mamme ed altre persone che accompagnano i bambini entrano senza salutare. Conseguentemente i bambini non possono comportarsi diversamente. Stamattina all’ingresso mi sono messa alla porta salutando io per prima e obbligando così a restituire il saluto. Colgo l’opportunità per dire che il salutare per loro bambini è un dovere, per gli altri educazione e cortesia. Speriamo che la lezione giovi”. Si direbbe che lezioni di questo tipo giovavano fin troppo se, sempre stando al diario, in mancanza di lucido, pur

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di non andare all’ Asilo con le scarpette sporche ci si industriava con il nero della padella. Per coinvolgere di più le famiglie rendendole consapevoli dei progressi dei loro figli, fa realizzare loro dei lavoretti che possano portare a casa. E quando i bambini non riescono ad ultimare quelli natalizi, non lesina energie sue e delle figlie che sono a casa per le vacanze. Le madri, con cui nel tempo ha costruito un ottimo rapporto (“io saluto e parlo con questa o con quella mamma perché tutte mi hanno da dire tante cose dei loro piccini”) ha “appena il tempo di salutarle perché i bambini dovevano tornare a casa poco dopo mezzogiorno con i lavoretti pronti”. È mite e cortese, ma non difetta di tenacia. Per raccogliere fondi per l’Asilo spende e si spende in prima persona. Vuole garantire al maggior numero possibile di bambini vitto, riscaldamento e supporti didattici. Nell’euforia della consegna dei lavoretti (per i quali ha dovuto acquistare dei materiali) non dimentica di chiedere “a tutti due soldi perché il Comitato Direttivo non abbia a farmi rimproveri”. Raccoglierà 3 lire che le serviranno per un altro progetto, naturalmente autorizzato prima dal Presidente del Comitato. Vuole acquistare la stoffa per “una cuffia o un cappuccio per andare fuori quando

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fa freddo” che consegnerà ad ogni bambino. Compra “10 metri di fustagno rosso” e spende “5,50 lire, sufficienti per quaranta cappucci”. Si mette subito al lavoro e, come suo costume, quando vede che manca la fodera risponde come sempre: “Ci penserò io”. Scrive la figlia Angela nella prefazione al diario della madre: “Aveva assunto l’incarico come una missione da compiere e nella povertà dei mezzi di allora faceva appello alla Carità perché i bambini avessero la refezione calda a mezzodì almeno nei mesi invernali”. La Carità è una virtù che la Maestra Caracini, catechista e mamma, non perde mai di vista, come tiene sempre ben presente il valore dei fondamenti cristiani nella vita di tutti i giorni. Riferisce in uno scritto autografo don Franco Giustozzi che “la sora Lella era convinta che ogni individuo, fin dalla nascita, ha diritto di essere aiutato a crescere e formarsi e diventare un uomo, un cittadino, con delle regole morali e sociali giuste... Un compito che spetta come dovere in primo luogo alla famiglia alla quale si affiancano, in un secondo momento, la scuola e la società... per sviluppare il senso dell’educazione, della giustizia, della sana morale”. “8 novembre 1918, Giornata di sole. Siamo andati a fare una passeggiata per vie campestri. Ho lasciato i bambini liberi, ma accanto a me, lieti di

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poter raccogliere sassolini e fiori. Erano felici. Al ritorno ho domandato se si erano divertiti ed hanno risposto di sì. È il buon Dio che ci dà il sole che riscalda e illumina, fa nascere e germogliare i fiori e le piante. Domando se Dio era stato cattivo ieri che mandò la pioggia. Rispondono... Si... No... Spiego che se non mandasse mai la pioggia i fiumi non avrebbero più acqua. e allora la vostra mamma come laverebbe i vostri vestitini? I pozzi si seccherebbero e allora cosa berreste quando avete sete? Dunque Dio è buono anche quando manda la pioggia e la neve. Dio è sempre tanto buono” Elettra Caracini vive quotidianamente le stesse difficoltà dei bambini dell’Asilo e con esse si immedesima. Allieve di allora, nonne di oggi, raccontano (e gli occhi si inumidiscono al ricordo) che si ingegnava disperatamente per portare in tavola un dolce o un po’ di cibo. Friggeva petali di rosa che, passati nella pastella di acqua e farina, diventavano dolcetti. Cuoceva il pane dopo averlo spalmato con l’uovo e lo tagliava a forma di biscotti facendo di un innocente inganno una esperienza magica per bambini che strillavano “Maestra, maestra fuori è ciambellotto e dentro è pane!”

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I pasti dell’Asilo Infantile costano solo 6 centesimi, ma nel 1923 non ci sono più nemmeno quelli: la refezione viene soppressa. Ricorre a famiglie e benefattori perché l’aiutino a garantirla almeno per i mesi freddi. Sull’Asilo convergono tante donazioni, compresa la devoluzione di somme consistenti in memoria dei figli morti prematuramente. Il freddo non impedisce alla Maestra Caracini di prendere il mondo come grande libro di scuola, proprio come fa lo zio prete con Dolores Prato bambina. “21 aprile. Quante passeggiate! Ogni giorno un posto, una strada nuova. Non è vero che il nostro asilo sia piccolo. Vengano, vengano pure i signori Amministratori, Ispettori, Benefattori a visitarlo tutto... Ma ci vorrà del tempo” I locali si fa presto, certo, a visitarli; ma all’aperto? Il nostro giardino si estende all’infinito. Si va dalla selva di Guardati, alla selva della Marchesa, su al roccolo, su per il fosso che conduce a Valcerasa” Mentre stanno in cortile si leva all’improvviso una folata di vento che fa cadere molte foglie. “Bambini! Bambini! - ho chiamato io - l’autunno, l’autunno! Delle grida, delle grandi grida festose si sono levate per l’aria e tutte quelle braccine erano alzate per afferrare le numerose foglie che cadevano sulle loro testine e da quelle bocche è uscito spontaneo il canto (imparato il giorno prima, ndr): Originale della lettera con cui Nazareno Fratini e la moglie, comunicano l’avvenuta donazione in memoria del figlio prematuramente scomparso.

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Io son l’autunno triste che fa cader le foglie e che i bambini toglie dal prato e dai giardin” Cari miei piccini! come in quel momento mi hanno fatto pensare che nulla si perde, nulla è inutile di ciò che loro si insegna!!” Lo penserà per tutta la vita e lo trasmetterà agli stessi suoi figli di cui non le mancheranno mai l’approvazione ed il sostegno, nonostante i tanti appuntamenti mancati in nome del suo impegno per i figli di tutti. Il 6 giugno le figlie, tornate dalla scuola “promosse tutte e tre senza esami” si mettono subito all’opera. “Ora che sono qui con me, avrò modo di riposarmi un poco. La mia Angela mi aiuta spesso, specie nella musica. Essa ha insegnato ai piccini gli inni nazionali! E come cantano bene i miei figlioletti! Spesso li aiuta nel canto la mia figliuola Lea”. Fedele ai suoi propositi di insegnamento, come una madre che sa di dover fare di più per il figlio svantaggiato, Elettra Caracini, trascura più di una volta i suoi doveri domestici. Confessa al diario di non aver accompagnato le figlie a Camerino dove studiano, o di non esser tornata a casa per il pranzo “per non lasciare i miei piccini”. Lavora per farli crescere bene proprio come le mamme,

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e come loro qualche rara volta perde la pazienza e non sa come comportarsi con i più discoli. “7 novembre 1914. Carluccio oggi ha dispensato graffi a profusione... Io perdo la testa con questo bambino. Non so dove tenerlo. È incorreggibile, benché in fondo sia di animo buono” E proprio come le mamme la chioccia che è in lei fa continuamente capolino: non si rassegna a “perdere” i bambini che arrivano all’età della prima elementare. Ricorda di loro, a distanza di anni, anche gli aneddoti. “30 novembre 1915. Giorni or sono parlando del Re insegnavo ai bambini che se il nome è Vittorio, bisognava completarlo e dire: Vittorio Emanuele Terzo. Stamattina ho interrogato parecchi bimbi: Come ti chiami? Come si chiama il tuo babbo? e la tua mamma? e i fratellini? Tutti hanno risposto bene Poi ho chiamato Grifagno (che di nome fa anche lui Vittorio, ndr) e gli ho domandato: E tu come ti chiami? E lui pronto: Vittorio Emanuele Terzo... Abbiamo riso molto. Caro Vittorio, anche lui sarà uno di quei bambini che non si possono dimenticare. In margine a questa pagina di diario c’è una nota scritta il 10 dicembre 1940: Rileggo oggi e posso affermare, a 25 anni di distanza, che Vittorio è restato sempre ed è per me il bambino che

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non si può dimenticare. Ora frequenta l’Asilo un suo bambino, Silvano. Caro bambino! Il suo babbo è buono e lavoratore” Nulla è inutile di ciò che si insegna. Eccolo l’obiettivo raggiunto, quello per cui non si ricorda più dei sacrifici e della fatica che cominciano a provarla nel fisico: uno dei bambini è diventato un uomo buono e lavoratore. Perché all’Asilo Infantile di Passo di Treia il lavoro è un valore ed un mezzo con cui si possono sviluppare le proprie attitudini. Ricami, giardinaggio, traforo, lavori di casa, all’Asilo s’ impara a fare questo ed altro, assistiti e stimolati nel percorso da una Maestra che osserva e poi indirizza. Nei suoi ultimi anni di vita, che coincidono con quelli della seconda guerra mondiale e del dopoguerra, età e stanchezza la preoccupano. Ha un pensiero fisso: che ne sarà dell’Asilo dopo di lei? Dal 1945 la affiancheranno tre suore francescane. È l’inizio di una lunga collaborazione con il convento di Sant’ Onofrio di Rimini da cui le religiose provengono. Dal 1986 saranno le Suore Convittrici dell’Istituto Bambin Gesù di San Severino Marche ad occuparsi della scuola materna. Quando si ritira dall’attività quotidiana pur restando l’anima dell’istituzione, non può che essere un’ esponente

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dei Marchesi Luzi, benefattori storici dell’Asilo, a renderle omaggio. La contessa Elisa Pagani Luzi, che presiede il Comitato Direttivo, le consegna, anche a nome delle mamme e dei bambini una pergamena con questa dedica: Alla signora Elettra Caracini Natalini che nel 1911 fondò con altri benefattori e da allora fino al 1945 diresse con esimia valentia e generosa dedizione l’Asilo infantile di Passo di Treia la popolazione tutta gli allievi di ieri e di oggi intorno a lei si riuniscono esternando viva gratitudine per l’elevato insegnamento e il fulgido esempio. Elettra Caracini resta la mamma del suo Asilo per otto anni ancora: muore ad 83 anni nel 1953. Ha potuto vedere ultimata la costruzione della nuova sede dell’Asilo, allora come oggi all’avanguardia e funzionale, pensata e vissuta per e con i “suoi” bambini.

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Anni Sessanta/Settanta. Alla Scuola Materna non statale di Passo di Treia bimbi e suore festeggiano un compleanno.

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Sono orgoglioso di poter dire, a nome dell’Associazione Scuola Materna Elettra Caracini che la storia non finisce qui. Che Don Franco Giustozzi e le suore, così come i numerosi volontari, hanno continuato per lunghi anni l’opera di Elettra Caracini con lo stesso entusiasmo e condividendo gli stessi valori. Che molti bambini hanno vissuto le prime tappe del percorso formativo grazie all’impegno ed alla dedizione di tanti che oggi, consci delle mutate condizioni e desiderosi, come sempre, di dare il massimo, accettano entusiasticamente, in nome di un potenziamento di spazi e servizi, di stringere ulteriormente la collaborazione con l’Amministrazione Comunale di Treia. Come tutti i bravi figli che si rispettino, i passotreiesi non hanno mai dimenticato né vogliono dimenticare che 34

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Elettra Caracini ha insegnato per tutta la sua vita con un preciso obiettivo da cui non ha mai derogato: “nulla si perde, nulla è inutile di ciò che loro si insegna!!” E nulla si perderà né di lei né di questo asilo che ha fatto la storia della didattica e della formazione non solo nella nostra città. Matteo Medei Presidente Associazione Scuola Materna Elettra Caracini Passo di Treia Treia, 18 aprile 2009 - Inaugurazione Scuola Materna Elettra Caracini

In principio era l’Asilo Infantile Documenti e cenni storici

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1911 Elettra Natalini Caracini comincia a raccogliere in casa sua un buon numero di bambini. Si costituisce un Comitato Promotore per la fondazione di un Asilo Infantile. Il 4 dicembre dello stesso anno l’Asilo comincia a funzionare all’interno della casa Verdolini. Occupa una stanza al pianterreno ed una al primo piano. 1912 Si offre ai bambini la refezione calda: ogni pasto, che viene preparato dalla Trattoria Carassai, costa 6 centesimi. 1914 In ottobre l’Asilo, che ha bisogno di spazi più ampi, viene trasferito in casa Caracini dove può disporre anche di acqua corrente e spazi all’aperto. 1918 Il provveditore, visto il parere favorevole dell’ispettore scolastico, autorizza Elettra Caracini all’insegnamento nell’Asilo. 1919 Il Comitato Direttivo, alle prese con il rincaro dei viveri e le difficoltà di bilancio, garantisce la refezione solo per i mesi di dicembre, gennaio e febbraio. 1923 Le difficoltà finanziarie obbligano il Direttivo a sopprimere del tutto la refezione. Elettra Caracini chiede di poter provvedere, senza nessun aggravio per l’amministrazione, almeno per i mesi più freddi. Le famiglie e tutti quelli in grado di farlo, risponderanno con entusiasmo all’appello. 1928 Il 19 luglio il Comitato Direttivo acquista dalla signora Maria Stortoni 1005 mq di terreno per costruirvi la sede dell’Asilo. Originale dell’atto con cui il 19 luglio 1928 il Comitato Direttivo acquista dalla signora Maria Stortoni 1005 mq di terreno per costruirvi la sede dell’Asilo.

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Report sui primi anni di attività dell’Asilo pubblicato nel 1926

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Originale della sottoscrizione pro erigendo asilo. Nell’elenco dei benefattori, ultima riga, la donazione di Osvaldo Bartoloni, fondatore dell’omonima fornace treiese la cui

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produzione lascerà in tempi più recenti tracce di sé a livello internazionale, viene registrata come “in pavimento”. In pratica aveva contribuito fornendo i materiali da costruzione.

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1929 Il 15 giugno il podestà del Comune concede gratuitamente all’Asilo i locali della torre dell’ex mulino Carassai che comprendono due aule, vani di servizio, acqua corrente e un piccolo giardino. L’Asilo è subito trasferito. 1934 Il 16 luglio vengono appaltati i lavori per la costruzione del nuovo Asilo. 1936 Il fabbricato è quasi ultimato: mancano le rifiniture esterne. Molte le offerte raccolte dai Benefattori, in particolare dalla famiglia dei Marchesi Luzi.

Elettra Caracini è impaziente e non attende la fine dei lavori per trasferirsi con i bambini: vuole che godano dello spazio, della luce, del sole.

1941 Alla presidenza del Comitato Direttivo il Commissario Prefettizio Comunale nomina la Contessa Elisa Pagani Planca Incoronati Luzi che comincerà così una lunga opera di fattivo e costante supporto. 1945 Elettra Caracini, che da qualche tempo si mostra stanca, chiede di potersi riposare: vengono assunte tre suore francescane di S. Onofrio di Rimini. 1946 Mamme, bambini, autorità, la gente tutta di Passo di Treia, compresi naturalmente i tanti bambini che sono cresciuti con la Maestra Caracini, partecipano alla manifestazione in onore della direttrice che lascia l’Asilo. 1953 Elettra Caracini muore il 31 dicembre. Tre anni più tardi le sarà intitolata l’aula maggiore del suo asilo. Originale dell’atto con cui nel 1934 vengono appaltati i lavori di costruzione dell’Asilo.

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L’immagine che c’è sulla copertina di questo volumetto ripropone un gioco che facevano bambini dell’Asilo Infantile di Elettra Caracini. Campana o Gioco della settimana che lo si voglia chiamare, si pratica in forme diverse in ogni Paese e si può giocare ovunque, bastano un gesso ed una pietra. Stabilito l’ordine di gioco con una conta, si seguono queste regole: - Si lancia la pietra nella casella 1 e saltando su un piede solo si passa in tutte le caselle, fino al cielo (dove il giocatore può riposarsi appoggiando entrambi i piedi), poi si torna, si raccoglie la pietra nella casella 1 (fermandosi nella casella precedente) e si esce. Si appoggiano i due piedi (uno per casella) solo su 3-4 e 6-7. - Se il giocatore ha portato a termine un percorso netto può tentare di conquistare una casella (in cui segnerà le sue iniziali), dove nei turni successivi potrà riposare appoggiando entrambi i piedi, mentre gli altri giocatori dovranno oltrepassarla con un balzo. - Il giocatore prima di lanciare chiede: “Cielo, mare o terra?”. A seconda della risposta effettuerà il tiro (massimo tre tentativi) cercando di mandare la pietra in una casella, che avrà così conquistato. Se sbaglia lascia il posto al giocatore successivo. Si lancia sempre con le spalle rivolte alla settimana stando sulla linea di partenza. Posizioni di lancio: - Cielo: si lancia la pietra da sopra le spalle; - Mare: si lancia la pietra da sotto le ascelle; - Terra: si lancia la pietra da in mezzo le gambe. - Si ripete lanciando la pietra nella casella 2, 3, ...fino alla casella 7. Si sbaglia quando: - non si riesce a gettare la pietra nella casella stabilita; - si pesta una riga; - ci si dimentica di raccogliere la pietra o la si raccoglie all’andata; - si appoggiano l’altro piede o la mano. Ogni volta che si sbaglia si passa al giocatore successivo. Vince chi ha conquistato più caselle.

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Comune di Treia, tutti i diritti riservati Finito di stampare il 15 aprile 2009 Grafica empatia.com Foto di copertina Pablo&Neruda Testi Lorella Sampaolo Stampa ellecommerciale Si ringaziano: l’Associazione Scuola Materna Elettra Caracini di Passo di Treia e la famiglia di Don Franco Giustozzi per i materiali d’archivio; la signora Alessandra Fermani per le foto alle pagine 8, 14 e 32 e l’Archeoclub d’Italia sede Luigi Lanzi di Treia per la foto di pagina 21. Le “allieve” Anna e Santuzza Caracini, e la famiglia Coperchio per aver messo a disposizione ricordi, aneddoti e stampe non altrimenti reperibili.



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