L'Echeggiante Arena

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L’echeggiante Arena

Uomini e Segni

dalla Disfida del Bracciale di Treia


Questo non è un volume celebrativo: è la storia autentica di anime catturate negli sguardi, nei gesti, nelle passioni in tante notti e tanti giorni passati a spiarle immerse in una dimensione per loro non naturale, quella del travestimento. È il racconto per immagini e parole di una storia raccontata da due treiesi e che vede protagonisti Treia, la sua gente,il suo magnifico passato ed il suo splendente presente. Nella prima edizione in pochi scommisero sulle potenzialità di comunicazione e valorizzazione del patrimonio culturale cittadino della Disfida del Bracciale. Chi non l’ha fatto ha avuto torto: la Disfida tra i Quartieri di Treia è una rievocazione storica affascinante ed unica nel suo genere che non ha faticato a guadagnarsi notorietà sia per il periodo storico rievocato che per la componente sportiva. Diversamente dalle altre, infatti, il fulcro dell’evento non è costituito da una mera esibizione, ma dalla pratica costante di uno sport antico ancora oggi vitalissimo. Noi siamo stati tra quelli che ci hanno creduto e ci credono ancora. Abbiamo avuto la fortuna di affiancare e supportare lungo l’intero percorso promozionale un’Amministrazione Comunale attiva e lungimirante che, a partire dalla XVIII Disfida, ha varato il programma Treia Città del Gioco del Pallone col Bracciale per fare del gioco e della Disfida la punta di diamante di una realtà culturale, produttiva e sociale dalle grandi ed uniche potenzialità.


… Te l’echeggiante Arena e il circo,

e te fremendo appella

Ai fatti illustri il popolar favore;

Te rigoglioso dell’età novella

Oggi la patria cara

Gli antichi esempi a rinnovar prepara…

Giacomo Leopardi, A un vincitore nel giuoco del pallone



Che fossi “il nipote di Fefé” l’ho sempre saputo. Che l’esserlo nel piccolo mondo del pallone col bracciale mi avrebbe procurato affettuosa attenzione l’ho scoperto quando “u mancì” Roscetti l’ha scritto come dedica su un ritratto che gli avevo appena fatto. Il Fefé in questione è mio zio, Raffaele Bartoloni, uno che a Treia conoscevano come “il padrone della fornace”, ma che per i giocatori ed i tifosi all’arena negli anni 50/60 era stato soprattutto un campione del gioco del bracciale. Naturalmente non l’ho mai visto giocare. All’arena ci sono andato con zio Filippo quando la Disfida aveva già qualche anno. Voleva che vedessi di cosa poteva innamorarsi un uomo: di una palla di cuoio colpita con quell’aggeggio di legno che a casa sua teneva come fosse un quadro di Rembrandt. C’era ancora, più per tradizione che per altro, il rito delle scommesse a bordo campo. Alcuni dei giocatori erano stati campioni d’Italia negli anni d’oro del bracciale e ancora avevano la voglia di insegnare ai più giovani e di mostrare i colpi più tattici. C’erano adolescenti che già sapevano colpire il pallone. Quanto a me, quando ho cercato di provarlo non sono riuscito neanche ad infilare correttamente il manicotto. Sfido io, potevano dirmelo che l’impugnatura è pressoché su misura. Così ho impugnato la mia Nikon e sono sceso a modo mio sul campo di battaglia. All’inizio i palloni cercavo solo di evitarli. Però, mi affascinavano il rumore del cuoio che si schianta sul muro a pochi centimetri dal mio orecchio e lo schiocco netto con cui il battitore rilanciava il pallone “di prima”. Cercando l’anima del gioco e dei giocatori, ho ignorato ogni timore (ed ogni raccomandazione che mi arrivava dai mandarini) e mi sono avvicinato sempre di più. Poi, ho cercato l’anima della Disfida e l’ho trovata tra i figuranti, nei birocci con le mucche bardate a festa, nello sguardo di un bambino che, fierissimo di essere un giocatore, sfila impettito. Ho scoperto che il bisnonno di quel bambino è stato un campione tale che, a lui e ad altri treiesi, avevano proibito di partecipare al campionato nazionale perché l’esito sarebbe stato scontato. Chissà se lui lo sa. Paolo Bartoloni

Quando sono nata, tra i primi a prendermi in braccio e coccolarmi c’è stato un giocatore di pallone col bracciale. Che fosse stato, oltre che un grande uomo, un grande del bracciale l’ho scoperto quando con lui, Nando Scorcella, e tutta la sua famiglia ho lavorato, per organizzare due delle primissime edizioni della Disfida. Andavamo alle riunioni della consulta dove c’era anche un’altra persona a cui devo la mia passione viscerale per tutto quanto è treiese: Giorgina Morbidelli. Sui banchi di scuola ha insegnato a mia madre tanto di quello che mi ha trasmesso e, dentro un’Accademia Georgica affollata di polverosi scatoloni, mi ha insegnato a conoscere e ad amare le mie radici. Vecchie foto in bianco e nero mi mostravano mio padre e gli zii impegnati con la tavoletta: nessuno aveva in mano il manicotto con gli spuntoni e mi chiedevo perché, visto che avevano avuto un nonno pallonaio che ho conosciuto sorridente in una foto storica dei trionfi sportivi treiesi. Del fascino del gioco sentivo parlare da un altro parente, Giacinto Cerasa, uno per cui bracciale faceva rima con cuore. Siccome era pericoloso per una pupattola di pochi anni scendere nell’arena per assistere alle partite, mia nonna mi faceva sporgere con cautela dal muretto del nostro piccolo orto pensile che é l’estrema propaggine del muro di appoggio. Oggi, da quello stesso orto abbiamo scattato alcune delle foto di questo libro. Allora, a poca distanza da me, vedevo aprirsi una finestrella da cui calavano vino, birra e gassosa per i giocatori che stavano lì sotto, sudati, di fianco al trappolino in attesa di riprendere le battute. Dall’alto vedevo i riccioli di Ferrino Colcerasa, vicino di casa e calzolaio di famiglia, curvo sui palloni a dar loro il grasso indispensabile a mantenerli elastici. Ogni tanto arrivava un pallone che raccoglievo e rilanciavo con grande cautela: lo dicevano pericoloso ed io lo trattavo di conseguenza. Ho capito solo dopo che a renderlo insidioso era la velocità a cui viaggiava in virtù della forza con cui era partito il colpo. Da piccola, non sapevo nemmeno chi fosse Didimi. La storia che segue la racconto a quelli che non hanno avuto la fortuna, come me, di conoscere un vecchio campione come Armando Bartoloni, amicissimo di mio nonno, e di sentir vibrare l’echeggiante arena sotto i colpi della storia di Treia e dei treiesi. Lorella Sampaolo




Il pallone col bracciale, gioco molto in voga fino alla seconda metà del secolo scorso, che un autorevole storico vissuto nel Rinascimento come il Burckardt definisce “classico degli italiani”, è parte integrante della storia treiese. Tecnicamente consiste nel respingere dall’una all’altra parte dell’arena (così si chiama il campo di gioco) un pallone di cuoio per mezzo di un manicotto di legno irto di punte . Importantissimo il ruolo dell’alto muro, parte integrante dell’arena: un buon giocatore lo sfrutta al meglio indirizzandovi il pallone per rimbalzi imprendibili dagli avversari. È anche ad uno sport come il pallone col bracciale che Treia deve la sua notorietà fin da quando il gioco

era ancora appannaggio dei soli nobili, grazie alle gesta sportive di uno dei suoi figli più illustri, Carlo Didimi (1798/1877). Giocatore leggendario, il più grande di tutti i tempi, fece esplodere nell’Italia intera la propria fama sfidando e battendo i più grandi campioni del suo tempo. Atleta straordinario ed uomo impegnato politicamente, lottò per l’affermazione degli ideali di patria e libertà nazionale che si alimenteranno sempre di più fino all’annessione della città al Regno d’Italia. Il contemporaneo Giacomo Leopardi lo ammirò al punto da dedicargli una delle sue cinque canzoni civili, quell’ A un vincitore nel giuoco del pallone in cui lo porta di esempio alla gioventù del tempo. Morto Didimi nel 1877, bisognò aspettare i primi


anni del Novecento perché dire pallone col bracciale tornasse ad essere sinonimo di Treia. È questa l’epoca dei continui successi ottenuti dalla squadra composta da Armando e Pietro Bartoloni e Guglielmo Rusca. Continui ed inesorabili al punto che convinsero gli organizzatori dei campionati italiani a non far partecipare Treia dal 1937 al 1942 per renderli più combattuti ed interessanti. Finito questo periodo di quarantena, le squadre treiesi furono nuovamente iscritte. E continuarono a vincere. Negli anni d’oro del bracciale moderno Treia schierò ben due squadre nel campionato italiano, la Carlo Didimi e la Pro Loco che, complessivamente, vinsero sette titoli nazionali alimentando una leggenda che

era patrimonio di intere generazioni. Era il momento dei figli d’arte, della seconda generazione cresciuta a pane e bracciale, come i fratelli Nando ed Enzo Scorcella o Mario Colcerasa. Campioni e tifosi ingoiarono un brutto rospo quando l’arena fu demolita, ma, tennero duro. Il pretesto per ricominciare lo fornirà proprio Didimi, attraverso le celebrazioni per il centenario della sua morte nell’agosto del 1978. La storia della Disfida del Bracciale comincia qui. Prima sul campo e poi dagli spalti tanti si sono dedicati a trasmettere tecnica e valore di questo sport ed hanno di nuovo riacceso gli animi dei treiesi ed instillato, soprattutto nei giovanissimi, l’amore per un gioco spettacolare e sempre vivo.


brivido

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Quando il 10 agosto del 1979 le chiarine, dalle finestre del Palazzo Comunale, chiamarono a raccolta i treiesi per la prima edizione della Disfida del Bracciale più di un brivido corse sulla pelle di quanti nell’arena, quella vera, quella con i sedili di mattoni ed il muro che porta su su fino “al papa”, ci erano cresciuti ed avevano fatto grande il nome della città. Sembrò di tornare indietro nel tempo. Sembrò che niente dell’antico entusiasmo fosse sopito nonostante gli anni ed i mutamenti socio-culturali avessero relegato nel cassetto dei ricordi termini come marcio, ciambella, volata. L’Arena Didimi, così come la si vede in foto ormai sbiadite, non c’era, non c’è più. È stata demolita nel 1962 per far posto ad un parcheggio.


… Per la prima edizione della Disfida del Bracciale più di un brivido corse sulla pelle di quanti nell’arena, quella vera, ci erano cresciuti ed avevano fatto grande il nome della città


striscioni

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Un pezzetto di storia cittadina sacrificato sull’altare del progresso. Ancora sanguinante per quella che considerava una mutilazione, il cuore della città batté di nuovo per i suoi campioni, quelli di qualche decennio prima, tanti, sugli spalti e quelli di ieri, tanti, lì sul campo, a darci dentro con il cuore, l’anima, il sentimento. Non c’erano più i gradini di mattoni e l’antesignano di un tifo spostatosi con cori e striscioni sugli spalti dello stadio. C’erano stati anche a Treia gli striscioni, poveri e rimediati, ingenui e commoventi e per questo disperatamente veri come scene da film del neorealismo italiano. Era finita la guerra e Treia, come l’Italia tutta, era povera, ma animosa.


‌ C’erano stati anche a Treia gli striscioni, poveri e rimediati, ingenui e commoventi e per questo disperatamente veri come scene da film del neorealismo italiano. Era finita la guerra


Didimi

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Si ricordava con fierezza di un passato appena trascorso in cui i suoi figli erano assurti al ruolo di eroi sportivi. Camminavano per la città giocatori come Armando Bartoloni, Guglielmo Rusca, Pietro Bartoloni, Gustavo Pellicani, il fuoriclasse che aveva scelto il professionismo, Raffaele Bartoloni. Virgulti del popolo e della borghesia industriale della provincia che aveva sostituito la nobiltà dell’epoca di Carlo Didimi, il campione treiese entrato nella leggenda grazie alle sue straordinarie gesta sportive e nella letteratura grazie a Giacomo Leopardi, suo contemporaneo, che gli ha dedicato la canzone A un vincitore nel giuoco del pallone portandolo d’esempio alla gioventù. Camminavano per la città e non dimenticavano.


… Didimi, il campione treiese entrato nella leggenda grazie alle sue straordinarie gesta sportive e nella letteratura grazie a Giacomo Leopardi A un vincitore nel giuoco del pallone

Di gloria il viso e la gioconda voce, Garzon bennato apprendi, E quanto al femminile ozio sovrasti La sudata virtude. Attendi attendi, Magnanimo campion (s’alla veloce Piena degli anni il tuo valor contrasti La spoglia di tuo nome). Attendi e il core Movi ad alto desio. Te l’echeggiante Arena e il circo, e te fremendo appella Ai fatti illustri il popolar favore; Te rigoglioso dell’età novella Oggi la patria cara Gli antichi esempi a rinnovar prepara. Del barbarico sangue in Maratona Non colorò la destra Quei che gli atleti ignudi e il campo eleo, Che stupido mirò l’ardua palestra, Né la palma beata e la corona D’emula brama il punse. E nell’Alfeo Forse le chiome polverose e i fianchi Delle cavalle vincitrici asterse Tal che le greche insegne e il greco acciaro Guidò de’ Medi fuggitivi e stanchi Nelle pallide torme; onde sonaro Di sconsolato grido L’alto sen dell’Eufrate e il servo lido. Vano dirai quel che disserra e scote Della virtù nativa Le riposte faville? e che del fioco Spirto vital negli egri petti avviva Il caduco fervor? le meste rote

Da poi che Febo instiga, altro che gioco Son l’opre de’ mortali? ed è men vano Della menzogna il vero? A noi di lieti Inganni e di felici ombre soccorse Natura stessa: e là dove l’insano Costume ai forti errori esca non porse, Negli ozi oscuri e nudi Mutò la gente i gloriosi studi. Tempo forse verrà ch’alle ruine Delle italiche moli insultino gli armenti, e che l’aratro Sentano i sette colli; e pochi Soli Forse fien vòlti, e le città latine Abiterà la cauta volpe, e l’atro Bosco mormorerà fra le alte mura; Se la funesta delle patrie cose Obblivion dalle perverse menti Non isgombrano i fati, e la matura Clade non torce dalle abbiette genti Il ciel fatto cortese Dal rimembrar delle passate imprese. Alla patria infelice, o buon garzone, sopravviver ti doglia. Chiaro per lei stato saresti allora Che del serto fulgea, di ch’ella è spoglia, Nostra colpa e fatal. Passò stagione; Ché nullo di tal madre oggi s’onora: Ma per te stesso al polo ergi la mente. Nostra vita a che val? solo a spregiarla: Beata allor che ne’ perigli avvolta, sé stessa obblia, né delle putri e lente Ore il danno misura e il flutto ascolta; Beata allor che il piede Spinto al varco letèo, più grata riede.


trofeo

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Nel 1946, subito dopo la fine dell’incubo mondiale, il trofeo di campione d’Italia tornò a casa sua, a Treia. Ce lo riportarono Raoul Antinori, Arnaldo Varelli, Amore Bartoloni, Raffaele Bartoloni e quello che ora si stava commuovendo guardando lontano, oltre la storia: il mandarino Sesto Pistocco. E, adesso, era di nuovo arena, di nuovo gara: di nuovo Treia. Che importa che non fosse il campionato italiano: un’egida, una qualunque, era una motivazione più che sufficiente per scendere in campo. La rappresentarono le porte cittadine di Vallesacco, Onglavina, Cassero e Garibaldi. Emo Epiri, attento custode di una ricca collezione di antichi strumenti e dell’archivio fotografico, organizzò tutto a puntino.


… Nel 1946, subito dopo la fine dell’incubo mondiale, il trofeo di campione d’Italia tornò a casa sua, a Treia. Ce lo riportarono Raoul Antinori, Arnaldo Varelli, Amore Bartoloni, Raffaele Bartoloni e quello che ora si stava commuovendo guardando lontano, oltre la storia: il mandarino Sesto Pistocco


ricordo

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Le prove generali erano state fatte l’anno precedente, per la commemorazione del bicentenario della morte di Carlo Didimi. Alberto Meriggi, cui si devono autorevoli e preziose pubblicazioni sulla storia della città e del gioco del pallone col bracciale e voce narrante di tante Disfide, invitato alla cerimonia, scrive nel suo X edizione della Disfida del Bracciale: “Rivedo nella Sala del Consiglio, col gran pubblico, in prima fila il Prefetto e i discendenti di Didimi. Quanta commozione quando le autorità chiamarono tutti i giocatori presenti, anche i forestieri, per offrire un ricordo di quella giornata. Ricordo di aver visto delle lacrime scendere dagli occhi di Osmano Scorcella e di Armando Bartoloni.


‌ Ricordo di aver visto delle lacrime scendere dagli occhi di Osmano Scorcella e di Armando Bartoloni


rinascita

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Quanto interesse per la mostra sul bracciale che fu allestita nella Sala degli Stemmi. Il ricco medagliere troneggiava in mezzo a tanti ricordi fotografici e giornalistici…”. Rinascita di Treia nel nome del bracciale: questo era stato il pensiero dei presenti. Troppa era la voglia, troppa la nostalgia per non calibrare le cose al meglio in modo che l’anno successivo fosse quello giusto. Nel 1980 la Disfida, così come la si vive oggi comincia a prendere forma. La città viene suddivisa in Quartieri e la definizione dei loro confini diventa da subito motivo di lunghe ed accese discussioni. Il proverbiale spirito di campanile marchigiano si scatena.


‌ Rinascita di Treia nel nome del bracciale: questo era stato il pensiero dei presenti. Troppa era la voglia, troppa la nostalgia


colori

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Nel tentativo di superare ogni difficoltà, si propone di sostituire strade e muri con colori assegnati per sorteggio: giallo all’Onglavina, verde al Cassero, viola al Vallesacco e celeste al Borgo. La Consulta dello Sport decide anche di istituire la cerimonia di riconsegna del trofeo: il vincitore lo custodirà solo fino all’assegnazione successiva. È il Borgo a restituirlo per primo dopo averlo vinto l’anno precedente come Porta Garibaldi con il suo Nando Scorcella, il fratello Enzo, u mancì Roscetti ed il giovanissimo Piero Scorcella: mandarino, Sesto Pistocco. Con la vittoria sul Cassero il quartiere fuori le mura riporta subito a casa l’ambito trofeo e con esso anche un’accesa rivalità con gli altri Quartieri.


‌ colori assegnati per sorteggio: giallo all’Onglavina, verde al Cassero, viola al Vallesacco e celeste al Borgo








uomini

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Per la terza edizione non è più solo la Consulta a lavorare perché la Disfida sia un appuntamento indimenticabile. Il pallone col bracciale è tornato ad essere patrimonio della città, coinvolta in ogni sua fibra nell’allestimento di un suggestivo parco a tema. I Quartieri scelgono uno stemma per il gonfalone: Borgo l’aquila della guja (piccolo obelisco sulla strada per gli Zoccolanti), Onglavina la torre di San Marco, Vallesacco la sua storica porta ed una testa di moro, il Cassero Porta Cassara. Ogni Quartiere per giorni e notti è impegnato a ricostruire le sue caratteristiche ottocentesche. Ricompaiono i Mòsci (contrazione treiese dell’eponimo magiari): gli uomini “parevano brutti, forse più per l’espressione e la barba non fatta che per i lineamenti”.


… gli uomini “parevano brutti, forse più per l’espressione e la barba non fatta che per i lineamenti”






donne

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I Mòsci sono la comunità di zingari che ha popolato il Quartiere dell’Onglavina e di cui la scrittrice Dolores Prato, vissuta a Treia nei primi anni del Novecento, quando li si poteva ancora incontrare quotidianamente, ha lasciato nel suo romanzo autobiografico Giù la piazza non c’è nessuno (Mondadori) un ritratto che ce li fa sentire straordinariamente vivi ed a cui sembrano essersi ispirati i figuranti del Quartiere. “Le donne, bellissime o bruttissime, erano mòsce. Alte, andatura superba, zigomi larghi, bocca grande con labbra sporgenti, occhi stretti e lunghi, palpebre pesanti sempre abbassate, ne filtrava una luce di pietra nera. Voce bassa e rauca. Una mòscia non avrebbe mai parlato di testa come certe vecchie signore”.


‌ Le donne, bellissime o bruttissime, erano mòsce. Alte, andatura superba, zigomi larghi, bocca grande con labbra sporgenti, occhi stretti e lunghi, palpebre pesanti sempre abbassate, ne filtrava una luce di pietra nera




nobili

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I nobili tornano a passeggiare per le vie del Cassero, il Quartiere che deve il suo nome ai resti dell’antica fortezza, una delle testimonianze della storia medievale della città. Sotto le insegne verdi sfilano per la prima volta i personaggi simbolo del microcosmo più vicino a Carlo Didimi riappropriandosi della splendida piazza, del corso, del giardino e della piazzetta del Teatro. I loro stemmi di famiglia si possono ammirare ancora oggi dipinti ad ornamento del soffitto di una sala del piano nobile del palazzo comunale che ospita la Pinacoteca. “Nobili conti e marchesi non si contavano più in città e nella campagna” ancora ai tempi narrati dall’appassionato diario treiese della Prato.


‌ I nobili tornarono a passeggiare per le vie del Cassero






patrioti

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Oltre che alla schiatta, la nobiltà si doveva anche alla cortesia papale. Era frequente che un pontefice facesse risollevare dal bacio della pantofola una signora altoborghese con un cortese “si alzi contessa” e che, testimonia sempre la Prato, “al marito che la seguiva, automaticamente (dicesse) conte. Il titolo era conferito”. Quali che fossero le loro origini, si dedicavano con passione alla politica. Questa zona della Marca era tra le ultime roccaforti del Regno Pontificio e l’attività di quelli che, a seconda del punto di vista, erano patrioti o cospiratori, era particolarmente intensa. Carlo Didimi stesso fu uno di loro ed approfittò del suo girovagare per le arene d’Italia per mantenere i contatti con gruppi impegnati in altre zone.


‌ a seconda del punto di vista, erano patrioti o cospiratori




contadini

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Al Borgo tornano il clangore di vecchi arnesi agricoli e l’allegro vociare della gente riunita sull’aia per la tradizionale scartocciata. Eccoli i contadini che, scrive la Prato, “venivano in paese per comprare o vendere, vestiti meglio di quando stavano per i campi, ma non con la muta buona della festa… Stavano con la terra, le piante, con gli animali tutta la settimana perché anche se venivano in paese il martedì ci venivano per la terra, per le piante, per gli animali”. Dire Borgo, infatti, prima che l’industrializzazione e l’urbanizzazione cambiassero il volto della periferia cittadina, significava indicare l’estrema propaggine del contado, una campagna che lambiva gentilmente le mura.


‌Eccoli i contadini che “venivano in paese per comprare o vendere, vestiti meglio di quando stavano per i campi




operosità

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Per dirla con le parole della scrittrice, “paese e campagna respiravano con gli stessi polmoni. Le stesse ore, le stesse voci, gli stessi rumori: campane, ranocchie, ferrai, cicale, grilli, giocatori di morra, canto di donne, richiamo alla voce…” Le fabbriche ed i capannoni si sono andati via via integrando con questo ambiente, a testimonianza dell’operosità tenace di matrice contadina madre di quel modello marchigiano famoso in tutto il mondo. La vita all’aria aperta sviluppa un senso della libertà non comune. Forse per questo le insegne del Borgo sono azzurre. Perché è il colore del cielo, quel cielo da cui dipendono, nel bene e nel male, le sorti della natura e, quindi, degli uomini, specialmente se sulla terra e della terra vivono.


‌ testimonianza dell’ operosità tenace di matrice contadina madre di quel modello marchigiano famoso in tutto il mondo






artigianato

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A Vallesacco si rimettono in movimento i telai, mani magiche tornano a lavorare merletti incomparabili, ad intrecciare corde, a forgiare ferro e modellare l’argilla di questa feconda terra, a filare. L’ artigianato era una delle più solide risorse treiesi. Merletti e tessitura furono “l’antica industria del paese” . Attivi, intraprendenti, desiderosi di riscatto sociale, gli abitanti del quartiere dalle insegne viola crescevano attorno al formidabile polo della Cattedrale. In una terra papalina, Vallesacco incarnava il binomio inscindibile preghiera e lavoro. Questo vibrante dinamismo era ancora ben evidente nei primi anni del secolo scorso quando “dentro a qualche casa c’era ancora il telaio, riempiva quasi una stanza”.


‌ L’ artigianato era una delle piÚ solide risorse treiesi






sociale

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Perennemente alla ricerca di quell’innalzamento nella scala sociale che è frutto del benessere economico, quelli tra gli artigiani di Vallesacco più benestanti tendevano ad assimilare gli usi dei vicini nobili, in primo luogo a tavola dove dettero vita a veri e propri esperimenti di quella che, oggi, è l’avanguardia dell’alta cucina: l’ormai celebre fusion. Senza rinunciare alla propria tradizione alimentare, contaminarono sapori tipici della caccia con quelli dell’orto e del cortile che, all’epoca, non mancavano di corredare ogni casa. Gli attrezzi del telaio servirono anche per cucinare: sulle bacchettine, la pasta tagliata a fettuccine e strusciata sul pettine diventava maccheroni. Cominciano le feste di quartiere


… alla ricerca di quell’innalzamento nella scala sociale che é frutto del benessere economico




palloni

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e la ricerca di un’animazione più articolata. Intanto, Ferrino Colcerasa lavora per trasmettere la tecnica e l’amore dell’arte di fare palloni. Già, Ferrino, il calzolaio, un inguaribile innamorato del bracciale. Racconta Alberto Meriggi nel suo X edizione della Disfida del Bracciale che, “vecchio mangiapreti (che) coccolava i suoi palloni… fatti alla maniera antica, cuoio dentro e cuoio fuori”, non si perse la cerimonia in chiesa della prima Disfida. La sua bottega, meta quotidiana di giocatori ed appassionati, diventa una vera scuola, specie per Giampaolo Damiani, che ne segue giovanissimo le orme. Dire palloni in treiese vuol dire anche coste, la scarpata che delimita un lato dell’arena: la dannazione dei raccattapalle. Dall’alto delle


… Ferrino Colcerasa lavora per trasmettere la tecnica e l’amore dell’arte di fare palloni.


figuranti

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coste, Gino Cipolletti, maestro nel preparare la pelle da cui ricavare i palloni, incitava i più cauti tra i suoi ragazzi a non esitare ad infilare la mano tra i rovi per recuperare le preziose sfere. Dalla quarta edizione si fissa come data della Disfida la prima domenica di agosto e si stabilisce di abbinare al trofeo un palio d’autore. Quanto alle regole, l’anno prima era stato reintrodotto il marcio, il gioco che vale doppio perché vinto facendo cappotto. Successivamente si introducono la messa, la benedizione in piazza e la sfilata anche dopo le partite. Troppi gli spettatori che arrivano in città per non prevedere una sorta di bis del corteo storico. Si ammirano i costumi magnifici ed il portamento insospettabilmente perfetto di alcuni figuranti. La Disfida diventa per Treia


‌ il portamaento insospettabilmente perfetto di alcuni figuranti


pubblico

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un importante momento di riscoperta delle sue tradizioni. Il Foto Cine Club Il Mulino, che ne ha documentato ogni momento dell’evoluzione, inaugura una lunga serie di toccanti reportages. Il Centro Culturale organizza animati dibattiti. Si approva o si osteggia l’arrivo di giocatori stranieri da altre città storiche del bracciale. Nell’ottava edizione se ne liberalizza l’ingaggio ed il Cassero schiera un mito delle arene nel dopoguerra: Gino Brachetti da Firenze, detto Ginetto. Sono tanti in quel 1987 i giocatori di tutta Italia seduti sugli spalti tra il pubblico attento a schivare la palla. Un pubblico che si è fatto via via più completo, ricco com’è di giovani che scoprono questo gioco affascinante. Il passo dagli spalti all’arena è brevissimo per quelli di loro


… Un pubblico che si è fatto via via più completo, ricco com’è di giovani che scoprono questo gioco affascinante


ragazzi

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che hanno visto materializzarsi i racconti di padri e nonni e per quanti, pur non avendo mai visto un bracciale, non riescono a distogliere gli occhi dai battitori. Tutti chiedono di provarlo. Infilata la mano nella ciambella, l’imboccatura del manicotto, scoprono che questo è praticamente fatto su misura per il polso di ogni giocatore e che è pesante, circa tre chili. Non sono pochi se devi sollevare il braccio per colpire una palla priva di camera d’aria che arriva velocissima. Eppure vogliono giocare i ragazzi treiesi, compiere le stesse prodezze di quegli uomini che hanno incarnato un sogno come oggi fanno i loro idoli sportivi. Infilano i bracciali leggeri e sognano di imparare il brillo o la volata. Con la decima edizione, la Disfida si avvia verso la


‌ vogliono giocare i ragazzi treiesi


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laboratori

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definitiva consacrazione al ruolo di rievocazione storica unica nel suo genere. L’ attenzione al rispetto dei particolari storici aumenta: le case si trasformano in veri e propri laboratori. Quando, all’approssimarsi dell’estate, le stanze cominciano ad infuocarsi, ci si trasferisce sull’uscio. Per strada, all’ombra dei portoni e di facciate imponenti, il ritmico, ansimare delle vecchie macchine per cucire ed il moderno ronzio di quelle elettriche si fondono col tono sommesso delle conversazioni tra amiche, a tratti interrotte da una risata o da un meravigliato “davvero?”. Da questi allegri ed attivissimi laboratori a cielo aperto nascono nuovi e sempre più elaborati addobbi e costumi. Se il pallone col bracciale è un gioco innegabilmente maschio,


Da questi allegri ed attivissimi laboratori a cielo aperto nascono nuovi e sempre pi첫 elaborati addobbi e costumi


presidenti

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la Disfida mostra fortemente l’impronta delle donne. In una edizione hanno addirittura provato a giocare. Si devono al loro impegno ed alla loro fantasia i costumi, gli addobbi, l’atmosfera e la cura dei menu storici delle taverne. Dirigono con piglio deciso e lavorano con grande passione. Ăˆ emblematico che, un ideale albo dei presidenti di Quartiere, sarebbe affollato di nomi di donna. E a proposito di donne, nel bracciale, sport vero, non pura esibizione, non si smentisce lo stereotipo del campione tombeur de femme. Uno tra gli aneddoti piĂš belli della storia del bracciale treiese riguarda proprio un campione, straniero per giunta, ed una ragazza di Treia. Osmano Scorcella, recanatese, conobbe sua moglie proprio


Ăˆ emblematico che, un ideale albo dei presidenti di Quartiere, sarebbe affollato di nomi di donna


bello

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in occasione di una partita di bracciale. Un pallone aveva colpito una signorina del pubblico: situazione frequente, risolta, il più delle volte, dal rituale paga l’assogna, urlo beffardo lanciato dal pubblico e riferito allo strato di grasso (in dialetto assogna) che ricopre il pallone. Osmano, invece, cortese e galante, a fine partita si scusò personalmente. Risultato: un matrimonio, una vita a Treia e tre figli, due dei quali, Nando ed Enzo, protagonisti della storia del bracciale italiano. La stessa Dolores Prato, scrittrice alle cui parole abbiamo affidato alcune delle note a questo viaggio per immagini, di un bell’uomo dice che è bello come un giocatore di pallone, inteso naturalmente, come pallone col bracciale. Sportivi autentici, i giocatori treiesi sono attaccatissimi al colore delle loro fasce,


Dolores Prato, scrittrice alle cui parole abbiamo affidato alcune delle note a questo racconto per immagini, di un bell’uomo dice che è bello come un giocatore di pallone. Inteso naturalmente, come pallone col bracciale


vip

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ma quando siedono sulle scalette di fianco al trampolino non lesinano incoraggiamenti ai battitori avversari. Naturale quindi per i giocatori del Vallesacco precipitarsi in aiuto di un’avversaria che è una sportiva con la esse maiuscola, la pluricampionessa di scherma Valentina Vezzali, borgarola di adozione con scarsa dimestichezza con il biroccio. Atleti valenti, ma pur sempre dilettanti, non si lasciano scappare l’opportunità di familiarizzare con una vera star dello sport mondiale. La Vezzali però non è l’unico vip che si è interessato alla Disfida. Francesco Moser ha provato persino ad infilare il bracciale. Tra i tanti, se Gloria Zanin, ex miss Italia, si sgola per tifare Cassero, c’è chi si sgola


… familiarizzare con una vera star dello sport mondiale. La Vezzali non è l’unico vip che si è interessato alla Disfida


spettacolo

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per raccontare la Disfida in diretta. Tra loro c’è anche Pino Scaccia, giornalista RAI avvezzo ai reportages di guerra. Un passato di misurato cronista sportivo non gli evita il coinvolgimento: difronte allo spettacolo del gioco, è difficile resistere. Se ne era accorto anche Giovanni Spadolini, insigne politico, uno che Treia la conosceva da sempre visto che nei soffitti di casa il nonno, treiese trapiantato a Firenze, aveva voluto affrescare scorci treiesi. In visita alla città, uomo di grande cultura com’era, non mancò di scendere all’arena per vedere il teatro delle prodezze di un certo Didimi, un treiese d’altri tempi incontrato leggendo una delle canzoni civili di Leopardi. Se il livello spettacolare della Disfida cresce grazie alle donne, il livello tecnico del gioco sale grazie all’aiuto di campioni


difronte allo spettacolo del gioco, è difficile resistere


consigli

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che, costretti dall’anagrafe ad appendere, riluttanti, le scarpette al chiodo, si dedicano ad allenare, prodighi di preziosi consigli. Treia ha tra le mani una grande opportunità da sfruttare al meglio in chiave di sviluppo turistico. Fabiano Valenti, sindaco storico la cui elezione a presidente del Comitato Disfida ha suggellato il crescente impegno dell’Amministrazione Comunale, si attiva con il solito entusiasmo per cominciare a mettere al suo posto ogni tassello di uno straordinario mosaico. Bisognerà aspettare la XVIII edizione per vedere i frutti di questo lavoro sotterraneo di preparazione. Nel 1996, diciotto anni dopo la prima edizione della Disfida, la nuova Amministrazione Comunale guidata dal sindaco Franco Capponi, vara


‌ Il livello tecnico del gioco sale grazie all’aiuto di campioni che‌ si dedicano ad allenare, prodighi di preziosi consigli


Gli addobbi vengono rinnovati, il parco costumi ampliato, il corteo storico si arricchisce di nuovi personaggi





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Terra del Regno Pontificio, nel corteo storico di Treia non potevano mancare i prelati di ieri “sistemati� da quelli di oggi





Spettacoli per grandi e per bambini, musica, la ritualità ludica della campagna: Treia estrae dal cilindro la straordinaria vitalità delle feste di paese per fare della Disfida un’occasione di riscoperta delle tradizioni.


città

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il programma Treia, Città del Gioco del Pallone col Bracciale. Un nuovo marchio compare accanto allo stemma cittadino. Lo caratterizzano gli elementi essenziali della Disfida: il bracciale, la palla, gli addobbi. Si lavora da subito per potenziare il cartellone degli spettacoli e per ridisegnare i contorni dell’animazione, corteo storico compreso: a partire da questa edizione, la Disfida si avvia a diventare decisamente d.o.c. Per realizzare questo ambizioso programma, Fabio Macedoni, assessore alla Cultura e presidente dell’Ente Disfida, impegna in sinergia tutte le risorse del territorio.


… l’Amministrazione Comunale guidata dal sindaco Franco Capponi, vara il programmaTreia, Città del Gioco del Pallone col Bracciale


storia

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Si attivano le preziose collaborazioni con l’Accademia di Belle Arti di Macerata, la Delegazione Marche dell’Accademia della Cucina, il Centro Studi Leopardiani, La Fabrica Teatro. Si attinge alla memoria storica ed alla competenza tecnica dei protagonisti di ieri. Si stabilisce un rapporto di attivo e proficuo partenariato con i Comitati dei Quartieri, i volontari e le aziende locali grandi e piccole, il cui supporto risulterà fondamentale per lo sviluppo della Disfida. All’Accademia di Belle Arti il professor Colis ed i suoi studenti avviano un lungo lavoro di ricerca e di studio che porterà alla ricostruzione minuziosa dei figurini di abiti che sono patrimonio della storia del costume. Con pazienza certosina, ago e


‌ abiti che sono patrimonio della storia del costume


costumi

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filo Angela Dea Tartarelli ricrea costumi originali fin nei tessuti. Sono tramontati i tempi delle accese discussioni tra i fautori dello stile impero e quelli delle crinoline, tra chi era disposto a larghe concessioni privilegiando la quantità alla qualità dei figuranti. Discussioni che avevano rischiato di segnare ben più di un’amicizia, erano pazientemente moderate da una donna con Treia nel cuore e rimasta nel cuore dei treiesi come Giorgina Morbidelli, grazie all’abnegazione con cui affrontava ogni cosa che avesse a che fare con la storia e la memoria cittadina. Sfila così per la prima volta una coppia di figuranti storici per ogni Quartiere. Anche le divise dei giocatori arrivano a ricordare il più possibile quelle ottocentesche. In questa continua ricerca dell’autenticità non può che


‌ Angela Dea Tartarelli ricrea costumi originali fin nei tessuti






epoca

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avere un ruolo centrale anche la gastronomia. I Quartieri, attivi fin dalle primissime edizioni, hanno sempre lavorato in direzione della proposizione di ricette locali tradizionali. A partire dalla XVIII edizione della Disfida, le taverne propongono veri e propri menù d’epoca. Possono farlo grazie alla collaborazione con l’Accademia della Cucina, che le supporta e le affianca nella ricerca e nella selezione delle ricette originali. Nella Locanda dello Zingaro, nella Taverna dell’Artigiano, nella Locanda del Contadino e all’Hostaria del Cassero si imbandiscono le tavole con piatti dai sapori antichi e genuini, come quelli di tutto quanto viene da questa città e dal suo territorio. Dire Disfida vuol dire sempre più parlare di Marche d.o.c.


… le taverne propongono veri e propri menù d’epoca




d.o.c.

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Lo sanno bene quei turisti che cenano nelle taverne e curiosano tra i tavoli della Cantina dei Ricordi. È qui che, mosse dall’amore per la buona tavola ed dall’ incessante ricerca di autentiche perle del territorio Luciana Pettinari, Rosalia Scortichini, Maria Luisa Brunori ed Adriana Arcangeli servono crescia croccante ed erbe di campo freschissime, saporiti formaggi e morbido ciauscolo, innaffiando tutto con l’inimitabile Verdicchio di Matelica o con un sorso di Vernaccia. Ci si porta a casa un tangibile ricordo dei sapori marchigiani acquistando bottiglie personalizzate Disfida del Bracciale. Anche animazione e spettacoli si orientano verso una offerta di qualità.


Dire Disfida vuol dire sempre di pi첫 parlare di Marche d.o.c.



L’arte,

si sa, non ha confini. Ed il confine tra arte ed un certo artigianato è sottile, molto sottile. Per questo la Disfida

ha schiuso senza distinzioni ad arte ed artigianato le vecchie botteghe ed alcuni tra i suoi portoni piĂš belli.


L’uso di spazi alternativi diventa l’occasione per la città di riappropriarsi di un’ala del teatro, per anni chiuso per restauro.

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Curiosando tra botteghe e mostre c’è anche l’opportunità di un appassionante viaggio a ritroso nella storia di Treia nella Bottega del Fotografo, immenso archivio fotografico.



Treia è sempre più Città del Gioco del Pallone col Bracciale. Benito Leonori, eclettico artista e scenografo treiese, nell’edizione 1997 della Disfida lo testimonia trasformando il bracciale in due poderose quinte p e r

l a

s t u p e n d a

p i a z z a .



riscoperta

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Sono gli anni in cui la multiforme e variopinta realtà degli artisti di strada viene ad essere sinonimo di riscoperta di forme espressive mai dimenticate ed ancora estremamente vive e pulsanti fuori dai circuiti canonici. La collaborazione tra gli organizzatori della Disfida ed Elena Carrano consente l’allestimento di cartelloni di primo piano che portano ad esibirsi per le vie cittadine, nelle varie edizioni, fior di artisti di fama internazionale che incarnano figure comuni in altri tempi come acrobati, cantastorie, mimi, narratori, musici e saltimbanchi: tra loro, ci sono veri e propri talenti della ricerca e della sperimentazione. A Treia debuttano anche prime nazionali, grazie alla collaborazione tra l’Amministrazione Comunale,


‌ riscoperta di forme espressive mai dimenticate






produzione

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La Fabrica Teatro ed il Centro Studi Leopardiani. Il legame tra Didimi e Leopardi si fa spunto per la produzione di spettacoli. Lieti inganni e felici ombre sperimenta la formula della pièce itinerante: la città diventa palcoscenico a tutto tondo. Per la scenografia di Eroi al cospetto si recupera uno spazio a torto dimenticato come la Cripta della Cattedrale. E come il vento è un incontro tra parole e musica, nel corso del quale, viene eseguito un brano da un manoscritto di Luigi Leopardi inviatogli dal fratello Giacomo. Infine, allargando l’orizzonte da Didimi a Treia, Rosetta Martellini è interprete intensa di un monologo con testi della Prato. I treiesi hanno lavorato un intero anno per organizzare una nuova edizione della Disfida. Un impegno ricompensato dall’arrivo di molti visitatori


… Il legame tra Didimi e Leopardi si fa spunto per la produzione di spettacoli… la città diventa palcoscenico


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Alla Disfida va anche il merito di aver favorito la riscoperta, da parte degli stessi treiesi, di spazi straordinari dall’atmosfera mozzafiato. Su tutti il Giardino di San Michele, a lungo incolto e precluso alla visita, sul palco del quale si alternano musica e teatro.




Il legame tra bracciale e spettacolo è fortissimo. Naturale quindi che la riapertura del Teatro Comunale, dopo un restauro durato lunghi anni, sia stata punta di diamante del cartellone 2002. Come da tradizione, Treia è scelta per il debutto nazionale di “Opera sull’acqua” di Erri De Luca.



È l’alba di una nuova edizione della Disfida del Bracciale. Dopo l’immersione nel buio della notte, il sole tra pochissimo tornerà ad illuminare l’Arena Didimi. Distesa sotto ai nostri occhi, oltre la balaustra ed il papa, vegliata dalla maestosa mole della cattedrale, attende l’arrivo di giocatori, tifosi, figuranti, semplici curiosi per tornare a narrare, una volta ancora la bella storia di Treia Città del gioco del Pallone col Bracciale.


Treia, prima domenica di agosto


vigilia

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e, almeno per un fortunato Quartiere, dalla conquista del Trofeo. È l’alba. A dispetto dell’ora, Treia è già sveglia. Non c’è tempo per riposare: è la vigilia della prima domenica di agosto e siamo in piena Disfida del Bracciale. Da oltre due settimane, la città ha ripreso l’aspetto che doveva avere nel primo scorcio dell’Ottocento. Colori, odori, sapori ed un antico gioco fatto con un pallone di cuoio ed un manicotto di legno l’hanno riporta ta indietro nel tempo. Bisogna fare in fretta, tanto resta ancora da preparare e per nessun motivo si vuol perdere la semifinale che comincerà nel primo pomeriggio. Mezzogiorno: un’occhiata al cielo rassicura i giocatori: niente nuvole e niente vento. Il fondo d’asfalto non sarà pericolosamente scivoloso e le traiettorie dei palloni


… Non c’è tempo per riposare: è la vigilia e siamo in piena Disfida


giocatori

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saranno più prevedibili. Un pasto veloce e tutti all’arena. I giocatori vestono una camicia con trine e pantaloni al ginocchio, oltre all’immancabile fascia alla vita. Un costume più sobrio, ma simile a quello di Carlo Didimi e che i giocatori vestivano ancora nel primo Novecento. Così infatti li descrive Dolores Prato: “vestiti di bianco, calzoncini corti adorni di pizzi, legati al ginocchio con nastri sopra le lunghe calze bianche, scarpe basse, una giacchetta a sacco piena di falpalà e di trine come i matinée delle signore; in vita una sciarpa di seta colorata pendente da un lato”. La preparazione alla gara è lenta e complessa. Il bracciale deve aderire perfettamente: per questo il giocatore, oltre ad usarne uno personale, si fascia il polso. La fasciatura servirà anche


… I giocatori vestono una camicia con trine e pantaloni al ginocchio… Un costume più sobrio, ma simile a quello di Carlo Didimi


fasciatura

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come protezione: il pallone viaggia ad una buona velocità e la spinta del braccio deve essere potente. Fasciarsi è una sorta di rituale, un momento di concentrazione in cui tutti, giovanissimi e veterani, fanno i conti con le proprie emozioni. Ultimata l’operazione, si inserisce la mano nella ciambella (l’imboccatura del manicotto), si calzano le fasce con una stecchetta di legno e si batte l’estremità inferiore del bracciale contro il muro per assestarlo meglio al polso. Poi, non resta che portarsi sul trampolino per la battuta. È ora che entra in gioco una figura importantissima: il mandarino. Ha il compito di inviare (mandare) la palla al battitore perché la colpisca con la massima forza possibile, sfruttanto la rincorsa. Quando il battitore sta sul



La messa a punto tempestiva in fase di gara di nuove strategie è il sale di ogni sport ed il pallone col bracciale non fa eccezione. Nemmeno per i giovanissimi, il cui appassionato trasporto non è secondo a nessuno e che giocano la finalissima del loro torneo il sabato precedente quella della Disfida. 150



battitore

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trampolino, il mandarino gli si pone difronte e gli lancia il pallone in modo che il giocatore possa incontrarlo dopo aver fatto tre o quattro passi di rincorsa. Immediatamente dopo, velocemente, si porta fuori dal campo, di fianco al trampolino, zona che è il sancta sanctorum del pallonaio. È lì che ingrassa palloni senza sosta. Un ruolo fondamentale anche in gara il suo, vista la violenza dei colpi e la necessità, per la spettacolarità del gioco, di avere palloni sempre al meglio della… forma. Ogni pallone, anche quelli finiti alle coste (cioè rotolati lungo la scarpata che fiancheggia l’arena) e prontamente recuperati dal team di raccattapalle di Franco Giannandrea, viene restituito alle cure di Carlo Zuccari.



Quando il battitore sta sul trampolino, il mandarino si pone


difronte facendo attenzione di lanciargli il pallone in modo che


il giocatore possa incontrarlo dopo aver fatto tre o quattro


passi di rincorsa. Poi, velocemente, si porta fuori dal campo.


tesoro

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I palloni costituiscono un vero e proprio tesoro. Pochissimi artigiani sanno ancora realizzarli a partire dalla laboriosissima concia della pelle di vacca. Oggi il pallone è un po’ più leggero: all’interno, ha una camera d’aria, requisito di cui erano privi i palloni con cui si è giocato fino a pochi anni fa, identici a quelli in uso nei campionati italiani vinti dai treiesi nel dopoguerra.Ciò non toglie che, per giocare, ci vuole un fisico bestiale. Quando il battitore sta sul trampolino, la spalla sta di fianco, in fondo al campo, ed il terzino più avanti, in genere rivolto nella direzione del muro. Nel frattempo la squadra avversaria si è disposta dalla parte opposta in quest’ordine: la spalla vicino al muro, a fondo campo, il battitore alla destra


‌ I palloni costituiscono un vero e proprio tesoro


La fatica di un pomeriggio di gare si fa sentire. Anche la sete che, tradizionalmente, veniva placata attraverso bottiglie non solo di acqua, ma anche di vino o di birra calate dalle finestrelle che si aprono sul muro dell’arena. Gioco vivo ed inserito a pieno nella quotidianitĂ giovanile treiese, il bracciale si è adeguato ai dettami salutistici dello sport moderno.


Oggi il pallone è un po’ più leggero: all’ interno, ha la camera d’aria. Ciò non toglie che, per giocare, ci vuole un fisico bestiale.


“Ad una convenevole distanza l’uno dall’altro sono situati due


tavolati leggermente inclinati; il giocatore che lancia la palla


si tiene in alto con la destra armata d’un largo cerchio di legno


a punte. Mentre un’altro, nella sua stessa squadra, gli lancia


la palla, egli, scendendo, le corre incontro ed aumenta cosĂŹ la forza


a

del colpo con cui l’accoglie. Gli avversari cercano di respingerla


e cosÏ la palla va da una parte all’altra finchÊ non resta a terra


sul campo… Particolarmente bella è l’attitudine del lanciatore


della palla quando scende di corsa dal piano inclinato‌: essa


ricorda il gladiatore del muro Borghese�. J.W. Goethe, Viaggio in Italia.


squadra

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della spalla, in linea, mentre il terzino si trova davanti alla spalla. Il giocatore non può colpire il pallone uscendo dal campo di gioco, né può colpirlo con una parte del corpo che non sia il bracciale, pena la perdita del punto. Commette fallo chi manda il pallone fuori campo lateralmene o al di sopra del muro di appoggio. Compie una volata e guadagna un punto chi manda il pallone al di là della linea di fondo, nello spazio limitato dalle antenne. Per un colpo perfetto il pallone va colpito con tre denti: quando lo si colpisce con uno solo o con due, la sfera schizza di fianco (o anche contro il giocatore) e si parla di spuntatura. La perfetta integrità dei denti del bracciale (che ne ha 14 in ogni linea fatti in legno di corniolo, mentre il manicotto è di sorbo) è fondamentale.


‌ il battitore sta sul trampolino, la spalla sta di fianco, in fondo al campo, ed il terzino piÚ avanti, in genere rivolto nella direzione del muro


muro

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Per questo non sono fissi, ma infilati in fori cilindrici per sostituirli se si rompono. Anche il muro è parte integrante del campo ed il pallone può rimbalzarvi. I più esperti lo utilizzano per rafforzare l’attacco visto che recuperare un pallone a filo del muro è molto difficile. Un pallone che viene attaccato al muro lo si colpisce di sottobecco: significa che viene ripreso da giù in su e da destra a sinistra facendo descrivere una S al bracciale. Vince un gioco la squadra che arriva per prima a quattro quindici. Se gli avversari non hanno fatto alcun quindici il gioco è marcio e vale doppio. La semifinale è agli sgoccioli: ecco i primi responsi dall’arena. Malumori e delusioni si leggono tutti sul volto dei tifosi e su quello dei giocatori. Avranno modo di sfogarsi per tutta la serata e


‌ il muro è parte integrante del campo ed il pallone può rimbalzarvi


responsi

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continueranno fino a notte fonda. Metà della città vivrà una notte di tensione in attesa della finalissima mentre l’altra metà la passerà a giudicare, criticare, recriminare, e, poi, salomonicamente, a convincersi che, se di disfida si tratta, uno sconfitto, meglio se con onore, deve pur esserci. Domani gli spalti non saranno vuoti per metà causa delusione. Treia sarà lì, tutta, per la sua Disfida. Di buon’ora, nei quartieri fervono gli ultimi preparativi dei figuranti: si stringono corsetti, si infilano i mantelli, si appuntano le decorazioni. I costumi trasformano quelli di oggi in treiesi di quasi duecento anni fa. Con stile perfetto ed un aplomb invidiabile, incuranti del caldo agostano, eccoli nelle vesti di nobildonne, patrioti, artisti, fattori,


‌ ecco i primi responsi


Al ritorno dall’arena discussioni e commenti continuano a tavola. Poi, subito in piazza per musica e ballo in costume.



Sono aperte fino a tarda ora le botteghe artigiane, tappa d’obbligo prima e dopo lo spettacolo per chi ama ricercare sapori e manufatti della tradizione.


Una notte di riposo prima di tuffarsi nel clou della Disfida.


duecento

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contadini, zingari, artigiani, magistrati: insomma, in un universo di figure simbolo fissate nei vari momenti della giornata. Preceduti dai tamburini, i figuranti sfilano per il quartiere prima di portarsi in piazza ed attendere l’uscita della Magistratura cui verranno presentati dagli alfieri i gonfaloni. Subito dopo accompagneranno i loro giocatori all’arena. I bambini tornano a sembrare grandi in miniatura proprio come li concepiva la moda del tempo. Unica concessione alla modernità, qualche tatuaggio ad acqua e, per qualcuno, le scarpe. Febbre, caldo, sonno, le classiche sbucciature o i postumi di una caduta più rovinosa delle altre non li fermano certo. È un appuntamento troppo


‌ I costumi trasformano quelli di oggi in treiesi di quasi duecento anni fa












Con il Borgo arrivano in piazza gli animali da stalla e da cortile, con Onglavina i carretti tirati da muli e somari.



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piccoli

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importante per loro e lo vivono da protagonisti di una favola. Concentratissimi e impettiti, i piccoli giocatori nel corteo si affiancano ai loro colleghi più grandi, anzi, per meglio dire, letteralmente si incollano. Si sentono importanti perché sono inseriti nell’organico dei seniores e non conta che sia solo per la sfilata: ascoltano attenti i più grandi e brandiscono fieri il loro bracciale come fosse un trofeo. Laggiù, sul campo, c’è già Carlo Zuccari che controlla un’ultima volta i suoi palloni. Ci sono Nazareno Crispiani ed Alberto Cristofanelli, pronti ad affrontare con il sorriso la fatica di essere alla prese con la caparbietà delle nuove leve e quella di ben più stagionate braccia. C’è Nando Scorcella, campione ed allenatore, magico artefice dei bracciali


‌ Concentratissimi e impettiti, i piccoli giocatori






riscaldamento

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della nuova era, che tornisce e leviga con amore infinito. Segue con occhio benevolo i progressi dei suoi emuli e, tra una mandata e l’altra, lancia uno sguardo d’intesa ai vecchi compagni di squadra seduti sugli spalti. I giocatori si portano verso il trampolino (detto anche trappolino) per cominciare il rituale della fasciatura ed infilare il bracciale per iniziare il riscaldamento La finale sta per cominciare.


infilare il bracciale per iniziare il riscaldamento La finale sta per cominciare




Il battitore batte per due giochi di seguito, quinfi passa alla ribattuta lasciando il trampolino al battitore avversario.



La finale è alle ultime battute. La tensione sale al massimo.


Poi, il campo dà il suo responso e la gioia è incontenibile.


Il corteo storico si porta nuovamente in piazza per la cerimonia di premiazione. Tutto è pronto sul palco per la consegna del palio dell’ambita statuetta che il vincitore conserverĂ fino alla prossima edizione.




Le premiazioni sono l’ultimo atto sportivo della Disfida del Bracciale.



Per i giovanissimi le medaglie hanno valore doppio quando ĂŠ una olimpionica e campionessa del mondo a consegnarle.


chiudere

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Al Magistrato spetta il compito di chiudere ufficialmente la competizione e di dare l’avvio ai festeggiamenti per i vincitori. Una festa speciale, vissuta anche come augurio di buona riuscita per la prossima edizione. Alcuni protagonisti di questa storia stupenda non saranno in piazza o sugli spalti, ma saranno comunque lì e continueranno a commuoversi, ad incitare, a soffrire e gioire in preda ad una passione, che, dicono, l’oblìo del mondo dovrebbe sopire per sempre lasciando l’anima alla serenità senza tempo. Per sentirci meno soli ci piace pensare che tutte le passioni subiscano questo destino, tranne quella per la propria terra e le proprie radici. Tutte, tranne l’amore profondo e senza tempo per Treia, Città del Gioco del Pallone col Bracciale.


‌ Al Magistrato spetta il compito di chiudere ufficialmente la Disfida


‌ festeggiamenti per i vincitori. Una festa speciale, vissuta


anche come augurio di buona riuscita per la prossima edizione.


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Continua‌



Piccolo glossario del Gioco del Pallone col Bracciale Abbracciare • il portarsi davanti ad un pallone in maniera da poterlo prendere a braccio quasi disteso. Da ciò il grido di avvertimento a un giocatore: abbraccialo! Affondare • chi, trovandosi prossimo al cordino, rimanda, senza forza, il pallone così da farlo appena passare perché gli avversari non possano respingerlo.

Impostarsi • il mettersi, sicuro sulle gambe, in maniera da poter rimandare bene il pallone. Lasciare • il non rimandare un pallone a cui si potrebbe dare. Molte volte un giocatore avvisa l’altro dicendogli: lascialo! Perché o il pallone va male o egli è pronto per poterlo colpire meglio.

Allegro • invito del battitore al mandarino. Al muro • si dice del pallone che va a cadere vicino al muro in maniera da non poterlo riprendere.

Libero • assicurazione che da un giocatore ad un altro per avvertirlo che può dare liberamente al pallone senza alcun intoppo.

Appoggiare • rimandare il pallone verso il muro per assicurarsi di non fare un fallo.

Onore • dopo la partita veniva fatto un gioco finale che era detto dell’onore.

Arresto • (colpo di) allorché il pallone viene con forza, basta a rimandarlo che il giocatore gli opponga il bracciale, fermo, stringendo il pugno.

Palleggiare • il giocare senza regole rigorose e senza tener conto dei punti.

Attaccato • si dice del pallone che compie la sua parabola vicino al muro. Balzare • il rialzarsi del pallone dopo aver toccato terra. Nel gioco é valido solo il primo balzo. Battere • cominciare a giocare un punto della partita, facendosi buttare il pallone dal mandarino. Buono • il pallone che non va in fallo. Calare • cala il pallone che affretta la caduta accorciando improvvisamente la parabola. L’opposto di crescere. Cattivo • il pallone che fa segnare un punto perduto. Ciambella o Corona • l’imboccatura e il giro del bracciale. Cordino in aria • a volte si facevano delle partite con una rete tesa in aria all’altezza di circa quattro metri. Venivano giocate da due atleti per squadra, il battitore e la spalla ed il pallone, per essere buono, doveva passare al di sopra di tale rete.

Pallonata • il colpire qualcuno disgraziatamente, con un pallone lanciato con forza. Passare • i giocatori, dopo ogni trampolino, cambiano di posto passando dalla battuta alla ribattuta e viceversa. Punta • (dare di) giocare muovendo il braccio con una curva verticale, da sotto in su. Quindici • ogni punto, buono o cattivo. Rientrare • si dice del pallone che all’inizio della parabola sembra voglia andare in fallo e invece resta in gioco. Risposta • il rimandare un pallone di prima o di balzo. Sbraccio • (dare di) giocare con largo movimento del braccio in linea quasi orizzontale. Se mai • avvertimento del giocatore il quale trovandosi dietro ad un altro, lo avvisa di essere pronto a dare al pallone nel caso che questi non fosse sicuro di poterlo riprendere.

Dare • l’azione di rimandare il pallone per mezzo del bracciale.

Sopramano • (dare di) modo di rimandare il pallone col braccio alzato.

Data • la maniera di giocare tipica di ogni giocatore e cioé: di spalla, di sbraccio, di punta, di mezza punta, d’arresto, di dietro, di sopramano, ecc.

Sottobecco • (dare di) riprendere il pallone, da giù in su e da destra a sinistra, facendo descrivere una esse al bracciale. Utile quando il pallone viene attaccato al muro.

Di prima • il rimandare il pallone prendendolo prima che abbia toccato terra.

Spalla • (dare di) giocare come di sbraccio, muovendo però il dorso e la spalla.

Entrare • quando un giocatore vuole avvertire un altro perché si porti davanti al pallone per poterlo riprendere con minor fatica e difficoltà, gli grida: entraci bene!

Spuntatura • quando il pallone, essendo ripreso su uno o due denti del bracciale, invece che su tre, schizza di fianco o anche contro il giocatore.

Gioco • frazione di partita composta di quattro quindici nella partita classica. Un trampolino comprende due giochi, la partita un numero di trampolini da determinare.

Venir male • si dice che viene male il pallone quando é pericoloso riprenderlo di prima.

Guardare • quando un pallone viene male ed è pericoloso riprenderlo, i giocatori della stessa squadra avvisano quello a cui tocca rimandarlo dicendogli: guardalo!

Volare • fare un quindi buono mandando il pallone fuori dal gioco da una delle testate. è la famosa volata.


finito di stampare nel mese di luglio 2003 presso GPP Industrie Grafiche Milano



L’echeggiante Arena Uomini e Segni dalla Disfida del Bracciale di Treia Coordinamento Paolo Bartoloni Lorella Sampaolo

Pubblicato e distribuito da: empatia comunicazione editore via Farfisa, 18 60021 Camerano (AN) T 071 7304046 F 071 7304047 Copyright © empatia comunicazione

Testi Lorella Sampaolo Grafica Daniele Petrolati Fotografia Paolo Bartoloni Comune di Treia per le foto delle pagine 7, 9, 11, 13, 15, 17 Nando Scorcella per le foto delle pagine 69, 73, 89 Mirella Baldoni per la foto di pagina 87 (prima dall’alto) Luca Crescimbeni per la foto di pagina 88 Arch. Rabbiosi - Pavia per la foto di pagina 100 (prima dall’alto) Arch. Emmeffe - Macerata per le foto di pagina 9 (Arena Didimi), 81, 36 e 37

Tutti i diritti riservati. È vietato riprodurre o trasmettere parti della presente pubblicazione in qualsiasi forma o tramite qualsiasi mezzo, elettronico o meccanico, comprese fotocopie, registrazioni o altri strumenti di archiviazione di informazioni senza il permesso scritto da parte dell’editore


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