Città nella scuola | Claudio Zanirato

Page 1

claudio zanirato

Città nella scuola


La serie di pubblicazioni scientifiche Ricerche | architettura, design, territorio ha l’obiettivo di diffondere i risultati delle ricerche e dei progetti realizzati dal Dipartimento di Architettura DIDA dell’Università degli Studi di Firenze in ambito nazionale e internazionale. Ogni volume è soggetto ad una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata al Comitato Scientifico Editoriale del Dipartimento di Architettura. Tutte le pubblicazioni sono inoltre open access sul Web, per favorire non solo la diffusione ma anche una valutazione aperta a tutta la comunità scientifica internazionale. Il Dipartimento di Architettura dell’Università di Firenze promuove e sostiene questa collana per offrire un contributo alla ricerca internazionale sul progetto sia sul piano teorico-critico che operativo. The Research | architecture, design, and territory series of scientific publications has the purpose of disseminating the results of national and international research and project carried out by the Department of Architecture of the University of Florence (DIDA). The volumes are subject to a qualitative process of acceptance and evaluation based on peer review, which is entrusted to the Scientific Publications Committee of the Department of Architecture. Furthermore, all publications are available on an open-access basis on the Internet, which not only favors their diffusion, but also fosters an effective evaluation from the entire international scientific community. The Department of Architecture of the University of Florence promotes and supports this series in order to offer a useful contribution to international research on architectural design, both at the theoretico-critical and operative levels.


ricerche | architettura design territorio


ricerche | architettura design territorio

Coordinatore | Scientific coordinator Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy Comitato scientifico | Editorial board Elisabetta Benelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Marta Berni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Stefano Bertocci | Università degli Studi di Firenze, Italy; Antonio Borri | Università di Perugia, Italy; Molly Bourne | Syracuse University, USA; Andrea Campioli | Politecnico di Milano, Italy; Miquel Casals Casanova | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Marguerite Crawford | University of California at Berkeley, USA; Rosa De Marco | ENSA Paris-LaVillette, France; Fabrizio Gai | Istituto Universitario di Architettura di Venezia, Italy; Javier Gallego Roja | Universidad de Granada, Spain; Giulio Giovannoni | Università degli Studi di Firenze, Italy; Robert Levy| Ben-Gurion University of the Negev, Israel; Fabio Lucchesi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Pietro Matracchi | Università degli Studi di Firenze, Italy; Saverio Mecca | Università degli Studi di Firenze, Italy; Camilla Mileto | Universidad Politecnica de Valencia, Spain | Bernhard Mueller | Leibniz Institut Ecological and Regional Development, Dresden, Germany; Libby Porter | Monash University in Melbourne, Australia; Rosa Povedano Ferré | Universitat de Barcelona, Spain; Pablo RodriguezNavarro | Universidad Politecnica de Valencia, Spain; Luisa Rovero | Università degli Studi di Firenze, Italy; José-Carlos Salcedo Hernàndez | Universidad de Extremadura, Spain; Marco Tanganelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Maria Chiara Torricelli | Università degli Studi di Firenze, Italy; Ulisse Tramonti | Università degli Studi di Firenze, Italy; Andrea Vallicelli | Università di Pescara, Italy; Corinna Vasič | Università degli Studi di Firenze, Italy; Joan Lluis Zamora i Mestre | Universitat Politécnica de Catalunya, Spain; Mariella Zoppi | Università degli Studi di Firenze, Italy


claudio zanirato

Città nella scuola


Il volume è l’esito di un progetto di ricerca condotto dal Dipartimento di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze. La pubblicazione è stata oggetto di una procedura di accettazione e valutazione qualitativa basata sul giudizio tra pari affidata dal Comitato Scientifico del Dipartimento DIDA con il sistema di blind review. Tutte le pubblicazioni del Dipartimento di Architettura DIDA sono open access sul web, favorendo una valutazione effettiva aperta a tutta la comunità scientifica internazionale.

contributi e collaborazione di Alberto Stazio, Agnese Coppini, Saverio Napoletano, Palma Pastore, Michela Contini

in copertina Descrizione immagine di copertina

progetto grafico

didacommunicationlab Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Susanna Cerri Federica Giulivo

didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze via della Mattonaia, 8 Firenze 50121 © 2021 ISBN 978-88-3338-154-1

Stampato su carta di pura cellulosa Fedrigoni Arcoset


indice

Introduzione Claudio Zanirato

7

I luoghi del progetto

11

Concettualizzazione dell’idea

39

Inserimento ambientale

55

Lo spazio funzionale

75

Lo spazio dell’architettura

105

Lo spazio costruito

129

Bibliografia

157


Mappa dei luoghi interessati da progetti di edilizia scolastica innovativa.


introduzione

La ricezione e l’individuazione delle potenzialità e delle vocazionalità di un luogo da trasformare, sono le premesse iniziali di ogni progetto di architettura, che parte, inevitabilmente, dalla riconoscibilità delle qualità intrinseche nell’esistente, viste come promotrici di una qualità in divenire, in cui le tracce del passato e la proposta del nuovo si contaminano. La conoscenza approfondita dei luoghi, tramite la ricerca storica e l’analisi, è la premessa fondamentale per perseguire quest’obiettivo d’interpretazione. Si motiva così l’insistenza, nella ricerca propedeutica, di verificare la capacità di ambientazione dell’idea progettuale nel contesto d’inserimento, come se fosse la verifica necessaria di un “teorema” di partenza. È perciò che tutta la progettualità non dovrebbe apparire mai come imposta ai luoghi bensì suggerita dagli stessi: è questo lo sforzo iniziale da cui partire. Ogni progetto deve proporre, a modo suo, un percorso conoscitivo di avvicinamento, una sua forma di “visitazione”, un’esplorazione, una regressione storica, una traduzione fotografica, insomma una lettura o una rilettura dei luoghi, anche quando già si pensava di conoscerli. Queste forme di approccio al progetto, attraverso il coinvolgimento dei caratteri dei luoghi, danno forma a quello che può essere chiamato il “progetto connotato” o il “progetto delle relazioni”, consentendo una sua possibile condivisione iniziale, con tutti gli attori della sua definizione e, poi, di avere valide e chiare argomentazioni di comunicazione. La “traduzione” dell’idea compositiva in progetto d’architettura dovrebbe essere l’articolata esperienza di ogni percorso progettuale, che è anche ideativo. La concettualizzazione dell’idea progettuale è lo stadio primordiale di ogni progetto, dove la sintesi analitica si può tradurre in conseguenzialità e prende corpo l’intenzionalità propositiva. L’organizzazione funzionale degli spazi, esterni ed interni, tramite le dovute schematicità di masterplan e grafici distributivi, getta le premesse per un corretto funzionamento, cui fare corrispondere una qualità architettonica che può così assumere i connotati di espressività. La propensione disciplinare dev’essere, quindi, tesa alla progettazione di opere d’architettura autenticamente radicate nei luoghi e nel tempo d’appartenenza, in quanto espressione alta della nostra contemporaneità e della sua traduzione culturale, attraverso l’interpretazione critica del contesto di riferimento, diretto ed indiretto.


8

città nella scuola • claudio zanirato

Gli “elementi costitutivi” dell’architettura sono pertanto i capisaldi del percorso progettuale, che si devono articolare liberamente alla ricerca di un possibile “scenario” trasformativo: le connessioni tra i diversi spazi relazionali, sia interni che esterni dei luoghi, dotati sempre di molteplici dinamicità; la spazialità delle funzioni e delle componenti strutturali, costruttive e materiche, costitutive dell’immagine concreta delle fruizioni. Le “conoscenze” dei luoghi come premessa di continuità dialettica nei contesti d’intervento, il “tematismo” dell’ideazione come soggetto di trasmissibilità di contenuti comunicativi del processo di stratificazione paesaggistica, il “lessico” disciplinare come necessaria scelta linguistica dell’espressività individuale e collettiva di un fare comune, diventano le tappe fondamentali di un’elaborazione progettuale d’esplorazione di una “latenza” cui dare l’evidenza e la sostanza dell’architettura. In architettura, più che la qualità dell’edificio è importante la qualità delle relazioni che questo è in grado di instaurare: tali relazioni possono essere spaziali, temporali e funzionali. Nello spazio, le relazioni inducono alla costruzione organica di questo, alla dialettica tra città e paesaggio, alla continuità tra ambiente artificiale e naturalizzato: assumono pertanto importanza fondamentale i valori posizionali degli edifici, all’interno di uno scenario evolutivo e trasformativo sempre mutevole. Rispetto al fattore temporale, bisogna collocarsi nella continuità del processo modificativo, cercando il dialogo con il passato, ma senza soggezioni, affermando il dovere imprescindibile della contemporaneità, linguistica e tecnologica. L’interpretazione delle funzioni deve avvenire con l’integrazione armonica di queste nella costruzione spaziale, ricercando tutte le possibili sinergie contestuali, nell’equilibrio, tra diffusione ed ibridazione, che caratterizza i nostri modi di vita. Il progetto dovrà pertanto costituirsi come esperienza conoscitiva dei luoghi e delle problematiche insite, anche con indagine conoscitiva sulla letteratura disciplinare, evidenziandone i tematismi, lo sviluppo tecnico-normativo, la figurazione formale. La costruttività del progetto dovrà, infine, confrontarsi con le scelte strutturali, in rapporto con la forma, con le scelte materiche espressive e culturali, con le funzionalità tecnologiche che possono assistere le qualità di vita dell’edificio e dei suoi occupanti. L’espressione spaziale dovrà calzare con la sua concezione strutturale (resistenti per forma o per superfici): non si tratta solo di affrontare problemi di tettonica, di contenimento della gravità, ma di controllo di coerenza tra le varie intenzioni ed intuizioni architettoniche. Le soluzioni statiche mettono pertanto il progetto di fronte alle sfide della sua costruzione, nel momento in cui le idee si confrontano con la realtà della conoscenza ingegnieristica del momento, dei materiali e del loro uso. L’impatto minimo delle presenze


introduzione

strutturali e/o la loro espressività formale definiscono comunque la percezione formale e spaziale dell’intera architettura. La scelta dei materiali, di costruzione o solo di finitura di un’architettura, devono essere espressione di scelte consapevoli, in quanto mezzi linguistici di comunicazione della cultura del progetto, con risvolti storici e culturali complessi, che completano la definizione progettuale o la condizionano fin dall’inizio. Anche se rimangono solo dei fenomeni plastici e percettivi, gli aspetti materici sono sempre in bilico nel rapporto con la forma, nella definizione di una posizione semantica. Infine, la vivibilità di uno spazio architettonico abbisogna sempre di correttivi tecnologici che ne qualificano gli usi, anche nelle condizioni climatiche più estreme, e tutto questo si coniuga, oggi, con le sensibilità legate alle forme di sostenibilità ambientale ed energetiche, divenute centrali nel dibattito civile. Il controllo termico, dell’illuminazione, acustico, della ventilazione, prima ancora di essere risolti con le tante tecnologie disponibili, devono far parte fin dall’inizio del processo progettuale, per limitare il più possibile a ripieghi che sono quasi sempre energivori ed impattanti. Questi ultimi aspetti hanno un indubbio risvolto educativo, specie se associati agli edifici pubblici ed alle scuole in particolare. La progettazione di una scuola, di ogni ordine o grado, è un esercizio che consente di affrontare appieno tutti i temi che investono l’architettura contemporanea. Una scuola è uno spaccato formidabile della società e della città che la rappresenta: “città nella scuola” significa che l’organismo scolastico è equiparabile alla complessità dell’urbano. Considerare lo spazio scolastico come “spazio educante” condensa in sé il potenziale di queste architetture. È perciò che le scuole vanno pensate e ben rappresentano le “scuole di pensiero” legate all’architettura, come processo di trasmissione di valori. I sei stadi di cui si compone questo ipotetico percorso progettuale, rappresentano una modalità di proporre l’architettura come forma di pensiero lineare, che trova in ogni occasione di farsi anche il modo di rigenerarsi.

9


10

città nella scuola • claudio zanirato


introduzione

11

I luoghi del progetto



i luoghi del progetto

BARGA (LU), Istituto Superiore d’Istruzione LAB_ARCH 3_2015 (Catalina Garcia, Daniela Hermosilla, Bernardita Echenique)

Per “contestualizzazione” s’intende l’inserimento di un concetto, com’è un intervento architettonico, in un contesto ben determinato, per definirne meglio il significato. Il riferimento al contesto serve per una corretta comprensione dell’enunciato. Il contesto non è altro che l’insieme degli elementi di un testo o spazio fisico (urbano, naturale), messi in correlazione tra loro, per cui può anche essere considerato lo sfondo della scena dell’azione progettuale. Il contesto è indispensabile per capire il significato degli interventi, per cui il prodotto di una trasformazione architettonica dovrebbe dipendere dal suo contesto ed attraverso l’uso di questo acquista anche un senso. Pragmaticamente, il contesto influisce sull’interpretazione dei significati degli interventi, va a formare la “situazione” nel suo complesso, in una visione allargata e contemplativa. L’operazione analitica-esplorativa, che anticipa l’azione progettuale, dovrebbe consentire di estrapolare il significato profondo di un luogo, come di uno spazio architettato, aiutare a comprendere l’articolazione del contesto, per fare emergere il “genius loci”, un’identità personale e storica intrinseca. Se per lunga tradizione l’opera architettonica è sempre stata ben legata ad un contesto di riferimento chiaro, dal secolo scorso accade invece il contrario, e si è iniziato ad assistere al progressivo smarrimento del “contesto” nella progettazione. Prima del Novecento, ogni soggetto, una figura come un’architettura, era inserito in uno spazio, in un ambiente di riferimento, non era concepibile un isolamento dal contesto. La modernità introduce l’esistenza di uno spazio interno, interiore, con il quale l’opera si affranca dallo spazio esterno e diventa per questo removibile, riposizionabile in altri spazi perché non legata ad alcuno, ma è essa stessa generatrice di spazialità. In architettura, il contesto è in un certo qual modo la cornice dell’intervento, è il contorno d’inserimento dal quale non può escludersi assolutamente1. In pratica, il modernismo ha portato gli oggetti e le figure fuori dalla realtà, per cui ritornano ad essere decontestualizzate dallo spazio reale, inserite in uno spazio altro, se non addirittura pensate isolate da qualsiasi ipotesi spaziale. È il trionfo della decontestualizzazione o se si vuole dell’astrazione.

1


14

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Foro Boario LAB_ARCH 3_2017 (Daniele Genua)


i luoghi del progetto

La “comprensione” di un fenomeno, qual è anche quello architettonico, passa abitualmente sempre attraverso un processo di contestualizzazione, senza il quale rimarrebbero gesti isolati privi di relazioni: è solo istituendo queste ultime che ogni cosa assume un significato, perché si concatena ad altre. Il fenomeno diventa assai complesso se consideriamo che la contestualizzazione di cui stiamo parlando non appartiene, di fatto, all’oggetto in quanto tale, ma dipende molto dal soggetto che osserva la scena. Bisogna porsi di continuo in una posizione di autocoscienza nei confronti del punto da cui ci si muove, riconoscendo l’esistenza di altri contesti possibili, da cui possono derivare altri significati. Senza tale riequilibrio si rischia il pericolo dell’ideologizzazione. Queste considerazioni diventano importanti se si ritiene che l’architettura non sia solamente un manufatto volumetrico, ma anche lo spazio implicitamente definito e le relazioni istituite con l’ambiente circostante. In pratica, si deve considerare l’architettura come una semplice componente della realtà, il cui significato non è dissociabile dal contesto, che a sua volta si modifica di continuo. La città, come i paesaggi, hanno una sottile memoria degli episodi che li hanno formati e con essi si confrontano di continuo: non riescono del tutto a dimenticarsi del loro passato e, nella loro lenta evoluzione continua, riemergono i sensi dei singoli frammenti. La città ha una natura metamorfica, deve procedere con cancellazioni e trasformazioni continue, con cui recuperare all’uso attuale i segni della storia: è una macchina del cambiamento, luogo del mutamento e teatro della sua rappresentazione. Il problema del “contesto” è molto dibattuto all’interno della disciplina architettonica e, per una sua più chiara definizione, dovrebbe anche confrontarsi con la capacità di trascrizione. Per intenderci, il concetto d’identità di un luogo raccoglie l’insieme delle peculiarità di varia natura che gli conferiscono caratteristiche uniche: per poter esprimere un luogo bisogna saperne cogliere l’identità, è evidente, si deve quasi afferrare il sentimento del luogo, subire un cambiamento interiore. Le varie forme di attenzione verso le meccaniche di relazione dei contesti ambientali, che si sono affermate negli ultimi decenni, hanno ravvicinato la lettura di un luogo come un’architettura, lo spazio delle relazioni quindi, in cui gli elementi strutturanti sono inseriti in una prospettiva d’insieme. Se l’architettura è intesa come un frammento della città o del paesaggio, allora racconta il suo presente come il suo passato. Di fatto, quando l’oggetto architettonico è contestualizzato emerge subito un “racconto”, che può anche essere catturato in un’immagine o in un concetto.

15


16

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Civelli, Tina Ghassemian)


i luoghi del progetto

Sono tante le forme di analisi che si possono ipotizzare ed attivare, a seconda del luogo e del progetto che si intende compiere. Esiste un’analisi testuale, che attinge dalla letteratura, dal cinema, dall’arte, con la quale si esplorano i punti di vista di chi ha già percorso questa strada col tramite di altre discipline espressive. Si definiscono anche così le sintesi testuali, individuando le “parole chiave” che supportano l’illustrazione delle possibili scelte da operare, gettando le premesse per una comunicazione progettuale, che sarà anche verbale. Le parole chiave suggerite dal contesto insediativo in esame, soprattutto se svincolate dalla sintassi di frasi costruite lessicalmente, sono in grado, con la loro elementarietà, di condensare su di sé i significati primordiali ivi contenuti e di evocarne altre in una reazione a catena, tra queste anche le parole che dovranno connotare il futuro progetto. In tale processo si rimane fuori dal piano figurativo (contenitori), che potrebbe distrarre, ed acquistano risalto solo i contenuti. Tante parole avranno bisogno di distinguersi a loro volta, facendo ricorso a “tipi” differenti, sfruttando tutte le possibilità dell’editing (font, corpo, maiuscolo, corsivo, sottolineature, coloriture, evidenziature, rilievi, ombreggiature…) istituendo una gerarchia di percezione, quasi un ipertesto. Con l’analisi sensoriale è possibile immergersi nei luoghi da trasformare e cogliere direttamente, in maniera empirica, quello che la nostra sensibilità, “orientata” dal progetto, è in grado in quel momento di cogliere. Sono queste le “percezioni critiche” che si devono attivare per entrare in empatia con i luoghi. Può essere utile anche un’analisi verbale, intervistando direttamente le persone che già vivono o lavorano negli stessi luoghi e fare tesoro pure dei loro punti di vista, consolidati dalla pratica quotidiana. Queste forme di analisi conducono alla possibilità di progettare con le parole, a redigere cioè un “lemmario strumentale” al progetto. Calvino, nelle “Lezioni americane”2, sottolineava l’importanza del pensare per immagini, per fare emergere delle figure dal magma urbano, riconoscerle, interpretarle, selezionarle e riutilizzarle nel progetto, in una sorta di “neo-analogia”, di archeologia del territorio contemporaneo, anche se, in un mondo sommerso di immagini (come l’era che ci contraddistingue), questa capacità si fa sempre più ardua. Piuttosto, i luoghi dell’abitare, come la città, sono sempre più il risultato di una sovrapposizione di immagini, la cui commistione confonde le scale, distrae la visione e ferma lo sguardo in superficie.

2

Calvino I., 1988, Lezioni americane, Garzanti, Milano.

17


18

città nella scuola • claudio zanirato

PISA, Liceo F.Buonarroti LAB_ARCH 3_2016 (Chiara Mattoni, Maddalena Nanni)


i luoghi del progetto

Il paesaggio costruisce l’architettura, l’architettura costruisce il paesaggio: ambedue si sedimentano nella memoria, la memoria costruisce l’identità3.

La riconoscibilità è legata alla differenza, alla non omologazione di tutti i luoghi, per cui l’identità urbana è “determinata dalla correlazione tra le differenze che ne formano l’irripetibile originalità”4. “L’identità e la relazione sono al centro di tutti i dispositivi spaziali classicamente studiati dall’antropologia”5, ossia luoghi come fondamento dei sistemi urbani, e “se un luogo può definirsi come identitario, relazionale, storico, uno spazio che non lo è si può definire non luogo” e “la surmodernità produce non luoghi e non integra in sé i luoghi antichi”6. Ed uno “spazio” si connota di maggiore astrazione rispetto ad un “luogo”, che risulta invece maggiormente identificativo7. L’analisi cartografica e territoriale, attraverso la consultazione delle mappe di ogni tipo, è utile soprattutto se consente di ridisegnare e costruirsi una propria “carta” mentale degli stessi luoghi. La rilettura “geografica” dei contesti d’intervento può essere fatta per suggestioni visive (immagini, fotomontaggi)8, da condividere successivamente con l’azione progettuale. Le cartografie disponibili, alle varie scale di rappresentazione, contengono una forte selezione di informazioni utili allo scopo per cui sono state prodotte e compatibili con i rapporti dimensionali di base: raramente forniscono tutte le informazioni di cui si ha bisogno per analizzare il contesto territoriale d’inserimento, anzi, il più delle volte ne sono assai scevre. La cartografia vive di tantissime convezioni, non sempre tutte facili da afferrare, mentre la visione del progettista si concentra di sovente su elementi non contemplati, perchè propri di un altro modo di vedere le stesse cose. Le mappe che si possono reperire si sforzano di rappresentare ampi spazi, dal punto di vista fisico e funzionale, in certi casi con estrema precisione metrica ed in altri con evidenti storture. Può capitare che, a volte, si debba usare una scala alternativa di rappresentazione: per esempio, le distanze tra punti notevoli di un territorio (paesi, città) può essere più conveniente misurarle con la metrica del tempo necessario per raggiungerli, in funzione del vettore di trasporto che si può impiegare, producendo in tal modo un’altra geografia (dell’accessibilità effettiva in termini temporali).

Fabbri G., 1996, Architetture in luoghi limitati, Città Studi, Milano. Crotti S., in I territori abbandonati, Rassegna n.42; 5 Augè M., 1993, Non luoghi: introduzione a una antropologia della surmodernità, Elèuthera, Milano. 6 Augè M., op.cit.; 7 Augè M., op.cit.; 8 Linch K., 1965-85, L’immagine della città, Marsilio, Venezia. 3 4

19


20

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Civelli, Tina Ghassemian)


i luoghi del progetto

Ne consegue che dovrebbe essere lo stesso progettista a “prodursi” le mappe di riferimento per la lettura del contesto, semmai partendo solo da basi cartografiche molto elementari, basiche ed essenziali, su cui tracciare ed evidenziare solo ciò che ritiene veramente utile al suo scopo e con un proprio metalinguaggio, prossimo a quello del progetto che andrà a fare. Così una mappa analitica può essere anche fatta solo di parole chiave, icone ed immagini simbolo, collocate nei punti geografici di appartenenza, a formare un mosaico composito… mappe mentali che fanno “vedere” ed immaginare una sintesi possibile dei luoghi, con le loro qualità e criticità, in cui una parte può anche stare “per il tutto”, se può servire. Con questo processo visuale si avvia quello che diventerà il progetto con le immagini, propriamente disciplinare. I diagrammi analitici che si possono produrre devono essere più di uno, corrispondenti ai piani di lettura prescelti: ciascuno dovrebbe avere un suo tematismo (layers), evocato possibilmente con un motto o uno slogan, un proprio colore identificativo e stimolante. L’impiego di icone, per comunicare in maniera alternativa contenuti altrimenti solo letterali e quindi legati alla comprensione linguistica non universale, consente di ottenere una notevole fluidità di comprensione: il colore delle icone, oltre al loro posizionamento sulle mappe tematiche, le può legare indissolutamente alle parole chiave, brevi testi di commento, tratti e campiture, immagini virate/manipolate appositamente, ottenendo un ipertesto di immediata lettura assieme ad altri (come se fossero layers di un disegno stratificato). È molto facile oggi produrre o utilizzare repertori fotografici (foto zenitali satellitari, in volo, da terra, panoramiche) e questo sembrerebbe rappresentare una facile risorsa: la fotografia però non è in grado di rappresentare la realtà come vorrebbe fare credere, dal momento che è a sua volta una forma di linguaggio e racconta quello che gli sta davanti a modo suo, anzi secondo il punto di vista di chi l’esegue. Perciò, dovrebbe essere chi conduce l’analisi (il progettista) a farsi fotografo, immergersi nei luoghi dell’azione ed individuare così i propri punti di vista, su cui rielaborare una propria lettura personale. La fotografia registra un numero impressionante di informazioni e di dettagli che finisce per confondere ogni possibile sintesi interpretativa: più che di fotografie si dovrebbe cercare di individuare la “fotografia” di un luogo, operare almeno in questo un’estrema selezione e ricondurre il tutto ad una sola immagine, in grado di riassumere il tutto. Essendo un mezzo interpretativo, la fotografia è per questo una visione “falsata” della realtà ed in quanto tale non può essere considerata come un valore testimoniale, pertanto può essere a sua volta manipolata (eliminare o falsare i colori, fuoco selettivo, tagli…) per estrarre ulteriormente un dato su cui soffermare l’attenzione.

21


22

città nella scuola • claudio zanirato

FIRENZE, Scuola D.Compagni LAB_ARCH 3_2016 (Virginia Lombardi)


i luoghi del progetto

È una modalità di vedere le cose molto prossima a quella del nostro occhio quella della fotografia, per cui dovrebbe essere filtrata per essere un prodotto utile all’analisi dei luoghi: un po’ come a volte si sente il bisogno di socchiudere gli occhi per eliminare dei dettagli dalla vista, per ricondursi alla pura forma compositiva, anche con la fotografia bisognerebbe sapere sottrarre informazioni superflue. Quindi, come per la cartografia, anche per la fotografia questa dovrebbe rappresentare solo un punto di partenza per l’analisi: se non si è in grado di sfruttarne appieno il potenziale linguistico è opportuno manipolarla in post-produzione ed estrarne in altri modi un contenuto chiaro. Le scale dimensionali con cui si conducono le analisi spaziali possono e devono essere differenti, poiché esiste una macro-analisi ed un microanalisi, ossia c’è sempre bisogno di allargare la visuale in profondità, cercando di abbracciare una porzione di territorio estesa quanto basta per coglierne tutte le influenze sensibili. Ad una vista ravvicinata, il quadro analitico deve farsi per forza più dettagliato e specifico, proprio partendo dalla “cornice” d’inquadramento, predisposta a priori. Ad ogni scala corrispondono dei specifici elementi dominanti da cogliere. È indubbio che in tutto questo emerge la soggettività di chi opera le scelte tendendo all’oggettività: ma è tutta l’azione del progettare ad essere una sequenza infinita di scelte, ad iniziare proprio da quelle che “raccontano” i luoghi. Ci sono aspetti che caratterizzano un contesto spaziale, che non sono tangibili e pertanto sfuggono agli abituali mezzi di rappresentazione, come i flussi di cose e persone, l’intensità ed il chiaroscuro della luce, gli odori ed i suoni, l’alternanza giorno-notte, dei giorni lavorativi e festivi, delle stagioni e delle condizioni climatiche…. Andare in visita in un luogo in un solo momento non consente di percepire e stimare queste variabili per lo più temporali, per cui bisognerebbe ritornarci in momenti diversi e valutare così le differenze riscontrate. In questo, l’analisi contestuale si tramuta in “ricerca paziente” ed a volte non se ne ha proprio le possibilità, è bene tenerlo presente e non peccare di presunzione e di superficialità. È comunque anche il tema progettuale a dover suggerire come, quando e quanto analizzare, ed in questo ogni analisi è un “progetto nel progetto”, non può essere pertanto mai uguale alla volta precedente, perchè sono sempre diversi i luoghi come pure i progetti che vi si devono svolgere. Ogni progetto di architettura è sempre un progetto di trasformazione, sia che si operi in contesti insediativi che naturalistici, c’è sempre qualcosa da trasformare, da togliere o da inserire, da cambiare. È per questo che è indispensabile conoscere a fondo i luoghi del progetto, capire i paesaggi in cui ci troviamo ad agire, le immagini che stiamo manipolando. Bisogna capire perchè abbiamo di fronte quella precisa situazione, come è stata generata, come si è evoluta nel tempo e perchè, per operare in quella realtà in maniera informata e rispettosa.

23


24

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG)_Scuola G.Carducci, LAB_ARCH 3_2017 (Davide Mele)

CONCORDIA SULLA SECCHIA (MO) Scuola B.Zanoni, APPALTO INTEGRATO_2016 (ZaniratoStudio)


i luoghi del progetto

L’analisi storica di un luogo è in sostanza una ricerca sulle progettazioni precedenti, sui momenti ed i motivi che hanno generato altre trasformazioni, ancora visibili o solo latenti, perchè ne hanno stimolate altre a loro volta, in una contaminazione continua. Guardare nella storia, nel passato dei luoghi, significa avere una visione retrospettiva molto selettiva, avere cioè la capacità di cogliere gli episodi salienti che hanno marcato significatamente quello spazio, in maniera puntuale o solo dilatata, ma che ancora oggi sono avvertibili e condizionano, come presenza o assenza, il luogo stesso. Il “montaggio analogico” del tempo trascorso, che ha portato ad uno stato attuale un pezzo di territorio o di città, seleziona quindi in maniera mirata il repertorio documentale disponibile. L’eterogeneità dei documenti consultabili a ritroso nel tempo, per ricostruire tutti i possibili processi trasformativi di un luogo, ci obbliga ad immedesimarsi con punti di vista ed abitudini proprie di quei tempi, e non è certo facile: le fotografie, le mappe, i dipinti, i reperti archeologici, i “testi” in senso generale, parlano linguaggi differenti di quei tempi ed hanno motivazioni raramente congruenti al nostro scopo conoscitivo. Anche in questi casi, è compito del progettista, che conduce l’analisi, sapere estrapolare dal processo continuo temporale gli episodi simbolici preminenti, alcuni momenti salienti su tutti (una data, un evento, un’azione, una prassi, una economia, un rituale…). Significa interrogarsi sul perchè dei tracciati stradali (centuriazioni, dinamiche, urbanesimo), sulle forme di coltivazione dei suoli (tradizioni e riforme agricole), sul sistema di regimentazione delle acque (bonifiche, canalizzazioni), sulle forme insediative ed urbane (accrescimenti, ricostruzioni, abbandoni), sulle forme di sostentamento (agricoltura-pesca-pastorizia, artigianato ed industrializzazione, servizi e terziarizzazione). I luoghi sono fatti quasi esclusivamente dalle tracce di questi vissuti, in attesa del deposito delle nostre e di altre poi ancora. Sono queste le connotazioni dei luoghi, ciò che rimane oltre la forma delle cose e le loro persistenze, ossia le denotazioni. Le tracce del passato che hanno condotto alla nostra realtà, che non è ovviamente istantanea bensì il risultato di una continua evoluzione. Gli stadi fondamentali di tale evoluzione si possono definire come i “caratteri dei luoghi”. La traduzione “iconica” di questi caratteri consente di ricondurli ad una dimensione figurata ed attraverso questa ad una spazialità, che rimanda a quella originaria e che può consentire un confronto diretto con l’impiego progettuale. Si configura così una sorta di “analogia traslata” dei valori spaziali nella pratica progettuale di trasformazione dei luoghi. L’eterogeneità di queste informazioni rintracciate nel passato, più o meno lontano, dovrebbe suggerire la “trascrizione” grafica su mappe e disegni facilmente confrontabili tra loro, perchè lo scopo finale è di ricondurre il tutto ad un racconto lineare della storia (ponendola su uno stesso piano di lettura), finalizzato all’attualizzazione della sua incidenza nei luoghi.

25


26

città nella scuola • claudio zanirato

POGGIBONSI (SI), Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Arianna Fusi, Silvia Lintas, Beatrice Nardi, Eleonora Oppoliti, Chiara Sgobba, Chiara Tirico)

POGGIBONSI (SI), Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Arianna Fusi, Silvia Lintas, Beatrice Nardi, Eleonora Oppoliti, Chiara Sgobba, Chiara Tirico)


i luoghi del progetto

Questo materiale che ci consegna il passato della storia, se ridotto quindi ad icone, parole chiave e diagrammi, diventa a sua volta materiale per fare progredire la stessa storia, per costruirne un’altra in maniera dialettica. Sono quasi sempre le forme economiche dominanti in un momento storico a condizionare l’intera società, al punto tale da modificare il paesaggio in cui abita ed in questo le sue architetture: capire questo significa anche afferrare le leve che stanno condizionando il nostro tempo ed il fare architettura oggi. Le funzioni e le attività antropiche che si distribuiscono nel territorio abitato sono molteplici e difficili da cogliere pienamente per via della loro variabilità nel tempo: anche per questo bisogna rapportarsi alla scala della visione che si sta analizzando ed eseguire delle conseguenti semplificazioni, accorpamenti di usi affini e formare delle macro-funzioni, per fare emergere delle “prevalenze”. Il dato quantitativo di tali disposizioni (costruzioni e spazi inedificati allo stesso modo) può essere l’informazione preminente (il modo con cui si elencano dovrebbe già suggerire di per sé dei pesi relativi), come pure le relazioni tra queste ed i modi in cui si mischiano e vanno ad intarsiare (colori, parole, tratti) lo spazio in esame. Il rapporto con le reti infrastrutturali o le emergenze naturalistiche spesso condizionano gli usi per cui meritano un’attenzione particolare. Ne emerge una visione “immateriale” dello spazio, dipendente dagli sfruttamenti economici e dagli stili di vita, quindi un modo di vedere lo spazio per quello a cui serve e nella sua transitorietà (effetto “camaleonteonico” della città). In momenti diversi, brevi o lunghi che siano, lo stesso quadro analitico cambia senz’altro, si possono avvertire delle improvvise assenze, dei cambi significativi d’intensità d’uso, delle sostituzioni, e pertanto sarebbe opportuno fissare anche la “relatività del tempo” nell’utilizzo di tali scenari. Anche gli aspetti funzionali degli usi possono esprimere, a modo loro, dei rapporti e dei legami con il contesto, sia fisico che immateriale, all’interno di una logica “relazionale” a tutto tondo, e dovranno trovare pertanto le modalità per essere esplicitati, in maniera sintetica ed utile ad una loro manipolazione propositiva. Si possono configurare anche più scenari compositi sistematici per tematiche affini: sistema insediativo (tipologico, periodizzazione, rapporto pieni/vuoti, altimetrie), sistema di aree specialistiche (centri storici, aree produttive, distretti monofunzionali, aree commerciali, attrezzature sportive), sistemi della mobilità (reti, stazioni, interscambi, parcamenti, logistica), sistemi naturalistici (aree verdi attrezzate, aree umide, riserve, boschi, coltivazioni), viste come parti autonome ed organiche dello stesso territorio/città. Riuscire a fare dei distinguo dal punto di vista qualitativo, nella caratterizzazione degli spazi d’uso, è sempre importante e può variare a seconda delle finalità (tipo di progetto) per cui

27


28

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Scuola G.Carducci LAB_ARCH 3_2017 (Chiara Borgherini)


i luoghi del progetto

PERUGIA, Scuola Carducci-Purgotti LAB_ARCH 3_2017 (Elisabetta Bistocchi)

29


30

città nella scuola • claudio zanirato

LUCCA, Scuola a San Concordio LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Coppini, Leonardo Belluomini)


i luoghi del progetto

si sta analizzando un contesto, perciò può avere gradi di sofisticazione “opportuni”: si pensi, per esempio, al tema del “verde” che può essere naturale o inselvatichito, agricolo attivo o abbandonato, giardino attrezzato o arredo stradale, di risulta, orti, aree ludiche o sportive, di rappresentanza, esteso in superficie (prato o boscato), lineare (siepi, filari) o puntuale (alberi), con presenza di acqua o di rocce… Tante sfumature interpretative si possono trovare ovviamente anche analizzando la morfologia delle costruzioni, il connettivo della viabilità, le attività insediate… Il modo attraverso cui è possibile muoversi nei pressi, attorno e dentro le aree progettuali è un altro dato immateriale da cogliere appieno: si tratta di tracciare i flussi dei veicoli e delle persone che rappresentano gli elementi dinamici della scena in esame. Essendo differenti per tipologia (mezzi impiegati, velocità, frequenza, portata, tempi), le linee di tali flussi sono di conseguenza a loro volta plurime e molteplici in maniera distinta. Anche in questo caso, il fattore temporale comporta scenari pure molto variegati, per cui occorre fissare la relatività dei diversi momenti sotto analisi. Capita così che spesso i tracciati siano condizionati da altrettante viabilità, oppure che le condizioni siano tali da renderli più spontanei, per cui siano motivati da fattori attrattivi o da logiche di minore percorrenza, con diverse alternative, quindi, per alcune tipologie. La descrizione dei flussi in essere si lega direttamente alle modalità di accessibilità ai luoghi: i sensi di marcia, i punti di varco, le possibilità di sosta, rappresentano i modi per entrare ed uscire da un posto secondo le abitudini del momento, condizioneranno la progettazione interessata e talvolta potranno essere riprogettati loro stessi se necessario. La ricerca delle differenze, in questo campo, diventa importante per sondare a fondo aspetti anche molto sfuggenti: distinguere gli ambiti privati da quelli pubblici, le frequenze, i bisogni delle emergenze/soccorsi, gli aspetti logistici e di parcamento/stazionamento, le necessarie manutenzioni, le possibilità d’interscambio tra vettori… Anche gli effetti indotti dai vari flussi sono qualità/disqualità da tenere presente, come risvolti indiretti dell’espressione di bisogni contigenti. La distinzione dei vari livelli individuati di flussi/accessibilità (seguendo specifiche modalità di rappresentazione, come in altri tematismi) consente di valutare criticità già in essere, come conflitti e frizioni, potenziali incompatibilità e pericolosità, da correggere progettualmente. Quindi, è utile rappresentare ogni singola modalità, per capirne a fondo il dinamismo in modo isolato, come pure la sovrapposizione di tutte, per individuarne congruenze/ incongruenze, come layers di uno stesso organismo vivente e continuamente dinamico, a intensità variabile. Essendo in prevalenza i flussi informazioni “lineari”, sarà opportuno qualificarli con spessori/intensità di tratto e colori adeguati alla loro portata, individuando in

31


32

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Fabio Coppola)


i luoghi del progetto

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti TESI DI LAUREA_2019 (Bianca Clarice Sauri)

33


34

città nella scuola • claudio zanirato

SPOLETO (PG)_Scuola D.Alighieri LAB_ARCH 3_2017 (Andrea Paoli, Lorenzo Taurone)


i luoghi del progetto

questo la giusta scala di rappresentazione, non tanto fisica (larghezza del percorso) ma numerica (intensità di frequenza, portata effettiva). Tale disamina potrebbe anche comportare l’omissione di alcune percorrenze, se ritenute infime rispetto ad un dinamismo complessivo. I percorsi del progetto saranno una semplice estensione di quanto mappato, una sua diramazione o un “rammendo” riparatore, a seconda dei casi, operiamo pur sempre all’interno di un palinsesto condizionante. Legare assieme flussi e funzioni è un altro lavoro interessante da svolgere, poiché le due cose sono strettamente correlate tra loro, essendo risvolti evidenti degli stessi fattori: a volte, le funzioni attraggono semplicemente “traffico” ma può anche succedere all’incontrario, ossia che particolari flussi possano stimolare convenientemente l’insediamento/collocazione di particolari funzioni, innestando in entrambi i casi fenomeni parassitari, surrogati, opportunistici, di sfruttamento…. per cui col variare degli uni si modificano per forza anche gli altri, in una simbiosi inevitabile. In tali ipotesi di lavoro, funzioni e flussi possono esser visualizzati esattamente allo stesso modo, all’interno di scenari d’uso univoci, in mappe ideogrammatiche interpretative. Potrebbe anche essere utile schematizzare a tal punto i sistemi analizzati da “deformarli”, svincolandoli dalle loro geometrie realistiche, per farne emergere in parte un’immagine astratta ed essenziale (come le mappe dei trasporti pubblici di grandi città, volutamente astratte dalla cartografia). Il progetto di una nuova scuola vede il contesto come attore attivo dell’intero processo, per cui non è possibile prescindere da una sua conoscenza “profonda”. Anzi, l’ambiente ed il paesaggio sono oggi considerati elementi “educanti” privilegiati nella nuova visione scolastica, per cui diventa fondamentale la conoscenza di questo patrimonio.

35


36

città nella scuola • claudio zanirato

VAIANO (PO), Scuola ex-Sangiorgese LAB_ARCH 3_2015 (Damiano Paoletti)


i luoghi del progetto

POGGIBONSI (SI)_Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Arianna Fusi, Silvia Lintas, Beatrice Nardi, Eleonora Oppoliti, Chiara Sgobba, Chiara Tirico)

37


38

città nella scuola • claudio zanirato


i luoghi del progetto

39

La concettualizzazione dell’idea



la concettualizzazione dell’idea

BOLOGNA, Scuola Carracci LAB_ ARCH 3_15 (Lorenzo Bacci)

La “traduzione” dell’idea compositiva in progetto d’architettura dovrebbe essere l’articolata esperienza di ogni percorso progettuale che è anche ideativo. La concettualizzazione dell’idea progettuale addensa in sé la sintesi tra l’analisi dei luoghi, l’elaborazione delle criticità e l’individuazione di uno scenario evolutivo in continuità. L’architettura, quindi, dev’essere pensata come elemento costitutivo del paesaggio, naturale o urbano che sia, ed il progetto rappresenta il processo di definizione di uno “scenario” relazionale, che deve scaturire dalla dialettica tra struttura funzionale ed immagine percettiva, costitutive del contesto di riferimento dato. Si devono pertanto possedere le conoscenze degli strumenti progettuali disponibili, in grado di condurre alla dovuta sintesi le propensioni e le dinamiche dei luoghi, come materiale di costruzione di una possibile strategia d’intervento trasformativa. La ricerca progettuale dovrebbe condurre ad individuare metodi compositivi con consapevolezza, in grado di dare concretezza e praticabilità alle intuizioni spaziali e formali, attraverso una gradualità ed una concatenazione di esperienze operative, in bilico tra l’espressione della soggettività e la necessaria oggettività del costruire. Il progetto diviene così l’approfondimento di un rapporto interdisciplinare tra la natura di un luogo (reale ed immaginato al contempo) e la costruzione di una sua possibile immagine evocativa-trasformativa, coerentemente “costituita” per componenti elementari, interrelazionati tra loro. Il processo progettuale, in sintesi, definisce la traiettoria di analisi, di classificazione e di sintesi di un percorso ideativo. Descrivere la forma, la “mappa” di tale pensiero, permette di cogliere la direzione, riconoscere i passi compiuti ma anche di coglierne le tracce sospese. La definizione delle strategie progettuali, individuando gli obiettivi e gli strumenti per l’intervento prefissato, passa anche attraverso l’individuazione di precisi riferimenti, altre suggestioni progettuali, da cui attingere criticamente per costruire nuove immagini (processo delle trasfigurazioni continue). È così che prende corpo il progetto con i “diagrammi”, dove si inizia a schematizzare le componenti e le intensità delle parti progettuali man mano che affiorano.


42

città nella scuola • claudio zanirato

FOLLONICA (GR), Scuole Parco Centrale CONCORSO DI IDEE_2015 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


la concettualizzazione dell’idea

Dai caratteri morfologici di un luogo inserito in un paesaggio è possibile, anche con dovuti passaggi di scala, concettualizzare i lineamenti essenziali per costruire un progetto come un paesaggio a sua volta, immedesimarsi in analogia, istituendo un’auto-generazione, quasi spontaneamente. Individuare ed isolare un singolo elemento del contesto, ma in grado di contenerlo per intero, è un’azione selettiva necessaria per capire fino in fondo i luoghi e da cui ripartire per ricostruirli o trasportarli in altri luoghi del pensiero. È indubbio che ogni progetto di architettura deve avere in fondo una sua precisa visibilità: lo spazio modificato è uno spazio percepito. Diventa allora importante cogliere sia le visuali che si intendono catturare dall’esterno dell’intervento (traguardi visivi di emergenze paesaggistiche o altro, che si possono esaltare come correggere), sia la visibilità prevalente di ciò che si sta proponendo: ponderare sempre il dentro ed il fuori del progetto, quindi, come risvolti dello stesso agire. La scelta di immagini iconiche cui riferirsi (anche montate in sequenza) è un approccio progettuale che trasferisce, a chi guarda, la costruzione immaginifica dell’incipit ideativo. L’architettura contemporanea vive spessissimo di astrazioni, pertanto le immagini evocative del pensiero che la sottende possono essere attinte da mondi alternativi, avere delle scale diverse ed essere pure molto estreme. Può succedere così che ci sia bisogno anche di fare riferimento a dei fenomeni naturali, richiamare delle “azioni” esercitate su forme e spazi, portando nell’ideazione dinamismi, tramite sequenze di fasi concatenate e conseguenziali. È così che il pensiero progettuale si fa attivo e conduce linearmente a definire un risultato “possibile”, come il frutto dell’azione del tempo sulla matericità delle cose e che può essere fermato in un suo stadio di transizione, nella staticità di un’architettura. È un agire dinamico che contraddistingue parte dell’architettura contemporanea, perchè generata da una prassi sequenziale, facilmente riassumibile in specie di story-board (montaggio analogico), ossia un racconto di una esperienza concettuale che ha portato a quel preciso risultato, a partire da un dato iniziale ed agendo linearmente (con logicità o imprevedibilità, a seconda dei casi). I presupposti e gli scopi fondamentali dell’agire progettuale, ossia gli input alla progettazione, sono gli anelli di congiunzione tra l’analisi e la propositività, tra l’idealità e la concretezza delle cose, sono ciò che sostanziano l’architettura come pensiero raffinato, un pensiero che dev’essere trasmissibile. Il concept di un progetto dev’essere in grado di restituire, praticando in buona parte lo stesso percorso analitico svolto, i contenuti essenziali di un’azione trasformativa di un luogo. Si dovrebbe perciò riprodurre le stesse mappe conoscitive “perturbate” dal proposito progettuale, utilizzando esattamente lo stesso piano linguistico (lessico personale, metalinguaggio).

43


44

città nella scuola • claudio zanirato

POGGIBONSI (SI), Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Silvia Lintas)

FOLIGNO (PG), Foro Boario TESI DI LAUREA_2018 (Daniele Genua)


la concettualizzazione dell’idea

Certi funzionamenti di parti urbane hanno spesso il bisogno di essere convertite in metafore semplificatorie, per poterle afferrare appieno, e da queste ripartire con diagrammi interpretativi: si tratta di trovare perciò la giusta chiave di lettura con una semplificazione (distillazione, evaporazione del superfluo) da cui ripartire. Riuscire a sintetizzare un’idea progettuale in un motto o in logo, in modi estremamente essenziali quindi, significa avere focalizzato a tal punto una suggestione (l’anima del pensiero) da poterla trasmettere anche senza la sua corporietà, a riprova della sua efficacia comunicativa. La distribuzione delle attività, la loro collocazione spaziale ed interrelazione, richiedono un’analisi critica, per operare le scelte più corrette: le variabili che esulano dalla tipicizzazione sono innumerevoli, per cui bisognerà interpretare tutti gli “elementi al contorno” di volta in volta, per ottenere un risultato calzante rispetto agli input di partenza. Essendo i bisogni delle persone e delle comunità sempre diversi tra loro, come lo sono i luoghi d’intervento, è evidente che non esistono soluzioni replicabili, per cui il progetto deve prendere le mosse sia dagli elementi che accomunano gli interventi (riferendosi al “tipo”) sia dagli elementi di distinzione (specificità del caso). Dopotutto, i tipi architettonici si sono formati nel tempo per iterate approssimazioni, fino a raggiungere una stabilità precisa: si può/ deve pertanto controvertire questo processo di “fissazione” ed approdare ad altri risultati, in altri tempi ed in altri luoghi. Il riferimento a scelte tipologiche di base e il punto di partenza costituito da un “topos”, consenteno di razionalizzare l’impostazione di una proposta progettuale, a partire da soluzioni consolidate (tipicizzate) che hanno perso di aderenza con il luogo originario ed il suo tempo di elaborazione, e, come tali, risultano “sradicate” e generiche. Non può essere quindi il repertorio delle soluzioni tipo (letteratura e manualistica) il punto di arrivo di un progetto, ma solo il punto di partenza: occorre fare tesoro delle esperienze consolidate e considerarle alla stregua di “banalizzazioni”, per incamminarsi in un percorso esplorativo di ricerca specifica, dando aderenza ad un luogo ed un momento specifico, per approdare ad altre soluzioni, anche molto diverse dall’incipit iniziale. È questo, in sostanza, il percorso diagrammatico di manipolazione dell’esperienza acquisita. In questo percorso di esplorazione rimane ancora riconoscibile il modello elementare di partenza, ma deve prevalere la sua interpretazione (adattamento), per fare in modo che l’architettura sia una “scoperta” continua. Il repertorio tipologico, semmai, può ancora rappresentare un punto di partenza da cui evolvere verso forme di attualizzazione dettate dai tempi e d’ibridazioni foriere di nuove tipicizzazioni, in cui dare riconoscibilità alle novità della contemporaneità. In fondo, un modello si tipicizza solo dopo una serie di affinamenti e può pur sempre riprendere il suo percorso

45


46

città nella scuola • claudio zanirato

PALERMO, Polo Scolastico Sud CONCORSO DI IDEE_2017 (ZaniratoStudio e Claudia Pescosolido)


la concettualizzazione dell’idea

verso nuove evoluzioni e generare altri tipi a sua volta, in questo risiede la dinamica disciplinare. Inoltre, il linguaggio che interpreta il tipo è già di per sé una variabile che implica degli scarti impliciti alla regola. Di fronte alla città contemporanea in crescente complessificazione, specie nelle sue forme comunicative, lo spazio architettonico tende ad appiattirsi sempre più ad un solo “a-tipo”, come “esito di un atteggiamento post-tipologico della città”1. L’open space come “non luogo, non spazio, trova la sua definizione nei margini, lungo il bordo dove si infrange la sua identità e con la quale scambia valori con l’esterno…in una fissità monofunzionale dei tessuti edilizi”2. Il tendenziale superamento tipologico, a cui stiamo assistendo in questi ultimi anni, può essere visto come agonia del tipo, posto a principio dell’architettura, o come nascita di nuovi tipi, anche attraverso ibridazioni. Dopotutto, la produzione del tipo si verifica allor quando l’ibridazione si consolida, a forza di ripetizioni ed in condizioni contestuali diverse. La fluidità (liquidità) della civiltà che stiamo costruendo spinge a pensare forme spaziali in grado di interpretarla: la “spugnosità”, vista come una equivalenza tra pieni e vuoti costruiti, priva di forma compiuta quindi, di una dimensione definita, è la suggestione che più si avvicina a tale percezione. Si può arrivare così a concepire forme architettoniche definibili come “spugnose”, dove il rapporto tra pieni e vuoti, tra strutture e partizioni, sono talmente indissolubili che non esiste nient’altro che un’unica materia progettuale. La logica dei frattali (con la quale si costruisce tanta realtà “virtuale”, come in una materia cerebrale, una sostanza grigia insomma) è in grado di assistere queste volontà di aderenza agli scenari presenti. La definizione di una spazialità conclusa entra in crisi a fronte di tanta indefinita fluidità (a volte in cerca solo di un semplice contenitore per una forma solo momentanea), pianta e sezione (solai e pareti senza soluzione di continuità, con tecniche di “folding” come in un origamo) possono allora coincidere ed anche la prospettività può allora esplodere in una sequela di diaframmi. È probabilmente questa visione ciò che più si avvicina alla traduzione dello stato continuamente immersivo in cui ci troviamo a vivere, continuamente sospeso tra realtà e virtualità, vicino e lontano, dentro e fuori… Le soluzioni strutturali che rendono fattibile una costruzione devono essere, a loro volta, delle esperienze progettuali coerenti con i presupposti diagrammatici e spaziali che devono interpretare spazialmente, pertanto devono nascere con l’architettura stessa in maniera indissolubile.

1 2

Thermes L., in L’architettura degli spazi pubblici, Metamorfosi n.29-30; Thermes L., op.cit.;

47


48

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Foro Boario LAB_ARCH 3_17 (Francesca Cantale, Laura Pagnotelli)


la concettualizzazione dell’idea

OZZANO EMILIA (BO), Scuola Media Panzacchi CONCORSO DI IDEE_2018 (ZaniratoStudio, Maicol Marchi e Claudia Pescosolido)

49


50

città nella scuola • claudio zanirato

MATELICA (MC), Scuola Primaria M.Lodi CONCORSO DI IDEE_2019 (ZaniratoStudio, Francesca Marchetti e Leo Piraccini)


la concettualizzazione dell’idea

Un progetto contemporaneo deve porsi su un piano dialettico con tutto ciò che lo ha preceduto: deve quindi sapere agire in maniera critica nei confronti delle tracce del passato che ancora condizionano il presente, sapere valorizzare le persistenze dotate ancora di un significato attuale (anche se travisato rispetto alle origini). Dialogare con il paesaggio comporta la sua comprensione profonda (storica, sociale, economica, culturale) e bisogna avere, di conseguenza, la capacità di manipolare nuovamente una visione che si è costruita in un tempo lungo, di cui noi siamo solo un tassello nel suo lento procedere. Per appartenere ad un paesaggio a pieno diritto bisogna quindi comprenderne la storia ed i segni che ci ha tramandato. Questo non deve significare avere soggezione per quello che ci ha preceduti, bensì riuscire ad essere dialettici e contributivi e fugare l’”ignoranza” dei luoghi. È ovvio e doveroso interpretare i segni del passato ed adeguarli ai ruoli ed ai bisogni odierni: sta in questo continuo lavorio con la storia la capacità di evolversi verso scenari sempre nuovi di accrescimento. La continuità con la storia sta nel suo continuo cambiamento e non certo nella sua ripetizione, ammesso sia possibile e concesso. A volte, una concettualizzazione dei segni che marcano un contesto può consistere nella trasposizione di questi, ossia nella capacità di saperli e volerli spostare in altre visioni e continuare così un dialogo a distanza (la distanza del tempo, altre tecnologie, usi inediti). Pensare l’architettura alla stregua di una topografia è un esempio di questa forma di pensiero diagrammatico di lettura del contesto ambientale. L’attrazione e le suggestioni che la natura esercita sulla progettualità architettonica può portare a cercare di simulare alcuni suoi processi costitutivi, esercitandoli nella spazialità della costruzione: non una mimesi (rimangono pur sempre ambiti diversi) ma una metafora. Gli usi e gli scopi che promuovono un intervento architettonico, anche se non simbolici, ne condizionano l’impostazione progettuale e la sua traduzione costruttiva: riuscire a trasmettere istintivamente l’utilità, ossia il suo contenuto, è uno dei compiti che si deve assumere. Dare immediata percezione del ruolo di un’architettura significa riuscire a concettualizzare una forma di trasmissione mediatica cui dare corporeità. È questo uno dei risultati più elevati che si può raggiungere con la disciplina. L’architettura non ha oggi più il ruolo primario nella società, sembra avere esaurito il suo ruolo secolare e continua ad esistere soprattutto come esigenza, acquisendo un ruolo ipertestuale: non è più autenticamente se stessa ma solo la sua rappresentazione, sta diventando fenomenologia cercando di entrare in sintonia con l’universo mediatico, dell’informazione senza comunicazione. Per questo, il progetto dovrebbe caricarsi di ruolo oscuro nel messaggio ed obbligare ad uno sforzo interpretativo, e guardare all’arte, ancora priva di statuti,

51


52

città nella scuola • claudio zanirato

Fig.2.9_PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)


la concettualizzazione dell’idea

per spostare in avanti i propri limiti funzionali, immergendo l’architettura nella dimensione estetica, come massima forma politica. Le influenze dell’astrazione espressiva, del ready made, delle varie forme d’arte nel complesso, pongono il linguaggio dell’architettura contemporanea di fronte a scelta ed influenze che ne modificano profondamente la disciplina. L’architetto oggi deve saper guardare di continuo ad altri “mondi” come inesauribile fonte d’ispirazione, dall’infinitamente piccolo allo spazio cosmico, in continui passaggi di scala e di scenari interpretativi che altro non sono che il riflesso della continua dinamicità dei nostri tempi. L’ideazione di una scuola, di un plesso scolastico articolato, è forse una delle forme più elevate con la quale l’architettura è in grado di riflettere il senso civico di una comunità. Il tema si presta pertanto ad una sua evidente concetualizzazione, derivante dal bisogno di tradurre il senso di un intero insediamento in un manufatto: la “città nella scuola”. Il ruolo nella formazione delle persone, la crescita implicita nell’acculturamento, il valore della socialità assieme a quello dell’individualità, sono tra i principali valori della scuola come istituzione da tradurre in un’idea di progetto.

53


54

città nella scuola • claudio zanirato


la concettualizzazione dell’idea

55

Inserimento ambientale



inserimento ambientale

PISA, Liceo F.Buonarroti LAB_ARCH 3_2016 (Chiara Mattoni, Maddalena Nanni)

Il masterplan è una forma metaprogettuale con la quale si enunciano le strategie di quello che diventerà il progetto vero e proprio: la disposizione degli edifici e la qualificazione delle are libere (non esattamente la forma di questi), i sistemi di relazione tra le parti, interne ed esterne, all’intervento, i livelli di accessibilità, il governo delle visuali, lo sfruttamento dei fattori naturali/climatici, le soluzioni di criticità, l’organizzazione delle funzioni principali… Si fissano, in pratica, le costanti e le invariabili della progettazione, la sua strutturazione basilare, trascurando gli aspetti formali e linguistici, che ne diventeranno delle semplici sovrastrutture secondarie. Il masterplan dà giustificazione agli studi analitici svolti ed attuazione ai concept diagrammatici progettuali immaginati: sta in tutto questo la sua propositività e capacità comunicativa. Si esprimerà, pertanto, attraverso lo stesso piano comunicativo già utilizzato in precedenza (lessico, metalinguaggio), in assoluta analogia e continuità discorsiva, pena l’incomprensione totale o parziale: non deve essere afferrato come l’imposizione di una volontà, bensì come la conseguenza di una linearità diagrammatica pre-annunciata e già illustrata. Gli elaborati che concretizzano il masterplan possono essere molteplici e dipendono inevitabilmente dal lavoro preparatorio che lo ha preceduto: possono essere schemi planimetrici, modelli planivolumetrici, sezioni altimetriche tipo, parole chiave, slogan e loghi… in perfetta simbiosi di lettura. A seconda della dimensione e della complessità, un masterplan abbisogna di più scene per essere descritto nelle sue componenti ideative, costruendo il racconto di una “sceneggiatura” per parti, dove ad ogni specifica strategia corrispondono delle azioni fattive e potenziali interventi. L’accessibilità all’area o edificio d’intervento è essenziale per la sua funzionalità complessiva: occorre pertanto conoscere le modalità con le quali è possibile raggiungere quel luogo, da che direzione, con quali mezzi (vettori, pubblici e privati), quindi proporre eventuali correttivi alle reti viabilistiche e trasportistiche (ammesso ci sia concesso). Definire tutti i flussi che investono l’area, divisi per tipologia, consente, a sua volta, di definire i punti di accesso


58

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Scuola G.Carducci LAB_ARCH 3_2017 (Giacinto Cicatiello)


inserimento ambientale

CASCIANA TERME (PI), Nuovo Polo Scolastico CONCORSO DI PROGETTAZIONE_ 2015 (ZaniratoStudio)

59


60

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Rebecca Garofalo, Bianca Clarice Sauri)


inserimento ambientale

(differenziati) all’area, le possibilità/modalità di movimento al suo interno (e di eventuale fermata/sosta) ed, infine, di accessibilità agli spazi/edifici proposti. Con questa disamina minuziosa, si sarà di conseguenza in grado di evitare le interferenze tra i vari flussi tra loro incompatibili (spesso è così), evitando frizioni funzionali, se non addirittura pericolosità. Sia per l’area di pertinenza che per gli edifici stessi, i livelli di accessibilità possono essere anche molto articolati, a seconda delle dimensioni e complessità d’uso: una loro chiara individuazione e collocazione è d’obbligo, così come dare evidenza ad alcuni e celarne altri, rispetto ai ruoli detenuti (principali, secondari/accessori, di servizio). Le funzionalità specifiche possono avere bisogno di percorsi/parcheggi/accessi per disabili, di differenziare i percorsi del pulito e dello sporco, individuare percorrenze e varchi per gli addetti o per chi svolge servizi di supporto (manutenzioni, tecnici, pasti e forniture/consegne), circuiti di soccorso (sicurezza, sanità, incendi) e tanti altri suggeriti dalle attività affrontate. Alcuni di questi si possono accorpare, altri è bene distinguerli, altri ancora vanno contrapposti… ciascuno esprimerà dei propri bisogni di visibilità o di riservatezza, dimensionali e gestionali, di essere esterni o protetti… d’affrontare con il progetto. È utile, in queste simulazioni, immedesimarsi di volta in volta con i possibili fruitori/avventori dello spazio in progettazione, abituali, saltuari o occasionali, ciascuno sarà mosso da curiosità e da bisogni propri da assecondare e/o arginare. Calandosi nella realtà istintiva di altri, si può cercare di mettere alla prova la funzionalità pluri-articolata del meccanismo che si sta predisponendo, che dovrà funzionare a partire sia dal dettaglio isolato sia dall’insieme di questi, in simultanea. Si capisce, in questo modo, dove posizionare i varchi e gli ingressi, i punti di sosta e d’informazione, i collegamenti verticali, gli sbarramenti, le vedute scenografiche ed i mascheramenti, simulando il dinamismo dei comportamenti altrui. Si è spesso portati a valutare il rapporto tra l’oggetto architettonico ed il suo contesto d’inserimento considerando solo i punti di vista esterni, cercando di controllare il risultato del suo “inserimento” in uno spazio, naturale o costruito dato, dimenticandoci che è pure importante il risvolto dell’architettura degli interni, quand’è il paesaggio circostante (le visuali, cosa sono costretto a vedere abitando, come riesco a catturare uno scorcio vedutistico e portarlo dentro un edificio, come precisa volontà compositiva) ad entrare in rapporto diretto con la spazialità interiore dell’architettura. Esiste pertanto un stretta reciprocità tra le due spazialità dell’architettura che contribuiscono entrambe alla sua qualificazione finale. L’organizzazione spaziale fin dalle sue premesse non deve scordarsi della qualità complessiva cui contribuire in ogni scelta dispositiva, a partire dal masterplan iniziale quindi. La previsione di nuove funzioni, da concretizzare in un progetto di architettura, deve sapere gestire il fattore temporale che ne muta le condizioni d’uso continuamente: tra il giorno e la

61


62

città nella scuola • claudio zanirato

PRATOVECCHIO STIA (AR)_Nuova Scuola Materna CONCORSO DI PROGETTAZIONE_2017 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


inserimento ambientale

LUCCA_Scuola a San Concordio LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Coppini, Leonardo Belluomini)

63


64

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG)_Foro Boario TESI DI LAUREA_2018 (Daniele Genua)


inserimento ambientale

notte, i giorni lavorativi e quelli festivi, l’estate e l’inverno, nel sole e nella pioggia, mischiandosi tra di loro. Il masterplan è perciò soprattutto la sommatoria di più scenari d’uso, l’intersezione di molteplici layout funzionali, da qui la capacità del progetto di essere duttile ai tempi frenetici della vita che lo attende. Gestire il fattore temporale significa anche prevedere fasi costruttive ed evolutive dell’impianto che si sta progettando, le sue possibili evoluzioni, suoi accrescimenti o riduzioni, per rispondere ad esigenze che saranno per forza mutevoli nel tempo, specie nell’instabilità che contraddistingue la nostra epoca. Il masterplan ha anche il compito di gestire le fasi temporali di attuazione delle varie progettazioni che lo compongono: anche se si prevede un solo momento realizzativo, si dovrà valutare quali interferenze si potrebbero verificare con parti preesistenti e da trasformare al suo interno, oppure con parti contermini non coinvolte, a maggior ragione, se le fasi sono più di una, le problematiche si accrescono e si dovranno gestire anche i momenti transitori. Nel cronoprogramma di sviluppo di progetti complessi si dovrà anche considerare il senso compiuto di ogni fase, a prescindere dal proseguio o meno, per evitare perdite di valore “accidentali”. Un singolo edificio si presta, in questa sede, ad essere sintetizzato come un frammento urbano, condensato su più livelli ed una schematica tridimensionalità con l’evidenza dei collegamenti verticali. Il disegno degli spazi aperti, a sua volta, dovrà acquisire una sua specifica tridimensionalità, con “un sotto ed un sopra” la linea di terra, tramite azioni progettuali intenzionali e legarsi strettamente con le edificazioni. Lo spazio libero da costruzioni non dev’essere considerato semplicemente come il supporto di queste, la base di appoggio o il podio/sfondo delle architetture, bensì l’estensione della stessa concezione spaziale, lo stesso riverbero. Un progetto di architettura dovrebbe essere visto sempre come la costruzione di un paesaggio ravvicinato, da mettere in confronto con un paesaggio dilatato ed in questo confronto modificare/arricchire entrambi, evolvendoli. Non solo il “pieno” è oggetto di progettazione, che a sua volta è fatto di vuoti che ospitano altri pieni (arredi), ma parimenti anche il vuoto che l’attornia, anzi soprattutto il vuoto può esaltare ed enfatizzare i pieni, che altrimenti non esisterebbero. È ancora importante, oggi, il ruolo degli spazi pubblici d’incontro, come le piazze, dove la comunità o parti di questa desidera incontrarsi ed identificarsi in momenti organizzati, oppure i giardini, per il ruolo crescente che la richiesta di verde sta avendo: questi sono tutt’altro che dei “vuoti”, magari solo spazialmente. Nella gestione tra i pieni ed i vuoti, lo spazio costruito e quello libero, è importante determinare la giacitura delle parti costruite per assecondare le condizioni ambientali: favorire le

65


66

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG)_Scuola G.Carducci LAB_ARCH 3_2017 (Davide Mele)


inserimento ambientale

vedute migliori ed il soleggiamento, i rapporti con le emergenze naturali e funzionali dell’intorno, ripararsi dai venti freddi invernali e catturare quelli freschi estivi, isolarsi dai rumori fastidiosi… La volontà di disporre dei pieni e delle pareti opache può essere quindi suggerita dal bisogno di separarsi da qualcosa di endogeno (divenendo schermi, barriere, dighe) come pure la creazione di permeabilità, con varchi e trasparenze, dovrebbe essere suggerita dal desiderio di farsi attraversare (dai flussi di persone, aria e luce, vedute). Le forme architettoniche si spaccano e si ricompongono anche in virtù di queste considerazioni “ambientali” del luogo. Solo se si è stati in grado di afferrare il senso attuale di un luogo e di ciò che è richiesto per la sua trasformazione (inserimento, sostituzione) sarà allora possibile tramutare l’idea progettuale in uno spazio connettivo (tra momenti e funzioni diversi, tra interno ed esterno, pubblico e privato). Nascono così le “direttrici” del progetto, assialità e linearità che struttureranno la “messa in scena” delle idee costruttive, ne governeranno il sistema percettivo e funzionale (percorrenze), individuando con questi i focus (emergenze), i punti notevoli d’attenzione e di convergenza, di maggiore densità. Le scuole di nuova concezione devono essere considerate come dei civic centre, quindi luoghi centrali per la comunità, il paese o il quartiere che sia, favorendo l’uso più esteso possibile delle loro dotazioni (atrii, laboratori, biblioteche, palestre, auditorium, mense… ed anche aule), dilatandone quindi i tempi d’uso (nella giornata, nella settimana, nell’annualità) e ravvicinandole con questo molto agli insediamenti da cui si erano allontanate (chiuse in recinti, fisici e mentali). Pertanto, non può più essere vista la scuola come un oggetto isolato in un recinto, persino ai margini dell’abitato in espansione, bensì un edificio proteso verso gli abitanti, con un punto di contatto più immediato ed “urbano”. Le scuole, di ogni ordine e grado, hanno sempre rappresentato sul territorio, al pari dei municipi, caserme ed ospedali, una presenza ben visibile e simbolica dello Stato, quindi con una scelta localizzativa ed una progettazione architettonica adeguata. La scuola di oggi e di domani deve individuare nel territorio, nelle imprese e nell’associazionismo, i suoi punti di riferimento preminenti, di confronto continuo con la sua attualità. Una scuola che si fa contaminare, quindi, che s’immerge in un sapere diffuso e non più chiuso, che vuole appartenere alla realtà del suo tempo e radicarsi nei luoghi. È importante perciò far si che la “nuova scuola” sia pensata come un grande laboratorio permanente, una sorta di “piazza della comunità”, uno spaccato della società, quindi, dove poter accedere alle opportunità che il territorio può offrire e dove costruire la propria coscienza civica e sociale. La nuova scuola dovrà delinearsi pertanto come il luogo della socialità diffusa ed inclusiva, del confronto e della collaborazione con gli altri, “aperta”. È necessario

67


68

città nella scuola • claudio zanirato

POGGIBONSI (SI)_Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Arianna Fusi)


inserimento ambientale

Fig.3.10_SAN MINIATO (PI)_Polo dei Licei del Valdarno TESI DI LAUREA_2017 (Valentina Longo)

69


70

città nella scuola • claudio zanirato

FOLLONICA (GR)_Scuole Parco Central CONCORSO DI IDEE_2015 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


inserimento ambientale

71


72

città nella scuola • claudio zanirato

aiutare i ragazzi a ritrovare fiducia nelle istituzioni, nelle possibilità di crescita offerte dalla propria realtà culturale, a crescere sviluppando un profondo senso civico e identitario. In questo modo, la nuova scuola potrà costituire un vero punto di riferimento per il paese o parte di città, essere fisicamente e concettualmente la piazza della comunità. Non sempre le aree destinate alle nuove edificazioni scolastiche sono le migliori possibili, più spesso sono solo di risulta e problematiche. È soprattutto l’accessibilità differenziata, a piedi ed i bicicletta (come già previsto nel DL del lontano 1975) a latitare, per cui bisognerà tessere ed ammagliare un’idonea rete di collegamenti “dolci”, con gli ambiti insediativi di riferimento degli alunni. Anche quando si tratta di riedificazioni, in aree più centrali quindi, tali carenze spesso permangono. Gli eventuali parcheggi di autoveicoli dovranno essere posti in maniera periferica, possibilmente limitati nel numero (aree auto-free), anche in funzione educativa, prevedendo un ultimo tratto di approccio alla scuola solo pedonale (fatte salve le dovute opportunità per chi è impossibilitato) e fortemente ambientale (immerso nel verde possibilmente). Un’attenzione particolare dev’essere infine riservata ai mezzi di trasporto collettivi (scuolabus), con le soste per il carico e scarico messe in evidenza ed in sicurezza (lontane dai parcheggi dei veicoli e dalla viabilità pubblica). La riscoperta/rivalutazione del outdoor education comporta la valorizzazione dello spazio naturale come ambiente privilegiato di apprendimento: il giardino/cortile della scuola attrae pertanto molte attenzioni sulla sua conformazione e modalità d’uso. Non solo orti quindi, ma anche presenza di animali per incrementare in tutti i modi la biodiversità, spazi attrezzati per svolgere attività all’aperto (lezioni, osservazioni, attività sportiva, mangiare). Dev’essere questo anche un punto di partenza per andare oltre, essendo quasi sempre di modeste dimensioni (2/3 dell’area complessiva degli edifici), quindi per esplorare lo spazio attorno alla scuola e spingersi anche fuori dal contesto edificato, nei parchi, nella campagna e nei boschi, lungo i corsi d’acqua. È per questo utile poter tracciare dei percorsi “sicuri” che si diramano dal plesso scolastico verso i punti notevoli che il territorio propone. In questa concezione, tutto il territorio diventa spazio educativo, e la scuola diventa pertanto solo un punto notevole di questo, solo un luogo di maggiore concentrazione di attività, diventando da punto di partenza un punto di arrivo. Ciò chiama in causa la cura diffusa della città e del territorio, ben oltre quindi quello strettamente scolastico: centri storici soffocati, periferie trascurate, campagne urbanizzate, spazi naturali abbandonati, devono fare riflettere anche su tali risvolti “educativi” o meno.


inserimento ambientale

Centrale nella composizione architettonica dovrà essere l’elemento “Natura”, inteso come verde naturale, verde architettonico, paesaggio e panorama; si dovrà assicurare una proiezione, almeno visiva, degli spazi interni verso l’esterno, la concezione degli spazi esterni nella struttura funzionale, che ne faccia luoghi non-residuali, che riconduca l’utente alla percezione di vivere un luogo, non solo di stare in un ambiente. Il verde dovrà essere un elemento costante e “abitabile”, dovrà collaborare alla creazione delle emozioni. L’edificio dovrà ottimizzare il suo rapporto con il suolo ed essere progettato in modo da minimizzare la sua impronta, valorizzando quanto di naturale già esiste (alberature, orografie). Anche il perimetro dell’edificio può offrire occasioni per rendere interessante il rapporto tra spazi interni, climatizzati, e l’esterno: portici, logge, giardini di inverno, gazebi, pergolati, tettoie, sporti… creano spazi utilizzabili nella mezza stagione, luoghi protetti, ma all’aperto, una occasione per sfruttare meglio l’area esterna e gli elementi naturali (oltre che proteggere l’edificio e schermarlo dove occorre). Nelle aree interne occupate in modo continuativo, dovrà essere garantito il contatto diretto degli occupanti dell’edificio con l’ambiente esterno, attraverso l’illuminazione naturale degli spazi e una adeguata percezione visiva dell’esterno, da “interiorizzare”. Il rapporto con lo spazio esterno, anche solo visivo, deve essere pertanto valorizzato al massimo; è necessario prevedere spazi di mediazione tra l’interno e l’esterno, a partire dall’ingresso che riveste il carattere simbolico di incontro tra la scuola e la società (la città). L’individuazione dell’ingresso principale all’edificio scolastico è da intendersi come lo spazio dedicato al “welcoming”: è il cuore del progetto e va gestito in funzione delle tante diverse attività che vi si potranno svolgere. È utile identificare lo spazio di consegna e attesa dei genitori, esterno ma coperto e riparato dagli agenti atmosferici: dovrebbe diventare la piazza della scuola, un luogo di uso continuativo ed urbano in senso stretto. Perciò si dovranno delocalizzare gli altri eventuali ingressi alla scuola, quelli di servizio di vario tipo (palestra, mensa, locali tecnici, amministrazione), per non interferire con la scenografia simbolica dell’insieme.

73


74

città nella scuola • claudio zanirato


inserimento ambientale

75

Lo spazio funzionale


76

città nella scuola • claudio zanirato


lo spazio funzionale

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Fabio Coppola)

L’organizzazione funzionale degli spazi interni deve dare un’interpretazione efficace ed efficiente del programma assegnato per gli usi richiesti. Con modalità razionalistiche (accorpamenti, in maniera netta e rigida, in macro-aree) o organicistiche (commistione delle destinazioni d’uso in fluidità e senza soluzione di continuità), si tratta comunque di costruire in maniera sapiente un “paesaggio interno”, con una sua definita praticabilità, con profondità variabili… una o più scenografie in successione insomma. Gli approcci progettuali non sono dissimili dall’organizzazione degli spazi esterni aperti: in entrambi i casi, ci troviamo immersi totalmente in questi, ci muoviamo al loro interno “abitandoli”, ne dobbiamo governare l’accessibilità, in funzione delle dinamiche prospettate. Anche nell’interiorizzazione dello spazio costruito emergono bisogni cui conferire valori simbolici e percettivi, da individuare e gestire di conseguenza a priori. La concezione degli spazi interni non deve rimanere assolutamente confinata in una perimetrazione chiusa, è impossibile estraniarsi del tutto dallo spazio esterno a cui si appartiene (anche la sua negazione diventa tangibile). Nell’organizzazione delle funzioni, abbisogna pertanto definire quale/ quali rapporti si intendono avere con l’esteriorità, sia in termini dimensionali che qualitativi, quale permeabilità intrattenere e come (quadro delle relazioni), che figuratività ottenere (è possibile portare all’interno le visuali del paesaggio esterno, come pure il contrario). La disciplina dei “caratteri distributivi” può assistere la progettazione nell’impostare correttamente l’organizzazione dell’insieme, ma non può sottrarre il progettista dai suoi doveri interpretativi, spingendolo alla ricerca di ibridazioni tra le parti, integrazioni o fluidificazioni (dalla misurata partitura all’open space). L’adesione alla “tipologia” presenta oggi non poche problematiche di attualizzazione, per rimanere aderenti alla realtà operante. Non ultimo, anche nel definire gli usi interni nelle architetture non si deve dimenticare che stiamo plasmando lo spazio “compresso”: la plasticità di questo ne fa pur sempre un tutt’uno unico, per cui operiamo in più dimensioni e questa è la funzionalità principale da tenere ben presente progettualmente.


78

città nella scuola • claudio zanirato

LUCCA, Scuola a San Concordio LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Coppini, Leonardo Belluomini)


lo spazio funzionale

LUCCA, Scuola a San Concordio LAB_ARCH 3_2016 (Agnese Coppini, Leonardo Belluomini)

79


80

città nella scuola • claudio zanirato

FOLLONICA (GR), Scuole Parco Centrale LAB_ARCH 3_2015 (Lorenzo Paoli)


lo spazio funzionale

Ogni spazio concluso è anche contenitore di regole e modi di vita, limita il vivere in regole e tempi precisi, prima ancora che figurare i luoghi. Lo spazio come “terzo insegnante”, metafora efficace di Loris Malaguzzi1, chiarisce bene il ruolo strategico che l’ambiente può ricoprire nel sistema-scuola e quindi la sua architettura. Lo spazio diventa “testo” quando si interviene o si trasforma, generando unità culturali che sono portatrici di significati: lo “spazio educante” è “il prodotto di codici prossemici che chi costruisce tali porzioni di spazio possiede, spesso anche inconsapevolmente”2. Gli individui costruiscono la propria identità in rapporto dialettico con il mondo che li circonda, genitori, famiglia, amici, ambiente, si costituiscono come ingredienti fondamentali nello sviluppo della rappresentazione di sé. Il contesto, in questo senso, non rappresenta un mero contenitore di dinamiche relazionali, ma si costituisce un agente attivo di tale processo, favorendone o ostacolandone lo sviluppo. Lo spazio dunque nella sua dimensione, fisica estetica e funzionale, rappresenta un’importante opportunità nel favorire lo sviluppo di dinamiche che siano di sostegno alla crescita, acquisendo, in questa specifica attività, anche funzione pedagogica e formativa. In tal senso, la costruzione dello spazio, la sua ideazione e il suo disegno, si devono plasmare al fine di massimizzare tali potenzialità. La scuola innovativa significa, in sostanza, flessibilità al cambiamento, attitudine al lavoro in gruppo e al problem solving, apprendimento cooperativo, spirito di adattamento, empatia e capacità comunicativa, propositività, creatività, autonomia… insomma, tutti termini difficilmente inquadrabili in uno spazio ancora rigidamente concepito ed immobile a se stesso, in edifici omologanti e organizzati per classi e con il tempo scandito dall’orario scolastico, dove lo studente non è di certo al centro di una visione. La scuola, in pratica, non può essere più concepita come riflesso di una società industriale, fortemente ripartita nei ruoli, perchè questa ci sta abbandonando in maniera inequivocabile verso una società “fluida” e mutevole3. Il progetto, perciò, deve partire da alcune sfide che sostanziano il supporto alla crescita dei ragazzi, con una attenzione alla loro dimensione intrapsichica e, al contempo, come soggetti inseriti in una fitta rete di relazioni: con i pari, con gli adulti, con la comunità e i suoi cambiamenti. Nel passaggio dall’infanzia all’età adulta i ragazzi si trovano ad affrontare alcuni compiti evolutivi specifici volti alla costruzione della propria identità4. In questa fase i ragazzi sviluppada cui la teorizzazione della scuola “atelier”, con le esperienze di Reggio Children Gennari M., INDIRE 2012, p. 41 3 Indire, 2012 4 Nella fase preadolescente, in particolare, l’individuo si trova in un momento cruciale della costruzione della propria identità. Spazio di crescita a metà tra l’infanzia e l’età adulta, questa fase rappresenta una prima palestra di alcune delle dimensioni centrali nella costituzione del sé prima fra tutte la dimensione relazionale. Il rapporto con 1 2

81


82

città nella scuola • claudio zanirato

FOLLONICA (GR), Scuole Parco Centrale CONCORSO DI IDEE_2015 (ZaniratoStudio)


lo spazio funzionale

no le proprie competenze relazionali, è importante dunque che abbiano la possibilità di sperimentare crescita e apprendimento in contesti che favoriscano modalità relazionali differenti: duali, in piccolo gruppo e in grande gruppo5. La necessità di tale eterogeneità di spazi relazionali necessita di un contesto che possa adattarsi in modo plastico, aprendo a differenti opportunità relazionali (lo spazio visto come palestra di relazioni). Il progetto, in questo senso, deve prevedere la presenza di arredi modulari, che accompagnino le figure educative nell’offrire ai ragazzi le molteplici opportunità di cui hanno bisogno in questa fase. Al contempo, è importante prevedere spazi flessibili che favoriscano momenti di scambio con gruppi altri6. Tali processi rappresentano una interessante opportunità per costruire collegialmente un ambiente accogliente ed inclusivo, contrastando fenomeni di prevaricazione e di bullismo7. Un altro compito centrale in questo passaggio è il progressivo sviluppo dell’autonomia8. Lo spazio ideale, per favorire tale processo, è rappresentato da uno spazio che sappia comunicare, in questo senso il progetto deve favorire la realizzazione di spazi dedicati, che comunichino chiaramente la loro vocazione nella struttura e negli arredi (all’ingresso, per esempio, il desk di accoglienza dev’essere uno spazio aperto che favorisca l’ascolto e supporti l’orientamento). Il gioco di trasparenze favorisce una visione aperta e gli spazi agorà ospitano l’incontro e il confronto: dev’essere presente, in pratica, uno spazio educativo diffuso, in cui le attività e l’apprendimento non sono confinati alle classi, ma estesi a tutti gli spazi, interni ed esterni. In accordo con le proprie conquiste, i ragazzi dovrebbero essere stimolati nell’“arredare” i propri spazi di apprendimento, anche in dimensioni autonome, utilizzando in modo plastico e funzionale le molteplici opportunità offerte dalla struttura e dagli arredi. Gli spazi esterni e le agorà devono essere pertanto allestiti in modo da poter ospitare attività individuali e di

i pari e con gli adulti di riferimento è lo spazio in cui si struttura l’esperienza di sé nel mondo, la rappresentazione della propria efficacia, della propria immagine fisica e psicologica. 5 Tali esperienze partecipano alla costruzione di strategie che supportano la percezione di auto-efficacia nel rapporto tra sé e il mondo. 6 Il confronto con gruppi di classi differenti favorisce nuove articolazioni relazionali, il rapporto con gruppi di età eterogenee può favorire un processo partecipato in cui i ragazzi, investiti nel ruolo di mentore, favoriscano l’accoglienza dei nuovi arrivati. 7 Al contempo, il prendersi cura favorisce una responsabilità e una autonomia esperenziale e dunque dotata di un senso e un significato comprensibili ai ragazzi. 8 La separazione dai genitori e dalla dipendenza da essi si costituisce come un passaggio necessario nella costruzione della propria autonomia e indipendenza. È importante che questa fase sia accompagnata e sostenuta affinché il processo sia naturale e sorretto da una adeguata percezione di sé come individuo capace. Siamo ancora in una fase precoce in cui i ragazzi appaiono eterogenei nello sviluppo di tale componente (emotiva, cognitiva, fisica, relazionale) e si sviluppa con velocità differenti.

83


84

città nella scuola • claudio zanirato

SPOLETO (PG), Scuola D.Aleghieri LAB_ARCH 3_2017 (Andrea Paoli, Lorenzo Taurone)


lo spazio funzionale

gruppo, favorendo rapporti con gli adulti, di intensità mutevole, e sostenendo in tal senso lo sviluppo delle autonomie. Il processo di crescita non è un processo lineare. Favorire l’autonomia significa anche permettere che ci siano dei momenti e degli spazi di regressione. I ragazzi devono avere la certezza di potersi ritrarre e tornare per qualche momento indietro, fino all’infanzia, senza percepire che questo rappresenti una sconfitta9. È importante, dunque, che in questa fase ci siano nel contesto spazi più intimi che permettano un raccoglimento10. Spazi e arredi di questo tipo favoriscono la realizzazione di questa esperienza, quando i ragazzi ne sentano il bisogno, ma anche comunicano ai ragazzi che tale dimensione di raccoglimento è naturale e legittima11. Una delle dimensioni in cui il contesto ambientale ha un ruolo centrale, soprattutto oggi, nell’epoca dei social media, è la differenziazione tra spazi pubblici e spazi privati. La differenziazione degli spazi in luoghi ad intimità variabile permette ai ragazzi di esportare metaforicamente questa classificazione anche ad altri contesti, favorendo spazi di confronto adeguati alla loro crescita (anche sessuale). Ne deriva che si dovrebbe perseguire l’obiettivo di concretizzare un nuovo edificio scolastico come luogo della socialità, dove la persona può manifestare le sue attitudini, ricercarne nuove e trovare il proprio percorso di vita, nel confronto e nella collaborazione con gli altri. Lo sviluppo progettuale deve perciò mirare a favorire un contesto capace di supportare i ragazzi in un mondo in cambiamento12. A tal fine, la struttura dev’essere caratterizzata da un’ampia flessibilità, con spazi che si modificano (per dimensione e composizione) e con la presenza di laboratori esperienziali, deve sostenere le figure educative nella adozione di metodologie didattiche innovative e adeguate alla sperimentazione di modalità variabili di lavoro. Gli arredi devono favorire il passaggio da momenti di didattica frontale a momenti di cooperative learning, attività creative e laboratoriali, con l’adozione del digitale come canale e 9 L’apertura di questa possibilità permette ai ragazzi di avventurarsi nella crescita con fiducia e sicurezza, favorendo un corso naturale e positivo. 10 Nel suo percorso di apprendimento scolastico lo studente ha bisogno di uno spazio individuale e di momenti per lo studio, la lettura, in cui organizzare i propri contenuti e pianificare le proprie attività. Questo spazio sarà un ambiente che risponde alle esigenze del singolo, separato dall’aula e dai contesti di incontro sociale e garantirà l’accesso a informazioni e contenuti, la possibilità di utilizzare strumenti tecnologici e connettersi alla rete. Nello spazio individuale lo studente dovrà poter lavorare in autonomia e in sintonia con i propri tempi e ritmi al di fuori delle attività didattiche supportate dal docente. 11 I cambiamenti fisici che caratterizzano la crescita si accompagnano a cambiamenti emotivi, psicologici e relazionali in cui i ragazzi sono travolti e spesso si trovano disorientati. 12 La percentuale di lavori che nel futuro spariranno è in costante aumento e dal 2000 l’Unione Europea invita la scuola e la comunità ad una didattica che sia sempre più capace di preparare i ragazzi al cambiamento. Tale consapevolezza rappresenta la grande sfida della didattica innovativa che, attraversata da differenti metodologie, ha come comune denominatore l’attenzione alle soft skills o competenze trasversali (scuola adattativa). Le soft skills rappresentano quel nucleo di competenze che si costituiscono a fondamento di qualsiasi apprendimento e che favoriscono le competenze ad acquisire nuovi apprendimenti in un contesto in rapido cambiamento.

85


86

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Foro Boario LAB_ARCH 3_2017 (Francesca Cantale)


lo spazio funzionale

spazio didattico13, ma anche momenti di scambio tra ragazzi di età e classi differenti, moltiplicando le possibilità educative e favorendo una didattica interdisciplinare e intergenerazionale. L’attenzione all’esperienza, al lerning by doing, in una scuola proiettata nel futuro, non può che prevedere la presenza di laboratori dedicati che siano spazi attrezzati, per lo sviluppo di un sapere che passa dal fare e che ospiti dispositivi di apprendimento adeguati al momento attuale14. In tale processo, accanto a spazi dedicati, la scuola stessa si fa laboratorio diffuso di esperienza. Gli spazi, in questo senso, diventano tutti luoghi di apprendimento. A titolo di esempio, la stessa mensa può essere pensata per divenire laboratorio di educazione alimentare, spazio per favorire una cultura del benessere e della salute15. Tali spazi possono inoltre essere pensati come strumenti per percorsi di sviluppo dell’imprenditorialità e dell’imprenditività, accompagnando i ragazzi a partecipare allo sviluppo di soluzioni aperte al territorio, che affianchino il concetto di scuola azienda di una dimensione ecologica, sostenibile e comunitaria16. La scuola dev’essere perciò immaginata come una struttura ecologica e sostenibile, in cui la modernità e l’innovazione passano attraverso un rapporto armonico con la natura e con la comunità. In questo senso, la struttura dev’essere in continuità con gli spazi esterni, che sono anch’essi spazi di didattica e di apprendimento (scuola aperta)17. L’outdoor education vede infatti sempre più nascere esperienze e sperimentazioni di successo per i ragazzi più grandi, favorendo un rapporto attivo con il proprio contesto, moltiplicando sperimentazioni efficaci di didattica innovativa e offrendo contesti inediti di sviluppo della salute e del benessere. La scuola all’aperto è disegnata perciò all’interno di uno spazio in continuità con la comunità all’allargata, in cui vengano favoriti scambi e dialogo nelle due direzioni. Gli spazi sono pensati per offrire opportunità e risposte a tutta la cittadinanza18 e, al 13 Il digitale rappresenta sempre più un elemento centrale nella esistenza. Da strumento di comunicazione oggi si costituisce come ingrediente fondamentale nello sviluppo della cittadinanza. Se dunque è importante che questa competenza rappresenti uno degli apprendimenti trasversali delle nuove generazioni, la costruzione di una scuola adeguata al suo pieno sviluppo rappresenta una opportunità per tutto il territorio. Va pertanto immaginata la struttura scolastica come uno spazio adeguato a diventare polo digitale per la cittadinanza, dove i ragazzi non siano solo discenti ma promotori di uno sviluppo. 14 Con vocazioni differenti, tali spazi possono rappresentare per i ragazzi una palestra di esperienze che li veda come protagonisti dello sviluppo della stessa didattica, in un rapporto dialettico tra ricevere e partecipare all’esperienza didattica, vivendo la loro condizione di prosumer in modo consapevole ed intenzionale. 15 tale dispositivo rappresenta sempre più uno strumento diffuso per la creazione di una comunità sana e per il contrasto a comportamenti a rischio legati ai consumi. 16 In accordo con le vocazioni del contesto, tali spazi possono diventare il fulcro di una cooperativa scolastica di nuova generazione, affiancando la cura del proprio contesto ad una didattica aperta al territorio. 17 Se nella scuola dell’infanzia, e in particolare nel modello emiliano romagnolo, tale rapporto è ormai considerato come centrale nella crescita, l’idea sta sempre più prendendo piede per lo sviluppo della didattica negli altri ordini di scuole. 18 a titolo di esempio, un fab-lab che permetta a ragazzi e adulti di tutte le età di sperimentarsi nell’ideazione e realizzazione di progetti attraverso l’utilizzo di dispositivi meccanici e digitali; una palestra regolamentare che potrà

87


88

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti LAB_ARCH 3_2016 (Rebecca Garofalo)


lo spazio funzionale

PERUGIA, Scuola Carducci-Purgotti LAB_ARCH 3_2017 (Matteo Piccolroaz)

89


90

città nella scuola • claudio zanirato

SAN MINIATO (PI), Polo dei Licei del Valdarno TESI DI LAUREA_2017 (Valentina Longo)


lo spazio funzionale

contempo, favorirà la costruzione di un rapporto attivo e progressivo tra i ragazzi e la comunità, ospitando associazioni, iniziative ed attività. La scuola diventa dunque uno spazio aperto e permeabile, favorendo un processo circolare, all’interno del quale venga sostenuta una comunità educante diffusa e, allo stesso tempo, vengano sostenute relazioni dialettiche tra i ragazzi e gli altri attori del territorio. La struttura spaziale è interpretabile anche come una matrice, con alcuni punti di maggiore specializzazione, cioè gli atelier e i laboratori, alcuni di media specializzazione e alta flessibilità, cioè le sezioni/classi e gli spazi tra la sezione e gli ambienti limitrofi (solo a volte annessi alla sezione) e altri generici, cioè gli spazi connettivi, che diventano relazionali e offrono diverse modalità di attività informali individuali, in piccoli o grandi gruppi. Queste necessità hanno alla base un principio di autonomia di movimento per lo studente, che solo uno spazio flessibile e polifunzionale può consentire. La matrice della scuola dev’essere pensata in modo da lasciare sempre una possibilità di variazione dello spazio, a seconda della attività desiderata, così da trasformare la gestione dell’ambiente nella gestione della profondità di campo, del livello di trasparenza, di visibilità o partizione, in un tessuto continuo fatto di piazze, sezioni, angoli di lavoro, piazze, giardini e porticati19. Le aule/sezioni diventano un luogo di appartenenza importante ma non autosufficiente, consentono attività in piccoli e grandi gruppi, ma anche individuali, pareti scorrevoli consentono di coinvolgere spazi interclasse o di allargarsi negli spazi comuni, rendendo i confini della sezione sfumati e flessibili. Non tutto viene svolto nella classe che è parte di un organismo più complesso: la sezione/aula è una home base, una casa madre da cui si parte e a cui si torna, caratterizzata da una grande flessibilità e variabilità d’uso. Questa “diluizione” nel tessuto scolastico avviene in modo diverso e progressivo, in funzione del tipo di scuola e dell’età degli alunni. Le pareti che delimitavano l’aula tradizionale si devono aprire, per configurare modelli scolastici sempre meno definiti spazialmente, per arrivare perfino a concepire integralmente soluzioni open space, dove solo gli arredi delimitano alcune pertinenze, e neppure in modo fisso. In queste scuole, servono spazi fluidi (permeabilità dei flussi), versatili (moltiplicità d’uso), convertibili (adattabili), multiscalari (estensibili, contraibili), modificabili (manipolabili attivamente). Si possono avere scenari in cui le aule sono estremamente dinamiche, ma ancora chiuse e compartimentate, in altri alcune aule provano a fondersi assieme a formare dei cluster ospitare competizioni sportive anche a livello agonistico; il laboratorio di cucina per aprirsi a corsi per cittadini di diverse età e provenienze. 19 Indire, 2012

91


92

città nella scuola • claudio zanirato

BOLOGNA, Scuola Carracci TESI DI LAUREA_18 (Cosimo Beduini)


lo spazio funzionale

(interciclo), fino ad arrivare alla “scuola come comunità educante” in cui prevalgono le zone comuni ed aree condivise. Bisogna scardinare gli spazi rigidamente concepiti e costruiti: la scuola di oggi dev’essere pienamente elastica per adattarsi ai bisogni del momento che sono assai dinamici e vanno assecondati. In questo, la scuola deve possedere una vivacità capace di modificarsi di continuo, per stare sempre al passo con i tempi, come una delle sue qualità principali. Le materie che si insegnano e le attività che si svolgono nella scuola sono sempre meno slegate tra loro e racchiuse in compartimenti stagni, pertanto anche gli spazi conseguenti devono sciogliersi allo stesso modo. È la cultura dominante a non essere più lineare, pertanto la scuola deve preparare tutti a muoversi in un mondo diventato “tridimensionale”, molto più complesso di una volta, sempre da esplorare. L’aula di lezione non dev’essere vista come l’ambiente principale della scuola, ma semplicemente come una sua componente al pari di molte altre, senza alcuna centralità. È evidente che la scuola dev’essere concepita ed usata come un insieme di relazioni, in cui le aule didattiche costituiscono dei punti di riferimento orientativo, ma senza esclusività. Sono la fluidità e la liquidità spaziale le matrici spaziali cui fare riferimento. Se l’aula disciplinare e l’aula a spazi flessibili sono le soluzioni comunemente indicate per la riconfigurazione dell’aula tradizionale, altre soluzioni considerano l’estensione dello spazio per la didattica oltre le dimensioni dell’aula; ciò significa prevedere spazi adiacenti le aule che possono essere utilizzati per attività specifiche, di tutoraggio e di approfondimento e per percorsi individuali. Se tali spazi possono avere caratteristiche diverse tra loro, tutti hanno però un obiettivo comune: integrarsi nell’ambiente aula per favorire la diversificazione delle attività20. A livello di singoli stati, tra le opzioni proposte, si può parlare di «aula plus», di «cluster», di «open space»; è considerata aula plus un’aula addizionale, utilizzabile a turno dagli studenti delle aule adiacenti; la soluzione del cluster accorpa, in uno spazio condiviso, setting e strumenti per lo svolgimento di una serie di attività diversificate; l’open space garantisce la massima flessibilità: è un ambiente aperto, ideale per accogliere gruppi classe, facilmente configurabile a seconda delle esigenze21. Attivando il concetto di “learning by doing”, l’aula si apre verso il suo interno ed il suo esterno, non è più rigidamente orientata e gerarchizzata: imparare facendo significa che il potenziale A titolo esemplificativo, la letteratura ci suggerisce il concetto di paesaggio didattico, concetto traducibile in un’ampia area comune su cui si affacciano le aule (e che, di norma, sostituisce il corridoio, spazio tradizionalmente inteso come “di passaggio”); l’area, grazie a opportuni arredi, può essere organizzata in base a determinate esigenze creando, ad esempio, angoli protetti o spazi di confronto. 21 in Inghilterra, ad esempio, nel piano per l’edilizia era stata inizialmente proposta l’idea di aule box modulari in grado di trasformarsi, grazie alla presenza di pareti scorrevoli, in spazi di dimensioni variabili destinati ai più diversi usi. 20

93


94

città nella scuola • claudio zanirato

BOLOGNA, Scuola Carracci TESI DI LAUREA_18 (Cosimo Beduini)


lo spazio funzionale

d’uso degli spazi e degli arredi scolastici dev’essere esteso al massimo, e nulla di rigidamente imposto deve ostacolare questa “libera” volontà. Perciò, l’ambiente che insegna è la componente fondamentale per il buon funzionamento di ogni scuola, per avere il clima giusto ed ottenere il presupposto sociale per indirizzare al meglio il comportamento degli studenti e determinare così il loro successo formativo. In fondo, è questo il compito istituzionale della scuola, sviluppare e non già impartire. Scardinare la lezione frontale non significa avvalersi massivamente delle nuove tecnologie informatiche e sostituirle da “lezioni” on line, disponibili nel cloud della scuola: questo tipo di fruizione potrebbe essere meglio fruita altrove ed in altri modi, mentre il tempo scolastico dovrebbe invece essere totalmente assorbito nelle attività pratiche e di relazione, dove mettere in pratica la teoria impartita, quindi nei laboratori e negli spazi di dibattito (problem solving). Si dovrebbe, in sostanza, andare a scuola “dopo” avere seguito la lezione (on line) e quindi non si va più in aula o in classe, bensì in uno spazio adatto a mettere in pratica i precetti, a sperimentarli, confrontandosi direttamente con gli altri. In questo, il docente non ha più il ruolo di “conferenziere”, protagonista della lezione frontale, ma diventa quello di “organizzatore” delle attività, sceglie e predispone gli spazi adatti all’argomento del giorno, “conforma” i luoghi della didattica innovativa (setting). Il nuovo docente dev’essere pertanto colui cui compete il compito dell’organizzazione dell’ambiente didattico in funzione della programmazione del giorno, abbisogna pertanto di un ambiente duttile. Il modello Montessori in questo è già molto prossimo, dal momento che al docente è chiesto di aiutare lo studente a fare da solo, ossia lo scopo dell’insegnante non è quello di produrre apprendimento, bensì creare le condizioni migliori di apprendimento. Si può imparare da un esperto come anche dai pari, imparare attraverso l’introspezione oppure semplicemente facendo, ed in tanti altri modi. La scuola deve compiere il suo processo di trasformazione da luogo di insegnamento in luogo dell’apprendimento, quindi, in ambienti e spazi adatti alle nuove funzionalità, non certo statici, ma assai dinamici, adeguati ad affrontare un futuro prossimo che ancora non conosciamo del tutto, ma questa incertezza non deve essere anche impreparazione. L’apprendimento attivo (attività hands-on) abbisogna di simulazioni, sperimentazioni, perfino di giochi (apprendimento tra pari). In ciò, il saper fare ha il sopravvento sulla conoscenza e pertanto lo spazio scolastico deve fornire le condizioni per il fare, porre domande e cercare le risposte, formando così la conoscenza degli individui. C’è bisogno perciò di atelier-laboratori orientati a sviluppare la dimensione espressiva e la fattività. L’aula didattica dei nuovi modelli didattici sfuma dal grande agorà, capace di radunare tutti i componenti della comunità scolastica, all’estremo opposto, degli spazi individuali di

95


96

città nella scuola • claudio zanirato

Accessi – vie di esodo – percorsi – punti di ritrovo – configurazione in caso di evento calamitoso

CASTENASO (BO), Nuovo plesso scolastico CONCORSO DI PROGETTAZIONE_18 (ZaniratoStudio e Claudia Pescosolido)


lo spazio funzionale

raccoglimento personale. In quest’ottica, lo spazio distributivo, tradizionalmente sottovalutato, acquista un ruolo importante, in quanto capace di farsi carico degli aspetti più imprevedibili ed informali dello stare a scuola. Ci sono molte attività, abitualmente associate ad ambienti specifici, che si possono anche immaginare diluite nello spazio distributivo: esposizioni, belvedere, ristorazione, biblioteche, riunioni, incontri… Se si riesce a concepire appieno il potenziale di tale spazialità, allora potrebbe anche diventare la protagonista dell’intero edificio, compreso la sua configurazione esterna, l’immagine integrale della scuola quindi. È possibile ribaltare “in positivo” la visione “in negativo” tradizionale di tale spazio. Gli spazi connettivi sono spazi relazionali, spazi dove lo scambio di informazioni possono avvenire in modo non strutturato, le relazioni diventano informali, gli studenti possono studiare da soli o in piccoli gruppi, approfondire alcuni argomenti con un insegnante, ripassare, rilassarsi. In questi spazi, gli insegnanti possono svolgere attività di recupero o approfondimento, con uno o alcuni studenti, possono lavorare e approfondire alcuni contenuti, utilizzandoli come alternativa alla sala insegnanti. I genitori e gli esterni, nelle occasioni previste, li usano come luoghi di seduta o conversazione (la scala come “piazza verticale”). Sono luoghi di approfondimento, lavoro informale, relax, punti di accesso alla documentazione e gioco, ma sono anche la naturale estensione delle aule e degli atelier. In questo contesto non ci sono corridoi, ma luoghi comuni disponibili: i sistemi ambientali e i macro-arredi offrono possibilità di uso, sono luoghi senza muri ma con una precisa qualità acustica e luminosa, con sedute piani di lavoro, privacy visiva, cioè qualità spaziali di uso in una sorta di open space, ottenute con soluzioni allestitive e di materiali, pannelli fonoassorbenti, luci, schermi, vetri, arredi, macro-arredi, divisori22. Spazi, insomma, che devono supportare l’apprendimento informale e il relax, luoghi nei quali gli studenti possono distaccarsi dalle attività d’apprendimento strutturate e trovare occasioni per interagire in maniera informale con altre persone, per rilassarsi, o per avere accesso a risorse anche non correlate con le materie scolastiche. Anche i tempi d’uso della scuola si dilatano di conseguenza: non solo gli orari “istituzionali”, ma pure quelli “oltre” diventano strategici per la crescita e la formazione dei giovani e, per fare ciò, gli edifici devono essere per loro attraenti e confortevoli, per invogliarli a stare più a lungo, a ritornaci senza obblighi, perché ci stanno bene e li possono usare per le loro curiosità… dei centri civici insomma, che devono crescere anche dimensionalmente, per assolvere appieno a tali ruoli centrali per le comunità.

22

Indire, 2012

97


98

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti TESI DI LAUREA_2019 (Bianca Clarice Sauri)


lo spazio funzionale

La visione contemporanea delle scuole è imperniata attorno al luogo centrale d’ingresso che funge da piazza introduttiva ed agorà degli incontri: ospita le funzioni pubbliche della scuola, è il luogo delle riunioni e delle feste della comunità scolastica, rappresenta il suo elemento simbolico più importante ed è anche il principale punto di riferimento per la distribuzione dell’intero edificio23. Con l’incremento dimensionale dell’edificio scolastico, quando le funzioni diventano più complesse, il cuore funzionale e simbolico della scuola si connette a tutte le attività pubbliche, con le quali può, all’occasione, integrarsi e sovrapporsi (aula magna, mensa, attività motorie e palestra, spazi docenti ed amministrativi)24. È importante prevedere un utilizzo anche didattico della struttura della mensa, con la proposizione di laboratori di cucina, integrati ai programmi di informazione ed educazione alimentare sostenibile. È pertanto auspicabile che tale spazio di laboratorio sia direttamente collegato allo spazio aperto dedicato all’orto e possa essere visibile dallo spazio mensa. In tutte le scuole deve essere previsto uno spazio per il pranzo degli insegnanti e del personale non docente, un ambiente riservato, ma visivamente in contatto con gli spazi comuni, la mensa, che può essere utilizzata in altri momenti per riunioni del personale o altre attività didattiche. Lo spazio palestra è destinato allo sviluppo motorio, ma può essere utile per favorire le relazioni sociali, permettendo lo svolgimento di feste, assemblee, spettacoli, ed è opportuno che sia collegabile, con pareti scorrevoli a scomparsa ben insonorizzate, allo spazio della “Piazza–Agorà”. La palestra, infine, è lo spazio scolastico che per primo si è reso disponibile agli usi esterni e pertanto bisogna confermare questa prassi prevedendo ingressi autonomi dall’esterno, per i fruitori e per il pubblico, se previsto nel programma.

Soprattutto nella scuola dell’infanzia la Piazza può diventare luogo di incontri informali, accogliere spazi per la motricità, contenere zone gioco, zone pranzo, angoli dedicati all’accoglimento dei bambini e piccoli spazi protetti per attenuare il distacco dai genitori nei primi mesi (“spazio degli addii”). 24 Nella scuola dell’infanzia e nelle piccole scuole, la zona dedicata al pranzo può coincidere con la Piazza, ma anche nelle scuole di maggiore dimensione sarà opportuno utilizzare parte dell’Agorà per il periodo del pranzo, predisponendo un sistema d’arredi di facile pulizia e accatastamento, per un uso a rotazione, con diversi turni. 23

99


100

città nella scuola • claudio zanirato

PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)


lo spazio funzionale

PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)

101


102

città nella scuola • claudio zanirato

Fig.4.16_PERUGIA, Scuola Carducci-Purgotti LAB_ARCH 3_2017 (Matteo Piccolroaz)


lo spazio funzionale

103


104

città nella scuola • claudio zanirato


lo spazio funzionale

105

Lo spazio dell’architettura


106

città nella scuola • claudio zanirato


lo spazio dell’architettura

LUCCA, Scuola a San Concordio LAB_ARCH 3_2015 (Caterina Bartoli, Eleonora Branchini)

Esiste un’evitabile soggettività nel progetto di architettura, dove avviene una proiezione della visione interiore dell’architetto sulla scena reale della vita degli altri, che con quegli spazi dovranno poi convivere: incidere sulla scena urbana o paesaggistica con una volontà progettuale è, in fondo, un gesto solitario di imperio e merita un suo controllo attento. L’autoreferenza, l’auto-riconoscibilità, nell’agire all’interno di un fatto comune, collettivo, quale sempre è il progetto di architettura, pongono non pochi problemi di conflittualità. Si tratta, in fondo, quasi sempre di essere autori di un’opera per la comunità o parte di essa ed un certo distacco è dovuto dai rischi di personalismi eccessivi. L’obbligo, poi, di essere contemporanei al proprio tempo pone inoltre l’evidenza di sapere essere autentici interpreti del proprio tempo, di saperne riconoscere i tratti salienti e caratterizzanti, di saperli tradurre nel progetto, di essere anche anticipatori del tempo che verrà. L’architetto oggi è assimilabile sempre più ad una “antenna” che raccoglie i tanti segnali della civiltà in cui è immerso, segnali che vengono anche da lontano, dal momento che lo spettro delle discipline si è allargato a dismisura, li seleziona e con questi costruisce il suo progetto. Le accelerazioni epocali, cui stiamo assistendo, impongono le continue interpretazioni di tematiche, spazialità e tecnologie, inedite nella lunga storia dell’architettura, ed il repertorio cui attingere difficilmente è in grado di assistere tanta novità. “L’architettura non risolve mai i problemi ma li rileva, e se è buona architettura pone problemi”1, per cui il progetto dev’essere in grado di farsi cosciente costruttore di tracce per il futuro che lo attende, inseguendo la capacità di dislocarsi altrove, in avanti. La progettazione architettonica può essere vista come la separazione degli edifici dall’illimitata e aperta natura, sempre più difficile da ritrovare oggi, come la ricerca di una minima identità urbana, capace di distinguersi, non solo dimensionalmente, dall’edilizia di fondo. E se il contesto pone ancora dei limiti non detta per questo delle forme, per cui l’ambiente è senza forma e l’architettura è chiamata ad interpretarlo: ciò significa che esiste ancora

1

Purini F., 1996, in Forme e luoghi dell’architettura nella città contemporanea, Metamorfosi n.34-35.


108

città nella scuola • claudio zanirato

VAIANO (PO), Scuola ex-Sangiorgese TESI DI LAUREA_2017 (Damiano Paoletti)


lo spazio dell’architettura

un paesaggio, naturale o artificiale che sia, come sfondo dell’architettura, in grado di farsi riconoscere come l’altro spazio in cui l’architettura ha bisogno di essere allo stesso tempo un interno ed un esterno. Le cose che l’architettura esprime all’esterno non sono altro che i simboli di un mondo interno, che vengono drammatizzati creando scene urbane. D’altronde, anche il paesaggio non può essere apprezzato se non da un interno, da una “finestra”, che lo identifichi come esterno, da cui la diversità dell’architettura. Considerare il paesaggio come lo sfondo dell’architettura, l’orizzonte della città, il piano d’appoggio dell’architettura, significa riconoscerlo come l’altro spazio in cui l’architettura ha bisogno di essere in stretto contatto. Ne deriva che, solo eleggendo a proprio alleato il paesaggio, l’architettura può inventare le regole del gioco urbano, la costruzione della città, che è a sua volta un paesaggio. E se un tempo il tema dei luoghi veniva affrontato ricercandone identità ed unicità, evidenziandone le differenze, nei non luoghi odierni si ricerca sempre un’identità, ma essi non sono più unici, poiché sono pensati per analogia e similitudini. Ne deriva che la complessità sociale contemporanea genera la proliferazione di una moltitudine di identità, a loro volta portatrici di espressioni di autorappresentazione, per cui si viene a determinare una esplosione tipologica che tende sempre più a sfuggire alle abituali classificazioni, configurando la città come sommatoria di elementi indipendenti e spesso anche contrastanti tra loro. L’architettura è sempre stata l’arte della misura e delle proporzioni, ma l’attuale velocità di movimento ed il bombardamento di immagini ne stanno alterando l’originario ruolo: sta venendo a mancare la cognizione di dimensione fisica, e l’architettura oggi ha crescente difficoltà ad affermare una permanenza di significato. Pensare per immagini fa parte dell’essenza progettuale, la loro selezione ne è elemento indispensabile. D’altronde, l’architettura consiste più di vuoti che di pieni, cioè di relazioni, e la poetica che sottende è la forma di linguaggio più chiara. “Un edificio non risolve tutti i problemi di una città, ma è la città in un punto risolta”2 ed in questo l’architettura addensa il doppio senso problematicizzante: interno-esterno, sopra-sotto, artificiale-naturale, individuale-collettivo, pubblico-privato, permanente-transitorio, legittimo-abusivo, reale-virtuale… Ogni progetto è quindi la risultante di tante sfaccettature che rimandano di riflesso ad altrettanti aspetti che appartengono, o sono appartenuti, a quel luogo, contribuendo al loro ri-conoscimento. La trasformazione dei luoghi chiama in causa la responsabilità del progetto nei confronti della dimensione comunitaria e sociale del fare architettura, soprattutto sul bisogno di

2

Sichenze A., Il limite e la città, FrancoAngeli, MI, 1995;

109


110

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Foro Boario TESI DI LAUREA_2018 (Daniele Genua)


lo spazio dell’architettura

conferire un’identità a tanti luoghi trascurati, ma desiderosi di essere coscientemente abitati e vissuti, riconosciuti ed in questo accresciuti, qualitativamente, operando dal loro interno con ripensamenti. In questo procedere, si possono vedere i progetti come la risultante di “aggiunte”, d’inserimenti puntuali o diffusi, di momenti di contemporaneità, senza mai “coprire” il palinsesto esistente bensì in “trasparenza”, in dissolvenza, trasformando i luoghi in “continuità”. Tanti progetti sono, di fatto, delle addizioni, delle palesi stratificazioni, appaiono segni appoggiati, alla ricerca di un confronto senza invadenza alcuna. Il rapporto con la storia monumentale, specie se diretto, deve tradursi in una reinterpretazione dei significati profondi delle opere del passato, trovando la capacità di ricondurre questi ai significati della contemporaneità e non interrompere il filo conduttore con la storia (fatta di rielaborazioni continue e progressioni). Le nuove tecnologie e i materiali attuali possono dare significati inediti a forme architettoniche storicizzate, reinserendole nella contemporaneità con ruoli differenti. I percorsi che conducono alla definizione del progetto possono essere molteplici ed afferiscono alla personalità dell’autore, ma è comunque possibile inquadrare un paio di specifiche metodiche, caratterizzate da logiche “additive” o “sottrattive”. Il progetto può seguire, nella sua evoluzione, una logica sommatoria di elementi che si compongono tra loro secondo ordini definiti: si tratta di un atteggiamento classico, funzionalista, costruttivista, in cui i singoli elementi della composizione conservano una intelleggibilità finale e lo spazio risulta “costruito”. Individuare nel programma funzionale la presenza di possibili modularità (tipologie di spazi che si ripetono dimensionalmente, unità residenziali o lavorative, aule scolastiche, stanze di degenza…) consente di scomporre in unità minime la compositività d’insieme, sperimentando logiche di aggregazione/frantumazione, alternative alla monoliticità. Questa ipotesi (logica additiva), cioè di ridurre l’elenco funzionale ai minimi termini, consente parimenti di ricondurre la soluzione progettuale a delle figure basilari elementari, semplicemente per sommatoria (insiemistica) e l’individuazione di un contenitore idoneo. Altro modo di progettare consiste invece nell’assimilare la logica scultorea del sottrarre materia da un blocco/volume ideale, plasmare il materiale spaziale in perfetta continuità: è questo un atteggiamento anti-classico, baroccheggiante, organicista, dove si avverte una forte integrazione tra le parti e lo spazio si recepisce “continuo”. Si possono pure immaginare ibridazioni e contaminazioni tra questi due pensieri. La definizione del dato quantitativo (derivante dal programma funzionale assegnato), come presupposto iniziale della composizione, consente di prefigurare subito la massa dimensionale dell’intervento e di valutarne immediatamente l’impatto percettivo: da queste prime

111


112

città nella scuola • claudio zanirato

LUCCA, Scuola a San Concordio TESI DI LAUREA_2017 (Agnese Coppini)


lo spazio dell’architettura

misure (al netto dei vincoli urbanistici) si può capire se è sostenibile una volumetria estensiva (piatta o verticale) o se si è costretti a stratificare, ed ancora, se sia possibile scomporre le masse in più parti e non tenerle concentrate assieme. È da questa elementare impostazione che si aprono pochi o tanti scenari esplorativi, partendo da un anonimo e commisurato “parallelepipedo” archetipo, che si può modellare diversamente, tagliare e scavare, piegare e torcere, ed arrivare così ad altre soluzioni formali intenzionali (logica sottrattiva, scultorea). A prescindere dalla logica compositiva adottata, il risultato finale del percorso progettuale può sempre portare allo stesso risultato, anche se il pensiero di fondo operativo può sembrare antitetico e contrapposto: aggiungere o togliere materia è una necessità per formalizzare lo spazio architettonico che si ha in mente e gli strumenti e le metodiche da utilizzare quindi possono anche non influire sul risultato. Da presupposti antitetici è perciò possibile convergere a soluzioni progettuali apparentemente similari: l’addizione conserva, però, la possibilità di gestire delle variazioni tra le parti, per esempio per “personalizzare” le componenti e sottolineare la variabilità di un possibile “vissuto” e senza alterare la logica compositiva di fondo, appunto perchè favoriti proprio da questa. Nella composizione degli spazi ci sono delle “figure” cui è inevitabile fare riferimento, delle soluzioni “conformi” da cui attingere per qualificare parti architettoniche: il viale, la piazza, il giardino, il ponte, il portico, l’atrio, lo scalone, la galleria, la terrazza….e spesso progettare è il risultato della scelta e disposizione di questi elementi basilari e della loro reinterpretazione. Per esempio, la terminazione di un edificio, la sua copertura essenziale per il suo funzionamento protettivo, possiede un potenziale d’uso e spaziale molto più esteso che ogni progetto dovrebbe sfruttare (scalabilità, tappeti verdi e giardini pensili, spazi ricreativi, captazione energetica, di luce e vedute, regolazione della ventilazione interna) a tal punto che non è difficile pensare ad architetture concepite prevalentemente dall’alto e quindi si potrebbe iniziare a progettare proprio da questo elemento non “ultimo”. Senza un principio di costruzione comunitaria e senza memoria collettiva, come spesso oggi accade, l’ibrido3 può assumere il ruolo di modello cui tendere e di monumento nella città: come elemento primario, emergenza dimensionale, fattore di riconoscimento d’identità urbana, luogo collettivo. Le nozioni di “ripetizione” e “disseminazione” rappresentano fenomeni riconducibili al concetto di addizione di molte cose nell’unità, concetti che sono propri della contemporaneità e della sua architettura, ne rappresentano l’evoluzione4.

3 L’ibridazione architettonica è uno dei luoghi dell’eterotopia, lo sono pertanto quegli organismi architettonici che presentano una pluralità di funzioni e complessità di spazi, tenuti assieme da un dispositivo formale più o meno unitario ed indistinto. 4 Perrault D., 1996, in D.Colafranceschi, Sull’involucro in architettura, Dedalo, Roma.

113


114

città nella scuola • claudio zanirato

LUCCA, Scuola a San Concordio TESI DI LAUREA_2019 (Michele Guidotti)


lo spazio dell’architettura

Ciò che tradizionalmente nella città storica era separato e autonomamente edificato, viene oggi spesso assemblato a formare un corpo unico, dove funzioni diverse sono ospitate in un unico edificio, quando storicamente gli stessi elementi costituivano distintamente la morfologia urbana. Nascono così microrganismi urbani dove all’interno si possono trovare, seppur in forma meno estesa, molti dei fattori che costituiscono una città. All’addensamento ed alla sovrapposizione di funzioni molteplici nell’ibrido, corrisponde una riduzione ed una semplificazione della forma esterna che vive di ragioni proprie, estranee agli accadimenti interni5. I sistemi costruttivi che si stanno adottando ed affermando non consentono inoltre più di tanto un’”autenticità” percettiva, come nella tradizione: quello che si vede e che si tocca di un edificio altro non è spesso che solo lo “strato” finale di ben altre consistenze. Il tema dell’involucro architettonico (packaging) consente un’ampia autonomia espressiva, data dalla non più corrispondenza con il fatto costruttivo e quindi anche spaziale: una forzata mancata sincerità costruttiva, che legittima forme interpretative di ampie vedute, alcune delle quali forse ancora tutte da esplorare. È quella dell’involucro architettonico una tematica che sta segnando profondamente l’architettura del nuovo millennio, affermando un’assoluta autonomia dello strato di finitura degli edifici, di un apparato scenografico anche mutevole nel tempo, che perde aderenza con il fatto spaziale interno e semmai fa da contrappunto agli apparati scenografici dell’architettura degli interni. Anche il bisogno di costruire con significative quote di materiali di recupero/riciclati obbliga a scelte ponderate, dovendo considerare in aggiunta il fatto che quello che si costruisce dovrà essere poi riutilizzabile, quindi smontabile e riciclabile, in maniera “circolare”, favorendo in questo le tecniche costruttive “a secco”, quindi a strati, indipendenti. R.Venturi6 riesce bene a descrivere il dramma dell’architettura, racchiuso in quei pochi centimetri di spessore dato dalla parete esterna, con il compito di tradurre in forma spaziale l’affermarsi di esigenze, sia interne che esterne, ma che oggi sembra consumarsi e risolversi attraverso la negazione stessa del problema e/o l’affermazione dei soli valori di “esternità”. Un’esternità attenta, attraverso l’involucro dell’edificio, più che ai valori legati alla contestualità, a proporsi essenzialmente riflessa sull’immagine che l’oggetto architettonico dà di sé, come fatto eclatante, capace di imporsi nel panorama architettonico, per la sua novità ed eccezionalità di evento. La progettazione è così spinta verso una rappresentatività dell’architettura, incapace di coniugare la complessità del fatto architettonico, restituendo allo stesso solo valori riduttivi e parziali. 5 6

Del Vecchio M., 1996, in Forme e luoghi dell’architettura nella città contemporanea, Metamorfosi n.34-35. Venturi R., 2002, Complessità e contraddizioni dell’architettura, Dedalo, Roma.

115


116

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG), Scuola G.Carducci LAB_ARCH 3_2017 (Daniele Giugni)


lo spazio dell’architettura

In quest’ottica di decostruzione dell’oggetto architettonico, riveste quindi una particolare importanza l’involucro esterno che, separato dalla struttura, si rende autonomo dai condizionamenti interni, assume un valore formale indipendente ed entra in rapporto con le esigenze e diversità delle situazioni esterne. La trasformazione del muro non portante, che nell’architettura moderna aveva una funzione essenzialmente spaziale (anche nelle facciate), in elemento di pura comunicazione, di immagine, fa acquistare all’involucro autonomia compositiva, divenendo il luogo delle complessità, in un’architettura di facciata di lontano rimando rinascimentale. Si afferma oggi anche un’architettura trans-murale, che cerca di superare il proprio limite materico dissolvendolo nella luce, vista come ultimo scenario territoriale e sua rappresentazione nel reale, in una dimensione tutta auto-espressiva. Un’architettura totalmente trasparente che propone un’estetica dell’uso piuttosto che una facciata estetizzante, che manifesta non più un bisogno formalistico, ma una nuova possibilità espressiva, neutrale rispetto alla forma ed alla funzione. Le facciate intensificano la loro efficacia comunicativa entrando in competizione con il mondo dei media, in cui la profondità materica delle stesse sembra, in certe opere recenti, scomparire a favore di una bidimensionalità comunicativa, grafica, letteraria, presa a prestito: un’architettura iconografica a misura di paesaggio automobilistico, di un’efficacia fatta di essenzialità, un’architettura basata su involucri generici ed adattabili ai diversi contesti7. L’edificio viene pertanto interpretato da alcuni autori alla stregua di un proiettore cristallino esterno di informazioni, attraverso “facciate-schermo” che racchiudono uno spazio neutro, mentre solo pochi cercano di far interagire l’edificio con la vita che si svolge al suo intorno per rimanerne influenzato. Prende corpo così in maniera preponderante la scelta ed il disegno delle superfici di finitura, adattabili ed immaginabili a loro volta, con effetti di trasparenze modulabili, sovrascritture ed altri effetti. È di fatto un potenziale espressivo amplificato rispetto alle tradizionali possibilità costruttive, più limitate negli apparati “decorativi”, che rende la percezione architettonica indubbiamente falsata e virtuale, alternativa. I binomi forma-contenuto, forma e struttura, struttura sintattica e struttura semantica, segno e significato, entrano in crisi a fronte di questi atteggiamenti compositivi, così come le divisioni concettuali tra forma e contenuto, forma e materia, forma e immagine… A volte, l’unità di forma è semplicemente qualcosa da disvelare o da ricomporre concettualmente, come in un’opera visuale informale.

7

Venturi R., in D.Colafranceschi, Sull’involucro in architettura, op.cit;

117


118

città nella scuola • claudio zanirato

CASCIANA TERME (PI), Nuovo Polo Scolastico CONCORSO DI PROGETTAZIONE_2015 (ZaniratoStudio)


lo spazio dell’architettura

I materiali con i quali si costruisce la visibilità dell’architettura, per esempio, la sua sensorialità percettiva, sono oramai tantissimi e non si è più costretti a scelte limitate ed obbligate dalle tecnologie: questo non toglie l’obbligo di motivare queste scelte fondamentali ad un dato relazionale (il luogo, l’attività, un simbolismo….). S’impone così anche la considerazione della possibile esistenza di un “guscio” esterno dell’edificio, assieme alla possibilità di un differente ed alternativo mondo spaziale interno, scavato, tagliato, inciso, fatto di altra matericità-plasticità. L’apparto architettonico dell’edificio può, in condizioni estreme, diventare un fatto a sé stante, fatto di materiali non più architettonici, ma presi direttamente dal mondo artigianale, naturale, industriale, artistico… La distanza dal nucleo centrale dell’architettura, la sua spazialità, trovano in questi modi le maniere per accentuarsi anche a dismisura. Non ultimo, la sostenibilità costruttiva ed energetica impongono scelte compositive orientate ad ottenere risultati virtuosi in tal senso, quindi a concepire l’edificio come una “macchina” meno energivora, con i consumi da contenere e capace di produrre l’energia residua per il suo fabbisogno. Le superfici esterne dell’edificio, il suo involucro, diventano pertanto sensibili al contesto ambientale e climatico, per captare/schermare sole e ventilazione, con materiali e soluzioni costruttive idonee. Le coperture delle costruzioni acquistano di conseguenza un ruolo importante, oltre al fatto protettivo, diventando un’interfaccia significativo con l’ambiente. La sezione verticale di uno spazio costruito denota la sua vera articolazione interna, il rapporto con l’involucro esterno e quindi con la sua esternità: più della visione in pianta, che rimane sempre relativamente parziale, è questo taglio verticale la modalità più adatta per cogliere il senso di molta architettura o la sua banalizzazione. La visione in sezione consente, meglio di ogni altro, di controllare il sistema delle vedute interne, di come lo spazio nella sua verticalità può essere percepito nella sua interezza o meno, come la luce può penetrare fino nelle parti più interne dell’edificio, dalle facciate o dalle coperture, come l’edificio può farsi attraversare dall’aria e dalle viste ed appartenere così anche agli spazi esterni e con questo anche il suo rapporto con il suolo ed il cielo (coperture ed oltre). Le modalità con le quali ci si può muovere all’interno di uno spazio costruito e ciò che è possibile vedere e percepire di questo tramite gli spostamenti interni, possono diventare anche l’essenza stessa di quell’architettura, ponendo gli ambiti comuni (il banale e necessario spazio connettivo) al centro della scena costruttiva (atrii, corridoi, ballatoi, rampe, scale). Lo spazio distributivo (servente) possiede infatti una unitarietà indubbia e pertanto un potenziale espressivo che altri spazi (serviti) difficilmente possono avere, in quanto discontinui e più limitati: è la dimensione spaziale della sua continuità a farne da sola un protagonista.

119


120

città nella scuola • claudio zanirato

SESTO FIORENTINO (FI), Liceo E.Agnoletti TESI DI LAUREA_2019 (Bianca Clarice Sauri)


lo spazio dell’architettura

È comunque necessario dimostrare che ogni parte progettata (esterna ed interna) è in uno o più modi raggiungibile (circuiti), a seconda dei bisogni e delle forme di gestione previste, immaginando, in alcuni casi, la compartimentazione di parti per favorire usi anche parziali delle strutture (ottimizzazione e flessibilità della gestione). Nella scuola innovativa esiste una moltitudine di spazi, in continua evoluzione, che influenza i comportamenti e le emozioni di chi vi si immerge e andrebbe pertanto conservata perennemente modificabile. La flessibilità spinta richiesta non deve però cadere nella mancanza d’identità. Rendere la scuola “abitabile” significa, in fondo, renderla confortevole e quindi anche informale nell’accogliere gli individui, negli spazi e nei modi d’uso, quasi “domesticizzata”, ossia “amabile”. In questa visione, tutti gli spazi di una scuola hanno uguale dignità e sono complementari tra loro, in una concezione unitaria. Si sviluppa così il senso di appartenenza e d’identità abitando con gli altri, all’interno di un paesaggio scolastico costruito appositamente. Si potrebbe definire, questa, una ambientazione di “apprendimento pervasivo” (immersivo), sempre in bilico tra la formalità e l’informale. In un’ottica di didattica moderna che superi l’impostazione tradizionale, la scuola andrà concepita “come uno spazio unico integrato in cui i microambienti, finalizzati ad attività diversificate, hanno la stessa dignità e presentano caratteri di abitabilità e flessibilità in grado di accogliere in ogni momento persone e attività della scuola, offrendo caratteristiche di funzionalità, comfort e benessere”8, dove tutto lo spazio è visibile e strutturato per l’apprendimento (learning landscape). La scuola è pertanto il risultato della fusione di diversi contesti ambientali: quello delle informazioni, delle relazioni, degli spazi e dei componenti architettonici, dei materiali, in continua interazione tra loro per amplificarne gli effetti. La successione di momenti didattici diversi, che richiedono setting e configurazioni diverse (alunni-docente o alunni-alunni), riconfigura l’idea di edificio scolastico, che deve essere in grado di garantire l’integrazione, la complementarietà e l’inter-operabilità dei suoi spazi.

8

Indire, 2012

121


122

città nella scuola • claudio zanirato

PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)


lo spazio dell’architettura

PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)

123


124

città nella scuola • claudio zanirato

SAN MINIATO (PI), Polo dei Licei del Valdarno TESI DI LAUREA_2017 (Valentina Longo)


lo spazio dell’architettura

FOLLONICA (GR), Scuole Parco Centrale CONCORSO DI IDEE_2015 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)

125


126

città nella scuola • claudio zanirato

PORDENONE (PN), Scuola Secondaria Quartiere di Torre CONCORSO DI PROGETTAZIONE_2018 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio, Leo Piraccini e Francesca Marchetti)


lo spazio dell’architettura

PISA, Liceo F.Buonarroti TESI DI LAUREA_2018 (Maddalena Nanni)

127



Lo spazio costruttivo



lo spazio costruttivo

FOLIGNO (PG), Scuola G.Carducci TESI DI LAUREA, 2018 (Benedetta Diddi)

La costruttività di un edificio, spazialmente concepito in modo unitario, deve contemplare una sua integrazione con le soluzioni strutturali che ne conseguono: sono molti gli aspetti che incidono su tali scelte (economicità, durabilità, sismicità, resistenza al fuoco, reversibilità, sostenibilità ambientale, flessibilità) ma nel progetto si dovrà definire il ruolo espressivo che tali soluzioni dovranno avere. Sistemi puntuali, lineari o tridimensionali, sono innanzitutto scelte architettoniche che competono la visione complessiva del progetto, i suoi potenziali risvolti percettivi e gestionali, nonché ambientali e di rapporto con il contesto1. Ad ogni luogo differente corrisponderà una diversa opera strutturale, unica e specifica. I fattori che la determinano sono: la dislocazione spaziale delle forze esterne, le tecnologie disponibili e i valori ambientali di fondo. La concezione di un edificio coincide con la sua espressione spaziale, che a sua volta sottende una struttura costruttiva con cui trovare una sintonia. In una visione olistica dell’architettura, tutti gli elementi della sua costruzione concorrono pariteticamente al risultato finale. In un panorama così vasto, il nesso che lega l’architettura alla struttura è dunque molto stretto, ed è proprio la struttura a essere il mezzo che consente all’architettura di presentarsi come tale. L’approccio strutturale può avvenire in diverso modo e appartiene esso stesso alla sfera dell’intuizione. È possibile sintetizzare le strutture in vario modo: dal punto di vista concettuale, per esempio, possono essere resistenti per forma o per superfici. Nelle prime, la materia è pensata come non rigida, cioè flessibile, configurata in maniera specifica e vincolata a estremità fisse; così è in grado di auto-sostenersi, di far fronte ad una specifica condizione di carico e di coprire determinate luci2. Nelle seconde, invece, si cerca la strada per combinare gli elementi delle prime per ottenere strutture di superficie: sono queste il mezzo geometrico 1 Le fondazioni di un edificio, per esempio, sono spesso trascurate dal progettista, perchè s’immaginano quasi sempre nascoste ai più, considerate il piano da cui prende forma l’architettura, trascurando il legame implicito tra un’architettura ed il suo contesto, il luogo certo dell’archeologia, della geologia e del ciclo delle acque. 2 La forma è un fattore determinante per una struttura efficiente, troppo spesso per ottenere la resistenza opportuna si ragiona, invece che sulla forma, in termini di massa.


132

città nella scuola • claudio zanirato

VAIANO (PO), Scuola ex-Sangiorgese TESI DI LAUREA_2017 (Damiano Paoletti)


lo spazio costruttivo

più efficace ed intelligibile di definizione dello spazio, andando a coincidere con questo e sono pertanto delle astrazioni elementari attraverso le quali l’architettura si esprime e prende corpo. Comunque sia, con le scelte strutturali, si affrontano sempre problemi di tettonica, cioè l’espressività derivante dalla soluzione statica della forma costruttiva, il modo in cui le forze di gravità condizionano il fatto costruttivo. Esistono molte variazioni espressive, partendo da combinazioni analoghe di struttura e costruzione: colonne, muri e travi, possono essere pensati in termini di frequenza, schema, semplicità, regolarità, casualità e complessità. Come tali, le strutture possono essere utilizzate per definire lo spazio, creare unità, suggerire movimento, o sviluppare composizione e modulazione. Non esiste, infatti, un’unica soluzione, ma più soluzioni equivalenti. Tale affermazione può essere ricondotta non solo ai risultati ottenibili staticamente, ma anche facendo riferimento a criteri di determinazione dell’elaborazione architettonica, sotto il profilo funzionale ed economico. Ancora una volta, la scelta dell’unica soluzione, delle tante tra le quali optare, risulta essere elemento della creazione artistica, quindi scissa dal fatto puramente tecnico. Quando viene consentita espressività alla struttura (accade sempre più di rado oggi), essa contribuisce ad arricchire il significato dell’architettura, a volte può addirittura diventare l’elemento di maggior significato in un edificio (costruttivismo, in cui si esaspera le possibilità stilistico-estetiche della struttura), anche se l’esposizione della struttura non è un requisito obbligatorio, se non fa parte fin dall’inizio dell’espressione dell’idea architettonica. Esiste da sempre una poetica basata sul concetto di unione tra forma e struttura, tra estetica e tecnica, tra architettura e ingegneria. Nella definizione della struttura, le proprietà intrinseche del materiale influenzano le possibilità costruttive e da queste dipendono molto le scelte ed il risultato dell’assetto resistente, sulla configurazione delle tensione e delle deformazioni, in pratica sulla sensazione di pesantezza o leggerezza che si vuole ottenere. l tema della sincerità strutturale non sempre appartiene alla visione del progettista, e quando accade viene affrontato quale elemento in grado di garantire un’effettiva rispondenza della struttura alle tensioni che si sviluppano nell’oggetto architettonico, ricoprendo quindi, allo stesso tempo, un ambito formale ed estetico, capace di portare addirittura alla definizione, in un certo senso, di un’arte strutturale (la sensibilità statica rimane, al pari della sensibilità estetica, una proprietà personale). La funzionalità, la statica e l’economia (dei materiali) dovrebbero infatti armonizzarsi e, attraverso il gioco di forme e volumi, esprimere l’idea architettonica. La definizione della quantità minima di materia, con la quale ogni struttura può

133


134

città nella scuola • claudio zanirato

PERUGIA, Scuola Carducci-Purgotti LAB_ARCH 3_2017 (Elisabetta Bistocchi)


lo spazio costruttivo

essere realizzata, avendo definito il sistema di forze esterne, è un obiettivo importante da raggiungere (concetto di minimo strutturale, in cui la forma strutturale, una volta assegnata la materia, deve occupare il minor volume nello spazio). In questo, la natura è un riferimento fondamentale, capace come è di realizzare forme ordinate, armoniose e stabili. Ne deriva che sembrerebbe logico adottare, per ogni materiale, forme strutturali adeguate alle caratteristiche intrinseche, quindi anche forme inedite per i nuovi materiali, quando invece i nuovi elementi formali derivano da considerazioni di ben altro tipo. La ricerca della giusta forma strutturale coincide spesso con la necessaria configurazione della materia nello spazio, per arrivare ad utilizzare le minori risorse possibili per assolvere il compito strutturale, pervenendo ad una morfologia non già concepita astrattamente, ma in grado di rivelare i flussi di forze interne che la attraversano. La scelta dei materiali è fondamentale per la qualità di una architettura, ma in particolare i materiali di finitura, cioè la pelle interna ed esterna dell’edificio, ne qualificano l’aspetto e le modalità di uso. Il repertorio disponibile oggi di materiali rafforza oltremodo dire che progettare significa, quasi sempre,”effettuare scelte” tra più soluzioni “possibili”. Tra gli elementi condizionanti, in queste scelte di fondo, ci sono indubbiamente anche motivazioni storico-simboliche: il senso della continuità e della tradizione presente in alcune permanenze, o, al contrario, la volontà ad evidenziare il cambiamento e l’innovazione, hanno portato, ad esempio, all’affermazione o al superamento di alcuni materiali. Altre scelte, invece, si orientano verso il bisogno di rappresentatività, come la citazione di altre culture: in modo reverenziale o dissociativo; riferita ad altra architettura o più semplicemente ai caratteri del luogo d’intervento; o alla tradizione costruttiva maturata sui caratteri delle risorse locali. Come espressione di scelte consapevoli, i materiali sono quindi sostanzialmente mezzi linguistici di comunicazione della cultura del progetto, indizi storici e culturali complessi; a volte espressi con chiarezza, altre difficili da capire; a volte riferiti all’oggetto architettonico, altre all’ambiente che ospita l’intervento. In architettura i materiali possono anche presentarsi come semplici fenomeni plastici e percettivi: ciò avviene quando si mette in risalto l’aspetto materico delle scelte tecniche e al loro carattere viene affidato un messaggio espressivo (colore, effetti chiaroscurali, tessiture, granulosità, ruvidezza, opacità, trasparenza ecc.) che coinvolge la sfera percettiva, in particolare la vista e il tatto. Rispetto a questa interpretazione, che sinteticamente possiamo definire come senso materico delle finiture dell’architettura, il campo delle variabili è ovviamente illimitato.

135


136

città nella scuola • claudio zanirato

PRATOVECCHIO STIA (AR) Nuova Scuola Materna, CONCORSO DI PROGETTAZIONE_2017 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


lo spazio costruttivo

Ciò fa affermare che i materiali non sono solo espressione e linguaggio della “funzione”, ma anche segni cristallizzati della storia e dell’inconscio. In tal senso, sono resistenti al cambiamento e ciò spiega perché accanto ai nuovi materiali sono sempre presenti e difficilmente sostituibili materiali e forme tecniche antichissime, altrimenti ingiustificabili. Nella definizione dell’aspetto materico dell’opera, il dibattito può spaziare se sia, o debba essere, il materiale a determinare la forma, o, se sia o debba essere, la forma a forzare la scelta del materiale. Possono pertanto esistere dubbi e, a volte, posizioni assai contrastanti, su quale relazione debba esserci tra le componenti dell’architettura: la funzione, la forma, il materiale3. Il rapporto tra cultura del progetto e cultura dei materiali non è essenzialmente sospinto da una natura storico-simbolica, ma anche da una natura percettiva insita nella materia. Gli elementi legati a questa natura, che qualificano il materiale e il suo uso nella costruzione, sono: elementi percepiti attraverso la vista, come il colore, i chiaroscuri e le tessiture e, quelli che possono essere percepiti attraverso il senso tattile, come le sensazioni di liscio-ruvido, granuloso-levigato, grezzo-fine, duro-morbido, caldo-freddo e così via. A monte di tutte queste considerazioni, possiamo intuire come la scelta del materiale costruttivo risulti essere espressione di una cultura, di un riferimento attribuito ai valori della costruzione, di tradizione e di rappresentatività. I materiali, dunque, sono mezzi di comunicazione culturale del progetto e possono avere valore semantico, in quanto segnali di fatti storico culturali, riferiti all’oggetto architettonico o all’ambiente. I bambini più piccoli, nella scuola d’infanzia, hanno processi cognitivi caratterizzati da una forte sinestesia, in cui un senso attiva gli altri sensi. Per questo motivo, hanno un approccio alla conoscenza che utilizza tutti e cinque i sensi: sono di fatto un laboratorio sensoriale e meritano un ambiente che sia ricco, variegato e interessante da un punto di vista sensoriale. Il paesaggio materico, cromatico, luminoso, si deve quindi caratterizzare per una marcata complessità e varietà, per supportare il bambino nel suo percorso di crescita. La dimensione sensoriale nella conoscenza perde importanza man mano che i bambini crescono, ma rimane un importante sistema di esperienza cognitiva e ambientale. La scuola dev’essere perciò un paesaggio cromatico e materico al suo interno, stimolante e cangiante come le sue attività. Gli ambienti scolastici devono essere insonorizzati, per fare in modo che i suoni non si diffondano, disturbandosi a vicenda, anche perchè la musica sta acquisendo ruoli e spazi 3 La questione è affrontata con un riferimento alla teoria aristotelica della “quattro cause”: materialis (materiale), formalis (forma), finalis (l’obiettivo), efficiens (ciò che produce l’effetto); modi, tra loro connessi, dell’essere responsabile, e che si identificano con il produrre.

137


138

città nella scuola • claudio zanirato

PERUGIA_Scuola Carducci-Purgotti LAB_ARCH 3_2017 (Elisabetta Bistocchi)


lo spazio costruttivo

POGGIBONSI (SI)_Scuola L.Da Vinci LAB_ARCH 3_2016 (Arianna Fusi)

139


140

città nella scuola • claudio zanirato

FOLIGNO (PG)_Foro Boario LAB_ARCH 3_2017 (Francesca Cantale)


lo spazio costruttivo

FOLIGNO (PG)_Scuola G.Carducci LAB_ARCH 3_2017 (Benedetto Fattoi)

141


142

città nella scuola • claudio zanirato

FIRENZE_Istituto Superiore Meucci LAB_ARCH 3_2016 (Anna Keitemeier)


lo spazio costruttivo

crescenti nella scuola del futuro. Questo vale sia per i rumori che si possono generare dall’interno che quelli che provengono dall’esterno: ciò significa una scelta adeguata dei materiali di finitura ed idonee capacità di abbattimento/isolamento, per gli spessori di pareti e solai (riverbero, trasmissione). Il progetto dell’illuminazione dovrà essere particolarmente curato, al fine di assicurare il rispetto dei livelli di illuminamento previsti dalla normativa, ma dovrà anche essere occasione progettuale finalizzata a valorizzare gli ambienti e contribuire al benessere delle persone che li useranno. Da un punto di vista energetico, fermo restando l’analisi progettuale legata all’orientamento dell’edificio e alla valorizzazione della luce naturale, dovranno essere impiegate luci a bassissimo consumo energetico, di tipo “dimmerato”, di adeguata colorometria, con sensori di presenza delle persone. La concezione di una scuola “aperta” comporta la consapevolezza che tutta l’impiantistica che l’assiste debba essere più sofisticata, per sostenere usi differenziati e più estesi nel tempo. Il comfort ambientale è strategico in una scuola che prevede che gli ambienti abbiano pareti apribili, che la densità di frequentazione possa variare in modo marcato, che la destinazione d’uso dei luoghi sia flessibile. La flessibilità impiantistica risponde a due esigenze: una spaziale, innescata dal cambio di conformazione degli ambienti e dall’uso diversificato dei luoghi della scuola (cioè si devono accendere le luci, riscaldare, raffrescare, attivare la sicurezza e illuminare a volte solo una parte dell’edificio, a volte una stanza che raddoppia o dimezza le dimensioni aprendo delle pareti scorrevoli), una seconda esigenza di flessibilità riguarda gli utenti (diverso è climatizzare un ambiente frequentato da molti adulti, come genitori in riunione, o pochi bambini, come attività di studio a piccoli gruppi nell’agorà). Gli impianti devono essere quindi impostati a matrice, con la possibilità di spegnerli e accenderli a tranche e regolarli separatamente. L’impianto di distribuzione elettrica dev’essere a sua volta del tipo flessibile, prevedendo la possibilità di modificare il tipo di servizio fornito nei terminali, favorendo la personalizzazione degli spazi e la loro capacità di adeguarsi ai cambi d’uso (meglio se del tipo a “stella”, per non favorire l’insorgenza di campi magnetici, così ogni ambiente avrà un quadro elettrico che ne consente la gestione autonoma). La realizzazione del nuovo edificio da adibire a scuola rappresenta una occasione unica, non solo da un punto di vista tecnologico, ma anche come occasione formativa in ambito ambientale. Perseguire l’efficienza energetica e la riduzione dell’impatto ambientale del costruito, all’interno della progettazione di un distretto scolastico, sotto il profilo tecnologico, è necessario e opportuno, ma non può essere trascurato il potenziale didattico che un luogo di formazione,

143


144

città nella scuola • claudio zanirato

SAN MINIATO (PI), Polo dei Licei del Valdarno TESI DI LAUREA_2017 (Valentina Longo)


lo spazio costruttivo

come quello di specie, può esprimere, nei confronti delle nuove generazioni che lo frequenteranno. Per questo, è di fondamentale importanza dichiarare, rendere percepibile e visibile, lo sforzo per limitarne al massimo l’impatto ambientale, affinché il luogo diventi esso stesso un modello di riferimento di educazione ambientale. Anche l’uso razionale delle risorse idriche dovrà trovare evidenza, ponendo l’attenzione sul valore pedagogico del riciclo delle acque piovane, per uso sanitario o irriguo, e in generale la gestione della risorsa acqua, con la possibilità di renderne visibile e percepibile il recupero e la preziosità. Ciò richiede un approccio olistico (totalmente integrato) all’inizio del progetto per inserire la programmazione, la progettazione, la costruzione e le informazioni operative, ricorrendo a criteri appositi4. In generale, gli edifici soddisfano una varietà di requisiti relativi alla loro funzione, desunti da specifiche normative, che normalmente non si soffermano su aspetti di natura progettuale, costruttiva e di gestione, che possono incidere sostanzialmente sulla qualità dell’aria interna (IAQ), quindi su aspetti salutistici, il comfort e la produttività degli occupanti, molto importante per una comunità scolastica. L’umidità è una delle cause più comuni dei problemi negli edifici5, i contaminanti provenienti da fonti esterne possono pure avere un’influenza importante6 (inquinanti atmosferici che entrano in un edificio attraverso la ventilazione e le infiltrazioni. I sistemi meccanici svolgono un ruolo importante nel fornire una buona IAQ attraverso ventilazione, pulizia dell’aria e mantenimento del confort. Tuttavia, poiché molti sistemi meccanici trasportano acqua, o si bagnano durante il funzionamento, possono anche amplificare e distribuire contaminanti microbici. Molti materiali da costruzione, finiture e arredi, emettono composti che possono causare disagio, irritazione o altri impatti sulla salute più gravi7. Gli scarichi della costruzione e le attività svolte in essa possono essere fonti significative di contaminanti dell’aria interna.

4 La LCCA (Life-Cycle Cost Analysis), per esempio, è un metodo di valutazione economica dei progetti, nel quale i costi derivanti dal possedere, usare, mantenere e, infine, smaltire un certo progetto, sono considerati fondamentali per prendere una decisione. 5 consente la crescita di microrganismi, la produzione di VOC e allergeni microbici, il deterioramento dei materiali e altri processi dannosi per la IAQ. Inoltre è stato dimostrato che l’umidità è fortemente associata a esiti avversi per la salute. 6 Questi contaminanti includono particelle e gas nell’aria esterna, contaminanti nel suolo e nelle acque sotterranee, erbicidi e pesticidi applicati intorno all’edificio e contaminanti trasportati da parassiti. 7 Alcune emissioni possono essere relativamente benigne se viste singolarmente, ma reagire con altri composti nell’aria, come l’ozono, per formare prodotti secondari più irritanti o dannosi. Materiali, finiture e arredi difficili da pulire possono contribuire ai problemi IAQ necessitando l’uso di detergenti forti.

145


146

città nella scuola • claudio zanirato

IMPRUNETA (FI), Scuola nel Parco dei Sassi Neri LAB_ARCH 3_2015 (Federica Bavetta)


lo spazio costruttivo

La progettazione deve concentrarsi sulla riduzione delle fonti di contaminanti e sulla captazione vicino alla loro fonte di emissione: i rimanenti devono essere diluiti con aria di ventilazione o ridotti per filtrazione e pulizia dell’aria (FAC). Il condizionamento e il trasporto dell’aria di ventilazione rappresentano, perciò, una parte significativa del consumo energetico degli edifici8. Il sistema di ventilazione meccanica è necessario per assicurare le condizioni di confort indispensabili, ma può anche essere previsto un sistema di ventilazione naturale, per esempio attraverso i camini solari distribuiti nella struttura: dotati di serrande motorizzate, opportunamente coordinate con altre aperture motorizzate poste sul perimetro, potrà essere indotto, durante le ore notturne, un flusso di aria naturale che provvederà al raffreddamento della struttura (free cooling notturno). Questa possibilità sarà gestita dal sistema di automazione, con la finalità di smaltire il calore accumulato dalla struttura durante le ore di irraggiamento e dovuto ai carichi endogeni, contribuendo sensibilmente alla riduzione del fabbisogno energetico. La definizione delle caratteristiche energetiche e tecnologiche della struttura dev’essere ispirata alla massima efficienza energetica e gestionale. L’analisi non può prescindere dalle caratteristiche geometriche della struttura, dalle sue caratteristiche di utilizzo e da una serie di prerogative legate all’impiego di materiali ecosostenibili, dal livello di comfort desiderato, ecc.; certamente l’analisi non può risolversi con il semplice rispetto della normativa applicabile, quando la struttura contiene una serie di ambiti che si caratterizzano per differenti utilizzi, sia in termini di funzione che di periodi d’impiego. È importante individuare la migliore strategia in funzione dell’attività che realmente è svolta all’interno dell’edifico, mediando le caratteristiche funzionali relative all’uso previsto nella fasi di progetto ed una o più ipotesi di modifica delle successive. Lo strumento preposto a tale analisi è la simulazione dinamica9: la condizione di stazionarietà non corrisponde alla realtà, ciò in considerazione dell’alternanza giorno-notte, della variazione di temperatura dell’aria nelle varie ore della giornata, dell’esposizione all’irraggiamento solare o alla presenza di carichi endogeni all’interno dell’area in esame, quali persone, luci, ecc.. Tutti questi fattori incidono sul comportamento reale della struttura in base alla sua costante di tempo10. 8 L’impianto aeraulico assicura il ricambio di aria necessario al mantenimento delle ideali condizioni di salubrità: con una portata maggiore funzionale si può impiegare l’aria esterna come free coolig, il tutto in funzione della concentrazione di CO2 rilevata nell’aria espulsa, impiegando un recuperatore ad altissima efficienza. 9 questa calcola per ogni quarto d’ora lo scambio energetico che avviene all’interno dell’area analizzata, considerando, al contrario di quanto avviene attraverso il calcolo in regime stazionario o semistazionario previsto dalla normativa, le caratteristiche di accumulo e di scarica dell’energia da parte delle strutture oltre alla puntuale presenza dei carichi termici endogeni. 10 La costante di tempo di una determinata struttura, funzione del prodotto della resistenza termica per la

147


148

città nella scuola • claudio zanirato

PALERMO, Polo Scolastico Sud CONCORSO DI IDEE_2017 (ZaniratoStudio e Claudia Pescosolido)


lo spazio costruttivo

Con la giusta strumentazione si dovrebbe quindi calcolare, nella reale condizione di uso della strutture, qual è il reale fabbisogno di energia, consentendo l’individuazione di un corretto ed efficace equilibrio energetico tra l’edificio e l’ambiente. Oltre alle caratteristiche passive dell’edificio (relativamente facile da raggiungere e non sempre strettamente necessario in certe condizioni climatiche), sarà utile definire qualsiasi scenario di utilizzo degli spazi, con la dotazione di specifici sistemi impiantistici e conoscere, avendo preventivamente caratterizzato i macchinari installati, i reali consumi di energia che da essi deriveranno. Nello stesso istante o periodo, è utile conoscere il livello di illuminamento naturale all’interno dell’ambiente, l’eventuale integrazione di illuminazione artificiale, caratterizzando esattamente da un punto di vista energetico ogni componente presente. Contestualmente, è possibile caratterizzare il grado di comfort atteso calcolando l’indice PMV, ovvero l’indice di valutazione dello stato di benessere di un individuo che tiene conto delle variabili soggettive e ambientali. Il sistema di automazione e gestione degli impianti tecnologici di tipo elettronico, con unità di regolazione programmabili e predisposte per essere collegate ad una unità centrale di supervisione locale e/o remota, consente un’efficace gestione degli edifici nella loro integrità, con notevoli risparmi gestionali. Ogni area funzionale potrà essere così autonomamente attivata, senza generare la necessità di riscaldare o raffreddare sezioni di fabbricato che non siano in uso. Secondo i presupposti d’impiego derivati dalla funzione “civic center”, sarà utile predisporre in questo modo un sistema di contabilizzazione dell’energia utilizzata. Le ragioni che generano il fabbisogno di energia sono certamente derivanti dalle caratteristiche passive dell’involucro edilizio, dalla forte presenza di carichi termici endogeni, dalla necessità di assicurare una adeguata salubrità degli ambienti mediante il ricambio dell’aria, il tutto all’interno di un edificio che dovrebbe avere caratteristiche tendenzialmente NZEB (edifici ad energia quasi zero, con consumi quindi molto limitati ed auto-produzione dei fabbisogni energetici). Vi è la necessità di considerare la presenza del forte carico termico derivante della presenza delle persone, gli studenti, all’interno di ambienti iper-isolati: per ovviare ai fisiologici problemi di surriscaldamento, l’impianto ideale potrebbe essere del tipo radiante a soffitto. Con tale tecnologia è possibile disporre di un sistema a bassa inerzia termica (anche meglio dei sistemi a pavimento, definiti a “ bassa inerzia”)11. capacità termica, caratterizza il tempo di riscaldamento o raffreddamento di un corpo a parità di resistenza termica. 11 Tale sistema prevede l’impiego di fluidi ad un livello di temperatura ideale sotto il profilo energetico (bassa entalpia per il riscaldamento – temperature elevate 16°C per il raffreddamento) ed è perfettamente integrabile con l’impianto aeraulico e di illuminazione. Ogni zona può essere attivata, disattivata e regolata singolarmente.

149


150

città nella scuola • claudio zanirato

OLLONICA (GR), Scuole Parco Centrale CONCORSO DI IDEE_2015 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


lo spazio costruttivo

Per ciò che riguarda la produzione di acqua calda e/o refrigerata, è opportuno al momento orientarsi su sistemi a pompa di calore, alimentati elettricamente dall’impianto fotovoltaico; attraverso la simulazione dinamica, sarà possibile caratterizzare il tipo di impianto, simulandone il funzionamento ed il relativo bilancio ambientale ed economico, su base annua, comprendendo la produzione elettrica dell’impianto fotovoltaico disponibile nel medesimo istante in cui si genera il funzionamento della pompa di calore12. Potrebbe essere utile la possibilità di prevedere alcune pompe di calore polivalenti (con rendimenti elevatissimi in caso di simultanea produzione di acqua calda e refrigerata)13. Per aree ad uso specifico (Palestra, Aula Magna, Mensa) saranno da privilegiare invece sistemi a tutt’aria, affinchè i tempi di messa a regime siano particolarmente ridotti ed attivabili singolarmente (riscaldamento invernale e la climatizzazione estiva).

12 I livelli di temperatura dei fluidi necessari per l’impianto radiante sono particolarmente adatti al sistema di produzione proposto perché ne massimizzano l’efficienza. Detto sistema di produzione è sempre necessario, anche in presenza di un sistema di approvvigionamento del calore esterno (teleriscaldamento), in ragione della necessità di climatizzazione estiva. 13 Quando nell’edificio è presente simultaneamente la necessità di raffreddarsi e riscaldarsi, elemento caratteristico in questi ambienti iper-isolati in ragione dell’intenso carico termico dovuto alla presenza di persone, in sostanza quanto il singolo ambiente è vuoto in pieno inverno è necessario riscaldare, ma immediatamente dopo l’ingresso delle persone è necessario raffreddare per assicurare le condizioni di comfort, i rendimenti di produzione derivanti dall’applicazione di questa tecnologia sono elevatissimi.

151


152

città nella scuola • claudio zanirato

PRATOVECCHIO STIA (AR), Nuova Scuola Materna CONCORSO DI PROGETTAZIONE_2017 (ZaniratoStudio e Alberto Stazio)


lo spazio costruttivo

SAN GIULIANO TERME (PI), Polo Tecnologico Scuola Sant’Anna di Pisa PROCEDURA RISTRETTA_2017 (ZaniratoStudio)

153





bibliografia

Antinucci F. 2001, La scuola si è rotta. Nuovi modi di apprendere tra libri e computer, Laterza, Roma. Bagnara S., Campione V., Mosa E. 2014, Apprendere in digitale. Come cambia la scuola in Italia e in Europa, Guerini e Associati, Milano, 2014. Bergmann J., Sams A. 2016, Flip your classroom, Giunti, Firenze. Biondi G. 2007, La scuola dopo le nuove tecnologie, Apogeo, Milano. Biondi G., Borri S., Tosi L. 2016, Dall’aula all’ambiente di apprendimento, Altralinea ediz., Firenze, 2016. Borri S. (a cura di) 2016, Spazi educativi e architetture scolastiche: linee e indirizzi internazionali, Indire, Firenze. Cannella G. 2006, L’ecosistema educativo a scuola: la progettazione dell’ambiente di apprendimento, in IR, 29.11. Ferrari M. 2014, Architettura e materia. Realtà della forma costruita nell’epoca dell’immateriale, Quodlibet, Macerata. Gardner H. 1987, Formæ mentis. Saggio sulla pluralità dell’intelligenza, Giangiacomo Feltrinelli Editore, Milano. Jeppesen J. 2014, “Ripensare l’ambiente di apprendimento. Una scuola senza classi”, in “SIM. Scuola Italiana Moderna” n.4 (12/2014) pp.58-67, Editrice La Scuola, Brescia. Linch K.1985, L’immagine della città, Marsilio, Venezia. Malaguzzi L. 1995, I cento linguaggi dei bambini, Edizioni Junior, Bergamo. Markus T.A. 1993, Buildings and Power: Freedom and Control in the Origin of Modern Building Types, Routledge, London. MIUR 2013, Linee guida edilizia scolastica. Morin E. 2000, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero, Raffaello Cortina Editore, Milano. Mosa E. Tosi L., 2016, Ambienti di apprendimento innovativi. Una panoramica tra ricerca e casi di studio, Bricks Maieutiche, Milano-Reggio Emilia.


158

città nella scuola • claudio zanirato

OECD 2013, Innovative Learning Environments. Educational Research and Innovation, OECD Publishing, Parigi. Ponti G. 2014, Dall’edilizia scolastica all’architettura educativa e sostenibile. La scuola intelligente, Grafill, Palermo. Redazione 2013, Sei idee per rilanciare la scuola e contribuire alla crescita del Paese, Dossier pubblicato da «Tuttoscuola», Editoriale Tuttoscuola, Roma. Salvadori M., Heller R. 1992, Le strutture in Architettura, Etas Libri, Milano. Serres M. 2013, Non è un mondo per vecchi. Perché i ragazzi rivoluzionano il sapere, Bollati Boringhieri, Torino.

Siti e documenti web “linee guida per l’edilizia scolastica”, <http://hubmiur.pubblica.istruzione.it/web/ministero/cs110413> INDIRE, “Quando lo spazio insegna”, Indire Ricerca, Firenze, 2012 <www.indire.it/quandolospazioinsegna/eventi/2012/miur/> Moscato G., Tosi L., “Hellerup: la scuola senza banchi”, 2012 <www.indire.it/2012/10/30/ hellerup-la-scuola-senza-banchi/>. <http://www.tuttoscuola.com/newsletter/allegati/ts_news_000-pdf_6idee.pdf>. <http://avanguardieeducative.indire.it/wp-content/uploads/2016/04/AE_07_TEAL.pdf> <http://www.indire.it/quandolospazioinsegna/ eventi/2012/miur/Best Practices> in Educational Facilities Investments, OECD-CELE, <http://edfacilitiesinvestment-db.org/>. INDIRE, “Avanguardie educative”, Firenze 2014 <http://avanguardieeducative.indire.it/>. <http://www.reggiochildren.it/?lang=en>. Il manifesto del movimento “Avanguardie educative”, a cura di Indire, <http://avanguardieeducative.indire.it/wp-content>. Scuola Digitale, <http://www.scuola-digitale.it/documentazione/classi20/?page_id=9>.



Finito di stampare da Officine Grafiche Francesco Giannini & Figli s.p.a. | Napoli per conto di didapress Dipartimento di Architettura Università degli Studi di Firenze Mese 2019



In quest’opera sono raccolte molte esperienze didattiche e progettuali sul tema della scuola innovativa, condotte dall’autore negli ultimi anni all’interno della Scuola di Architettura di Firenze e professionalmente: si tratta di progetti pensati per molti luoghi specifici e concreti di città italiane, presentati all’interno di un percorso didascalico e metodologico che ne racconta ispirazioni, genesi, evoluzione e costruttività. Le forme di approccio al progetto presentate, attraverso il coinvolgimento dei caratteri dei luoghi, danno forma al “progetto delle relazioni”, nella convinzione che in architettura, più che la qualità dell’edificio è importante la qualità delle relazioni che questo è in grado di instaurare: spaziali, temporali e funzionali. La “traduzione” dell’idea compositiva in progetto d’architettura dovrebbe essere l’articolata esperienza di ogni percorso progettuale, che è anche ideativo. Gli “elementi costitutivi” dell’architettura sono pertanto i capisaldi del percorso progettuale, che si devono articolare liberamente alla ricerca di un possibile “scenario” trasformativo: le connessioni tra i diversi spazi relazionali, sia interni che esterni; la spazialità delle funzioni e delle componenti strutturali, costruttive e materiche, costitutive dell’immagine concreta delle fruizioni. Una scuola è uno spaccato formidabile della società e della città che la rappresenta: “città nella scuola” significa che l’organismo scolastico è equiparabile alla complessità dell’urbano. Considerare lo spazio scolastico come “spazio educante” condensa in sé il potenziale di queste architetture. E’ perciò che le scuole vanno pensate e ben rappresentano le “scuole di pensiero” legate all’architettura, come processo di trasmissione di valori e pertanto l’opera è strutturata come una sorta di “manuale” di progettazione architettonica.

Claudio Zanirato, architetto e dottore di ricerca, è ricercatore e docente di progettazione architettonica e urbana presso la Scuola di Architettura di Firenze. Attività di ricerca e professionale insistono sui temi delle relazioni progettuali negli scenari di trasformazione urbani e naturalistici, con l’intento di operare una continuità paesaggistica tramite specifiche metodiche d’indagine. Sviluppa interessi per gli edifici e gli spazi pubblici urbani, per il recupero architettonico ed urbano, per il design degli spazi aperti. Le sue opere sono espressione di una continua ricerca sul rapporto tra l’uomo ed il territorio, tra lo spazio progettato ed il paesaggio. Conduce da tempo indagini fotografiche territoriali a tema, sondandone le valenze spaziali e progettuali. Ha presentato le proprie opere, ricerche, progetti e realizzazioni, in mostre, convegni e sedi accademiche, oltre che in diverse pubblicazioni, ottenendo numerosi riconoscimenti in concorsi e selezioni, nazionali ed internazionali.

€€35,00 15,00


Issuu converts static files into: digital portfolios, online yearbooks, online catalogs, digital photo albums and more. Sign up and create your flipbook.